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Il litigio scortese:

pratiche comunicative e didattica del parlato

Paola Leone *1

"WHAT I shall have to say here is neither difficult


nor contentious; the only merit I should like to claim for it is
that of being true, at least in parts. The phenomenon to be
discussed is very widespread and obvious, and it cannot fail to
have been already noticed, at least here and there, by others.
Yet I have not found attention paid to it specifically."

(Austin, How to do things with words, Lecture 1)

Introduzione

Nell'insegnamento la prospettiva pragmatica della comunicazione, intesa come lo studio dei


"fattori che sono alla base delle nostre scelte linguistiche nell'interazione comunicativa e gli effetti
di queste scelte sugli altri" (Crystal 1993: 120), è tenuta scarsamente in conto, a tutto vantaggio di
una visione atomistica e strutturale della lingua. I manuali per lo studio dell'italiano L2, ad esempio,
danno poco rilievo alla dimensione emozionale della comunicazione, affidando così all'esperienza
diretta del singolo, ossia a condizioni di acquisizione incidentale, lo sviluppo della "conoscenza dei
dispositivi che il codice linguistico offre per esprimere rapporti 'sentiti' tra esseri e cose" (Leone
2006: 206). Allo stesso modo, per quanto concerne la L1, l'educazione linguistica mira a potenziare
capacità di analisi a carattere grammaticale senza guidare il parlante a riconoscere tratti rilevanti del
processo comunicativo. D'altronde, la competenza pragmatica e quella sociolinguistica rientrano
ancora meno nei percorsi formativi del docente di lingua.
Nel Quadro Comune Europeo, come in modelli precedenti di competenza comunicativa (es.
Canale & Swain: 1980; Canale: 1983; Bachman 1990, Bachman & Palmer: 1996), si sottolinea che
il potenziamento della competenza lessicale e dell'accuratezza grammaticale non assicurano la
possibilità di scambiare significati in reali contesti d’uso visto che il valore proposizionale,
semantico in senso stretto, definisce solo in parte il contenuto e la forza espressiva di un enunciato.
Secondo il testo del Consiglio d'Europa, in particolare, la competenza pragmatica e sociolinguistica
esistono come entità distinte, di pari grado con la competenza linguistica (lessicale, semantica,
grammaticale e fonologica), e sono, quindi, parte essenziale delle capacità dichiarative e procedurali
di un apprendente (Fig. 1).
La teoria degli atti linguistici di Austin (1962; ed. it. 1987) elaborata successivamente da
Searle (1969), accanto agli studi di pragmatica in una prospettiva cross-culturale (si veda soprattutto
il progetto degli '80 Cross-Cultural Speech Act Realization Project- CCSARP e il Progetto PIXI
sulla comunicazione in lingua inglese ed italiana negli incontri di servizio: Aston 1988), o relativi a
specifiche lingue (ad es. Bazzanella 1994; Caffi 1999), se da un lato costituiscono un'indispensabile
guida per costruire in classe attività per lo sviluppo della competenza d'uso di una lingua, dall'altro
non sono sempre di facile accesso a quanti non hanno familiarità con la letteratura sull'argomento. Il
divario, quindi, tra la ricerca e la didattica deve essere colmato e deve essere fatto in "a convenient
form for the classroom" (Tatsuki & Houck 2010: 2). Nelle pagine seguenti intendo fornire un
contributo in tal senso: delineerò il quadro teorico utile all'analisi di un dialogo conflittuale tra due
parlanti nativi di italiano, metteremo in luce i fenomeni di intensità del parlato che potranno essere
1
* Dipartimento di Filologia, Linguistica e Letteratura, Università del Salento.
trasposti didatticamente in classi di italiano L1 ed L2.

Fig. 1. Competenze generali e linguistico comunicative nel QCE.

(si veda fig. da file allegato)

1. Parlare è agire

Nel Quadro Comune Europeo (QCE) si legge:


L'approccio adottato qui è, in termini generali, orientato all'azione, nel senso che considera
le persone che usano e apprendono una lingua innanzitutto come "attori sociali", vale a dire
come membri di una società che hanno dei compiti (di tipo non linguistico) da portare a
termine in circostanze date, in un ambiente specifico e all'interno di un determinato campo
d' azione. Se gli atti linguistici si realizzano all'interno di attività linguistiche, queste d'altra
parte si inseriscono in un più ampio contesto sociale, che è l'unico in grado di conferir loro
pieno significato [...] L'approccio orientato all'azione prende dunque in considerazione
anche le risorse cognitive e affettive, la volontà e tutta la gamma delle capacità possedute e
utilizzate da un individuo in quanto attore sociale. (Consiglio d'Europa 2002: 11)

