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Elementi della teoria delle funzioni analitiche

Luciano Pandolfi
Politecnico di Torino
Dipartimento di Matematica

30 ottobre 2006
Indice

1 Le funzioni olomorfe 3
1.1 Richiami sui numeri complessi . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
1.1.1 Radici n–me di numeri complessi . . . . . . . . . . . . 7
1.1.2 Esponenziale, logaritmo, formule di Eulero . . . . . . . 8
1.2 Limiti e continuità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
1.2.1 Derivata e integrale di funzioni da R in C . . . . . . . 11
1.3 Curve nel piano complesso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
1.4 Funzioni da R2 in R2 e funzioni da C in C . . . . . . . . . . . 16
1.5 La derivata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18
1.5.1 Esempi di funzioni olomorfe e formule di derivazione . 22
1.5.2 Osservazione sui “teoremi fondamentali del calcolo dif-
ferenziale” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
1.5.3 La matrice jacobiana e le funzioni olomorfe . . . . . . . 26
1.5.4 Serie di potenze e serie di Laurent . . . . . . . . . . . . 28
1.6 Funzioni olomorfe e trasformazioni conformi . . . . . . . . . . 34
1.6.1 La rappresentazione delle funzioni olomorfe . . . . . . . 35
1.7 Integrale di curva di funzioni olomorfe . . . . . . . . . . . . . 37
1.8 Il teorema di Cauchy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41
1.9 Primitive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
1.9.1 Curve equipotenziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
1.9.2 Il caso della funzione z → z̄ . . . . . . . . . . . . . . . 46
1.9.3 La funzione logaritmo e le potenze . . . . . . . . . . . 46
1.10 Indice e omotopia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
1.11 Convergenza uniforme sui compatti e integrazione . . . . . . . 55
1.12 La formula integrale di Cauchy . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
1.12.1 La proprietà della media . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
1.12.2 Funzioni olomorfe rappresentate mediante integrali . . 60
1.13 Analiticità delle funzioni olomorfe . . . . . . . . . . . . . . . . 61
1.13.1 Funzioni armoniche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63

1
2 INDICE

1.13.2 Zeri e estensioni di funzioni olomorfe . . . . . . . . . . 64


1.14 Il teorema di Morera e il principio di riflessione di Schwarz . . 68
1.15 Teoremi di Weierstrass e di Montel . . . . . . . . . . . . . . . 70
1.16 Il principio del massimo modulo ed il teorema di Liouville . . 73
1.17 Le singolarità isolate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77
1.18 Formula di Laurent . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82
1.19 Singolarità e zeri ad infinito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88
1.20 Il metodo dei residui . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90
1.20.1 Calcolo di integrali impropri . . . . . . . . . . . . . . . 91
1.20.2 Il Principio dell’argomento . . . . . . . . . . . . . . . . 96
1.20.3 I teoremi di Hurwitz e Rouché e della mappa aperta . . 97
1.21 Trasformazioni conformi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101
1.21.1 Il teorema di Riemann . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107
1.22 Monodromia e polidromia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110
1.22.1 Punti di diramazione di funzioni olomorfe . . . . . . . 110
1.22.2 Funzioni analitiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111

2 Funzioni armoniche 117


2.1 Funzioni armoniche e funzioni olomorfe . . . . . . . . . . . . . 117
2.2 La proprietà della media e il teorema di Gauss . . . . . . . . . 119
2.3 Il problema di Dirichlet per l’equazione di Laplace . . . . . . . 120
2.3.1 La formula di Poisson . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122

3 La trasformata di Laplace 123


3.1 Definizioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123
3.2 Proprietà della trasformata di Laplace . . . . . . . . . . . . . 124
3.3 Trasformata di Laplace, derivata ed integrale . . . . . . . . . . 127
3.4 Alcune trasformate fondamentali . . . . . . . . . . . . . . . . 131
3.5 Il problema dell’antitrasformata . . . . . . . . . . . . . . . . . 131
3.5.1 Antitrasformata di funzioni razionali . . . . . . . . . . 132
Capitolo 1

Le funzioni olomorfe

3
4 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

1.1 Richiami sui numeri complessi


E’ nota la definizione seguente del campo dei numeri complessi:
• gli elementi del campo sono le coppie di numeri reali,
q à !
x y
z = (x, y) = x2 + y 2 √ 2 2
,√ 2
x +y x + y2
q
= x2 + y 2 (cos θ, sin θ) .

Si sa che il numero q
ρ= x2 + y 2
si chiama modulo del numero complesso z mentre θ si chiama argomento
di z.
Il modulo del numero complesso z si indica col simbolo |z|.
L’argomento di z è identificato a meno di multipli di 2π se z 6= (0, 0).
Ogni θ si considera argomento di (0, 0).
Se z 6= (0, 0) e θ ∈ [−π, π), allora θ è unico e si chiama argomento
principale di z.
Per indicare l’argomento principale di z si usa il simbolo “Arg” (con
l’iniziale maiuscola),
Arg z .

• L’operazione di addizione tra numeri complessi si definisce “per compo-


nenti”: se z = (x, y) e w = (a, b) allora si definisce

z + w = (x + a, y + b) .

• L’operazione di moltiplicazione è definita come segue: se z = ρ(cos θ, sin θ),


w = r(cos φ, sin φ) allora

zw = ρr (cos(θ + φ), sin(θ + φ)) .

E’ immediato verificare che il risultato non varia sommando multipli di


2π a θ oppure a φ.
E’ noto, e facile da verificare, che in questo modo si definisce un campo,
che si chiama campo dei numeri complessi . Si sa inoltre che se z = (x, y) e
w = (a, b) allora si ha
zw = (xa − yb, xb + ya) .
1.1. RICHIAMI SUI NUMERI COMPLESSI 5

Figura 1.1: Le operazioni.


4 2.5

3.5
2
y
3
φ+ψ ρ
1.5
y (a+c)+i(b+d)
2.5

c+id
1
2

1.5
0.5
φ
r
1
ψ
0
x
0.5
a+ib
−0.5
0
x

−0.5 −1
−0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2

Invece, non esiste una rappresentazione semplice per la somma in coordinate


polari.
Le operazione sono rappresentate nella figura 1.1.
Il campo dei numeri complessi si indica col simbolo C.
Ricordiamo che se z = (x, y), il numero (x, −y) si indica col simbolo z̄ e si
chiama il coniugato di z. Si vede facilmente che

|z|2 = z̄z .

L’elemento neutro rispetto all’addizione è (0, 0) mentre quello rispetto alla


moltiplicazione è (1, 0). Invece il numero complesso i = (0, 1), che si chiama
unità immaginaria , ha la seguente proprietà:

i2 = ii = (−1, 0) .

Osservazione 1 In molti testi, specialmente di ingegneria, si “definisce” i


mediante l’uguaglianza i2 = −1. Ciò è ambiguo, perché quest’equazione ha le
due soluzioni i e −i.

Notiamo ora che

z = (x, y) = (x, 0)(1, 0) + (y, 0)(0, 1)

e che la trasformazione da R in C che ad x fa corrispondere il numero (x, 0) è


un omomorfismo (i numeri complessi (x, 0) si chiamano anche numeri complessi
reali ). Ciò suggerisce di rappresentare ogni numero complesso z = (x, y) come
6 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

segue: se y = 0 invece di scrivere (x, 0) si scrive semplicemente x e invece di


scrivere (0, 1) si scrive i. In questo modo,
z = (x, y) = (x, 0)(1, 0) + (y, 0)(0, 1) = 1x + iy
e, sottintendendo 1, si trova la rappresentazione
z = x + iy
che si chiama la rappresentazione algebrica dei numeri complessi. Si chiama
invece rappresentazione trigonometrica la rappresentazione

q 
 cos θ = √ x
x2 +y 2
z= x2 + y 2 (cos θ + i sin θ) √ y
 sin θ
 = .
x2 +y 2

Si calcola facilmente che l’opposto di z = x+iy rispetto alla moltiplicazione,


ossia il numero che si indica col simbolo
1 1
= ,
z x + iy
è il numero
x − iy z̄
= .
x2 + y 2 |z|2
Con la notazione trigonometrica, l’opposto di
z = r(cos θ + i sin θ)

1 1 1
= (cos(−θ) + i sin(−θ)) = (cos θ − i sin θ)
z r r
(si noti che l’ultima espressione scritta è una rappresentazione algebrica ma
non una rappresentazione trigonometrica del numero 1/z).
Il numero reale x si chiama la parte reale di z = x + iy mente il numero
reale y si chiama la parte immaginaria di z = x + iy. Essi si indicano con i
simboli
<e z , Im z .
Notiamo infine: un argomento di un prodotto è la somma degli argomenti; un
argomento di un quoziente è la differenza tra l’argomento del numeratore e quello
del denominatore.
Osservazione 2 Va notato esplicitamente che le affermazioni precedenti val-
gono pur di scegliere un opportuno argomento. Non valgono per l’argomento
principale. Infatti, se z = w = i, Arg zw = −π mentre invece Arg z + Arg w =
+π.
1.1. RICHIAMI SUI NUMERI COMPLESSI 7

Interpretazione fisica delle operazioni


E’ utile vedere le relazioni tra le operazioni introdotte tra i numeri complessi e
le leggi della fisica. Per l’addizione ciò è facile: essa corrisponde all’addizione
di vettori, fatta componente per componente. La moltiplicazione si incontra
invece estendendo la legge di Ohm alle correnti alternate.
Va inoltre notato che quando (x, y) ed (x0 , y 0 ) sono due vettori del piano,
ad essi si associano:
• il prodotto scalare xx0 + yy 0 ;

• il prodotto vettoriale, che è un vettore di R3 , uguale a (xy 0 − x0 y)k.


I due numeri (xx0 + yy 0 ) e xy 0 − x0 y si ritrovano calcolando il prodotto z̄w con
z = x + iy, w = x0 + iy 0 :

z̄w = (xx0 + yy 0 ) + i(xy 0 − x0 y).

1.1.1 Radici n–me di numeri complessi


Sia z un numero complesso. Si chiamano radici n–me di z i numeri w tali che
wn = z. Se z = 0 si vede subito che c’è una sola radice n–ma, w = 0. Invece,
ogni z 6= 0 ha n radici n–me. Se

z = r(cos θ + i sin θ)

ciascuno dei numeri


à à ! à !!
√ θ + 2kπ θ + 2kπ
n
r cos + i sin
n n

verifica wn = z, qualunque sia il numero intero (positivo o meno) k. E’ facile


vedere però che soltanto i valori di k

k = 0,1,... ,n − 1

danno valori distinti. Dunque z 6= 0 ha esattamente n radici n–me le quali


sono vertici di un poligono
q regolare di n lati e appartengono alla circonferenza
di centro 0 e raggio |z|.
n

Ciascuna delle funzioni

f (z) = |z|1/n ei(Argz+2kπ/n)

si chiama una determinazione della radice n–ma.


8 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

1.1.2 Esponenziale, logaritmo, formule di Eulero


Si definisce
ez = ex+iy = ex eiy
dove ex è il valore noto dai corsi relativi alle funzioni di variabile reale mentre
eiy è ancora da definire. Si definisce

eiy = cos y + i sin y .

In questo modo,
ez = ex+iy = ex (cos y + i sin y) . (1.1)
Dunque, la rappresentazione trigonometrica

r(cos θ + i sin θ)

si può anche scrivere come


elog r+iθ .
Si vede immediatamente che, se y = 0, allora ez = ex+i0 = ex + i0, numero
complesso reale e, usando le formule di trigonometria, si vede subito che vale

ez+w = ez ew .

Vale inoltre: ¯ ¯
¯ x+iy ¯
¯e ¯ = ex .

In particolare, l’equazione ez = 0 non ha soluzioni.


La funzione esponenziale ha sul piano complesso una proprietà inattesa: la
funzione ez è periodica di periodo 2πi.
Dalla (1.1) seguono immediatamente le formule d’ Eulero

eiy + eiy eiy − e−iy


cos y = , sin y = .
2 2i
Queste suggeriscono di estendere le funzioni trigonometriche al piano comples-
so, definendo
eiz + eiz eiz − e−iz
cos z = , sin z = .
2 2i
Si suggerisce di risolvere le equazioni

cos z = w , sin z = w

rispetto a z notando che ambedue le funzioni cos z e sin z sono suriettive (e


quindi in particolare illimitate).
1.1. RICHIAMI SUI NUMERI COMPLESSI 9

Conviene ora introdurre il logaritmo di numeri complessi. Sia z 6= 0. I


logaritmi (in base e) di z sono quei numeri w tali che ew = z. Si rappresenti
z in forma trigonometrica,
z = r(cos θ + i sin θ)
e w in forma algebrica,
w = x + iy .
Allora, w è un logaritmo di z quando
ex (cos y + i sin y) = r(cos θ + i sin θ) .
Questo avviene se
x = log r , y = θ + 2kπ
con k numero intero qualsiasi. Dunque, ogni numero complesso non nullo ha
infiniti logaritmi (e quindi, la funzione ew prende ogni valore non nullo):
log z = log |z| + i arg z
ove arg z è uno qualsiasi degli argomenti di z e log |z| è il logaritmo del numero
reale |z| definito nei corsi precedenti.
La non unicità del logaritmo dipende dal fatto che esso è definito come
inverso di una funzione periodica.
Si chiama logaritmo principale di z il numero
Log z = log |z| + iArg z
(si noti l’uso dell’iniziale maiuscola).
Dunque, ciascuna delle funzioni
log z = log |z| + i(2kπ + Argz) (1.2)
verifica
z = elog z=log |z|+i(2kπ+Argz) .
Per questa ragione, si dice che ciascuna delle funzioni in (1.2) è una determinazione
del logaritmo.
Definito il logaritmo, è facile definire le potenze z α ad esponente α qual-
siasi, reale o complesso. Se α = 0 si pone z 0 = 1 (salvo il caso z = 0. Al
simbolo 00 non si attribuisce significato). Altrimenti si definisce
z α = eαlog z .
Si vede facilmente che se α è intero positivo, α = n, si ritrova z n ; se α = 1/n
si ritrovano le radici n–me. In generale però la potenza ha infiniti valori.
Si calcolino per esercizio le potenze ii , 1i , (−1)i individuando la cardinalità
dell’insieme dei loro valori.
10 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Osservazione importante
Abbiamo notato che vale la formula

ez+w = ez ew .

La formula corrispondente,

log zw = log z + log w

vale, ma va interpretata come uguaglianza di insiemi.


Se A e B sono insiemi di numeri complessi, definiamo

A + B = {a + b , a ∈ A , b ∈ B} .

Notiamo ora che

log zw = log |zw| + i (arg(zw) + 2kπ)


= log |z| + log |w| + i (arg z + arg w + 2kπ)
= {log |z| + i (arg z + 2nπ)} + {log |w| + i (arg w + 2mπ)} = log z + log w .

La formula corrispondente NON vale se si intende di lavorare con i logaritmi


principali, come mostra l’esempio seguente:

Esempio 3 Il logaritmo principale di i è

Log i = iπ/2

e
2Log i = iπ .
Invece,
Log(−1) = Log(i2 ) = −iπ 6= 2Log i .

1.2 Limiti e continuità


La funzione
z → |z|
è una norma su C (l’immediata verifica si lascia per esercizio) e quindi è
possibile definire una topologia su C, introducendo gli intorni . L’intorno di
z0 di raggio r è l’insieme
{z | |z − z0 | < r} .
1.2. LIMITI E CONTINUITÀ 11

Geometricamente si tratta di un disco (privato della circonferenza) di centro


z0 e raggio r.
Definiti gli intorni, e quindi la topologia, è ovvia la definizione di limite di
una successione (zn ): si dice che lim zn = z0 quando per ogni ² > 0 esiste N²
tale che per ogni n > N² vale

|zn − z0 | < ² .

Sia zn = xn + iyn , z0 = x0 + iy0 . Si provi per esercizio che lim zn = z0 se e


solo se lim xn = x0 e anche lim yn = y0 .
Si lascia per esercizio di adattare la definizione di limite e di continuità
nota dal corso di topologia al caso delle funzioni da R in C, da C in R e da
C in C.
Per esercizio, si mostri che sono continue le seguenti funzioni:

z → z, z → |z| , z → <e z , z → Im z , z → z̄ . (1.3)

Di conseguenza sono continui tutti i polinomi. Si studi invece la continuità


della funzione
z → Arg z ,
mostrando che questa è continua salvo che nei punti dell’asse reale negativo.

Osservazione 4 Di conseguenza, anche le determinazioni del logaritmo sono


continue in tutti i punti, salvo quelli dell’asse reale negativo. Asserto analogo
vale per le determinazioni della radice n–ma.

1.2.1 Derivata e integrale di funzioni da R in C


Sia t → z(t) = x(t) + iy(t) una funzione definita su un intervallo (a, b) e sia
t0 ∈ (a, b). Ovviamente, definiremo
z(t0 + k) − z(t0 )
z 0 (t0 ) = lim = x0 (t0 ) + iy 0 (t0 ) . (1.4)
h→0 h
Vediamo due esempi:
Esempio 5 Sia α = a + ib un numero complesso e sia

z(t) = x(t) + iy(t) = eαt = eat (cos bt + i sin bt) .

Si verifica immediatamente che

x0 (t) = ax(t) − by(t) , y 0 (t) = ay(t) + bx(t)


12 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

e quindi

z 0 (t) = ax(t) − by(t) + i[ay(t) + bx(t)] = (a + ib)(x(t) + iy(t)) = αeαt .

Si ritrova quindi l’usuale formula di derivazione dell’esponenziale.

Esempio 6 La funzione z → Arg z è discontinua nei punti dell’asse reale


negativo. Inoltre, per ogni numero complesso α,
(
Arg α se t > 0
Arg αt =
(Arg α) − π se t < 0 .
E’ quindi derivabile in ogni t 6= 0, con derivata nulla. Ne segue che ciascuna
delle funzioni

log αt = log |αt| + i[Arg(αt) + 2kπ] = log (|α||t|) + i[Arg(αt) + 2kπ]

è derivabile per t 6= 0 e la derivata è


d 1 1
log αt = |α|sgn t = .
dt |αt| t

Se z(t) = x(t) + iy(t), t ∈ [a, b], definiamo


Z b Z b Z b
z(t) dt = x(t) dt + i y(t) dt .
a a a

E’ immediato dalla definizione che:


Z b Z b
<e z(t) dt = <e z(t) dt ,
a a
Z b Z b
Im z(t) dt = Im z(t) dt ,
a a
Z b Z b
z(t) dt = z̄(t) dt .
a a

Sia ora (zn (t)) una successione di funzioni continue su [a, b], convergente
uniformemente a z0 (t). Applicando il teorema di scambio tra limiti ed integrali
di Riemann alla parte reale ed alla parte immaginaria, si vede che
Z b Z b
lim zn (t) dt = z0 (t) dt .
a a

Sia ora z(t, s) una funzione di due variabili reali t ed s, con (t, s) ∈ [a, b] ×
[c, d], a valori complessi. Applicando alla parte reale e alla parte immaginaria
1.3. CURVE NEL PIANO COMPLESSO 13

di z i corrispondenti teoremi relativi alle funzioni a valori reali si trova che se


z(t, s) è continua nelle due variabili,
Z b
s→ z(t, s) dt (1.5)
a

è continua in s. Se z(t, s) è di classe C 1 ((a, b) × (c, d)) allora la funzione è


derivabile e, dalla (1.4),

d Zb Z b

z(t, s) dt = z(t, s) dt .
ds a a ∂s

1.3 Curve nel piano complesso


Chiameremo curva parametrica una funzione t → z(t) continua da un in-
tervallo limitato e chiuso [a, b] in C. Diremo che la curva è chiusa quando
z(a) = z(b) e diremo che è semplice se z(t) = z(t0 ) può solo aversi per t = t0
oppure per t = a e t0 = b (in questo caso la curva è semplice e chiusa ).
Diremo che la curva è regolare quando

z 0 (t) = x0 (t) + iy 0 (t)

esiste per ogni t ∈ (a, b) con |z 0 (t)| 6= 0 per ogni t.


Se la derivata non esiste, oppure è nulla, solamente in un numero finito
di punti e in tali punti esistono finiti i limiti di z 0 (t) da destra e da sinistra,
diremo che la curva è regolare a tratti . Una curva regolare a tratti si dirà un
cammino .
Una curva regolare a tratti ottenuta giustapponendo segmenti si chiamerà
una poligonale . Chiameremo poligono una poligonale chiusa.
L’immagine della funzione z(t) si chiama il sostegno della curva. La curva
è chiusa quando z(a) = z(b), ed è semplice se la condizione a < t0 < t00 < b
implica che z(t0 ) 6= z(t00 ).
Una curva semplice e chiusa si chiama anche curva di Jordan e divide
il piano in due regione, una limitata e una illimitata. La regione limitata si
dice interna alla curva. Quest’asserto, apparentemente semplice, è invece
di dimostrazione molto difficile. Però in pratica, e anche per gli usi teorici,
le curve che è necessario usare sono “molto semplici” (per esempio poligonali,
circonferenze, ellissi o riunione di un numero finito di archi di tali curve). In tal
caso è facile individuare la regione interna ed è anche facile vedere se la curva
è orientata positivamente . Ciò avviene quando, al passare del parametro t
14 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

da a a b, il punto mobile sulla curva vede la regione interna alla sua sinistra
(regola d’ Ampère .).
Se non esplicitamente detto il contrario, assumeremo sempre che le curve con
cui si lavora siano orientate positivamente.
La regione interna ad una curva di Jordan si chiama anche regione di
Jordan .
Notiamo esplicitamente questa proprietà: se γ è una curva di Jordan il cui
sostegno è contenuto nella regione di Jordan Ω, e se Ωγ indica la regione intera
a γ, vale
Ωγ ⊆ Ω .
Questa proprietà generalmente non vale se Ω non è di Jordan.
Un’ulteriore proprietà che è bene conoscere è la seguente: se due curve

z = z(t) , t ∈ [a, b] , ζ = ζ(τ ) τ ∈ [α, β]

sono semplici ed hanno la medesima immagine allora esiste un cambiamento di


parametro
t = t(τ )
tale che
ζ(τ ) = z(t(τ ))
e inoltre la funzione τ → t(τ ) è crescente oppure decrescente da [α, β] su [a, b] (e
quindi è anche continua). Detto in altro modo, a meno di riparametrizzazioni,
il sostegno di una curva semplice è sostegno solamente di una seconda curva,
che si ottiene dalla prima cambiando il verso di percorrenza. Questa proprietà
permette di semplificare il nostro linguaggio come segue: dato per esempio
un quadrato, esiste un’unica curva che lo ha per sostegno e che è orientata
positivamente. Allora chiameremo “curva” il quadrato, intendendo con ciò
di considerare quella curva semplice che è orientata positivamente e che ha il
quadrato assegnato come sostegno. Potremo ricorrere a questa semplificazione
di linguaggio solamente quando il sostegno che consideriamo è sostegno di una
curva semplice e chiusa.
Una curva si indicherà con una lettera greca minuscola, per esempio γ. Se
la curva è semplice e chiusa, la sua regione interna si indica col simbolo Ωγ .
Richiamiamo il teorema seguente:
Teorema 7 (Formula di Stokes nel piano ) Siano u(x, y) e v(x, y) di clas-
se C 1 in una regione di Jordan Ω e sia γ una curva semplice e chiusa in Ω.
Vale: Z Z
u dx + v dy = [vx (x, y) − uy (x, y)] dx dy .
γ Ωγ
1.3. CURVE NEL PIANO COMPLESSO 15

Si sa inoltre che questa formula si estende al caso in cui si abbiano due


curve, γ nella regione Ω e η nella regione Ωγ . In questo caso la formula di
Green assume la forma
Z Z Z
u dx + v dy − u dx + v dy = [vx (x, y) − uy (x, y)] dx dy . (1.6)
γ η Ωγ −Ωη

Da questa forma faremo discendere tutti i risultati relativi alle funzioni


olomorfe che vedremo.
16 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

1.4 Funzioni da R2 in R2 e funzioni da C in C


Dato che i numeri complessi sono coppie di numeri reali, ogni funzione
(x, y) → ( u(x, y), v(x, y) ) (1.7)
si può intendere come funzione a valori complessi
(x, y) → u(x, y) + iv(x, y)
e si può anche voler rappresentare il suo dominio con le notazioni dei numeri
complessi,
(x, y) = x + iy = z .
Essendo
z + z̄ z − z̄
x= , y=
2 2i
la funzione in (1.7) si può anche rappresentare come
µ ¶ µ ¶
z + z̄ z − z̄ z + z̄ z − z̄
f (z) = u , + iv , (1.8)
2 2i 2 2i
Notiamo, infatti, che z̄ è funzione di z.
Notiamo subito una dissimmetria tra l’insieme di partenza e l’insieme d’ar-
rivo: la relazione di coniugio appare nella formula (1.8) soltanto applicata alla
variabile z.
Anche la via opposta si può seguire: se w = f (z) si può scrivere
w = f (z) = f (x + iy) = u(x, y) + iv(x, y)
con u e v le parti reale ed immaginaria di f e x, y le parti reale ed immagina-
ria di z. Ciò suggerisce che la teoria delle funzioni di variabile complessa sia
un modo diverso di formulare la teoria delle funzioni da R2 in sé. In realtà
vedremo che le cose non sono cosı̀ semplici. Però, almeno al livello della rap-
presentazione grafica l’identificazione appena presentata è utile. Una funzione
da C in sé si rappresenta:
• rappresentando su R2 (insieme di arrivo) l’immagine di una griglia trac-
ciata su R2 (insieme di partenza);
• rappresentando in R3 il grafico della funzione
(x, y) → |u(x, y) + iv(x, y)|
e tracciando su tale grafico le linee identificate da
arg f (z) = cost .
1.4. FUNZIONI DA R2 IN R2 E FUNZIONI DA C IN C 17

Di una terza rappresentazione diremo più avanti.


Consideriamo alcuni esempi.

• Esempio 1. Sia

u(x, y) = x , v(x, y) = −y .

Con notazione complessa questa funzione si rappresenta come

z → z̄ .

• Esempio 2. Sia

u(x, y) = x2 + y 2 , v(x, y) = 0 .

Con notazione complessa questa funzione si rappresenta come

z → z̄z .

• Esempio 3. Sia

u(x, y) = x2 + y 2 , v(x, y) = 2xy .

Con notazione complessa questa funzione si rappresenta come


i
z → z̄z − (z 2 − z̄ 2 ) .
2

• Esempio 4. Sia

u(x, y) = x2 − y 2 , v(x, y) = 2xy .

Con notazione complessa questa funzione si rappresenta come

z → z2 .

Notiamo che ciascuna delle funzioni degli esempi precedenti, come funzione
delle due variabili reali x ed y, è di classe C 1 . Cerchiamo però di calcolare il
limite del rapporto incrementale

f (z) − f (z0 )
lim .
z→z0 z − z0
18 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Nel case dell’esempio 4 questo si riduce a


z 2 − z02 (z − z0 )(z + z0 )
lim = lim = 2z0 .
z→z0 z − z0 z→z 0 z − z0
Dunque, il limite esiste in ciascun punto z0 . Invece nel caso dell’esempio 2 il
limite esiste solo per z0 = 0. Infatti, se z0 = 0 si ha
z̄z
lim = z→z
lim z̄ = 0 .
z→0 z 0

Se però z0 6= 0 si trova
½ ¾
z̄z − z̄0 z0 z̄ − z̄0 z − z0
lim
z→z0 z − z
= z→z
lim z + z̄0 .
0 0 z − z0 z − z0
Dato che
z − z0
lim z̄0
z→z0 z − z0
esiste, uguale a z̄0 , rimane da capire se esiste anche il limite del primo addendo.
Scrivendo
z̄ − z̄0 x − x0 + i(y0 − y)
=
z − z0 x − x0 + i(y − y0 )
si vede che il limite non esiste. Infatti, calcolando il limite lungo la retta y = y0
si trova +1 mentre calcolandolo lungo la retta x = x0 si trova −1.
Si ritrovi l’esistenza del limite quando z0 = 0, per questa via.
In modo analogo si vede che il limite non esiste nemmeno nel caso delle
funzioni degli esempi 1 e 3.
Quando il limite del rapporto incrementale esiste, naturalmente lo chiame-
remo derivata. Gli esempi precedenti mostrano che questo concetto di derivata
apparentemente non ha relazioni con le derivate nel campo reale. Una relazione
in realtà esiste, e la vedremo ai paragrafi 1.5 e 1.5.3.
Possiamo ora spiegare quale è l’oggetto della cosı̀ detta Teoria delle fun-
zioni. Per antonomasia si chiama in questo modo la teoria delle funzioni di
variabile complessa, che sono derivabili in ciascun punto di una regione. La
derivata si intende nel senso del limite del rapporto incrementale, il rapporto
essendo calcolato per mezzo del quoziente di numeri complessi.

1.5 La derivata
I numeri complessi costituiscono un campo e quindi è lecito studiare i rapporti
incrementali
f (z0 + h) − f (z0 )
.
h
1.5. LA DERIVATA 19

L’esistenza di una norma su C permette di studiarne il limite per h → 0. Se


questo esiste finito, si chiama la derivata di f (z) in z0 .
In pratica, la derivabilità in un solo punto ha ben poco interesse nella teoria
delle funzioni di variabile complessa. Piuttosto, interessa studiare le funzioni
che sono derivabili in ciascun punto di una regione.
Si noti che gli intorni dei punti in C sono dischi: h tende a zero prendendo
tutti i valori in dischi centrati in 0. In particolare, se la derivata esiste, i limiti
calcolati con h = x + i0 ed x → 0 e con h = 0 + iy ed y → 0 esistono e sono
uguali. Dunque, se esiste f 0 (z0 ) esistono anche ambedue le derivate parziali in
(x0 , y0 ) sia di u(x, y) che di v(x, y). Queste non sono indipendenti, come ora
vediamo.

