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COD. 041.74.096 - ISB 978-88-89336-46-5 dip
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Deus Vult - miscellanea di studi sugli Ordini Militari
“Militia” e “militanza”.
Templari e rivoluzionari di professione a confronto.
Giovanni Amatuccio
Hans Jonas, nel suo ormai classico studio sullo Gnosticismo, dedicava un ul-
timo capitolo alla relazione tra il pensiero gnostico dell’Antichità e l’Esistenzia-
lismo moderno. Parafrasando le sue premesse metodologiche, in questo saggio
mi ripropongo di delineare un confronto tra “due movimenti ampiamente
distanti in termini cronologici e concettuali e a prima vista incommensurabili”.1
Nel nostro caso, il primo “movimento” appartiene pienamente al cuore dell’età
medievale - sebbene all’interno di esso rappresenti un fenomeno per certi versi
atipico - ed è quello dell’Ordine del Tempio; l’altro, invece, è rappresentato da
un fenomeno eminentemente “moderno”, quale quello dei cosiddetti “rivolu-
zionari di professione” dell’età contemporanea. L’ipotesi qui delineata è che
essi abbiano qualcosa in comune nonostante la distanza cronologica che li
separa.
L’idea di questa indagine metastorica nasce inizialmente da un sugge-
rimento di carattere lessicale desunto da Jean Leclerq. L’eminente studioso
notava, in un suo intervento al convegno sulla Militia Christi della Mennola,
come il termine “militia” - trapiantato in origine dal lessico militare romano in
quello monastico medievale, riferito alla militia Christi quale metafora della
pugna spiritualis che il monaco combatteva contro il male - fosse in seguito, in
epoca moderna e contemporanea, entrato nel lessico politico con l’accezione di
“militanza”, assumendo il nuovo significato relativo, in particolare, all’impegno
politico per una causa.2
Da parte mia, aggiungo che, nel caso dei Templari, il termine ritornò ad
assumere, oltre al significato metaforico, il suo senso originario riferito al miles
realmente combattente. Partendo da questa constatazione lessicale, tenterò qui
di cogliere alcuni aspetti di confronto tra due realtà cronologicamente distanti,
cercando di dimostrare come ci siano sorprendenti attinenze tra la militia dei
Templari e la “militanza” dei rivoluzionari di professione del XIX e XX secolo.
Che tra i due fenomeni storici possa esserci una qualche affinità, può sembrare
di primo acchito inverosimile; ma l’idea del confronto nasce dalla constatazione
1
H. Jonas, Gnosi e spirito tardo antico, a c. di C. Bonaldi, Milano 2010, p. 1084.
2
notre époque a conservé cette manière de dire, à propos de ceux qui sont ‘militants’ d’un
groupe d’Action catholique ou d’un parti politique . (J. Leclercq, Militare Deo dans la tradition
patristique et monastique, in Militia Christi e Crociata nei secc. XI-XIII, Milano 1992, pp. 3-18,
p. 6).
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che, nel lungo intervallo di tempo che separa le due vicende - in pratica tutto il
Basso Medioevo e l’Età Moderna - non si riscontrano simili esperienze per
quanto riguarda le caratteristiche che qui andrò a delineare, vale a dire: lotta
armata per un ideale superiore, nella quale si sacrifica se stessi, in primo luogo a
una rigida disciplina e in secondo luogo alla possibilità del sacrificio estremo.
La guerra in questo lungo ciclo storico torna a essere - come lo era nel
Medioevo - faccenda di prìncipi e stati, la disciplina militare si basa solo sul
deterrente delle punizioni e gli incentivi sono solo di carattere materiale. Gli
avvenimenti “rivoluzionari” di questo periodo - penso, ad esempio, alle lotte
religiose dei contadini tedeschi durante la Riforma - pur assumendo aspetti di
carattere escatologico, non producono organizzazioni permanenti paragonabili
ai Templari o ai partiti rivoluzionari dell’Età contemporanea. Lo stesso dicasi
per le prime vere esperienze rivoluzionarie dell’Europa del Seicento: la
rivoluzione inglese, quella olandese e quella napoletana, dove è l’elemento
socio-politico a caratterizzare la direzione e l’organizzazione popolare in quei
frangenti tutto sommato sporadici e privi di continuità di lunga durata.
Ciò che invece si verifica nel caso dei Templari e, a distanza di molti secoli,
dei rivoluzionari moderni, è che la “lotta armata” contro un nemico “assoluto”,
viene a caratterizzarsi in maniera decisamente “ideologica”. In particolare, tre
sono, a mio parere, gli aspetti che accomunano i rispettivi atteggiamenti
psicologici delle due figure:
- l’atteggiamento di fronte alla guerra (o alla “lotta armata”) e all’“ideale”,
- il carattere di permanenza della loro scelta,
- la rigida disciplina fondata sulla rinuncia alla volontà individuale.
