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La sovranità [non] appartiene al popolo

DELLA DEMOCRAZIA E DI ALTRE ... “QUISQUILIE”

Stefano Carboni | Diritti | 16 luglio 2016


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In copertina particolare da

“Quarto Stato” di Giuseppe Pellizza da Volpedo (1901) - Museo del Novecento - Milano
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Sommario
Introduzione - Per una Politica con la P maiuscola ...................................................................................................... 3
Democrazia, sovranità … e rappresentanza ................................................................................................................... 4
Colpa solo del Porcellum ? .............................................................................................................................................. 8
Rappresentati … da chi ? ................................................................................................................................................. 10
Rappresentanza e governabilità, il nuovo assetto istituzionale ...................................................................................11
Col maggioritario vince un partito … ma perdono i cittadini ..................................................................................... 14
Conclusioni ...................................................................................................................................................................... 15
Appendici ......................................................................................................................................................................... 16
Sistema elettorale - Un’occhiata al passato ........................................................................................................... 16
Risultati elettorali dal 1992 al 2008 ......................................................................................................................... 17
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Introduzione - Per una Politica con la P maiuscola


L'esasperazione per decenni di politica caratterizzata da una lotta per il potere del tutto fine a se
stessa e senza il benché minimo interesse per l’interesse dei cittadini o per la soluzione dei problemi,
anni di politica contrassegnata da una patologica inconcludenza sui grandi temi economici e sociali
alla quale ha fatto riscontro l’emanazione di una moltitudine di leggi, regolamenti e leggine non di
rado in contrasto tra loro e spesso nate con l’unico scopo di garantire interessi personali ai governanti
o ai rispettivi gruppi di potere clientelare, hanno portato tanti Italiani a rifiutare ogni interesse per il
governo della polis e forse altrettanti a pensare che cambiare sia ormai così urgente da far apparire
sicuramente positiva ed interessante qualunque discontinuità, senza neppure verificarne i contenuti.

Temo che entrambe queste risposte siano non solo sbagliate, ma soprattutto del tutto inefficaci a
garantire quel necessario cambiamento in meglio che, se non tutti, almeno in tanti auspichiamo.

E’ infatti indispensabile “bagnarsi” nel mare della politica, per quanto inquinato esso possa
attualmente essere e per quanto anche solo l’idea di sfiorarlo possa fare ribrezzo: non farlo,
rimanerne lontani, “immuni”, equivale a lasciare mano libera proprio a quelli che – per incapacità o,
peggio, perché spinti dall’interesse personale - hanno reso sporca la gestione della “cosa pubblica”.
Non partecipare, chiamarsi fuori, non volersi far “contaminare” ha come effetto collaterale che
saranno sempre solo “loro” a detenere il potere, a governare su di noi, per noi e, spesso, contro di
noi, a portare avanti una politica con la “p” minuscola.

Astenendoci e non partecipando alla vita pubblica non facciamo nulla contro di loro, anzi, facciamo
invece tanto contro noi stessi, lasciando che siano altri a poter legittimamente operare e decidere,
spesso proprio quelli che ci hanno portato a questo punto.
Solo noi possiamo ritirare questa delega e [ri-]cominciare ad agire, in prima persona, per far tornare
puro e limpido questo mare: in fondo, “noi” siamo milioni, mentre “loro”, per quanto potenti e
strettamente avvinghiati al potere, sono molti, molti meno.

Un’ennesima lotta di potere è in corso anche in questo momento sopra le nostre teste. Come fare
per capire se è solo la lotta di un gruppo che vuole conquistare quello stesso potere che finora
avevano detenuto altri, se si arriverà ad una pura spartizione del potere tra vecchi e nuovi potenti o
se si tratta di una lotta finalizzata a dare a noi cittadini maggiori diritti e maggiore voce in capitolo ?
Non esiste una risposta certa, ma è sicuramente indispensabile che ciascuno di noi dedichi una
parte del suo tempo a documentarsi, a sentire fonti diverse per cercare di capire cosa realmente
accade e contribuire così a far crescere un simile atteggiamento partecipativo e responsabile in tutti,
perché se ci guardiamo attorno e vediamo il livello di degrado al quale siamo arrivati, possiamo
facilmente immaginare che questo sacrificio, questi 15’-30’ al giorno impiegati per tenerci informarci
e per discutere con amici e conoscenti sui temi e sulle problematiche della “gestione della cosa
pubblica” possono veramente fare la differenza.

Serve conoscere, analizzare le cose, immaginare eventuali soluzioni alternative e, dopo aver
valutato bene le diverse opzioni, operare, in modo pacato, ma chiaro e fermo per fare sì che il nostro
futuro possa essere migliore del presente. Ed in questo agire è opportuno cercare di evitare ogni
iperattivismo: la società attuale è caratterizzata da migliaia di situazioni di equilibrio precario che
riguardano la vita di milioni di persone, equilibri per i quali una modifica, anche minima, può generare
benefici, ma può anche avere ripercussioni negative enormi.
Primum non nocere, non facciamo gli apprendisti stregoni con le vite dei nostri contemporanei e
con quelle delle prossime generazioni.
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Democrazia, sovranità … e rappresentanza


COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
[Gazzetta Ufficiale 27 dicembre 1947, n. 298]

IL CAPO PROVVISORIO DELLO STATO

Vista la deliberazione dell’Assemblea Costituente, che nella seduta del


22 dicembre 1947 ha approvato la Costituzione della Repubblica Italiana;
Vista la XVIII disposizione finale della Costituzione;

PROMULGA

La Costituzione della Repubblica Italiana nel seguente testo:

PRINCIPI FONDAMENTALI
ART. 1
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Il tema della sovranità popolare potrebbe sembrare così ovvio e scontato da non richiedere
alcun approfondimento, ma spesso è proprio sui temi fondamentali che si evidenzia una
progressiva perdita di attenzione, per cui è opportuno rimarcarne la centralità e l’importanza,
attestata anche dal fatto che questo valore è stato solennemente ribadito nel primo articolo della
Costituzione, tra i principi fondamentali.

La Carta costituzionale è la fonte, il compendio delle regole e dei criteri ai quali si deve
conformare l’azione dello Stato e dei cittadini.
Potrebbe quindi suonare stonato se le norme ed i meccanismi che regolano la nostra vita politica
risultassero non conformi con quanto afferma la Costituzione e, nei fatti, non venissero garantiti
proprio quelli che sono stati scelti come principi fondamentali.
Tale situazione rappresenterebbe un tradimento dei valori originari ed un inganno perpetrato
contro tutti noi. Si tratterebbe di una violazione talmente grave da relegare quasi in secondo
piano il fatto che così verrebbe anche reso del tutto vano l’impegno, la passione, il coraggio di
quei tanti Italiani che hanno sofferto e, in molti casi, hanno pagato duramente, a volte anche con
la vita, il tentativo di riconquistare e di assicurare a tutti noi la libertà e la democrazia.

La nostra Costituzione, afferma che l’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro, e
che la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Proviamo a concentrarci soprattutto su questi primi due termini
democrazia forma di stato nel quale il potere risiede nel popolo
sovranità pienezza dei poteri ed indipendenza da ogni altro potere

Si potrebbe dissertare su entrambi questi concetti e ricordarne l’evoluzione storica, ma


concentriamo la nostra attenzione solo sul loro significato fondamentale.
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Il termine democrazia è ben conosciuto e caratterizza una forma di Stato nel quale è garantita
ad ogni cittadino la partecipazione, in piena uguaglianza, all’esercizio del potere.
La democrazia – purtroppo – non garantisce che una società organizzata operi le scelte migliori
in campo politico, ma ha sicuramente la caratteristica di far ricadere la responsabilità di tali scelte
(giuste o sbagliate che si dimostrino) sulla maggioranza dei cittadini.