Approccio orientato all'azione, attore sociale, campo d'azione, atti linguistici, attività linguistiche
sono concetti ricorrenti nel Quadro Comune Europeo ed evidenziano una visione chiaramente
dinamica di una lingua, nel cui impiego non c'è solo il descrivere, il nominare dei referenti ma un
"fare" che determina effetti sul contesto, in considerazione degli atteggiamenti e dei tratti
individuali.
Tale prospettiva didattica richiama la teoria degli atti linguistici di Austin (1962) che considera
fondamentale nel processo comunicativo la condizione del "fare cose con le parole" vale a dire
l'agire che si realizza nel momento in cui proferiamo degli enunciati, tenendo conto degli effetti di
ciò che diciamo sul contesto e sul comportamento del parlante e dell'ascoltatore. La teoria di Austin,
ormai nota e riportata in numerosi studi, individua tre dimensioni nell'uso di un enunciato:
- atto locutorio, ossia l'atto "di dire qualcosa", che corrisponde a pronunciare una determinata frase
con "un certo senso e riferimento", (Austin 1987: 83 ed inoltre, si veda anche Bazzanella 2005:
153);
- atto illocutorio, l'atto "nel dire qualcosa", che serve ad informare, ordinare, avvertire, ecc. e
indicano il modo in cui deve essere interpretato tale atto (Austin 1987: 83 e anche Bazzanella
(2005: 153);
- atto perlocutorio, l'atto "col dire qualcosa" vale a dire ciò che otteniamo o riusciamo a fare
pronunciando quell'atto (Austin 1987: 83).

Sarà capitato nel corso di pasti tra amici o parenti di assistere ad un dialogo in cui un
parlante A pone la domanda "Puoi passarmi il sale?" ad uno dei commensali B, che risponde in
modo affermativo senza però soddisfare la richiesta del suo interlocutore. Tale situazione suscita
solitamente ilarità perché B interpreta volutamente l'enunciato di A come richiesta di informazioni
sulle sue capacità di raggiungere e consegnare l'oggetto e non come ordine espresso in forma
mitigata. Questo equivoco illustra che:
- un atto illocutorio può essere pronunciato indirettamente. Un'affermazione come "Piove", oltre a
constatare ciò che si sta verificando in un determinato momento, può avere lo scopo di chiedere a
qualcuno un ombrello;
- ogni enunciato realizza atti illocutori diversi (Bazzanella 2005: 156-157 e Bettoni : 99), per essere
più precisi, manifesta diverse forme di forza illocutoria interpretabili in modo differente dagli
interagenti. La forza illocutoria esprime la funzione che le parole hanno e gli scopi comunicativi dei
parlanti (cfr. Cutting 2002: 16).
Ciò che si intende fare o ottenere attraverso il dire, ossia i diversi livelli di significato di un
enunciato possono essere compresi se ogni segmento di discorso viene inserito all’interno di un
contesto d’uso (es. dove avviene l'azione, quali sono i rapporti tra i parlanti) e di una catena di
parlato (cosa avviene prima e dopo). Ad esempio,“How are you doing” in inglese nord-americano
ha il valore tanto di richiesta dello stato di salute di una persona quanto di saluto (tra due amici).
Nel primo caso la replica potrebbe essere “Pretty well, thank you” nel secondo caso la reiterazione
“how are you doing” è efficace. La funzione quindi dell'enunciato "How are you doing", o meglio la
sua forza illocutoria, viene messa in atto dunque dagli interlocutori in relazione alle variabili
contestuali e, se presentata in un dialogo già avvenuto, può essere chiarita dalla risposta, ossia
dall'enunciato che segue.
La teoria degli atti linguistici di Austin, inizialmente a carattere filosofico, è stata il
fondamento di ricerche realizzate in diversi ambiti disciplinari come la filosofia del linguaggio, la
linguistica, psicolinguistica, ecc. Al contrario, è esigua la quantità di studi in cui tale prospettiva di
analisi si applica all'insegnamento linguistico, forse a causa della sua complessità che, tuttavia, val
la pena affrontare perché è specchio del percorso articolato di codifica e comprensione di un
enunciato.

1.1 Atto illocutorio e forza illocutoria


L'atto illocutorio, chiamato anche forza illocutoria, è dunque la funzione comunicativa che un
enunciato assume nel contesto. Tale funzione non è sempre esplicita e chiara eppure, come abbiamo
osservato nel paragrafo precedente, è fondamentale per la codifica e la comprensione del
messaggio. Conoscere le diverse tipologie di atti illocutori serve pertanto ad elaborare una chiave di
analisi dell'azione comunicativa. Tra le diverse classificazioni degli atti illocutori, la più nota è
quella di Searle (1969), uno studioso che ha lavorato al fianco di Austin. Egli ha individuato cinque
macro-classi di atti illocutori:

- rappresentativi: sono atti in cui "le parole esprimono ciò che il parlante crede" (Cutting 2002 :
17). Essi servono, ad esempio, a "descrivere", "affermare", "ipotizzare", "insistere", "predire".
"Sono contento di aver lasciato la torre d'avorio" da intendere come "affermo di essere contento di
aver..." (Intervista di Giuseppe Videtti a Roberto Vecchioni, la Repubblica, 20 febbraio 2011)

- direttivi: atti attraverso i quali si mira a far fare qualcosa all'interlocutore. Essi hanno, ad esempio,
la funzione di "comandare", "ordinare", "chiedere", "consigliare", "suggerire". "Mangia bene, cresci
meglio" da intendersi come "Ti consiglio/ordino di mangiare bene..." (Campagna sensibilizzazione
del Ministero delle Politiche Agricole Forestali);