Teorema 8 Se f 0 (z) esiste per ogni z in Ω, z = x + iy, allora valgono le


uguaglianze
ux (x, y) = vy (x, y) , uy (x, y) = −vx (x, y) (1.9)
e inoltre
f 0 (x + iy) = ux (x, y) + ivx (x, y) = vy (x, y) − iuy (x, y)" #
1 1 ∂f ∂f (1.10)
= {ux (x, y) + vy (x, y) − i[uy (x, y) − vx (x, y)]} = −i .
2 2 ∂x ∂y

Dim. Il calcolo è immediato:


u(x + h, y) + iv(x + h, y) − u(x, y) − iv(x, y)
lim = ux (x, y) + ivx (x, y)
h→0 h∈R h
e questo limite deve essere uguale sia ad f 0 (z) che a

u(x, y + k) + iv(x, y + k) − u(x, y) − iv(x, y)


lim = −iuy (x, y) + vy (x, y) .
k→0 k∈R ik
Dunque valgono le uguaglianze (1.9) e le espressioni (1.10) per la derivata.
Le equazioni (1.9) sono importantissime e vanno sotto il nome di condizioni
di Cauchy–Riemann .
Vicevera:

Teorema 9 Siano u(x, y) e v(x, y) due funzioni di classe C 1 su una regione


Ω. Si definisca
f (z) = f (x + iy) = u(x, y) + iv(x, y) .
Se le funzioni u(x, y) e v(x, y) soddisfano alle condizioni di Cauchy–Riemann
su Ω, allora la funzione f (z) è derivabile ed f 0 (z) è continua.
20 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Sia h = α + iβ. Scriviamo

f (z + h) − f (z) = u(x + α, y + β) − u(x, y) + i[v(x + α, y + β) − v(x, y)] .

Essendo le due funzioni u e v di classe C 1 , si può applicare ad esse il teorema


della media

u(x + α, y + β) − u(x, y) = ux (x1 , y1 )α + uy (x1 , y1 )β


v(x + α, y + β) − v(x, y) = vx (x2 , y2 )α + vy (x2 , y2 )β

con (x1 , y1 ) e (x2 , y2 ) punti opportuni nel rettangolo di vertici (x, y), (x+α, y),
(x, y + β), (x + α, y + β).
Quando α e β tendono a zero sia (x1 , y1 ) che (x2 , y2 ) tendono ad (x, y).
Usando le condizioni di Cauchy–Riemann scriviamo

f (z + h) − f (z) = [ux (x1 , y1 ) + ivx (x2 , y2 )]α + [uy (x1 , y1 ) + ivy (x2 , y2 )]β
= [ux (x1 , y1 ) + ivx (x2 , y2 )]α + [−vx (x1 , y1 ) + iux (x2 , y2 )]β
= [ux (x1 , y1 ) + ivx (x2 , y2 )]α + i[ux (x2 , y2 ) + ivx (x2 , y2 )]β
= [ux (x1 , y1 ) + ivx (x2 , y2 )](α + iβ)
+i {[ux (x2 , y2 ) − ux (x1 , y1 )] + i[vx (x1 , y1 ) − vx (x2 , y2 )]} β .

Essendo β = Im h, vale |β/h| < 1 e inoltre la parentesi graffa tende a zero per
h → 0 perché, per ipotesi, le funzioni u e v sono di classe C 1 . La parentesi
quadra tende a [ux (x, y) + ivx (x, y)] cosı̀ che

f (z + h) − f (z)
f 0 (z) = lim = [ux (x, y) + ivx (x, y)] .
h→0 h
Ciò prova l’esistenza della derivata in ciascun punto. Inoltre, da questa for-
mula si vede che f 0 (z) è continua perché sia ux (x, y) che vx (x, y) sono funzioni
continue.
Le funzioni f (z) che sono derivabili con continuità su una regione Ω si
chiamano funzioni olomorfe .
E’ bene dire che il requisito della continuità nella definizione precedente
potrebbe rimuoversi, grazie al seguente risultato, che non proviamo:

Teorema 10 se la funzione continua f (z) è derivabile in ciascun punto della


regione Ω allora la sua derivata f 0 (z) è continua.
1.5. LA DERIVATA 21

Introduciamo infine due notazioni. L’uguaglianza (1.10) suggerisce di in-


trodurre la notazione ∂/∂z, definita da
" # " #
∂ 1 ∂ ∂ 1 ∂f ∂f
f (z) = −i f (x + iy) = −i = f 0 (z)
∂z 2 ∂x ∂y 2 ∂x ∂y

mentre le condizioni di Cauchy–Riemann (1.9) suggeriscono l’introduzione


della notazione ∂/∂ z̄, definita da
" # " #
∂ 1 ∂ ∂ 1 ∂ ∂ 1
f (z) = +i f (x + iy) = f + i f = [ux + ivx + iuy − vy ] .
∂ z̄ 2 ∂x ∂y 2 ∂x ∂y 2
E quindi le condizioni di Cauchy–Riemann si scrivono

f (z) = 0 .
∂ z̄
Notiamo due conseguenze immediate delle condizioni di Cauchy–Riemann:
Teorema 11 Sia f (z) una funzione olomorfa su una regione Ω. Supponiamo
inoltre che essa prenda valori reali. Allora, essa è costante.
Dim. Se la funzione prende valori reali allora v(x, y) è identicamente zero e
quindi ux (x, y) ed uy (x, y) sono identicamente nulle su Ω per le condizioni di
Cauchy–Riemann e quindi anche u(x, y) è costante.

Lemma 12 Sia f (z) olomorfa su un disco D su cui |f (z)| è costante. Allora


f (z) stessa è costante su D.

Dim. Per ipotesi, su D vale

|f (x + iy)|2 = |u(x, y) + iv(x, y)|2 = u2 (x, y) + v 2 (x, y) = c .

Proviamo che f (z) stessa è costante. Questo è ovvio se c = 0. Sia quindi


c > 0. Derivando e usando le condizioni di Cauchy–Riemann si trova

0 = 2[uux + vvx ] = 2[uux − vuy ] , 0 = 2[uuy + vvy ] = 2[uuy + vux ] .

Moltiplicando la prima per u e la seconda per v e sommando si trova

0 = (u2 + v 2 )ux = cux

e quindi ux = 0, perché c > 0. In modo analogo si vede che uy = 0 e quindi u è


costante. Dalle condizioni di Cauchy–Riemann segue che anche v è costante.
22 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

1.5.1 Esempi di funzioni olomorfe e formule di deriva-


zione
Dal Teorema 11, le funzioni

z → <e z , z → Im z , z → |z| , z → Argz

non sono olomorfe. Abbiamo già notato che l’ultima non è nemmeno conti-
nua sull’asse reale negativo; e, é del tutto ovvio che una funzione olomorfa è
continua. La dimostrazione è la stessa come per le funzioni di variabile reale.
Dunque in particolare log z non è olomorfa in una regione che interseca l’asse
reale negativo. Inoltre, le usuali regole di derivazione della somma, del prodotto,
del quoziente e della funzione composta valgono anche per funzioni di variabile
complessa, con le medesime dimostrazioni come nel caso delle funzioni di una
variabile reale. Di conseguenza, dato che f (z) = z è ovviamente derivabile,
con derivata uguale ad 1, i polinomi sono funzioni olomorfe e, al di fuori dei
poli, sono anche funzioni olomorfe le funzioni razionali.
Mostriamo:

Teorema 13 La funzione z → ez è olomorfa su C e coincide con la sua


funzione derivata.

Dim. Infatti,
ez = ex+iy = [ex cos y] + i[ex sin y] .
Dunque, per questa funzione,

u(x, y) = [ex cos y] , v(x, y) = [ex sin y] .

E’ immediato verificare che queste funzioni sono di classe C 1 su C, e verificano


le condizioni di Cauchy–Riemann.
Dalla (1.10) si trova immediatamente che la derivata di ez è

ux (x, y) + ivx (x, y) = ex cos y + iex sin y = ez .

Di conseguenza, grazie alle formule di Eulero, le funzioni trigonometriche so-


no olomorfe e si vede facilmente che per esse valgono le usuali regole di derivazione,
come nel caso reale.
Si è notato che la funzione Log z non è continua e quindi nemmeno olomorfa
su C, e ciò mostra che è necessaria una certa cautela nel derivare funzioni
inverse. Se però si sa “a priori” che g(z) è la funzione inversa della funzione
1.5. LA DERIVATA 23

olomorfa f (z) e che g(z) stessa è olomorfa, allora si può applicare la regola
della derivazione della funzione composta all’uguaglianza

f (g(z)) = 1

e trovare per g 0 (z) l’usuale formula,

g 0 (z) = 1/f 0 (g(z)) . (1.11)

Torneremo su questo problema al paragrafo 1.5.3.


Studiamo ora le determinazioni di log z, usando direttamente le condizioni di Cauchy–
Riemann. Più avanti ritroveremo questi stessi risultati in modo meno diretto, ma più veloce
e più generale.
Il fatto che le funzioni logaritmo e radice non siano continue su C, non vieta che esse
siano olomorfe su regioni più piccole. Per capire se ciò accade, conviene scrivere le condizioni
di Cauchy–Riemann in coordinate polari. Notiamo prima di tutto che se

x = ρ cos θ , y = ρ sin θ ,

derivando la seconda rispetto ad x si trova

0 = ρx sin θ + ρ(cos θ)θx

e quindi
ρx sin θ ρx y x y y
θx = − =− =− 2 =− 2. (1.12)
ρ cos θ ρ x ρ x ρ
p
2
Infatti si calcola immediatamente, da ρ = x + y ,2

x y
ρx = , ρy = .
ρ ρ
In modo analogo si vede che
x
θy = . (1.13)
ρ2
Osservazione 14 Per la validità di queste formule si richiede ρ 6= 0. Noi le abbiamo provate
supponendo anche cos θ 6= 0, sin θ 6= 0 ma questa condizione immediatamente si rimuove.
Infatti, studiando lo jacobiano della trasformazione (ρ, θ) → (x, y) si vede che questo non
si annulla per ρ 6= 0 e quindi ρ(x, y) e θ(x, y) sono di classe C 1 sul piano (x, y) privato
dell’origine; e quindi ivi si estendono per continuità le formule che abbiamo trovato.

Sia ora
f (z) = f (x + iy) = u(x, y) + iv(x, y) .
Sia U (ρ, θ) la funzione che nel punto (ρ, θ) prende come valore u(ρ cos θ, ρ sin θ). In modo
analogo definiamo V (ρ, θ). E’ immediato notare che U e V sono di classe C 1 , nelle variabili
ρ e θ, se e solo se rispettivamente u e v sono di classe C 1 nelle variabili x ed y. Inoltre,

Uρ = ux cos θ + uy sin θ .
24 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Se valgono le condizioni di Cauchy–Riemann,

Uρ = vy cos θ − vx sin θ .

Analogamente,
Vθ = −vx ρ sin θ + vy ρ cos θ .
Si intende che le funzioni u e v sono calcolate nel punto x = ρ cos θ, y = ρ sin θ.
Dunque, se le condizioni di Cauchy–Riemann valgono, si ha anche

ρUρ = Vθ e analogamente ρVρ = −Uθ . (1.14)

Viceversa, le (1.14) implicano le condizioni di Cauchy–Riemann. Infatti,


x y
ux = Uρ − Uθ 2
ρ ρ
y x 1 y x
vy = Vρ + Vθ 2 = − Uθ + ρUρ 2
ρ ρ ρ ρ ρ

da cui
u x = vy e analogamente uy = −vx .
Introduciamo ora
F (ρ, θ) = U (ρ, θ) + iV (ρ, θ) .
Con questa notazione, le (1.14) valgono se e solo se

iρFρ = Fθ . (1.15)

Usiamo (1.15) per studiare la funzione



f (z) = ρ[cos θ/2 + i sin θ/2]

nella regione
ρ > 0, −π ≤ θ < π . (1.16)
E’ ovvio che la funzione, come funzione delle due variabili reali ρ e θ, equivalentemente
x ed y, è di classe C 1 . Si vede che è olomorfa notando che su questa regione vale la
condizione (1.15).
Analogo discorso vale per ogni determinazione di z 1/n .
In modo analogo si tratta la funzione

f (z) = log |z| + iArg z + 2kπi ,

con k fissato, ancora sulla regione (1.16). Applicando il teorema della funzione implicita alle
relazioni
x = ρ cos θ , y = ρ sin θ
valide per ρ > 0 e −π ≤ θ < π, si vede che la funzione (ρ, θ), come funzione di x e di y, è di
classe C 1 e quindi lo stesso vale per ciascuna funzione log |z| + iArg z + 2kπi, in −π < θ < π.
Un calcolo immediato mostra che la condizione (1.15) è soddisfatta e quindi mostra che
ciascuna delle funzioni log z è olomorfa.
1.5. LA DERIVATA 25

Usando la (1.11) si vede ora che ciascuna delle determinazioni della funzione log z, letta
su su π < Argz < π, ha per derivata 1/z, per ogni z nella regione (1.16). Infatti,

eLog z+2kπi = z

e quindi

d d
1 = eLog z+2kπi (Log z + 2kπi) = (Log z + 2kπi) z ,
dz dz
d 1
(Log z + 2kπi) = .
dz z
Osserviamo ora un fatto imbarazzante: θ = −π non ha una relazione intrinseca con
le funzioni logaritmo (e nemmeno con le radici), ma solo dipende dalla nostra scelta per
l’argomento principale. Avessimo scelto per esempio 0 ≤ θ < 2π avremmo trovato funzioni
olomorfe nel piano privato dell’asse reale positivo; avessimo scelto π/2 ≤ θ < 5π/2 avremmo
trovato funzioni olomorfe ovunque, salvo che sull’asse immaginario positivo.
Più avanti diremo qualcosa di più su questo problema. Per ora limitiamoci a notare
ciò.

1.5.2 Osservazione sui “teoremi fondamentali del calco-


lo differenziale”
Nella teoria delle funzioni di una variabile reale, si chiamano “teoremi fonda-
mentali del calcolo differenziale” varie formulazioni del teorema di Rolle: sia
f (x) continua per x ∈ [a, b], a valori in R e tale che f (a) = f (b) = 0. Sia
inoltre f (x) derivabile in ciascun punto di (a, b). Esiste un punto c ∈ (a, b) nel
quale la derivata si annulla.
In particolare una funzione da R in sé, derivabile e periodica, ha derivata
nulla in infiniti punti.
E’ importante notare che asserti analoghi non valgono per le funzioni olo-
morfe.

Esempio 15 La funzione f (z) = ez è olomorfa e periodica. Si è visto che la


sua derivata è
f 0 (z) = ez
mai nulla.

E’ importante discutere la ragione di ciò. Ricordiamo che la dimostrazione


del teorema di Rolle si basa sul teorema di Fermat, che a sua volta dipende
dalla regola dei segni: il prodotto di numeri di segno concorde è positivo. Noi
non abbiamo introdotto una relazione d’ordine tra i numeri complessi. E’
però possibile introdurne infinite. Per esempio si può introdurre l’ordinamento
26 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

lessicografico : x + iy viene prima di x0 + iy 0 se x < x0 oppure se x = x0 ma


y < y 0 . In questo modo i numeri “positivi”, ossia maggiori di 0, sono quelli
di parte reale strettamente positiva oppure quelli con la parte reale nulla e
parte immaginaria positiva. Queste proprietà non sono conservate facendo il
prodotto. Per esempio, i · i = −1. In generale, la regola dei segni non vale tra i
numeri complessi, qualsiasi sia la relazione d’ordine che si voglia usare.
E’ appena il caso di notare che i problemi che si incontrano con la continuità
e la derivabilità della funzione inversa hanno un’origine analoga. Si ricordi
infatti che il teorema della funzione monotona interviene (in modo alquanto
nascosto) nella dimostrazione della derivabilità della funzione inversa di una
funzione da R in sé.

1.5.3 La matrice jacobiana e le funzioni olomorfe


Siano u(x, y) e v(x, y) rispettivamente la parte reale ed immaginaria di una
funzione olomorfa f (z). La funzione (x, y) → (u(x, y), v(x, y)) è una trasfor-
mazione da R2 in sé, la cui matrice jacobiana è
" # " #
ux (x, y) uy (x, y) ux (x, y) uy (x, y)
J= =
vx (x, y) vy (x, y) −uy (x, y) ux (x, y)

e quindi lo jacobiano è
u2x (x, y) + u2y (x, y) .
Dunque:

Teorema 16 Sia f (x + iy) = u(x, y) + iv(x, y) una funzione olomorfa. Lo


jacobiano è non nullo in un punto (x, y) se e solo se f 0 (x + iy) =
6 0. In tale
punto lo jacobiano è positivo.

Si ricordi che lo jacobiano è positivo quando la trasformazione a cui esso


corrisponde conserva l’orientazione di R2 ; equivalentemente, quando l’area
orientata di un triangolo ha il medesimo segno prima e dopo la trasformazione.
Possiamo ora esaminare nuovamente il problema della derivazione della
funzione inversa di una funzione olomorfa.

Teorema 17 Sia f (z) olomorfa su una regione Ω, e con derivata non nulla.
La funzione è localmente invertibile e la sua inversa è olomorfa.

Dim. Sia
f (x + iy) = u(x, y) + iv(x, y) .
1.5. LA DERIVATA 27

Si è appena visto che lo jacobiano della trasformazione di classe C 1 su R2

(x, y) → (u(x, y), v(x, y))

non si annulla e quindi la trasformazione è localmente invertibile. Inoltre, la


trasformazione inversa, che indichiamo col simbolo

(u, v) → (x(u, v), y(u, v)) ,

è di classe C 1 .
Si è visto che la matrice jacobiana della trasformazione è
" #
ux (x, y) uy (x, y)
J=
−uy (x, y) ux (x, y)

e si vede immediatamente che


" #
0 u2x + u2y 0
JJ=
0 2
ux + u2y

cosı̀ che " #


−1 1 1 ux (x, y) −uy (x, y)
J = 2 J0 = 2 .
2
ux + uy ux + u2y uy (x, y) ux (x, y)
D’altra parte, J −1 calcolato nel punto (u, v) che proviene da (x, y) è
" #
xu (u, v) xv (u, v)
yu (u, v) yv (u, v)

cosı̀ che
xu = yv , yu = −xv ,
ossia la trasformazione (u, v) → (x(u, v), y(u, v)) è di classe C 1 e verifica le
condizioni di Cauchy–Riemann. Per il teorema 9, la funzione

g(u + iv) = x(u, v) + iy(u, v) ,

inversa della funzione f (x + iy), è olomorfa.

Esempio 18 La funzione f (z) = ez è olomorfa e si è visto che la sua derivata


è ancora ez e quindi non si annulla. Fissiamo un punto z0 ed il valore ez0 . Il
teorema 17 afferma che esistono un intorno U di z0 ed un introno V di ez0 ed
un’unica funzione g(z) definita su V a valori in U , tale che eg(z) = z. Dunque,
g(z) è una delle determinazioni della funzione log z. Per esempio, se z0 = 0
28 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

e quindi ez0 = 1 allora g(z) = Log z; se z0 = 2πi e quindi ancora ez0 = 1,


g(z) = Log z + 2πi. Inoltre, sempre dal Teorema 17, la funzione inversa g(z) è
olomorfa e, dalla formula (1.11), per ogni determinazione del logaritmo, ossia
per ogni k,
d 1
(Log z + 2kπi) = .
dz z
Si ritrova quindi quanto già visto al paragrafo 1.5.1: tutte le determinazioni
della funzione log z sono derivabili, con derivata 1/z.

Osservazione 19 Con riferimento all’esempio 18, sia z0 = i. In questo caso,


ez0 = −1 e si è visto che esiste una funzione olomorfa g(z) tale che eg(z) = z,
definita in un intorno di −1. Questa funzione quindi differisce da ciascuna delle
funzioni Log z + 2kπi, che sono discontinue sull’asse reale negativo. Questa
“stranezza” verrà chiarita al paragrafo 1.9.3 e all’esempio 58.

1.5.4 Serie di potenze e serie di Laurent


Abbiamo visto fino ad ora degli esempi particolari di funzioni olomorfe. Una
classe di funzioni olomorfe è offerta dalle serie di potenze
+∞
X
f (z) = an (z − z0 )n . (1.17)
n=0

Una funzione siffatta è sempre definita in z0 e, può essere, in nessun altro


punto. In tal caso ovviamente essa non è una funzione olomorfa. Vale però:
Teorema 20 (di Abel ) Se la serie (1.17) converge in un punto z1 6= z0
allora essa converge in ogni punto z tale che

|z − z0 | < |z1 − z0 |

Dim. Per semplicità di notazioni, sia z0 = 0. Per provare la convergenza di


una serie di numeri complessi, è sufficiente provare la convergenza della serie
dei moduli. Sia allora |z| < |z1 | e studiamo la serie (di numeri positivi)
+∞
X +∞
X
|an z n | = |an | |z|n .
n=0 n=0

Dato che |z| < |z1 | (disuguaglianza stretta) esiste r tale che
|z| r
|z| < r < |z1 | ossia < = q ∈ (0, 1).
|z1 | |z1 |
1.5. LA DERIVATA 29

Dunque,
+∞
X +∞
X ¯ ¯n +∞
X
n n
¯z¯
|an ||z| ≤ (|an | |z1 | ) ¯¯ ¯¯ ≤ (|an | |z1 |n ) q n .
n=0 n=0 z1 n=0
P+∞
La serie n=0 |an | |z1 |n per ipotesi converge e quindi il suo termine generale
tende a zero. In particolare, esiste M tale che

|an | |z1 |n < M

e quindi
+∞
X +∞
X
n
|an | |z| ≤ M q n < +∞ .
n=0 n=0

Di conseguenza,
+∞
X
{z | an (z − z0 )n converge }
n=0

è un disco centrato in z0 (che potrebbe essere ridotto al solo punto z0 , o essere


tutto il piano complesso). Il suo interno si dice disco di convergenza della
serie, e il suo raggio R, 0 ≤ R ≤ +∞ si dice raggio di convergenza .
Esaminando la dimostrazione del Teorema 20 si vede che in realtà abbiamo
provato un risultato molto più forte:

Teorema 21 (di Abel) Il raggio di convergenza R di una serie di potenze


sia strettamente positivo. In questo caso la serie converge assolutamente in
ogni punto interno al disco di convergenza, e converge uniformemente in ogni
compatto contenuto nel disco di convergenza. In particolare, la somma della
serie è una funzione continua nel disco di convergenza.
Se z è tale che |z − z0 | > R la serie non converge in z.

Vedremo (al paragrafo 1.15) che questo teorema implica:

Teorema 22 Il raggio di convergenza di una serie di potenze sia strettamen-


te positivo. La serie di potenze definisce una funzione olomorfa nel disco di
convergenza.

Il raggio di convergenza di una serie di potenze si calcola facendo uso delle


stesse formule che sono note per le serie di potenze reali: se i coefficienti an
non sono mai nulli e se esiste
|an |
lim
|an+1 |
allora questo limite, finito o meno, è uguale al raggio di convergenza.
30 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

In generale, il raggio di convergenza si può calcolare con la seguente formula


di Hadamard :
1 q
= lim sup n |an | ,
R
la cui dimostrazione è posposta.
Si noti che nella formula di Hadamard si usano le “regole” 1/0 = +∞,
1/(+∞) = 0.
La formula di Hadamard ha una conseguenza importante. Dato che

lim n n = 1 ,

le due serie
+∞
X +∞
X
an (z − z0 )n , nan (z − z0 )n−1
n=0 n=0

hanno il medesimo raggio di convergenza. Dunque, quando R > 0, si pone il


problema di sapere se la seconda serie rappresenti la derivata della prima. La
risposta è affermativa, perché vale il teorema seguente, che verrà provato al
paragrafo 1.15.
P
Teorema 23 Sia f (z) = +∞ n
n=0 an (z − z0 ) e sia positivo il raggio di conver-
genza della serie. Allora, in ogni punto del disco di convergenza, vale
+∞
X
0
f (z) = nan (z − z0 )n−1 .
n=0

La ragione per cui non proviamo ora i due teoremi 22 e 23 è che, più avanti,
proveremo un risultato molto più generale, di cui essi possono considerarsi dei
corollari.
Più in generale si chiamano serie di Laurent le serie di potenze con
esponenti interi sia positivi che negativi, ossia le serie della forma
+∞
X
an (z − z0 )n ,
n=−∞

ovviamente mai definite per z = z0 . Per definizione, la somma della serie di


Laurent è la somma delle due serie di potenze una in z e l’altra in 1/z,
+∞
X −1
X +∞
X
n n
an (z − z0 ) = an (z − z0 ) + an (z − z0 )n
n=−∞ n=−∞ n=0

e quindi le proprietà delle serie di Laurent discendono immediatamente da


quelle delle serie di potenze. La serie di potenze positive di 1/(z − z0 ) converge
1.5. LA DERIVATA 31

per |1/(z − z0 )| < r̃ ossia per |z − z0 | > 1/r̃ = r, la serie di potenze positive
di (z − z0 ) converge per |z − z0 | < R; e quindi la serie di Laurent converge se
r ≤ R. Se r < R chiameremo corona di convergenza la corona circolare

r < |z − z0 | < R .

In tale corona la serie converge assolutamente, e converge uniformemente nei


compatti in essa contenuti.
Inoltre:

Teorema 24 La somma di una serie di Laurent è olomorfa nella corona di


convergenza e

d +∞X +∞
X
an (z − z0 )n = nan (z − z0 )n−1 .
dz n=−∞ n=−∞

Dimostrazione della formula di Hadamard.


Per semplicità di notazioni sia z0 = 0 e sia
q
α = lim sup n
|an | .

Studiamo prima di tutto il caso α = +∞. Mostriamo che in questo caso


il raggio di convergenza è nullo. Sia z 6= 0 e scegliamo β ∈ (0, |z|). Scegliamo
un qualsiasi k tale che kβ > 1 e notiamo che, per infiniti n, vale
q
n
|an | > k e quindi |an z n | > (kβ)n .

La serie di potenze quindi non converge.


Consideriamo ora il caso in cui
q
lim sup n
|an | = α ∈ (0, +∞) .

Sia z un numero per cui


1
. |z| >
α
Vogliamo provare che la serie di potenze non converge in z. Ciò implicherà
che il raggio di convergenza non supera 1/α.
Sia r un numero tale che
1
< r < |z| .
α
32 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Da (1/r) < α segue che per infiniti indici vale


1 q
< n |an |
r
e quindi
|z|n
< |an z n | .
rn
Essendo |z| > r si ha
lim sup |an z n | = +∞
e la serie non converge.
Dunque, R ≤ 1/α.
Se α = 0 è ancora vero che R < 1/α, pur di intendere 1/α = +∞.
Ricapitolando, a questo punto sappiamo che
( 1
1 ∞
=0
R≤ , intendendo 1
α 0
= ∞.
Proviamo la disuguaglianza opposta.
Consideriamo ancora prima di tutto il caso α > 0 e sia |z| < 1/α. Proviamo
che in tal caso la serie converge. Se α = +∞ allora z = 0 e niente va provato.
Sia quindi 0 < α < +∞.
Essendo |z| < 1/α, avremo
c cn
|z| = , |an z n | = |an | con 0 ≤ c < 1 .
α αn
Sia ² > 0. Esiste N² tale che per n > N² si ha
q
n
|an | < α + ² (1.18)

e quindi µ ¶
|an | ² n n
|an z | = n cn < 1 +
n
c .
α α
A questa disuguaglianza si arriva per ogni ² > 0. Essendo c ∈ (0, 1), si può
scegliere ² tale che µ ¶
²
1+ c < 1.
α
In questo modo si vede che i termini della serie di potenze sono dominati da
quelli di una serie numerica convergente, e quindi la serie
+∞
X
an z n
n=0
1.5. LA DERIVATA 33

converge.
Consideriamo infine il caso α = 0 e z qualsiasi. In questo caso la (1.18)
vale con α = 0. Si sia scelto ² tale che ²|z| = c < 1. Si ha

|an z n | < cn

e ancora la convergenza della serie di potenze segue per confronto con la serie
geometrica.
In ambedue i casi R ≥ 1/α e quindi l’uguaglianza.
34 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

1.6 Funzioni olomorfe e trasformazioni confor-


mi
Sia (x, y) → (u(x, y), v(x, y)) una trasformazione di classe C 1 . Conviene spes-
so rappresentarla mediante la notazione complessa, associando alla coppia
(x, y) il numero complesso z = x + iy e introducendo w = u + iv, cosı̀ che
la trasformazione si rappresenta anche come

w = f (z) .

Conviene vedere questa funzione come trasformazione dal piano della variabile
z al piano della variabile w.
Supponiamo che il dominio di f (z) sia una regione Ω.
Siano γ e γ̃ due curve in Ω, parametrizzate da

z = z(t) , z = z̃(t) ,

con t ∈ [a, b] in ambedue i casi (si sa che questa condizione non è restrittiva).
Supponiamo che le due curve si intersechino in un punto in cui le due
parametrizzazioni sono derivabili, ossia che per un valore t0 ∈ (a, b) valga

z(t0 ) = z̃(t0 ) = z0 = x0 + iy0 .

Le due rette

z = z0 + z 0 (t0 )(t − t0 ) , z = z̃0 + z̃ 0 (t0 )(t − t0 )

sono, per definizione, le rette tangenti alle due curve nel punto di intersezione.
Per “angolo tra le due curve ” si intende quello formato dalle loro tangen-
ti nel punto comune. Facendo uso della notazione dei numeri complessi, è
facile esprimere tale angolo: questo è l’angolo tra i vettori rappresentati da
z 0 (t0 ) e z̃ 0 (t0 ). Questo è, per definizione, l’argomento del quoziente dei numeri
complessi corrispondenti,
z 0 (t0 )
Arg 0 .
z̃ (t0 )
Indichiamo ora con γf la curva immagine di γ mediante la trasformazione
f , ossia la curva
γf : w = f (z(t)) t ∈ [a, b] .
Analoga notazione usiamo per la trasformata mediante f di γ̃.
1.6. FUNZIONI OLOMORFE E TRASFORMAZIONI CONFORMI 35

Supponendo che la funzione f (z) sia olomorfa e che f 0 (z0 ) sia diversa da
zero, è possibile calcolare l’angolo tra γf e γ̃f ,

f 0 (z0 )z 0 (t0 ) z 0 (t0 )


Arg = Arg .
f 0 (z0 )z̃ 0 (t0 ) z̃ 0 (t0 )

Abbiamo cosı̀ provato che

Teorema 25 Una funzione olomorfa conserva l’angolo tra le curve nei punti
nei quali la sua derivata non si annulla.

Una trasformazione da una regione di R2 che conserva gli angoli si dice


conforme e quindi

Teorema 26 Se f (z) è olomorfa su Ω, e se la sua derivata non si annulla,


essa definisce una trasformazione conforme su Ω.

Abbiamo già notato che se u(x, y), v(x, y) sono parti reali ed immaginarie
di una funzione olomorfa f (x + iy) allora lo jacobiano della trasformazione è
u2x (x, y) + u2y (x, y), strettamente positivo se f 0 (z) non si annulla.
Dunque, una funzione olomorfa la cui derivata non si annulla su Ω definisce
una trasformazione conforme che inoltre conserva l’orientazione. Un esempio di
trasformazione conforme che non conserva l’orientazione è la trasformazione
z → z̄.
Le trasformazioni conformi che conservano l’orientazione si chiamano anche
trasformazioni conformi dirette.

