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Premessa Questo saggio vuole dimostrare alcune affermazioni che mi pare opportuno
esplicitare subito.
I L'estetica - pur non essendo l'ambito disciplinare istituzionale di Umberto Eco (come è noto
egli insegna Semiotica all'Università di Bologna da più di un quarto di secolo) - è stata non
solo lo stimolo iniziale della sua ricerca (la sua base di partenza) ma un suo costante oggetto
d'interesse per più di quarant'anni di studi, per l'esattezza dal 1955 al 1999. Scrive
dei filosofi e mi occupo di estetica. In particolare sono interessato alla storia delle poetiche"
(cfr. Eco 1968a, p. 288) e nel 1990, a quindici anni dal Trattato di semiotica generale, precisa:
"chi conosce la mia bibliografia sa che altrove - scilicet dal Trattato - ho fatto estetica senza
infingimenti" (Eco 1990, p. 129). Ed infatti, per essere convinti di ciò, basta ricordare che di
estetica si occupano non solo opere degli anni Sessanta divenute leggendarie e proverbiali
quali Opera aperta, Apocalittici e integrati, Il superuomo di massa, ma anche opere recenti
l'opportunità, oltre che la legittimità, di una puntuale analisi della teoria estetica di Eco.
II Fermo ciò - ossia che, in Eco, a fianco della riflessione semiotica vi è un altrettanto
rilevante pensiero estetico - è bene precisare che la sua estetica deve essere divisa e analizzata
in due distinte stagioni: quella presemiotica (dal 1955 fino a circa il 1968), quella ad impianto
III Nondimeno, l'estetica e la semiotica di Eco non sono due "stagioni" genericamente
complementari, ma due ambiti della sua riflessione specificatamente coerenti. L'una dunque
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1 Per verificare sinteticamente la validità del primo di questi assunti può essere utile iniziare
col ricordare il violentissimo attacco a Croce e alla sua estetica con cui termina l'ultimo libro
di Eco, Kant e l'ornitorinco; in queste pagine Eco afferma che Croce fu "grande maestro di
oratoria" e che le sue opere di estetica sono caratterizzate da "poche idee astrattissime"
dominate "dal modello verbocentrico" e da poche "adamantine certezze che paiono nascere da
scarsissima dimestichezza con le arti" e che in conclusione la sua estetica può essere
Se uno non conoscesse l'opera precedente di Eco, questa violentissima "coda estetica" a un
libro di cinquecento pagine di semiotica potrebbe stupire, ma invece è l'esito logico di una
polemica lunga e coerente, che di libro in libro caratterizza l'intera ricerca estetica di Eco: sarà
specula del nostro saggio (per inciso, e lo vedremo diffusamente nel corso di questo scritto, la
polemica contro Croce costituisce l'ambito in cui si viene formando il pensiero estetico del
giovane Eco).
Così, con assoluta circolarità logica, nel primo "vero" libro di Eco, Opera aperta, si dice che la
riflessione di Croce "fa della meditazione estetica una operazione di suggestivo nominalismo,
fornendo cioè affascinanti tautologie per indicare fenomeni che però non vengono spiegati"
In La definizione dell'arte, del 1968, e un'altra volta sono le pagine conclusive, Eco afferma
che "si rimprovera a Croce" - e l'elenco ha qualcosa di giudiziario, quasi si elencassero i capi
storiche ed empiriche tra i vari 'generi' artistici, le loro 'retoriche' specifiche, la loro
destinazione pratica e sociale; 2) di non considerare quindi i problemi delle tecniche artistiche
(il momento della costruzione concreta dell'opera, per Croce, non aggiungeva nulla alla
conoscenza tecnica che sono presenti nell'operazione dell'artista e devono esser presenti nella
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valutazione critica; 4) infine, proprio per questi motivi, di avere ristretto la metodologia critica
a una distinzione di poesia e non poesia, definendo il resto come 'struttura' non essenziale".
Se non bastasse questa requisitoria, in La struttura assente del 1968, sinteticamente Eco
in Sugli specchi e altri saggi del 1985 (una raccolta di "saggi che vanno dalla semiotica
all'estetica"), con forte sense of humour si precisa che "Croce era un maestro nel liquidare i
problemi definendoli pseudo-problemi" perché "questo gli permetteva di porre solo dei
problemi a cui avesse già trovato la risposta" (Eco 1968b, p. 61 e Eco 1985, p. 261).
Dunque possiamo dire che la polemica con Croce è, con assoluta evidenza testuale, una
costante delle opere di Eco; nondimeno, tra le tante pagine, è importante ricordarne una del
Trattato di semiotica generale dove la distanza della riflessione estetica di Eco dall'estetica di
Croce viene marcata in termini semiotici: "L'estetica dell'intuizione raggiunge il suo punto
massimo nella dottrina crociana della cosmicità dell'arte (...) Una simile definizione sembra
quanto vi sia di più lontano dal presente approccio semiotico" (Eco 1975, p. 329).
Questa ultima citazione ci permette però non solo di abbandonare Croce - lo "ripescheremo"
comunque in sede di chiusura - ma di passare ad analizzare i vari passaggi che portano Eco a
legare la sua estetica e le sue principali scoperte critico-letterarie non tanto ad una generica
Per arrivare a comprendere compiutamente la odierna teoria estetica di Eco e il suo impianto
semiotico è preliminare però analizzare l'estetica del periodo che Eco stesso, con sicura
padronanza storica della propria vicenda intellettuale, definisce "presemiotico" (cfr. Eco:
Tralasciando dunque i primi, pur rilevanti, volumi di Eco dedicati alla storia dell'estetica
medioevale (Eco 1956 e Eco 1959) - i libri dai quali partire per comprendere la sua estetica
nel periodo "presemiotico" sono certamente Opera aperta del 1962 (seconda edizione 1965;
edizione definitiva 1971: faremo riferimento a questa, terzultima, edizione nella ristampa
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definitiva del 1976) e La definizione dell'arte, una miscellanea coerente di saggi pubblicati in
Secondo Eco ogni opera d'arte ha una duplice caratteristica, ossia di essere un oggetto
definito e al tempo stesso di essere "aperta" a una serie di interpretazioni coerenti: dunque, per
usare le parole di Eco, "un'opera d'arte, forma compiuta e chiusa nella sua perfezione di
modi diversi senza che la sua irriproducibile singolarità ne risulti alterata. Ogni fruizione è così
una interpretazione ed una esecuzione, poiché in ogni fruizione l'opera rivive in una
Importante notare che Eco chiama "dialogica" questa relazione affermando che "l'autore offre
al fruitore un'opera da finire: non sa esattamente in quale modo l'opera potrà essere portata a
termine, ma sa che l'opera portata a termine sarà pur sempre la sua opera, non un'altra, e che
alla fine del dialogo interpretativo si sarà concretata una forma che è la sua forma, anche se
organizzata da un altro in un modo che egli non poteva completamente prevedere: poiché egli
in sostanza aveva proposto delle possibilità già razionalmente organizzate, orientate e dotate
di esigenze organiche di sviluppo" (cfr. Eco, 1962-1976, pp. 58-59: cfr anche Hegel per il
Fermo ciò, è necessario ora comprendere perché il titolo originario di Opera aperta sarebbe
dovuto essere Forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee e perché nella edizione
voluta dagli autori "come una delle finalità esplicite dell'opera" (cfr. Eco, 1962-1976, p. VI e
p. 16).