- commissivi: atti che impegnano il parlante a compiere in futuro delle azioni. Servono, ad esempio,
a "promettere", "offrire", "rifiutare", "giurare".
"Non agiremo mai contro il Vaticano" da intendere come "promettiamo che non agiremo..."
(Ansaldo, M. "Non agiremo mai contro il Vaticano", la Repubblica, 10 dicembre 2010);
- espressivi: atti che esprimono il sentire del parlante rispetto a ciò che viene detto. Hanno la
funzione, ad esempio, di "scusarsi", "pregare", "congratularsi", "apprezzare".
"Mi congratulo con Lorenzo, oggi era davvero forte" (intervista a Valentino Rossi dopo il Gran
Premio motomondiale di LeMans 2010, pubblicata sul web il 23 maggio 2010);

- dichiarazioni: atti in cui dire comporta simultaneamente agire, con una modifica della situazione
in atto. Si realizzano attraverso forme verbali, del tipo "Dichiaro", "Battezzo", "Do le dimissioni".
"Dichiaro di non aver più nulla a pretendere..."(Testo di risoluzione di un rapporto di lavoro)

Uno dei limiti della tassonomia searliana consiste nella sovrapposizione di alcune categorie:
molto spesso, infatti, un enunciato è riconducibile a due o più tipologie di atto comunicativo
(Cutting 2002: 22). L'atto rappresentativo "Sono contento di aver lasciato la torre d'avorio", ad
esempio, può essere inteso anche come un espressivo visto che esprime ciò che sente il parlante.
Nonostante la ripartizione in atti illocutori di Searle non sia di facile applicabilità, essa offre,
tuttavia, una chiave di analisi dello scambio comunicativo in cui si mettono in luce le funzioni del
dire e fornisce l'intelaiatura per indagare eventuali variazioni "cortesi o scortesi" dell'espressività.

1.2 L'intensificazione nel discorso parlato


Il fenomeno dell'intensità comprende le forme di "modificazione della forza illocutoria di un
determinato atto linguistico all'interno di uno scambio comunicativo, nelle due direzioni possibili
dell'attenuazione e del rafforzamento (che possono essere considerati i due poli del continuum
rispetto a un punto zero non marcato)" (Bazzanella & Gili Fivela 2009: 14). Esso si realizza
attraverso i dispositivi linguistici relativi ai seguenti piani della comunicazione (Bazzanella & Gili
Fivela 2009: 17-19 e Merlini Barbaresi 2009: 69-76; si veda inoltre De Marco 2010, 167-220):

1. fonetico-fonologico: altezza tonale, intensità, ritmo, entità e numero di pause, scelta di


specifici andamenti intonativi (Bazzanella & Gili Fivela 2009: 16-17; Gili Fivela 2009).

2. morfologico:

2.a) aumentativi/diminutivi/elativi;
Ma il bamboccione mammone giuggiolone sono io, cazzo (con valore aggravante es.
in Merlini Barbaresi 2009: 69)
Inoltre un calcio agli amichetti che non si fanno più vivi...(con valore aggravante es.
in Merlini Barbaresi 2009: 63);
Cerchi di fare uno sforzino (richiesta di un radiologo alla paziente, con valore mitigante
es. in Bazzanella & Gili Fivela 2009: 17 n. 12);

2.b) tempi verbali come l'imperfetto e modi verbali come il condizionale;


Lui ha taciuto per decenni, diciamo/insomma/ direi per parecchi anni (es. in
Miecznikowski 2009: 124);

2. c) pronomi personali;
Che non mi ti veda comparire davanti un'altra volta (es. in Merlini Barbaresi 2009: 69).
Facciamo i capricci? (es. in Bazzanella 2009: 102);

2.d) avverbi;
Sei maledettamente sicuro di te, fino a quando mi chiedo (es. in Merlini Barbaresi
2009: 70);
2.e) uso della terza persona del verbo per riferirsi all'interlocutore;
E lui si lamenta, ma vuoi guardarti un po' in giro? (es. in Merlini Barbaresi 2009: 69)

3. lessicale:

3.a) selezione di lessemi con diverse gradualità delle stesse proprietà semantiche;
Carino vs. stupendo (es. in Bazzanella & Gili Fivela 2009: 18)

3.b) insulti di vario genere (Nobili 2007; Pugliese 2009);

3. c) espressioni idiomatiche, collocazioni;


Lei ci ha messo le mani una volta e non funziona. (turno 2 del dialogo trascritto, par. 2.1)

3. d) iperboli;
Mangi come un maialone (es. in Merlini Barbaresi 2009: 70)

4. semantico:
4. a) lessemi (es. proprio, bello) e collocazioni che minimizzano (es. avere la
minima idea) o massimalizzano un concetto, un'idea.
Ma sei proprio criticone, eh? (es. in Merlini Barbaresi 2009: 73)

5. testuale, come nei "meccanismi retorici della dispositio" (Bazzanella & Gili Fivela 2009:
18) e della ripetizione di enunciati (si veda analisi della registrazione par. 2.2.1) e nella
costruzione parallela nella risposta (A: Non verrà! Non verrà! B: non sai dirmi altro? Verrà,
te lo dico io! es. in Merlini Barbaresi 2009: 76).

6. pragmatico:

6. a) segnali discorsivi;
Insomma vieni o non vieni, quando si dice farsi desiderare (es. in Merlini Barbaresi 2009:
72).
6. b) humour, ironia ad es. nell'uso di formule di cortesia
Ti dispiacerebbere toglierti dai piedi (es. in Merlini Barbaresi 2009:76).

