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La fisica classica fino al XIX secolo era divisa in due corpi di leggi: quelle di Newton, che
descrivono i moti e la dinamica dei corpi meccanici, e quelle di Maxwell, che descrivono
l'andamento e i vincoli a cui sono soggetti i campi elettromagnetici come la luce e le onde
radio. A lungo si era dibattuto sulla natura della luce e alcune evidenze sperimentali, come
l'esperimento di Young, portavano a pensare che la luce dovesse essere considerata come
un'onda.
Alcuni tentativi furono fatti per cercare di risolvere delle incoerenze presenti nelle due
formulazioni. In questo modo fu proposta una natura corpuscolare della luce. Nella natura
corpuscolare, avanzata da Einstein e Max Planck, la luce era considerata come composta
da fotoni che trasportano quantità discrete dell'energia totale dell'onda elettromagnetica. In
modo analogo de Broglie scoprì che anche l'elettrone ha comportamenti ondulatori, come la
diffrazione osservata nei cristalli di nichel con l'esperimento Davisson/Germer del 1926.[19]
Sulla base di questi risultati, Bohr comprese che la natura della materia e della radiazione non
doveva essere ripensata solo in termini esclusivi o di un'onda o di una particella, ma sia
l'elettrone che il fotone sono al tempo stesso sia un corpuscolo sia un'onda. Il concetto,
formulato dal fisico danese nel 1928 e noto come principio di complementarità,[20] si basa sul
fatto che la descrizione completa dei fenomeni che avvengono a scale atomiche richiede
proprietà che appartengono sia alle onde che alle particelle.
Il principio, enunciato da Niels Bohr al Congresso internazionale dei fisici del 1927 (tenutosi
a Como in occasione del centenario della morte di Alessandro Volta), afferma che il duplice
aspetto di alcune rappresentazioni fisiche dei fenomeni a livello atomico e subatomico non può
essere osservato contemporaneamente durante lo stesso esperimento, rendendo in qualche
modo meno stridenti con la concezione fisica classica, e anche logica, i dualismi quantistici e in
particolare quello fra natura corpuscolare e ondulatoria(dualismo onda-particella).
Nella meccanica classica è possibile conoscere con precisione arbitraria e limitata solo dagli
apparati sperimentali la posizione e la velocità di una particella, che ad ogni istante
determinano un punto nella traiettoria percorsa. Inoltre, quando si misura la posizione della
particella, non si modifica in alcun modo la sua velocità. Inoltre due misure immediatamente
successive della posizione permettono di determinare approssimativamente la velocità della
particella.
Heisenberg nel 1927 mostrò che questa misura classica non è possibile[21] nella meccanica
quantistica: alcune coppie di quantità fisiche, come velocità e posizione, non possono essere
misurate nello stesso momento entrambe con precisione arbitraria. Tanto migliore è la
precisione della misura di una delle due grandezze, tanto peggiora la precisione nella misura
dell'altra.[22] In altri termini, misurare la posizione di una particella provoca una perturbazione
impossibile da prevedere della sua velocità e viceversa. In formule:
dove è l'incertezza sulla misura della posizione e è quella sulla quantità di
luce , considerata come parametro variabile. Quando la velocità della luce è infinita le
equazioni di Einstein sono formalmente ed esattamente uguali a quelle classiche.
Considerando quest'ultima come variabile, nel limite in cui tende a zero , fra tutti i
possibili cammini che contribuiscono al propagatore di Feynman solamente le soluzioni
classiche del moto sopravvivono, mentre i contributi delle altre traiettorie si elidono
vicendevolmente diventando sempre meno rilevanti. Dal punto di vista matematico questo
approccio si basa su di uno sviluppo asintotico rispetto alla variabile , metodo che
tuttavia non permette di identificare formalmente le soluzioni quantistiche con quelle delle
equazioni differenziali classiche.
Dal punto di vista sostanziale restano tuttavia profonde differenze fra la meccanica
classica e quella quantistica, anche considerando la realtà quotidiana. Lo stato di un
oggetto macroscopico secondo l'interpretazione di Copenaghen resta comunque non
determinato finché non viene osservato, indipendentemente dalle sue dimensioni. Questo
fatto pone al centro l'osservatore e domande che quasi rientrano in un dibattito filosofico.