L’anomalia della rottura dello schema tripartito tipico della società
medievale (oratores, bellatores, laboratores) rappresentata dai Templari, è stata
ampiamente rilevata dalla storiografia. Non a sufficienza, invece, è stata colta
un’altra importante anomalia, quella costituita dalla concezione della guerra
permanente in nome della fede (‘ideale’). Tale anomalia autorizza ad azzardare
il paragone che li vede come precorritori di quelli che saranno i comportamenti
che molti secoli dopo diverranno comuni a tanti uomini dell’Europa moderna: i
“rivoluzionari di professione”, figura storica che a partire dalla Rivoluzione
francese - e precisamente dalle prime esperienza della sinistra giacobina di
Babeuf - arriverà fino ai guerriglieri dei nostri giorni, passando per i cospiratori
risorgimentali, gli anarchici del XIX secolo e i Bolscevichi; insomma tutto il
variegato mondo romantico e post-romantico, che ha fatto della figura del
martire e del combattente per l’ideale, l’eroe dei secoli XIX e XX.3 Costoro
avevano fondato i valori della propria esistenza su di un giuramento, per il quale
s’impegnavano a combattere, uccidere e morire in nome di un “ideale”
superiore costituito nella fattispecie da concetti quali libertà, uguaglianza, difesa
3
Il discorso potrebbe essere esteso anche al filone della destra “rivoluzionaria” - fascismo, nazi-
smo ecc. - ma ciò richiederebbe una focalizzazione diversa dell’indagine e ulteriore spazio.
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Questo richiamo ai Templari e al Graal stupisce non poco sulla bocca del
padre del materialismo storico, di certo non sospettabile di manie templariste,
pur imperanti nell’Ottocento europeo. Non è un caso che Engels scelga l’esem-
pio dei Templari per esaltare la dedizione rivoluzionaria alla “causa”. Pur non
essendo, probabilmente, conoscitore della storia del Tempio, egli tuttavia attin-
geva a un aspetto dell’immaginario del suo tempo legato alla storia e alla figura
dei Templari quali combattenti devoti “alla causa”: il suo riferimento è desunto
chiaramente dal Parzival, nel quale i Templari sono rappresentati quali custodi
del Graal. Nelle parole di Engels si ritrovano i topoi classici usati già secoli
prima nei testi dell’Ordine per esaltare e al tempo stesso legittimare l’azione dei
cavalieri di Cristo. Così estrapolato dal contesto generale, il suo linguaggio
potrebbe essere tranquillamente scambiato per un frammento di un testo
medievale: la guerra santa, il Graal, i Templari ecc. Ciò non dimostra,
evidentemente, improbabili ascendenze del pensiero rivoluzionario marxista o
pre-marxista dalla storia dell’Ordine, sebbene non è del tutto escluso che la
comprovata ispirazione della massoneria settecentesca ai Templari abbia potuto
influenzare - a partire dagli Illuminati di Baviera, attraverso le sette post
6
Sane cum occidit malefactorem, non homicida, sed, ut ita dixerim, malicida... Bernardus Clarae-
vallensis, Liber ad milites Templi. De laude novae militiae, in Sancti Bernardi opera, III, Roma
1963, pp. 213-239, ed. J. Leclerq et alii, par. 4, p. 214.
7
K. Marx, F. Engels, Historich-Kritische Gesaumtausagabe, Frankfurt am Main: Marx-Engels
Archiv, 1927, 1/2 2:225-26 (t.d.A.).
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8
Sulle vicende del Templarismo del XVIII secolo e gli intrecci con Massoneria, Illuminati di
Baviera e altre sette, si veda la parte seconda di P. Partner, I Templari, tr. it., Torino 1991.
9
J. V. Stalin Works, From Marx to Mao, vol. 5, Mosca 1957, 74; S. S. Montefiore, Stalin: the
Court of the Red Tsar, New York 2003, pp. 85-86.
10
C. F. Du Périer Dumouriez, La vie et les mémoires du général Dumouriez: avec des notes et des
éclaircissements historiques, Paris 1823, p. 314; P. J. Proudhon, De la justice dans la révolution
et dans l’église, Parigi 1860, p. 172. Sul parallelo tra Gesuiti e Bolscevichi, si veda in particolare
R. Fülöp-Miller, The Mind and Face of Bolshevism, Londra 1927, pp. 280 e ss., dove l’autore,
partendo dal Dostojevski della Leggenda del Santo inquisitore, si sofferma soprattutto sulle ana-
logie etiche, in particolare sul concetto di fine e di mezzo, nonché su quello di gerarchia.
