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Massimo Privitera
Alla memoria
di Mario Albanese
I.
Le «divine sorelle», oltre che figure allegoriche, sono le tre figlie di Sirani:
Elisabetta, la maggiore, a destra; Barbara, la seconda, al centro; Anna Maria,
la minore, a sinistra.3 Dunque Sirani, in simmetria numerica con le figure, si
compiace di presentarsi tre volte artefice: del quadro, dei versi e delle figlie.
* Presento qui la rielaborazione di un testo letto il 5 luglio 2013 alla Medieval and Renaissance
Music Conference, Certaldo, 4-7 luglio 2013, per la quale ho beneficiato dei commenti ricevuti
durante la discussione al convegno, particolarmente da Paola Besutti, Bonnie Blackburn, Luca
Bruno, Anne Smith e Michaela Zackova Rossi, che ringrazio sentitamente. Un vivo
ringraziamento va anche ad Antonella Balsano, Paolo Emilio Carapezza e Vasco Zara, che hanno
gentilmente letto il mio testo e mi hanno fornito preziosi commenti. Ma, naturalmente, la
responsabilità di quanto qui scritto è da imputare soltanto a me.
1Olio su tela, cm 12,5 x 16,5, Bologna, Pinacoteca. Nel catalogo della Pinacoteca di Bologna del
1935 il dipinto è chiamato Le arti belle (MAUCERI 1935, p. 97). Probabilmente Sirani ha dipinto il
quadro per il conte Corrado Ariosti, che ospitava nel proprio palazzo un’Accademia nella quale il
pittore insegnava disegno dal vivo (MODESTI 2008). Su questo fedele discepolo di Guido Reni cfr.
Frisoni 1992.
2 Il testo è trascritto in MODESTI 2008, p. 385.
3«È una raffigurazione allegorica delle tre Arti, rappresentate dalle tre donzelle nelle quali si son
volute vedere le figlie del pittore»: MAUCERI 1935, p. 97; MODESTI 2008, p. 385.
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Figura 1.
GIOVANNI ANDREA SIRANI, Allegoria delle tre Arti (Pittura, Musica, Poesia), olio su tela,
ca. 1663, Bologna, Pinacoteca nazionale (per gentile concessione)
Figura 2.
G. A. SIRANI, Allegoria delle tre Arti (Pittura, Musica, Poesia), particolare
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4 Perché in un quadro bolognese del 1663 compaia il Lamento d’Arianna, la cui composizione
risale al 1607, lo ha spiegato Paola Besutti (BESUTTI 2013), dimostrando che questa composizione
è stata per molti decenni un crocevia politico e diplomatico, oltre che culturale, incentrato sul
duca Ferdinando Gonzaga, e coinvolgente, intorno al 1620, anche Guido Reni. Il Lamento godette
di particolare fortuna presso l’Accademia dei Gelati di Bologna, di cui faceva parte anche Andrea
Sirani.
5 Su Elisabetta Sirani cfr. FRISONI 1978, MODESTI 2004, e BENTINI-FORTUNATI 2004. La fama
raggiunta da Elisabetta è ben riflessa nelle pagine in memoriam di Felsina pittrice (MALVASIA
1678).
6 Lodovico Dolce, Dialogo della pittura, 1557, in BAROCCHI 1960-1962, I, p. 156. Dolce, da
letterato, si compiace di sottolineare la superiorità della poesia, che fa ricorso anche all’intelletto.
La letteratura sull’ut pictura poesis e sulla ripresa rinascimentale delle fonti antiche che danno a
poesia e pittura la medesima capacità mimetica (Simonide citato da Plutarco, la Poetica di
Aristotele, l’Ars poetica di Orazio) è troppo vasta per renderne conto in questo contributo. Mi
limito a ricordare lo studio classico LEE 2011, cui vanno accostati BLUNT 1966 (cap. IV) e JENSEN
1976. Per un punto di vista centrato sulla poesia cfr. HULSE 1990.
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II.
7La prefazione alla Veglie di Siena è stata inclusa da Paola Barocchi nella sua antologia di Scritti
d’arte del Cinquecento (BAROCCHI 1977-1979, II, pp. 460-462).