1.6.1 La rappresentazione delle funzioni olomorfe


Accenniamo ora a come rappresentare graficamente le funzioni olomorfe. Il
grafico naturalmente non serve, perché il grafico è un insieme di R4 . E’ però
possibile rappresentare il grafico di z → |f (z)|, che è in R3 e spesso su tale
grafico si disegnano le linee

Arg f (z) = cost

oppure l’immagine di una famiglia di linee del piano della variabile z. Le figure
che seguono mostrano alcuni esempi.
Un altro metodo consiste nel tracciare una famiglia di linee sul piano z e
le loro immagini sul piano w, o viceversa una famiglia di linee sul piano w
e le loro controimmagini sul piano z. Il caso della funzione f (z) = z 2 /10 è
mostrato nella figura 1.4.
36 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Figura 1.2: a sinistra |z 2 |, a destra | cos z|. Le linee sono le immagini di una
griglia x = cost, y = cost.

8 1.6
7 1.4

6 1.2

5 1

4 0.8

3 0.6

2 0.4

1 0.2

0 0
2 1

1 2 0.5 6
1 4
0 0 2
0 0
−1 −0.5 −2
−1
−4
−2 −2 −1 −6

La fig.1.4 mostra una griglia di rette e semirette mutuamente ortogonali


nel piano Im z > 0. Queste si trasformano in due famiglie di parabole, mutua-
mente ortogonali, dato che f 0 (z) = 2z 6= 0. Queste parabole riempiono tutto
il piano w.
La circonferenza
eiθ , 0 ≤ θ ≤ 2π
sotto l’azione di f (z) = z 2 è ancora una circonferenza,

eiθ , 0 ≤ θ ≤ 4π ,

che però è percorsa due volte, anche se ovviamente ciò non può vedersi dalla
figura. Se però si rappresenta l’immagine di una circonferenza centrata nel
punto (0, 1/5), come in figura 1.5 si vede immediatamente che l’immagine è
una curva non semplice, che gira due volte intorno all’origine.
Pensiamo ora di disegnare l’immagine di una famiglia di circonferenze di
centro (0, 0) mediante le funzioni f (z) = z e g(z) = 1/z. Si trova ancora una
famiglia di circonferenze col medesimo centro, e da questo punto di vista le due
funzioni sembrano indistinguibili. Però, f (z) = z trasforma la regione interna
di una circonferenza nella regione interna della circonferenza corrispondente
mentre g(z) la trasforma nella regione esterna.
Analoga osservazione può farsi, per esempio, per le funzioni ez ed e−z e
ciò suggerisce di considerare la regione esterna ad un disco come “intorno
di ∞”. Tecnicamente, di sostituire il piano complesso con la corrispondente
compattificazione di Alexandrov. Un modo comodo di fare ciò consiste nel
considerare una sfera il cui polo SUD tocca R2 (insieme di partenza della
1.7. INTEGRALE DI CURVA DI FUNZIONI OLOMORFE 37

Figura 1.3: a sinistra |Logz|, a destra | sin z|. Le linee sono le immagini di una
griglia r = cost, θ = cost.

5
1.8
4
1.6
3
1.4
2
1.2
1

1
0
1
0.8

0.5 1
0.6
−1 0.5
0
−0.5 0
0.4
0 1
−0.5 0.5 −0.5
0.5 0
−0.5 −1
−1 1 −1

funzione) in (0, 0). Il polo NORD viene ad avere il ruolo di ∞. Il piano R2 si


rappresenta sulla sfera, mediante la proiezione stereografica, dal polo NORD.
La corrispondenza ottenuta è bicontinua tra il piano e la sfera privata del polo
NORD e la sfera stessa, usata in questo modo, si chiama sfera di Riemann ,
si veda la figura 1.6.
La funzioni da C in sé possono quindi rappresentarsi anche come funzioni
da C nella sfera o dalla sfera in sé,

1.7 Integrale di curva di funzioni olomorfe


Ricordiamo che col termine curva intenderemo sempre un arco regolare a
tratti a valori in R2 , ossia una funzione continua t → z(t) = x(t) + iy(t)
definita per t ∈ [a, b], ovunque derivabile salvo un numero finito di punti. In
tali punti, e negli estremi a e b, richiederemo l’esistenza dei limiti direzionali
della derivata. Richiederemo inoltre che

|z 0 (t)| =
6 0,

salvo al più in un numero finito di punti.


Introduciamo la notazione Z
f dz. (1.19)
γ

Se f (x + iy) = u(x, y) + iv(x, y), e se γ è parametrizzata da

z(t) = x(t) + iy(t) ,


38 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Figura 1.4: Immagine di rette, sotto l’azione di f (z) = z 2 /10.


10 16

9
14

8
12
7

10
6

5 8

4
6

3
4
2

2
1

0 0
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 −10 −8 −6 −4 −2 0 2 4 6 8 10

Figura 1.5:
2 2

1.5 1.5

1 1

0.5 0.5

0 0

−0.5 −0.5

−1 −1

−1.5 −1.5

−2 −2
−2.5 −2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5 −2.5 −2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5

definiamo
Z Z b Z b
0
f dz = f (z(t))z (t) dt = [u(x(t), y(t)) + iv(x(t), y(t))][x0 (t) + iv 0 (t)] dt .
γ a a

Sviluppando i calcoli si trova


Z Z b
f dz = [u(x(t), y(t))x0 (t) − v(x(t), y(t))y 0 (t)] dt +
γ a
Z b
i [u(x(t), y(t))y 0 (t) + v(x(t), y(t))x0 (t)] dt
aZ Z
= u dx − v dy + i v dx + u dy .
γ γ
1.7. INTEGRALE DI CURVA DI FUNZIONI OLOMORFE 39

Figura 1.6:

2
N

1.5

0.5

0
1

0.5 1
0.5
0
0
−0.5
−0.5
−1 −1

Si trova quindi
Z Z Z
f dz = u dx − v dy + i v dx + u dy ,
γ γ γ

la somma di due integrali di forme differenziali.

Osservazione 27 Alla stessa espressione si perviene definendo l’integrale co-


me limite delle somme di Riemann
n
X
f (z(ti ))z 0 (ti )(ti+1 − ti ) .
i=0

Omettiamo i dettagli della dimostrazione.

Gli integrali delle forme differenziali non mutano cambiando la parametrizzazione


di γ; cambiano segno cambiando il verso di percorrenza su γ. Dunque queste stesse
proprietà valgono per l’integrale (1.19).
Proviamo ora:

Lemma 28 Sia φ(t), t ∈ [a, b], una funzione continua a valori complessi.
Vale: ¯Z ¯ Z b
¯ b ¯
¯
¯ φ(t) dt¯¯ ≤ |φ(t)| dt .
¯ a ¯ a
40 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Dim. Indichiamo con z0 il numero


Z b
z0 = φ(t) dt .
a

Si sa che
z0 z¯0
|z0 | =
|z0 |
e quindi ¯Z ¯
¯ b ¯ Z b
¯ ¯ z̄0 z¯0
¯ φ(t) dt¯ = |z0 | = z0 = φ(t) dt .
¯ a ¯ |z0 | a |z0 |

La funzione t → |zz¯00 | φ(t) è ancora una funzione a valori complessi, ma l’ugua-


glianza precedente mostra che il suo integrale è reale. Dunque, l’integrale della
sua parte immaginaria è nullo e quindi
¯Z ¯ Z b ( )
¯ b ¯ z¯0
¯ ¯
¯ φ(t) dt¯ = <e φ(t) dt
¯ a ¯ a |z0 |
Z b ¯¯ ¯
¯ Z b
¯ z¯0 ¯
≤ ¯ φ(t)¯ dt = |φ(t)| dt .
a ¯ |z0 | ¯ a

Osservazione 29 La disuguaglianza precedente vale perché stiamo conside-


rando l’integrale
¯R su¯ un segmento
R
dell’asse reale. Non ha invece alcun senso
¯ ¯
scrivere ¯ γ f (z) dz ¯ ≤ γ |f (z)| dz, con γ generica curva. Infatti in tal ca-
so l’integrale a destra prende valori complessi anche se l’integrando è reale.
La formula che sostituisce la disuguaglianza sbagliata precedente è data dal
prossimo teorema.

Ricordiamo ora che Z b


Lγ = |z 0 (t)| dt
a
è per definizione la lunghezza della curva regolare a tratti γ : z = z(t), t ∈
[a, b]. Dal lemma precedente segue:
Teorema 30 Sia γ : z = z(t), t ∈ [a, b] una curva regolare a tratti e sia f (z)
una funzione da C in C, continua sul sostegno della curva γ. Sia M tale che
|f (z(t))| ≤ M , t ∈ [a, b] .
Vale: ¯Z ¯
¯ ¯
¯ f (z) dz ¯ ≤ M Lγ .
¯ ¯
γ

Dim. Si applichi il Lemma 28 alla funzione f (z(t))z 0 (t). Si trova


¯Z ¯ Z b
¯ ¯
¯ f (z(t))z 0 (t) dt¯ ≤ |f (z(t))| |z 0 (t)| dt ≤ M Lγ .
¯ ¯
γ a
1.8. IL TEOREMA DI CAUCHY 41

1.8 Il teorema di Cauchy


Ricordiamo che se u(x, y) e v(x, y) sono funzioni di classe C 1 , allora la funzione

f (x + iy) = u(x, y) + iv(x, y)

è olomorfa quando valgono le condizioni di Cauchy–Riemann, ossia quando

ux = v y , uy = −vx .

Si sa che queste sono le condizioni perché siano chiuse le forme differenziali

v dx + u dy , u dx − v dy

e ciò suggerisce di applicare alle funzioni olomorfe la teoria, nota, delle forme
differenziali.
Sia γ una curva semplice e chiusa contenuta in una regione di Jordan Ω.
Usando la formula di Green si trova:
Teorema 31 (Teorema di Cauchy ) Sia f (z) olomorfa in una regione di
Jordan Ω e sia γ una curva semplice e chiusa in Ω. Vale
Z
f (z) dz = 0 .
γ

Dim. Dalla formula di Green si vede che


Z Z Z
f dz = − [vx + uy ] dx dy + i [ux − vy ] dx dy .
γ Ωγ Ωγ

Le condizioni di Cauchy–Riemann mostrano che ambedue gli integrali su Ωγ


sono nulli.

Osservazione 32 Notiamo:
• Se due curve γ ed η hanno le proprietà che giustificano la formula (1.6),
la formula (1.6) implica che
Z Z
f (z) dz = f (z) dz . (1.20)
γ η

• il teorema 31 può provarsi senza fare uso di risultati relativi alle forme
differenziali, e nella sola ipotesi che f (z) sia derivabile in ciascun punto
di Ω; ossia, le ipotesi di continuità delle derivate possono rimuoversi.
42 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Vediamo infine un esempio di calcolo di integrale.


Esempio 33 Sia f (z) = (z − z0 )n e sia γ la circonferenza
γ : z(t) = z0 + eit , t ∈ [0, 2kπ] .
Il numero k è intero positivo. Si osservi che la circonferenza è orientata
positivamente e che essa è semplice solo quando k = 1.
Si ha:
Z Z 2kπ Z 2kπ
(z − z0 )n dz = eint ieit dt = i ei(n+1)t dt
γ 0 0
Z 2kπ
=i [cos(n + 1)t + i sin(n + 1)t] dt .
0

Se n = −1 si vede che l’integrale vale 2π. Altrimenti si vede che l’integrale


vale 0, sia per n ≥ 0 che per n < −1.
Se k = 1 l’uguaglianza a zero dell’integrale segue dal Teorema di Cauchy
(Teorema 31) quando n ≥ 0. Il fatto che l’integrale sia nullo anche per n ≤ −2
mostra che la condizione del teorema 31 è solo sufficiente.
Se n = −1, ossia quando si integra la funzione 1/(z − z0 ), si trova
1 Z 1
dz = k ,
2πi γ z − z0
numero dei giri che la circonferenza fa intorno all’origine. Si chiama questo
l’ indice della circonferenza rispetto al suo centro. Vedremo in seguito come
generalizzare quest’osservazione.

1.9 Primitive
Sia f (z) una funzione da C in C, definita su una regione Ω. NON si richiede
che la regione Ω sia di Jordan. Si chiama primitiva di f (z) una funzione F (z),
anch’essa definita su Ω, e tale che
F 0 (z) = f (z) ∀z ∈ Ω .
Ovviamente
Teorema 34 Se la funzione continua f (z) ammette primitiva su Ω e se γ è
una curva chiusa, allora Z
f dz = 0 .
γ

In generale, se γ non è chiusa, l’integrale dipende dai soli estremi di γ.


1.9. PRIMITIVE 43

Dim. Basta notare che


Z Z b Z b
f dz = f (z(t))z 0 (t) dt = F 0 (z(t))z 0 (t) dt
γ a a
Z b
d
= F (z(t)) dt = F (z(b)) − F (z(a)) .
a dt
Se la curva è chiusa si ha z(b) = z(a) e l’integrale è nullo. In generale, si vede
che l’integrale dipende dai soli estremi della curva.
Vale anche il viceversa:

Teorema 35 Sia f (z) una funzione continua su Ω. Se


Z
f dz
γ

è nullo su tutte le curve chiuse in Ω allora la funzione f (z) ammette una


primitiva.

Dim. Si fissi un punto z0 ∈ Ω. Ogni z ∈ Ω si connette a z0 mediante una


poligonale (si ricordi che Ω è un aperto connesso). Indichiamo con Pz una
poligonale che connette z0 con z e sia
Z
F (z) = f dz .
Pz

La funzione F (z) è univoca perché per ipotesi l’integrale non dipende dalla
particolare poligonale scelta per connettere z0 con z, ma solo dai suoi estremi;
e quindi solo da z, dato che z0 si intende fissato.
Mostriamo che F (z) è derivabile, con derivata f (z).
Per calcolare F (z + h) scegliamo una poligonale che congiunge z0 con z e
estendiamola a z + h mediante il segmento

z + th , t ∈ [0, 1] .

Sia S tale segmento. Allora,


F (z + h) − F (z) 1Z 1Z1 Z 1
= f dz = f (z + th)h dt = f (z + th) dt .
h h S h 0 0

Essendo f (z) continua, il limite dell’ultimo integrale per h → 0 è


Z 1
F 0 (z) = f (z) dt = f (z) .
0
44 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Osservazione 36 Si noti che il teorema precedente può dimostrarsi anche


richiedendo che l’integrale di f (z) sia nullo sulle sole poligonali chiuse. E’
sufficiente per questo che esso sia nullo quando γ è un triangolo.

In particolare, dal teorema di Cauchy, si vede che:


Teorema 37 Sia f (z) olomorfa su Ω e sia γ una curva in Ω la cui regione
interna Ωγ è contenuta in Ω.
La funzione f (z) ammette primitiva in Ωγ .
Naturalmente, se una primitiva esiste, ne esistono infinite. Vale però:
Teorema 38 Se F (z) e G(z) sono definite sulla medesima regione Ω ed hanno
derivata uguale, la loro differenza è costante su Ω.
Dim. Sia H(z) = F (z) − G(z). Vale H 0 (z) = 0 su Ω.
Sia H(z) = U (z) + iV (z). La condizione H 0 (z) = 0 e l’espressione (1.10)
per la derivata mostrano che

Ux = 0 , Vx = 0 .

Dalle condizioni di Cauchy–Riemann si trova anche che

Uy = 0 , Vy = 0

e quindi U e V ammettono ambedue le derivate parziali in ciascun punto di


Ω, e queste sono nulle. E quindi le funzioni sono costanti.
Concludiamo con alcune osservazioni.

Osservazione 39 Sia f (z) olomorfa su una generica regione Ω. Non è vero


che f (z) debba ammettere primitive su Ω, come mostra l’esempio della funzione
f (z) = 1/z. Sia Ω = C − {0}. Certamente f (z) ammette primitiva nella
regione Ωγ , se γ non gira intorno all’origine. Ma, se γ gira intorno all’origine,
la primitiva non esiste perchè l’integrale di f (z) su una circonferenza di centro
l’origine non è nullo, si veda l’Esempio 33.
Le condizioni del Teorema 37 sono solamente sufficienti, come mostra il
caso della funzione
1
f (z) = n , z ∈ C − {0} ,
z
con n intero maggiore di 1 ed Ω = C − {0} (si veda ancora l’Esempio 33). In
questo caso la primitiva esiste ed è
1
F (z) = .
(1 − n)z n−1
1.9. PRIMITIVE 45

Ricordiamo ora che la funzione Logz è derivabile, con derivata uguale a


1/z. Si sa che l’integrale di quest’ultima funzione su una generica curva chiusa
γ in C−{0} puó non essere nullo; ma ciò non contraddice il Teorema 37 perchè
la funzione Logz non è olomorfa su C − {0}.

1.9.1 Curve equipotenziali


Sia F (z) una primitiva di f (z) e sia

F (x + iy) = U (x, y) + iV (x, y) , f (x + iy) = u(x, y) + iv(x, y) .

Supponiamo inoltre che f (z) non si annulli su Ω.


Ricordiamo le formule

F 0 (z) = Ux + iVx = −iUy + Vy = u + iv .


Uguagliando F 0 (z) af f (z) si trova

∇U = (u, −v) , ∇V = (v, u) (1.21)

ossia U e V sono i potenziali rispettivamente dei campi vettoriali

ui − vj , vi + uj .

Consideriamo le curve equipotenziali γ1 e γ2 implicitamente definite da

U (x, y) = c , V (x, y) = d

(usando il teorema delle funzioni implicite si vede che queste equazioni defini-
scono implicitamente due curve nell’intorno dei punti (x, y) nei quali F 0 (x +
iy) = f (x + iy) 6= 0).
Non necessariamente queste curve si intersecano. Supponiamo che esse si
intersechino per x = x0 ed y = y0 .
Si sa che ∇U (x0 , y0 ) è ortogonale alla γ1 e che ∇V (x0 , y0 ) è ortogonale alla
γ2 . Usiamo (1.21) per calcolare il prodotto scalare di questi vettori:

∇U (x0 , y0 ) · ∇V (x0 , y0 ) = 0 ,

ossia, le curve equipotenziali rispettivamente del potenziale U e del potenziale V


sono mutuamente perpendicolari nei punti in cui si intersecano.
46 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

1.9.2 Il caso della funzione z → z̄


L’esempio 33 mostra che la funzione f (z) = 1/z non ha primitiva su una
regione di Jordan che contiene 0, dove pero’ non è ovunque definita. Questa
funzione è olomorfa e quindi ammette primitiva in qualunque regione di Jordan
che non contiene 0.
E’ naturale chiedersi se una funzione ovunque definita e continua debba
avere primitiva. L’esempio che ora studiamo mostra che ciò non accade.
La funzione che a z associa il suo coniugato z̄ è continua su C. Si è già
visto, al paragrafo 1.4, che non è olomorfa. Mostriamo che essa non ammette
primitiva.
Se fosse F 0 (z) = z̄, allora F (x + iy) = U (x, y) + iV (x, y) ed F 0 (x + iy) =
f (x + iy) = x − iy.
Si ricordi che F 0 (x + iy) = Ux (x, y) + iVx (x, y) e quindi

Ux (x, y) = x , Vx (x, y) = −y .

Dunque, U (x, y) = (x2 /2) + φ(y). Essendo Uy = −Vx = y si trova che φ(y) =
(y 2 /2). Dunque,
x2 + y 2
U (x, y) = .
2
Invece, da Vx (x, y) = −y, si trova

V (x, y) = −xy + ψ(y)

e quindi
Vy (x, y) = −x + ψ 0 (y) = Ux (x, y) = +x .
Quest’ultima uguaglianza è impossibile, e quindi la primitiva F (x + iy) di
f (z) = z̄ non esiste. Vedremo al par. 1.13 che avremmo potuto dedurre ciò dal
fatto che la derivata di una funzione olomorfa è ancora una funzione olomorfa.

1.9.3 La funzione logaritmo e le potenze


Abbiamo già definito i logaritmi dei numeri complessi non nulli e quindi le
funzioni logaritmo,

log z = log |z| + iArg z + 2kπi , (1.22)

una funzione per ciascun valore dell’intero k. Abbiamo notato che queste so-
no funzioni olomorfe, con derivata 1/z, a parte che nei punti dell’asse reale
negativo. Però abbiamo notato che l’asse reale negativo entra in queste que-
stioni solo a causa della particolare scelta dell’argomento principale; e quindi
1.9. PRIMITIVE 47

le funzioni logaritmo, cosı̀ definite, hanno proprietà che non sono indipendenti
dal modo scelto per rappresentare la funzione. Vediamo ora un modo diverso
di introdurre la funzione logaritmo, che mostra che in realtà non si incontra-
no problemi se si decide di lavorare in una regione di Jordan Ω qualsiasi, ma
che non contiene l’origine. Si noti che tale regione può spiraleggiare intorno
all’origine, come nella figura 1.7.

Figura 1.7:
10

6

−2

−4

−6

−8

−10
−15 −10 −5 0 5 10

Consideriamo la funzione 1/z su Ω. Questa funzione è olomorfa su Ω e


quindi è dotata di primitiva per il Teorema 37. Si noti che per questo si usa
l’ipotesi che Ω è una regione di Jordan che non contiene 0.
Si fissi un punto z0 ∈ Ω e sia w0 uno dei suoi logaritmi,

w0 = log |z0 | + iArg z0 + 2k0 πi

per un certo numero intero k0 . Sia Pz una poligonale che connette il punto z0
fissato col generico punto z ∈ Ω, senza uscire da Ω.
Consideriamo la funzione
Z
1
L(z) = w0 + dζ .
Pz ζ
Questa è una funzione olomorfa su Ω che in z0 prende il valore w0 ed è pri-
mitiva di 1/z; ossia, la derivata di L(z) è 1/z e quindi la sua differenza dalla
funzione (1.22)
log |z| + iArg z + 2k0 πi
48 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

è costante sulla regione in cui ambedue sono definite e derivabili. Se Ω interseca


l’asse reale negativo, ciò non avviene su tutta Ω, si veda la figura 1.8. Le due

Figura 1.8:
10

6

−2

−4

−6

−8

−10
−15 −10 −5 0 5 10

funzioni coincidono sulla sola parte tratteggiata di Ω. Esse certamente non


coincidono sulla parte rimanente, perché L(z) traversa l’asse reale negativo
con continuità.
Ricapitolando queste considerazioni, chiameremo la funzione L(z) una fun-
zione logaritmo su Ω, e la chiameremo il logaritmo principale se è stata costrui-
ta scegliendo k0 = 0. Essa si indicherà col simbolo log z oppure, nel caso del
logaritmo principale, col simbolo Log z.
Dato che elog |z|+iArg z+2k0 πi = z, lo stesso vale per L(z) nella parte tratteg-
giata di Ω. Vedremo che ciò vale anche nella parte rimanente di Ω, si veda il
paragrafo 1.13.2 e l’esempio 58. Dunque, quando un punto mobile z ∈ Ω tra-
versa l’asse reale negativo, la funzione L(z) passa dall’una all’altra determinazione
della funzione log z.
Ponendo
z a = eaLogz
si trova che le potenze z a sono definite e sono funzioni olomorfe in ogni regione
di Jordan che non contiene l’origine. Se la regione contiene l’asse reale positivo,
allora z a prende valori reali su tale asse.
Sia ora Ω una regione di Jordan e sia f (z) una funzione olomorfa su Ω, che
non si annulla. Fissiamo un punto z0 ∈ Ω e la poligonale Pz congiunga z0 col
1.10. INDICE E OMOTOPIA 49

generico punto z ∈ Ω. Si definisce


Z
f 0 (ζ)
Log f (z) = dζ
Pz f (ζ)

e questa funzione è olomorfa su Ω. Ciò fatto, si definisce, per ogni α ∈ C,

f α (z) = eαLog f (z) :

su Ω si possono definire tutte le potenze di f (z), e queste vengono ad essere


funzioni olomorfe di z; ricordiamo, purché f (z) non si annulli si Ω, e purché Ω
sia una regione di Jordan.

1.10 Indice e omotopia


Passiamo ora a considerare un’altra funzione importantissima nello studio delle
funzioni olomorfe. Questa funzione associa un numero intero alla coppia co-
stituita da una curva e da un punto z0 che non gli appartiene. Questo numero
rappresenta, intuitivamente, il numero dei giri che la curva fa intorno a z0 ,
considerati positivi se la curva ruota in senso antiorario, negativi altrimenti.
Si veda l’esempio 33 per un caso particolare.
Sia Ω una regione di Jordan e sia z0 un suo punto. Sia γ una curva chiusa,
semplice o meno, il cui sostegno è in Ω e non passa per il punto z0 . Definiamo

1 Z 1
I(γ, z0 ) = dz ,
2πi γ z − z0

si vedano le considerazioni dell’Esempio 33.


Dato che la curva γ non incontra z0 , l’integrale è ben definito ed è una
funzione di classe C ∞ di z0 , almeno finché z0 non incontra il sostegno di γ.
Mostriamo che questa funzione prende valori interi e quindi è costante se z0 si
muove su una curva senza toccare γ.

Teorema 40 La funzione I(γ, z0 ) prende valori interi.

Dim. Sia z(t), t ∈ [a, b] una parametrizzazione della curva γ. Ricordiamo


che implicitamente supponiamo sempre che le parametrizzazioni (continue su
[a, b]) siano derivabili con continuità, salvo un numero finito di punti. Si ha:

1 Z 1 1 Z b z 0 (t)
I(γ, z0 ) = dz = dt .
2πi γ z − z0 2πi a z(t) − z0
50 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Si ha Z t
z 0 (t)
φ(t) = dt , t ∈ [a, b] .
a z(t) − z0
La funzione a valori complessi di variabile reale t è continua e continuamente
derivabile, perché z(t) 6= z0 per ogni t. Inoltre,

z 0 (t)
φ0 (t) = , φ(a) = 0 , φ(b) = I(γ, z0 ) .
z(t) − z0
Si ha
d −φ(t)
e (z(t) − z0 ) = e−φ(t) {−φ0 (t)(z(t) − z0 ) + z 0 (t)} = 0 .
dt
Dunque, la funzione e−φ(t) (z(t) − z0 ) è costante. Uguagliando i valori assunti
per a e per b si trova

e−φ(a) (z(a) − z0 ) = (z(a) − z0 ) = e−φ(b) (z(b) − z0 ) .

Ricordando che la curva γ è chiusa, ossia che z(a) = z(b), e che z(a) − z0 6= 0
si trova e−φ(b) = 1, ossia si trova che esiste un intero k per cui

φ(b) = 2kπi

e quindi I(γ, z0 ) = k, con k intero, come si voleva.


Questo prova che I(γ, z0 ) è sempre un numero intero. Esso si chiama
l’ indice della curva γ rispetto al numero z0 che non le appartiene.
Giustifichiamo ora l’interpretazione intuitiva dell’indice come “numero dei
giri” della curva intorno a z0 . Ciò si è già visto nel caso in cui γ sia una
circonferenza percorsa k volte. Se γ è una curva percorsa k volte, per l’ad-
ditività dell’integrale, l’indice è k volte l’indice che si ottiene percorrendo la
curva una sola volta. Sia quindi γ semplice. Scegliamo una piccola circon-
ferenza C di centro z0 , contenuta in Ωγ . Il teorema di Cauchy ci dice che
I(γ, z0 ) = I(C, z0 ) = 1 e ciò mostra l’interpretazione dell’indice come “numero
dei giri”, nel caso di una curva percorsa più volte.
Nel caso della curva γ in figura 1.9, che gira più volte intorno a z0 , senza
ripercorrere se stessa, si arriva alla medesima interpretazione spezzando la
curva in tante curve semplici e chiuse.
Se la curva γ è semplice e se z0 è nella regione esterna alla curva allora il
suo indice è 0. Invece, se z0 è nella regione interna allora il suo indice è +1
oppure −1. Più in generale, il complementare del sostegno di una curva γ è
unione di un numero finito di regioni semplicemente connesse. Si è già notato
1.10. INDICE E OMOTOPIA 51

Figura 1.9:
1

0.8

0.6

0.4

0.2

0 z0

−0.2

−0.4

−0.6

−0.8

−1
−1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5

che l’indice rimane costante se z0 varia senza incontrare γ. Dunque, I(γ, z0 ) è


costante in ciascuna delle regioni nelle quali γ divide C, si veda la figura 1.9
Per finire, consideriamo il caso seguente, che ci interesserà in seguito. Sia
γ una curva semplice e chiusa orientata positivamente, il cui sostegno appar-
tiene alla regione di Jordan Ω su cui una funzione f (z) è olomorfa. Si è già
introdotta la curva γf , immagine di γ mediante la funzione f (z): se γ ha pa-
rametrizzazione z = z(t), t ∈ [a, b], allora γf ha parametrizzazione f (z(t)),
t ∈ [a, b].
La curva γf è chiusa perché γ lo è, ma può essere che non sia semplice.
Supponiamo che f (z) non si annulli su γ e consideriamo
1 Z b f 0 (z(t))z 0 (t)
dt .
2πi a f (z(t))
Quest’integrale è uguale ad ambedue gli integrali seguenti:
1 Z f0 1 Z 1
dz , dw
2πi γ f 2πi γf w
e l’ultimo integrale è I(γf , 0). Si ha quindi che
1 Z f0
I(γf , 0) = dz .
2πi γ f
R
Segue un semplice metodo grafico per il calcolo di (1/2πi) γ (f 0 /f ) dz (quando
f (z) non si annulla sul sostegno di γ) che è alla base di molti metodi grafici
52 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

dell’ingegneria: si disegna la curva γf e se ne conta il numero dei giri intorno


all’origine.
Naturalmente, i metodi grafici sono sempre approssimati. E’ notevole il
fatto che, in questo caso, il metodo grafico dà in realtà valori esatti. Infatti, è
intuitivamente evidente, e si giustificherà in seguito, che il valore dell’integrale
“varia di poco” quando γ “varia di poco”, purchè la deformazione applicata
a γ non conduca γf ad incontrare 0, ossia non conduca γ ad incontrare uno
zero di f (z). Dato che l’indice prende valori interi, esso rimane costante sot-
to l’azione di piccole perturbazioni su γ, quali quelle che si incontrano nella
rappresentazione numerica di γ e di γf .
La giustificazione rigorosa di questo argomento conduce alla teoria dell’ omotopia .
Siano γ1 e γ2 due curve diverse. Non è restrittivo assumere che il parametro
vari nel medesimo intervallo [a, b]. Diciamo che esse sono omotope se esiste
una funzione continua H(t, s) di due variabili reali s ∈ [0, 1], t ∈ [a, b], a valori
complessi, tale che H(0, t) parametrizzi γ1 mentre H(1, t) parametrizzi γ2 .
Se le due curve appartengono ad una regione Ω, si dice che esse sono
omotope in Ω se i valori della funzione H(s, t) appartengono ad Ω.
Per ogni valore intermedio s0 ∈ [0, 1], la funzione H(s0 , t) parametrizza
una curva e per s ∼ 0 la curva è “vicina” a γ1 mentre per s ∼ 1 è vicina a γ2 .
Quindi la H(s, t) parametrizza una deformazione continua di γ1 in γ2 .
Nei casi più importanti, le curve γ1 e γ2 hanno gli estremi comuni oppure
sono chiuse. Se esse hanno estremi comuni, si richiede anche che H(s, a) ed
H(s, b) siano costanti. In tal caso una deformazione continua di γ1 su γ2 è
illustrata dalla figura 1.10
Se le due curve γ1 e γ2 sono chiuse, nel parlare di omotopia si sottintende che
ciascuna delle curve t → H(s, t) sia chiusa.
Richiediamo ora che le due curve γ1 e γ2 siano omotope rispetto ad una
regione Ω che non contiene zeri della funzione f (z). In tal caso, indicando con
γs la curva di parametrizzazione t → H(s, t), si trova che
1 Z f0
s→ dz
2πi γs f
è continua per s ∈ [a, b] e quindi, prendendo valori interi, costante. Ciò giu-
stifica le considerazioni precedenti e suggerisce una diversa formulazione del
Teorema di Cauchy, Teorema 31. Ricordiamo che due curve sono omotope in
una regione Ω quando i valori di H(s, t) appartengono ad Ω per ogni s e per
ogni t. Si ha:
Teorema 41 (forma omotopica del teorema di Cauchy) Siano γ1 e γ2
curve tra loro omotope in una generica regione Ω su cui f (z) è olomorfa.
1.10. INDICE E OMOTOPIA 53

Figura 1.10:
1

0.8 γ1

0.6

0.4

0.2

−0.2

−0.4

−0.6

γ2
−0.8

−1
−3 −2 −1 0 1 2 3

Supponiamo che le due curve siano chiuse o che abbiano gli stessi estremi.
Allora vale Z Z
f (z) dz = f (z) dz
γ1 γ2

Dim. (cenno) La dimostrazione del teorema è alquanto noiosa, ma l’idea della


dimostrazione è semplice e ci limitiamo a presentarla. Sia H(s, t) la funzione
continua tale che H(0, t) parametrizza γ1 e H(1, t) parametrizza γ2 .
Non è restrittivo assumere t ∈ [0, 1].
Dividiamo il quadrato [0, 1] × [0, 1] in tanti piccoli quadrati, come nella
figura 1.9 a sinistra e consideriamo l’immagine mediante H(t, s) dei lati di tutti
i quadrati ottenuti. Si trova una struttura del tipo di quella nella figura 1.11
a destra (le immagini dei lati sono state disegnate rettilinee per comodità di
disegno, ma potrebbero non esserlo).
I lati dei quadrati si trasformano in curve chiuse e su tali curve l’integrale è
nullo. Sommando ciascuno degli integrali sui singoli quadrati e tenendo conto
delle cancellazioni si trova l’asserto.