11
“Nel tentativo di comprendere questa diversità (che tutti i partiti comunisti hanno indicato come
prova della loro superiorità morale sui partiti riformisti e borghesi), è utile comparare il partito
leninista con l’Ordine religioso Gesuita, com’è stato fatto in molte occasioni. Esso è governato
dagli stessi principi: la Compagnia di Gesù fu concepita dal suo fondatore come una macchina da
guerra al servizio della redenzione. Sebbene non abbia mai confessato il suo debito con Ignazio
da Loyola, quando Lenin cominciò il cammino indicato da Bakunin […] accettò la regola fonda-
mentale dei gesuiti: perinde ac cadaver. Su questa regola egli costruì l’istituzione che credeva
avrebbe salvato l’umanità dalla rovina morale e dall’essere trascinata nella palude borghese.
L’obiettivo dichiarato: massima coesione morale e intellettuale del corpo consacrato, rendendolo
spiritualmente impervio…” (L. Pellicani, Revolutionary, op. cit., p. 105) (t.d.A.).
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confronto diventa, infatti, più calzante nel caso dei Cavalieri di Cristo, se si
tiene presente il dato rappresentato dalla concomitanza dell’ele-mento che
abbiamo definito “ideologico” con quello armato, combattente, fatto questo che
si riscontra sia nel caso dei Templari sia dei rivoluzionari moderni, ma non in
quello dei Gesuiti. Sebbene, infatti, questi ultimi abbiano spesso adottato
metodi, linguaggi e metafore di tipo militare, non si può dire che abbiano mai
costituito una forza armata realmente combattente.
Il primo dei tre aspetti del paragone, a cui si accennava in precedenza, da
considerare è il concetto di militanza per un “ideale”, una causa, per il quale ci
si impegna, da una parte, in un servizio “permanente” fino all’estremo sacrificio
della vita stessa, dall’altra si è disposti a uccidere il “nemico”, ritenendosi
assolti dall’azione violenta e omicida dal valore superiore della causa stessa. Il
punto di partenza necessario per l’indagine su tale aspetto è costituito senz’altro
dalle linee tracciate da Paul Alphandéry e Alphonse Drupont, i quali nell’ambito
della definizione degli elementi ideologici e psicologici dell’ “idea di crociata”,
hanno, tra l’altro, messo in evidenza le analogie tra lo spirito escatologico delle
crociate medievali e le moderne rivoluzioni “justicières”.12 Un parallelo tra
crociata e rivoluzione viene avanzato anche dal filosofo francese Albert Camus,
il quale afferma che “La révolution, même et surtout celle qui prétend être
matérialiste, n’est qu’une croisade métaphysique démesurée”.13
Se si ammette questa equazione tra crociata e rivoluzione, a maggior ragio-
ne, a mio parere, se ne può stabilire un’altra tra monaco-guerriero e rivoluzio-
nario tenendo presente la peculiarità del fenomeno templare all’interno del più
generale movimento crociato. Il cavaliere, in effetti, si fa Templare per
difendere i pellegrini e i Luoghi Santi; ma la sua è una scelta salvifica al pari di
quella del pellegrino: egli sceglie di adempiere un voto per garantirsi la salvezza
della propria anima. Tuttavia, a differenza del pellegrino, o del crociato, il suo è
un voto caratterizzato da una scelta di vita, una scelta definitiva; e in ciò è più
simile al monaco, in quanto sceglie di rinunciare alla propria volontà , in
un’ottica che è di servizio e di sacrificio, ma che gli garantisce il premio
supremo per il Cristiano: la salvezza della propria anima. Se è vero che il
pellegrino gerolosomitano conquista la salvezza compiendo il viaggio verso il
Santo Sepolcro, ciò sarà ancor più vero per chi, armi in pugno, decide di
12
“…il pensiero di Paul Alphandéry, nel rilevare con forza la realtà di nova religio della Crociata,
ha presentito vicinanze tra Crociata e Rivoluzioni. Queste masse povere, custodi della tradizione
della Crociata, che cosa contengono in sè se non il potere della Rivoluzione giustizialista ? [...]
Avvento del socialismo, quale società del regno, senza classi, giusta, armoniosa. In ciò consiste il
compimento comune della Crociata e della Rivoluzione. Tutte e due in movimento verso
l’avvento, e affinché il regno sia fatto” (P. Alphandéry, A. Dupront, La Chrétienté et l’idée de
Croisade. Recommencements nécessaires (XIIe-XIIIe siècles), Paris 1959, pp. 276-277 (t.d.A.). In
altra sede lo stesso Dupront estende il paragone tra i crociati e i rivoluzionari giacobini (A.
Dupront, Croisades et eschatologie, in Umanesimo e Esoterismo: Atti del V convegno
internazionale di studi umanistici, a c. di E. Castelli, Padova 1960, p. 170).