Afferma Eco, in un testo degli stessi anni, significativamente intitolato "Un consuntivo
metodologico" che "la mia ultima ricerca sulle poetiche contemporanee, infatti, altro non è che
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il tentativo di elaborare dei modelli di poetiche che dimostrano come oggi sia in atto una
profonda mutazione del concetto di arte. L'opera d'arte sta diventando sempre più, da Joyce
alla musica seriale, dalla pittura informale ai film di Antonioni, un'opera aperta" (Eco 1968a, p.
Un altro concetto fondamentale per la comprensione di Opera aperta ne segue che sia il
concetto di "poetica", concetto non prettamente originale ma di grande importanza anche nel
successivo sviluppo della teoria estetica di Eco. Afferma Eco: "Noi intendiamo 'poetica'... non
come un sistema di regole costrittive... ma come il programma operativo che volta a volta
l'artista si propone... Esplicitamente o implicitamente: infatti una ricerca sulle poetiche (e una
storia delle poetiche; e quindi una storia della cultura dal punto di vista delle poetiche) si basa
sia sulle dichiarazione espresse dagli artisti... sia su una analisi delle struttura dell'opera, in
modo che, dal modo in cui l'opera è fatta, si possa dedurre come voleva essere fatta" (Eco
1962-1976, p. 18).
Insomma poetica viene ad indicare principalmente l'analisi dell'opera, lo studio delle strutture
immanenti all'opera, pur senza che questo implichi da parte di Eco alcun avvicinamento allo
strutturalismo; tutt'al più poetica va intesa "nel senso praghese: analisi e descrizione di
Importante per tutto questo nodo di problemi un'altra affermazione di Eco: "il modello di
un'opera aperta non riproduce una presunta struttura oggettiva delle opere, ma la struttura di
un rapporto fruitivo: una forma è descrivibile solo in quanto genera l'ordine delle proprie
avanza la pretesa di poter analizzare e descrivere l'opera d'arte come un 'cristallo', pura
struttura significante... allora... la nostra ricerca non ha nulla a che vedere con lo
In realtà Eco, proprio per quel che riguarda il termine chiave di "interpretazione", non era solo
genericamente lontano dallo strutturalismo, bensì più precisamente vicino al filosofo Pareyson,
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suo maestro e docente di estetica l'Università di Torino. E' in coerenza a ciò, che
l'Introduzione a Opera aperta si chiude con questa frase: "Infine dalle citazioni e dai riferimenti
indiretti, il lettore si renderà conto del debito che ho contratto con la teoria della formatività di
Luigi Pareyson; e non sarei arrivato al concetto di 'opera aperta' senza l'analisi che egli ha
condotto del concetto di interpretazione", anche se Eco ha subito modo di precisare che "il
quadro filosofico in cui ho poi inserito questi apporti coinvolge soltanto la mia responsabilità"
(per Pareyson cfr. anche Eco 1997, pp. 379, 389-90, 396).
Che cos'era dunque l'estetica per Pareyson? "Universalità della verità e personalità
dell'interpretazione, ossia l'idea che l'interpretare personalmente il vero non significa ridurlo a
relativismo. La verità si riesce a conoscerla mobilitando ciò che ciascuna epoca o individuo
hanno di più proprio... In più in lui c'era l'idea di una vocazione personalizzata alla verità" (cfr.
Dunque, e sinteticamente, credo sia esatto dire che negli anni Sessanta Eco applica una teoria
estetica mutuata dal suo maestro Pareyson (una versione che egli stesso definisce -
artistiche sia alla comunicazione di massa e alla cultura popolare (cfr. Opera aperta, 1962;
Se di Opera aperta (che nella prima edizione comprendeva anche Le poetiche di Joyce poi
divenuto libro autonomo) si è già parlato, e di Apocalittici e integrati, si parlerà più avanti, è
necessario ora soffermarci invece su alcune pagine del volume di saggi (1955-1968) intitolato
La definizione dell'arte.
Per comprendere l'importanza di questo volume può bastare ricordare che - nel saggio
significativamente intitolato "Il problema della definizione generale dell'arte" - inizia il dialogo
fecondo tra Eco e Dino Formaggio, oggi decano dell'estetica italiana, allora giovane esponente
di una fronda violentemente anticrociana", con queste parole: "Ora Formaggio ci dice, ne
L'idea di artisticità, del 1962, che l'idea dell'arte, che le poetiche moderne avevano proposto
come unica e assoluta, sta maturando ai giorni nostri una crisi secolare, tanto che si può
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legittimamente parlare di 'morte dell'arte', e di avvento di nuove forme che attendono una loro
adeguata descrizione filosofica. (...) Di fronte a una prospettiva del genere, chi scrive non
divenire e il trasformarsi delle nostre concezioni intorno al Bello e alla Forma. (...) L'idea
dell'arte continuamente muta a seconda delle epoche e dei popoli, e ciò che per una data
tradizione culturale era arte, pare dissolversi di fronte a questi nuovi modi di operare e fruire"
E' bene anche ricordare, per comprendere tutto il valore euristico e fenomenologico di questa
citazione e quindi del riferimento a Formaggio, che tale attenzione troverà uno dei suoi vertici
dialogici trent'anni dopo nell'esplicito richiamo da parte di Eco "alla splendida dichiarazione
introduttiva con cui Dino Formaggio iniziava il suo volumetto Arte: 'Arte è tutto ciò che gli
uomini hanno chiamato arte''' (Eco 1985, p. 115 e Formaggio 1973-1981: cfr. poi Eco 1990,
p. 130).
Fermo ciò, è da rilevare che la concezione estetica di Eco non è solo, come appena detto,
Scrive dunque Eco che se "l'estetica idealistica - scilicet di Croce - ci aveva... insegnato che la
tutto nell'interiorità dello spirito creatore" e che "l'estrinsecazione tecnica, la traduzione del
fantasma poetico in suoni, colori, parole o pietra, costituiva solo un fatto accessorio, che non
comprendere che non c'è valore culturale che non nasca da una vicenda storica, terrestre, che
non c'è spiritualità che non si attui attraverso situazioni corporali concrete".
