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Francesco Lamendola

Il papà della “svolta antropologica” è Galilei


La cosiddetta “svolta antropologica” è quella rivoluzione copernicana della teologia che, a partire
dal pensiero (eretico) del gesuita Karl Rahner, si propone di ribaltare la prospettiva da Dio all’uomo
e di umanizzare i problemi relativi al rapporto dell’umano col divino. Tale svolta, che sarebbe più
esatto definire un colpo di mano, ha trovato vasta ricezione da parte dei settori progressisti del clero
fin dal tempo del Concilio Vaticano II, della cui impostazione di fondo si può considerare, in buona
misura, l’ispiratrice. Da allora, tutti i modernisti travestiti da cattolici si sono appellati alle idee della
svolta antropologica e hanno auspicato una “piena attuazione” del Concilio, come fa ora il signore
argentino, quasi che il Concilio non fosse lì, nei documenti che ha prodotto, ma in un non meglio
specificato “spirito conciliare” che attende ancora, a cinquant’anni di distanza, la sua piena
attuazione, beninteso sempre nell’ottica della svolta antropologica, cioè mettendo l’umano al centro,
e non più il divino, inteso come trascendente. Il capovolgimento di fronte degli altari nelle chiese
dopo il Concilio, il nuovo Messale di Paolo VI, l’abolizione de facto del latino e l’inizio di una “arte
sacra” che, a cominciare dalla progettazione delle nuove chiese, pone sempre più l’accento sui temi
della modernità, della contemporaneità, dell’essere in piena sintonia col mondo, sono alcune delle
manifestazioni più clamorose di questo nuovo atteggiamento, che, sul piano pastorale, e
inevitabilmente anche su quello dottrinale, tende, mediante l’ecumenismo e il cosiddetto dialogo
inter-religioso, a scalzare l’idea della unicità del cristianesimo come dottrina di salvezza, e a
relativizzare la portata del Vangelo, equiparandolo, nei fatti, alle altre grandi religioni, specie
monoteiste, e rivalutando in maniera sempre più esplicita la figura e l’opera dell’eretico Lutero e
delle chiese scismatiche fondate dai protestanti. Altri aspetti salienti della “svolta” sono la
rivalutazione dell’impegno sociale e civile, anche in maniera del tutto slegata dai valori cristiani;
l’ambientalismo, l’ecologismo, il pacifismo, l’antirazzismo, l’antifascismo, in nome della “persona”
e nel solco di una tradizione ideologica prettamente connotata a sinistra, fino al punto di ammettere
esplicitamente convergenze significative con l’analisi marxista della lotta di classe; la diffidenza, il
fastidio, il ripudio delle pratiche devozionali popolari, della spiritualità, dell’ascetica, della mistica,
dell’apologetica, di tutto ciò che sa di mortificazione, di rinuncia, di sacrificio, di accettazione della
sofferenza, e di tutto ciò che potrebbe indisporre i fedeli delle altre religioni, nonché gli atei, perché
troppo chiaramente connotato come cattolico: fino al punto di definire l’apostolato, come ha fatto il
signore argentino, una solenne sciocchezza.
A monte di tutto ciò vi è una totale adesione al modello conoscitivo scientifico e una sua acritica
assolutizzazione, fino a risolverlo in scientismo: in un riconoscimento, cioè, che essere cristiani
“moderni” significa voltare le spalle una volta per tutte alle credenze “superstiziose” del passato e
aderire pienamente, incondizionatamente, senza riserva alcuna, alla visione del reale proposta dalla
scienza sperimentale. Di qui la malcelata irritazione dei cattolici della “svolta” nei confronti del
soprannaturale, del miracolo, della stessa santità: perché il santo è capace di operare miracoli nel
nome di Dio, e i miracoli, come dice Voltaire, sono impossibili, essendo impossibile una
sospensione delle leggi fisiche del mondo. Ed ecco perché i neoteologi improvvisati alla Enzo
Bianchi deridono i miracoli, svillaneggiano le apparizioni mariane e le sottopongono alla critica di
una mentalità secolarizzata e ideologizzata: se la Madonna, a Fatima, ha preconizzato tante cose,
ma non la Shoah, allora quella Madonna non è credibile. Una cosa, insomma, è credibile se
rispecchia le ideologie moderne e se è in linea con ciò che i cattolici moderni, seguaci della svolta
rahneriana, si aspettano da Dio e dalla religione. Se ciò che viene da Dio non è conforme alle loro
aspettative, allora non resta che dedurne che non viene da Dio, perché Dio ha fatto l’opzione
preferenziale per i poveri, per gli emarginati, per i discriminati, e quindi tacere sulla Shoah non
sarebbe da Dio, anzi neanche dalla Madonna. In questa inversione del rapporto fra Dio e gli uomini,