6. c) agentività (agency; Orletti & Fatigante 2009: 196) cioè il grado di assunzione di
responsabilità del parlante rispetto alle azioni espresse nel discorso.
Niente da fare, domani porterò via la macchina e non se ne parla più (es. in Merlini
Barbaresi 2009:75).
Durante l'esame i cellulari devono essere spenti vs. Durante l'esame spegnete i cellulari.

Tali tratti linguistici possono essere individuati in uno scambio comunicativo per vederne la
forza espressiva, di mitigazione o di intensificazione, rispetto ad un determinato atto comunicativo.

2. Un evento comunicativo: la protesta

L'attenzione verso la comunicazione come processo sociale articolato ed elaborato, come si


diceva, può essere trasferita nel contesto didattico assumendo come guida studi teorici di
pragmatica per analizzare situazioni comunicative naturali. L'unità di apprendimento dovrebbe
basarsi su specifici atti comunicativi, ossia su unità minime di comunicazione. Tra gli atti
comunicativi più studiati, sottolinea Bettoni (2006 98), compaiono i complimenti e la protesta. Si
tratta di due tipologie diverse di azioni comunicative: l'encomio dell'aspetto fisico, delle abilità
intellettuali o dei possedimenti di un interlocutore mirano a rinsaldare rapporti sociali; la protesta,
invece, scaturisce da comportamenti ritenuti inaccettabili e rischia di determinare l'allontanamento
delle persone coinvolte nello scambio comunicativo (Bettoni ibidem; Nuzzo 2007: 107-111).
In questo contributo tratteremo la protesta perché riteniamo che la consapevolezza della
forza espressiva delle parole in contesti difficili sia essenziale. Analizzeremo la trascrizione di un
dialogo semispontaneo in lingua italiana (si veda registrazione: Il televisore, par. seguente). La
registrazione è uno scambio comunicativo basato su un canovaccio generico, come in un gioco di
ruolo, realizzato da due parlanti nativi che conversavano spontaneamente. Agli interlocutori veniva
introdotta la situazione comunicativa, assegnata una parte (es. riparatore di televisori) e veniva
anche detto quale sarebbe stato l'argomento del loro scambio e chi sarebbe stato l'interlocutore. Le
registrazioni di conversazioni semispontanee sono ampiamente utilizzate nella ricerca scientifica
perché conservano tratti tipici del parlato autentico quali:
- diverse pronunce;
- frasi brevi o non concluse;
- ridondanza, perché a differenza di un testo scritto che può essere riletto, rimaneggiato e migliorato
nella forma, nel discorso spontaneo e semispontaneo si ripetono informazioni già riferite;
- scelta lessicale di tipo colloquiale e impiego di strutture fisse (es. si dia da fare, si veda Mezzi
infra) ed espressioni idiomatiche (es. spendere una lira, metterci le mani) ;
- forme di coinvolgimento messe in atto tramite l'uso di segnali discorsivi (es. insomma, non so
cosa, diciamo, ecc.) che hanno lo scopo di prendere tempo nella comunicazione o tenere viva
l’attenzione degli interlocutori;
- strategie comunicative come segnali discorsivi che servono a mitigare o marcare l’enfasi verso i
contenuti che si esprimono (es. diciamo, magari, insomma, ecc.);
- costruzioni sintattiche, diverse da quelle dello scritto, come la cosiddetta dislocazione a sinistra
(es. il cellulare, lo utilizzo solo sul lavoro), che hanno invece lo scopo di sottolineare maggiormente
parte dell’enunciato (cfr. Leone 2004: 4-5).

2.1 I tratti costitutivi della protesta e le fasi dell'evento

La trascrizione che segue riporta un dialogo nel quale un cliente manifesta energicamente la
sua disapprovazione contro un tecnico che era già intervenuto in precedenza sul suo televisore senza
rimediare ad un guasto relativo alla trasmissione dell'immagine. Dalla conversazione emergono i
tratti salienti dello scambio che diremo tipici dell'evento comunicativo "protesta":
1) esiste un torto subito dal cliente: il tecnico con il suo intervento non ha migliorato la visibilità
delle immagini del suo televisore. Una protesta prende corpo, sul piano verbale e non solo, se chi
subisce gli effetti di un'azione è consapevole di non meritarlo e ritiene ingiusto sopportare quanto
accade;
2) l'interlocutore formula l'atto espressivo e il direttivo. L'atto espressivo manifesta la critica
"informando" anche sullo stato psicologico del parlante e caratterizza anche la lamentela; il
direttivo indica cosa deve fare il tecnico per rimediare all'inconveniente (es. Lo riguarda?; cfr.
Nuzzo 2009: 107-111).
Le formule di saluto (Buongiorno e Arrivederci) delimitano l'incontro-scontro, divisibile in
tre sequenze differenti. Nella prima (turno 1- 19) il cliente protesta contro il tecnico, critica il suo
lavoro e dice in modo esplicito e diretto al suo interlocutore cosa deve fare per porre rimedio alla
situazione problematica. Nella seconda successione di turni (20- 35) viene ribadito una sola volta il
direttivo Allora ripari il mio, no? (turno 26), il cliente mette in dubbio le competenze del tecnico
che per difendersi invita il suo interlocutore a riflettere sulle proprie capacità professionali. In
questa fase si introducono i modi per risolvere il problema. Nella terza fase (36-42) gli interagenti
trovano la soluzione al problema e si congedano.
Trascrizione registrazione: Il televisore