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Precisa ancora in questo senso Eco che "noi non pensiamo nonostante il corpo ma con il
corpo. La Bellezza non è un pallido riflesso di un universo celeste che noi intravediamo a
organizzazione formale che noi sappiamo trarre dalle realtà che esprimiamo giorno per
giorno" (Eco 1968a, p. 212: sottolineature mie: per l'importanza di questa definizione, sia in
termini estetici che di semiotica generale, si veda l'ultimo paragrafo del presente saggio).
E' da notare però che tutta questa costruzione estetica, capace di un'attenta comprensione
quadro di riferimento, di "un quadro teorico unificante" (cfr. Eco 1962-1976, p. VIII; Eco
1964-1977, p. XV).
lavoro compiuto negli anni successivi a Opera aperta, da Apocalittici e integrati alla Struttura
assente e di lì attraverso Le forme del contenuto al Trattato di semiotica mi rendo conto che...
tutti gli studi che ho condotto dal 1963 al 1975 miravano (se non unicamente almeno in buona
raccontato, ma di cui non avevo dato le regole, in Opera aperta" (Eco 1979, p. 8). A questa
Per ricostruire questo passaggio e questo incontro è opportuno, seguendo le parole di Eco,
"andare con ordine". In realtà gli anni che vanno da Opera aperta al Trattato di semiotica sono
anni estremamente ricchi di scoperte intellettuali. Infatti a quanto finora palesato si aggiunge
con straordinaria velocità - a partire dal 1963 ed entro il 1965 - l'incontro di Eco con
Jakobson, i formalisti russi, Barthes, e lo strutturalismo francese (cfr. Eco 1990, p. 20). Non
solo, ma bisogna ricordare che la "nascita" della semiologia - l'attuale semiotica - è proprio di
quegli anni. Significativamente, dunque, Eco - alla domanda sul perché egli dica che la
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semiologia di Barthes nel 1964... Duemila perché la discussione sul segno comincia nel mondo
greco, con Platone e Aristotele" (la Repubblica, 31 marzo 1992 e cfr. Eco 1975, passim).
Per comprendere il quadro storico in cui si muove Eco, si possono leggere le pagine dedicate
ad Eco da uno dei maestri e dei protagonisti della "nuova" scienza semiotica, Cesare Segre.
Dice Segre, e siamo nel 1969, "Mentre Barthes e Buyssens hanno dato, ognuno a suo modo,
delle serrate sintesi teoriche o dei Grundzuge della semiologia, Eco ha invece voluto fornire
alla nuova disciplina un ampio sfondo culturale e filosofico, facendo convergere verso di essa
temi e problemi a prima vista eterogenei. Eco è infatti partito da un assioma dell'antropologia
culturale oggi molto diffuso: tutta la vita sociale può essere considerata come un fenomeno di
comunicazione, e perciò rientrare sotto il dominio della semiologia, dato che la comunicazione
non può che avvenire attraverso i segni. (...) Con... La struttura assente. Introduzione alla
ricerca semiologica, Eco ha dunque colto, con prontezza, una delle tendenze più stimolanti del
pensiero moderno; soprattutto egli ha avvertito che una prospettiva semiologica gli
permetteva di ordinare una serie di suoi interessi di ricerca che prima potevano sembrare
Fermo ciò, è bene poi precisare che la Struttura assente è sì il primo risultato "semiotico" di
Eco, ma frutto di una semiotica che egli definisce ancora "ansimante" (Eco 1968b, p. IV).
Che il vocabolo sia ben scelto lo dimostra la rapidità con la quale il giovane Eco teorico
contesto euroamericano e semiotico. Non solo, ma palesa anche l'estrema rapidità con cui,
proprio tra il 1962 e il 1965, Eco trasforma il suo approccio ai problemi della comunicazione;
se Eco infatti era inizialmente debitore alla teoria dell'informazione e alle semantiche
anglosassoni, ora invece si apre alla linguistica strutturale e del formalismo russo. Con una
precisazione, ancora di Segre, che "in Italia lo strutturalismo è nato come post-strutturalismo"
(Segre 1996, p. 5). Con La struttura assente, ripetiamo del 1968, Eco raccoglieva infatti, con
assoluto tempismo, la distinzione fondamentale tra semiotica e strutturalismo: "A quei tempi,
1967-1968, - afferma Eco - non si capiva bene cosa distinguesse la semiologia dallo
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strutturalismo. Non era ancora chiaro che la prima, se non era una scienza, o una disciplina
omogenea, in ogni caso era l'approccio a un oggetto, dato o posto che fosse. Mentre il
secondo era un metodo per studiare quello, e altri, oggetti. (...) Certo... il rilancio di una
scienza dei segni veniva fatto allora, specie in Francia, nell'ambito della linguistica
tener fermo l'equivoco quando si vedeva per esempio nell'opera di Jakobson una maggiore
flessibilità nell'introdurre nel discorso semiotico anche teorie e pratiche non strutturaliste,
semiotico di Eco, ossia la sicura e precoce constatazione da parte di Eco della costante
tensione abduttiva e interpretativa richiesta dal testo estetico (cfr. Eco 1975, p. 341; per il
concetto di "abduzione", centrale in Peirce, vedi almeno, oltre Eco 1975 e Eco 1997, Proni
1990).
E' bene però precisare che "l'importanza dell'interpretazione in estetica e in semiotica non è...
una novità per Eco quando, attraverso Jakobson e Morris, inizia a leggere Peirce". In realtà,
se è vero che in Peirce Eco trova una conferma di qualcosa che aveva già affermato Pareyson,
è vero anche che egli recepisce dal filosofo americano proprio "una trattazione semiotica, ciò
filosoficamente più rigorosa e formale del processo interpretativo" (cfr. Proni in AA.VV. 1992,
p. 89).
Possiamo dunque dire che la definizione di estetica che verrà data da Eco nel suo periodo
semiotico risente tanto di Jakobson quanto di Peirce, ma non resta estranea a una tensione
Ecco un brano in cui si palesano, si combinano e si superano queste diverse tradizioni nelle
quali è cresciuto il pensiero estetico di Eco: "La comprensione del testo è basata su una
codici del destinatario. Se la forma più usuale di abduzione consiste nel proporre codici
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estetica rappresenta la proposta di codici che rendano il testo comprensibile. Il destinatario
non sa quale fosse la regola del mittente e tenta di estrapolarla da dati sconnessi
dall'esperienza estetica che sta facendo... Ma, anche così facendo, non tradisce mai
contestuale. (...) Così una definizione semiotica dell'opera d'arte spiega perché nel corso della
comunicazione estetica abbia luogo una esperienza che non può essere né prevista né
qualcosa che deve essere strutturato a ciascuno dei suoi livelli" (Eco, 1975, pp. 341-343).