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fra Maria e gli uomini, per cui non conta ciò che Dio e la Madonna dicono e domandano agli
uomini, ma ciò che gli uomini si aspettano, anzi, pretendono da loro, sta il senso ultimo della
“svolta” di Rahner e di tutti i suoi epigoni che, attualmente, si sono impadroniti del vertice della
chiesa e ne occupano tutti i posti chiave, a cominciare dalla C.E.I., dalla stampa, dai dicasteri
principali e dal collegio dei cardinali. Per cui la più recente blasfemia perpetrata da un quotidiano
che in teoria dovrebbe essere cattolico, L’Avvenire, che ha affidato la sua pagina “umoristica” al
vignettista ateo e comunista Sergio Staino, il quale mette in ridicolo Gesù e i miracoli pur di dare
addosso alla lega di Salvini, oltretutto facendo politica, e nel peggiore dei modi, non è che l’ultima
tappa di questo processo di dissoluzione della trascendenza, di svuotamento e banalizzazione della
dottrina, di imbarbarimento e snaturamento della pastorale e di ridicolizzazione della liturgia.
L’ultima tappa, ma preceduta da altre tappe, all’inizio relativamente più caute e sfumate, poi, un
poco alla volta, sempre più sfacciate ed esplicite, sino agli orribili cachinni di un Paglia, di un
Galantino, di un Sosa o di un Bergoglio, coi quali la religione cattolica ha toccato, per bocca dei
suoi più alti esponenti, il punto più basso di tutta la sua storia due volte millenaria.
E ora torniamo allo scientismo. Il padre della rivoluzione scientifica moderna è, per universale
consenso, Galileo Galilei; dunque, chi assolutizza la scienza e la antepone anche alla teologia, o
meglio, chi afferma che la teologia deve adottare, in tutto e per tutto, il metodo sperimentale, si rifà,
che lo sappia o no, a una tendenza che ha la sua radice proprio in Galilei. Il quale, a sua volta, non si
è mai capito se e fino a che punto si rendesse conto che, assolutizzando, come lui faceva, il
linguaggio scientifico, e relativizzando quello della divina Rivelazione – perché, diceva, nel grande
libro dell’universo è Dio stesso che parla, mentre nella Bibbia Dio parla per bocca degli uomini,
quindi in maniera indiretta – stava gettando le basi per una sottomissione della fede alla scienza e
per una adozione piena e indiscriminata della ideologia scientifica anche nell’ambito delle questioni
religiose. Su questa linea, ad esempio, si colloca il pieno riconoscimento della teoria
dell’evoluzione e la sua elevazione al rango di verità certa e definitiva, fatto da Giovanni Paolo II, il
quale era così smanioso di domandare perdono, a nome della Chiesa, per il processo a Galilei di
quattro secoli fa, da volersi mostrare più realista del re, abbracciando una teoria scientifica a nome
della Chiesa, senza aspettare che le evidenze scientifiche la confermino o la smentiscano: tutto pur
di non arrivare in ritardo un’altra volta, ma arrivare, se possibile, perfino in anticipo, per far vedere
che la Chiesa è cambiata. Ma perché la Chiesa dovrebbe essere cambiata? Perché non è più in
conflitto con il mondo, e quindi nemmeno con la cultura moderna. Qui c’è una terribile confusione
concettuale, perché il fatto che la Chiesa abbia una sua posizione da portare avanti, distinta e
alternativa alle idee del mondo, non significa che deve essere in guerra contro il mondo: Sono
venuto per salvare il mondo, non per condannarlo, dice Gesù stesso. Ma non significa nemmeno
che la Chiesa deve avere dei complessi d’inferiorità e che deve continuamente mostrare di non aver
paura del “nuovo”, pur di mostrarsi emancipata e al passo coi tempi. Perché essere al passo coi
tempi vuol dire mietere applausi nel presente, ma trovarsi penosamente fuori tempo sul lungo
periodo. La Chiesa ha una Verità eterna da annunciare, quella di Gesù Cristo: il suo messaggio sta
saldo come la roccia, incrollabile, definitivo, e non deve temere né il passare dei secoli, né lo
scorrere delle mode. Se la Chiesa rimane fedele a se stessa, vale a dire al Vangelo, può essere di
aiuto al mondo; se s’inchina alle mode del mondo, se si sforza di piacere al mondo, perde se stessa e
perde anche il mondo. È la Chiesa che deve redimere il mondo, non il mondo che deve convertire la
Chiesa. Ma oggi sta accadendo proprio questo: il mondo sta convertendo la Chiesa alle sue idee.
Quando il signore argentino, per esempio, dice, con la sua abituale rozzezza e ignoranza, che Maria
era una ragazza come quelle di oggi, assolutamente “normale”, va nella direzione di far sua la
filosofia del mondo e di voler piacere al mondo; ma tradisce la Verità che dovrebbe annunciare. No,
Maria non era una ragazza “normale”: era la scelta dal Signore, una creatura superiore al normale,
concepita senza peccato proprio perché chiamata ad accogliere in se stessa il mistero della divina
Incarnazione. Altro che ragazza normale! E quanto alle ragazze d’oggi, con tutto il rispetto, no,
Maria non era come le ragazze d’oggi: non era il tipo che pone ogni cura nel rendere sensuale e
voluttuoso il suo corpo, che si concentra narcisisticamente su se stessa, che dedica ogni attenzione