Vediamo ora un caso estremo: per definizione, una curva non può essere
parametrizzata da una funzione costante. Supponiamo però che esista una
funzione H(s, t) continua su [0, 1] × [a, b] e tale che H(0, t) parametrizzi una
curva γ mentre H(1, t) = z0 per ogni t ∈ [a, b]. In questo caso si dice che la
curva γ è omotopa al punto z0 .
54 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Figura 1.11:
4

3
2

y
2
1 γ2

1
0

0
−1
x

−1 −2

−2 −3 γ1


−3 −4
−3 −2 −1 0 1 2 3 −4 −3 −2 −1 0 1 2

E’ ancora vero che


1 Z f0
s→ dz
2πi γs f
dipende con continuità da s e inoltre, per s → 0, il limite è ora 0; e quindi la
funzione è identicamente zero. Vale quindi

Corollario 42 Se γ è omotopa ad un punto nella generica regione Ω allora


Z
f dz = 0
γ

per ogni funzione f (z) olomorfa su Ω.

Sottolineiamo che né il teorema 41 né il corollario 42 richiedono che Ω sia


una regione di Jordan. Si potrebbe provare che tutti i teoremi che valgono
per regioni di Jordan valgono anche per le regioni che sono semplicemente
connesse secondo la definizione seguente: una regione Ω si dice semplicemente
connessa se ogni curva di Jordan di sostegno in Ω è omotopa ad un punto di
Ω.
1.11. CONVERGENZA UNIFORME SUI COMPATTI E INTEGRAZIONE55

1.11 Convergenza uniforme sui compatti e in-


tegrazione
Ricordiamo che se
f (x + iy) = u(x, y) + iv(x, y)
è continua, abbiamo definito
Z Z Z
f dz = u dx − v dy + i v dx + u dy .
γ γ γ

Se γ è parametrizzata da

z = z(t) = x(t) + iy(t) , t ∈ [a, b]

si trova
Z Z b
f dz = {u(x(t), y(t))x0 (t) − v(x(t), y(t))y 0 (t)} dt
γ a
Z b
+i {v(x(t), y(t))x0 (t) + u(x(t), y(t))y 0 (t)} dt
a

ossia si trova la somma di quattro integrali di funzioni continue su [a, b], in-
tervallo limitato e chiuso. Dunque, a tali integrali si possono applicare tutte
le proprietà note per gli integrali di funzione di variabile reale. In particolare,
se (un (x, y)) è una successione che converge uniformemente ad u(x, y) allora

lim un (x(t), y(t)) = u(x(t), y(t))


n

e il limite è uniforme su [a, b]. Dunque,


Z b Z b
lim un (x(t), y(t))x0 (t) dt = u(x(t), y(t))x0 (t) dt
a a
Z b Z b
0
lim un (x(t), y(t))y (t) dt = u(x(t), y(t))y 0 (t) dt .
a a

Analogo argomento vale se (vn (x, y)) converge uniformemente a v(x, y).
Sia ora (fn (z)) una successione di funzioni della variabile complessa z,
convergente uniformemente ad f (z). Si sa che ciò avviene se e solo se le parti
reali, rispettivamente immaginarie, delle fn (z) convergono rispettivamente alla
parte reale ed immaginaria di f (z). Dunque:
56 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Teorema 43 Sia (fn (z)) una successione di funzioni continue su una regione
Ω, e sia γ una curva il cui sostegno è in Ω. Supponiamo che esista una
funzione f (z), definita sul sostegno di γ, tale che
lim fn (z) = f (z) ,
n

uniformemente sul sostegno di γ. Allora vale


Z Z
lim fn (z) dz = f (z) dz .
γ γ

In pratica non è comodo studiare la convergenza di una successione di


funzioni sul sostegno di una singola curva. Si presenta però frequentemente il
caso seguente: una successione di funzioni continue (fn (z)) converge ad una
funzione f (z) in ogni punto di Ω, ma non uniformemente. E’ però possibile
provare che per ogni compatto K contenuto in Ω la convergenza è uniforme;
ossia, per ogni ² > 0 esiste N = N (², K) tale che se n > N allora vale
|fn (z) − f (z)| < ² ∀z ∈ K .
In tal caso si dice che la successione (fn (z)) converge uniformemente sui
compatti di Ω.
La convergenza uniforme sui compatti ovviamente implica la continuità
della funzione limite f (z) e inoltre implica la convergenza uniforme sui sostegni
di curve che sono contenuti in Ω, perchè i sostegni di curve sono compatti.
Dunque permette l’applicazione del Teorema 43.
Un caso importante in cui si ha convergenza uniforme sui compatti è quello
delle serie di Laurent nei compatti contenuti nella corona di convergenza. In
questo caso si ha:
P
Corollario 44 Sia +∞ n
k=−∞ an (z − z0 ) una serie di Laurent la cui corona di
convergenza è non vuota e sia γ una curva il cui sostegno è nella corona di
convergenza. Sia φ(z) una funzione continua su γ. In tal caso si ha:
 
Z +∞
X +∞
X Z
k
φ(ζ)  ak (ζ − z0 ) dζ = ak φ(z)(ζ − z0 )k dζ .
γ k=−∞ k=−∞ γ

Se in particolare si sceglie φ(z) = 1 si trova


 
Z +∞
X +∞
X Z
k
 ak (ζ − z0 ) dζ = ak (ζ − z0 )k dζ.
γ k=−∞ k=−∞ γ

Asserti analoghi valgono per le serie di Taylor, naturalmente riformulati


rispetto al disco di convergenza.
1.12. LA FORMULA INTEGRALE DI CAUCHY 57

1.12 La formula integrale di Cauchy


Sia f (z) olomorfa sulla regione di Jordan Ω e sia γ una curva di Jordan in Ω.
La formula integrale di Cauchy mostra in particolare che i valori di f (z) nella
regione interna a γ sono univocamente individuati dai valori che la f (z) assume
sul sostegno di γ e inoltre vengono ad essere espressi mediante una semplice
formula integrale. Si noti che niente di analogo vale per funzioni di classe C 1
di due variabili reali.
Più avanti vedremo che anche i valori che f (z) assume nella regione esterna
a γ sono individuati dai valori che essa assume sul sostegno di γ. Però, nessuna
formula semplice permette di trovarli.
La formula integrale di Cauchy vale per curve chiuse, anche non semplici,
di sostegno in Ω. In tale forma lo enunciamo anche se, di regola, lo useremo
nel caso delle curve semplici.

Teorema 45 (formula integrale di Cauchy ) Sia f (z) olomorfa in una


regione di Jordan Ω e sia γ una curva in Ω. Sia z ∈ Ω un punto che non
appartiene al sostegno di γ. Vale:

1 Z f (ζ)
I(γ, z)f (z) = dζ . (1.23)
2πi γ ζ − z

Dim. Limitiamoci a provare il teorema per il caso delle curve semplici. In


questo caso, I(γ, z) = 0 quando z è nella regione esterna a γ e in tal caso
l’integrale è nullo per il Teorema di Cauchy, Teorema 31. Dunque, in tal caso
l’uguaglianza è verificata. Sia allora z ∈ Ωγ , la regione interna a γ. In questo
caso I(γ, z) = 1 e dobbiamo provare che

1 Z f (ζ)
f (z) = dζ .
2πi γ ζ − z

Sia Cr una circonferenza di raggio r e centro z, con r cosı̀ piccolo che Cr sia
contenuta nella regione Ωγ . Il Teorema di Cauchy mostra che

1 Z f (ζ) 1 Z f (ζ)
dζ = dζ .
2πi γ ζ − z 2πi Cr ζ − z

In particolare, la funzione di r,

1 Z f (ζ)
r→ dζ
2πi Cr ζ − z
58 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

è costante e quindi
( )
1 Z f (ζ) 1 Z f (ζ)
lim dζ = dζ .
r→0+ 2πi Cr ζ − z 2πi γ ζ − z
Il limite si calcola facilmente notando che
1 Z f (ζ) 1 Z f (ζ) − f (z) 1 Z f (z)
dζ = dζ + dζ
2πi Cr ζ − z 2πi Cr ζ −z 2πi Cr ζ − z
1 Z f (ζ) − f (z)
= dζ + f (z)
2πi Cr ζ −z
(se la curva non è semplice, l’addendo f (z) viene moltiplicato per I(γ, z)).
Basta quindi calcolare
1 Z f (ζ) − f (z)
lim dζ .
r→0 2πi Cr ζ −z
E’ immediato notare che questo limite è nullo. Infatti, il modulo del rapporto
incrementale ¯ ¯
¯ f (ζ) − f (z) ¯
¯ ¯
¯ ¯
¯ ζ −z ¯
è limitato, diciamo da M = 2|f 0 (z)|, per |ζ − z| piccolo. Dunque, per il
Teorema 30, vale ¯Z ¯
¯ f (ζ) − f (z) ¯¯
¯
¯ dζ ¯ ≤ 2πrM .
¯ Cr ζ −z ¯

Il membro destro tende a zero per r → 0 e ciò prova l’uguaglianza richiesta.


La formula (1.23) si chiama formula integrale di Cauchy e, ripetiamo, non
ha analogo per le funzioni di variabile reale.
La formula integrale di Cauchy ha una conseguenza interessante: suppo-
niamo che f (z) sia olomorfa in |z| < 1 e continua in |z| ≤ 1. Supponiamo
inoltre che f (eit ) = 0 per ogni t. In tal caso, la funzione f (z) è identicamente
zero.
Infatti, per ogni z0 di modulo minore di 1 vale
1 Z f (ζ)
f (z0 ) = dζ .
2πi |z|=r ζ − z0
Questa formula vale per ogni r con |z0 | < r < 1. Scrivendo esplicitamente la
parametrizzazione della circonferenza, si trova
1 Z 2π f (reit )
f (z0 ) = ireit dt .
2πi 0 reit − z0
1.12. LA FORMULA INTEGRALE DI CAUCHY 59

Passando al limite per r tendente ad 1 si vede che

1 Z 2π f (eit ) it
f (z0 ) = e dt = 0 .
2π 0 eit − z0

E’ importante sapere che in realtà la sola condizione f (eit ) = 0 per t ∈ [α, β]


con α < β implica che f (z) è identicamente zero.

1.12.1 La proprietà della media


Scriviamo la formula integrale di Cauchy nel caso speciale in cui γ è una
circonferenza di raggio r centrata in z0 . Vale

1 Z f (ζ)
f (z0 ) = dζ .
2πi γ ζ − z0

Introducendo la parametrizzazione

ζ(t) = reit = r[cos t + i sin t] , t ∈ [0, 2π]

si trova
1 Z 2π
f (z0 ) = f (z0 + reit ) dt . (1.24)
2π 0
Questa formula mostra che f (z0 ) può interpretarsi come media dei valori che la
funzione prende sulla circonferenza di centro z0 e raggio 1. Per questa ragione
la particolare forma (1.24) della formula integrale di Cauchy si chiama formula
della media .
Osserviamo ora che l’integrale che figura nella formula della media è su un
intervallo dell’asse reale; e quindi, scrivendo

f (x + iy) = u(x, y) + iv(x, y)

e prendendo la parte reale dei due membri, si trova

1 Z 2π
u(x0 , y0 ) = u(x0 + r cos t, y0 + r sin t) dt , (1.25)
2π 0

ossia la proprietà della media vale anche per le parti reali (e immaginarie) di
funzioni olomorfe.
60 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

1.12.2 Funzioni olomorfe rappresentate mediante inte-


grali
Abbiamo visto che le serie di potenze identificano una classe di funzioni olo-
morfe. L’integrale che figura nella formula di Cauchy suggerisce una seconda
classe di funzioni olomorfe, dotate di una semplice rappresentazione. Sia h(ζ)
una funzione continua sul sostegno di γ (non necessariamente chiusa).
Sia f (z) definita da

1 Z h(ζ)
f (z) = dζ . (1.26)
2πi γ ζ − z

In questo modo, f (z) è ben definita per ogni z che non appartiene al sostegno
di γ. Inoltre, la funzione
h(ζ)
z→ dζ
ζ −z
è di classe C ∞ ed ha derivate rispetto a z limitate uniformemente al variare di
ζ su γ e di z in un intorno di un punto z0 che non interseca γ. Dunque è lecito
scambiare il segno di derivata e quello di integrale, ottenendo che

0 1 Z h(ζ)
f (z) = dζ . (1.27)
2πi γ (ζ − z)2

La funzione f 0 (z) è continua e ciò mostra che f (z) è olomorfa. Abbiamo cosı̀
un’ulteriore classe di funzioni olomorfe, dotate di una semplice rappresenta-
zione.
La funzione f 0 (z) in (1.27) può nuovamente derivarsi e la sua derivata è
nuovamente continua, ossia anche f 0 (z) è olomorfa.
Sia ora f (z) olomorfa su Ω e sia z0 un punto di Ω. Sia C una circonferenza
contenuta in Ω, di centro z0 . La (1.26) vale con h(ζ) = f (ζ) e con γ = C.
Dunque anche la (1.27) vale e quindi f 0 (z) è nuovamente olomorfa. Iterando
quest’osservazione si trova:

Teorema 46 Sia f (z) olomorfa in Ω. Essa ammette derivate di ogni ordine,


e tutte le derivate sono olomorfe.

Torniamo ora a considerare la situazione descritta dalla Formula integrale


di Cauchy. In questo caso è a priori noto che la funzione f (z) è olomorfa
anche nei punti di γ e la formula (1.23) mostra, nel caso delle curve semplici,
che
1 Z f (ζ)
lim dζ = f (z0 )
z→z0 2πi γ ζ − z
1.13. ANALITICITÀ DELLE FUNZIONI OLOMORFE 61

anche se z0 è un punto del sostegno di γ. Si potrebbe immaginare che il


limite esista anche nel caso di una generica funzione, definita mediante la
formula (1.26). In genere ciò non accade e, più ancora, se questo limite esiste
esso può essere diverso da h(z0 ) perfino se h(z) è continua su C.

Esempio 47 Sia h(z) = z̄ e sia γ: z = eit , t ∈ [0, 2π]. L’integrale

1 Z ζ̄ 1 Z 1 1
dζ = dζ
2πi γ ζ − z 2πi ζ ζ ζ − z
si calcola immediatamente notando che
1 1 11 1 1
=− + .
ζζ −z zζ zζ −z
Dunque,
" # " #
1 Z ζ̄ 1 1 Z 1 1 1 Z 1
dζ = − dζ + dζ
2πi γ ζ − z z 2πi γ ζ z 2πi γ ζ − z
1
[−I(γ, 0) + I(γ, z)] = 0
z
per ogni z nella regione interna a γ, ossia nel disco |z| < 1. Dunque,

1 Z ζ̄
f (z) = dζ ≡ 0 :
2πi γ ζ − z
la funzione f (z) è olomorfa in |z| < 1 e continua in |z| ≤ 1, ma i suoi valori su
|z| = 1 non coincidono con quelli di h(z) = z̄.

Per molte applicazioni è importante lo studio del comportamento di f (z)


per z tendente a γ.

1.13 Analiticità delle funzioni olomorfe


Si è visto al Teorema 46 che una funzione olomorfa ammette derivate di ogni
ordine, e queste sono tutte olomorfe. Mostriamo che vale anche di più. Una
funzione f (z) definita su una regione Ω si dice analitica su Ω quando è svi-
luppabile in serie di Taylor (con raggio di convergenza non nullo) di centro z0
per ogni z0 ∈ Ω.
Vedremo, al paragrafo 1.15, che una funzione analitica è anche olomorfa.
Andiamo a provare:
62 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Teorema 48 Se f (z) è olomorfa su Ω, essa è anche analitica su Ω e inoltre,


se z0 ∈ Ω, vale
+∞
X
n 1 Z f (ζ)
f (z) = fn (z − z0 ) , fn =
n=0 2πi C (ζ − z0 )n+1

ove C è una qualunque circonferenza di centro z0 e contenuta in Ω.

Dim. Sia C una circonferenza di centro z0 e contenuta in Ω. Usando la formula


integrale di Cauchy, si scriva

1 Z f (ζ) 1 Z f (ζ)
f (z) = dζ = dζ
2πi C ζ − z 2πi C (ζ − z0 ) − (z − z0 )
" #−1
1 Z f (ζ) z − z0
= 1− dζ .
2πi C ζ − z0 ζ − z0

Dato che ζ è sulla circonferenza mentre z è nel disco, |(z − z0 )/(ζ − z0 )| < 1 e
quindi
" #−1 Ã !n
1 Z f (ζ) z − z0 1 Z f (ζ) +∞X z − z0
1− dζ = dζ
2πi C ζ − z0 ζ − z0 2πi C ζ − z0 n=0 ζ − z0
" #
+∞
X 1 Z f (ζ)
= (z − z0 )n .
n=0 2πi C (ζ − z0 )n+1

Questa è la formula che volevamo provare.


Si noti che lo scambio della serie con l’integrale è lecito perché per z e z0
fissati la serie à !n
+∞
X f (ζ) z − z0
n=0 ζ − z0 ζ − z0
converge uniformemente su C.
In particolare si trova una nuova dimostrazione del Teorema 46:

Teorema 49 Se f (z) è olomorfa su Ω, essa è ivi di classe C ∞ e per le


successive derivate vale la formula di rappresentazione seguente:

(n) n! Z f (ζ)
f (z0 ) = dz
2πi C (ζ − z0 )n+1

ove C è una circonferenza di centro z0 contenuta in Ω.


Inoltre, ogni derivata di f (z) è a sua volta una funzione olomorfa.
1.13. ANALITICITÀ DELLE FUNZIONI OLOMORFE 63

Notiamo ora che, a rigore, l’uguaglianza


" #
X Z
1 +∞ f (ζ)
f (z) = (z − z0 )n
2πi n=0 C (ζ − z0 )n+1

ha senso solo se z ∈ Ω; ma niente vieta che il disco di convergenza della


serie fuoriesca da Ω. In tal caso la serie fornisce un’estensione analitica della
funzione f (z).

1.13.1 Funzioni armoniche


Una funzione u(x, y) a valori reali delle due variabili reali x ed y si dice
armonica su una regione Ω se è ivi di classe C 2 e se per ogni (x, y) ∈ Ω
vale
∆u = uxx + uyy = 0 .
Sia f (z) = f (x + iy) olomorfa su Ω. Si è visto che essa ammette derivate
di ogni ordine e quindi anche la sua parte reale u(x, y) è di classe C ∞ . Inoltre,
la sua derivata f 0 (z) = ux (x, y) + ivx (x, y) è olomorfa e quindi verifica le
condizioni di Cauchy–Riemann, che ora si scrivono:

(ux )x = (vx )y , (vx )x = −(ux )y .

La derivata f 0 (z) può anche rappresentarsi come f 0 (z) = vy (x, y) − iuy (x, y) e
scrivendo le condizioni di Cauchy–Riemann si trova

(vy )x = −(uy )y , (uy )x = (vy )y .

Confrontando queste uguaglianze si vede che

∆u = 0 , ∆v = 0

ossia,

Teorema 50 Le parti reali ed immaginarie di funzioni olomorfe sono funzioni


armoniche.

Al paragrafo 2.1 proveremo il viceversa:

Teorema 51 Sia Ω una regione di Jordan e sia u(x, y) armonica su Ω. Esiste


una funzione v(x, y) armonica su Ω e tale che f (x + iy) = u(x, y) + iv(x, y) è
olomorfa su Ω.
64 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Le funzioni v(x, y) con la proprietà detta sopra si chiamano funzioni ar-


moniche coniugate di u(x, y).
Questo teorema può sempre applicarsi “localmente” ossia in un intorno di
ciascun punto di Ω. Di conseguenza:

Corollario 52 Le funzioni armoniche su Ω sono di classe C ∞ (Ω).

Un ulteriore conseguenza del Teorema 51 e del teorema della media è:

Teorema 53 (Teorema della media ) Sia u(x, y) armonica su Ω. Essa


verifica la proprietà della media : per ogni (x0 , y0 ) ∈ Ω e per ogni cerchio di
raggio r e centro (x0 , y0 ) e contenuto in Ω vale la (1.25).

1.13.2 Zeri e estensioni di funzioni olomorfe


Le serie di potenze hanno una proprietà importante:
P
Teorema 54 Sia f (z) = +∞ n
n=0 an (z − z0 ) una serie di potenze con raggio di
convergenza non nullo e non identicamente nulla. Il punto z0 non è punto di
accumulazione di zeri di f (z).

Dim. L’assero è ovvio se a0 6= 0 perché in tal caso f (z0 ) = a0 6= 0. Sia quindi


a0 = 0 e sia ak il primo coefficiente non nullo. Si può scrivere
+∞
X
f (z) = (z − z0 )k φ(z) , φ(z) = an (z − z0 )n−k .
n=k

Si ha φ(z0 ) = ak 6= 0 e φ(z) è continua. Dunque, in un intorno di z0 non si


annulla. In tale intorno il primo fattore (z − z0 ) ha l’unico zero z0 . Dunque,
z0 non è punto di accumulazione di zeri.
Ricordando che le funzioni olomorfe sono analitiche, il teorema precedente
può riformularsi come segue:

Corollario 55 Una funzione olomorfa su Ω, che ha una successione (zn ) di


zeri convergente a z0 ∈ Ω, è identicamente nulla in un intorno di z0 .

In realtà vale di più:

Teorema 56 Sia f (z) olomorfa sulla regione Ω e sia (zn ) una successione di
zeri di f (z), convergente ad un punto z0 ∈ Ω. Allora, f (z) è identicamente
nulla su Ω.
1.13. ANALITICITÀ DELLE FUNZIONI OLOMORFE 65

Dim. Ricordiamo che una regione è un aperto connesso.


Per il Corollario 55, esiste un intorno V di z0 su cui f (z) è nulla. Su
quest’intorno, ogni derivata di f (z) è nulla.
Indichiamo con Z l’insieme
∂i
Z = {z | f (z) = 0 ∀i} .
∂z i
L’insieme Z contiene V e quindi non è vuoto. Inoltre è chiuso perché ciascuna
delle derivate parziali di f (z) è una funzione continua.
Mostriamo che Z è aperto, cosı̀ che avremo Z = Ω. Sia per questo z̃ ∈ Z.
Mostriamo che tutto un intorno di z̃ è contenuto in Z. Per questo, sviluppiamo
f (z) in serie di Taylor di centro z̃:
+∞
X 1 (n)
f (z) = f (z̃)(z − z̃)n .
n=0 n!

L’uguaglianza vale in un intorno W di z̃.


Dato che z̃ ∈ Z, tutti i coefficienti della serie sono nulli e quindi f (z) = 0
su W . Ciò mostra che W ⊆ Z e completa la dimostrazione.
Notiamo che il teorema precedente non vieta che una successione di zeri di
una funzione olomorfa non nulla f (z) possa avere punti di accumulazione. In
tal caso però tali punti non sono interni alla regione su cui f (z) è olomorfa.
Il Teorema 56 ha conseguenze importanti.

Teorema 57 (principio di permanenza ) Siano f (z) e g(z) due funzioni


olomorfe sulla stessa regione Ω e supponiamo che f (z) = g(z) su un insieme
dotato di punti di accumulazione appartenenti ad Ω. Il tal caso, f (z) = g(z) su
Ω.

Dim. Perchè, per il Teorema 56, f (z) − g(z) è identicamente nulla.


Il teorema precedente vale se, per esempio, f (z) e g(z) sono uguali sul
sostegno di una curva in Ω. Ora, se z = x + i0, allora vale

sin2 z + cos2 z = 1

e le funzioni a destra e a sinistra dell’uguaglianza sono olomorfe su C. Dunque


l’eguaglianza vale per ogni z in C.

Esempio 58 Torniamo ad esaminare la primitiva di 1/z, in una regione di


Jordan Ω come in figura.
66 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Figura 1.12:
2

1.5
y


0.5

0
x

−0.5

−1

−1.5

−2
−2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2

La primitiva che si è indicata con L(z) al paragrafo 1.9.3 coincide con Logz
nel primo/secondo quadrante, e quindi ivi verifica
eL(z) = z .
Per il Principio di permanenza, tale uguaglianza vale ovunque L(z) è definita
e quindi anche nel terzo quadrante. Dunque, nei punti del terzo quadrante
essa è uguale a
log |z| + i[Argz + 2kπ]
per un qualche valore di k che certamente non è 0, perché Logz è discontinuo
quando z traversa l’asse reale negativo, mentre L(z) è continua. Dunque L(z)
passa dai valori di una determinazione del logaritmo a quelli di un’altra.

L’applicazione del teorema precedente richiede una certa cautela. Suppo-


niamo che f (z) e g(z) siano olomorfe su due regioni Ω1 ed Ω2 tra loro diverse,
ma con intersezione non vuota e supponiamo che f (z) e g(z) siano uguali
sul sostegno di una curva contenuta in Ω1 ∩ Ω2 . Il Teorema precedente NON
implica che le due funzioni debbano essere uguali su Ω1 ∩ Ω2 . Implica che
debbano essere uguali soltanto sulla componente connessa di Ω1 ∩ Ω2 che con-
tiene il sostegno della curva. E’ importante notare questo nella dimostrazione
del teorema seguente che permette di chiarire una stranezza delle funzioni di
variabile reale. Per illustrarla, consideriamo la serie di Taylor
+∞
X xn
log (1 + x) = (−1)n+1 .
n=1 n
1.13. ANALITICITÀ DELLE FUNZIONI OLOMORFE 67

Questa serie ha raggio di convergenza 1 e si capisce che il raggio non possa


superare 1 perché per x = −1 la funzione non è definita.
Consideriamo invece la serie di Taylor
+∞
X
1
= (−1)n x2n .
1 + x2 n=0

Anche questa serie ha raggio di convergenza 1 nonostante che la funzione


somma abbia estensione di classe C ∞ su R e, guardando le cose soltanto sulla
retta reale, non si capisce perché il raggio di convergenza non possa superare 1.
Ciò si capisce esaminando la funzione 1/(1 + z 2 ) sul piano complesso: essa non
è definita per x = ±i. Quest’osservazione ha una validità generale. Infatti, il
teorema seguente mostra che la convergenza di una serie di Taylor sul piano
complesso trova solamente ostacoli nelle singolarità della funzione.
Per chiarire meglio questo punto, chiamiamo punto regolare per la funzio-
ne f (z) un punto z0 interno alla regione Ω su cui f (z) è olomorfa; diciamo che
z0 è una singolarità eliminabile se z0 appartiene alla chiusura di Ω e se f (z)
ammette estensione olomorfa ad un intorno di z0 (il punto z0 stesso incluso).
Ogni altro punto della frontiera di Ω si dirà punto singolare di f (z).
Si noti che un punto z0 che è una singolarità eleminabile per f (z) è un
punto regolare per l’estensione olomorfa di f (z). Per questo non useremo il
termine “singolarità” (senza aggettivo) per indicare le singolarità eliminabili.

P
Teorema 59 Sia f (z) = +∞ n
n=0 fn (z − z0 ) una serie di Taylor con raggio di
convergenza R > 0. Esiste un punto singolare z̃ tale che |z̃ − z0 | = R.