8 Su questo quadro le notizie sono praticamente inesistenti. Comparso nel catalogo di vendita
Agnew’s nel 1960, la sua attuale ubicazione è sconosciuta: cfr. The Seventeenth Century Pictures
1960, n. 25 (con riproduzione del quadro), e FRISONI 1978, p. 4 e tav. 1.
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Figura 3.
GIOVANNI ANDREA SIRANI, La Pittura e la Musica, olio su tela, ubicazione sconosciuta
(la riproduzione fotografica è tratta dalla fototeca della Fondazione Federico Zeri, per
gentile concessione)
Questa seconda allegoria di Sirani dà conto del fatto che pittori e musici
hanno sempre condiviso molte cose; e ci introduce al terzo piano di cui
parlavo all’inizio: la vita quotidiana. Sappiamo che spesso la pittura e la
musica erano praticate dalle medesime persone. Come ha mostrato Katherine
McIver (MCIVER 1997), in Vasari si legge di 39 artisti che suonavano e
cantavano, continuativamente o occasionalmente, spesso scrivendo anche
versi. Qualcuno lo faceva per dono naturale, come Leonardo e Giorgione; altri
per diletto, come Bramante; altri funzionalmente, per allestire spettacoli,
come Piero di Cosimo.9 E lo stesso fenomeno è notato dai continuatori
secenteschi di Vasari (Bellori, Malvasia, Passeri). Sappiamo ad esempio da
Malvasia che Agostino Carracci poetava, suonava, ballava e costruiva strumen-
ti; e soprattutto sappiamo di Domenichino,
che amò in eccesso la Musica onde, anche putello, altra conversazione fuor
dell’Arte non aggradiva, che quella del Consoni e del Righetti Mastri di cappella: e
se bene ei non ne sapea più che tanto la pratica, ne discorreva per teorica con tali
fondamenti, e ragioni, che molti della Professione volevano sentirlo, ed
approfittarsi delle sue nuove speculazioni: pretendendo di esser vicino ad aver
9 Sul significato della figura del pittore-musico cfr. KORRICK 2003, p. 207.
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Che la musica fosse importante per i pittori è dimostrato anche dal fatto
che molti si sono autoritratti in veste di musici; in particolare le pittrici:
Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana, Marietta Robusti, Artemisia Gentile-
schi.11 Lo ha fatto anche la nostra Elisabetta Sirani, la quale suonava l’arpa e
probabilmente pagava le lezioni di musica con suoi quadri (MODESTI 2004, p.
116), come quell’autoritratto allegorico che lei stessa definisce una «mezza
figura fatta per la Musica da regalare il mio maestro da suonare. (MALVASIA
1678, p. 468).12
Per molti pittori la musica era una cara compagnia, un piacevole diversivo
nelle lunghe ore passate a lavorare su dettagli, o in occupazioni routinarie
come preparare colori.13 Leonardo ad esempio si compiace del fatto che il
pittore, a differenza dello scultore, può lavorare in una casa confortevole,
ornata da «vaghe pitture, e pulita, e accompagnata spesse volte di musiche, o
lettori di varie e belle opere».14
Ma la musica poteva essere anche stimolo al lavoro creativo, predispo-
nendo l’animo dell’artista alla bellezza e all’armonia, che i teorici tutti
indicano fondamento della pittura. Secondo Vasari la prima professione di
Sebastiano del Piombo non fu «la pittura, ma la musica: perché oltre a cantare
si dilettò molto di sonar varie sorti di suoni, ma sopra tutto il liuto, per sonarsi
in su quello strumento tutte le parti senza compagnia» (VASARI 1984, pp. 85-
86). E la menzione del liuto non è casuale: Sebastiano lo prediligeva perché è
uno strumento polifonico, che può produrre l’armonia.15
10 Su Domenichino e la musica cfr. SPEAR 1982, I, pp. 40-46, e CARAPEZZA-FEO 1994, pp. 16 e sgg.
11 Sul tema dell’auto-rappresentazione delle prime pittrici come musiciste esiste una specifica
letteratura; rimando per un bilancio della questione a PRIVITERA 2014.