Fermo dunque il forte inveramento dell'estetica di Eco nella sua semiotica, va però rilevato
che "più che di una conversione alla semiotica si tratta... di una vera e propria parallasse... il
testo estetico ha sempre costituito per Eco un modello di laboratorio" (Fabbri in AA.VV.
1992, p. 178). Alla luce di questo l'estetica è innanzitutto una branca della teoria della
produzione semiotica e della sua interpretazione e a questi due nessi problematici saranno
Credo sia imprescindibile - per comprendere come Eco abbia raggiunto l'obbiettivo della
postulazione teorica di un'estetica "sub specie semiotica" - rifarsi ancora ad alcune pagine del
Trattato di semiotica generale che diventeranno inoltre la fonte esplicita o implicita di tutte le
Afferma Eco - con assoluta limpidezza estetica e semiotica e nel paragrafo dal titolo
significativo "Rilievo semiotico del testo estetico"- che un testo estetico possiede delle
"i) un testo estetico implica un lavoro particolare vale a dire una manipolazione
dell'espressione;
ii) questa manipolazione provoca (ed è provocata da) un riassestamento del contenuto;
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iii) questa doppia operazione, producendo un genere di funzione segnica altamente
idiosincratica e originale, viene in certo qual modo a riflettersi sui codici che servono di base
iv) l'intera operazione, anche se mira alla natura dei codici, produce di frequente un nuovo
un testo estetico focalizza la propria attenzione sulle sue possibili reazioni, così che tale testo
originali".
Dunque l'esperienza estetica "tocca da vicino il semiotico"; ma vi sono, precisa Eco, anche
altre ragioni e vantaggi per i quali estetica e semiotica debbono avere reciproca attenzione.
Questa collaborazione infatti, può portare a "correggere molte delle posizioni dell'estetica
tradizionale: prima tra tutte quella presupposizione di 'ineffabilità' che per tanto tempo ha
Da notare che la pagina ora ricordata prosegue con una frase, citata alla fine del primo
paragrafo del nostro saggio, dove si palesa in Croce e nella sua estetica dell'intuizione il
definizione operativa più utile che sia stata formulata del testo estetico - prosegue Eco - è
quella fornita da Jakobson quando, sulla base della ben nota suddivisione delle funzioni
AUTORIFLESSIVO" (per le ultime citazioni cfr. Eco 1975, pp. 328-329, con tagli e lievi
modifiche).
Jakobson sarà dunque il nume tutelare della successiva teorizzazione estetica di Eco e il
richiamo alle sue posizioni codificate nei Saggi di linguistica generale del 1963 rimarrà
costante (cfr. Eco 1968b, pp. 60-83; Eco 1975, p. 329 e par. 3.7; Eco 1979, p. 217; Eco
1985, p. 74; Eco 1990, p. 159; ecc.; su Jakobson e la semiotica Eco 1978).
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Allora quali sono, sinteticamente e con una formulazione più discorsiva, le caratteristiche
integrazione echiana:
1) ambiguità, intesa come "violazione delle regole del codice" (più precisamente Eco afferma
che "si ha ambiguità estetica quando a una deviazione sul piano dell'espressione corrisponde
3) capacità di mettere in discussione "la verità". Eco afferma cioè, contro ogni forma di
irrazionalismo e intuizionismo estetico, che "il testo estetico, lungi dal suscitare soltanto
a cambiare il modo in cui una data cultura 'vede' il mondo... Il che non equivale a dire che
l'opera d'arte 'dica la Verità'. Essa semplicemente mette in questione le verità acquisite" (cfr.
Se sulle due prime caratteristiche abbiamo già molto insistito, è da notare che la terza porta
almeno a Eco 1997 (cfr. pp. 19, 32, 390, 391, 397, 398).
Qui invece è importante ricordare come Eco riprenda e approfondisca la stessa definizione
d'arte, circa dieci anni dopo, con altre, più semplici ed incisive parole: "Noi siamo abituati a
ritenere opere d'arte quegli oggetti che a) da un lato ci obbligano a considerare il modo in cui
sono fatti e b) dall'altro, in qualche misura, ci lasciano inquieti perché non è cosi pacifico che
vogliano dire quello che apparentemente sembrano dire. In tale senso la 'ambiguità' non è
soprattutto vuol dire 'sovrappiù di senso' o 'polisemia' che dir si voglia ( o vogliamo dire
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"apertura"?). L'opera è lì, quadro, poesia, romanzo, sembra che ci racconti che esiste da
qualche parte una donna, un fiore, una collina... un poeta... eppure ci accorgiamo che non dice
solo quello, ma che ci suggerisce qualcosa di più (e talora proprio il contrario di quello che
Data questa definizione di estetica e dei suoi rapporti con la semiotica, ed accennato ad al suo
rapporto con l'etica, è ora necessario approfondire un problema centrale in Eco, il problema
5 Il problema dell'interpretazione
Il problema dell'interpretazione in Eco è il problema del suo confronto con Heidegger e con i
Importante iniziare con il ricordare una pagina di un libro del 1971 - Segno - dove si palesa
ulteriormente contro chi Eco sia venuto costruendo la propria estetica e come tale estetica si
venga precisando proprio all'interno di una riflessione sulla semiotica e sul segno.
Afferma Eco che "vi è tutto un filone filosofico" che vede "il linguaggio come grande istintiva
metafora" ed è quindi portato "ad asserire che il linguaggio metaforico (e dunque poetico) è
"dai romantici a Heidegger... un intero capitolo della storia della estetica si fonde con la
filosofia del linguaggio... non l'uomo foggia il linguaggio per dominare le cose, ma le cose, la
Verità altro non è che il disvelarsi dell'Essere attraverso il linguaggio (...) E' chiaro che se
questo libro - Segno- esiste è perché non accetta tale ipotesi " (cfr. Eco 1971, p. 97 ma vedi
Eco dichiara così l'opposizione genetica e radicale della sua semiotica rispetto a questa
impostazione filosofica, ma non mi pare estensione scorretta affermare che nemmeno l'estetica
di Eco accetti tale impostazione (cfr. Eco 1997, p. 23 e tutto il saggio "Sull'essere" con il
fondamentale paragrafo "L'interrogazione dei poeti", una vera resa dei conti con l'estetica di
Heidegger). Di Heidegger è importante pertanto ricordare alcuni noti passi di dove si afferma
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che il poeta esprime il mistero, che nel linguaggio poetico noi troviamo l'orma della verità che
si nasconde alla filosofia e dunque che, se l'esistenza è un esilio, la poesia ci riporta alla
"patria", nel "regno dell'essere" (cfr. Heidegger 1927, 1929, 1935, 1936, 1946, passim). Nasce
teoria dell'interpretazione, anche in campo estetico, di Eco: la prima porta a una concezione
per la quale il testo non ha punto di arrivo, il testo è infinitamente decostruibile perché
Non stupisce quindi che la questione dei limiti dell'interpretazione, sottesa a tutta la riflessione
estetica di Eco, diventi il tema principale e il titolo del libro del 1990. L'estetica e la semiotica
letteraria di Eco contrastano infatti due "fanatismi epistemologici", ossia "quello del 'realismo
metafisico' che predica la natura oggettiva del testo, come lo strutturalismo più rigido, e
decostruzionismo più radicale, e l'empirismo sociologico". In realtà Eco non pare oggi "affatto
preoccupato dal primo fanatismo liquidato nella Struttura assente. Il suo problema è tutto
interno al secondo corno del dilemma, cioè alla regolamentazione di una flessibilità
interpretativa che va comunque salvaguardata" (cfr. Pozzato in AA.VV. 1992, pp. 244 e 245).