L’espressione sovranità appartiene al popolo evidenzia che è nel popolo la fonte del potere e
la giustificazione della potestà. Le parole che seguono - ..la esercita nelle forme e nei limiti
della Costituzione - indicano poi che questa sovranità non deve avere altre limitazioni, se non
quelle previste nella Costituzione stessa.

Tanto si è discusso sul tema della sovranità popolare, sia per quanto riguarda l’interpretazione
da dare al termine sovranità, sia relativamente al concetto di popolo. Nell’ambito del
costituzionalismo moderno, la sovranità viene strettamente collegata al tema del suffragio
universale (e quindi, nuovamente, alla democrazia e, indirettamente, alla rappresentanza).
Già due secoli fa, dai tempi della Rivoluzione Francese, si affermava che la sovranità risiede nel
popolo (art. 25 Déclaration des droits de l’homme et du citoyen - 1793) e che il popolo sovrano
è costituito dall’universalità dei cittadini (art. 7 Costituzione Francese - 1793).

Ma come si esprime questa sovranità ?

Nei pochissimi casi di democrazia diretta è il popolo stesso che decide su tutti gli aspetti (o
almeno su quelli principali) della politica. Nella quasi totalità degli Stati moderni, invece, la
democrazia è esercitata in modo indiretto, da rappresentanti eletti dai cittadini.

La rappresentanza diventa quindi elemento centrale del sistema ed è sulla base di questa che
si esercita la sovranità popolare.
Questo tema, meno enfatizzato rispetto ad altri concetti quali la democrazia stessa, la forma
dello Stato o la separazione dei poteri, ha comunque visto esercitarsi e confrontarsi numerosi
studiosi, ma non si è arrivati ad una sintesi condivisa tra le diverse posizioni.
La cosiddetta scuola democratica afferma che la rappresentanza politica è in grado di garantire,
sul piano sostanziale, il massimo bene pubblico possibile, assicurando, sul piano formale, che
il rappresentante eletto abbia, rispetto al rappresentato, una titolarità indiretta della
sovranità.
A tale scuola si contrappone quella cosiddetta autoritaria, secondo la quale è invece il
rappresentante, rispetto al rappresentato, a detenere, una volta eletto, la titolarità diretta
della sovranità.

Per quanto si possa ritenere preferibile la prima impostazione, una lettura dell’art.67 della nostra
Costituzione (“ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni
senza vincolo di mandato”) porta a ritenere che la nostra Carta sia maggiormente in linea con
la seconda interpretazione, quella “autoritaria”.

A maggior ragione in questo caso diventa ancora più importante che il sistema della
rappresentanza garantisca ex ante l’originario principio della sovranità popolare, visto
che la nostra Costituzione porta, ex post, a considerare la sovranità delegata agli eletti.
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Dovrebbe quindi lasciare interdetti scoprire che, nelle pieghe delle leggi che regolano le modalità
con le quali il popolo sovrano elegge i suoi rappresentanti, escluse come tematica dall’ambito
della Costituzione, il concetto di universalità dei cittadini possa risultare “annacquato” e che la
potestà nell’esercizio tanto del potere legislativo quanto di quello esecutivo sia, in realtà,
assegnata ad eletti scelti non dalla totalità del popolo e neppure sicuramente da una
maggioranza assoluta, ma anche, spesso, solo da una minoranza, magari la più ampia delle
minoranze, ma pur sempre solo una minoranza !

Curiosamente la lingua inglese, che normalmente non spicca per la sua granularità
terminologica rispetto alla lingua italiana, risulta invece in questo caso molto chiara e precisa:
infatti l’Inglese limita l’utilizzo del termine majority alla casistica di una maggioranza assoluta
(tra due posizioni) ed utilizza invece un termine diverso e non ambiguo (come accade invece in
Italiano) plurality, per identificare il gruppo più numeroso, ma che non rappresenta comunque
la maggioranza assoluta.

E’ legittimo che una legge elettorale, nel regolamentare il meccanismo della


rappresentanza, restringa in modo sostanziale quanto la Costituzione prescrive
relativamente alla sovranità popolare, consegnando la sovranità non alla totalità dei
cittadini, ma potenzialmente anche solo ad una minoranza di essi ?

La risposta a questa domanda può essere trovata seguendo un metodo più teorico e
giurisprudenziale (e che, da ingegnere, chiamerei “topologico”): può una “semplice” legge, di
“rango” inferiore rispetto alle norme costituzionali, introdurre forme e limiti in contrasto con
quanto prescritto nella Costituzione stessa ? Comunque, anche senza scomodare giuristi e
costituzionalisti, a me, semplice cittadino, la risposta sembra scontata sia sul piano teorico, sia
su quello sostanziale e pratico: assolutamente NO !

Questa risposta non è solo conseguenza del fatto che quanto sancito dalla Carta deve costituire
il riferimento per tutta la restante legislazione; il fatto è che non può essere eticamente
accettabile, ragionevole e democratico che la sovranità possa, nei fatti, essere assegnata ad
una minoranza: si passerebbe da uno Stato democratico ad un regime sostanzialmente
oligarchico, nel quale il potere politico non è detenuto dai cittadini tramite i rappresentanti della
maggioranza del popolo, ma dai rappresentanti di una minoranza.

Se drammatiche sono le conseguenze che tale assurdo meccanismo comporta in termini di


delega del potere, non è neppure da trascurare l’effetto che si genera anche in termini di potere
di veto: chi, ottenuta solo una “plurality”, si vedesse riconosciuta una maggioranza assoluta nel
Parlamento, diventerebbe comunque indispensabile per qualunque operazione politica,
stravolgendo ogni principio di sovranità popolare non solo negli atti connessi con l’esercizio del
potere esecutivo, ma anche nell’iter di qualunque singolo provvedimento legislativo di proposta
parlamentare.

Una volta condiviso il fatto che una tale ipotesi rappresenterebbe un totale stravolgimento dei
principi fondamentali di sovranità popolare ed analizzate quelle che potrebbero essere le
conseguenze di una norma che assegnasse il potere politico ai rappresentanti di una minoranza
di cittadini, passiamo ad analizzare la situazione reale: in Italia succede o può succedere
qualcosa di simile ?
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Vediamo i risultati delle ultime elezioni politiche, quelle del 2013.

Alla Camera ad una delle coalizioni che si è presentata (e non ci interessa che sia stata quella
di centrodestra, centrosinistra o qualunque altra) sono stati assegnati il 54,8% dei seggi pur
avendo ottenuto la fiducia di solo il 29,8% dei votanti e quindi non essendo apprezzata dal
70,2% dei votanti. Questa coalizione è risultata sì la più votata (plurality), ma ha ottenuto meno
di un terzo dei voti (e solo appena poco più del 20% dei consensi degli aventi diritto al voto);
nonostante questo le è stata attribuita la maggioranza assoluta dei seggi.
In questo modo alla coalizione giunta prima è stato assegnato il controllo totale della Camera.
Come conseguenza di questo oltre 2/3 degli Italiani si sono trovati ad essere rappresentati in
questo ramo del Parlamento in modo tale da non avere alcuna possibilità né di formare un
governo né tantomeno di far approvare una qualunque legge, in mancanza del voto favorevole
di chi aveva ottenuto il consenso di meno di un elettore su tre.

