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La scuola

di Umberto Barizza

E’ sentita come una straordinaria occasione di vivere con gli altri, di riempire il tempo con
tante novità, a volte desiderate o appositamente provocate dai più discoli per rompere la sua
staticità (non abbiamo forse constatato che la bocciatura dei compagni discoli rende piatta e smorta
la classe dell’anno successivo?).
La scuola stimola l’iniziativa, sviluppa abbastanza l’autonomia e l’industriosità, è segnalata invece
all’ultimo posto per lo sviluppo dell’autostima.
Che la scuola non coltivi il tu per tu, la relazione personale fra insegnanti e alunni, è un grosso
inconveniente, soprattutto nell’età della scuola media, quando il confronto con adulti diversi ha
l’importante funzione di provocare nei preadolescenti, ma anche negli adolescenti, l’ideale di
adulto che essi pensano di diventare.
Bisogna programmare di proposito la conoscenza degli alunni fra di loro: perché non
organizzare all’inizio di ogni ciclo scolastico di Scuola elementare e media la visita alla casa di
ciascun alunno con l’intera classe? perché non far riferire in classe le caratteristiche del proprio
ambiente familiare sia dal punto di vista abitativo che relazionale?
Il docente che ha sperimentato in sé relazioni valorizzanti e che conosce in profondità la
storia del suo alunno coltiva in classe il senso del rispetto come l’elemento fondamentale del vivere
sociale e ciò diventa la fonte quotidiana dell’autostima.
Per lo sviluppo dell’autonomia e dell’industriosità basterebbe proporsi l’obiettivo di trasformare la
nozione in una esperienza che dà soddisfazione e lascia un ricordo prolungato.
MOTIVARE allo studio o al lavoro significa conquistare il cuore dell’educando, dare un senso a
quel deposito di energie costituite dal suo mondo istintivo-emotivo: ciò avviene quando la voglia di
muoversi e la curiosità mentale si nutrono nella e della stessa esperienza, quando la voglia di essere
liberi e l’apertura di orizzonti interiori diventano una realtà unica, vissuta.
L’impegno educativo finalizzato a sviluppare nei più giovani la capacità di adattamento agli
ambienti in cui vivono, compresa la scuola, non basta più. L’educazione va programmata in
prospettiva poiché il figlio, l’allievo vivrà da adulto in una società diversa dall’attuale.
Oggi si chiede agli educatori di far crescere giovani capaci di adattarsi alla società di domani, con
capacità e qualità umane che consentano loro di interagire attivamente in una società più
complessa ed esigente.
Inculcare pedissequamente informazioni, norme, contenuti del passato o del presente,
porterà il giovane a non sentirsi centrato, attivo e consapevole in contesti di vita diversi dagli
attuali.
Spesso la scuola non aiuta a vivere il calore della amicizia, l’entusiastica partecipazione a quello
che si fa, fiduciose interrelazioni con adulti che meritano stima. Se l’educazione non si risolve con
l’insegnamento, se l’adattamento non è sinonimo di maturità sociale, e la cultura è molto di più e di
diverso dall’erudizione, fare educazione è il compito più globale.