Per essere ancora più espliciti è contro Derrida - o meglio contro gli eccessi del
ermeneutica infatti sostituisce alla centralità del testo quella del lettore ed è divenuta, con la
sintomatica inoltre di una grave crisi non solo metodologica quanto, e più precisamente, etica.
Al contrario Eco - attraverso la distinzione tra uso e interpretazione come teoria che segna un
scelta metodologica e di controllo etico: "in termini testuali stabilire di che cosa parla un testo
significa prendere una decisione... In ogni modo, dal momento in cui la comunità è indotta a
concordare su una data interpretazione si crea un significato che se non è oggettivo, è almeno
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intersoggettivo... Difficile decidere se una data interpretazione è buona, più facile riconoscere
quelle cattive. Così il mio scopo non era tanto quello di dire che cos'è la semiosi illimitata, ma
almeno cosa non è e non può essere" (Eco 1990, pp. 336-338).
Nessuna lettura e nessuna interpretazione è dunque l'ultima e definitiva, ma ogni lettura e ogni
metodologico ed etico. E' così che Eco giunge a teorizzare un'estetica "sub specie semiotica",
di un'estetica che trova una sua distinta legittimità in un dialettico rapporto di cooperazione
con la semiotica come teoria della falsificazione e della verifica etico-scientifica (cfr. Eco
1990, p. 130, e, per la concezione della semiotica come "teoria della menzogna", Eco 1975, p.
17 e passim).
Dunque, se è esatto affermare, come fa Eco, che "il problema dell'interpretazione, delle sua
libertà e delle sue aberrazioni, ha sempre attraversato il mio discorso" è però anche necessario
ricordare questa sua precisazione: "Parrebbe.. che, mentre allora - scilicet negli anni Sessanta -
celebravo un'interpretazione 'aperta' delle opere d'arte, ammesso che quella fosse una
provocazione 'rivoluzionaria', oggi mi arrocchi su posizioni conservatrici. Non mi pare che sia
così. Trent'anni fa, partendo anche dalla teoria dell'interpretazione di Luigi Pareyson, mi
dell'interprete e fedeltà all'opera. Nel corso di questi trent'anni qualcuno si è sbilanciato troppo
opposto, bensì di sottolineare ancora una volta l'ineliminabilità dell'oscillazione. Insomma, dire
che un testo è potenzialmente senza fine non significa che ogni atto di interpretazione possa
avere buon fine. Persino il decostruzionista più radicale accetta che ci siano delle
interpretazioni che sono radicalmente inaccettabili. Questo significa che il testo interpretato
impone delle restrizioni ai suoi interpreti. I limiti dell'interpretazione coincidono con i diritti
E' da rimarcare qui un importante ed ulteriore passaggio logico: la distinzione tra uso e
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di un'impostazione semiotica per l'estetica. Ritengo infatti sia evidente che Eco respinge in
linea di principio un'estetica che non sia ad impianto semiotico, un'estetica che cioè non sia
estetici. Ma l'aver mostrato come un testo funziona, e in virtù di quali strategie funzioni così
bene (nelle sue volute disfunzioni) da obbligarci a considerarne la struttura ai suoi vari livelli,
dalla superficie lessematica ai livelli più profondi, ci dice ancora una volta che il messaggio
la critica può puntare alla valutazione del suo successo 'estetico'. (...) Il critico in questo caso
è un lettore cooperante che, dopo aver attualizzato il testo, racconta i propri passi cooperativi,
e rende evidente il modo in cui l'autore, attraverso la propria strategia testuale, lo ha portato a
teoricamente la definisca) le modalità della strategia testuale. I modi della critica sono vari, lo
sappiamo... la differenza che ci interessa... passa... tra critica che racconta e mette a frutto le
modalità di cooperazione testuale e critica che usa il testo... per altri fini" (Eco 1979, p. 217 e
Ribadita l'importanza di tutto questo, va poi rilevato che la teoria estetica e letteraria di Eco -
proprio perché così attenta ad affiancare alla teoria della produzione segnica in campo estetico
una teoria della interpretazione e della ricezione - si è mostrata in realtà anche sempre aperta
massmediologico, ma anche dei problemi inerenti alla sua produzione e alla sua recezione.
Approfondiremo dunque questi concetti nei prossimi due paragrafi dedicati in particolare ai
rapporti della riflessione estetica di Eco con i mezzi di comunicazione di massa, poi con la
letterarietà e la narratologia.
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6 Semiotica, estetica, mezzi di comunicazione di massa
"La Pavone e Superman a braccetto con Kant" così si intitolava una recensione a Apocalittici
della televisione, della letteratura piccolo borghese, della musica registrata, del romanzo
popolare, ossia i temi di quella che spiritosamente, l'autore stesso definiva "Estetica dei parenti
Fin dal titolo Apocalittici e integrati evidenziava in realtà chi fossero i "parenti ricchi", gli
Abisso.
Se primo obiettivo polemico del libro era così Elémire Zolla e il suo sdegnato, "apocalittico"
come poi le introduzioni alle successive ristampe, una sociologia e una fenomenologia del ceto
intellettuale italiano del dopoguerra di fronte alla nuova società di massa e ai suoi mezzi di
comunicazione.
Ne seguiva quindi che il secondo obbiettivo polemico fossero gli "integrati", tra le cui schiere
compare, per la prima volta in un testo di estetica, un uomo-massa quale Mike Bongiorno
Rilevata la freschezza e la valenza quasi fondativa di questi saggi per una realtà quale quella
italiana del tempo, va poi rilevato che "quadro teorico unificante" di questo libro resta
implicito e si paleserà solo qualche anno dopo nel già citato Struttura assente, un volume la
cui affermazione centrale era che "la semiologia... studia tutti i fenomeni culturali come se
fossero sistemi di segni - basandosi sull'ipotesi che tutti i fenomeni di cultura siano sistemi di
segni e cioè che la cultura sia essenzialmente comunicazione" (Eco 1968b, pp. XV e p. 191).