12È con ogni probabilità l’autoritratto pubblicato in MODESTI 2004 (p. 117). Nell’orazione funebre
di Elisabetta, Giovan Luigi Picinardi ce la mostra intenta all’esercizio della poesia e della musica,
componendo un breve compendio della tradizione dell’ut pictura poesis: «Pasceva nell’ore meno
occupate del giorno lo Intelletto con la Pittura loquace ella, ch’era lo splendore della muta Poesia,
e lusingando l’orecchio con l’Arpa, mostravasi vaga di maneggiare su l’Arpa le linee armoniose
d’Apollo ella, che sapeva emulare su le tele tutte le linee colorite d’Apelle» (MALVASIA 1678, p.
459).
13Nelle botteghe dei pittori era normale far musica, come ci mostra il disegno di un garzone che
suona il liuto, contenuto in un’anonima raccolta quattrocentesca di disegni conservata agli Uffizi,
e pubblicata in DE FIORE 1984, (pp. 189 e 27-30).
14 Cit. in VECCE 2006, p. 126. Cfr. BLUNT 1966, p. 67.
15Un bell’esempio della musica ispiratrice di creazione pittorica lo abbiamo, ancora nel 1779, con
Anton Raphael Mengs. Il suo biografo Giuseppe D’Azara (José Nicolás de Azara) ci dice che,
dipingendo il suo ultimo quadro, Mengs «fischiava e cantava [da] solo […] una suonata di Corelli,
poiché voleva far quel quadro in uno stile della musica di quel famoso compositore» (D’AZARA
1780, pp. XXXVIII e sgg.; cfr. PRIVITERA 2000, pp. 92 e sgg.).
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III.
16 Non rientra nelle intenzioni di questo scritto comporre una storia dei musicisti-pittori; tuttavia
si può notare en passant che nel Novecento molti sono stati i musicisti che hanno dipinto, come
Schönberg e Gershwin, la cui amicizia si fondava anche sulla comune passione per la pittura.
17 Sui musici-poeti rimando a PRIVITERA 1999.
18Il cortegiano dev’essere «esercitato nel scriver versi e prosa» e «ancor musico [sia] a libro [sia]
di varii instrumenti», e deve «saper disegnare ed aver cognizion dell’arte propria del dipingere»
(CASTIGLIONE 2001, Libro I, pp. 66, 69, 71).
19 Edizione moderna a cura di Otto Gombosi (CAPIROLA 1955).
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alcuna delle compositioni, che usavano» (p. 20). Per sovrappiù i pittori non
potevano neanche basarsi su trattati antichi (a parte le pagine di Plinio); anzi
Armenini lamenta (ingiustamente) che la pittura «sempre se n’è rimasa in una
commune, & natural prattica, & se pure ha avuti precetti, & regole, non sono
state raccolte in scrittura in un libro solo; ma poste ne gli animi, & nelle menti,
se ne son state sparse appresso à diversi artefici» (p. 21).
Neppure ai musici erano giunte opere dell’antichità.20 Il primo a pubbli-
carne è Vincenzo Galilei, che include due inni e due proemi di Mesomedes nel
Dialogo della musica antica et moderna (1581); ma li lascia nella notazione
antica, riservandone così la comprensione solo a pochissimi filologi. In
compenso però era sopravvissuta un’imponente mole di scritti sulla musica,
cui i teorici rinascimentali hanno attinto a piene mani. In questo si vede
un’affinità con l’architettura, forte del libro di Vitruvio «che ancora si conser-
va, & conservarà fin che duri il mondo» (ARMENINI 1587, p. 22). Tuttavia la
musica la sopravanza di molto perché era stata coltivata dai più grandi filosofi
e rètori: Socrate, Platone, Aristotele; e soprattutto Pitagora, Aristosseno e
Dionigi d’Alicarnasso. Scoprendo che i tre intervalli perfetti della musica
(quarta, quinta e ottava) potevano essere espressi dai rapporti tra i quattro
numeri della sacra tetraktys (4:3:2:1 = 4:3 la quarta, 3:2 la quinta e 2:1
l’ottava), Pitagora aveva fatto diventare la musica una scienza del numero,
ponendo le premesse per farla entrare fra le arti liberali.21
Il legame antico fra musica e matematica ha fatto sì che i teorici della pit-
tura modellassero sulla scienza armonica (cioè la scienza musicale, che sta tra
le arti liberali del quadrivium con aritmetica, geometria e astrologia) la teoria
razionale della loro professione, per darle dignità e affrancarla dalle arti
meccaniche. Per Lomazzo «la beltà della pittura» è «la necessaria compositio-
ne dell’anima nostra che chiamasi armonia» (p. 128); e non ha dubbi che
«Leonardo, Michel Angelo, & Gaudentio […] pervennero alla cognitione della
proportione armonica per via della Musica, e con la consideratione della
fabrica del corpo nostro; il quale anch’egli con musico concento è fabricato»
(LOMAZZO 1590, p. 129).