Se sovranità e democrazia non sono – per noi - concetti astratti non ci si può che rallegrare del
fatto che, in un sistema ancora bicamerale perfetto, i risultati del Senato abbiano in parte
compensato questa patologia della rappresentanza manifestatasi alla Camera, impedendo a
chi aveva ottenuto meno di 1/3 dei consensi di arrivare a detenere una maggioranza assoluta
in entrambi i rami del Parlamento ed essere così in grado di governare e legiferare … contro la
volontà ed i diritti di oltre i 2/3 degli Italiani.
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Nonostante infatti anche al Senato si sia verificato una consistente differenza tra i voti ottenuti
ed i seggi assegnati, qui non si è ripetuta l’aberrante situazione descritta sopra ed il gap
riscontrato tra percentuale di voti ricevuti e percentuale di seggi assegnati è rimasto al di sotto
dei 7,5 punti percentuali, facendo sì che nessun partito o nessuna coalizione arrivasse ad
ottenere la maggioranza assoluta dei seggi.

Alla luce dei risultati elettorali del 2013 e della assegnazione dei seggi avvenuta per Camera e
Senato, possiamo ritenere che le regole elettorali abbiano garantito la sovranità del popolo
prevista dall’art.1 della nostra Costituzione ? Sembrerebbe proprio di no !

Colpa solo del Porcellum ?


Una così evidente distorsione di quanto prescritto dalla Costituzione, curiosamente poco o per
nulla evidenziata dai partiti, è stata invece segnalata da un avvocato milanese (Aldo Bozzi)
che ha presentato ricorso contro la legge elettorale allora in vigore, definita non a caso
Porcellum e, nonostante un iniziale giudizio negativo, ha proseguito la sua azione, ottenendo a
fine 2013 che la Corte Costituzionale affermasse la parziale incostituzionalità della legge stessa.
E’ infatti in buona parte per questa sproporzione tra voti ed eletti che la Consulta ha dichiarato
che i meccanismi del Porcellum “…trasformando una maggioranza relativa di voti,
potenzialmente anche molto modesta, in una maggioranza assoluta di seggi, determinerebbero
irragionevolmente una oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica”.

Questi meccanismi, inoltre “..avrebbero stabilito un meccanismo di attribuzione del premio


manifestamente irragionevole, il quale, da un lato, sarebbe in contrasto con l’esigenza di
assicurare la governabilità, in quanto incentiverebbe il raggiungimento di accordi tra le liste al
solo fine di accedere al premio, senza scongiurare il rischio che, anche immediatamente dopo
le elezioni, la coalizione beneficiaria del premio possa sciogliersi [come è in parte avvenuto], o
uno o più partiti che ne facevano parte escano dalla stessa. Dall’altro, provocherebbe
un’alterazione degli equilibri istituzionali, tenuto conto che la maggioranza beneficiaria del
premio sarebbe in grado di eleggere gli organi di garanzia che restano in carica per un tempo
più lungo della legislatura.
Tale modalità di attribuzione del premio di maggioranza stabilita dalle predette disposizioni
comprometterebbe, inoltre, l’eguaglianza del voto e cioè la parità di condizione dei cittadini nel
momento in cui il voto viene espresso, in violazione dell’art. 48, secondo comma, Costituzione.
La distorsione che ne risulta non costituirebbe, infatti, un mero inconveniente di fatto, ma
sarebbe il risultato di un meccanismo irrazionale normativamente programmato per determinare
tale esito”1.

Ma è solo il Porcellum (una legge entrata in vigore nel 2005 e sulla base della quale sono state
elette le Camere nel 2006 e nel 2008, oltre che nel 2013) a generare queste “anomalie” ?

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La Consulta, oltre a motivare la sua decisione di dichiarare incostituzionale alcuni elementi del Porcellum con le
suddette note, ha evidenziato anche l’illegittimità della modalità di espressione del voto come voto di lista, non
consentendo all’elettore di esprimere alcuna preferenza.
Nel motivare la sentenza la Corte Costituzionale ha inoltre segnalato come la mancanza di una soglia minima al di
sotto della quale non appare lecito attivare il meccanismo maggioritario determinerebbe “… irragionevolmente, una
oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica. Inoltre, avrebbero creato un meccanismo
intrinsecamente irrazionale, in contrasto con lo scopo di assicurare la governabilità”.
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Purtroppo no, il problema è ben più ampio e si presenta da molto più tempo.
Dal 1994, infatti, in Italia il numero dei rappresentanti eletti in Parlamento non corrisponde
all’espressione del voto dei cittadini.
In appendice viene riportata una sintesi dei risultati di 24 anni di elezioni politiche: dai dati si può
facilmente constatare che da quando è stata adottata una legge elettorale maggioritaria (il
cosiddetto Mattarellum, approvato nel 1993 ed applicato per la prima volta nel 1994) governo
e maggioranza in Parlamento NON sono stati espressione del “popolo sovrano”, ma
sempre solo di una minoranza (plurality).

L’unica particolarità che ha caratterizzato le elezioni della Camera dei Deputati nel 2013 è stata
che si è verificata una combinazione di eventi tale per cui questa patologia si è manifestata ad
un livello al quale non era mai arrivata prima (25% di differenza tra voti e seggi, con
l’assegnazione di 1,84 seggi per ogni punto percentuale ottenuto in voti da parte della coalizione
vincente e di 0,67 seggi per ogni punto percentuale di voti ottenuti dal secondo).
In realtà differenze dell’ordine del 12-13%2 si erano già verificate tra il 1994 ed il 2001. Da
quando l’Italia adotta il sistema maggioritario solo nel 2006 (col Porcellum) il gap tra voti ricevuti
e seggi assegnati è rimasto al di sotto del valore medio che si poteva riscontrare ai tempi del
sistema elettorale proporzionale (intorno al 4,5%). Ma quando c’era il sistema proporzionale
queste differenze non generavano una maggioranza assoluta in Parlamento e quindi non
consegnavano ad un partito o ad una coalizione che non aveva avuto la fiducia della
maggioranza dei cittadini una sovranità pressoché assoluta ed un diritto di veto esclusivo, ora
invece, col sistema maggioritario, questo poteva avvenire ed avveniva.

Non è da trascurare il fatto che il panorama politico italiano tende ormai ad essere complesso e
multipolare. Esclusivamente nelle elezioni del 2006 si sono presentate agli elettori
sostanzialmente due sole coalizioni: in quell’anno il sistema maggioritario ha funzionato meglio
(o almeno meno peggio) in termini di corrispondenza tra voto popolare espresso e seggi
assegnati, proprio in quanto il maggioritario è adatto principalmente a situazioni bipolari. Con un
sistema tri- o multi-polare il meccanismo non funziona e distorce la sovranità popolare.

E’ da ben 22 anni che in Italia il potere politico viene esercitato da rappresentanti eletti
da una minoranza: dal 1994 è stato sistematicamente violato l’art. 1 della Costituzione nel
suo principio fondamentale della sovranità popolare … e senza che sostanzialmente
nessuno si sia minimamente interessato della cosa !

Ed è una ben misera consolazione il fatto che la minoranza non sia stata sempre la stessa, ma
sia cambiata di colore sostanzialmente ad ogni elezione.

La crisi che da tempo attanaglia l’Italia non è probabilmente imputabile solo a questa
divaricazione tra sovranità popolare ed espressione effettiva del potere da parte di una classe
politica non rappresentativa, ma sicuramente la disaffezione degli Italiani per la politica è
interpretabile anche come risposta, probabilmente sbagliata ed anzi certamente
controproducente, alla crescente distanza esistente tra chi dovrebbe essere la fonte della

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con la conseguenza che la coalizione vincente eleggeva un rappresentante ogni 40.000 voti e le altre uno ogni
50.000 o più
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sovranità e chi invece effettivamente detiene il potere3, favorita anche da questo tipo di leggi
elettorali.

Accesa conflittualità, faziosità e cronica mancanza di consenso da parte di chi è al potere


sono problematiche facilmente riconoscibili in questi ultimi anni di vita politica: nella
interpretazione di tali situazioni non è da trascurare che siano dirette conseguenze del fatto
che governi e maggioranze parlamentari non sono più espressione di maggioranze nel
Paese, ma solo di minoranze di cittadini.

Rappresentati … da chi ?
Se poi il “piccolo vulnus” evidenziato sopra non bastasse, il problema della mancata
corrispondenza tra potere politico e sovranità popolare presenta anche una ulteriore patologia:
i cambi di gruppo parlamentare degli eletti.
Dal 2013 al 28 gennaio 2016 sono stati 3334 i cambi di casacca da parte di 247 diversi
parlamentari: 131 alla Camera (1 ogni 5 Deputati) e 116 al Senato (1 ogni 3 Senatori).
Il 26% dei 945 eletti tra Senato e Camera, una - o anche più – volte, ha abbandonato il partito
col quale è stato eletto da noi cittadini ed elettori, per passare ad una diversa formazione politica
o per costituirne una nuova.
La Costituzione – si è già detto - prevede che l’eletto sia libero di decidere la sua linea politica
e, conseguentemente, la sua adesione ad un partito anche diverso da quello nel quale è stato
eletto, ma in una situazione nella quale a poco più di metà legislatura oltre ¼ degli eletti ha
modificato la sua posizione rispetto a quella che aveva al momento in cui si è presentato
agli elettori e ne ha ottenuto la fiducia, è lecito nutrire qualche dubbio sul livello di
rappresentatività dell’attuale Parlamento e forse sull’art.67 stesso della Costituzione?
I dati, su questo argomento, non sono mai aggiornati, visto il continuo peregrinare di certi eletti;
in questa legislatura i cambi di gruppo sono stati in media oltre 10 al mese, mentre erano poco
più di 4,5 al mese nella precedente legislatura dal 2008-2013 (261 passaggi da parte di 179
parlamentari)5.

Con un Parlamento nel quale il 25% degli eletti non corrisponde a quanto espresso dal voto
popolare e, in 26 casi su 100, non sono più neppure nel gruppo per il quale sono stati eletti …è
ben difficile affermare che in Italia la sovranità appartiene al popolo !

Dopo 22 anni di questa situazione, acuita via via fino ad arrivare ad un livello tale per cui anche
la Consulta è dovuta intervenire, non sarebbe forse neppure fuori luogo sollevare qualche

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Si veda ad esempio l’affermazione di Philippe Ardant sulla “rappresentanza snaturata" caratterizzata da:
partiti che mirano al potere piuttosto che alla rappresentanza;
partiti organizzati in modo non pienamente democratico;
eletti che dipendono dai partiti piuttosto che dagli elettori (e, di conseguenza, rappresentano e curano
più gli interessi dei partiti che quelli degli elettori);
moltiplicazione di elettori fluttuanti.
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I dati si riferivano ad inizio febbraio 2016, al 20/2 la cifra sembra essere già arrivata a 336.
5
Se si suddividono i cambi di casacca in base al governo in carica si scopre che durante l’esecutivo Berlusconi (durato
3 anni e 6 mesi) si sono avuti 217 cambi di gruppo (circa 5,2 al mese), durante il governo Monti (durato 17 mesi)
“solo” 50 cambi (2,6 al mese), 138 sono stati i cambi durante il governo Letta (durato 10 mesi  circa 14 al mese,
principalmente in corrispondenza dell’implosione del PdL e della nascita di Ncd) e 195 durante il governo Renzi
(durato finora 2 anni  circa 8 al mese).
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dubbio sul fatto che questo Parlamento continui ad operare come se nulla fosse, ignorando
completamente il vizio sostanziale di rappresentanza e sovranità che lo caratterizza.
E se anche, come ha affermato la Consulta, le due Camere si sono legittimamente insediate e
conseguentemente se la loro attività è da considerare valida ... è almeno lecito domandarsi se
sia anche politicamente opportuno che questo Parlamento oltre a deliberare su tanti aspetti
della vita politica del Paese, promuova anche modifiche fondamentali per l’ordinamento dello
Stato come una nuova legge elettorale (che peraltro non sembra esente dalla medesima
patologia che ha contraddistinto le precedenti) ed addirittura una riforma della stessa Carta
Costituzionale ?

Anche ammesso che, per qualche assurdo bizantinismo, possa essere lecito, è anche
opportuno che a correggere le norme sbagliate che hanno regolato finora la
rappresentanza popolare siano proprio coloro che sono stati eletti grazie a queste regole
in contrasto con la Costituzione e che ne hanno ignorato la patologia ?

Rappresentanza e governabilità, il nuovo assetto istituzionale


Ci si deve fidare di quanto prodotto da questo Parlamento o è invece meglio diffidare ?
La direzione presa dalla maggioranza e dal Governo che hanno fortemente voluto sia la
nuova legge elettorale sia le riforme, è volta a garantire a noi cittadini quella sovranità e
quella democrazia che non ci è stata assicurata in questi anni ?
Purtroppo, se si guarda a quanto è stato approvato finora – spesso col voto solo dei
rappresentanti di una minoranza dei cittadini ed in più limitando o rifiutando ogni apporto da
parte delle altre forze politiche – l’indicazione sembra invece essere stata quella di ignorare
completamente il problema della sovranità popolare e della rappresentanza e di puntare
semplicemente al ripristino di un qualche meccanismo elettorale di tipo maggioritario, dopo che
quello del Porcellum è stato azzerato grazie alla sentenza della Corte Costituzionale.

Non si punta, quindi, ad una nuova legge elettorale per eliminare quella incoerenza tra principi
costituzionali ed impianto legislativo, rilevata dalla Consulta nel Porcellum ed alla quale la Corte
stessa aveva dato una parziale soluzione, ma ad una riforma in gran parte gattopardesca,
volta solo ad assicurare che cambi solo il minimo indispensabile per chi detiene il potere.