Dim. La dimostrazione si fa per assurdo. Sia D il disco di convergenza e


sia C la sua circonferenza. Sia w un punto di C. Se w non è singolare, si
trova un disco Dw di centro w e una funzione g(z) tale che g(z) è olomorfa
in Dw e coincide con f (z) in D ∩ Dw . Se nessun punto della frontiera di D è
singolare, si costruisce in questo modo una copertura della circonferenza C, che
è compatta. Dunque, per il Teorema di Heine-Borel, si trova un numero finito
di dischi D1 = Dw1 , D2 = Dw2 ,. . . ,Dn = Dwn che coprono C. Ordiniamoli in
modo che i loro centri si susseguano per esempio in verso antiorario.
Sia gi (z) la funzione che abbiamo definita sul disco Di .
Due dischi consecutivi Di e Di+1 hanno una parte comune su cui sono
definite sia gi che gi+1 . Queste due funzioni coincidono ambedue con f (z) in
(Di ∩ Dj ) ∩ D e quindi coincidono ovunqe su Di ∩ Dj perchè esso è un insieme
connesso.
68 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Sia ora φ(z) la funzione definita su Ω = D ∪ (∪Di ) da:


(
f (z) su D
φ(z) =
gi (z) su Di .

Come abbiamo visto, la funzione φ(z) è olomorfa su Ω.


Sviluppiamo questa funzione in serie di potenze di centro z0 . Ovviamente,
si ritrova la stessa serie di potenze di f (z). Per il Teorema 48, il raggio di
convergenza della serie cosı̀ ottenuta è maggiore di R e ciò non può darsi.
Dunque, almeno uno dei punti di C è singolare per f (z).

1.14 Il teorema di Morera e il principio di


riflessione di Schwarz
Il Teorema di Morera inverte il teorema di Cauchy.

Teorema 60 (di Morera ) Sia Ω una regione qualsiasi e supponiamo che


f (z) sia continua su Ω. Supponiamo che su ogni poligono P valga
Z
f (z) dz = 0 . (1.28)
P

Allora, la funzione f (z) è olomorfa su Ω.

Dim. Si sa che se vale la condizione (1.28) allora la funzione f (z) ammette


una primitiva F (z), ossia si sa che esiste una funzione olomorfa F (z) definita
su Ω e tale che
F 0 (z) = f (z) .
Si sa che le derivate delle funzioni olomorfe sono esse stesse olomorfe (si veda
il Teorema 49) e quindi f (z) è olomorfa.
Il principio di riflessione di Schwarz, la cui dimostrazione usa il Teorema
di Morera, permette di estendere funzioni olomorfe, in modo da conservare
l’olomorfia, in presenza di opportune proprietà di simmetria. Noi presentiamo
la forma più semplice di tale principio.
Se Ω è una regione, poniamo

Ω∗ = {z | z̄ ∈ Ω} .

Dunque, Ω∗ è ottenuta da Ω mediante riflessione rispetto all’asse reale. In


particolare, Ω = Ω∗ quando Ω è simmetrica rispetto all’asse reale.
1.14. IL TEOREMA DI MORERA E IL PRINCIPIO DI RIFLESSIONE DI SCHWARZ 69

Sia f (z) olomorfa su Ω e sia

g(z) = f (z̄) .

Ovviamente, g(z) è continua su Ω∗ . Mostriamo che è anche olomorfa, facendo


vedere che la sua derivata è funzione continua di z. Ciò si vede come segue:
sia z ∈ Ω∗ , cosı̀ che z̄ ∈ Ω. Si ha:
" #
f (z + h) − f (z̄) f (z̄ + h̄) − f (z̄)
lim = lim = f 0 (z̄) ,
h→0 h h→0 h̄

funzione continua di z.
Supponiamo ora Ω = Ω∗ , che f (z) sia olomorfa su Ω e e che prenda valori
reali sull’asse reale. Allora,
g(z) = f (z̄)
è olomorfa e coincide con f (z) sull’asse reale e quindi coincide con f (z) ovun-
que, si veda il Teorema 57. Dunque, f (z) gode della seguente proprietà di
simmetria:
f (z̄) = f (z) .
Invertiamo questa costruzione per ottenere un teorema di estensione:

Teorema 61 (principio di riflessione di Schwarz ) Sia Ω una regione con-


tenuta in Im z > 0 e sia f (z) olomorfa su Ω. Supponiamo che f (z) sia anche
continua su Ω ∪ {z ∈ ∂Ω , Im z = 0} e che ivi prenda valori reali. In tal caso
la funzione

 f (z) se z ∈ Ω ∪ {z ∈ ∂Ω , Im z = 0}
g(z) = 
f (z̄) se z ∈ Ω∗

è olomorfa.

Dim. Illustriamo l’idea della dimostrazione, senza entrare in tutti i dettagli


del calcolo. La funzione g(z) è definita e continua sulla regione

Ω ∪ Ω∗ ∪ {z ∈ ∂Ω Im z = 0} .

Per ipotesi g(z) è olomorfa su Ω e si è già notato che è olomorfa su Ω∗ .


Dobbiamo provare che essa è anche olomorfa sui punti interni all’insieme

{z ∈ ∂Ω , Im z = 0} .
70 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Figura 1.13:
2

1.5
y

1 P+ε

0.5

0
x

−0.5

P−ε
−1

−1.5

−2
−2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2

Per mostrare l’olomorfia, usiamo il teorema di Morera. Sia P un qualsiasi


poligono nel dominio di g(z). Siano P²+ , P²− i due poligoni in figura,
ottenuti “tagliando” P a distanza ², sopra e sotto l’asse reale. L’integrale di
g(z) lungo P²+ e lungo P²− è nullo.
Quando ² tende a zero,
½Z Z ¾ Z
0 = lim +
g(z) dz + −
g(z) dz = g(z) dz
²→0 P² P² P

dato che gli integrali sui segmenti paralleli tendono ad elidersi.


L’arbitrarietà di P prova che g(z) è olomorfa sul suo dominio.

1.15 Teoremi di Weierstrass e di Montel


I due teoremi di Weierstrass e di Montel riguardano successioni di funzioni.

Teorema 62 (di Weierstrass ) Sia (fn (z)) una successione di funzioni olo-
morfe sulla medesima regione Ω e supponiamo che (fn (z)) converga ad una
funzione f (z) uniformemente sui compatti di Ω. In tal caso, f (z) è olomorfa
e inoltre vale
f 0 (z) = lim fn0 (z) ,
anche tale limite essendo uniforme sui compatti.
1.15. TEOREMI DI WEIERSTRASS E DI MONTEL 71

Dim. Per provare che f (z) è olomorfa basta lavorare localmente, nell’intorno
D di ciascun punto z di Ω. In tale intorno si usa il teorema di Morera. Notiamo
prima di tutto che f (z) è continua, come limite uniforme di una successione
di funzioni continue. Sia P un poligono in D. La successione (fn (z)) converge
ad f (z) uniformemente su P e quindi
Z Z
f (z) dz = lim fn (z) dz .
P P

Ciascuno degli integrali a destra è nullo perché ciascuna funzione fn (z) è


olomorfa e D è una regione di Jordan. Dunque
Z
f (z) dz = 0
P

per ogni poligono P ed f (z) è olomorfa.


Fissiamo ora un compatto K ⊆ Ω. Vogliamo provare che (fn0 (z)) converge
uniformemente a f (z) su K.
Per il Teorema di Heine–Borel, il compatto K è coperto da un numero
finito di dischi, ciascuno dei quali è contenuto in Ω e quindi basta provare la
convergenza uniforme su ciascuno di tali dischi. Fissiamo l’attenzione su uno
di essi, che indichiamo con D̃ e sia D un disco con lo stesso centro di D̃ e
raggio maggiore, ancora contenuto in Ω. Sia C la circonferenza di D. Sapendo
già che f (z) è olomorfa, per ogni z ∈ D̃ vale

0 1 Z f (ζ) 1 Z fn (ζ)
f (z) = dζ = lim dζ = lim fn0 (z) ,
2πi C (ζ − z)2 2πi C (ζ − z)2

il limite essendo uniforme per z ∈ D̃.

Osservazione 63 Applicando questo teorema alle serie di potenze ed alle


serie di Laurent si trovano dimostrazioni dei teoremi 23 e 24. Si noti infatti
che la catena di argomenti che conducono al teorema di Weierstrass non fa uso
né delle serie di Taylor né delle serie di Laurent.

Il teorema di Montel è invece un teorema di compattezza. La dimostrazione


si basa sul Teorema di Ascoli-Arzelà, che si assume noto dai corsi di topologia.1
1
Conviene però ricordare le definizioni: sia (fn (x, y) ) una successione di funzioni continue
definite su K. La successione si dice uniformemente limitata se esiste un numero M tale
che |fn (x, y)| < M per ogni n e per ogni (x, y) ∈ K; si dice equicontinua se per ogni ² > 0
72 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Teorema 64 Una successione di funzioni continue di due variabili reali che è


uniformemente limitata ed equicontinua su un insieme compatto K ammette
una s.successione uniformemente convergente.

Usando questo risultato, possiamo provare:


Teorema 65 (di Montel ) Sia (fn (z)) una successione limitata di funzioni
olomorfe sulla regione Ω. Essa ammette una s.successione che è convergente
uniformemente sui compatti di Ω.
Dim. Si sa dai corsi di topologia che esiste una successione (Kr ) di s.insiemi
compatti di Ω tali che

Kr ⊆ int Kr+1 , ∪Kr = Ω .

Mostreremo che per ogni r si può estrarre dalla (fn (z)) una s.successione uni-
formemente convergente su Kr . Accettiamo per un attimo questo fatto e
mostriamo come si costruisce la s.successione cercata: si applica questo proce-
dimento a (fn (z)) e K1 e si costruisce una successione (fnk ,1 (z)) convergente
uniformemente su K1 . Non si conosce il comportamento di questa successione
fuori di K1 . Si applica quindi di nuovo il procedimento a (fnk ,1 (z)) e K2 , co-
struendo la successione (fnk ,2 (z)) uniformemente convergente su K2 (e quindi
anche su K1 ).
Si itera il procedimento e si sceglie come s.successione quella diagonale,
ossia quella delle funzioni (fnk ,k (z)), si ricordi la dimostrazione del teorema di
Ascoli-Arzelà.
Il procedimento descritto è riassunto dalla tabella seguente:

fn1 ,1 (z) fn2 ,1 (z) fn3 ,1 (z) fn4 ,1 (z) ...


fn1 ,2 (z) fn2 ,2 (z) fn3 ,2 (z) fn4 ,2 (z) ...
fn1 ,3 (z) fn2 ,3 (z) fn3 ,3 (z) fn4 ,3 (z) ...
..
.

In questa tavola:
esiste δ > 0 tale che per ogni n e per ogni coppia di punti (x, y) e (x0 , y 0 ) che distano meno
di δ si ha
|fn (x, y) − fn (x0 , y 0 )| < ² .
Il teorema di Ascoli-Arzelà è in realtà condizione necessaria e sufficiente, ma per il seguito
a noi interessa solo la parte esplicitamente enunciata.
1.16. IL PRINCIPIO DEL MASSIMO MODULO ED IL TEOREMA DI LIOUVILLE73

• alla prima riga c’è una s.successione della (fn (z)) e ciascuna riga riporta
una s.successione di quella che figura alla riga precedente.

• dunque la “successione diagonale” (fnr ,r ) è s.successione della (fn ).

• La successione che figura alla riga i–ma converge su Ki e quindi anche


su Kj , con j < i.

• la successione diagonale è s.successione di ciascuna (fni ,j ) (per ciascun


j), alterata nei soli primi elementi. E quindi essa converge su ciascun
insieme Kj .

Per concludere, basta mostrare come estrarre dalla (fn (z)) una s.successione
convergente su un assegnato compatto K. Per ipotesi, su K la successione
(fn (z)) è limitata, |fn (z)| < MK . Se si prova che anche la successione (fn0 (z))
è limitata allora la fn (z) è sia equilimitata che equicontinua e la s.successione
cercata esiste per il teorema di Ascoli-Arzelà.
La limitatezza di {fn0 (z)} si vede come segue. Sia P un poligono in Ω che
racchiude K. Per ogni z ∈ K vale
( )
1 Z f (ζ) LP maxP |fn (z)| 1
fn0 (z) = dζ ≤ · max < M̃ .
2πi P (ζ − z)2 2π ζ∈P,z∈K |ζ − z|2

1.16 Il principio del massimo modulo ed il teo-


rema di Liouville
Abbiamo visto che le funzioni olomorfe soddisfano al Teorema della media,

1 Z 2π
f (z0 ) = f (z0 + reit ) dt
2π 0
da cui segue
1
|f (z0 )| ≤ · 2π( max |f (z)|) :
2π |z−z0 |=r

Il massimo del modulo di f (z) su una circonferenza è al più uguale al numero


|f (z0 )|. In realtà può provarsi di più:

Teorema 66 (Principio del massimo modulo ) Sia f (z) olomorfa su una


regione Ω. Se la funzione |f (z)| ammette un punto di massimo relativo z0 che
appartiene ad Ω, allora la funzione f (z) è costante su Ω.
74 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Dim. Per il Lemma 12 basta provare che il modulo di f (z) è costante in un


intorno di z0 . Infatti in tal caso f (z) è costante in un intorno di z0 e quindi
anche su Ω. Se ciò non accade, in ogni disco di centro z0 esiste z tale che

|f (z)| < |f (z0 )| .

Sia z1 uno di tali punti e supponiamo che, inoltre, valga

{z | |z − z0 | < 2|z1 − z0 |} ⊆ Ω .

Sia γ la circonferenza parametrizzata da

z0 + |z0 − z1 |eit , 0 ≤ t ≤ 2π .

Il punto z1 appartiene a questa circonferenza e quindi, per la continuità di


|f (z)|, esiste ² > 0 ed esiste un arco della circonferenza su cui

|f (z0 + reit )| < |f (z0 )| − ² , φ 0 < t < φ1 .

Figura 1.14:
2.5

2 y

1.5

0.5

0
z1 x

−0.5 z0

−1

−1.5

−2

−2.5
−2.5 −2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5

Usiamo ora la formula della media come segue:


¯ Z 2π ¯
¯ 1 it
¯
¯
|f (z0 )| = ¯ f (z0 + re ) dt¯¯
2π 0
1.16. IL PRINCIPIO DEL MASSIMO MODULO ED IL TEOREMA DI LIOUVILLE75
¯ ¯ ¯ ¯
¯ 1 Z φ1 ¯ ¯ 1 Z ¯
¯ ¯ ¯
≤¯ f (z0 + reit ) dt¯ + ¯ f (z0 + reit ) dt¯¯
¯ 2π φ0 ¯ ¯ 2π t∈[φ
/ 0 ,φ1 ] ¯
½ ¾
1
≤ [φ1 − φ0 ][|f (z0 )| − ²] + [2π − (φ1 − φ0 )]|f (z0 )|

φ1 − φ0
≤ |f (z0 )| − ² < |f (z0 )|

e, ricordiamo, ² > 0. Ciò non può darsi e dunque f (z) ha modulo costante in
un intorno di z0 , e quindi è essa stessa costante su Ω.
Si noti che l’asserto analogo per il minimo non vale. Infatti, il modulo
della funzione f (z) = z ha minimo per z = 0, senza essere costante. Però,
applicando il principio del massimo modulo alla funzione g(z) = 1/f (z) si vede
immediatamente
Corollario 67 Sia f (z) olomorfa non costante e priva di zeri in Ω. Allora,
|f (z)| non raggiunge minimo in Ω.
Una conseguenza interessante di questi risultati è la seguente:
Teorema 68 Supponiamo che una curva di livello per |f (z)| sia una curva
semplice e chiusa. Allora f (z), se non è costante, ammette almeno uno zero
nella regione interna a γ.
Dim. Sia γ la curva di livello. Su γ vale

|f (z)| = c

e, dal principio del massimo, nei punti della regione interna vale

|f (z)| ≤ c .

Se c = 0 allora f (z) stessa è nulla. Sia quindi c > 0. Se la funzione non si


annulla nella regione interna a γ, anche il minimo del modulo viene assunto
so γ, ossia nella regione interna vale

c ≤ |f (z)| .

Dunque, |f (z)| è costante e quindi f (z) stessa è costante, per il Lemma 12.
Il principio del massimo si trasferisce dalle funzioni olomorfe alle loro parti
reali, ossia alle funzioni armoniche, come segue:
Teorema 69 Sia u(x, y) armonica non costante su Ω. Allora, u(x, y) non
raggiunge né massimo né minimo su Ω.
76 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Dim. Sia v(x, y) una funzione armonica coniugata di u(x, y) e consideriamo


la funzione olomorfa f (x + iy) = u(x, y) + iv(x, y).
Si applichi il principio del massimo modulo alla funzione olomorfa e mai
nulla
g(z) = ef (z) .
Si sa che |g(z)| non ammette né punti di massimo né punti di minimo e
|g(x + iy)| = eu(x,y) .
L’asserto segue per la monotonia dell’esponenziale su R.

Osservazione 70 Si noti che l’asserto relativo alle funzioni armoniche parla


di massimo e minimo della funzione, e non del suo modulo.

Supponiamo ora che una funzione f (z) sia olomorfa su C. Una tale funzione
si dice intera . Ovviamente il principio del massimo vale anche per le funzioni
intere, ma in tal caso può anche dirsi di più:
Teorema 71 (Teorema di Liouville ) Una funzione intera e limitata è co-
stante.
Dim. Una funzione intera ammette sviluppo di Taylor, per esempio di centro
0, e raggio di convergenza +∞,
+∞
X
f (z) = fn z n , ∀z ∈ C .
n=0

Si sa che
1 Z f (ζ)
fn = dζ
2πi CR ζ n+1
con CR circonferenza di centro l’origine e raggio R. Dunque su CR vale |ζ|n+1 =
Rn+1 . Di conseguenza, se |f (z)| < M per ogni z, vale
1 M M
|fn | ≤ · 2πR · n+1 = n .
2π R R
Questa diseguaglianza vale per ogni R e quindi
M
|fn | ≤ inf .
R>0 Rn

Se n > 0 l’estremo inferiore è nullo e quindi fn = 0 per ogni n > 0. Vale cioè
f (z) = f0 , costante.
Il teorema di Liouville è un teorema assai potente. Per esempio vedremo
più avanti come dedurne la conseguenza seguente:
1.17. LE SINGOLARITÀ ISOLATE 77

Corollario 72 Sia f (z) una funzione intera. Supponiamo che f (z) non pren-
da valori su un segmento. Allora, f (z) è costante.

Ora invece usiamolo per provare:

Teorema 73 (Teorema fondamentale dell’ algebra ) Sia p(z) un polino-


mio. Se il suo grado è positivo esso ammette zeri.

Dim. Se p(z) ha grado almeno 1 allora

1
lim = 0. (1.29)
|z|→+∞ p(z)

Se p(z) non si annulla, la funzione

1
f (z) =
p(z)

è intera e, per (1.29), limitata. Dunque costante. Il suo limite essendo nullo,
anche la funzione è identicamente zero. Ciò contrasta con la definizione di f (z),
perché f (z)p(z) = 1. Dunque p(z), se ha grado almeno 1, deve annullarsi.
Concludiamo notando che anche il teorema di Liouville si estende alle
funzioni armoniche, applicandolo alla funzione olomorfa

g(x + iy) = eu(x,y)+iv(x,y) .

Se la funzione armonica u(x, y) è definita per ogni (x, y) e limitata, la funzione


g(z) è intera e limitata e quindi costante; e quindi anche u(x, y) è costante:

Teorema 74 Una funzione u(x, y) armonica su R2 e limitata è costante.

1.17 Le singolarità isolate


Nella sezione 1.13 abbiamo definito i punti singolari di una funzione olomorfa.
Niente vieta che l’insieme dei punti singolari abbia punti di accumulazione.
Noi vogliamo ora studiare il caso in cui ciò non avviene, caso che può ridursi
al seguente: una funzione f (z) è olomorfa in un disco D, escluso il suo centro
z0 . In tal caso diremo che z0 è una singolarità isolata di f (z).
Caratterizziamo prima di tutto le singolarità eliminabili.
Ricordiamo che z0 è singolarità eliminabile se f (z) ha estensione olomorfa
ad un intorno di z0 .
78 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Teorema 75 (di Riemann ) Sia z0 una singolarità isolata di f (z). Il punto


z0 è singolarità eliminabile se e solo se la funzione |f (z)| è limitata in un suo
intorno.

Dim. Se f (z) ammette estensione olomorfa anche in z0 allora |f (z)| è limitato


in un intorno di z0 . Per provare il viceversa, introduciamo la funzione
(
0 se z = z0
h(z) = 2
(z − z0 ) f (z) altrimenti.

Questa funzione è continua in un disco D contenente z0 , incluso il punto z0


perché f (z) è limitata in un intorno di z0 . Proveremo che h(z) è olomorfa.
Accettando questo, notiamo che h(0) = 0 e che h0 (0) = 0, perchè f (z) è
limitata e quindi h(z) è infinitesima, per z → z0 , di ordine maggiore di 1.
Dunque h(z) è sviluppabile in serie di Taylor di centro z0 ,
+∞
X
h(z) = hn (z − z0 )n
n=0

con h0 = 0 e h1 = 0,
+∞
X
h(z) = (z − z0 )2 hn (z − z0 )n
n=2

Per z 6= z0 si trova quindi che


+∞
X
f (z) = g(z) , g(z) = hn (z − z0 )n ,
n=2

e g(z) è analitica anche in z0 . Dunque, il punto z0 è una singolarità eliminabile


di f (z).
Per completare la dimostrazione dobbiamo mostrare che h(z) è olomorfa2 .
Usiamo il Teorema di Morera: sia T un qualsiasi triangolo in D e mostriamo
che Z
h(z) dz = 0 .
T

Ciò è ovvio se T non racchiude z0 . Altrimenti, decomponiamolo in tre triangoli


con un vertice comune in z0 come nella figura 1.15 a sinistra.
Basta provare che l’integrale è nullo su ciascuno di essi.
2
non è difficile vedere che h(z) è ovunque derivabile, e quindi olomorfa per il Teorema 10.
Non avendo però provato questo risultato, non vogliamo usarlo.
1.17. LE SINGOLARITÀ ISOLATE 79

Figura 1.15:
y

2.5

2 y

1.5


0.5

0
x
x
−0.5

−1

−1.5

−2

−2.5
−2.5 −2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5

Si consideri uno di essi, indentato vicino al vertice z0 , come nella figura 1.15
a destra, mediante un “piccolo” triangolo T² . Sia ² il perimetro di T² e sia T²
il trapezio residuo. L’integrale di h(z) sul trapezio è nullo, e l’integrale sul
triangolo T² è maggiorato da
² max ||h(z)||

e questo tende a zero per ² → 0. Infatti, essendo f (z) limitata in un intorno


di z0 , anche h(z) lo è. Dunque,
Z ½Z Z ¾
h(z) dz = lim h(z) dz + h(z) dz = 0 .
T ²→0 T² T²

Ciò completa la dimostrazione.


Il teorema precedente mostra in particolare che se z0 è un punto singolare
(non una singolarità eliminabile) di f (z) allora
lim sup |f (z)| = +∞
z→z0

e suggerisce di studiare separatamente i due casi


lim |f (z)| = +∞ ,
z→z0

e in tal caso si dice che z0 è un polo di f (z), e il caso

limz→z0 |f (z)| non esiste.

In quest’ultimo caso si dice che z0 è singolarità essenziale di f (z).


Esaminiamo prima di tutto il caso del polo.
80 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Teorema 76 Un punto z0 è un polo per f (z) se e solo se esiste un intorno D


di z0 su cui la funzione f (z) si rappresenta come
+∞
X
f (z) = fn (z − z0 )n , (1.30)
n=−k

con k numero positivo.

Dim. E’ immediato verificare che se f (z) si rappresenta come richiesto, con k


numero positivo, allora limz→z0 |f (z)| = +∞. Viceversa, se z0 è un polo,

1
g(z) =
f (z)

tende a zero per z → z0 e quindi in z0 ha singolarità eliminabile. Si può quindi


scrivere, per z 6= z0 ,
+∞
X
g(z) = gn (z − z0 )n
n=k

e k > 0 perchè g(z) tende a zero per z → z0 .


Mettendo in evidenza (z − z0 )k ,

g(z) = (z − z0 )k φ(z)

con φ(z0 ) 6= 0 e quindi con 1/φ(z) olomorfa in un intorno di z0 , incluso z0 .


Dunque
+∞
X
1 1 1
f (z) = = φn (z − z0 )n
(z − z0 )k φ(z) (z − z0 )k n=0
e questa è la rappresentazione richiesta.
Il numero k in (1.30) si chiama ordine del polo, se f−k 6= 0. Si confronti
con la nota definizione di ordine di uno zero, come quel numero k > 0 per
cui
+∞
X
f (z) = fn (z − z0 )n
n=k

se fk 6= 0.
Passiamo ora a studiare il caso della singolarità essenziale. Ovviamente in
questo caso f (z) ha un comportamento “assai disordinato” quando z → z0 . Il
teorema seguente, di dimostrazione assai difficile, mostra che il comportamento
è il peggiore che si possa immaginare:
1.17. LE SINGOLARITÀ ISOLATE 81

Teorema 77 (di Picard ) Sia z0 una singolarità essenziale di f (z) e sia D


un disco di centro z0 . L’immagine di D mediante f (z) è uguale a tutto C,
escluso al più un numero.
Non possiamo provare questo teorema, ma possiamo provarne una versione
più semplice:
Teorema 78 (di Casorati-Weierstrass ) Sia z0 singolarità essenziale di
f (z) e sia D un disco di centro z0 . L’immagine di D è densa in C.
Dim. Per assurdo, sia f (D) non denso in C. In tal caso esiste un punto w
che non è di accumulazione per f (D). Il punto w può appartenere o meno ad
f (D). Studiamo prima di tutto il caso in cui w ∈ f (D).
Se w = f (z1 ), z1 ∈ D, allora

w = lim f (zn )

per ogni successione (zn ) tendente a z1 . Ma, w non è di accumulazione per


l’insieme dei numeri {f (zn )} e quindi si ha f (zn ) = w per ogni n (escluso un
numero finito al più). Dal teorema 57 segue che f (z) è costante e quindi che
z0 è singolarità eliminabile.
Studiamo ora il caso in cui w ∈/ f (D). In tal caso esiste r > 0 tale che

|f (z) − w| > r ∀z ∈ D

e quindi la funzione olomorfa


1
g(z) =
f (z) − w
verifica
1
|g(z)| <.
r
Essa ha quindi una singolarità eliminabile in z0 e quindi
+∞
X
k
g(z) = (z − z0 ) gn (z − z0 )n , g0 6= 0 ,
n=0

si veda il Teorema 75. Dunque,


1
f (z) = w + φ(z)
(z − z0 )k
con φ(z) olomorfa in D (incluso il punto z0 ). Dunque, f (z) ha in z0 una
singolarità eliminabile, se k = 0, oppure un polo.
82 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Esempi di funzioni con singolarità essenziali sono forniti in particolare dal-


le serie di Laurent convergenti in un disco privato del suo centro, come per
esempio
+∞
X 1 1
1/z
e = n
.
n=0 n! z

Infatti, sappiamo che sia nel caso del polo che della singolarità eliminabile
il corrispondente sviluppo in serie di potenze ha al più un numero finito di
potenze negative. Mostreremo che questo caso è del tutto generale:

Teorema 79 Sia z0 una singolarità isolata di f (z). Se z0 è singolarità essen-


ziale di f (z) allora vale
n=+∞
X
f (z) = fn (z − z0 )n
n=−∞

e la serie converge in un intorno di z0 , privato del punto z0 .

Invece di provare direttamente questo teorema, è conveniente dedurlo dallo


studio di un caso più generale.

1.18 Formula di Laurent


Ricordiamo che la formula integrale di Cauchy è immediata conseguenza del
teorema di Cauchy e che questo vale per funzioni olomorfe in regioni di Jor-
dan. Abbiamo però esteso il teorema di Cauchy a regioni di forma Ωγ1 − Ωγ2 ,
delimitate da due curve di Jordan. Si ha in tal caso
Z Z
f (z) dz = f (z) dz (1.31)
γ1 γ2

se γ1 e γ2 sono come nella figura 1.16, a sinistra.


Ricordiamo brevemente la dimostrazione, che poi useremo per estendere
la formula integrale di Cauchy. Si considera la curva γ² della figura 1.16, a
destra (per evitare complicazioni supponiamo che γ1 e γ2 siano semplici cosı̀
che anche γ² si può segliere semplice). Per essa vale
Z
f (z) dz = 0 .
γ²

Al limite per ² tendente a zero si trova che vale (1.31).


1.18. FORMULA DI LAURENT 83

Figura 1.16:
1.5 1.5

1 y 1 y

γ2
0.5 0.5

0 0
x x
γ1

−0.5 −0.5

−1 −1
γε

−1.5 −1.5
−1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5

Sia ora z un punto della regione interna a γ² . Si può scrivere la formula


integrale di Cauchy
1 Z f (ζ)
f (z) = dζ
2πi γ² ζ − z
(si ricordi, curva semplice). Al limite per ² → 0 questa uguaglianza si riduce a

1 Z f (ζ) 1 Z f (ζ)
f (z) = dζ − dζ . (1.32)
2πi γ2 ζ − z 2πi γ1 ζ − z

Osservazione 80 Si noti che abbiamo scritto un segno R


“−” di fronte al se-
condo integrale perché per convenzione il simbolo γ indica l’integrale sulla
curva percorsa in verso positivo, mentre il secondo integrale si calcola sulla γ1
percorsa in verso negativo.

