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di Umberto Barizza
Gli inconvenienti educativi emersi nella ricerca premono perché gli adulti si prefiggano come
finalità condivisa, lo sviluppo globale delle persone cui, con il loro ruolo, tutti dovranno
contribuire per rispondere ai bisogni fondamentali dell’essere umano e alle richieste culturali
del vivere sociale.
Ai singoli educatori e formatori si impone l’urgenza di rigenerare e ridefinire i propri ruoli in
continuazione: “Per educare un fanciullo bisogna innanzi tutto e continuamente educare sé
stessi” (A.Berge).
Mentre il raddoppio dell’energia interiore spinge i giovani a diventare più genuini, più
profondi, più personali, più vitali, gli adulti vengono assorbiti negli ambienti di cui sono gli
attori: protetti da funzioni e ruoli standardizzati, sono frenati nel loro coinvolgimento
affettivo, incapaci di compromettersi e di pagare di persona.
I ragazzi e i giovani si sentono attratti e protetti dai contesti di vita che frequentano, non
affettivamente coinvolti dalle persone che vi trovano; preferiscono vivacchiare invece che
sentirsi in azione.
Non emerge nell’indagine fatta l’adulto-guida, ma l’ambiente, per quello che può offrire nel
suo insieme.
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Questo adattamento all’ambiente frequentato: costa così tanto che i bambini e i ragazzi
diventano più adulti e gli adolescenti più bambini.
Scriveva André Berge nel 1961 “Adattare l’individuo alla vita che gli offre il mondo moderno
è una necessità; spezzare i limiti in cui questo mondo tende ad imprigionare la sua sensibilità
e la sua intelligenza è un dovere: necessità pratica da un lato, dovere spirituale dall’altro; la
differenza è da considerare”.
Se si pensa che il problema cruciale degli adolescenti d’oggi è la fatica di diventare adulti,
quando gli adulti “abdicano”, perde di vigore la spinta per trovare sé stessi e per determinare
il proprio destino.
Se ci fa soffrire la constatazione di una gioventù “poco allenata” a governare il futuro perché
troppo adattata e remissiva, deve mettere ancor più in allarme che troppi adulti, per primi
adattati e remissivi, rinunciano a vivificare la loro vita con orientamenti e ideali superiori .
Recentemente nell’ultima sua pubblicazione W. Damon, preoccupato della passività e
irresponsabilità della giovane generazione, scrive “la cultura tradisce i giovani non tanto in
ciò che dà, ma in quello che non dà... non sono le influenze che ricevono a portarli fuori
strada, ma quelle che non ricevono... La cultura non comunica aspettative vere” .
Già nel 1968 E.Erikson esprimeva la stessa preoccupazione cioè “di forgiare un’umanità tanto
“adattata” da diventare incapace di affrontare i “problemi di fondo”.
La maggiore complessità dell’attuale contesto di vita impone alle giovani generazioni di
affrontare i nuovi problemi sopravvenuti con il massiccio cambiamento di mentalità e modi di
vivere; sulle loro spalle viene a pesare un doppio carico, quello relativo alla fatica di diventare
adulti (che da sempre l’adolescente deve affrontare) e quello delle insicurezze degli adulti
sopraffatti dal cambiamento. Poiché oggi è sempre più difficile definire chi è l’adulto, viene a
mancare ai giovani la spinta a far propria la dinamica di maturazione di chi ha lottato e lotta
per la propria “adultità”.
Sicuramente è giusto chiedersi se il prossimo secolo non debba essere il secolo dell’adulto.
Chi vive a fianco di bambini e ragazzi che crescono non può attendere soluzioni dalle riforme,
dagli altri, dall’esterno... E’ doveroso e saggio avviare subito in ogni comunità quella
sperimentazione educativa che, portando gli adulti delle varie Istituzioni a collaborare,
favorisca la crescita di una gioventù in grado di alimentare il proprio dinamismo interiore e la
volontà di utilizzare risorse, occasioni e modi per completare continuamente la propria
educazione.
E’ la famiglia che deve rafforzare il suo ruolo fondamentale di “unico mondo vitale
strutturato”, dove la qualità dei rapporti umani non solo abilita alle relazioni
intergenerazionali, ma favorisce anche l’innesto nei diversi ambienti di vita e l’integrazione
nell’ambito sociale condivisa dagli altri: “allevare un figlio significa essenzialmente
insegnargli a fare a meno di noi” (A. Berge) .
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Per prevenire un futuro di emarginazione ai propri figli che si allontanano, che perdono
tempo, che sprecano le opportunità sociali, che si sviliscono nei compiti per casa o, peggio
ancora, che deviano dalla normalità, le famiglie devono chiedere il coordinamento fra
amministrazioni pubbliche, scuole, parrocchie, associazioni di volontariato, perché non è
lontano il tempo in cui dovranno sobbarcarsi anche il costo economico di quanto serve per
mantenere viva e attiva la nostra gioventù.
Se i genitori si incontreranno per l’educazione (lo sviluppo globale) dei loro figli, le comunità
potranno rivivere e provocare, con la loro azione convinta e responsabile, l’adeguamento delle
strutture pubbliche alle vere necessità educative dei giovani.
Gli adulti devono diventare solidali: è indispensabile trasmettere ai figli adolescenti la
convinzione che la riuscita dipende dal dinamismo personale e che vale la pena diventare
adulti, per poter dare il meglio di sé e saper governare lo stesso progresso.
D’altra parte o si diventa parte attiva della società futura o si resta fotocopia delle immaturità
delle generazioni precedenti.
Prima che nuovi maestri penetrino nell’intimità delle famiglie e si sostituiscano a noi (la Tv),
è importante allearci, via via che i nostri figli frequentano la scuola e le associazioni, con gli
adulti che essi stimano (insegnante, sacerdote, allenatore, medico...) per averli nostri sostituti
quando il riferirsi a noi acquista il significato di ritornare bambini.
In questi rapporti con le Istituzioni frequentate dai figli è estremamente negativo svalutare,
ridicolizzare, opporsi agli adulti extrafamiliari di fronte ai figli e per difesa dei figli: è il
modo migliore per costruire un testardo o un capriccioso.
Il rispetto del lavoro altrui, anche delle limitazioni altrui, costruisce adattamento alla vita e
accettazione anche dei propri errori. In questo si misura l’adulto solidale.
Chi è maturo compatisce e giustifica, chi è infantile aggredisce e disprezza.
E’ questo il tempo in cui i genitori devono entrare nella scuola e nelle associazioni per
incoraggiare e sostenere (anche economicamente) le migliori iniziative e i migliori educatori.
Concludo con un’altra citazione tratta da un Bollettino pedagogico francese del 1981
“Noi siamo tutti condannati all’Educazione permanente sotto la pressione di fenomeni globali,
scientifici, economici, sociali e politici tutti legati all’accelerazione della Storia, alla crescita
economica, alla dinamica delle società postindustriali, il bisogno di Educazione permanente
appare ormai, non come un lusso, ma come un obbligo”.