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Dietro questa affermazione è facile riconoscere la presenza di Barthes e in particolare dei suoi
Elementi di Semiologia del 1964. Se all'importanza di Jakobson abbiamo già fatto cenno
("Non è neppur necessario citare quel che Jakobson aveva scritto... sulle funzioni del
linguaggio per ricordare come... categorie quali Emittente, Destinatario e Contesto fossero
indispensabili per trattare il problema della comunicazione, anche estetica": Eco 1990, p. 6),
per quel che riguarda l'importanza di Barthes si deve in primo luogo aver presente che nella
sua opera troviamo saggi dedicati alla moda, all'alimentazione, all'automobile, alla fotografia,
di prendere le distanze dalla sociologia, dalla necessità cioè di rendere conto di quel nuovo
oggetto di sapere (la significazione) a cui la società di massa fa sempre più ricorso, e che il
tradizionale metodo delle scienze sociali non sa ricostruire nelle sue complesse forme e
innumerevoli funzioni" (G. Marrone, Lexia, dic. 1994 e vedi anche Eco 1994 e Eco 1978).
Scriverà pertanto Eco nell'introduzione 1974 alla ristampa di Apocalittici e integrati : "Ma in
fondo se questo libro mi interessa ancora è per altre ragioni: è che mi ha aperto
definitivamente la strada agli studi semiotici. Con Opera aperta avevo studiato il linguaggio
delle avanguardie, con Apocalittici e integrati studiavo il linguaggio del loro opposto (o, come
altri diranno, del loro fatale complemento). Ma di fronte a due fenomeni così apparentemente
divaricati, in cui i linguaggi venivano utilizzati in modo così diversi, avevo bisogno di un
quadro teorico unificante. E questo quadro mi si fa chiaro proprio mentre lavoro sul saggio
sul Kitsch, dove inizio ad utilizzare la linguistica jakobsoniana. E in questa prospettiva i saggi
che sarei pronto a ricuperare senza troppe correzioni sono quello su Steve Canyon... quello
sul Kitsch, quello sull'uso pratico del personaggio e quello su Superman". Dunque, precisa
Eco, in questi saggi - che mi pare corretto definire inerenti ad un'estetica dei mezzi di
comunicazione di massa - "si sono fatti strada gli strumenti semiotici... che poi ho applicato
nei miei studi sul messaggio televisivo, sulle strutture narrative nei romanzi di Fleming, sui
rapporti tra retorica e ideologia ne I misteri di Parigi di Sue, sulla stampa quotidiana, nelle
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analisi della pubblicità apparse ne La struttura assente e Le forme del contenuto" (cfr. Eco
Imprescindibile quindi, alla luce di tutto questo e per tutto l'insieme dei problemi qui
accennati, ossia lo statuto della semiotica, dell'estetica, della teoria delle comunicazioni di
massa, analizzare il saggio, contenuto in Apocalittici e integrati, sul Kitsch, un problema che
chiede, per una sua adeguata comprensione, l'utilizzo di tutte e tre le competenze sopra citate;
"il cattivo gusto soffre infatti - esordisce Eco - della stessa sorte che Croce riconosceva come
tipica dell'arte: tutti sanno benissimo cosa sia e non temono di individuarlo e predicarlo, salvo
La sfida a Croce mostra qui tutta la genialità "combinatoria" di Eco, la sua capacità di
Sappiamo, con Jakobson, che il messaggio estetico, per il suo essere ambiguo e autoriflessivo,
è "una struttura complessa capace di stimolare una decodificazione assai varia", di costituire
Al contrario il Kitsch è una forma morta, una forma consumata, che "finge la scoperta e la
novità": è cioè un messaggio "ridondante" in cui il surplus informativo non è giustificato dalla
commerciabile". Il fruitore crede "di aver consumato arte e di aver visto nel volto, attraverso
"E' Kitsch - prosegue Eco esemplificando - la figura alta sul radiatore della Rolls Royce,
elemento grecizzante inserito a fini di ostentato prestigio su un oggetto che dovrebbe a più
onesti criteri aereodinamici ed utilitari; ma, a un livello sociale inferiore, è Kitsch la seicento
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mascherata da macchina da corsa, percorsa da strisce orizzontali rosse e dotata non già da
agonistico... ed è Kitsch il divano in stoffa stampata che riproduce le donnine di Campigli, non
perché lo stile di Campigli appaia consumato o 'massificato', ma perché quelle figure sono rese
volgari dall'essere fuori di luogo, inserite in un contesto che non le richiede; come il quadro
astratto riprodotto sulla ceramica, l'arredamento di un bar che rifà Kandinskij o Soldati o
Reggiani".
Insomma "Kitsch è l'opera che, per farsi giustificare la sua funzione di stimolatrice di effetti, si
pavoneggia con le spoglie di altre esperienze, e si vende come arte senza riserve" (sul "grave
Definito così, sul piano di una teoria ad un tempo semiotica ed estetica, arte e Kitsch resta da
definire il messaggio massmediologico "artigianalmente corretto", quello cioè che "tende a una
funzione di onesto consumo", volto dunque a "stimolare esperienze di vario tipo, non
disgiunte da una serie di emozioni estetiche, e che a questo scopo mutua dall'arte (...) modi e
stilemi, senza peraltro banalizzare ciò che ha mutuato, ma inserendolo in un contesto misto,
da sfuggire al Kitsch per diventare un corretto prodotto medio, una gradevole divulgazione".
Insomma tra il Kitsch "gastronomico" e L'Arte, la società di massa presenta una vastissima
galassia di messaggi che chiedono attenzione critica: "Si tratta naturalmente di casi da
indagare criticamente situazione per situazione: ancora una volta la riflessione estetica
sui casi singoli". Si tratta cioè di "porre l'accento sulla serie di gradazioni, che, all'interno di un
circuito di consumo culturale, si creano tra opere di scoperta, opere di mediazione, opere di
consumo utilitario e immediato, e opere falsamente aspiranti alla dignità dell'arte. E dunque
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ancora una volta tra cultura d'avanguardia, cultura di massa, cultura media e Kitsch" (Eco
Fermo ciò, vorrei osservare come l'estetica a impianto semiotico di Eco sia non solo in grado
di fondare un'estetica dei mezzi di comunicazione di massa (cfr. Jachia 1998) ma anche una
delle poche capaci di legarsi intrinsecamente ad una prospettiva etica: "il Kitsch non riguarda
tanto l'arte, quanto un comportamento di vita poiché il Kitsch non potrebbe prosperare se non
ci fosse un Kitsch-Mensch che ha bisogno di una tale forma di menzogna per riconoscervisi.
Allora il consumo di Kitsch apparirebbe in tutta la sua forza negativa, come una continua
mistificazione, una fuga dalle responsabilità che l'esperienza dell'arte invece impone" (Eco
1964-1977, p. 72 e passim).