E’ il più difficile ed ambizioso di tutti, sia perché comprende educazione e insegnamento, sia
perché non può essere realizzato senza che l’educatore accresca la sua maturità, la sua sanità
interiore.
L’insegnante che si adagia nella routine scolastica, non solo non pensa al futuro dei suoi allievi, ma
trasmette ad essi la sua incapacità di interagire nelle situazioni di vita che inevitabilmente lo
interpellano come persona oltre che come formatore.
Sempre più, l’obiettivo prioritario della scuola sta diventando la formazione globale della
personalità dell’alunno: non è tanto l’accumulo di conoscenze che viene richiesto, ma il possesso
di qualità umane, di atteggiamenti, di capacità, di metodi che mettano lo studente in condizione di
assumere più tardi compiti di responsabilità nella vita sociale e professionale.
L’insegnante deve rendersi consapevole del valore formativo della sua materia, del contributo che
essa può dare per lo sviluppo globale della personalità degli allievi.
Bisognerà fare ricorso agli abbondanti contributi di conoscenza forniti in questi anni dalle Scienze
umane per capire non solo la natura intrinseca della materia insegnata e la progressione necessaria
al suo apprendimento, ma anche la natura e la prospettiva di crescita delle potenzialità di
quell’essere misterioso e unitario che è l’uomo.
Ogni bambino o giovane che frequenta la scuola, vi arriva con una sua storia: il suo profilo umano
è la sintesi di un equilibrio più o meno armonico delle risorse istintive, emotive e razionali.
E’ il suo comportamento che rivela il tipo di equilibrio realizzato, appunto, fra forze istintive
(pulsioni, sensazioni, tensioni, bisogni,...), emotive (sensibilità, emozioni, sentimenti, desideri,...) e
razionali (ragionamenti, riflessioni, pensieri, ideali,...).
Egli è una unità funzionante poiché le forze istintive iniziali, gli impulsi contrastanti del suo agire,
il prorompere di emozioni sempre nuove, l’hanno costretto a mettersi in rapporto con il mondo
esterno e a fare i conti con sé stesso per stare a galla.
La storia del rapporto con il suo Io e con il mondo esterno (il suo sviluppo affettivo) ha stimolato la
sua mente a scoprire il significato del suo scambio attivo con l’ambiente fisico e sociale
circostante.
I modi di funzionamento del suo pensiero (le forme dell’intelligenza) via via si strutturano a
seconda della sua storia affettiva, come a dire che il profilo della sua intelligenza corrisponde ai
tratti del suo carattere (al tipo di sviluppo affettivo realizzato).
Le conoscenze che abbiamo sullo sviluppo dell’età evolutiva e sul funzionamento del cervello, ci
consentono oggi di individuare quali forme di intelligenza sono più o meno sviluppate (analisi,
sintesi, inventività, intelligenza concreta) in questo o quel comportamento affettivo, come pure di
intravedere i tratti di carattere partendo dall’osservazione delle modalità di funzionamento
dell’intelligenza, cioè dal profilo intellettivo.
In poche parole si può dire : da come usi l’intelligenza capisco che carattere hai, come pure
dimmi qual è il tuo comportamento e ti dirò come usi la tua mente.