Per queste ragioni, nel tentativo di risolvere alcuni punti ritenuti paradossali, sono nate
altre interpretazioni della meccanica quantistica, nessuna delle quali tuttavia, permette una
completa riunione fra mondo classico e quantistico.
Schrödinger scrisse nel 1926 una serie di quattro articoli intitolati "Quantizzazione come
problema agli autovalori" in cui mostrò che una meccanica ondulatoria possa spiegare
l'emergere di numeri interi e dei quanti, gli insiemi di valori discreti anziché continui
permessi per alcune quantità fisiche di certi sistemi (come l'energia degli elettroni
nell'atomo di idrogeno). In particolare, basandosi sui lavori di De Broglie, osservò che
le onde stazionarie soddisfano vincoli simili a quelli imposti dalle condizioni di
quantizzazione di Bohr:
(DE) (IT)
«[...] die übliche Quantisierungsvorschrift «[...] si può sostituire la regola di
sich durch eine andere Forderung ersetzen quantizzazione usuale con un altro
läßt, in der kein Wort von „ganzen Zahlen“ requisito dove non appare più la
mehr vorkommt. Vielmehr ergibt sich die parola "numeri interi". Piuttosto, gli
Ganzzahligkeit auf dieselbe natürliche Art, stessi numeri interi si rivelano
wie etwa die Ganzzahligkeit der Knotenzahl naturalmente dello stesso tipo dei
einer schwingenden Saite. Die neue numeri interi associati al numero di
Auffassung ist verallgemeinerungsfähig und nodi di una stringa vibrante. Il nuovo
rührt, wie ich glaube, sehr tief an das wahre punto di vista è generalizzabile e
Wesen der Quantenvorschriften.» tocca, come credo, molto
profondamente la vera natura delle
regole quantistiche.»
(Erwin Schrödinger[24])
In un'onda stazionaria, i nodi sono punti che non sono coinvolti dall'oscillazione, in rosso nella figura.
Il numero di nodi è quindi sempre intero.
Il numero di nodi in una normale stringa vibrante stazionaria è intero, se questi sono
associati alle quantità fisiche come l'energia e il momento angolare allora ne consegue che
anche queste devono essere multipli interi di una grandezza fondamentale. Affinché
questa equivalenza sia possibile, lo stato fisico deve essere associato ad un'onda che
vibra e si evolve secondo le condizioni di stazionarietà.
In questa onda stazionaria circolare, la circonferenza ondeggia esattamente in otto lunghezze
d'onda. Un'onda stazionaria come questa può avere 0, 1, 2 o qualsiasi numero intero di
lunghezze d'onda attorno al cerchio, ma non un numero razionale come 4.7. Con un
meccanismo simile, il momento angolare di un elettrone in un atomo di idrogeno, classicamente
proporzionale alla velocità angolare, può assumere solo valori discreti quantizzati.
Come Schrödinger stesso osservò,[25] condizioni di tipo ondulatorio sono presenti ed erano
già state scoperte anche per la meccanica classica di tipo newtoniano. Nell'ottica
geometrica, il limite delle leggi dell'ottica in cui la lunghezza d'onda della luce tende a zero,
i raggi di luce si propagano seguendo percorsi che minimizzano il cammino ottico, come
stabilito dal principio di Fermat. Allo stesso modo, secondo il principio di Hamilton, le
traiettorie classiche sono soluzioni stazionarie o di minimo dell'azione, che per una
particella libera è semplicemente legata all'energia cinetica lungo la curva.
Tuttavia l'ottica geometrica non considera gli effetti che si hanno quando la lunghezza
d'onda della luce non è trascurabile, come l'interferenza e la diffrazione. Guidato da questa
analogia ottico-meccanica, Schrödinger suppose che le leggi della meccanica classica di
Newton siano solamente una approssimazione delle leggi seguite dalle particelle, una
approssimazione valida per grandi energie e grandi scale come per le leggi dell'ottica
geometrica, ma non in grado di catturare tutta la realtà fisica, in particolare a piccole
lunghezze, dove come per la luce, fenomeni come l'interferenza e la diffrazione diventano
dominanti. Schrödinger postulò quindi una equazione di stazionarietà per
per arbitrario, ma solo per alcuni suoi valori discreti. In questo modo Schrödinger
riuscì a spiegare la natura delle condizioni di quantizzazione di Bohr. Se si considera
anche la dinamica delle soluzioni d'onda, cioè si considera la dipendenza temporale
della funzione d'onda: