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Una comunità Fede e Luce raggruppa circa 30 persone (bambini, adolescenti o adulti con
fragilità intellettive, le loro famiglie e i loro amici e un assistente spirituale) che si riuniscono
almeno una volta al mese per un incontro
• di amicizia e condivisione
• di festa
• di celebrazione e preghiera
Tra un incontro e l’altro i membri della comunità continuano a tessere legami personali
ritrovandosi anche per un fine settimana, un campo estivo o un pellegrinaggio.
Alla persona resa fragile da handicap mentale Fede e Luce rivela che essa è chiamata a
donare tutte le ricchezze del suo cuore, la sua tenerezza e la sua fedeltà.
Ai genitori Fede e Luce dà un sostegno nelle loro difficoltà, li aiuta a cogliere la bellezza
interiore del loro figlio e la sua vocazione originale.
Agli amici Fede e Luce offre un cammino di amicizia con le persone con handicap e di
impegno nei loro confronti, ciascuno scopre nell’altro la presenza di Dio. Spesso emarginate,
le persone con handicap hanno un valore unico, sacro. Amate da Dio, esse rivelano in modo
particolare i valori del cuore e dell’amore che mancano tanto al nostro mondo. Con loro,
camminando al cuore della sofferenza umana, diventiamo insieme portatori di speranza e di
unità.
Un po’ di storia
Fede e Luce è nata a Lourdes nella Pasqua del 1971 in occasione di un pellegrinaggio
organizzato da Jean Vanier e Marie-Hélène Mathieu a cui parteciparono 12.000
persone delle quali 4.000 con disabilità mentale. I pellegrini continuarono a riunirsi
regolarmente all’interno di comunità per vivere momenti di amicizia, di preghiera e di festa.
Fede e Luce è sorta con l’intento di sottrarre le famiglie alla tentazione di isolarsi e pian
piano scoprire che proprio il loro figlio più fragile può essere fonte di solidarietà e di unione
con gli altri.
Da qui il motto che ci accompagna: meglio accendere una luce che maledire l’oscurità.
Le comunità, nel tempo, si sono moltiplicate fino a divenire migliaia in tutti i continenti del
mondo: in Italia ce ne sono 60 in quasi tutte le regioni. Ciascuna comunità raggruppa circa 30
persone – tra bambini, adolescenti o adulti con fragilità intellettive, le loro famiglie ed i loro
amici – che si ritrovano per un po’ di tempo (qualche ora, una giornata, un fine settimana, un
pellegrinaggio, una vacanza… ) e stringono così legami di amicizia fedele.
Fede e Luce è un cammino di persone molto diverse tra loro che si fanno prossimo le une alle
altre, senza distinzione tra chi dà e chi riceve, perché tutti danno e ricevono allo stesso tempo.
Fede e Luce è stato un minuscolo seme piantato in terra durante un pellegrinaggio. Tuttavia
Dio lo vide in modo diverso. Il seme è diventato ora un grande albero che stende i suoi
rami in tutto il mondo. È meraviglioso guardare indietro alla “storia della nostra crescita” che
è un po’ come la nostra “storia santa”. Questo ci aiuta a comprendere come Dio ci ha guidato
e protetto e quindi a rendergli grazie e lodarlo, a prendere nuove forze da questa sorgente e
avere fresche speranze per il domani.
È difficile dire in breve cosa sia una comunità Fede e Luce, perché solo partecipandovi è
possibile vivere un’amicizia che pare preclusa a certe persone, con le ombre e le luci che
questo legame porta con sé.
Mariangela Bertolini
Solitudine e sofferenza
Tutto cominciò con molta discrezione e anche con molta sofferenza. Il movimento di Fede e
Luce fu ispirato da Loic e Thaddee, due piccoli ragazzi profondamente handicappati. I loro
genitori, Camille e Gerard, avevano il desiderio di andare, con loro, in pellegrinaggio a
Lourdes.
Tuttavia, non ci fu posto per loro tra i pellegrini della diocesi. “Sono troppo handicappati.