Il ricorso ai numeri sonori poteva avvenire non solo nella riflessione teo-
rica, ma anche nella sperimentazione compositiva. È il caso di Giuseppe
Arcimboldo, citato da Gregorio Comanini ne Il Figino (1591).22 Comanini
20 Tutti i frammenti importanti, gli inni delfici, la stele di Sicilo, i pochi versi intonati dell’Oreste
di Euripide, sono stati scoperti e pubblicati solo a partire dalla fine dell’Ottocento (cfr. CARAPEZZA
1997).
21Esiste sui rapporti fra musica e architettura una vasta letteratura di cui non è possibile qui
rendere conto perché esula dagli obiettivi di questo lavoro. Per un’efficace discussione del tema
rimando a ZARA 2005 e ZARA 2007.
22 Una riproduzione della stampa del 1591 è reperibile all’indirizzo: <http://ia600700.us.archive
.org/35/items/ilfiginooverodel00coma/ilfiginooverodel00coma.pdf> e un’edizione moderna all’in-
dirizzo <http://www.memofonte.it/home/files/pdf/scritti_comanini.pdf>. L’edizione dalla quale
cito è in BAROCCHI 1960-1962, III, pp. 237-379: 368 e sgg. (e, parzialmente, in BAROCCHI 1977-1979,
II, pp. 445-447). Il passo su Arcimboldo e la musica è stato commentato da CASWELL 1980. Su Il
Figino nel suo complesso cfr. FERRARI-BRAVO 1972.
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dove l’acuto filosofo non potè dividere il tuono in due semituoni eguali […],
questo ingegnosissimo pittore non solamente ha saputo ritrovare i detti semituoni
maggiore e minore ne’ suoi colori, ma [ha realizzato] la divisione ancora del tuono
in due parti eguali, così leggiermente e dolcemente è ito offuscando col negro il
bianco, sempre di grado in grado ascendendo a maggior negrezza, sì come dal
suono grave si cresce di mano in mano all’acuto et al sopraacuto.
(p. 369)
23 «[…] sì come egli è ito pian piano ombreggiando il bianco e riducendolo ad acutezza, così ha
fatto del giallo e di tutti gli altri, servendosi del bianco per la parte più bassa, che si ritrovi nel
canto, e del verde et insieme dell’azzurro per le parti che son mezzane, e del morello e del tanè
per le parti di maggiore altezza; essendo che di questi colori l’uno segue et adombra l’altro, perché
il bianco è ombreggiato dal giallo, e ’l giallo dal verde, e ’l verde dall’azzuro, e l’azzuro dal morello,
e ’l morello dal tanè, come il basso è seguito dal tenore, e ’l tenore dall’alto, e l’alto dal canto»
(BAROCCHI 1960-1962, III, p. 370).
24Mauro Cremonese è con ogni probabilità Mauro Sinibaldi di Cremona, anch’egli impiegato
presso la corte di Rodolofo, come musico, tra il 1576 e il 1591. Ringrazio Michaela Zackova Rossi
per avermi fornito questi dati, in corso di pubblicazione in ZACKOVA ROSSI 2014. Arcimboldo e
Sinibaldi hanno anticipato di un secolo e mezzo il clavecin oculaire di Castel e Telemann.