Applichiamo la formula (1.32) al caso in cui f (z) è olomorfa in una corona


circolare di centro z0 , come in figura 1.17.
In questo caso per γ1 e γ2 si scelgono due circonferenze concentriche di
centro z0 e la (1.32) mostra che

f (z) = f2 (z) − f1 (z)

con
1 Z f (ζ) 1 Z f (ζ)
f2 (z) = dζ , f1 (z) = dζ .
2πi γ2 ζ − z 2πi γ1 ζ − z
84 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Figura 1.17:
1

0.8

0.6

0.4

0.2

−0.2

−0.4

−0.6

−0.8

−1
−1 −0.5 0 0.5 1

La f2 (z) si sviluppa in serie di Taylor, esattamente come si è già visto al


paragrafo 1.13:

1 Z f (ζ)
f2 (z) = =
2πi γ2 ζ − z0 + z0 − z
à !
1 Z 1 f (ζ) 1 Z f (ζ) +∞ X z − z0 n
dζ = dζ
2πi γ2 ζ − z0 1 − z−z 0
ζ−z0
2πi γ2 ζ − z0 n=0 ζ − z0
à !
+∞
X 1 Z f (ζ)
= dζ (z − z0 )n .
n=0 2πi γ2 (ζ − z0 )n+1

Si noti che questo calcolo si giustifica perché


¯ ¯
¯z − z ¯
¯ 0¯
¯ ¯<1
¯ ζ − z0 ¯

dato che ζ appartiene a γ2 , la circonferenza il cui disco contiene la corona


circolare.
Un argomento analogo si applica all’espressione della f1 (z), ma tenendo
conto ora del fatto che ζ è sulla circonferenza γ1 che lascia fuori la corona
circolare e quindi ora
¯ ¯
¯ζ − z ¯
¯ 0¯
¯ ¯ < 1.
¯ z − z0 ¯
1.18. FORMULA DI LAURENT 85

Dunque,

1 Z f (ζ) 1 Z 1 f (ζ)
f1 (z) = = · dζ
2πi γ1 ζ − z0 + z0 − z 2πi γ1 z0 − z 1 − ζ−z 0
z−z0
µ ¶Z Ã !
1 1 X ζ − z0 n
+∞
= − f (ζ) dζ
2πi z − z0 γ1 n=0 z − z0
µ ¶
+∞
X 1 1 Z 1
=− n+1
f (ζ)(ζ − z0 )n dζ .
n=0 (z − z0 ) 2πi γ1 (z − z0 )n+1

Ora notiamo che, per la formula (1.31), il valore degli integrali non muta
se γ1 e γ2 vengono sostituite da una qualunque circonferenza C di centro z0 e
contenuta nella corona circolare. Tenendo conto di ciò, scriviamo
µ ¶
+∞
X 1 Z 1
−f1 (z) = f (ζ)(ζ − z0 )n dζ
n=0 2πi γ1 (z − z0 )n+1
µ ¶
+∞
X 1 Z 1
= f (ζ)(ζ − z0 )n dζ
n=0 2πi C (z − z0 )n+1

+∞
1 Z 1

= (ζ − z0 )n−1 f (ζ) dζ
n=1 2πi C (z − z0 )n
à !
−1
X 1 Z f (ζ)
= dζ (z − z0 )n .
n=−∞ 2πi C (ζ − z0 )n+1

Sommando f2 (z) e −f1 (z) si trova infine


à !
+∞
X 1 Z f (ζ)
f (z) = dζ (z − z0 )n . (1.33)
n=−∞ 2πi C (ζ − z0 )n+1

Questa formula, valida quando f (z) è olomorfa in una corona circolare, si


chiama formula di Laurent .
Argomenti del tutto analoghi a quelli incontrati nella dimostrazione del
Teorema 59 mostrano che la funzione f (z) ha punti singolari sulla circonferenza
esterna della regione di convergenza e anche su quella interna, se essa non è
ridotta ad un solo punto. Se la corona di convergenza si riduce ad un disco
privato del suo centro z0 allora la formula di Laurent vale, ma il punto z0
potrebbe essere una singolarità eliminabile. Comunque sia, abbiamo provato:

Teorema 81 Una funzione olomorfa f (z) di cui z0 è singolarità isolata, am-


mette una serie di Laurent di centro z0 il cui raggio di convergenza r vale 0.
86 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Osservazione 82 Osserviamo che una funzione olomorfa ammette un’unica


serie di Taylor di centro un punto z0 . Essa però può ammettere più serie di
Laurent convergenti in corone circolari diverse, ma con lo stesso centro. Per
esercizio, si calcolino le serie di Laurent della funzione
1
f (z) =
z(z − 1)(z + 2)
di centro z0 = 0.

Sappiamo già che se la funzione ha in z0 una singolarità eliminabile, allora


la serie è di Taylor, mentre se z0 è un polo allora la serie di Laurent è troncata
da sotto. Dunque:
Teorema 83 sia z0 una singolarità isolata della funzione olomorfa f (z). La
singolarità isolata z0 è punto singolare essenziale se e solo se la serie di Laurent
di f (z) che converge in un disco di centro z0 privato del centro ha infiniti
termini di esponente negativo.
Concludiamo con un’osservazione concernente il coefficiente f−1 della serie
di Laurent (1.33). Per esso vale
1 Z
f−1 = f (ζ) dζ .
2πi C
Quindi, se si riesce a sviluppare una funzione in serie di Laurent, allora è
immediato il calcolo di tale integrale, e anche di altri integrali ad esso correlati.

Esempio 84 Consideriamo funzione


1
f (z) = ,
1−z
che è già in forma di serie di Laurent di centro z0 = 1. Se C è la circonferenza
di raggio 2 e centro 0 si trova:
Z
f (ζ) dζ = −2πi .
C

Come altro esempio, consideriamo la funzione


+∞
X 1 1
f (z) = e1/z = n
.
n=0 n! z

In questo caso si vede che f−1 = 1.


1.18. FORMULA DI LAURENT 87

Sia C una circonferenza di centro z0 , singolarità isolata di f (z). Il numero


1 Z
f−1 = f (ζ) dζ
2πi C

si chiama il residuo della funzione f (z) in z0 .


Il residuo di f (z) in z0 si indica col simbolo

Res(f, z0 ) .
88 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

1.19 Singolarità e zeri ad infinito


Nello studio del limite di una funzione olomorfa f (z) per z tendente a +∞
conviene usare una terminologia analoga a quella che si usa per z → z0 . Ciò
si fa introducendo la funzione

g(z) = f (1/z)

e dicendo che f (z) ha ad infinito una singolarità isolata se ciò accade per g(z)
in z0 = 0; e parlando di singolarità eliminabile, polo o singolarità essenziale, a
seconda del comportamento di g(z) in z0 = 0. La serie di Laurent di f (z) ad
infinito si costruisce a partire dalla serie di Laurent di g(z) a 0. Se
+∞
X
g(z) = gn zn
n=−∞

allora la serie di Laurent


+∞
X
fn z n , fn = g−n , (1.34)
n=−∞

si chiama la serie di Laurent di f (z) ad infinito. Dunque, se infinito è una


singolarità essenziale di f (z) allora la sua serie di Laurent ha infiniti termini
con esponente positivo. Se infinito è un polo allora la serie (1.34) ha solo un
numero finito di termini con esponente positivo. Si ha invece una singolarità
eliminabile ad infinito quando fn = 0 per n > 0.
Chiameremo residuo ad infinito il numero3
µ ¶
1 Z 1
Res(f, ∞) = − f (ζ) dζ = −Res 2 g(z), 0 .
2πi C z
In questo caso C è una circonferenza di centro 0 e raggio cosı̀ grande da
racchiudere tutte le singolarità “al finito” di f (z). Dunque,

Res(f, ∞) = −f−1 .

Si noti quindi che il residuo ad infinito può essere non nullo anche se infinito è
una singolarità rimuovibile.
Sia ora z0 ∈ C un polo di f (z). Si sa che si può scrivere
−1
X
f (z) = fn (z − z0 )n + φ(z)
n=−r

3
come sempre il verso di percorrenza su C è quello positivo, ossia antiorario.
1.19. SINGOLARITÀ E ZERI AD INFINITO 89

con φ(z) regolare in z0 . La funzione razionale


−1
X
fn (z − z0 )n
n=−r

si chiama la parte principale di f nel polo z0 .


Se infinito è un polo, la funzione f (z) è in particolare olomorfa per |z| > R
con R sufficientemente grande e quindi, per |z| > R,
k
X
f (z) = fn z n + ψ(z)
n=0

con ψ(z) olomorfa (e nulla) ad infinito. In questo caso, il polinomio


k
X
fn z n
n=0

si chiama la parte principale di f ad infinito.


Sia ora f (z) una funzione che ha solo singolarità polari sia al finito che
all’infinito. Allora i poli sono in numero finito N e se Pm (z) è la parte principale
dell’m–mo polo,
N
X
f (z) − Pm (z)
m=1
è intera e nulla ad infinito, ossia, per il Teorema di Liouville, è identicamente
zero. Si ha dunque:
Teorema 85 Una funzione analitica le cui singolarità, al finito ed all’infinito,
sono poli, è razionale.
Sia quindi f (z) una funzione razionale e sia R un raggio cosı̀ grande che
la circonferenza CR di centro 0 e raggio R racchiuda tutti i poli al finito.
Consideraimo i due integrali
1 Z 1 Z
f (z) dz , − f (z) dz .
2πi CR 2πi CR
L’integrale di sinistra è la somma dei residui nei poli al finito mentre quello di
destra è il residuo ad infinito. Dunque:
Teorema 86 La somma dei residui in tutti i poli (al finito e ad infinito) di
una funzione razionale è nulla.
Se la serie di potenze (1.34) non ha termini con esponente positivo, diremo
che la funzione f (z) ha estensione olomorfa ad infinito, in particolare diremo
che ha uno zero ad infinito se essa ha solamente termini con esponente negativo.
E il primo di essi che è non nullo individua l’ordine dello zero.
90 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

1.20 Il metodo dei residui


Sia Ω una regione in cui f (z) è analitica, a parte che nei punti singolari isolati
zn , in numero finito o meno. Sia γ una curva semplice e chiusa in Ω, che non
incontra punti singolari di f (z). Si noti che γ racchiude al più un numero finito
di punti singolari perché questi, essendo isolati, possono solo accumularsi su
punti di ∂Ω.
Una semplice iterazione della formula (1.31) mostra che vale
Z XZ
f (z) dz = f (z) dz
γ Ci

ove Ci sono circonferenze centrate nei punti singolari zi ∈ Ωγ di f (z), cosı̀


piccole da non debordare da Ωγ e da non intersecarsi l’una con l’altra. La
sommatoria è estesa ai punti singolari zi ∈ Ωγ . Dunque:
Teorema 87 (dei residui) Sia γ una curva semplice e chiusa in Ω, che non
incontra i punti singolari di f (z). Alora vale
Z X
f (z) dz = 2πi Res(f, zi ) ,
γ

la somma essendo estesa ai soli punti singolari che sono racchiusi da γ.


Questo teorema è particolarmente importante per il calcolo di integrali
impropri di funzioni di variabile reale. E’ opportuna una premessa.

Premessa sugli integrali impropri


Sia f (z) una funzione di variabile reale che, per semplicità, assumiamo conti-
nua. Per definizione,
Z +∞ Z 0 Z T
f (x) dx = lim f (x) dx + lim f (x) dx .
−∞ S→−∞ −S T →+∞ 0

L’integrale improprio esiste quando ambedue i limiti esistono finiti.


Si chiama valore principale dell’integrale improprio il numero
Z T
lim f (x) dx .
T →+∞ −T

E’ ovvio che se l’integrale improprio esiste allora esiste anche il suo valore principale
ed essi coincidono; ma il valore principale può anche esistere senza che esista
l’integrale improprio, come si vede considerando la funzione
f (x) = sin x .
1.20. IL METODO DEI RESIDUI 91

Essendo la funzione dispari il valore principale è nullo, mentre l’integrale


improprio non esiste.
Il metodo dei residui può spesso usarsi per il calcolo del valore principale
di un integrale improprio, mentre frequentemente si richiede il valore dell’inte-
grale improprio stesso. Dunque prima di usare il metodo dei residui per il calcolo
di un integrale improprio, è necessario accertarsi che questo esista.
Un caso in cui nessuna verifica preliminare è richiesta è il caso di una
funzione pari,
f (x) = f (−x) .
In tal caso Z 0 Z T
f (x) dx = f (x) dx
−T 0
e quindi l’integrale improprio esiste se e solo se esiste il suo valore principale.

1.20.1 Calcolo di integrali impropri


Mostriamo un esempio semplice:
Esempio 88 Sia f (x) = 1/(1 + x2 ). Si sa che questa funzione ammette
integrale improprio e che Z +∞
f (x) dx = π .
−∞
Mostriamo come si possa ritrovare questo valore usando il metodo dei residui.
La funzione f (x) è la restrizione all’asse reale della funzione
1 1 i 1 i
f (z) = 2
=− +
1+z 2z −i 2z +i
e quindi
i
Res(f, i) = − .
2
Integriamo la funzione f (z) sulla curva in figura 1.18
L’integrale è
Z R Z
1 1
2
dx − dz = 2πiRes(f, i) = π .
−R 1+x ΓR 1 + z 2

Passando la limite per R → +∞ si trova


Z +∞ Z
1 1
dx = π + lim dz .
−∞ 1 + x2 R→+∞ ΓR 1 + z 2

Il risultato segue da qui se possiamo provare che l’ultimo limite è nullo.


92 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Figura 1.18:
1.6

1.4 y

1.2

0.8

0.6

0.4

0.2

0
x
−0.2

−0.4
−1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5

Questo semplice esempio mostra che, per poter usare facilmente il metodo
dei residui per il calcolo di integrali impropri, dovremo dare metodi efficienti
per il calcolo dei residui; e dovremo dare criteri che assicurano che gli integrali
su opportune semicirconferenze tendono a zero quando il raggio tende a +∞.
Al secondo problema rispondono i due risultati seguenti:

Lemma 89 (del grande cerchio ) Sia f (z) analitica su C salvo che nei
punti singolari zn , in numero finito o meno. Se però {zn } è infinito, sia

lim |zn | = +∞ .

Siano Rn raggi tali che Rn 6= |zk | per ogni n e per ogni k,

lim Rn = +∞ .

Se esistono numeri positivi M ed ² per cui

M
|f (z)| < per |z| = Rn ,
|z|1+²

allora vale Z
lim f (z) dz = 0 .
|z|=Rn
1.20. IL METODO DEI RESIDUI 93

Dim. La dimostrazione è immediata, notando che


¯Z ¯
¯ ¯ M
¯ ¯
¯
¯ |z|=Rn
f (z) dz ¯ ≤ 2πR · 1+²
¯ R

e il membro destro tende a zero.


Questo lemma si applica facilmente al caso dellEsempio 88.

Osservazione 90 Si noti:

• se il lemma del grande cerchio si vuol applicare per integrare per esempio
su una semicirconferenza nel semipiano superiore, allora basta supporre
che le condizioni valgano per <e z > −σ con σ > 0;

• la disuguaglianza |f (z)| < [M/|z|1+² ] vale anche per ogni z = x reale e


quindi nelle ipotesi del Lemma del grande cerchio, l’integrale improprio
di f (x) esiste.

Il secondo risultato si applica quando si devono calcolare integrali di funzioni


della forma
f (z)eiωz
lungo semicirconferenze nel semipiano Im z > 0 quando ω > 0, nel semipiano
Im z < 0 quando ω < 0.
Indicando con ΓR la semicirconferenza in figura 1.19, si ha

Lemma 91 (di Jordan ) Sia f (z) analitica con sole singolarità isolate in
Im z > 0. Supponiamo inoltre

lim f (z) = 0 , (1.35)


|z|→+∞

il limite essendo calcolato nel semipiano Im z ≥ 0. Sia ω > 0. Il tal caso,


Z
lim eiωz f (z) dz = 0 .
R→+∞ ΓR

La dimostrazione è posposta.

Osservazione 92 Si noti:

• Dalla condizione (1.35) segue che f (z) ha solamente un numero finito di


punti singolari in Im z > 0.
94 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Figura 1.19:
1.6

1.4 y

1.2

0.8

ΓR
0.6

0.4

0.2

0
x
−0.2

−0.4
−1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5

• Il lemma di Jordan permette di asserire che esiste il valore principale del-


l’integrale improprio di f (x). Niente dice sull’integrale improprio stesso.
Si confronti con l’Osservazione 90.

Esaminiamo ora il primo problema, di dare formule semplici per il calcolo


dei residui. Ciò è possibile nel caso in cui il punto singolare z0 è un polo. In
questo caso,
+∞
X
f (z) = fn (z − z0 )n , f−k 6= 0 .
n=−k

Da questa formula dobbiamo ricavare il coefficiente f−1 . E’ immediato vedere


che, se il polo ha ordine k,

1 dk−1 h k
i
f−1 = Res(f, z0 ) = z→z
lim (z − z 0 ) f (z) .
0 (k − 1)! dz k−1

Nel caso del polo di ordine 1 si trova in particolare

lim (z − z0 )f (z) .
z→z0

Quest’ultima espressione assume un aspetto ancora più semplice nel caso


particolare in cui la funzione è data in forma di quoziente,
n(z)
f (z) = .
d(z)
1.20. IL METODO DEI RESIDUI 95

Sia z0 un polo di ordine 1 di f (z) e supponiamo n(z0 ) 6= 0, cosı̀ che d(z) ha


uno zero semplice in z0 . In questo caso,
n(z) n(z0 )
lim (z − z0 )f (z) = lim (z − z0 ) = 0 .
z→z0 z→z0 d(z) d (z0 )

Dimostrazioni posposte
Dimostriamo il Lemma di Jordan.
Parametrizziamo ΓR come
ΓR : z(t) = Reit , 0≤t≤π
e sia Γ+ −
R la circonferenza ottenuta per t ∈ [0, π/2], ΓR quella ottenuta per
t ∈ [π/2, π]. Mostriamo
Z Z
lim +
eiωz f (z) dz = 0 , lim eiωz f (z) dz = 0 .
R→+∞ Γ R→+∞ Γ−
R R

Consideriamo il primo limite (il secondo si tratta in modo analogo). Sia


MR+ = max
+
|f (z)| .
ΓR

Per ipotesi,
lim MR+ = 0 .
R→+∞
Usando il lemma 28, stimiamo l’integrale come segue:
¯Z ¯ ¯Z ¯
¯ ¯ ¯ π/2 ¯
¯ iωz ¯ ¯ iωReit it it ¯
¯
¯ Γ+
e f (z) dz ¯=¯
¯ ¯ 0
e f (Re )iRe dt¯
¯
R
Z π/2 ¯ ¯ Z π/2
¯ ¯
≤ R ¯eiωR cos t−ωR sin t f (Reit )¯ dt ≤ RM (R) e−ωR sin t dt .
0 0

Ora notiamo che


− sin t ≤ −2t/π per 0 ≤ t ≤ π/2
e quindi
Z π/2 Z π/2
−ωR sin t 2π h i
R e dt ≤ R 1 − e−ωR/4
e−ωRt/2π dt =
0 0 ω
rimane limitato per R → +∞, perché ω > 0. Dunque,
Z π/2
lim M (R) e−ωR sin t dt = 0
R→+∞ 0

come si voleva.
L’integrale su Γ−
R si tratta in modo analogo.
96 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

1.20.2 Il Principio dell’argomento


Sia f (z) una funzione olomorfa in una regione Ω, nulla in un punto z0 ,

f (z) = (z − z0 )k φ(z) , φ(z0 ) 6= 0 .

Essendo
f 0 (z) = k(z − z0 )k−1 φ(z) + (z − z0 )k φ0 (z)
si vede che f 0 (z)/f (z) ha polo semplice, con residuo uguale a k, l’ordine dello
zero.
In modo analogo si vede che se

f (z) = (z − z0 )−k φ(z) , φ(z0 ) 6= 0

la funzione f 0 (z)/f (z) ha ancora un polo semplice in z0 , con residuo −k, es-
sendo k l’ordine del polo di f (z) in z0 . Dunque, se C è una circonferenza
(semplice) di centro z0 che non racchiude altri zeri o punti singolari di f (z)
oltre a z0 , si ha
(
1 Z f 0 (z) k se z0 è uno zero di ordine k
dz =
2πi C f (z) −k se z0 è un polo di ordine k.

Supponiamo ora che γ sia una curva semplice e chiusa in Ω, che non incon-
tra né zeri né punti singolari di f (z). Supponiamo inoltre che i punti singolari
siano poli. In tal caso,
1 Z f 0 (z)
dz = Z − P (1.36)
2πi γ f (z)
ove Z è la somma delle molteplicità degli zeri racchiusi da γ e P è la somma
delle molteplicità dei poli racchiusi da γ. Quest’affermazione va sotto il nome
di Principio dell’ argomento perché, cambiando la variabile di integrazione,

1 Z f 0 (z) 1 Z 1
dz = dζ
2πi γ f (z) 2πi γf ζ
ove γf è l’immagine di γ mediante f ,

γf : ζ = f (z(t)) , t ∈ [a, b] .

Dunque, il membro destro di (1.36) rappresenta l’indice della curva γf rispetto


all’origine ossia, intuitivamente, il numero dei giri che un punto mobile sulla
curva γf compie intorno all’origine: detto in modo intuitivo, la “variazione
dell’argomento” di ζ quando ζ percorre γf .
1.20. IL METODO DEI RESIDUI 97

1.20.3 I teoremi di Hurwitz e Rouché e della mappa


aperta
Il Principio dell’argomento è alla base di numerosi metodi grafici dell’ingegne-
ria ed ha importanti conseguenze teoriche. Tra queste proviamo i teoremi di
Hurwitz e di Rouché.
Teorema 93 (Teorema di Hurwitz ) Sia (fn (z)) una successione di fun-
zioni olomorfe su Ω, convergente ad f (z) uniformemente sui compatti di Ω.
Supponiamo che la funzione f (z) non sia identicamente nulla e che z0 sia uno
zero di f (z). In ogni intorno di z0 si annullano tutte le funzioni fn (z), a parte
un numero finito di esse. Inoltre, Sia D un intorno di z0 su cui f (z) si annulla
solo in z0 . Per n sufficientemente grande, il numero degli zeri di fn (z) in D,
contati tenendo conto della molteplicità, è uguale alla molteplicità dello zero
z0 di f (z).
Dim. Sia D un disco, intorno di z0 . Supponiamo che
D = {z | |z − z0 | < r} .
Sia C la circonferenza di D.
Si sa che gli zeri di f (z) sono isolati perché f (z) non è identicamente nulla
e quindi il raggio r si può scegliere in modo che f (z) non si annulli su C.
La convergenza di (fn (z)) ad f (z), uniforme su C, mostra che per n grande
anche fn (z) non si annulla su C. Dunque, il numero degli zeri può calcolarsi
applicando il Principio dell’argomento su C:
" #
1 Z fn0 (z) 1 Z f 0 (z)
lim dz = dz = N ≥ 1 .
n 2πi C fn (z) 2πi C f (z)
Dato che
1 Z fn0 (z)
dz
2πi C fn (z)
prende valori interi e il limite è N , la successione deve essere definitivamente
uguale a N . Ciò completa la dimostrazione.

Osservazione 94 Si noti che l’ipotesi f (z) non identicamente nulla non può
rimuoversi: la successione delle funzioni costanti
fn (z) = 1/n
converge uniformemente alla funzione nulla, e nessuna delle fn (z) ammette
zeri.
98 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Un secondo risultato importante mostra che gli zeri variano con continuità
perturbando la funzione.

Teorema 95 (Teorema di Rouché ) Siano g(z) ed h(z) funzioni olomorfe


in una regione di Jordan Ω e sia γ una curva semplice e chiusa in Ω.
Supponiamo che sul sostegno di γ valga la disuguaglianza stretta

|h(z)| < |g(z)| . (1.37)

In tal caso la somma delle molteplicità degli zeri di g(z) nella regione Ωγ
uguaglia la somma delle molteplicità degli zeri di g(z) − h(z), ancora in Ωγ .

Dim. Vediamo prima di tutto un argomento intuitivo, che però sarebbe lungo
giustificare completamente. Notiamo che
à " #! " #
h h
arg(g − h) = arg g 1 − = arg g + arg 1 − .
g g

La (1.37) mostra che ¯ ¯


¯ h(z) ¯
¯ ¯
¯ ¯ < 1,
¯ g(z) ¯

ossia che i punti


h
w =1−
g
hanno parte reale positiva. Dunque, la curva parametrizzata da (1 − h/g) non
gira intorno all’origine, e quindi, percorrendola, la variazione dell’argomento è
zero. Dunque, si intuisce che percorrendo γg−h l’argomento debba variare di
tanto quanto varia percorrendo γg . E quindi, le due funzioni g e g − h avranno
il medesimo numero di zeri racchiusi da γ.
Vediamo ora la dimostrazione rigorosa. Si noti che la disuguaglianza stret-
ta (1.37) implica che né g(z) né

ψ(z) = g(z) − h(z)

hanno zeri sul sostegno di γ. Possiamo quindi usare il Principio dell’argomento


e provare
Z Z 0
ψ 0 (z) g (z)
dz = dz
γ ψ(z) γ g(z)

ossia Z " 0 #
ψ (z) g 0 (z)
− dz = 0 .
γ ψ(z) g(z)
1.20. IL METODO DEI RESIDUI 99

Ora,

ψ 0 (z) g 0 (z) ψ 0 (z)g(z) − ψ(z)g 0 (z)


− =
ψ(z) g(z) g(z)ψ(z)
0 0
h(z)g (z) − h (z)g(z) φ0 (z)
= =
g(z)[g(z) − h(z)] φ(z)
ove
ψ(z) g(z) − h(z) h(z)
φ(z) = = =1− .
g(z) g(z) g(z)
Va quindi provato che
Z
φ0 (z)
dz = 0 . (1.38)
γ φ(z)
Di nuovo, quest’integrale ha senso perché né g(z) né h(z) si annullano su γ.
Da (1.37) si ha
|1 − φ(z)| < 1
sul sostegno di γ. Questa disuguaglianza ora mostra che la curva γφ ha sostegno
nel disco di centro 1 e raggio 1: non gira intorno all’origine e quindi l’integrale
in (1.38) è effettivamente nullo, come dovevamo provare.
Si ricordi ora il teorema di Brower: una funzione h(z) dal disco chiuso
{z | |z| ≤ 1} in sé che è continua, ammette un punto fisso; ossia, esiste un
punto z0 di norma minore o uguale ad 1, tale che h(z0 ) = z0 . Ripetiamo
che questo teorema vale sotto la sola ipotesi che f (z) sia continua, e la sua
dimostrazione è difficile. Se però h(z) è olomorfa e inoltre trasforma il disco
chiuso nel disco aperto, una semplice dimostrazione può dedursi dal Teorema
di Rouché:

Corollario 96 Sia h(z) olomorfa su una regione Ω che contiene {z | |z| ≤ 1}.
Supponiamo che
|z| ≤ 1 =⇒ |h(z)| < 1 .
Allora, la funzione h(z) ha un punto fisso z0 e uno solo. Inoltre, |z0 | < 1.

Dim. Si noti che se h(z0 ) = z0 allora

|z0 | = |h(z0 )| < 1 .

Dobbiamo provare l’esistenza di z0 , ossia dobbiamo provare che che la


funzione h(z) − z ha un unico zero. Confrontiamo h(z) con la funzione

g(z) = z ,
100 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

che ha un unico zero. Vale


|z| = 1 =⇒ |h(z)| < |z| = |g(z)|
e quindi g(z) = z e g(z) − h(z) = z − h(z) hanno il medesimo numero di zeri;
ossia h(z) = z ha esattamente una soluzione.
Diamo ora un’ulteriore dimostrazione del teorema fondamentale dell’alge-
bra.

Corollario 97 (Teorema fondamentale dell’ algebra ) Un polinomio di


grado n > 0 ha esattamente n zeri complessi.

Dim. L’ipotesi è che il polinomio ha grado n e quindi può scriversi come


z n + h(z) , h(z) = an−1 z n−1 + · · · + a1 z + a0 .
Il polinomio z n ha esattamente n zeri (si ricordi che nell’uso del principio
dell’argomento gli zeri vanno contati tenendo conto delle molteplicità).
Vale
h(z)
lim =0
|z|→+∞ z n

e quindi
|h(z)| < |z n |
su ogni circonferenza |z| = R, con R sufficientemente grande. Da qui l’asser-
to.
Illustriamo ora una ulteriore differenza importante tra le funzioni “regolari”
di una variabile reale, e quelle “regolari”, nel senso della variabile complessa.
Consideriamo la funzione
f (x) = x2 ,
da R in sé. Questa funzione, non costante, è analitica nel senso delle funzioni
di variabile reale (è addirittura un polinomio). Il suo dominio è un aperto
mentre la sua immagine non è aperta. Proviamo che nel caso delle funzioni
olomorfe ciò non può aversi:
Teorema 98 (della mappa aperta ) Una funzione olomorfa e non costan-
te trasforma aperti in aperti.
Dim. Ricordiamo che i punti di accumulazione degli zeri di una funzione
olomorfa su Ω e non identicamente nulla non si accumulano su punti di Ω.
Di conseguenza, anche l’insieme
{z | f (z) = w}
1.21. TRASFORMAZIONI CONFORMI 101

non ha punti di accumulazione in Ω, salvo nel caso in cui f (z) è costante.


Sia ora w0 un punto di f (Ω), z0 un punto per cui f (z0 ) = w0 e sia r > 0
tale che
D = {z | |z − z0 | < r} ⊆ Ω .
Avendo notato che f −1 (w0 ) non ha punti di accumulazione in Ω, si vede che,
per r abbastanza piccolo, f (z) 6= w0 se z ∈ D.
Vogliamo mostrare che w0 è interno a f (Ω).
Indichiamo con C la circonferenza |z − z0 | = r, cosı̀ che f (z) − w0 per
|z − z0 | ≤ r si annulla solo per z = z0 .
Sia

m = min |f (z) − w0 | > 0 , Dm = {w | |w − w0 | < m/2} .


C

Proviamo che Dm ⊆ Ω. Sia per questo w1 ∈ Dm e studiamo l’equazione

f (z) = w1 .

Scrivendo

f (z) − w1 = [f (z) − w0 ] + [w0 − w1 ] = g(z) − h(z)

si vede che su C vale


m
|w0 − w1 | = |h(z)| < < m < |f (z) − w0 | = |g(z)| .
2
Dunque, per il Teorema di Rouché, g(z) ed f (z)−w1 hanno il medesimo numero
di zeri racchiusi da C. Dato che per ipotesi g(z) = f (z) − w0 si annulla, anche
f (z) − w1 si deve annullare; ossia esiste z1 ∈ D ⊆ Ω tale che f (z1 ) = w1 , come
si voleva.
E’ conseguenza del teorema precedente che una trasformazione olomorfa
invertibile ha inversa continua.