Non capirebbero niente. Disturberanno gli altri…”
Così la famiglia si organizzò per conto suo per andare a Lourdes. All’hotel furono trattati con
rudezza: “I vostri pranzi vi saranno serviti nella vostra stanza”. Per le strade e alla grotta,
Camille e Gerard ascoltavano tutti i commenti: “Quando si ha dei ragazzi come quelli si
lasciano a casa”. La gente voltava lo sguardo. Cambiava marciapiede. E’ vero, l’handicap ci
ricorda la nostra vulnerabilità. Ci fa paura. Che pellegrinaggio doloroso fu per Camille,
Gerard e i loro bambini!
La risposta
Era l’anno 1968. Quattro anni prima, Jean Vanier aveva dato vita alla prima casa dell’Arche.
Da allora, ogni anno, egli andava in pellegrinaggio con i disabili con cui condivideva la vita.
Egli diceva quanto questa esperienza aveva favorito il loro incontro con il Signore, la scoperta
della chiesa universale e la comunione fraterna… Da parte mia io ero stata veramente toccata
dalla sofferenza dei genitori e dal loro desiderio che i propri figli fossero integrati nella
società e nella Chiesa.
Da queste esperienze, dalle sofferenze dei genitori e degli educatori, cominciò a nascere un
idea: perché non andare in pellegrinaggio con bambini, adolescenti e adulti handicappati
mentali? La Chiesa così può scoprire che anche loro sono figli di Dio, che essi sono chiamati
ad incontrarsi con Gesù e a sperimentare il Suo particolare amore per loro.
I genitori avrebbero dovuto essere lì, naturalmente. Avremmo dovuto invitare amici e qualche
giovane ad unirsi a noi cosicché i genitori non fossero, una volta ancora, lasciati da parte con i
loro figli. Un’idea illuminò i nostri cuori. In pochi istanti, divenne un progetto (più tardi
capimmo che fu Maria ad ispirarci nell’interesse dei più piccoli dei Suoi figli). Quindi, perché
no? Con Dio tutto è possibile. Questo sarebbe stato un pellegrinaggio di Fede e Luce.
Parlammo di questo con gli altri genitori, con amici in Francia, Belgio e Gran Bretagna.
Quando consultammo il Vescovo di Beauvais, Mons. Desmazières, egli ci disse: “Andate
avanti!”. Egli partecipò al nostro primo incontro l’8 dicembre 1968 a Parigi.
Celebrazione comunitaria
Il Venerdì Santo, 9 aprile 1971, c’erano 12.000 di noi alla grotta di Massabielle, dei quali
4000 avevano un handicap mentale. Eravamo venuti da 15 paesi. Per tre giorni vivemmo in
una gioia e in una pace incredibile. Gradualmente, la popolazione di Lourdes passò dalla
paura – alcuni avevano persino abbassato la saracinesca dei loro negozi – alla sorpresa e
all’accoglienza nello stupore. Come poteva una tale speranza essere venuta fuori da così tanta
sofferenza e pena? Come poteva essere spiegato il giubilo di questa folla, che cantava
“Alleluia” dall’alba al crepuscolo? L’ultimo giorno, una manifestazione spontanea dello
Spirito Santo e una benedizione di unità del cuore venne trasformata in una chiamata:
“Qualcosa deve continuare”. La risposta di Jean Vanier fu: “Insieme con gli handicappati
facciamo tutto ciò che è ispirato dallo Spirito Santo per sostenere le comunità e l’amore che li
circonda”.
Così il movimento nacque tra lacrime, contraddizioni, entusiasmo e gioia. Dopo Lourdes
prendemmo sempre più coscienza del dono di Gesù. Egli ci affidava persone handicappate
mentali, la loro sete di amare e di essere amate e la loro chiamata all’unità. E per rispondere a
queste grido, Gesù ci suggerì che formassimo una comunità con loro. In una comunità,
intorno a queste persone, ci dovevano essere i loro genitori, profondamente feriti dai loro
travagli, che dovevano gradualmente scoprire la misteriosa bellezza del loro figlio e la sua
vocazione unica. Con loro, gli amici, che incontravano la persona debole, dovevano
permettere a se stessi di farsi toccare dal suo cuore e cominciare a formare legami con lei.
Anche il prete o il pastore doveva essere lì, per aiutarci ad approfondire questo mistero
dell’Amore di Dio per coloro che erano feriti: “Dio ha scelto ciò che è stolto per scandalizzare
i saggi, e ciò che è debole per scandalizzare i forti”.