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E perché non è altro la continua che qual si voglia linea, circolo, triangolo,
diametro, e simili, di qui si vede dipendere interamente la Pittura dalla
Mathematica. La quantità discreta poi non è altro che qual si voglia numero, come
1. 2. 3. 4. & simili; e perché la Musica non è altro che il numero sonoro che si
produce dalla disegualità di quei numeri fra quali si fa proportione […]
concluderemo che la Musica ha la sua origine dalla Arithmetica, la quale è
scientia dependente dalla Mathematica. E si come il Musico procura che le voci
gravi & acute stiano nella sua debita proportione con le altre parti di mezzo, così
anco il Pittore ha riguardo di fare le figure proportionate, che non habbino la testa
o vero le gambe maggiori di quello che alle altre parti si conviene. E così come il
Musico va trovando l’armonia, o grave, o allegra, o maninconica, conforme alle
parole, così il Pittore averte di fare secondo l’historie che ha da rappresentare […].
E così come il Musico si serve anco delle dissonanze, per far parere più dolce e più
25 Le citazioni di Leonardo vengono da FARAGO 1992, pp. 234 sgg. (il testo del Paragone è
riportato parzialmente anche in Barocchi 1977-1979, II, pp. 235-50). Il Paragone è uno dei più
discussi testi teorici del Cinquecento (rimando a Farago 1992 per un bilancio bibliografico).
Limitatamente ad una prospettiva musicologica, cfr. BLACKBURN 2001 e SHEPHARD 2013. Su
Leonardo e la musica lo studio più ampio rimane ancora WINTERNITZ 1982.
26Alberti apre il suo libro sulla pittura dichiarando che «torrò da i Mathematici quelle cose, che
mi parranno necessarie a la materia»; e solo in un secondo momento «dichiarerò la pittura da i
principi istessi della natura» (ALBERTI 1547, c. 4r).
27 Su questo pittore cfr. MUSELLA GUIDA 1982.
28 La lezione di Balducci è discussa, ma da un altro punto di vista, in KORRICK 2003, p. 200.
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soave l’armonia, così il Pittore, volendo che li colori faccino più bell’effetto e
rendino maggior vaghezza à riguardanti, usi i contrarij l’uno all’altro […].
(ALBERTI 1604, pp. 62-63)29
IV.
29Nella trascrizione da Romano Alberti e da altre fonti, per facilitare la lettura sono intervenuto
su interpunzione, accenti e capoversi.
30 Per un’ampia riflessione sulle concordanze fra teoria della musica di Zarlino e teorie della
pittura cfr. SUTHOR 2008.
31 KORRICK 2003, p. 201, ha evidenziato un analogo paragone nel Dialogo di Galilei.
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M. Privitera – Pittori e musici nell’Italia del Cinque e Seicento
Porcia figliuola di Catone Uticense [della quale] si legge ancora, che havendo
veduto una certa Tavola di pittura, pianse amaramente. Et benché la Pittura
habbia forza di commover l’animo, nondimeno maggior forza hebbe la viva voce
di Demodoco Musico et sonatore di Cetera, il quale riducendo in memoria Ulisse,
dipingendoli le cose passate come se li fussero state presenti, lo costrinse a
piangere.
Et […] il Verde, il Rosso, lo Azuro, et gli altri simili più li dilettano et tanto più si
dimostrano […] vaghi [a chi guarda]: percioche sono lontani dalli principali […].
Cosi l’Udito più si diletta nelle consonanze che sono più lontane dalla semplicità
de i Suoni: conciosia che sono molto più vaghe di quelle che le sono più vicine. Et
quasi allo istesso modo si diletta l’Udito della compositione de i Suoni che fa il
Vedere della compositione de i Colori: percioche la compositione de i colori, overo
che non può essere senza qualche harmonia, ouero che ha con l’harmonia qualche
conuenienza per che l’una et l’altra si compone di cose diverse.32
32Cfr. CARAPEZZA 1988, p. 5. Zarlino ribadisce il concetto quando discute la varietà delle
consonanze come criterio di bellezza: in III, 29 raccomanda di non porre di seguito «due
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Il tema della varietà è ripreso in III, 40, ma questa volta dalla prospettiva
della composizione; e anche lì Zarlino ricompone l’unità fra poesia, pittura e
musica che abbiamo visto nel primo quadro di Sirani. Per ottenere la varietà
«vagliono poco le Regole & li Precetti, quando [il compositore] dalla natura
non è aiutato». Ma un valido suggerimento viene da Orazio, quando dice che
la «legge dell’ordine e la grazia […] si ridurrà a questo: dir subito ciò che è
necessario si dica fin d’ora, e tralasciar la maggior parte delle cose, per
trattarle a tempo opportuno» (Ars poetica, 42-44, in ORAZIO FLACCO 1969, pp.