Si è forse parlato dell’esigenza di ripristinare la sovranità popolare quando si è discusso


in Parlamento della nuova legge elettorale ?
No, anzi, veniva quasi esclusivamente enfatizzato l’aspetto della governabilità6 del Paese
(guarda caso proprio come succedeva durante la 1° Repubblica), dando quasi per scontato che
questa caratteristica sia ben più importante rispetto al tema della rappresentanza. Non che la
governabilità non sia un aspetto centrale, ma, dovendo scegliere, è forse preferibile che lo
Stato sia governabile dando il potere a chi non è espressione della sovranità popolare ?
Che dire, quindi, di una nuova legge, l’Italicum, che rende sistematica la distorsione della volontà
dei cittadini, garantendo un premio di maggioranza del 14% a chi ottiene il 40% + 1 dei voti e gli
assegna il 54% dei seggi ? La nuova legge sarà forse migliore e più democratica del Porcellum
solo perché – si afferma - non permette che si verifichi una differenza del 25% tra seggi e voti e

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E’ forse opportuno segnalare che il termine “governabilità” non appare nemmeno nella Costituzione, mentre
“sovranità popolare” e “democrazia” ne sono alla base.
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limiterà questo gap al valore massimo del 14% ? E che dire se si presentasse un risultato –
compatibile con l’Italicum - per cui al primo partito col 40% + 1 dei voti venisse assegnato il 54%
dei seggi ed al secondo partito con il 40% dei voti solo il 31% dei seggi, per cui un solo voto di
differenza tra i due contendenti verrebbe a generare una differenza di quasi 150 seggi
della Camera (circa il 23% dei seggi di differenza alla Camera per un solo voto di differenza) ?
Non sarebbe sempre la trasformazione di “…una maggioranza relativa di voti, potenzialmente
anche molto modesta, in una maggioranza assoluta di seggi” determinando “irragionevolmente
una oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica” ?
Sarebbe una manifestazione della sovranità popolare il fatto che il secondo ed il terzo partito,
pur rappresentando il 60% di votanti non sarebbero in grado di far approvare una legge che li
vedesse concordi ed in contrasto con quanto portato avanti dal partito (o dalla coalizione)
arrivato primo ?

Qualcuno afferma che all’estero molti Stati usano questo metodo per eleggere le proprie
Camere … ma non è proprio così: intanto da molte parti si usa un sistema a due turni nel quale
è comunque l’elettore a scegliere se al primo turno non si è registrata una majority (da noi il
ballottaggio è previsto solo se al primo turno nessuno dei contendenti è andato oltre il 40% dei
voti ….come se un secondo turno diventasse inutile e superfluo se un partito supera il 40% dei
consensi già al primo turno senza arrivare al 50%). Nella stessa Gran Bretagna poi, patria
dell’uninominale, da quando il sistema politico è passato da sostanzialmente bipolare a tri-
polare, il tema della iniquità dell’uninominale è sempre più dibattuto.

Se poi si fosse sempre usato il criterio di non dare spazio a visioni originali quando queste
differivano da ciò che veniva fatto all’estero (in una sorta di “globalizzazione al ribasso”), la
democrazia non si sarebbe dovuta sviluppare nella Grecia antica, né si sarebbe estesa agli altri
Paesi: grazie al cielo almeno una volta non si ragionava in base a certi assurdi steriotipi !

Se poi anche i temi della democrazia e del rispetto della sovranità popolare non riuscissero a
scalfire certi animi, troppo presi dai tecnicismi, dalla “governabilità” o dal fatto che all’estero si
fa così, proviamo a guardare i dati concreti: numeri e non opinioni.
Dal 1994 il sistema maggioritario NON ha neppure garantito la governabilità: in 22 anni di 2°
repubblica e di legge elettorale sostanzialmente maggioritaria si sono alternati 13 governi7 con
una durata media di vita di 13,5 mesi circa, certamente meglio rispetto ai quasi 11 mesi di vita
media dei governi nella 1° repubblica, ma un po’ pochino se li si confronta con le durate dei
governi all’estero o anche solo con la durata media reale delle legislature della 2° repubblica,
pari a 3 anni ed 8 mesi - rispetto ai 5 anni previsti.

E’ forse una soluzione rendere ancor meno “democratico” il sistema, impedendo che una
seconda camera possa “disturbare il manovratore” ?
Questo, infatti, ci viene detto: la seconda camera è inutile, non esiste sostanzialmente da
nessuna parte, è meglio eliminarla fisicamente o almeno nella sostanza per rendere più veloce
il processo legislativo, per ridurre drasticamente i costi della politica, il numero dei parlamentari
e per garantire la governabilità, …

Ma non basta ripetere 1.000 volte ai media cose false per renderle vere !

7
I dati si riferiscono ad inizio Febbraio 2016.
13

La maggior parte dei Paesi democratici ha due Camere e se guardiamo gli Stati Uniti, ad
esempio, da oltre 200 anni vige senza problemi un bicameralismo perfetto; qualcosa di simile
avviene in Francia, Gran Bretagna, Spagna, … dove la quasi totalità delle leggi passa in
entrambe le Camere per ottenere l’approvazione, anche se esistono effettivamente correttivi al
rischio di rimbalzo di una proposta di legge tra una camera e l’altra, tipico evidentemente non
solo del bicameralismo perfetto.

E se invece che ascoltare i proclami di certi politici – e non solo - andiamo a guardare il numero
di leggi emanate dal nostro Parlamento, bicamerale perfetto, e lo confrontiamo con quello
delle leggi emanate dai parlamenti francese, spagnolo ed inglese scopriamo che quello
italiano emana ogni anno quasi lo stesso numero di leggi di quello francese, il doppio di
quello spagnolo e quasi il triplo di quello inglese … solo i tedeschi fanno meglio di noi.
Se le leggi approvate in un anno dal Parlamento italiano sono in numero uguale o maggiore di
quelle approvate dagli altri Parlamenti europei, come si manifesta questa presunta “lentezza”
del nostro processo legislativo ?
Forse la “lentezza” risiede nel fatto che esiste ancora una qualche rappresentanza popolare e
che non è affatto detto che il popolo su certi provvedimenti sia concorde, anzi, spesso manca
proprio la volontà politica di far approvare certe leggi: in quanto tempo sono state approvate le
modifiche alle norme sul finanziamento pubblico ai partiti, per le quali la volontà dei principali
partiti era ferma e chiara ? D’altra parte perché non ricordare che alcuni recenti e macroscopici
errori legislativi come gli esodati ed il blocco delle pensioni, sono passati nei due rami del
Parlamento come un treno frecciarossa: in quei casi sarebbe stato addirittura opportuno avere
una terza camera in grado di analizzare un po’ meglio ciò di cui veniva chiesta l’approvazione
invece che di approvarlo quasi alla cieca come una unica camera finirebbe per fare.

Vogliamo parlare dei costi del Parlamento ?


Le due camere costano attualmente circa 1.500 milioni di euro/anno8 ed hanno 945 membri
elettivi. Dopo la riforma questi costi dovrebbero ridursi a poco più di 1.400 milioni di
euro/anno mentre i Parlamentari diventeranno 730 (100 dei quali eletti in modo più o meno
indiretto). Se si fosse semplicemente dimezzato il numero dei Parlamentari, portandoli a 470
(diciamo 315 alla Camera e 155 al Senato) senza alterarne funzioni e/o competenze, i costi
sarebbero potuti scendere a meno di 1.300 milioni l’anno.
Il problema, nonostante quanto si pensa, non è tanto nel costo degli eletti, quanto nei costi
generali e di struttura (compresi gli stipendi dei dipendenti) e nei costi “storici” (vitalizi dei politici
e pensioni d’oro degli ex-dipendenti) tutti costi che con le riforme restano immutati9.

Il Parlamento italiano è effettivamente uno dei più numerosi d’Europa, secondo solo a quello
Inglese, con la riduzione a 730 dei suoi membri presente nella riforma costituzionale diventerà
il terzo, lasciando il 2° posto a quello Francese. Se si fossero invece dimezzati i membri tanto
del Senato, quanto della Camera arrivando ai 470 detti sopra il parlamento italiano
abbandonerebbe completamente il podio portandosi al 5°-6° posto in Europa.