Le materie scolastiche come strumento di formazione della personalità

A poco servirebbe la conoscenza del maggior o minore utilizzo delle capacità intellettive, se non
fosse possibile una efficace terapia.
Ordinariamente nella scuola questa terapia consiste non nella ricostruzione della capacità inibita,
ma in un aumentato sforzo di studio mnemonico, ripetitivo, astratto, finalizzato alla promozione
scolastica e non tanto alla promozione umana.
E’ vero, molti alunni riescono a conseguire il diploma malgrado l’antipatia o il rifiuto di questa o
quella materia e si immettono ugualmente nella professione e nella vita senza questa o quella
capacità; altri invece (e sono troppi) rinunciano a proseguire negli studi.
Per gli uni e per gli altri la scuola ha fallito: la varie materie scolastiche erano uno strumento
privilegiato per ricostruire capacità non o male utilizzate, ma i tanti anni di scuola non hanno
raggiunto lo scopo; eppure tutti noi siamo convinti che è la vita a richiedere l’utilizzo di tutte le
capacità intellettive e delle fondamentali doti di carattere, non tanto la scuola.
L’insegnante che lascia l’allievo nella situazione di insuccesso, in questa o quella materia, fallisce
nel suo compito formativo non perchè licenzia l’allievo scolasticamente insufficiente, ma perchè
non gli fornisce per la vita alcune delle doti necessarie per affrontarla.
A questo punto è indispensabile aprire uno spiraglio sul vasto campo di aggiornamento
pedagogico-didattico che trasforma la materia scolastica da nastro trasmettitore di conoscenze in
strumento specifico di formazione di capacità.
Ciò comporterà non solo una buona informazione psicopedagogica, ma una altrettanto seria
conoscenza della propria materia: non si può usare bene uno strumento se non si sa a che cosa
serve.
Compito della scuola infatti è far riuscire tutti gli alunni in tutte le materie, non perché tutte le
informazioni scolastiche saranno loro indispensabili per la vita, ma perché la materia che fotografa
l’insuccesso sarà la più terapeutica se svilupperà la capacità affettiva sottostante.

L’insuccesso in matematica

Nasconde indubbiamente difficoltà d’uso della capacità di analisi, che a sua volta comporta la
difficoltà mentale di utilizzare simboli, numeri, schemi astratti: La capacità di analisi infatti
presuppone contemporaneamente l’uso delle funzioni simboliche e dell’intelligenza visiva detta
anche intelligenza sociale (la capacità di leggere i rapporti spaziali, di capire i codici di
comportamento, di distinguere i particolari nell’insieme).
L’analisi è una forma dell’intelligenza che ha forte correlazione con il senso dell’ iniziativa (la
capacità di prefiggersi scopi, di trovare un senso al proprio agire) . Essa radica il suo iniziale
sviluppo dai 3 ai 6 anni, quando appunto il bambino impara a dare significato al suo bisogno di
usare i sensi, di muoversi, di essere attivo. A quella età il bambino interiorizza il tipo di rapporto
fra papà e mamma e la presenza e la qualità della figura paterna sono una buona radice inconscia
per la crescita della capacità di analisi (la capacità di stabilire rapporti mentali) per accettare la
consequenzialità, la coerenza dei rapporti fra oggetti, azioni, simboli, conoscenze ...
A poco serve l’esercizio ripetitivo di compiti di matematica, geometria, fisica, chimica, se non si
interviene a livello affettivo con attività che aiutano lo studente :
- ad accettare le regole del gioco,
- a raggiungere risultati prefissati (scopi),
- ad aumentare il coraggio di iniziare, di intraprendere,
- a sentire necessaria l’organizzazione, l’attenzione, la concentrazione per arrivare alla fine,
- ad accettare le conseguenze logiche del proprio agire.
Spesso i laboratori scientifici o tecnici, riuscendo a coinvolgere altre capacità dello studente
(interessato invece al lavoro manuale o ai risultati concreti), ottengono quella concentrazione
mentale e attenzione che mancano a chi ha difficoltà nell’analisi.
La matematica e le scienze sono le materie dell’attenzione. Non va dimenticata l’espressione
sintetica di D. Wallon: “la vera attenzione è una partecipazione affettiva” (19) .
Ad ogni modo le attività che stimolano il coraggio, che consentono di accettare le regole senza
fatica (sport), i laboratori tecnici curano alla radice le difficoltà nell’analisi molto di più che i
ripetuti esercizi di matematica, fisica, chimica, ...

L’insuccesso nelle materie espressive

Nella scuola ci sono anche studenti che si rifugiano in maniera eccessiva nelle materie analitiche:
sono gli studenti con eccessivo senso del dovere, “donnine e ometti” prefabbricati; lo studente
“secchia” che si rifugia nello studio senza goderne, che manca di spontaneità e calore nei rapporti
con i coetanei, vive la scuola per la scuola, non per la vita, e rifiuta le materie espressive.
Il rifiuto delle materie artistiche, musicali, fisiche, nasconde il blocco dell’autonomia (la capacità di
far da sé) le cui radici risalgono all’età dei 2 anni; è l’età del movimento, del gioco, responsabile
della spontaneità e disinvoltura del carattere.
Il mancato utilizzo dell’ intelligenza inventiva può dipendere appunto dal blocco della motricità
nell’infanzia o dall’eccessiva programmazione della vita del bambino (il figlio progetto).
Non si ottengono risultati in materie artistiche o fisiche se non si creano situazioni scolastiche ed
extra-scolatiche che stimolano il movimento e la comunicazione.
Il bambino o lo studente ha bisogno di vita di gruppo, di varietà di ambienti, di mobilità anche
geografiche, di novità, di relazioni.
Spesso il rifiuto delle materie espressive si associa alla pigrizia e le ”aspirine” che curano la
pigrizia sono appunto il movimento fisico e la vita di relazione.