1. Tecnico: Buongiorno.
2. Cliente: Buongiorno. Eccomi di nuovo qua. Le ho riportato il televisore: non funziona. Lei ci ha messo le
mani una volta e non funziona. Lo riguarda?
3. Tecnico: Certo, Glielo riguardo, ma cos’è che non funziona precisamente?
4. Cliente: Lo stesso… lo stesso problema dell’altra volta: mi fa questo luccichio, questo abbaglio delle
immagini. Ci ha messo le mani, eppure non funziona.
5. Tecnico: Hm…
6. Cliente: È come l’altra volta, è come se non ci avesse messo le mani.
7. Tecnico: Cioè, io sono andato via da casa Sua, l’altra volta, Lei l’ha riacceso e…
8. Cliente: Non funziona. Fa lo stesso difetto, non so cosa ci ha fatto Lei. Non funziona, è come prima, è
come l’altra volta.
9. Tecnico: Va bene, un attimo. O.K. Eh… ascolti, probabilmente è un problema più grave. Allora…
10. Cliente: Ma l’ha visto che era un problema più grave?
11. Tecnico: No, un attimo. Mi faccia parlare.
12. Cliente: Lo sa quanto l’ho pagato questo televisore?
13. Tecnico: Lo so, lo so…
14. Cliente: È un televisore buonissimo.
15. Tecnico: Lo so. Lo so.
16. Cliente: Non è possibile!
17. Tecnico: Chiaro. È giustissimo.
18. Cliente: Lei viene da me a controllare questo televisore.
19. Tecnico: Allora, è nuovo, quindi è in garanzia e Lei non si deve preoccupare. Seconda cosa: io posso
mandarlo in ditta… No, ascolti.
20. Cliente: No, ma in ditta devo aspettare un sacco di tempo.
21. Tecnico: Va bene, io Le posso dare un televisore sostitutivo. Hm? D’accordo?
22. Cliente: Ma è buono come questo?
23. Tecnico: Non… non così nuovo, non fiammante…
24. Cliente: No, io lo voglio nuovo come questo.
25. Tecnico: D’accordo. Allora, io non Le posso dare il mio televisore o… capisce, no?
26. Cliente: Allora ripari il mio, no? Ma è il Suo lavoro questo, no?
27. Tecnico: Certo che è il mio lavoro. Ma ogni lavoro ha delle difficoltà, insomma. Non sono un mago,
giusto? Lei che lavoro fa? No, mi dica che lavoro fa Lei. Cosa fa, il medico? salva tutti? Cura, riesce a
curare chiunque?
28. Cliente: Io faccio benissimo il mio lavoro. Di che si interessa, insomma?
29. Tecnico: Be’, va bene. Allora…
30. Cliente: Lei faccia il Suo…
31. Tecnico: O.K., io faccio il mio. Infatti, Le dico che questi sono i problemi, potrebbero esserci dei
problemi più gravi che io da solo, qui nel mio negozietto, non posso risolvere, per cui…
32. Cliente: Allora lo sapeva anche l’altra volta, allora…
33. Tecnico: Lei non spende una lira, l’unica cosa che Le chiedo…
34. Cliente: Lei poteva dirlo: “Guardi, io non sono competente, lo mando alla casa…”
35. Tecnico: Credevo fosse meno grave il problema, Lei non spenderà una lira, l’unica cosa che Le chiedo è
di avere un po’ di pazienza. Mh, solo questo. Io comunque non La lascio senza televisore, Gliene do un
altro…
36. Cliente: E comunque io stavolta non La pago, perché L’ho pagato già l’altra volta.
37. Tecnico: No, no, no. Gliel’ho appena detto: Lei non spenderà una lira.
38. Cliente: Benissimo.
39. Tecnico: Non si preoccupi, va bene?
40. Cliente: Va bene.
41. Tecnico: O.K., arrivederci.
42. Cliente: Arrivederci.
(Leone 2004: 44-45)

Nelle tre sequenze, analizzeremo sia i "modificatori esterni", ossia gli atti comunicativi che
affiancano le formule di protesta che i "modificatori interni", i meccanismi linguistici espressi nei
limiti dell'atto, che ne rafforzano e ne mitigano la forza comunicativa. La discussione di
componenti più a carattere interazionale e linguistico-prosodico esula dalla nostra trattazione che
privilegerà, invece l'elaborazione comunicativa, il lessico, la sintassi e la morfologia. Se presenti in
un discorso, sia i modificatori esterni sia quelli interni non sono tuttavia identificabili con l'atto
espressivo e direttivo che compongono la protesta ma ne aggravano o ne mitigano portata e
conseguenze sull'interlocutore.