Uno dei vertici teorici successivi di questi studi - tralasciando quelli di teoria letteraria che
saranno analizzati nel prossimo paragrafo - che costituiscono una summa e un rilancio dello
intitolata tra "Esperimento e consumo" nel volume Sugli specchi. In particolare nei due saggi
tra loro connessi "L'innovazione nel seriale" e "Il testo, il piacere, il consumo" si affronta un
tema di assoluta rilevanza per quanto finora detto, ossia la tendenza sempre più diffusa nelle
opere d'arte massmediologiche a collocare il piacere della fruizione estetica più nel ritrovare il
già noto che nel cogliere l'imprevisto: "nella serie l'utente crede di godere della novità della
storia mentre di fatto gode per il ricorrere di uno schema narrativo costante ed è soddisfatto
dal ritrovare un personaggio noto, con i propri tic, le proprie frasi fatte, le proprie tecniche di
risolvere i problemi... La serie in tal senso risponde al bisogno infantile, ma non per questo
morboso, di riudire sempre la stessa storia, di ritrovarsi consolati dal ritorno dell'identico,
Occorre però "fondere la visione estetica con quella antropologico-culturale" e farsi una serie
"alto": "Sono ancora validi certi apparati categoriali che una sociologia della letteratura
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connubio tra romanticismo e avanguardie storiche? Possiamo ancora identificare il piacevole
con il non-artistico? Possiamo ancora identificare il consolatorio con ciò che soddisfa
l'orizzonte d'attese del fruitore e che pertanto non innova e non provoca? O addirittura
superiore e non banale? E che cosa significa soddisfare o provocare un orizzonte d'attese?".
Per concludere che se le teorie di un tempo non ci bastano più (ed è necessario postulare un
nuovo modello d'analisi non rigidamente "semiotico, né estetico, né sociologico per discutere
dei rapporti tra consumo e innovazione") è perché "la crescita dei fenomeni, le interrelazioni di
produzione e fruizione nel campo dell'arte, la consapevolezza sempre maggiore che stiamo
acquistando su questi fatti, ci obbliga a procedere con maggior prudenza" e a non dimenticare
che è sempre "la nostra ricerca che stipula via via la fisionomia dell'oggetto" (cfr. Eco 1985,
comunicazione di massa, una della costanti della riflessione pluridecennale di Eco, ed affidata
anche, in buona parte, alla sua importante attività giornalistica, possiamo ora passare ad
7 Dallo studio del romanzo alla teoria della letteratura e della narratologia
Eco è uno dei più attenti e innovativi critici della letterarietà e della narratologia, e non
stupisce che questa sua acribia sia stata la premessa al successo mondiale dei suoi romanzi. Fin
dagli anni Sessanta, infatti, e dalle Poetiche di Joyce, Eco mostrava non solo di sapersi
confrontare con i testi più alti e più ardui della ricerca letteraria novecentesca, ma anche di
In effetti Eco è stato fra i primi ad utilizzare, già verso la metà degli anni Sessanta, l'analisi del
racconto e della narrativa di origine funzionale (Propp), applicandolo con ironica intelligenza
all'immaginario di massa tanto dei fumetti e della canzone leggera - nel già citato Apocalittici e
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integrati - quanto dei romanzi d'appendice e polizieschi, nel libro Il superuomo di massa.
pensiero di Gramsci il quale nei suoi Quaderni del carcere scriveva: "Mi pare che si possa
affermare che molta sedicente 'superumanità' niciana ha solo come origine e modello dottrinale
rapida analisi non sistematica dell'ascesa e trionfo del superuomo di massa nel romanzo
l'ipotesi gramsciana significava infatti, prosegue Eco "andare alla ricerca degli avatars del
superuomo di massa... da Sue sino a Salgari... per finire ai tempi nostri con un superuomo
raccontato in termini di spy thriller - ed è James Bond", ma senza dimenticare che "le vie del
Può essere importante per comprendere questo volume riportare estesamente proprio la
pagina conclusiva dello studio dedicato alle "Strutture narrative di Fleming" autore di James
Bond, non solo come esempio di semiotica della narratività, ma anche per dimostrare la ricca
siamo avviati a condurre una interpretazione psicologica dell'uomo Fleming, ma una analisi
della struttura dei suoi testi, la contaminatio tra residuo letterario e cronaca brutale, tra
ottocento e fantascienza, tra eccitazione avventurosa e ipnosi cosale, ci appaiono come gli
elementi instabili di una costruzione a tratti affascinante; che spesso vive proprio in grazie di
questo bricolage ipocrita, e che talora maschera questa sua natura di ready made per offrirsi
come invenzione letteraria. Nella misura in cui consente una lettura complice... l'opera di
Fleming rappresenta una riuscita macchina evasiva, effetto di alto artigianato narrativo; nella
cui si assente il distacco ironico, è solo una più sottile ma non meno mistificante operazione di
industria dell'evasione. Ancora una volta un messaggio non si conclude veramente se non in
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una ricezione concreta e situazionata che lo qualifichi. Quando un atto di comunicazione
scatena un fatto di costume, le verifiche definitive andranno fatte non nell'ambito del libro, ma
Dunque credo si possa dire che in questi saggi l'ipotesi gramsciana viene verificata attraverso
metodi narratologici e semiotici e che gli studi, nel loro complesso, oscillano e si incardinano
tra una semiotica stilistico-testuale e uno studio delle ideologie, senza però rinunciare ad un
forte appello etico tanto al lettore diretto della pagina di Eco quanto al fruitore del vasto
Delineate così alcune delle caratteristiche dei suoi studi sul romanzo d'appendice, sul
contributo al volume collettivo sulla letteratura rosa italiana (Eco 1979b), e un ulteriore
intervento sul Montecristo (Eco 1985), possiamo ora analizzare alcuni contributi più
squisitamente teorici, ricordando però sempre che una delle principali caratteristiche di Eco è
Particolare rilevanza credo abbia il concetto di Lettore Modello, un termine con il quale Eco
afferma che il testo prevede in partenza il ruolo e l'apporto partecipativo di un fruitore ideale.
Di conseguenza dire che il testo prevede un certo tipo di Lettore Modello significa dire che il
testo organizza un certo tipo di strategia testuale, "un insieme di condizioni di felicità
testualmente definite, che devono essere soddisfatte perché un testo sia pienamente
Così, se "un testo è un prodotto la cui sorte interpretativa deve far parte del proprio
meccanismo generativo", ne segue che l'interpretazione di un testo (quella che Eco chiama la
'cooperazione interpretativa') consista nel "mettersi nei panni del Lettore Modello,
nell'accettare di giocare il gioco predisposto dal testo" (cfr. Eco 1979, pp. 54 e 62).