L’insuccesso in italiano

Frequentemente dipende da un cattivo impatto con la scuola elementare e la conseguente antipatia


per il leggere e lo scrivere.
A livello profondo può nascere una debolezza o indeterminatezza dell’Io, della coscienza di sé, o
per una precoce identificazione agli adulti di casa, o per eccesso di iperprotezione o, nei casi più
gravi, per forti traumi nella prima infanzia.
Ne soffre la capacità di sintesi perché manca la forza psichica per sostenere il punto di vista
personale, e si manifesta nell’incapacità di mettersi in relazione perché il proprio Io non è sentito
come primo o secondo termine di paragone.
A poco servono i riassunti a scuola o l’apprendimento mnemonico di “sintesi altrui”.
Nelle ultime classi delle scuole medie superiori lo sforzo di studio mnemonico produce sempre
meno e il risultato dell’esame finale è sempre inferiore alle attese. Le stesse materie che
privilegiano la sintesi (italiano, lingue straniere, filosofia, storia dell’arte...) venendo studiate
mnemonicamente non arricchiscono il mondo interiore di chi avrebbe invece bisogno di esse per
riuscire a capirsi e per relazionare.
La capacità di sintesi dipende in gran parte dalla fiducia personale, dall’autostima.
E’ il primo rapporto con la madre che trasmette questa certezza intima di essere qualcuno. Sono le
buone relazioni di amicizia che consentono di sentirsi qualcuno per qualcuno.
Danneggiano l’autostima e quindi la capacità di sintesi il confronto con un fratello migliore, con i
compagni migliori, l’identificazione ad un parente strano, poco stimato, ...

Si potrebbe continuare con queste esemplificazioni, materia per materia, per dimostrare che il
funzionamento della nostra mente dipende dai contesti di relazione vissuti (la vita affettiva): essi
hanno favorito o bloccato le ragioni, i significati, il senso del nostro agire e pensare.
La varietà delle materie scolastiche, ad ogni ciclo di studi, ripresenta contesti specifici in cui
l’uomo, molti uomini, hanno impegnato le loro capacità: ogni materia è un campo della attività
umana sia pratica sia intellettuale, è un modo di esprimersi dell’uomo che lavora e pensa. Ogni
materia può essere intesa quindi come il riassunto di ciò che l’uomo ha costruito, soprattutto con la
sua intelligenza, in un determinato ambito.
Trasmettere quanto l’uomo ha prodotto nei vari campi e nelle manifestazioni di vita pratica ed
intellettuale è uno dei compiti della scuola, oggi forse secondario dal momento che altre centrali
informative occupano lo spazio un tempo privilegio esclusivo dell’istruzione scolastica.
La provvisorietà e i limiti dell’insegnamento-indottrinamento sono sempre più evidenti, non solo
per l’obsolescenza delle conoscenze, ma soprattutto perché da più parti si auspica formazione di
capacità. Mentre le riforme scolastiche si accaniscono a fornire programmi con contenuti teorici
sempre più invadenti (sia nell’orario scolastico sia nel tempo pomeridiano), si constatata che ai
giovani disadattati, non collocabili professionalmente, è mancata proprio l’educazione globale.
I successi o gli insuccessi nelle varie materie diventano un grande campo di osservazione essendo
la scuola un ambiente sociale in cui si fa appello all’intelligenza per diventare produttivi nelle varie
attività, chiamate materie scolastiche.
Esse sono quindi importanti strumenti di conoscenza del funzionamento dell’intelligenza.
Di fronte ad incapacità, insuccessi, lentezze, lo strumento (la materia), perché specifico, deve poter
realizzare il suo scopo, far diventare terapeutica soprattutto la materia che fotografa l’insuccesso.
Quasi sicuramente il grande impegno dell’aggiornamento scolastico sposterà l’attenzione dai
contenuti ai metodi, poiché la preparazione scolastica non consisterà più in una massa di nozioni
preconfezionate, ma in una esperienza concreta di processi, di interrogativi, dei metodi più
convenienti sia all’insegnante, sia all’allievo per attrezzare tutti delle capacità essenziali per vivere.
Si tratterà di un aggiornamento che riguarderà il singolo insegnante, un aggiornamento specifico,
tecnico, materia per materia ma dovrà coinvolgere tutta la scuola.
Questa riflessione può indicare una direzione possibile, frutto tra l’altro di risultati ottenuti da
docenti che già operano in questa lunghezza d’onda.
Ciò che oggi è urgente da evitare è che la materia scolastica diventi per il docente e l’allievo un
ambito di chiusura degli orizzonti nella convinzione che l’unica competenza coltivata porti a
proteggere la propria individualità, impossibile ormai in un mondo in forte cambiamento che esige
responsabilizzazione sociale specialmente degli operatori della scuola.
“E’ più facile agire sulle cause affettive di un atto o di un pensiero che sull’atto e il pensiero
stesso” (20) .