536-537). Questa regola la conosceva bene Virgilio, il quale fece precedere il
racconto della navigazione di Enea a quello della distruzione di Troia, perché
comprese, che con maggiore arteficio, et con maggior maestà [ne] sarebbe riuscito
il suo Poema […]. Cosi sogliono fare […] anco li Pittori: percioché la Pittura non è
altro, che una poesia muta; i quali accommodano le historie, o favole, come
meglio li tornano in proposito. Onde havendosi proposto alcuna volta di dipingere
una historia, o favola, [il Pittore] accommoda le figure, et le accompagna insieme,
secondo che pare a lui, che stiano meglio, et che faccino megliori effetti; né fa caso
alcuno di porre una figura più in un modo che in uno altro, cioè che più stia in
piedi, overo a sedere in una maniera che in un' altra, pur che faccia buono effetto
et osservi l' ordine della historia, o favola che vuol dipingere. Il che si vede che
infiniti Pittori haveranno dipinto una cosa istessa in infinite maniere […]
nondimeno tutti haveranno havuto uno istesso fine, cioè di rapresentare le dette
historie […]. Cosi debbe adunque fare etiandio il Musico; cioè cercare di variar
sempre il suo Contrapunto sopra un Soggetto.
Consonanze perfette di uno istesso genere, o specie», perché «l’Harmonia non può nascere se non
da cose tra loro diverse, discordanti & contrarie. […] Onde si come il vedere una Pittura, che sia
dipinta con varij colori, maggiormente diletta l’Occhio di quello che non farebbe se fusse dipinta
con un solo colore; cosi l’Udito maggiormente si diletta et piglia piacere delle Consonanze, et
delle Modulationi variate, poste dal diligentissimo Compositore nelle sue compositioni, che delle
semplici, et non variate».
33 Sulla polemica Galilei-Zarlino cfr. l’ultimo cap. di BERGER 1987.
34 Con «decoro» Pietro Bembo traduce il termine «proprietà» di Aristosseno e Dionigi di
Alicarnasso (cfr. CARAPEZZA 2011, p. 178).
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Queste non faranno danno a essa fabrica, quando quelle saranno in alcuni luoghi
disposte e con bel modo accompagnate nel mezzo di detta compositione, che con
la varietà di quella Architettura ornerà la fabrica della compositione, come fanno i
buoni Architetti che con bel modo di procedere con le linee del triangolo fanno
abbagliar la vista à gli huomini, e con quelle fanno parere una facciata di qualche
bel Palazzo che sarà dipinta molto appresso alla vista di colui che guarderà tal
pittura, ed a quello essa li parerà molto lontana, e nol sarà. Questa apparentia
avviene da il modo di sapere accompagnare i colori con le linee […].36
V.
35Per uno stimolante confronto fra il Fronimo di Galilei e il Trattato dell’arte della pittura di
Lomazzo cfr. KORRICK 2003.
36 VICENTINO 1555, III, 15, c. 47v. Ringrazio Anne Smith per avermi segnalato il passo.
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politica pertinente, 1581). Qui si arriva ad una sintesi che mette sullo stesso
piano tutte le arti:
Egli è ben vero, che un certo suono convenevole si considera nelle parole, il quale
alla Musica è molto simigliante, che ogni Oratore molto si affatica di conoscere, et
di usare parimente: Et se vogliamo attribuire la Musica all’Oratore in questo
modo, noi potremo a ragione ancora dire, che egli sia Pittore, e Geometra,
posciache nel suo parlare si usano quelle maniere di dire, che sono colori retorici
nominati, et alcune misure similmente, onde l’orazione si fa più bella et più
perfetta.