8
Circa 25€/anno per ogni Italiano neonati e pensionati compresi; la Presidenza del Consiglio costa invece circa
60€/anno, includendo anche i costi della protezione civile - e la Presidenza della Repubblica circa 4€/anno ad
Italiano.
9
Una recente stima parla di risparmio di circa 150 milioni di euro/anno dal calcolo dei vitalizzi secondo un
meccanismo contributivo invece che retributivo.
14

Si risolvono forse i problemi di governabilità con questa combinazione di norme che limitano ad
una sola camera (eletta come abbiamo visto con un sistema comunque maggioritario che
distorce la volontà popolare) il compito di votare la fiducia al Governo ? Probabilmente si, ma
oltre ad avere – come già segnalato - un governo che potrebbe verosimilmente non essere
espressione della sovranità popolare, si altera anche il processo legislativo. E’ da oltre due
secoli che Montesquieu ha teorizzato la separazione dei poteri in modo tale da meglio garantire
i cittadini rispetto al potere ed invece in Italia si punta a ritornare ad uno scenario nel quale una
sola istituzione eletta con una legge che poco garantisce la sovranità popolare approva la
maggior parte leggi (potere legislativo) e concede la fiducia al governo (potere esecutivo). Siamo
sicuri che sia la strada giusta ?

La nostra “vecchia” Costituzione, inoltre, era stata approvata, nel Dicembre 1947, con quasi un
anno di ritardo rispetto ai tempi inizialmente previsti, ma col voto favorevole di 453 membri della
Assemblea Costituente (88%) e con solo 62 voti contrari: questo accadeva anche se in quel
periodo si stava consumando la rottura politica tra DC, PCI e Socialisti, ma nonostante questo
la Costituzione venne scritta e votata quasi all’unanimità.
Questa riforma, invece, è stata imposta a marce forzate ed è stata votata da poco più della
maggioranza assoluta dei membri del Senato. Non fingiamo di credere che un referendum
possa renderla più condivisa: non si faceva così anche durante il fascismo e nei regimi comunisti
dei Paesi dell'Est ?!? Se non era sufficiente allora un plebiscito a garantire che si trattasse di
scelte democratiche, lecite ed opportune, in quanto mancava la rappresentanza democratica
nel percorso a monte, perché dovrebbe essere sufficiente ora quando il testo è stato votato da
un Parlamento espressione di una minoranza e da eletti che nel 25% dei casi non sono più al
posto nel quale li avevano eletti i cittadini ?

Col maggioritario vince un partito … ma perdono i cittadini


La soluzione alla crisi che colpisce l’Italia in modo più grave di quanto non stia accadendo a
tanti altri Paesi non è creare meccanismi complessi per dare una maggioranza nel Parlamento
a chi non l’ha nel Paese.
Quando il popolo, con l’elezione dei suoi rappresentanti nelle diverse istituzioni, manifesta una
chiara maggioranza, consegna agli eletti il potere di legiferare e governare.
Ma se invece il popolo non è sufficientemente coeso e non è in grado di indicare una
maggioranza chiara, allora è democratico, è corretto e logico non sminuire l’importanza della
sovranità popolare rispetto alla esigenza della governabilità, anzi.
Il disaccordo è una delle tante possibili opzioni che ha la sovranità popolare per manifestarsi;
è profondamente antidemocratico ignorare il significato di tale manifestazione della volontà
popolare pretendendo di trovare un vincitore ad ogni costo, grazie a meccanismi che affossano
la sovranità dei cittadini.

C’è chi dice che il maggioritario sia da preferire perché si sa subito chi vince… ma con le
elezioni c’è sempre chi vince, perché è il popolo che vince !

Se tra i cittadini non c’è accordo per dare una maggioranza chiara ed assoluta ad un qualche
partito, non è lecito introdurre meccanismi contorti per “inventare” un vincitore: in questo modo
le elezioni sarebbero sì la vittoria per un qualche partito, ma anche una sconfitta per il popolo
che non vedrebbe riconosciuta la sua sovranità. Questa, infatti, verrebbe sottratta ai cittadini
15

per darla a qualcuno che non la ha conquistata in modo democratico, ma grazie ad uno
stravolgimento delle regole democratiche della rappresentanza !
Nei sistemi democratici il ruolo dei partiti è quello di operare come trait d’union tra i cittadini e le
istituzioni, per contribuire a garantire una regolare vita politica.
Non c’è alcun bisogno di cercare di semplificare il compito ai partiti creando meccanismi per
rendere più immediata e diretta la loro gestione del potere per conto di noi cittadini con una
contestuale riduzione dei nostri diritti. Non è questo il loro ruolo e non deve essere garantito loro
alcuno strumento normativo tale da permettergli di portare avanti, senza ricercare un più vasto
consenso, qualora già non lo detengano, scelte politiche che non sono sostenute da una vera
maggioranza di cittadini.

E’ profondamente democratico che, quando nessun partito ottiene un sufficiente consenso per
governare da solo o per emanare da solo certe leggi, debba cercare un accordo o prima delle
elezioni tra forze politiche affini o dopo le elezioni tra le forze presenti in Parlamento in
rappresentanza dei cittadini.

Conclusioni
Spero che dopo la lettura di queste pagine siate ancora più indignanti di prima per quanto
succede sopra le nostre teste. Questo libretto aveva lo scopo proprio di suggerire alcuni spunti
di riflessione, basati su dati oggettivi, per indurre a meditare, a farsi un’idea, per ragionare e
discutere, perché se la forza del potere è il nostro silenzio, dobbiamo smettere di tacere per
distrazione, accondiscendenza o rassegnazione, smettere di pensare che “è sempre stato così
e sempre così sarà” … come succedeva ai tempi della servitù della gleba.
Non dovranno poter più contare sul nostro silenzio !
Il Medioevo è finito quasi sei secoli fa e la Rivoluzione Francese è passata da oltre 200 anni:
solo mantenendo vivo e consapevole il nostro controllo di come viene esercitato il potere e la
rappresentanza popolare potremo garantire la democrazia e la sovranità popolare, in linea
con quelli che sono i principi fondamentali della nostra Costituzione, altrimenti rischieremo
di ricadere, o di restare, in una diversa e moderna manifestazione di quella stessa servitù.

Se avete condiviso quanto esposto, vi invito ad operare in prima persona, anche solo
parlandone con familiari, amici e conoscenti, per stimolarli ad affrontare questi temi e perché
anche loro possano dare la loro risposta e contribuire a far crescere progressivamente
questa “rete protettiva”: solo così i rischi paventati potranno non avverarsi ed il nostro sistema
potrà tornare ad essere veramente espressione della nostra volontà di cittadini.
E se anche non condividete in toto o in parte queste considerazioni e queste preoccupazioni10
utilizzate comunque questo “libercolo” come stimolo per approfondire tematiche come
democrazia, rappresentanza, sovranità popolare, …

Nell’uno e nell’altro caso vi invito a diffondere questo pamphlet per quanto possibile: discutere
e ragionare sulle cose è sempre un bene, poi ciascuno trarrà le sue conclusioni, sbaglio?