13
A. Camus, L’homme revolté, Paris 1966, p. 136.
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difendere quei pellegrini e quel luogo, anche se, come nel caso dei fratelli
d’Occidente, non partecipa direttamente alla guerra in Oriente, garantendo
tuttavia ai combattenti della Terrasanta le risorse economiche e umane.
La novità maggiore dell’Ordine combattente consiste, quindi, nel fatto di
aver introdotto un concetto della guerra in nome di un “ideale”, fenomeno al-
quanto raro per la storia dell’Occidente e che s’invererà solo nell’epoca con-
temporanea. Per rimanere alla storia del Medioevo occidentale, infatti, provia-
mo a chiederci per che cosa si combatteva nel Medioevo. I valori per i quali gli
uomini mettevano in gioco la propria vita erano quelli dell’onore, della fedeltà,
del coraggio, del bottino, del potere. Valori certo comuni a tutte le epoche della
storia comprese la nostra, ma che nel medioevo assumevano un significato par-
ticolare: onore personale e della stirpe; fedeltà verso il signore, il re, l’imperato-
re; coraggio nel combattere, sprezzo della vita; sete di guadagno di bottino, di
terre e di potere. Ora, forse per la prima volta nella storia, nell’esperienza delle
Crociate, ma ancor più con la nascita degli Ordini Militari, compare il concetto
della guerra in nome della fede, quindi per qualche cosa che andava al di là dei
valori summenzionati: combattere e morire per qualcosa di più alto, che esulava
dai meschini guadagni della vita terrena, ma che aveva come ricompensa la vita
eterna. Certo si potrebbe discettare sull’utilitarismo anche di questa concezione,
che a ogni modo prevedeva il guiderdone finale, il premio più alto per un
Cristiano, per colui cioè che credeva nella resurrezione della carne e nella vita
eterna, ma si trattava pur sempre di un premio “ideale”, trascendente.
Se tali considerazioni valgono per i crociati in generale, valgono ancor di
più per i monaci-cavalieri, grazie al carattere permanente del loro servizio, e qui
veniamo al secondo punto del confronto: la permanenza. Come già ricordato, i
Templari e gli altri monaci-cavalieri facevano un voto di servizio permanente,
cosa che li rendeva diversi dagli altri crociati. Questi ultimi svolgevano è vero la
loro missione, il loro pellegrinaggio armato verso i luoghi Santi, ma conclusa la
missione e adempiuto il voto, tornavano alle loro case, ai loro cari e tornavano
semmai a combattere di nuovo per l’oro o per il re; oppure, rimanevano in Siria,
ma in veste di signori feudali, a difendere e amministrare i loro nuovi patrimoni
terrieri. I Templari no, i Templari restavano in servizio permanente, per tutta la
loro vita, a combattere per Cristo e per la Chiesa.
Lo stesso elemento della “permanenza” caratterizza anche i rivoluzionari
“di professione” contemporanei, i quali si distinguono dalle esperienze coeve
dei rivoluzionari, potremmo dire, “occasionali”, vale a dire tutti coloro che, a
vario titolo, si trovano coinvolti nei vari episodi di rivolta più o meno
organizzate, o nelle stesse grandi rivoluzioni dei secoli XIX e XX. La differenza
tra le due figure è facilmente riscontrabile nel carattere permanente delle
organizzazioni rivoluzionarie venutesi a formare in Europa a partire dall’espe-
rienza Giacobina in poi. Carboneria, sette rivoluzionarie nazionalistiche, su su
fino al Partito bolscevico russo della prima ora: in tutte queste organizzazioni la
militanza assumeva il carattere di una dedizione permanente, una scelta di vita,
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Mi si perdoni l’autocitazione, ma l’argomento è stato da me approfondito assieme ad altri a-
spetti in G. Amatuccio, Dal castrum al claustrum e viceversa. Disciplina monastica e disciplina
cavalleresca nell’esperienza templare, in: “Nuova Rivista Storica”, XICV, fasc. I, (2010), pp.
125-154.
15
Cito e traduco da, L. Pellicani, Apolalypse, op. cit., p. 112, nota 45.
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Ma dove il paragone diventa ancor più calzante è nella Lettera agli ufficiali
dell’esercito russo, laddove l’anarchico, approfondisce la similitudine tra
Gesuiti e rivoluzionari:
16
Bernardus Claraevallensis, Liber, op. cit., IV,7, p. 220.
17
Cito e traduco da, L. Pellicani, Apocalypse, op. cit., pp. 132-133.
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18
Il Corpus normativo templare. Edizione dei testi romanzi, con traduzione e commento in italia-
no, ed. G. Amatuccio, Galatina, 2009, I, p. i.
19
Ivi, I, p. 1.
20
Ivi, 1, p. 26.
21
Cf. G. Amatuccio, Dal castrum…, op. cit.
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