2.2 Gradi di intensità di una protesta

Nel corso di una "protesta", un atto comunicativo di per sé rischioso per la relazione tra gli
interagenti, la gradazione della forza illocutoria assume un particolare rilievo perché agisce in
modo positivo o negativo in tal senso.
Nel dialogo in esame, il cliente mantiene un comportamento intemperante, dimostrando di
non mettere in dubbio la legittimità della sua protesta e dei modi attraverso i quali la esprime. In più
occasioni egli non controlla il proprio eloquio (tuttavia mai volgare) e non cerca mai punti di
mediazione tra il suo dire e quello del suo interlocutore. Il suo punto di vista è fortemente
egocentrico, parla guidato dalle proprie emozioni senza curarsi delle conseguenze di ciò che dice.
Non si preoccupa infatti se un enunciato rafforzato quale Di che si interessa, insomma? (turno 28;
Merlini Barbaresi 2009: 74-75) può sembrare irriverente ed offensivo. Dimostra spesso impazienza,
non lasciando parlare il suo interlocutore che è costretto ad imporre il suo diritto di intervenire,
impiegando anche lui forme di discorso poco mediate all'imperativo (turno 11: No, un attimo. Mi
faccia parlare) ed interrompendo nel turno 19 il suo interlocutore.
L'atteggiamento egocentrico del cliente è confermato anche dall'esplicito dubbio sulle competenze
professionali del tecnico, discusse nella seconda sequenza di questo dialogo (si veda paragrafo
precedente) e introdotto dall'enunciato Non so cosa ci ha fatto lei (turno 8). Nella terza sequenza
Lei poteva dirlo: “Guardi, io non sono competente, lo mando alla casa…” (turno 34) l'adirato
cliente sceglie invece il discorso indiretto per formulare la sua critica attribuendo la responsabilità
di tale pensiero al suo interlocutore (Lei poteva dirlo...).

2.2.1 Modificatori esterni: il livello testuale

Nell'evento comunicativo in esame, l'atto espressivo è manifestato, menzionando


ripetutamente e in varie forme la critica all'operato del tecnico (es. turno n. 2 Eccomi di nuovo qua.
Le ho riportato il televisore: non funziona. Lei ci ha messo le mani una volta e non funziona; turno
n. 4 Lo stesso… lo stesso problema dell’altra volta: mi fa questo luccichio, questo abbaglio delle
immagini. Ci ha messo le mani, eppure non funziona). In particolare, nel turno 2 Lei ci ha messo le
mani una volta e non funziona si fa esplicito riferimento al tecnico e alle conseguenze che il suo
agire ha avuto; nel turno 4 Ci ha messo le mani, eppure non funziona si rinnova il riferimento
esplicito alla persona che ha effettuato la riparazione, marcando tramite la congiunzione
coordinante avversativa "eppure" la distanza tra il grado di polarità positivo dell'evento "ci ha
messo le mani" con la polarità negativa dell'enunciato "non funziona" (Halliday 2004, 407); nel
turno 6, invece, È come l’altra volta, è come se non ci avesse messo le mani la critica si riferisce in
modo indiretto alle capacità dell'interlocutore che non è stato in grado con il suo operato di risolvere
il problema (e come se non ci avesse messo le mani).
A livello testuale, ossia sul piano discorsivo secondo il QCE, il cliente intensifica così la
forza illocutoria della critica reiterando l'atto in varie forme.

2.2.2 Atti di supporto alla protesta

Nel turno n. 2, dopo il saluto, il cliente avvia lo scambio con il suo interlocutore dicendo
Eccomi di nuovo qua. Le ho riportato il televisore: non funziona. Lei ci ha messo le mani una volta
e non funziona. Lo riguarda?. La critica espressa in modo esplicito dall'enunciato Lei ci ha messo le
mani una volta e non funziona, che mette in evidenza l'autore del comportamento e le conseguenze
del suo operato, è anticipata da un atto rappresentativo attraverso il quale il cliente intende preparare
il tecnico a "ricevere" l'accusa. Le parole confermano la sua presenza, attraverso l'uso dell'avverbio
"ecco" con il pronome "mi" in posizione enclitica ed il deittico spaziale "qua" e l' espressione
avverbiale "di nuovo" che marca la reiterazione dell'evento. Se in altri contesti "Eccomi qua"
inserito in un discorso può servire a rafforzare la propria disponibilità (Es. 1) o con una valenza
neutra a segnalare la propria presenza con il significato di "esserci" nei contesti di comunicazione
asincrona via computer (si veda il titolo del messaggio all'interno di un forum nell'es. 2), nel dialogo
in esame "Eccomi qua" aggrava la forza della critica.

Es. 1
eh era un sabato mi ricordo sto a Firenze eh mi vieni a pren<dere> il treno parte a_ quest'ora
vienimi a prendere alle cinque e mezzo alla stazione ah sì amore sono tutta per te eccomi qua che
arrivo (dati LIP; De Mauro et al. 1993).

Es. 2
eccomi qua!
Sono di passaggio , quindi vi dedico con tutto il cuore questo piccolo spazio: come state ragazze?
Io ci sono, come non so, ma ci sono...ed è già molto.....sigh! (fonte Forum su Internet)

Se modifichiamo infatti il turno di parola n. 2, eliminando, appunto, il primo enunciato (eccomi di


nuovo qua) la sua valenza comunicativa negativa sarebbe, almeno in parte, ridimensionata.