Grazie
Stefano

10
In ogni caso vi prego, non ignorate i dati oggettivi, quelli sono fatti, non opinioni: non fatevi distrarre da ondate
massmediali di opinioni rispetto a qualche piccolo, ma inalterabile, semplice fatto.
16

Appendici
Sistema elettorale - Un’occhiata al passato
Il sistema elettorale del Regno d’Italia (1861) era regolato dalla stessa legge uninominale maggioritaria a doppio
turno che caratterizzava il Regno Sabaudo già dal 1848; un ballottaggio tra i due candidati che avevano ottenuto
più voti permetteva di eleggere uno dei due candidati più votati qualora al primo turno nessuno avesse ottenuto il
50% +1 dei voti.
Dal 1882 il meccanismo fu modificato introducendo i collegi plurinominali ed aumentando il numero degli elettori
(sesso maschile, età a partire dai 21 anni invece dei 25 necessari fino al 1882, un nuovo livello di censo inferiore a
quello richiesto precedentemente ed alcune condizioni relative al grado di istruzione, per cui si passò dai 630.000
elettori su 28 milioni di abitanti del 1860 ai 2.150.000 del 1882).
Nel 1890 si tornò al precedente sistema uninominale maggioritario a doppio turno che restò in vigore fino al 1913
quando il governo Giolitti introdusse un suffragio maschile più esteso in base al quale il corpo elettorale raggiunse
circa gli 8.500.000 elettori.
Al termine della 1° guerra mondiale il governo Orlando rese realmente universale il suffragio maschile portando il
corpo elettorale a circa 11 milioni di elettori, infine nell’agosto 1919 venne introdotto il sistema proporzionale.
E’ appena il caso di segnalare che in circa 60 anni di Regno d’Italia si sono alternati oltre 40 governi, a dimostrazione
che anche altre Costituzioni ed altre leggi elettorali non eliminano quello che sembrerebbe un vizio italico.

Nel 1922, arrivato al potere, Mussolini modificò subito il sistema elettorale. La nuova legge Acerbo, prevedeva
l'adozione di un sistema proporzionale con premio di maggioranza, all'interno di un collegio unico nazionale
suddiviso in 16 circoscrizioni. Nel caso in cui la lista più votata a livello nazionale avesse superato il 25% dei voti
validi, avrebbe automaticamente ottenuto i due terzi dei seggi della Camera, eleggendo tutti i propri candidati; le
altre liste si sarebbero divise i restanti seggi11. Il sistema non era dissimile, da un punto di vista di puro modello, dal
Porcellum e dall’Italicum, se non per la soglia di attivazione, presente e molto più bassa nella legge Acerbo (25%
contro il 40% dell’Italicum) e per la percentuale di seggi assegnati (66% nella legge Acerbo contro il 54% previsto
dall’Italicum). L’effetto dell’applicazione della legge Acerbo alle elezioni del 1924 fu una assegnazione di seggi alla
Lista Nazionale in eccesso rispetto ai voti conseguiti di circa un 6% (gap).

Dal 18 aprile 1948, quando si tennero le prime elezioni dell'Italia repubblicana, fino al 1993, l'elezione dei
parlamentari è stata regolata da un sistema proporzionale puro, sostanzialmente analogo a quello utilizzato per
scegliere i membri dell'Assemblea Costituente.
In realtà per un breve periodo, dal 1953 al 1954, è stata in vigore una norma correttiva di tipo maggioritario: il 65%
dei seggi della Camera sarebbe stato assegnato ai partiti che apparentati avessero superato il 50% dei voti validi.
Nelle successive elezioni del 1953 non si verificarono le condizioni per l’applicazione della norma che era stata
duramente avversata dalla opposizione (denominandola “legge truffa”); nel successivo 1954 la norma fu abrogata.
Questa legge era stata proposta per ovviare a quella che già a pochi anni dalla nascita della Repubblica sembrava
essere uno dei problemi principali della struttura istituzionale italiana, l’instabilità dei Governi: dal 1948 al 1993 (45
anni, 11 legislature) si sono susseguiti ben 49 Governi.

Nell’aprile 1993 gli Italiani furono chiamati ad esprimersi per una serie di referendum proposti dal Partito Radicale
e dal comitato Segni.
Oltre alla abolizione del finanziamento pubblico dei partiti e di una serie di altre norme, in quei referendum una
netta maggioranza di Italiani (82,7% dei votanti) si espresse a favore della trasformazione della legge elettorale del
Senato da proporzionale a maggioritaria.
Pochi mesi dopo (agosto 1993) il Parlamento votò una nuova legge elettorale che modificava le regole per l’elezione
del Senato rispetto a quelle strettamente maggioritarie derivanti dal referendum e non utilizzate in alcuna

11
Della legge Acerbo, lo storico A.Visani ha scritto:
«L'approvazione di quella legge fu [...] un classico caso di "suicidio di un'assemblea rappresentativa" [...]. La riforma
fornì all'esecutivo lo strumento principe – la maggioranza parlamentare – che gli avrebbe consentito di introdurre,
senza violare la legalità formale, le innovazioni più traumatiche e più lesive della legalità statuaria sostanziale,
compresa quella che consisteva nello svuotare di senso le procedure elettorali, trasformandole in rituali confirmatori
da cui era esclusa ogni possibilità di scelta».
17

consultazione elettorale, introducendo il cosiddetto Mattarellum, un sistema elettorale ibrido, maggioritario per il
75% dei seggi e con un 25% di seggi assegnati su base proporzionale. Il sistema prevedeva una soglia di
sbarramento alla Camera ed un meccanismo di calcolo denominato “scorporo” con l’obiettivo di dare maggiore
rappresentanza alle liste che avevano meno eletti con il sistema maggioritario.
Nelle varie applicazioni della legge (1994, 1996, 2001) lo scorporo venne comunque generalmente eluso dai grandi
partiti mediante finte liste (c.d. “liste civetta”), presentate al solo fine di collegarvi candidati nei collegi uninominali.
Nel 2005 il governo di centrodestra modificò nuovamente la legge elettorale approvando, con i soli voti della
maggioranza, la tanto criticata legge n. 270 (cosiddetto “Porcellum”).
Il nuovo sistema risultava un “proporzionale corretto” con la presenza di due meccanismi di premio di maggioranza
diversi tra Camera e Senato e con due distinte soglie di sbarramento.
Una ulteriore caratteristica della nuova legge era rappresentata dalla presenza di liste bloccate, in base alle quali
l’elettore aveva la possibilità di votare solo liste di candidati (scelti esclusivamente dai partiti), senza poter esprimere
preferenze.
Le varie critiche al “Porcellum” portarono nel 2009 alla raccolta di firme ed alla convocazione di un referendum con
ben tre quesiti volti alla modifica della legge elettorale. L’affluenza alle urne di meno del 25% degli aventi diritto
comportò che i referendum venissero dichiarati non validi in seguito al mancato raggiungimento del quorum minimo
necessario pari al 50% +1.

Infine, nel dicembre 2013 (con sentenza pubblicata nel gennaio 2014), la Corte Costituzionale ha dichiarato
incostituzionali alcune parti della legge che istituiva il Porcellum. In conseguenza di ciò gli articoli giudicati
incostituzionali sono diventati non validi e la legge elettorale è tornata ad essere temporaneamente un
proporzionale puro, fino a quando il Governo Renzi non ha presentato ed ottenuto l’approvazione dell’Italicum.