E’ sentita come una straordinaria occasione di vivere con gli altri, di riempire il tempo con tante
novità, a volte desiderate o appositamente provocate dai più discoli per rompere la sua staticità
(non abbiamo forse constatato che la bocciatura dei compagni discoli rende piatta e smorta la classe
dell’anno successivo?).
La scuola stimola l’iniziativa, sviluppa abbastanza l’autonomia e l’industriosità, è segnalata invece
all’ultimo posto per lo sviluppo dell’autostima.
Che la scuola non coltivi il tu per tu, la relazione personale fra insegnanti e alunni, è un grosso
inconveniente, soprattutto nell’età della scuola media, quando il confronto con adulti diversi ha
l’importante funzione di provocare nei preadolescenti, ma anche negli adolescenti, l’ideale di
adulto che essi pensano di diventare.
Bisogna programmare di proposito la conoscenza degli alunni fra di loro: perché non organizzare
all’inizio di ogni ciclo scolastico di Scuola elementare e media la visita alla casa di ciascun alunno
con l’intera classe? Perché non far riferire in classe le caratteristiche del proprio ambiente familiare
sia dal punto di vista abitativo che relazionale?
Il docente che ha sperimentato in sé relazioni valorizzanti e che conosce in profondità la storia del
suo alunno coltiva in classe il senso del rispetto come l’elemento fondamentale del vivere sociale e
ciò diventa la fonte quotidiana dell’autostima.
Per lo sviluppo dell’autonomia e dell’industriosità basterebbe proporsi l’obiettivo di trasformare la
nozione in una esperienza che dà soddisfazione e lascia un ricordo prolungato.
MOTIVARE allo studio o al lavoro significa conquistare il cuore dell’educando, dare un senso a
quel deposito di energie costituite dal suo mondo istintivo-emotivo: ciò avviene quando la voglia di
muoversi e la curiosità mentale si nutrono nella e della stessa esperienza, quando la voglia di essere
liberi e l’apertura di orizzonti interiori diventano una realtà unica, vissuta.
L’impegno educativo finalizzato a sviluppare nei più giovani la capacità di adattamento agli
ambienti in cui vivono, compresa la scuola, non basta più. L’educazione va programmata in
prospettiva poiché il figlio, l’allievo vivrà da adulto in una società diversa dall’attuale.
Oggi si chiede agli educatori di far crescere giovani capaci di adattarsi alla società di domani, con
capacità e qualità umane che consentano loro di interagire attivamente in una società più
complessa ed esigente.
Inculcare pedissequamente informazioni, norme, contenuti del passato o del presente, porterà il
giovane a non sentirsi centrato, attivo e consapevole in contesti di vita diversi dagli attuali.
Spesso la scuola non aiuta a vivere il calore della amicizia, l’entusiastica partecipazione a quello
che si fa, fiduciose interrelazioni con adulti che meritano stima. Se l’educazione non si risolve con
l’insegnamento, se l’adattamento non è sinonimo di maturità sociale, e la cultura è molto di più e di
diverso dall’erudizione, fare educazione è il compito più globale.
E’ il più difficile ed ambizioso di tutti, sia perché comprende educazione e insegnamento, sia
perché non può essere realizzato senza che l’educatore accresca la sua maturità, la sua sanità
interiore.
L’insegnante che si adagia nella routine scolastica, non solo non pensa al futuro dei suoi allievi, ma
trasmette ad essi la sua incapacità di interagire nelle situazioni di vita che inevitabilmente lo
interpellano come persona oltre che come formatore.
Sempre più, l’obiettivo prioritario della scuola sta diventando la formazione globale della
personalità dell’alunno: non è tanto l’accumulo di conoscenze che viene richiesto, ma il possesso
di qualità umane, di atteggiamenti, di capacità, di metodi che mettano lo studente in condizione di
assumere più tardi compiti di responsabilità nella vita sociale e professionale.
L’insegnante deve rendersi consapevole del valore formativo della sua materia, del contributo che
essa può dare per lo sviluppo globale della personalità degli allievi.
Bisognerà fare ricorso agli abbondanti contributi di conoscenza forniti in questi anni dalle Scienze
umane per capire non solo la natura intrinseca della materia insegnata e la progressione necessaria
al suo apprendimento, ma anche la natura e la prospettiva di crescita delle potenzialità di
quell’essere misterioso e unitario che è l’uomo.
Ogni bambino o giovane che frequenta la scuola, vi arriva con una sua storia: il suo profilo umano
è la sintesi di un equilibrio più o meno armonico delle risorse istintive, emotive e razionali.
E’ il suo comportamento che rivela il tipo di equilibrio realizzato, appunto, fra forze istintive
(pulsioni, sensazioni, tensioni, bisogni, ...), emotive (sensibilità, emozioni, sentimenti, desideri, ...)
e razionali (ragionamenti, riflessioni, pensieri, ideali, ...).
Egli è una unità funzionante poiché le forze istintive iniziali, gli impulsi contrastanti del suo agire,
il prorompere di emozioni sempre nuove, l’hanno costretto a mettersi in rapporto con il mondo
esterno e a fare i conti con sé stesso per stare a galla.
La storia del rapporto con il suo Io e con il mondo esterno (il suo sviluppo affettivo) ha stimolato la
sua mente a scoprire il significato del suo scambio attivo con l’ambiente fisico e sociale
circostante.
I modi di funzionamento del suo pensiero (le forme dell’intelligenza) via via si strutturano a
seconda della sua storia affettiva, come a dire che il profilo della sua intelligenza corrisponde ai
tratti del suo carattere (al tipo di sviluppo affettivo realizzato).
Le conoscenze che abbiamo sullo sviluppo dell’età evolutiva e sul funzionamento del cervello, ci
consentono oggi di individuare quali forme di intelligenza sono più o meno sviluppate (analisi,
sintesi, inventività, intelligenza concreta) in questo o quel comportamento affettivo, come pure di
intravedere i tratti di carattere partendo dall’osservazione delle modalità di funzionamento
dell’intelligenza, cioè dal profilo intellettivo.
In poche parole si può dire : da come usi l’intelligenza capisco che carattere hai, come pure dimmi
qual è il tuo comportamento e ti dirò come usi la tua mente.