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alle esteriorità, pur di attirare gli sguardi su di sé; tutto il contrario: era una creatura contemplativa,
spirituale, immensamente altruista e generosa, refrattaria alle vanità e alle lusinghe di questo
mondo. Ma è possibile che un laico qualsiasi debba dire queste cose per correggere il papa, per
ricordare al papa chi era la Madonna, e per rimediare all’impressione disastrosa che le sue sciocche
e irriverenti parole hanno senz’altro provocato in molti milioni di fedeli?
Ed ecco quel che scriveva Ludovico Geymonat a proposito della svolta non solo scientifica, ma
anche teologica, operata, consapevolmente o no, da Galilei (in: L. Geymonat, Galileo Galilei,
Torino, Einaudi, 1962, pp. 78-90 passim):

In conclusione: la verità è una, ma i linguaggi per esprimerla sono due. Rinunciare, nell’ambito
dell’indagine scientifica, al linguaggio usato da Dio bella Bibbia non significa rinunciare alla
Bibbia, o volerla correggere o porre comunque in dubbio la sua autorità. Significa semplicemente
passare da un tipo di discorso all’altro, esso pure, del resto – e l’osservazione è importantissima –
usato da Dio, non quando voleva rivolgersi agli uomini, ma quando scriveva il libro della natura.
(…) Qui però si fa avanti una grandissima difficoltà, di cui Galilei non sembra essersi reso
perfettamente conto: chi può escludere che, se non i sensi, per lo meno il discorso e l’intelletto di
cui siamo indubbiamente dotati, risultino prima o poi in grado di farci trattare con rigore
scientifico ANCHE le verità concernenti le discipline morali? È vero che il nostro afferma ripetute
volte e con estrema chiarezza, di esigere la totale autonomia del sapere scientifico rispetto alla
Bibbia solo nell’ambito delle “dispute di problemi naturali”; ma qual garanzia poteva egli offrire
alla Chiesa che altri – seguendo la via da lui stesso aperta – non avrebbe richiesto un’analoga
libertà ANCHE per le dispute di problemi morali o religiosi? Qual garanzia poteva insomma, offrire
che il metodo dell’indagine scientifica, una volta rivelatosi vittorioso nelle discipline del secondo
tipo, non avrebbe cercati di estendersi ANCHE alle discipline del primo? Non si può negare che i
teologi avessero perfettamente ragione dal loro punti di vista, di prevedere (e temere) il verificarsi
– non importa se più o meno prossimo - di una situazione siffatta, per loro tanto pericolosa.
La realtà è che Galilei, come ben s’accorsero i suoi avversari, mentre da un lato sembrava
riconoscere pari diritti ai due predetti linguaggi - quello comune, usato dagli uomini nella vita
quotidiana, e dallo Spirito Santo nella Bibbia, e quello scientifico usato nelle ricerche rigorose –
dall’altro lato non nutriva però dubbio alcuno sulla incontestabile superiorità del secondo
linguaggio rispetto al primo. Il sottofondo del suo pensiero, in altri termini è questo: allorché una
questione sia stata sviscerata a fondo, mediante un discorso scientifico perde ogni senso voler
confutare i risultati così raggiunti invocando le proposizioni del linguaggio comune (sia quelle
pronunciate dagli uomini nella vita quotidiana sia quelle dettate dallo Spirito Santo nella Bibbia);
di fronte alle verità dimostrate dalla scienza, il linguaggio comune non ha assolutamente più nulla
da opporre…

Si rilegga e si mediti la frase: ma qual garanzia poteva egli offrire alla Chiesa che altri – seguendo
la via da lui stesso aperta – non avrebbe richiesto un’analoga libertà ANCHE per le dispute di
problemi morali o religiosi? E poi si faccia caso a come parlano i teologi e i pastori della neochiesa;
si faccia caso a quel che dice il signore argentino a proposito dell’aborto: che è un problema
antropologico e che sono i sociologi gli esperti in materia. Non sono queste, forse, le logiche
conclusioni delle premesse poste a suo tempo da Galilei? Ora, fin dal primo modernismo, i Tyrrell, i
Losy, i Buonaiuti si muovono su questa falsariga: applicare alla critica biblica gli stessi metodi della
scienza moderna. Come osserva Geymonat, sulla scorta di Galilei: di fronte alle verità dimostrate
dalla scienza, il linguaggio comune non ha assolutamente più nulla da opporre. E se la scienza ha
dimostrato che un corpo solido non può camminare sull’acqua, come può averlo fatto Gesù Cristo?
E se la scienza ha dimostrato che la morte è un evento biologico irreversibile, come può Gesù Cristo
essere risorto? La teologia è caduta in mano ai biblisti, e i biblisti al metodo scientifico; e i teologi
hanno suonato la musica al clero, e il clero si è messo a ballare al ritmo del modernismo. Ci ha
messo quattro secoli, ma infine la lunga e insidiosa miccia accesa da Galileo Galilei, è scoppiata…

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