(BOCCHI 1581)
quel Pittore, che dentro à picciola tavoletta rinchiuder vuole un gran numero di
figure, [e perciò] forma le principali, come più riguardevoli, di corpo intiero, e le
men degne insino al petto, altre dal capo in sù, & altre appena comprensibili di
vista per la sommità de capelli, finalmente il rimanente della moltitudine quasi
dagl’occh’ altrui lontano mischia insieme; Così io in alcune parti di questa mia
Comedia Harmonica, che necessariamente sono richieste, rappresenterò
pienamente, altre tratterò con modo più ristretto, & altre accennerò solo; Poscia
quelle, che rimangono, si come non passerò con silenzio, cosi farò di loro un
miscuglio.
(Orazio Vecchi 1950, pp. 71-72)
37 Soprattutto nell’ultimo quarto del Cinquecento, come ha fatto notare KORRICK 2003, p. 194.
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Appendice
Sirani, le figlie, le Muse, le Grazie
Secondo Adelina Modesti (MODESTI 2008, p. 385), nell’Allegoria delle tre Arti
Sirani ha ritratto le figlie in veste di Muse, attingendo a Imagini de gli dei de
gli antichi di Cartari (presente nella sua biblioteca). Al centro sta Euterpe (cui
Virgilio assegna «gli stromenti da fiato»); e giacché il suo nome «vuol dire
Gratia di DIO» (CARTARI 1609, p. 40), ella non guarda le sorelle, ma contem-
pla con le orecchie della mente i cori angelici. È la pittura che la guarda,
mentre a sua volta è osservata dalla Poesia (che identifichiamo con la Musa
Calliope). Questa interpretazione è rafforzata dall’affermazione di Cartari che
«anchora veggonsi in Roma alcuni simulacri delle Muse antichissimi, che
hanno una penna piantata su la cima della testa, et credesi, che fosse delle
Sirene» (p. 41): dunque «un’allusione quanto mai appropriata al cognome
delle tre sorelle» (MODESTI 2008, p. 385). E una penna sulla testa sembra
visibile nella capigliatura della Poesia-Elisabetta-Calliope.
Per quanto questa lettura sia suggestiva, bisogna però notare che la Pittu-
ra non è riconducibile ad alcuna delle Muse. Cartari poi dice, sì, che le nove
sorelle «da principio non furono nominate più di tre», tuttavia assegna a
queste qualità e nomi diversi: «Meditatione, Memoria, & Canzone» (CARTARI
1609, p. 40). Sirani dunque sembra abbia combinato le Muse con le tre Grazie,
le quali gli permettevano di dare una rappresentazione morale alquanto
lusinghiera della purezza d’animo delle figlie, riflessa nella parziale nudità:
«[Le tre Grazie] sono allegre, & gioconde nello aspetto […]. Sono Giovani […].
Sono Vergini, perché facendo bene altrui, bisogna farlo con animo puro, &
sincero, e senza nodo alcuno di obligo: come mostrano anchora le vesti scinte,
& sciolte, le quali sono lucide, e trasparenti, perché tale ha da essere dentro
l’animo di chi fa beneficio, quale si mostra fuori nelle opere […]» (CARTARI
1609, p. 412) (e questa menzione delle «opere» prodotte dalle Grazie può
essere stata sfruttata da Sirani per evidenziare e valorizzare la produzione
pittorica delle figlie, specie di Elisabetta). Inoltre Cartari dice che una delle
Grazie «sta con le spalle verso noi, & due ci guardano» (p. 409), il che spiega
la singolare posizione della Pittura, di schiena rispetto allo spettatore.
Sirani aveva già usato le figlie come modelle nell’altra allegoria, La Pittu-
ra e la Musica. Se si confronta il viso della pittura di questo quadro con quello
della poesia dell’Allegoria del 1663 (che abbiamo visto ritrarre Elisabetta)
(figg. 4a e 4b), si nota lo stesso naso prominente che si vede negli autoritratti
di Elisabetta e nell’incisione che compare in Felsina pittrice di Malvasia (fig.
5). Allo stesso modo (figg. 6a e 6b) si nota somiglianza fra la giovane donna
che ha prestato i suoi tratti alla Musica in entrambi i quadri, cioè Barbara (in
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Figura 5.
Ritratto di Elisabetta Sirani (da MALVASIA 1678, p. 452)
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Figura 7.
Compositione di messer Vincenzo Capirola, f. 22 (CAPIROLA 1955)
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