2.2.3 Modificatori interni

Come si diceva, (par. 1.2), il grado di intensità dell'atto illocutorio si può riflettere anche sulle scelte
lessicali. Per rafforzare o mitigare la forza comunicativa, il parlante può infatti ricorrere a
espressioni idiomatiche (es. fare un passo avanti/indietro) o a collocazioni fisse, vale a dire
locuzioni composte da parole che nell'uso appaiono frequentemente in successione (es. pagare
profumatamente; cfr. Bazzanella & Gili Fivela 2009: 18). Si tratta di formule con un significato
convenzionale, che esprimono "un'unità di pensiero" (Casadei 1996: 35) che non è determinata
"dalla somma dei significati dei singoli componenti" (Dardano & Trifone 1997: 552).
Nella registrazione "Il televisore", due espressioni idiomatiche suscitano interesse: mettere
le mani in qualcosa (turni 2 e 6) e spendere una lira (turni 33, 35 e 37). La prima è pronunciata dal
cliente per esprimere l'operato del tecnico, la seconda da quest'ultimo per comunicare la gratuità del
suo futuro intervento di riparazione. Entrambe queste espressioni hanno un valenza descrittiva
analitica in cui le operazioni sono rappresentate in modo esplicito caratterizzando l'atto (mettere,
spendere) e le unità anatomiche che compiono l'azione (le mani) o la moneta utile ad effettuare il
pagamento. Esse indicano concetti unitari arricchiti di particolari valenze semantiche. Lei ci ha
messo le mani potrebbe essere espresso con "Lei è intervenuto sul mio televisore", perdendo però
sul piano semantico il tratto di "controllo aggressivo" dell'oggetto (cfr. Casadei 1996: 288) insito
nella formula idiomatica "mettere le mani in qualcosa". Si pensi anche alla marcata efficacia di Lei
non spenderà una lira rispetto al corrispettivo non idiomatico "Lei non pagherà nulla".
L'impiego di termini iperbolici di paragone (Merlini Barbaresi 2009: 70) influisce anche sulla
forza illocutoria dell'atto. Nel turno 27, il tecnico, per sostenere le sue capacità professionali,
argomenta il suo punto di vista affermando che tutti i lavori presentano delle difficoltà e lui non ha
poteri soprannaturali (Non sono un mago).
Sul piano lessicale, ai fini del rafforzamento e della mitigazione della forza illocutoria, è
rilevante l'uso di "ma", una congiunzione avversativa, ed "insomma", un avverbio. Nel dialogo in
esame entrambi vengono impiegati perlopiù come segnali discorsivi, elementi linguistici che danno
coesione e forza ad uno scambio comunicativo senza contribuire a definire il contenuto
proposizionale dell'enunciato (Bazzanella 1994: 145-146). "Ma" occorre in sei contesti, in tre è un
segnale di presa di turno (turno 10- Cliente: Ma l’ha visto che era un problema più grave?; turno
20- Cliente: No, ma in ditta devo aspettare un sacco di tempo; turno 22- Cliente: Ma è buono come
questo?); in uno di essi segue un altro segnale discorsivo "no" (cfr. Bazzanella 1994: 157); in due è
una congiunzione avversativa e ha il valore di "però" (turno 3- Tecnico: Certo, Glielo riguardo, ma
cos’è che non funziona precisamente?; turno 27- Tecnico: Certo che è il mio lavoro. Ma ogni
lavoro ha delle difficoltà, insomma) in uno segnala la variazione di tema interna al turno di parola e
manifesta un atteggiamento di avversità (turno 26- Cliente: Allora ripari il mio, no? Ma è il Suo
lavoro questo, no?). "Insomma", d'altro canto, "introduce o richiede una conclusione o un giudizio
riassuntivo, sottolineando l’inutilità di proseguire oltre" e "con valore quasi interiettivo, esprime
impazienza o irritazione" (Devoto & Oli 2010). Nel dialogo è uno dei segnali di intemperanza da
parte dei due interlocutori (turno 27- Tecnico: Certo che è il mio lavoro. Ma ogni lavoro ha delle
difficoltà, insomma. Non sono un mago, giusto? Lei che lavoro fa? No, mi dica che lavoro fa Lei.
Cosa fa, il medico? salva tutti? Cura, riesce a curare chiunque?; turno 28- Cliente: Io faccio
benissimo il mio lavoro. Di che si interessa, insomma) ed è impiegato per rendere più forte sul
piano comunicativo l'intenzione di difendere la rispettiva credibilità professionale. La posizione di
"insomma" alla fine dell'enunciato sottolinea il desiderio del locutore di chiudere in modo definitivo
un argomento del discorso e/o il turno o variare argomento non sono un mago e lei che lavoro fa?
come nel turno 27.

2.2.4 Le interrogative retoriche

Nelle interrogative retoriche "la domanda non viene formulata per acquisire nuova
informazione, ma per dare a un'affermazione maggiore rilievo, maggiore enfasi e cercare al
contempo l'assenso degli interlocutori". (Dardano & Trifone 140-141). Esse possono anche essere
ad esempio atti linguistici indiretti, come nel caso di Allora ripari il mio, no? (turno 26) pronunciato
dal cliente che impartisce un ordine al suo interlocutore in forma mitigata. Diversa funzione ha Ma
è il Suo lavoro questo, no? (turno 26) che serve a mettere in dubbio le capacità professionali
dell'interlocutore attraverso un atto rappresentativo in cui il parlante intende esprimere "alla luce di
quanto accaduto ipotizzo che lei non sappia fare il tecnico". Tale interrogativa presenta una
costruzione marcata sul piano comunicativo, non solo per la presenza del segnale discorsivo "ma",
di cui si è parlato nel paragrafo precedente, ma anche per la struttura sintattica ovvero la
dislocazione a destra di "questo" rispetto al verbo "essere".
3. La protesta in classe