Le materie scolastiche come strumento di formazione della personalita’


A poco servirebbe la conoscenza del maggior o minore utilizzo delle capacità intellettive, se non
fosse possibile una efficacie terapia.
Ordinariamente nella scuola questa terapia consiste non nella ricostruzione della capacità inibita,
ma in un aumentato sforzo di studio mnemonico, ripetitivo, astratto, finalizzato alla promozione
scolastica e non tanto alla promozione umana.
E’ vero, molti alunni riescono a conseguire il diploma malgrado l’antipatia o il rifiuto di questa o
quella materia e si immettono ugualmente nella professione e nella vita senza questa o quella
capacità; altri invece (e sono troppi) rinunciano a proseguire negli studi.
Per gli uni e per gli altri la scuola ha fallito: la varie materie scolastiche erano uno strumento
privilegiato per ricostruire capacità non o male utilizzate, ma i tanti anni di scuola non hanno
raggiunto lo scopo; eppure tutti noi siamo convinti che è la vita a richiedere l’utilizzo di tutte le
capacità intellettive e delle fondamentali doti di carattere, non tanto la scuola.
L’insegnante che lascia l’allievo nella situazione di insuccesso, in questa o quella materia, fallisce
nel suo compito formativo non perchè licenzia l’allievo scolasticamente insufficiente, ma perchè
non gli fornisce per la vita alcune delle doti necessarie per affrontarla.
A questo punto è indispensabile aprire uno spiraglio sul vasto campo di aggiornamento
pedagogico-didattico che trasforma la materia scolastica da nastro trasmettitore di conoscenze in
strumento specifico di formazione di capacità.
Ciò comporterà non solo una buona informazione psicopedagogica, ma una altrettanto seria
conoscenza della propria materia: non si può usare bene uno strumento se non si sa a che cosa
serve.
Compito della scuola infatti è far riuscire tutti gli alunni in tutte le materie, non perché tutte le
informazioni scolastiche saranno loro indispensabili per la vita, ma perché la materia che fotografa
l’insuccesso sarà la più terapeutica se svilupperà la capacità affettiva sottostante.

L’insuccesso in matematica.

Nasconde indubbiamente difficoltà d’uso della capacità di analisi, che a sua volta comporta la
difficoltà mentale di utilizzare simboli, numeri, schemi astratti: La capacità di analisi infatti
presuppone contemporaneamente l’uso delle funzioni simboliche e dell’intelligenza visiva detta
anche intelligenza sociale (la capacità di leggere i rapporti spaziali, di capire i codici di
comportamento, di distinguere i particolari nell’insieme).
L’analisi è una forma dell’intelligenza che ha forte correlazione con il senso dell’ iniziativa (la
capacità di prefiggersi scopi, di trovare un senso al proprio agire) . Essa radica il suo iniziale
sviluppo dai 3 ai 6 anni, quando appunto il bambino impara a dare significato al suo bisogno di
usare i sensi, di muoversi, di essere attivo. A quella età il bambino interiorizza il tipo di rapporto
fra papà e mamma e la presenza e la qualità della figura paterna sono una buona radice inconscia
per la crescita della capacità di analisi (la capacità di stabilire rapporti mentali) per accettare la
consequenzialità, la coerenza dei rapporti fra oggetti, azioni, simboli, conoscenze ...
A poco serve l’esercizio ripetitivo di compiti di matematica, geometria, fisica, chimica, se non si
interviene a livello affettivo con attività che aiutano lo studente :
- ad accettare le regole del gioco,
- a raggiungere risultati prefissati (scopi),
- ad aumentare il coraggio di iniziare, di intraprendere,
- a sentire necessaria l’organizzazione, l’attenzione, la concentrazione per
arrivare alla fine,
- ad accettare le conseguenze logiche del proprio agire.
Spesso i laboratori scientifici o tecnici, riuscendo a coinvolgere altre capacità dello studente
(interessato invece al lavoro manuale o ai risultati concreti), ottengono quella concentrazione
mentale e attenzione che mancano a chi ha difficoltà nell’analisi.
La matematica e le scienze sono le materie dell’attenzione. Non va dimenticata l’espressione
sintetica di D. Wallon: “la vera attenzione è una partecipazione affettiva” (19) .
Ad ogni modo le attività che stimolano il coraggio, che consentono di accettare le regole senza
fatica (sport), i laboratori tecnici curano alla radice le difficoltà nell’analisi molto di più che i
ripetuti esercizi di matematica, fisica, chimica, ...