Risultati elettorali dal 1992 al 2008

Elezioni 1992 (legge elettorale proporzionale – durata 722 giorni)


Le elezioni del 1992 sono le ultime nelle quali si vota col sistema proporzionale (in realtà non si tratta di un sistema
completamente proporzionale, in quanto esiste comunque una leggera penalizzazione di chi riceve meno voti).
Con questo sistema il gap [Differenza in tabella] tra percentuali di seggi assegnati in Parlamento e percentuali di
voti espressi dagli elettori non comporta uno stravolgimento della volontà popolare: il partito col maggior numero di
voti ottiene un leggero premio (inteso come differenza tra la percentuale dei seggi e quella dei voti) pari a 3 punti
alla Camera e 6 punti circa al Senato, corrispondenti rispettivamente ad un +10% ed un +22% circa rispetto ai voti
ottenuti nelle due camere. Per quanto esista quindi una leggera deriva maggioritaria, questa componente non è
tale da comportare che chi non ha la maggioranza assoluta nel Paese arrivi comunque a detenerla in Parlamento.

Meno di 60 è stato il numero dei parlamentari che hanno cambiato gruppo durante l’XI^ legislatura (ca. 6%)
18

Curiosamente la percentuale di voti ottenuta dalla DC alle elezioni del 1992 è uguale a quella ottenuta dalla
coalizione vincente nelle elezioni del 2013: allora la DC ottenne circa 1/3 dei seggi nelle due camere, oggi la
coalizione vincente del 2013 ha quasi il 55% dei seggi alla Camera e quasi il 40% al Senato.

Elezioni 1994 (legge elettorale Mattarellum – durata 755 giorni)


Col Mattarellum, la valutazione del gap tra volontà popolare espressa col voto e numero di seggi assegnati in
Parlamento ai partiti o ai raggruppamenti risulta più complessa per la coesistenza di regole diverse con le quali
vengono assegnati i seggi e per l’adozione di un meccanismo a voto multiplo in base al quale ogni elettore vota sia
per una componente di tipo proporzionale, sia per una di tipo maggioritario con la presenza di scorpori, ecc… Sia
che ci si riferisca alla componente proporzionale sia a quella maggioritaria si constata un gap tra volontà popolare
espressa col voto e numero di seggi assegnati. La coalizione vincente ottiene tra il 40 ed il 44% dei voti ed
oltrepassa il 56% dei seggi in una delle due camere mentre rasenta la maggioranza assoluta nell’altra, con un
“premio di maggioranza” che oscilla tra il 12,4% ed il 13,9% (corrispondente ad un premio relativo del 29% circa
sui voti ricevuti: per ogni 1% di voti ricevuti, i seggi assegnati risultano l’1,29% dei seggi disponibili).

181 sono i parlamentari che cambiano gruppo in questa XII^ legislatura (circa il 19% in poco più di 2 anni).

Elezioni 1996 (legge elettorale Mattarellum – durata 1.847 giorni)


La coalizione che ottiene tra il 40,7 ed il 44,4% dei voti per la Camera esprime il 47,4% degli eletti, con un premio
di maggioranza che non la porta comunque a raggiungere la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera.
Maggiormente patologica la situazione del Senato dove, a fronte dell’appoggio del 44,1% degli elettori, la coalizione
vincente arriva al 52,5% degli eletti, con un delta assoluto superiore all’8% (dato relativo al Senato; è tra il 3 ed il
6% circa alla Camera a seconda che si faccia riferimento al dato proporzionale o a quello maggioritario) e pari al
20% circa dei voti ricevuti. Alla Camera, inoltre, se ci si riferisce al solo voto proporzionale, la maggioranza
dei consensi viene ottenuta dalla coalizione che non beneficia del premio di maggioranza in seggi.
19

In questa legislatura (XIII^) sono stati 200 i parlamentari che hanno cambiano gruppo (poco più del 21%).

Elezioni 2001 (legge elettorale Mattarellum – durata 1.794 giorni)


Anche nelle elezioni del 2001, sempre col Mattarellum, la rappresentanza parlamentare non corrisponde
all’espressione popolare manifestata col voto: la maggioranza assoluta dei seggi va a chi ha ottenuto il fiducia di
una percentuale variabile tra il 42,8 ed il 45,6% degli elettori, con un delta di entità discreta, intorno al 12-13% in
entrambe le camere pari al 25% dei voti ottenuti, con leggere differenze se ci riferisce al voto “proporzionale” o a
quello “maggioritario” (ed addirittura un ribaltamento della maggioranza espressa alla Camera nel solo voto
maggioritario).

Nella legislatura XIV^ legislatura sono stati 103 i parlamentari che hanno cambiato gruppo parlamentare (11%
circa).

Elezioni 2006 (legge elettorale Porcellum – durata 732 gironi)


Per quanto rappresenti sostanzialmente l’unico vero caso in Italia di elezione sostanzialmente bipolare, gli elettori
si esprimono nel voto per la Camera e per il Senato con due maggioranze di segno opposto. Mentre alla Camera
la maggioranza dei voti, per quanto non corrispondente ad una maggioranza assoluta, porta alla assegnazione di
una maggioranza assoluta di seggi, con un premio di maggioranza dell’ordine dei 4,3 punti percentuali, al Senato
una maggioranza assoluta, per quanto minima, nei voti non porta ad una corrispondente maggioranza nei seggi.
Alla Camera una differenza di 0,1% in voti tra le due coalizioni si amplia fino a diventare di oltre il 10% in seggi.

Nei 34 mesi della legislatura XV^ legislatura, 2006-2008, 85 deputati e 28 senatori (113 parlamentari – 12% circa
del totale) hanno cambiato gruppo parlamentare (per un totale di 134 cambi, con qualche eletto che ha cambiato
gruppo più volte).

Elezioni 2008 (legge elettorale Porcellum – durata 1.781 gironi)


Anche nelle elezioni del 2008 ottiene una maggioranza assoluta di seggi in entrambi i rami del Parlamento una
coalizione che non rappresenta la maggioranza assoluta degli elettori. Il gap, per quanto più contenuto di quello
20

del 2013 che alla Camera risulterà del 25%, è pari al 7,8% alla Camera ed al 6,2% al Senato (+ 17% circa il premio
relativo alla Camera, decisamente inferiore al +83% che caratterizza il risultato della coalizione vincente nel 2013
alla Camera).

Come già riportato, nell’intera XVI^ legislatura si sono registrati 261 cambi di gruppo da parte di 179 parlamentari
(121 alla Camera e 58 al Senato) pari a circa il 28% degli eletti.

Sintesi gap medio elezioni 1992-2013 e dato sui cambi di gruppo


Qui sotto sono riportati i dati sull’andamento del gap medio12 tra percentuale dei seggi assegnati alla prima
coalizione / partito e percentuale dei voti ricevuti e la percentuale di cambi di gruppo sul totale degli eletti

6%

19%

21%

11%

12%

28%

36%

12
Gap / delta medio ottenuto come media tra la differenza riscontrata alla Camera e quella riscontrata al
Senato (premio di maggioranza in seggi)
21

Tabella riassuntiva
Ecco la sintesi delle 7 elezioni tra il 1992 ed il 2013, riportando al primo posto sempre il partito o la coalizione che
ha ottenuto il maggior numero di consensi nel voto popolare13.

13
in giallo è evidenziato l’unico caso nel quale il maggioritario ha anche comportato un rovesciamento nella assegnazione della
maggioranza dei seggi a chi aveva ricevuto meno voti proporzionali su base nazionale
22
23

Stefano Carboni
56 anni
Ingegnere, si occupa di soluzioni informatiche per la sanità
Cittadino italiano
Vive a Forlì e lavora a Bologna
stef.carb@virgilio.it

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