E' il testo dunque che prevede e costruisce il suo Lettore Modello a salvaguardia degli usi
aberranti. Questo concetto di Lettore Modello risponde infatti esaurientemente alla domanda
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se esistono criteri regolativi, inerenti al testo, passibili di controllo intersoggettivo, che
La risposta è che per Eco questi criteri esistono e "sono riassumibili nel criterio di coerenza
(individuazione del topic o tema comune che permetta di stabilire isotipie pertinenti) e nel
criterio di economia (non eccedere in stupore e meraviglia inseguendo dettagli che non fanno
sistema). (...) Non si tratta tuttavia di criteri forti, vale a dire che essi non ci danno indicazione
in positivo su quale sia la buona interpretazione, quanto ci permettono solamente, sulla base
Eco dunque - attraverso il concetto di Lettore Modello come teoria che segna un "limite"
all'interpretazione testuale e narratologica - pone, come già detto, all'interno della pratica
interpretativa una dimensione di scelta e di controllo etico (cfr. supra paragrafo 5). Per
esplicitare cosa Eco intenda per etica - dei rapporti tra etica e l'estetica parleremo nel
suoi recenti Cinque scritti morali: l'etica riguarda "quello che sarebbe bene fare, quello che non
si dovrebbe fare, o quello che non si dovrebbe fare a nessun costo". Ancora una volta l'opera
d'arte e una sua corretta fruizione diventano così non solo metafore epistemologiche ma anche
paradigmi comportamentali.
Si potrebbe restare stupiti "alla notizia - scrive un attento recensore quale Armando
Masserenti - della pubblicazione di una raccolta di 'scritti morali' di Eco... la mia prima
reazione è stata di perplessità... Non ricordavo (ad eccezione del dialogo con il cardinale
Martini su etica laica e etica cattolica) quando e come Eco avesse scritto esplicitamente di
morale. La mia impressione (ed era questo il vero motivo di perplessità) che Eco quando
scrive sia sempre animato da un intento morale, che questa sia la sua vera vocazione... e che il
suo pregio maggiore sia sempre stato quello di tenerla nascosta. Il che significa, in una parola,
che a Eco raramente capita di cadere nel moralismo" (Sole 24 ore, 26 novembre 1995).
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Se trovo correttissima in linea di principio l'affermazione di Masserenti, è vero però che spie di
questa dimensione etica di Eco ve ne sono molte, sparse in tutte le sue opere e
significativamente nei suoi testi di estetica (alcune sono state segnalate in questo saggio, altre
sono reperibili ad apertura di libro). La dialettica di fedeltà e libertà che caratterizza il modello
di rapporto tra opera d'arte e fruitore diventa infatti, se volessimo tracciare una linea sintetica
dei rapporti tra estetica ed etica in Eco, da paradigma estetico un paradigma etico, di un'etica
non normativa ma di libera ispirazione kantiana: "agisci come se ogni tua azione dovesse
divenire legge universale"; e in modo tale da "trattare l'umanità, nella tua persona o in quella
altrui, sempre come un fine e mai come solo mezzo" (cfr. Kant 1797).
autoironico "illuminismo padano" (Eco 1985) non pare dunque assolutamente fuor di luogo e
corrisponde ancora una volta al gusto di Eco di dire cose molto serie in forma tal volta
paradossale. Questo dunque mi pare il giusto contesto per ricordare l'ultimo straordinario
incontro presentatoci dalla teoria fabulatoria di Eco, quello tra Kant e l'ornitorinco. Infatti, la
molla forte del grosso volume di semiotica (ed estetica!) Kant e l'ornitorinco è in una piccola
nota dove si richiama un saggio contenuto in Cinque scritti morali - già fondamentale ed
illuminante fin dal titolo "Quando entra in scena l'altro nasce l'etica" - dove si afferma che
"sugli stessi principi ho tentato di basare un'etica elementare" (cfr. Eco 1999, pp. 397-398 e
Eco 1997b).
possibile per un onesto filosofo illuminista tedesco o "padano" - che si gioca l'ultimo atto della
polemica tra un Eco non più giovinetto e un sempre più decrepito Croce. Il saggio "Croce,
un artista e "uno scrittore travolgente". In realtà questo breve scritto è una vera e propria
apologia del "guazzabuglio", e dunque di una estetica che sappia affrontare questa realtà come
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la sua propria realtà genetica: "il mondo del guazzabuglio è il territorio in cui viviamo, quello
in cui procediamo per assaggi, prove ed errori, congetture" (Eco 1997, p. 379; si vedano poi,
naturalmente, I promessi sposi di Manzoni dove si dice "così è fatto questo guazzabuglio del
cuore umano": e su Manzoni, di Eco, il recentissimo Tra menzogna e ironia : per un discorso
fa parte anche l'arte e credo che l'estetica di Eco possa essere un buon modo per comprendere
l'arte che nasce, senza scordarsene, da questo guazzabuglio umano (cfr. Eco 1977, p. 139;
Data questa linea generale, e venendo più precisamente al campo estetico e letterario Eco
afferma, ad esempio, che "leggere racconti significa fare un gioco attraverso il quale si impara
a dare senso alla immensità delle cose che sono accadute e accadono e accadranno nel mondo
reale. Leggendo romanzi sfuggiamo all'angoscia che ci coglie quando cerchiamo di dire
qualcosa di vero sul mondo reale. Questa la funzione terapeutica della narrativa e la ragione
per cui gli uomini, dagli inizi dell'umanità, raccontano storie. Che è poi la funzione dei miti:
O, in altre parole, "la sostanziale polivocità dell'essere ci impone di solito uno sforzo per dar
l'informe originario, per indurci a rifare i conti con l'essere" (Eco 1997, p. 22 e cfr. Eco 1962-
In conclusione credo si possa dire che lo sforzo etico "di dar forma al disordine
dell'esperienza", "lo sforzo per dar forma all'informe", sia anche l'origine ultima non solo della
ricerca filosofica e letteraria di Eco, ma più precisamente della sua teoria estetica che credo di
aver ricostruito nelle sue principali pagine teoriche e in alcune delle sue ricostruzioni storiche.
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BIBLIOGRAFIA
Opera aperta Forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee (1962), 3 ed. rivista,
Bompiani 1976
La struttura assente. Introduzione alla ricerca semiologica (1968), ultima ed. rivista Bompiani
1980
"La critica semiologica" in C. Segre e M. Corti, I metodi della critica in Italia, ERI, 1970
Il superuomo di massa. Retorica e ideologia nel romanzo popolare, (1976), Bompiani 1978
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"Il pensiero semiotico in Italia" in R. Jakobson, Lo sviluppo della semiotica, Bompiani 1977
"Tre donne... per le donne" in AA.VV., Invernizio, Serao, Liala, Nuova Italia 1979b
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