Come si applica tale prospettiva di analisi all'insegnamento linguistico? Quali materiali


bisogna utilizzare? Durante la lezione di lingua, devono essere necessariamente affrontati tutti i
tratti che influiscono sull'intensità della forza illocutoria degli atti espressivi e degli atti direttivi?
Quali obiettivi didattici bisogna porsi? Le categorie di indagine servono a descrivere la
comunicazione in altre lingue e in altre culture? Le risposte a questi interrogativi richiederebbero
una trattazione a parte; qui ci soffermeremo su alcune questioni che ci sembrano imprescindibili per
definire percorsi didattici finalizzati all'educazione al parlato:
• Il discorso orale deve essere ascoltato, la forma scritta deve servire solo quale strumento
didattico. Prima di svolgere qualsiasi tipo di attività lo studente deve riconoscere il testo
detto attraverso il canale comunicativo originario.
• I materiali utilizzati devono essere autentici o semispontanei. I film offrono numerosi spunti
a tal proposito (Christiansen infra; De Marco, i.c.s.).
• L'apprendente deve svolgere attività di osservazione delle varie forme di discorso allo scopo
di individuare delle regolarità nell’uso linguistico. Il percorso di apprendimento deve basarsi
sull'osservazione del comportamento linguistico di specifici tratti comunicativi al fine di
rilevarne la valenza funzionale. In tal modo si sollecita quella che Schmidt (1993) chiama
"consciousness raising", vale a dire innalzamento del livello di consapevolezza rispetto alla
forma in esame. Le attività di tipo induttivo potrebbero essere del tipo "Leggete i turni 26 e
27 del testo trascritto di una registrazione. Secondo voi "insomma" serve a: 1) Comunicare
con rabbia la conclusione di un discorso; 2) Esprimere un giudizio incerto; 3) Introdurre un
riassunto". L'attività di osservazione sarebbe facilitata dalle domande a risposta chiusa che
guidano l'apprendente nella risoluzione del problema.
• La teoria degli atti linguistici, le nozioni di forza illocutoria e di intensificazione servono ad
analizzare la comunicazione in altre lingue e in altre culture e potrebbero pertanto essere
impiegate per fare uno studio in classe di tipo crosslinguistico. Si tratterebbe di confrontare
le modalità di intensificazione della forza illocutoria in scene di protesta tratte ad esempio da
diversi film. Il progetto potrebbe anche riguardare una singola lingua, come nell'esperienza
di alcuni insegnanti di un professionale di Lecce (Carolina Babbo, Nadia D’Elia, Patrizia
Dinoi, Jean Michel Kieffer, Anna Leone, Maria Luisa Nachira, Immacolata Pellè, Claudio
Pentimalli, Rossella Pinto, Marinella Sartori, Lucia Zanchi) che hanno realizzato unità
didattiche di inglese e di francese per esaminare le forme di intensificazione della forza
illocutoria in situazioni conflittuali. Il film "Dead poet society" di Peter Weir (1989), in
particolare la scena del litigio tra uno dei ragazzi del collegio (Neil) e i genitori, hanno
permesso di esaminare la contrapposizione tra più parlanti nei casi in cui ci sia una diversa
visione della realtà. Il film francese "Retiens-moi" di Jean-Pierre Igoux (2004), nello
specifico la scena in cui la donna dimostra con energia di disapprovare il comportamento
passato del suo partner, sono stati impiegati quale materiale didattico per esaminare la
protesta in un dialogo tra due interlocutori.

Conclusioni

Come afferma la ricerca scientifica sullo sviluppo della competenza pragmatica in L2 (per una
sintesi si vedano De Marco i.c.s.; Rose & Kasper 2001; Rose 2009; Takahashi 2005), l'istruzione
esplicita incrementa progressivamente la capacità di essere appropriati ed efficaci nella
comunicazione. In questo contributo, ho presentato alcuni dispositivi linguistici e interattivi che
esprimono l'intensità del parlare in situazioni di conflitto (atti di supporto alla protesta, uso di "ma",
"insomma", ecc.) e che potrebbero essere oggetto di indagine in conversazioni autentiche o
semispontanee in classi di L1 e di L2. Per la lingua nativa occorre affinare l'abilità di analisi dei
processi dialogici per conoscere la capacità di adattamento di un sistema linguistico alle personali
intenzioni comunicative e emozioni; per l'apprendimento di una L2, nonostante la capacità di essere
appropriati si fondi su una “sensibilità pragmatica” trasmessa dall'esperienza di parlante della L1, è
necessario sollecitare le conoscenze dichiarative e procedurali, esaminando usi linguistici e
praticando contesti comunicativi in cui la lingua di studio non sia presentata solo come struttura ma
anche come agire. È necessario dunque che il percorso (auto)formativo di un docente di lingua non
prescinda dall'approfondimento della conoscenza delle categorie pragmatiche di analisi del processo
comunicativo e dalla padronanza di concetti chiave come quelli presentati.

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