1.21 Trasformazioni conformi


Ricordiamo che una trasformazione olomorfa f (z) tra due regioni Ω ed Ω0 è
conforme diretta se la sua derivata non si annulla. Conviene rinforzare que-
sta definizione, richiedendo che f (z) sia olomorfa, invertibile e con inversa
olomorfa. Si noti che se g(z), inversa olomorfa di f (z), esiste allora

g(f (z)) = z da cui g 0 (f (z))f 0 (z) = 1 (1.39)


102 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

e quindi f 0 (z) non si annulla. Si è imposto in più la biunivocità, proprietà che


la condizione f 0 (z) 6= 0 non assicura globalmente: la funzione f (z) = ez ha
derivata priva di zeri, pur essendo periodica.
Da ora in poi, parlando di trasformazione conforme tra due regioni Ω ed
0
Ω intenderemo sempre una trasformazione f (z) olomorfa e invertibile da Ω in
Ω0 , con inversa olomorfa e quindi con derivata non nulla.
Vogliamo prima di tutto studiare le trasformazioni conformi da D = {z | |z| <
1} in sé. E’ facile trovare alcune di queste trasformazioni. Tra queste le
rotazioni .

w = Rβ (z) = eiβ z
con β numero reale fissato, e anche le trasformazioni che indichiamo con Ta ,
z−a
w = Ta (z) =
1 − āz
con |a| < 1.
E’ facile vedere che Ta trasforma D in sé notando che se |z| = 1 allora
¯ ¯ ¯ ¯
¯ z−a ¯ 1 ¯¯ z − a ¯¯
|Ta z| = ¯¯ ¯=
¯ ¯ ¯ = 1.
1 − āz |z̄| z̄ − ā
Per il principio del massimo, |Ta z| ≤ 1 su D. Dunque, Ta trasforma D in D.
Per mostrare che è suriettiva e iniettiva, notiamo che essa è invertibile: sia
|w| ≤ 1 e risolviamo l’equazione
z−a
= w.
1 − āz
Questa è risolta da
w+a
z= = T−a w
1 + āw
e
| − a| = |a| < 1 .
Dato che Ta−1 = T−a , anche Ta−1 è olomorfa e quindi, da (1.39), Ta ha
derivata non nulla, ossia è conforme.
Si noti che per a = 0 si ritrova il caso particolare della trasformazione
identità, z → z.
Le trasformazioni Ta si chiamano trasformazioni di Möbius.
Ricapitolando, abbiamo trovato due famiglie di trasformazioni conformi da
D in D, la famiglia R delle rotazioni e la famiglia T delle trasformazioni di
Möbius di parametro a, |a| < 1.
1.21. TRASFORMAZIONI CONFORMI 103

Osservazione 99 Nel definire Ta abbiamo imposto la condizione |a| < 1. Per


questa ragione, trasformazioni di Möbius e rotazioni vanno considerate sepa-
ratamente. Avessimo permesso invece |a| = 1 avremmo ritrovato le rotazioni
come particolari trasformazioni di Möbius:

z − eiβ 1 z − eiβ
= = −eiβ .
1 − e−iβ z e−iβ eiβ − z
Calcoliamo la composizione di due trasformazioni di Möbius,
z−a ζ −b
w= , z= .
1 − āz 1 − b̄ζ
La trasformazione composta è

1 + ab̄ ζ − [(a + b)/(1 + ab̄)]


w= ·
1 + āb 1 − (a + b)/(1 + ab̄)ζ
e ¯ ¯ ¯ ¯
¯ 1 + ab̄ ¯ ¯ a+b ¯
¯ ¯ ¯ ¯
¯ ¯ = 1, ¯ ¯<1
¯ 1 + āb ¯ ¯ 1 + ab̄ ¯

(l’ultima disuguaglianza è immediata perché si sa che la trasformazione com-


posta trasforma il disco in sé). Dunque, Ta Tb = Rβ T(a+b)/(1+ab̄) per un certo
valore di β ∈ R,
1 + ab̄
β= .
1 + āb
Ossia, componendo trasformazioni di Möbius si trovano nuovamente trasfor-
mazioni di Möbius, seguite da una rotazione. Equivalentemente, componendo
trasformazioni di Möbius si trovano trasformazioni di Möbius precedute da una
rotazione. Infatti,
z−a (eiρ z) − aeiρ
eiρ = .
1 − āz 1 − [aeiρ ](eiρ z)
Vogliamo provare che tutte le trasformazioni conformi di D in sé sono di
tale forma. Per questo abbiamo bisogno di premettere:

Lemma 100 (di Schwarz ) Sia f (z) olomorfa su D a valori in D. Se f (0) =


0 allora vale
|f (z)| ≤ |z| , |f 0 (0)| ≤ 1. (1.40)
Se inoltre esiste z0 ∈ D per cui

|f (z0 )| = |z0 |
104 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

oppure se
|f 0 (0)| = 1
allora f (z) è una rotazione.

Dim. Si noti che |f (z)| ≤ 1 per il principio del massimo modulo e che le due
condizioni f (0) = 0 e |f (z)/z| ≤ 1 implicano che |f 0 (0)| ≤ 1. Dunque basta
provare che |f (z)| ≤ |z|.
Introduciamo la funzione
(
f (z)/z z 6= 0
F (z) =
f 0 (0) z = 0.

Dal Teorema di Riemann, questa funzione è olomorfa perché f (z) si annulla


in z = 0.
Leggiamo la funzione F (z) nel disco di raggio 1 − ². Sulla circonferenza
vale
|f (z)| 1
|F (z)| = ≤
1−² 1−²
perchè, come si è notato, |f (z)| ≤ 1.
Ancora per il principio del massimo modulo, la disuguaglianza |F (z)| ≤
1/(1 − ²) vale per ogni ² ∈ (0, 1) e per ogni z tale che |z| < 1 − ². Dunque, per
ogni z ∈ D vale ¯ ¯
¯ f (z) ¯ 1
¯ ¯
¯ ¯ ≤ inf = 1.
¯ z ¯ ²∈(0,1) 1 − ²

Ciò prova (1.40).


Supponiamo ora di sapere che per un certo z0 ∈ D vale

|f (z0 )| = |z0 |, ossia |F (z0 )| = 1 .

Per il principio del massimo modulo, F (z) è costante, F (z) = a con |a| < 1 e
quindi
f (z) = az
è una rotazione.
In modo analogo si procede se

|f 0 (0)| = 1 ossia |F (0)| = 1 .

Proviamo ora:
1.21. TRASFORMAZIONI CONFORMI 105

Teorema 101 Sia f (z) una trasformazione conforme da D = {z | |z| < 1}


in sé. Esiste a ∈ C, con |a| < 1 e β ∈ R tale che
f (z) = Ta (Rβ (z))
ossia, f = Ta Rβ .
Dim. Sia a = f (0) e consideriamo la trasformazione g(z),
f (z) − f (0)
g(z) = (Ta f )(z) = .
1 − f (0)f (z)
Questa funzione manda D in sé, perché |a| = |f (0)| < 1 e inoltre g(0) = 0.
Dunque, per il Lemma di Schwarz, |g 0 (0)| ≤ 1.
Consideriamo ora la trasformazione h(z) inversa di g(z). Anch’essa è una
trasformazione conforme da D in sé e inoltre h(0) = 0 cosı́ che anche per essa
vale |h0 (0)| ≤ 1.
Essendo
1
h0 (z) = 0 , w = h(z)
g (w)
si ha, per z = 0,
1
h0 (0) = 0
g (0)
e quindi valgono contemporaneamente le disuguaglianze
|g 0 (0)| ≤ 1 , |g 0 (0)| ≥ 1 .
Si ha dunque
|g 0 (0)| = 1 .
Per la seconda parte del Lemma di Schwarz, g(z) è una rotazione, g(z) = Rβ (z)
per qualche β ∈ R. Dunque,
³ ´
f (z) = T−f (0) Rβ (z) .

In modo più esplicito, abbiamo provato che se f (z) è una trasformazione


conforme da D in sé, esiste β ∈ C, |β| = 1 per cui
(βz) + f (0)
f (z) = .
1 − f (0)(βz)
Un’ulteriore conseguenza del Lemma di Schwarz permette di rinforzare
moltissimo il teorema di Liouville. Indichiamo col simbolo Π+ il semipiano
Π+ = {z | <e z > 0}
106 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

e notiamo che la trasformazione S,

z−1
w = S(z) = , (1.41)
z+1

trasforma Π+ in D ed è invertibile, la sua inversa essendo data da

w+1
z=
1−w

da D in Π+ ; ossia, S è una trasformazione conforme di Π+ in D.


Proviamo ora:

Teorema 102 Sia f (z) una funzione intera che non prende valori in un
segmento. La funzione f (z) è costante.

Dim. Non è restrittivo assumere che il segmento sia

x + i0 , x ∈ [0, 1] .

Dunque, f (z) 6= x + i0, x ∈ [0, 1], per ogni z.


Consideriamo la funzione
z 1
φ(z) = =1− .
z−1 1−z

Notiamo che

φ(z) = −x + i0 , x > 0 se e solo se z ∈ [0, 1].

Dunque,
g(z) = φ(f (z))
non prende valori sull’asse reale negativo e dunque si può definire la funzione

g 1/2 (z) ,

olomorfa su C, si veda il paragrafo 1.9.3. La funzione g 1/2 (z) prende valori


in Π+ e quindi componendola con la trasformazione S in (1.41) si trova una
funzione intera a valori in D, e quindi limitata. Per il Teorema di Liouville
essa è costante e quindi f (z) stessa è costante.
1.21. TRASFORMAZIONI CONFORMI 107

1.21.1 Il teorema di Riemann


Il Teorema di Riemann mostra una condizione topologica perché una regione
sia conforme ad un disco. Prima di enunciarlo, è bene notare che non tutte le
regioni possono essere trasformate biunivocamente su un disco mediante una
trasformazione olomorfa. Infatti:

Esempio 103 Nessuna funzione olomorfa trasforma in modo biunivoco C su


una regione limitata: infatti una tale funzione sarebbe intera e limitata e quindi
costante, ossia non biunivoca.
E’ un po’ più macchinoso vedere il caso seguente: sia D = {z | |z| < 1} e
sia D0 il disco D privato dell’origine.
Nessuna funzione olomorfa f (z) può trasformare in modo biunivoco D0 su
D. Infatti, se ciò accadesse, il punto 0 non sarebbe di accumulazione per le
singolarità di f (z), che non cadono in punti di D0 , e la f (z) stessa è limitata;
e quindi f (z) si estenderebbe in modo olomorfo a 0. Però, f (0) non può essere
interno a D, se si vuole che f (z) sia biunivoca; e quindi

|f (0)| = 1 = sup |f (z)| .


|z|<1

Per il principio del massimo modulo, f (z) viene ad essere costante, e quindi
non biunivoca.

Enunciamo ora il Teorema di Riemann in generale. Il teorema verrà quindi


provato in un caso particolare.

Teorema 104 (di Riemann ) Sia Ω una regione semplicemente connessa


che non è tutto il piano complesso. Esiste una funzione olomorfa che trasforma
Ω su D in modo biunivoco.

Dim. (Il teorema si prova nel caso particolare in cui Ω è una regione
di Jordan Ωγ .)
Fissiamo un punto z0 ∈ Ωγ . Essendo Ωγ limitata, essa è contenuta in un
disco DR di raggio R e centro 0. La trasformazione conforme z → z/(R + 1)
trasforma DR in D = {z | |z| < 1} e quindi Ωγ in D. Applicando una trasfor-
mazione di Möbius, si trova una trasformazione da Ωγ in D, che trasforma z0
in 0. La trasformazione cosı̀ costruita è inoltre iniettiva. Non è però suriettiva.
Sia F la famiglia delle trasformazioni olomorfe ed iniettive da Ωγ a D,
che trasformano z0 in 0. Il teorema è dimostrato se si riesce a provare che F
contiene una trasformazione suriettiva.
108 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Si noti che se f (z) ∈ F allora |f (z)| < 1 e quindi, per il teorema di Montel,
ogni successione in F contiene s.successioni convergenti uniformemente sui
compatti di Ωγ . Inoltre, se f (z) ∈ F,
¯Z ¯
1 ¯ f (ζ) ¯¯ 1
0 ¯
|f (z0 )| = ¯ ¯≤
2π ¯ C (ζ − z0 )2 ¯ r

se C è una circonferenza di raggio r e centro z0 , contenuta in Ωγ . Dunque,

MF = sup{|f 0 (z0 )| , f ∈ F} < +∞ .

Sia (fn (z)) una successione in F, tale che

lim |fn0 (z0 )| = MF .

Per il teorema di Montel, si può supporre che essa converga ad una funzione
olomorfa f0 (z), uniformemente sui compatti di Ωγ e quindi, per il teorema di
Weierstrass e per la continuità della funzione modulo,

|f00 (z0 )| = lim |fn0 (z0 )| = MF , f0 (z0 ) = 0 .

Proviamo che la funzione f0 (z) è iniettiva, e quindi che appartiene a F. Fis-


siamo un punto z2 ∈ Ωγ e mostriamo che f (z1 ) 6= f (z2 ) per ogni altro punto
z1 6= z2 di Ωγ .
Sia s = |z1 − z2 |/2. La funzione fn (z) è iniettiva e quindi

ψn (z) = fn (z) − fn (z2 ) , n>0

non si annulla sul disco di centro z1 e raggio s. Ciò vale per ogni indice n e
quindi nemmeno ψ0 (z) si annulla, per il teorema di Hurwitz; ossia, f0 (z1 ) 6=
f0 (z2 ).
Ciò prova che f0 (z) è iniettiva e quindi f0 (z) appartiene ad F.
Proviamo ora che la funzione f0 (z) è anche suriettiva, completando cosı̀ la
dimostrazione del teorema. Per assurdo supponiamo che non lo sia e sia a uno
dei valori di D che essa non assume.
Consideriamo la funzione
v
u
u a − f0 (z)
φ(z) = t .
1 − āf0 (z)

Dato che Ωγ è una regione di Jordan, e che il radicando non si annulla su


Ωγ , è possibile definire una determinazione della radice quadrata, in modo
1.21. TRASFORMAZIONI CONFORMI 109

da avere φ(z) olomorfa su Ωγ , si veda il paragrafo 1.9.3. La φ(z) è quindi


olomorfa e, essendo ottenuta applicando ad f (z) prima la trasformazione di
Möbius Ta e poi una determinazione della radice quadrata, è iniettiva. Essa
non apparterrà a F perché in generale φ(z0 ) 6= 0. Applichiamo dunque a φ(z)
la trasformazione di Möbius che riporta φ(z0 ) in 0. Si trova

φ(z) − a
g(z) = √
1 − aφ(z)
e la funzione g(z) è ora un elemento di F.
Calcoliamo g 0 (z0 ). Procediamo in due passi:
h √ i √ √ 0
0
φ (z) 1 − aφ(z) + [φ(z) − a] aφ (z)
g 0 (z) = h √ i2
1 − aφ(z)
cosı̀ che
1
g 0 (z0 ) = √ 2 φ0 (z0 ) .
1 − | a|
Ora calcoliamo
v
u
1 u 1 − āf0 (z) −1 + |a|2 0
φ0 (z) = t f (z)
2 a − f0 (z) [1 − āf0 (z)]2 0
cosı̀ che
1 ³ √ ´³ √ ´
φ0 (z0 ) = − √ 1 − | a|2 1 + | a|2 f00 (z) .
2 a
Combinando insieme queste uguaglianze si trova
" √ # " √ #
0 1 + | a|2 0 0 1 + | a|2
g (z0 ) = − √ f (z0 ) , |g (z0 )| = MF · √ .
2 a 2 a
Ora, " #
1 + |a|
√ >1
2 a
√ √
perché 1 + | a|2 − 2| a| > 0, l’uguaglianza essendo stretta, dato che |a| < 1.
Dunque, |g 0 (z0 )| > MF , in contrasto con la definizione del numero MF .
La contraddizione trovata prova il teorema.
Abbiamo provato il teorema di Riemann in un caso particolare. In questo
caso può dirsi di più:
Teorema 105 Sia Ωγ una regione di Jordan e sia f (z) una funzione olomorfa
che è conforme da Ωγ su D. La funzione f (z) può estendersi con continuità
a ∂Ωγ .
Non proviamo questo teorema.
110 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

1.22 Monodromia e polidromia


Possiamo solo accennare informalmente a questo argomento, sui cui è però
bene avere qualche nozione.

1.22.1 Punti di diramazione di funzioni olomorfe


Un punto z0 ∈ ∂Ω, Ω dominio di una funzione olomorfa f (z), si dice punto
di diramazione quando ogni suo intorno contiene una curva chiusa γ la cui
immagine γf non è chiusa. Dunque, f (z) è discontinua in ogni intorno di z0 .
Vedremo più avanti una definizione più generale di punto di diramazione.
Si noti che z0 = 0 è punto di diramazione per le funzioni z → |z|1/n ei(Arg z)/n
e z → Log z.
I punti di diramazione si incontrano spesso trattando le funzioni inverse di
funzioni che non sono biunivoche e questo suggerisce un modo di trattare le
funzioni che è stato introdotto da Riemann. Accenniamo all’idea, considerando
l’esempio della funzione Log z. Consideriamo prima di tutto la funzione

f (x + iy) = ex (cos y + i sin y)

che trasforma ogni striscia

(2k − 1)π ≤ y < (2k + 1)π

su tutto il piano complesso privato dell’origine.


Fissiamo l’attenzione sulla striscia

−π ≤ y < π.

Quando si rappresenta l’immagine della striscia sul piano complesso in realtà


si considera la trasformazione da R2 in R2 data da

(x, y) → (ex cos y, ex sin y) .

Consideriamo invece la trasformazione da R2 in R3

(x, y) → (ex cos y, ex sin y, y) = (ξ, η, ζ) . (1.42)

In questo modo l’immagine di y → (ξ, η, ζ) con x fissato è una spira di un’elica.


La successiva striscia è caratterizzata da

π ≤ y < 3π
1.22. MONODROMIA E POLIDROMIA 111

e la trasformazione (1.42) rappresenta ora y ∈ [π, 3π), con lo stesso valore di


x, nella successiva spira; e la striscia π ≤ y < 3π ha immagine che ora non si
sovrappone a quella calcolata prima.
In questo modo si ha una rappresentazione dell’esponenziale come funzione
biunivoca da C su una superficie di R3 ; e quindi la funzione inversa viene ora
ad essere univoca.

Figura 1.20:

14

12

10

6
z

0
y
−5

5 x
10 12 14
4 6 8
10 −2 0 2
−4

La superficie che abbiamo costruito si chiama la superficie di Riemann


della funzione log x.
Costruzioni analoghe, ma un po’ più complesse, possono farsi per le funzioni
radice.

1.22.2 Funzioni analitiche


Sia f (z) una funzione olomorfa su una regione Ω. Si è già notato che svilup-
pando la funzione in serie di Taylor con centro un punto z1 di Ω, può essere
che la serie converga su un disco che fuoriesce da Ω. In tal caso usando la serie
si trova un’estensione di f (z). Per studiare meglio questo fenomeno, intro-
duciamo questo termine: chiamiamo elemento analitico (più semplicemente
elemento) la coppia di una regione Ω e di una funzione f (z) olomorfa su Ω.
Se Ω è un disco e quindi f (z) è sviluppabile in serie di Taylor su Ω, l’elemento
si chiamerà canonico .
112 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Due elementi (Ω1 , f1 (z)) e (Ω2 , f2 (z)) si dicono equivalenti se Ω1 ∩ Ω2 6= ∅


e se
f1 (z) = f2 (z) ∀z ∈ Ω1 ∩ Ω2 .
Se Ei , i = 1,. . . ,n sono elementi canonici e se ciascuno è equivalente al pre-
cedente, l’insieme degli Ei si chiama una catena . L’elemento E1 si dirà il
primo elemento della catena ed En l’ultimo. Diremo anche che la catena è una
funzione analitica ottenuta da E1 per prolungamento lungo catene di cerchi.
In generale, chiameremo funzione analitica secondo Weierstrass l’insieme
di tutti gli elementi canonici che fanno parte di tutte le catene che si ottengono
prolungando per catene di cerchi un elemento dato.
La definizione di funzione analitica secondo Weierstrass dipende quindi dal
primo elemento che è stato scelto. Si prova però che scegliendo come primo
elemento un altro elemento della stessa funzione analitica, la funzione analitica
non cambia.

Esempio 106 Si consideri la funzione


q
f (z) = |z|ei(Arg z)/2

che è olomorfa nella regione |Arg z| < π. Fissiamo z0 e sviluppiamo la funzione


in serie di Taylor, di centro z0 . Si trova
+∞
à !
X 1/2
f (z) = [(z − z0 ) + z0 ]1/2 = f (z0 ) (z − z0 )n
n=0
n

e questa serie ha raggio di convergenza uguale ad 1.


Sia z0 è il punto indicato in figura 106. La serie definisce una funzione
olomorfa anche attraverso un segmento dell’asse reale negativo. Dunque, l’e-
stensione cosı̀ ottenuta di f (z) coincide con la funzione data nei punti del terzo
quadrante, ma non in quelli del quarto.
Si confronti con quanto detto ai paragrafi 1.9.3 e 1.13.2.

L’esempio precedente mostra che elementi diversi della medesima catena


possono prendere valori diversi nel medesimo punto. Ciò suggerisce di definire
monòdroma o univalente una funzione analitica secondo Weierstrass che
ha la seguente ulteriore proprietà: siano (Di , fi ) e (Dj , fj ) elementi diversi.
Se z0 ∈ Di ∩ Dj allora vale fi (z0 ) = fj (z0 ); altrimenti la funzione si dice
polı̀droma .
Possiamo ora dare la seguente definizione generale di singolarità isolata :
il punto z0 sia di accumulazione per il dominio Ω di un elemento (Ω, f (z)) .
1.22. MONODROMIA E POLIDROMIA 113

Figura 1.21:

6 y

−2

−4

−6
−8 −6 −4 −2 0 2 4 6 8

Diciamo che il punto z0 è una singolarità isolata se è possibile estendere f (z)


ad un intorno di z0 , escluso z0 , mediante una catena di cerchi che però non
coprono z0 . Va osservato che questa definizione fa riferimento ad una catena.
Niente vieta che una diversa catena produca un’estensione ad un intorno di
z0 , incluso il punto z0 .
Esempio 107 Sia z0 = 1 e sia
1
f (z) = √
1+ z
ottenuta scegliendo q

z= |z|ei[π+(Arg z)/2] . (1.43)
Si vede che il punto z0 = 1 è singolare per f (z) nonostante che
1
g(z) = q
1+ |z|ei(Arg z)/2

sia regolare in z0 = 1, e sia un’estensione per catene di cerchi di (1.43).

Quest’osservazione suggerisce di estendere come segue la definizione di


punto di diramazione .
Sia z0 un punto singolare isolato di una funzione analitica secondo Weier-
strass. Si dice che il punto z0 è un punto di diramazione se ogni intorno
di z0 contiene una catena di cerchi della funzione i cui domini coprono una
circonferenza centrata in z0 e col primo elemento che è diverso dall’ultimo.
114 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Esempio 108 La funzione


√ q
f (z) = z= |z|ei(Arg z)/2

ha z0 = 0 come punto di diramazione, perché, come si è visto sopra, estendendo


per catene di cerchi si passa dall’una all’altra determinazione della radice.
Osservazione analoga vale per la funzione Log z.

Osservazione 109 I punti di diramazione non sono stati considerati nello


studio dei punti singolari di funzioni olomorfe. Infatti, con riferimento ad un
singolo elemento olomorfo (Ω, f ), essi non sono punti singolari isolati: ogni loro
intorno contiene punti nei quali la funzione f (z) è discontinua.

Mostriamo infine che una funzione analitica secondo Weierstrass, se non ha


punti singolari in una regione di Jordan Ω coincide con un elemento olomorfo.

Teorema 110 (di monodromia ) Sia Ω una regione di Jordan contenuta


nel dominio di una funzione analitica secondo Weierstrass. La funzione è
univalente su Ω.

Dim. Illustriamo l’idea della dimostrazione. Si fissi un punto z0 ∈ Ω. Se


la funzione non è univalente, è possibile trovare z1 ∈ Ω e due curve γa e γb
congiungenti z0 con z1 , tali che l’estensione di f (z) da z0 a z1 lungo catene di
cerchi centrati in γa , rispettivamente in γb , conduce a valori f1 , f2 , tra loro
diversi. Dobbiamo provare che ciò non accade.
Non è restrittivo assumere che le due curve siano semplici e prive di punti
comuni, a parte gli estremi.
Indichiamo con γ la curva di Jordan ottenuta connettendo γb a γa e sia d
la distanza di γ da ∂Ω. Indichiamo con Ωγ la regione interna a γ e siano

γ0 = γa , γ1 , . . . , γn−1 , γ n = γb

curve con γi ∈ Ωγ per i 6= 0 e i 6= n, distanti l’una dall’altra meno di d.


Si noti che Ωγ ⊆ Ω perché Ω è regione di Jordan.
Prolungando f (z) da z0 a z1 lungo γa = γ0 e lungo γ1 , si trova in z1 il
medesimo valore f (z1 ) perché ciascun cerchio della catena centrato su punti di
γ0 interseca il sostegno di γ1 e viceversa, dato che i raggi di convergenza delle
serie che si ottengono sono almeno uguali a d.
Lo stesso accade per γ1 e γ2 e quindi anche prolungando lungo una catena
di cerchi centrati in γ1 si ritrova lo stesso valore di f (z1 ).
1.22. MONODROMIA E POLIDROMIA 115

Dopo un numero n di passi si vede che il valore di f (z1 ) che si trova


prolungando lungo una catena di cerchi centrati su γb coincide con quello
che si trova prolungando con cerchi centrati su γa . E quindi la restrizione ad
Ω della funzione f (z) è univalente.

Osservazione 111 Il teorema precedente non vieta che seguendo curve che
congiungono z0 con z1 e che escono da Ω, si trovi un valore diverso per f (z1 ).
116 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE
Capitolo 2

Funzioni armoniche

In generale si chiama funzione armonica una funzione u(x1 , . . . , xn ) di classe


C 2 su un aperto Ω ⊆ Rn e che ivi verifica l’equazione di Laplace
ux1 ,x1 + · · · + uxn ,xn = 0 .
La teoria delle funzioni armoniche è importantissima per le applicazioni, e ric-
chissima di risultati. Noi ci limitiamo a presentare poche proprietà delle fun-
zioni armoniche di due variabili, facendole discendere da quelle delle funzioni
olomorfe.

2.1 Funzioni armoniche e funzioni olomorfe


Si è già notato che le parti reali ed immaginarie di funzioni olomorfe sono
funzioni armoniche. Proviamo ora il viceversa:
Teorema 112 Sia Ω una regione di Jordan e sia u(x, y) armonica su Ω.
Esiste una funzione armonica v(x, y) tale che
f (x + iy) = u(x, y) + iv(x, y) (2.1)
è olomorfa.
Dim. Se v(x, y) esiste, allora v(x, y) deve verificare
vx = −uy , v y = ux . (2.2)
Per costruire v(x, y) fissiamo (x0 , y0 ) ∈ Ω e sia P(x,y) una poligonale in Ω che
congiunge (x0 , y0 ) con (x, y). Costruiamo v(x, y) ponendo
Z
v(x, y) = [vx dx + vy dy]
P(x,y)

117
118 CAPITOLO 2. FUNZIONI ARMONICHE

Naturalmente, questa formula non può usarsi direttamente, perché l’integran-


do dipende da v(x, y); ma, le (2.2) suggeriscono di definire
Z
v(x, y) = [−uy dx + ux dy] .
P(x,y)

La funzione cosı̀ costruita è univoca perché Ω è una regione di Jordan e la


forma differenziale
−uy dx + ux dy
è esatta, dato che u(x, y) è armonica.
Dunque la v(x, y) cosı̀ costruita è di classe C 1 e, con dimostrazione analoga
a quella del Teorema 1.9, si vede che verifica (2.2), come richiesto. Dunque,
v(x, y) è la parte immaginaria della funzione olomorfa f (x + iy) = u(x, y) +
iv(x, y).
Fissato un punto (x̃, ỹ) ∈ Ω, il teorema precedente può applicarsi in un suo
intorno e quindi:
Corollario 113 Ogni funzione armonica è localmente parte reale di una fun-
zione olomorfa. Dunque, ogni funzione armonica è in particolare di classe
C ∞.
Di conseguenza, per le funzioni armoniche valgono i teoremi che abbiamo
provato per le parti reali di funzioni olomorfe,
• il teorema della media;

• Il principio sia del massimo che del minimo;

• il teorema di Liouville.
La funzione v(x, y) che si associa ad u(x, y) in modo che la funzione (2.1) sia
olomorfa si chiama funzione armonica coniugata di u(x, y). Essa non è unica
(si vede dalla dimostrazione del Teorema 112 che v(x, y) muta cambiando
(x0 , y0 )). Non è difficile provare che due funzioni armoniche su un regione Ω,
coniugate della stessa funzione armonica u(x, y) hanno differenza costante.
Conviene ora elencare alcune funzioni armoniche. Naturalmente sono fun-
zioni armoniche i polinomi di grado 0 oppure 1, e sono funzioni armoniche i
polinomi
u(x, y) = x2 − y 2 , u(x, y) = xy .
Ma non tutti i polinomi sono funzioni armoniche: u(x, y) = x2 + y 2 non lo è.
Ciò nonostante,
Log (x2 + y 2 ) = 2<e Logz
2.2. LA PROPRIETÀ DELLA MEDIA E IL TEOREMA DI GAUSS 119

è armonica sul complementare di arg z = −π. Sulla stessa regione è anche


armonica la funzione
y
u(x, y) = arctan .
x
Un calcolo diretto mostra che in realtà queste funzioni sono armoniche su
R2 − (0, 0).

2.2 La proprietà della media e il teorema di


Gauss
Si è visto che per le funzioni armoniche vale la proprietà della media
1 Z 2π
u(x0 , y0 ) = u(x0 + r cos t, y0 + r sin t) dt . (2.3)
2π 0
Naturalmente si intende che il disco di centro (x0 , y0 ) e raggio r sia contenuto
in Ω.
Vale anche il viceversa:
Teorema 114 Sia Ω una regione di Jordan e sia u(x, y) una funzione di classe
C 2 (Ω). Se per ogni (x0 , y0 ) ∈ Ω vale l’uguaglianza (2.3) almeno per ogni r
sufficientemente piccolo, allora la funzione u(x, y) è armonica su Ω.
Dim. Dobbiamo provare che ∆u = 0 su Ω. Notiamo che è sufficiente provare
che Z
∆u(x, y) dx dy = 0 (2.4)
D
per per ogni disco D ⊆ Ω con raggio abbastanza piccolo. Infatti se in un punto
(x0 , y0 ) fosse ∆u(x0 , y0 ) > 0, per continuità si avrebbe anche ∆u(x, y) > 0 su
un opportuno disco D, e quindi l’integrale (2.4) non potrebbe essere nullo.
Derivando rispetto ad r i due membri di (2.3). Si trova:
Z 2π
0= [ux (x0 + r cos t, y0 + r sin t) cos t + uy (x0 + r cos t, y0 + r sin t) sin t] dt
0
Z
∂u
= ds ,
Cr ∂n
ove Cr indica la circonferenza parametrizzata da
t → (x0 + r cos t, y0 + r sin t) , t ∈ [0, 2π]
ed n = n(t), parametrizzata da
n(t) = (x0 + cos t, y0 + sin t) , t ∈ [0, 2π] ,
120 CAPITOLO 2. FUNZIONI ARMONICHE

la sua normale esterna. Si usi ora il teorema di Gauss:


Z Z
∂u
0= ds = ∆u(x, y) dx dy .
Cr ∂n D

Ciò è quanto volevamo provare.


Nella dimostrazione precedente abbiamo usato il teorema di Gauss in un
caso particolare: il caso in cui la regione è una circonferenza. Si sa che esso
vale più in generale e ciò permette di provare:
Teorema 115 Sia Ω una regione di Jordan. Supponiamo u(x, y) ∈ C 2 (Ω),
continua sulla chiusura di Ω. La funzione u(x, y) è armonica se e solo se
Z

u ds = 0 (2.5)
γ ∂n
per ogni curva di Jordan regolare a tratti, il cui sostegno è in Ω.
Dim. Nelle ipotesi che abbiamo detto, per il teorema di Gauss vale
Z Z

∆u(x, y) dx dy = u ds .
Ωγ γ ∂n
E quindi, se u(x, y) è armonica, vale
Z

u ds = 0 ;
γ ∂n
se, viceversa, la (2.5) vale per ogni γ, curva di Jordan con sostegno in Ω,
scegliendo per γ le circonferenze, si trova
Z
∆u(x, y) dx dy = 0
D

per ogni disco in Ω e quindi ∆u = 0 in Ω.

2.3 Il problema di Dirichlet per l’equazione di


Laplace
Si chiama problema di Dirichlet per l’equazione di Laplace il problema seguen-
te: è data una curva di Jordan γ (regolare a tratti) e una funzione g(x, y) con-
tinua sul suo sostegno. Si vuole una funzione u(x, y) armonica in Ωγ , continua
nella chiusura di Ωγ e tale che
u|γ = g ;
2.3. IL PROBLEMA DI DIRICHLET PER L’EQUAZIONE DI LAPLACE121

Dunque, si vuole che la u risolva


∆u = 0 in Ωγ , u|γ = g .
Si parla di problema di Poisson quando è data anche una funzione continua
h(x, y) in Ωγ e si vuol risolvere
∆u = h in Ωγ , u|γ = g . (2.6)
Più avanti potremo studiare il problema dell’esistenza di soluzioni del pro-
blema di Dirichlet. Per ora, limitiamoci a studiare alcune proprietà delle
soluzioni, se queste esistono. Proviamo:
Teorema 116 Se esiste una soluzione u(x, y) di (2.6), essa è unica.
Dim. Ricordiamo che, per la definizione che abbiamo dato di soluzione, la
u(x, y) è continua nella chiusura di Ωγ .
Siano u1 (x, y) e u2 (x, y) due diverse soluzioni di (2.6)e definiamo
w(x, y) = u1 (x, y) − u2 (x, y) .
La w(x, y) è una soluzione del problema di Dirichlet
∆u = 0 in Ωγ , u|γ = 0 .
In particolare, è una funzione armonica. Essendo continua sulla chiusura di Ωγ ,
essa ivi raggiunge massimo e minimo; essendo armonica, massimo e minimo
sono raggiunti su γ = ∂Ωγ e quindi sono ambedue nulli: la funzione w(x, y) è
nulla e quindi u1 (x, y) = u2 (x, y).
Nello stesso modo si può vedere che le soluzioni “dipendono con continuità”
dal dato g. Consideriamo per questo i due problemi di Poisson
∆u = h in Ωγ , u|γ = g1 , (2.7)
∆u = h in Ωγ , u|γ = g2 . (2.8)
con la medesima funzione h(x, y). Supponiamo che esistano u1 (x, y), soluzione
di (2.7) e u2 (x, y), soluzione di (2.8). Sia ha:
Teorema 117 Le funzioni u1 (x, y) e u2 (x, y) verificano la diseguaglianza
sup |u1 (x, y) − u2 (x, y)| ≤ max
γ
|g1 (x, y) − g2 (x, y)| .
Ωγ

Dim. Introduciamo ancora la funzione w(x, y) = u1 (x, y) − u2 (x, y). Questa


funzione è armonica in Ωγ e continua sulla sua chiusura e inoltre su γ vale
w(x, y) = g1 (x, y) − g2 (x, y). Dunque, dal principio del massimo e del minimo
per le funzioni armoniche, si ha
min[g1 (x, y) − g2 (x, y)] ≤ w(x, y) ≤ max[g1 (x, y) − g2 (x, y)] .
γ γ
122 CAPITOLO 2. FUNZIONI ARMONICHE

2.3.1 La formula di Poisson


Ricordiamo che la formula della media permette di esprimere il valore u(0, 0)
di una funzione armonica su un disco centrato in (0, 0), mediante i valori
u(R cos t, R sin t), che la funzione assume su una circonferenza di centro (0, 0).
Chiediamoci ora se si riesce a trovare una formula che, per mezzo di tali valori,
esprima anche u(x, y), per ogni (x, y) tale che
x2 + y 2 < R 2 .
In tal caso si trova una formula risolutiva per il problema di Diriclet nel disco.
Si sa che questo può farsi per la funzione olomorfa f (x + iy) di cui u(x, y)
è parte reale. Sia f (x + iy) = u(x, y) + iv(x, y) e scriviamo
1 Z f (ζ)
u(x, y) + iv(x, y) = dζ ,
2πi C ζ − (x + iy)
C : t → Reit , t ∈ [0, 2π] .
Passando alle parti reali, a sinistra si trova u(x, y) ma a destra si trova un’e-
spressione complicata, che fa intervenire sia i valori di u(x, y) che quelli di
v(x, y) perchè il fattore
1 1
it
Reit
2π Re − (x + iy)
non prende valori reali se x 6= 0, y 6= 0. Allora, abbandoniamo un momento lo
studio delle funzioni armoniche e torniamo a considerare la formula integrale
di Cauchy che in particolare dà
1 Z 2π Reit
f (z) = f (Reit ) it dt .
2π 0 Re − z
Chiediamoci se sia possibile modificarla in modo da far comparire f (z) molti-
plicata per un fattore reale. Per questo notiamo che
1 Z 2π z̄eit 1 Z z̄
f (Reit ) it 2
dt = f (ζ) dζ = 0
2π 0 z̄Re − R 2πi C z̄ζ − R2
dato che il denominatore è nullo soltanto per ζ = R2 /|z̄|, punto esterno alla
circonferenza. Dunque, vale anche
" #
1 Z 2π it Reit z̄Reit
f (z) = f (Re ) − dt
2π 0 Reit − z z̄Reit − R2
· ¸
1 Z 2π R z̄
= f (Reit ) − eit dt
2π 0 Reit − z z̄eit − R
1 Z 2π R2 − |z|2
= f (Reit ) 2 dt .
2π 0 R + |z|2 − 2<e [(Rz)e−it ]
2.3. IL PROBLEMA DI DIRICHLET PER L’EQUAZIONE DI LAPLACE123

Sia ora (
iθ x = r cos θ
z = re ossia
y = r sin θ .
La formula precedente si scrive

u(x, y) + iv(x, y)
1 Z 2π R2 − r 2
= [u(R cos t, R sin t) + iv(R cos t, R sin t)] 2 dt .
2π 0 R − 2Rr cos(θ − t) + r2
Nella formula precedente l’integrando è la funzione f (z) moltiplicata per
una funzione a valori reali.
Prendendo ora le parti reali dei due membri si trova la formula di Poisson
1 Z 2π R2 − r 2
u(x, y) = u(R cos t, R sin t) 2 dt .
2π 0 R − 2Rr cos(θ − t) + r2

Osservazione 118 Si noti che se ζ = Reit e z = reiθ allora

R2 − 2Rr cos(θ − t) + r2 = |ζ − z|2 .

Esaminando i vari passi del calcolo precedente, si vede che questa formula è
giustificata se u(x, y) è armonica in una regione Ω che contiene il disco |ζ| ≤ R,
e vale se x2 + y 2 < R. Di fatto, una volta trovata questa formula, è possibile
provare di più:
Teorema 119 Sia g(x, y) una funzione continua sulla circonferenza x2 +y 2 =
R2 e si definisca u(x, y) nel disco che essa delimita mediante la formula
1 Z 2π R2 − r 2
u(x, y) = g(cos t, sin t) dt ,
2π 0 R2 − 2Rr cos(θ − t) + r2
(
x = r cos θ
y = r sin θ .

Allora, la funzione u(x, y) è armonica nel disco aperto, è continua nel disco
chiuso e la sua restrizione alla circonferenza restituisce la funzione g(x, y).
Ossia, u(x, y) risolve il problema di Dirichlet

∆u = 0 , per x2 + y 2 ≤ R2 ,
u(x, y) = g(x, y) per x2 + y 2 = R2 .

Vedremo che facendo uso di questo risultato sarà possibile provare l’esi-
stenza di soluzioni del problema di Dirichlet in casi molto più generali.
124 CAPITOLO 2. FUNZIONI ARMONICHE

Il problema di Dirichlet in regioni di Jordan


Proviamo ora che il problema di Dirichlet è risolubile in ogni regione di Jordan.
Sia per questo γ una curva semplice e chiusa, regolare a tratti e sia g(x, y) una
funzione continua sul suo sostegno. Indicando con Ωγ la regione interna a γ,
vale

Teorema 120 Esiste un’unica funzione u(x, y) ∈ C 2 (Ωγ ) e tale che

∆u = 0 in Ωγ , u=g su γ. (2.9)

Dim. L’unicità si è già provata nel Teorema 116. E’ da provare l’esistenza.


Per questo si usa il Teorema di Riemann, Teorema 104 e del Teorema 105.
Indichiamo con z = x + iy i punti di Ωγ e del sostegno di γ e con w = ξ + iη
quelli del disco
D = {w | |w| < 1} .
Sia φ(z) una trasformazione olomorfa e biunivoca da Ωγ al disco. Per il
Teorema 105, questa funzione ha estensione continua su γ e trasforma γ sulla
circonferenza. Indichiamo con G(w) la funzione

G(w) = g(φ−1 (w)) .

Questa funzione è continua sulla circonferenza e quindi, per il Teorema 119,


esiste una funzione armonica U (ξ, η) nel disco aperto, continua nel disco chiuso
e che sulla circonferenza restituisce G.
Sia V (ξ, η) una funzione coniugata di U (ξ, η) e sia F (ξ, η) = U (ξ, η) +
iV (ξ, η). Sia

f (x + iy) = F (φ(x + iy)) = u(x, y) + iv(x, y) .

La funzione u(x, y) è armonica su Ωγ e su γ restituisce U e quindi la


funzione g. E’ dunque la soluzione del problema (2.9).
Capitolo 3

La trasformata di Laplace

La trasformata di Laplace è una trasformazione che associa a certe funzioni


di una variabile reale, definite su R e nulle per argomento negativo una funzione
olomorfa. La trasformata di Laplace è uno strumento importante per esempio
nello studio delle equazioni differenziali.
Talvolta è necessario studiare la trasformata di Laplace di funzioni di n
variabili. Noi ci limiteremo a trattare il caso delle funzioni di una sola variabile.
Molto spesso nelle applicazioni la variabile da cui dipende la funzione f è
il tempo e, per questa ragione, la indicheremo col simbolo t.

3.1 Definizioni
Descriviamo prima di tutto una classe di funzioni per le quali si può definire
la trasformata di Laplace. Questa non è la classe più generale possibile, ma è
sufficiente per la maggior parte delle applicazioni.
Ripetiamo che a noi interessano funzioni f (t) definite su R, nulle per t < 0.
Diciamo che una tale funzione f , a valori reali oppure complessi, è a crescita
esponenziale se è limitata su ogni intervallo [0, T ], T > 0, e inoltre esiste un
numero reale r tale che
lim e−rt f (t) = 0 ;
t→+∞

Equivalentemente, una funzione è a crescita esponenziale se esistono numeri


reali M ed r tali che
|f (t)| ≤ M ert t > 0. (3.1)
Si chiama ordine di esponenziale della funzione f il numero

αf = inf{r | ∃Mr per cui |f (t)| < Mr ert } .

123
124 CAPITOLO 3. LA TRASFORMATA DI LAPLACE

Si noti che se r > αf allora esiste M per cui vale (3.1). Invece, se r = αf ,
la (3.1) può non valere, come si vede considerando la funzione f (t) = tet che
ha ordine di esponenziale 1, ma è un infinito di ordine maggiore di 1.
La classe delle funzioni per cui definiremo la trasformata di Laplace è la
classe delle funzioni, a valori reali oppure complessi, ma di una variabile reale,
continue a tratti, a crescita esponenziale e nulle per t < 0.

Osservazione 121 Nelle applicazioni è frequentemente necessario considera-


re la trasformata di Laplace di funzioni che prendono per valori vettori di Cn
o addirittura matrici. La trasformata di Laplace si calcola elemento per ele-
mento. Quello che va sottolineato è comunque che le funzioni di cui si calcola
la trasformata di Laplace sono nulle per t < 0.

La trasformata di Laplace di f è la funzione


Z +∞
fˆ(λ) = e−λt f (t) dt .
0

Il numero λ è complesso e il dominio di fˆ(λ) è l’insieme dei numeri λ per cui


l’integrale converge.
Per indicare la trasformata di Laplace si usa anche il simbolo L(f )(λ)
o semplicemente la lettera maiuscola corrispondente a quella che si usa per
indicare la funzione: F (λ).

3.2 Proprietà della trasformata di Laplace


Vale:

Teorema 122 La trasformata di Laplace è definita sul semipiano <e λ > αf


ed è ivi una funzione olomorfa.

Dim. L’esistenza degli integrali


Z T
e−λt f (t) dt
0

per ogni T > 0 è ovvia. L’esistenza di


Z T
lim e−λt f (t) dt
T →+∞ 0
3.2. PROPRIETÀ DELLA TRASFORMATA DI LAPLACE 125

segue dal teorema del confronto. Per vederlo, non è restrittivo supporre che
f prenda valori reali. In tal caso, posto λ = x + iy, va provata l’esistenza dei
due integrali impropri
Z +∞ Z +∞
−xt
f (t)e cos yt dt , f (t)e−xt sin yt dt
0 0

Sia <e λ = x > αf e sia r ∈ (αf , x). Sia M tale che

|f (t)| < M ert .

Allora,
|e−λt f (t)| ≤ M e(−x+r)t
e l’esponente è negativo. Dunque ambedue gli integrali convergono e inoltre
¯Z +∞ ¯ ¯Z +∞ ¯
¯
¯ −xt
¯
¯≤
M ¯
¯ −xt M ¯
¯≤
¯ f (t)e cos yt dt ¯ , ¯ f (t)e sin yt dt¯
0 x − αf
0 x − αf
(3.2)
Per provare che fˆ(λ) è olomorfa, usiamo il teorema di Morera. Mostriamo
prima di tutto che la funzione fˆ(λ) è continua per λ > αf . Fissiamo ² > 0 e
mostriamo che esiste δ > 0 tale che se |λ1 − λ2 | < δ allora |fˆ(λ1 ) − fˆ(λ2 )| < ².
Per fissare le idee sia <e λ1 > <e λ2 > a + σ > a > αf . Dato che l’integrale è
di variabile reale, usando il Lemma 28, si ha
¯Z +∞ h i h i ¯¯
¯
|fˆ(λ1 ) − fˆ(λ2 )| = ¯¯ e−λ1 t − e−λ2 t eat e−at f (t) dt¯¯
¯ h0 i¯
¯ −<e (λ1 −a)t
1 − e−<e (λ1 −λ2 )t ¯ · L(|f |)(a) .
¯
≤ sup ¯e
t≥0

Notiamo che <e (λ1 − a) > 0 e <e (λ1 − λ2 ) > 0 cosı̀ che
¯ ¯ ¯ ¯ ¯ ¯
¯1 − e−<e (λ1 −λ2 )t ¯ < 2 ∀t ≥ 0 , ¯¯1 − e−<e (λ1 −λ2 )t ¯¯ ≤ ¯¯1 − e−<e (λ1 −λ2 )T ¯¯
¯ ¯
∀t ≥ T .

Fissiamo T tale che per t > T valga

2e−<e (λ1 −α)t < 1 .

Ciò può farsi perché <e (λ1 − a) > σ > 0. Fissato questo valore per T ,
scegliamo δ tale che se <e (λ1 − λ2 ) < δ valga
¯ ¯
¯1 − e−<e (λ1 −λ2 )T ¯ · L(|f |)(a) < ² .
¯ ¯

Si ha quindi che se, in particolare, |λ1 − λ2 | < δ allora vale |fˆ(λ1 ) − fˆ(λ2 )| < ²,
ossia la continuità di fˆ(λ).
126 CAPITOLO 3. LA TRASFORMATA DI LAPLACE

Sia ora γ una curva chiusa di sostegno in <e λ > αf . Scambiando l’ordine
di integrazione, si ha:
Z Z ·Z +∞ ¸ Z +∞ ·Z ¸
fˆ(λ) dλ = −λt
e f (t) dt dλ = e −λt
dλ f (t) dt = 0 .
γ γ 0 0 γ

L’ultimo integrale è nullo perché la funzione λ → e−λt è olomorfa su C per


ogni valore di t.
In particolare, la formula (3.2) mostra che:

Corollario 123 Se fˆ(λ) è una trasformata di Laplace allora

lim fˆ(λ) = 0 .
<e λ→+∞

Osservazione 124 Abbiamo provato che la trasformata di Laplace esiste per


<e λ > αf . In realtà si potrebbe provare che la trasformata di Laplace esiste
in un semipiano <e λ > α, con α ≤ αf .

La trasformata di Laplace è lineare nel senso detto dal teorema seguente di


ovvia dimostrazione:

Teorema 125 Siano f e g due funzioni continue a tratti e a crescita espo-


nenziale. Se <e λ > max{αf , αg } ed a, b sono numeri, vale

L(af + bg)(λ) = afˆ(λ) + bĝ(λ) .

Sia ora
g(t) = f (t − h) con h > 0 .
Allora
ĝ(λ) = e−λh fˆ(λ) .

Osservazione 126 Si noti che, essendo f (t) = 0 per t < 0, allora f (t−h) = 0
per t < h. Questo fatto è essenziale per provare la formula precedente.

Sia invece
g(t) = f (at) con a > 0 .
Allora vale
1
ĝ(λ) = fˆ(λ/a) .
a
Le semplici dimostrazioni sono omesse.
3.3. TRASFORMATA DI LAPLACE, DERIVATA ED INTEGRALE 127

Sia ora f (t) una funzione periodica su R, continua a tratti e limitata:


f (t + T ) = f (t) .
La restrizione di f (t) a t ≥ 0 ammette trasformata di Laplace, definita su
<e λ > 0:
Z +∞ +∞
X Z (n+1)T
fˆ(λ) = −λt
e f (t) dt = e−λt f (t) dt
0 n=0 nT
+∞
X Z T +∞
X Z T
−λ(nT +s)
= e f (nT + s) dt = e−λ(nT +s) f (s) ds
n=0 0 n=0 0
+∞
X ·Z T ¸ ·Z T ¸
−λnT −λs −λs 1
e e f (s) ds = e f (s) dt · .
n=0 0 0 1 − e−λT
L’ultima uguaglianza è ottenuta sommando la serie geometrica, grazie al fatto
che |e−λT | < 1, perché <e λ > 0.
E’ invece un po’ più delicato provare:
Teorema 127 Vale
Z +∞
d ˆ
f (λ) = e−λt [−tf (t)] dt = L(−tf (t)) .
dλ 0

Omettiamo la dimostrazione notando che, invece di scambiare una derivata con


un’integrale improprio, si arriva più facilmente al risultato mediante la formula
integrale di Cauchy per rappresentare la derivata di una funzione olomorfa, e
quindi scambiando l’ordine di integrazione.

3.3 Trasformata di Laplace, derivata ed inte-


grale
Le relazioni della trasformata di Laplace con l’integrale si vedono meglio intro-
ducendo la convoluzione di due funzioni. La convoluzione, nel caso particolare
che interessa per la trasformata di Laplace, è definita da
Z +∞
(f ∗ g)(t) = f (t − s)g(s) ds .
−∞

In questa parte a noi interessano funzioni nulle per argomenti negativi e quindi
Z t
(f ∗ g)(t) = f (t − s)g(s) ds .
0

Dato che le funzioni si assumono continue a tratti, l’esistenza dell’integrale è


ovvia. Inoltre,
128 CAPITOLO 3. LA TRASFORMATA DI LAPLACE

Lemma 128 Se f e g sono a crescita esponenziale lo stesso vale per f ∗ g.


Dim. Sia r tale che
|f (t)| < M ert , |g(t)| < M ert ∀t > 0
Allora,
|f (t − s)g(s)| ≤ M 2 ert
e quindi ¯Z t ¯
−(r+1)t
¯ ¯
0 ≤ lim e ¯ f (t − s)g(s) ds¯¯ = 0 .
t→+∞ ¯
0
In particolare, se g(t) ≡ 1 per t ≥ 0 (ed è nulla per t < 0), f ∗ g è una primitiva
di f . Dunque:
Corollario 129 Ogni primitiva di una funzione a crescita esponenziale è essa
stessa a crescita esponenziale.
Proviamo ora:
Teorema 130 Vale:
L(f ∗ g)(λ) = fˆ(λ)ĝ(λ) .
Dim. Si deve calcolare l’integrale iterato
Z +∞ ·Z t ¸
e−λt f (t − s)g(s) ds dt .
0 0

Scambiando prima l’ordine di integrazione e poi facendo la trasformazione di


variabile t − s = r nell’integrale più interno si trova:
Z +∞ ·Z t ¸ Z +∞ ·Z +∞ ¸
−λt −λt
e f (t − s)g(s) ds dt = e f (t − s) dt g(s) ds
0 0 0 s
Z +∞ ·Z +∞ ¸
= e−λ(r+s) f (r) dr g(s) ds
0 0
Z +∞ ·Z +∞ ¸
= e −λr
f (r) dr e−λs g(s) ds = fˆ(λ)ĝ(λ) .
0 0

In particolare:
Corollario 131 Sia h(t) = 1 per t ≥ 0, h(t) = 0 per t < 0. La sua
trasformata di Laplace è
1
ĥ(λ) =
λ
e quindi µZ t ¶
1
L f (s) ds (λ) = fˆ(λ) .
0 λ
3.3. TRASFORMATA DI LAPLACE, DERIVATA ED INTEGRALE 129

Dim. La prima affermazione discende da


Z +∞
1
e−λt dt =
0 λ
per ogni <e λ > 0 mentre la seconda discende dal teorema 130, notando che
Z t Z t
f (s) ds = h(t − s)f (s) ds .
0 0

La funzione h(t) introdotta nel lemma precedente si chiama funzione di


Heaviside .
Vediamo infine le relazioni tra la trasformata di Laplace e la derivazione.
Supponiamo f (t) continua per t ≥ 0, derivabile per t > 0 (e nulla per t < 0).
La derivata basta che sia continua a tratti e che esista con l’eccezione di un
numero finito di punti. Supponiamo che f 0 (t) sia a crescita esponenziale cosı̀
che anche f (t) lo è, si ricordi il Corollario 129. Allora:

Teorema 132 Se <e λ > {αf , αf 0 } vale


à !
d
L f (λ) = λfˆ(λ) − f (0) .
dt

Dim. Integrando per parti


Z T Z T
e−λt f 0 (t) dt = e−λT f (T ) − f (0) + λ e−λt f (t) dt .
0 0

L’asserto segue passando al limite per T → +∞, ricordando che <e λ > αf .

Esempio 133 Si consideri l’equazione differenziale

x0 = ax + f .

Si può provare che se f ha crescita esponenziale lo stesso vale per x; e quindi,


calcolando la trasformata di Laplace dei due membri,
x0 1
x̂(λ) = −1
+ fˆ(λ) .
(λ − a) (λ − a)−1

In modo analogo può trattarsi per esempio un’equazione integrale del tipo
Z t
x(t) = k(t − s)x(s) ds + f (t) .
0
130 CAPITOLO 3. LA TRASFORMATA DI LAPLACE

Se sia k che f hanno crescita esponenziale, lo stesso avviene per x e quindi

1
x̂(λ) = fˆ(λ) .
1 − k̂(λ)

Si noti però che l’uso formale di questo metodo può condurre a perdere solu-
zioni, come si vede studiando l’equazione

tx00 + x0 + tx = 0 . (3.3)

La trasformata di Laplace di tf (t) è − ddλ fˆ(λ) e

L(f 00 )(λ) = λL(f 0 )(λ) − f 0 (0) = λ2 fˆ(λ) − λf (0) − f 0 (0)

cosı̀ che

d n 2ˆ o d ˆ
L(tf 00 )(λ) = − λ f (λ) − λf (0) − f 0 (0) = −2λfˆ(λ) − λ2 f (λ) + f (0) .
dλ dλ

Dunque, trasformando, si trova che se x risolve (3.3) e inoltre se la sua derivata


seconda ammette trasformata di Laplace, allora vale
" #
d
2 d
−2λx̂(λ) − λ x̂(λ) + x(0) + [λx̂(λ) − x(0)] − x̂(λ) = 0
dλ dλ

e quindi x̂(λ) risolve


(1 + λ2 )x̂(λ) + λx̂(λ) = 0 .

Quest’equazione si risolve facilmente per separazione di variabili e le soluzioni


sono le funzioni
c
x̂(λ) = √ , c ∈ C.
1 + λ2
Dunque, le funzioni x(t) trovate sono tutte multiple una dell’altra. Però,
l’equazione (3.3) è del secondo ordine e quindi deve avere una seconda famiglia
di soluzioni, linearmente indipendenti da quella che abbiamo trovato. Questa
famiglia di soluzioni non si trova mediante la trasformata di Laplace perché
si tratta di funzioni illimitate per t → 0+, e non integrabili, e quindi prive di
trasformata di Laplace.
3.4. ALCUNE TRASFORMATE FONDAMENTALI 131

3.4 Alcune trasformate fondamentali


Le due tabelle seguenti mostrano le regole di calcolo che abbiamo già incontrato
e alcune trasformate “fondamentali” nel senso che si incontrano più frequen-
temente nelle applicazioni. Si intende che le funzioni sono nulle per t < 0 e
nella tabella seguente se ne indica la restrizione a t ≥ 0.

funzione trasformata
funzione trasformata 1
1
af (t) + bg(t) afˆ(λ) + bĝ(λ) λ
n!
f 0 (t) fˆ(λ) − f (0) tn
λn+1
1
(f ∗ g)(t) fˆ(λ)ĝ(λ) eat
Rt
λ−a
f (s) ds 1 ˆ
f (λ) n!
0 λ tn eat
(λ − a)n+1
f (t − h) con h > 0 e−λh fˆ(λ) ω
sin ωt
f (at) con a > 0 1 ˆ
f (λ/a) λ + ω2
2
a λ
d fˆ(λ) cos ωt
−tf (t) λ + ω2
2
ω
·dλ ¸ sinh ωt
R T −λs λ − ω2
2
f (t) = f (t + T ) 0 e f (s) dt · 1−e1−λT λ
cosh ωt
λ − ω2
2

La verifica delle formule precedenti è immediata: si calcolano direttamente


le 1) e 3) e si usa la formula di trasformazione dell’integrale per la 2) e per la
4). Le regole 5) e 6) si ottengono dalla 3) mediante le formule di Eulero.

3.5 Il problema dell’antitrasformata


Notiamo che più funzioni possono avere la medesima trasformata. Se però
imponiamo alle funzioni continue a tratti ed a crescita esponenziale di essere
continue da sinistra (oppure da destra) allora la corrispondenza tra funzioni e
trasformate è 1–1. Ciò nonostante, il problema di caratterizzare quelle funzioni
olomorfe che sono trasformate di Laplace è molto difficile e in realtà trova
una soluzione accettabile aumentando lo spazio di “oggetti” per i quali può
calcolarsi la trasformata fino ad introdurre la trasformata di “distribuzioni”,
come vedremo per la “trasformata di Fourier”.
Qui limitiamoci a dire che esiste una formula che talvolta permette di
calcolare l’antitrasformata di Laplace . Sia F (λ) una funzione olomorfa in un
132 CAPITOLO 3. LA TRASFORMATA DI LAPLACE

semipiano <e λ > α e sia c > α. Consideriamo la funzione

1 Z c+i∞ +λt
f (t) = e F (λ) dλ
2πi c−i∞

(ossia, si intende di calcolare l’integrale sulla retta <e λ = c). Se |F (λ)| < |λ|M1+²
con ² > 0, allora l’integrale converge e la trasformata di Laplace di f (t) è
proprio F (λ). Però, la condizione sul comportamento di F (λ) per |λ| →
+∞ lungo una retta verticale è molto restrittiva e il calcolo dell’integrale è in
generale macchinoso. Quindi per il calcolo dell’antitrasformata di Laplace si
ricorre all’uso delle tavole di trasformate, combinato con le regole di calcolo
che abbiamo visto. C’è però un caso importantissimo per le applicazioni, che
è necessario conoscere, ed è il caso in cui F (λ) è una funzione razionale.

3.5.1 Antitrasformata di funzioni razionali


Sia F (λ) = n(λ)
d(λ)
una funzione razionale, ossia il quoziente di due polinomi. Se
essa deve essere una trasformata di Laplace, il grado del denominatore deve
essere strettamente maggiore di quello del numeratore; in tal caso la funzione
razionale si chiama strettamente propria . Questa ovvia condizione necessaria
è anche sufficiente:

Teorema 134 Una funzione razionale è una trasformata di Laplace se e solo


se è strettamente propria.

Dim. Infatti, ogni funzione razionale strettamente propria si rappresenta come


 
n pi
n(λ) X 
X Ai,j 
= .
d(λ) i=1 j=1 (λ − λi )j

La tavola delle trasformate che abbiamo visto al par. 3.4 mostra che ciascun
addendo è una trasformata di Laplace.
In particolare, l’antitrasformata di Laplace delle funzioni razionali strettamente
proprie è combinazione lineare di polinomi, esponenziali e funzioni seno e coseno
e loro prodotti.
Un caso particolarmente importante è il caso in cui la funzione razionale
ha solamente poli semplici. In questo caso
n
n(λ) X Ai
=
d(λ) i=1 (λ − λi )
3.5. IL PROBLEMA DELL’ANTITRASFORMATA 133

ove n è il grado del denominatore ed Ai è il residuo del polo semplice λi . Nel


caso in cui n(λ) e d(λ) non hanno zeri comuni,

n(λi )
Ai =
d0 (λi )

e quindi l’antitrasformata è
n
X n(λi ) λi t
0
e .
i=1 d (λi )

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