L’insuccesso nelle materie espressive.

Nella scuola ci sono anche studenti che si rifugiano in maniera eccessiva nelle materie analitiche:
sono gli studenti con eccessivo senso del dovere, “donnine e ometti” prefabbricati; lo studente
“secchia” che si rifugia nello studio senza goderne, che manca di spontaneità e calore nei rapporti
con i coetanei, vive la scuola per la scuola, non per la vita, e rifiuta le materie espressive.
Il rifiuto delle materie artistiche, musicali, fisiche, nasconde il blocco dell’autonomia (la capacità di
far da sé) le cui radici risalgono all’età dei 2 anni; è l’età del movimento, del gioco, responsabile
della spontaneità e disinvoltura del carattere.
Il mancato utilizzo dell’ intelligenza inventiva può dipendere appunto dal blocco della motricità
nell’infanzia o dall’eccessiva programmazione della vita del bambino (il figlio progetto).
Non si ottengono risultati in materie artistiche o fisiche se non si creano situazioni scolastiche ed
extra-scolatiche che stimolano il movimento e la comunicazione.
Il bambino o lo studente ha bisogno di vita di gruppo, di varietà di ambienti, di mobilità anche
geografiche, di novità, di relazioni.
Spesso il rifiuto delle materie espressive si associa alla pigrizia e le ”aspirine” che curano la
pigrizia sono appunto il movimento fisico e la vita di relazione.

L’insuccesso in italiano.

Frequentemente dipende da un cattivo impatto con la scuola elementare e la conseguente antipatia


per il leggere e lo scrivere.
A livello profondo può nascere una debolezza o indeterminatezza dell’Io, della coscienza di sé, o
per una precoce identificazione agli adulti di casa, o per eccesso di iperprotezione o, nei casi più
gravi, per forti traumi nella prima infanzia.
Ne soffre la capacità di sintesi perché manca la forza psichica per sostenere il punto di vista
personale, e si manifesta nell’incapacità di mettersi in relazione perché il proprio Io non è sentito
come primo o secondo termine di paragone.
A poco servono i riassunti a scuola o l’apprendimento mnemonico di “sintesi altrui”.
Nelle ultime classi delle scuole medie superiori lo sforzo di studio mnemonico produce sempre
meno e il risultato dell’esame finale è sempre inferiore alle attese. Le stesse materie che
privilegiano la sintesi (italiano, lingue straniere, filosofia, storia dell’arte ...) venendo studiate
mnemonicamente non arricchiscono il mondo interiore di chi avrebbe invece bisogno di esse per
riuscire a capirsi e per relazionare.
La capacità di sintesi dipende in gran parte dalla fiducia personale, dall’autostima.
E’ il primo rapporto con la madre che trasmette questa certezza intima di essere qualcuno. Sono le
buone relazioni di amicizia che consentono di sentirsi qualcuno per qualcuno.
Danneggiano l’autostima e quindi la capacità di sintesi il confronto con un fratello migliore, con i
compagni migliori, l’identificazione ad un parente strano, poco stimato, ...

Si potrebbe continuare con queste esemplificazioni, materia per materia, per dimostrare che il
funzionamento della nostra mente dipende dai contesti di relazione vissuti (la vita affettiva): essi
hanno favorito o bloccato le ragioni, i significati, il senso del nostro agire e pensare.
La varietà delle materie scolastiche, ad ogni ciclo di studi, ripresenta contesti specifici in cui
l’uomo, molti uomini, hanno impegnato le loro capacità: ogni materia è un campo della attività
umana sia pratica sia intellettuale, è un modo di esprimersi dell’uomo che lavora e pensa. Ogni
materia può essere intesa quindi come il riassunto di ciò che l’uomo ha costruito, soprattutto con la
sua intelligenza, in un determinato ambito.
Trasmettere quanto l’uomo ha prodotto nei vari campi e nelle manifestazioni di vita pratica ed
intellettuale è uno dei compiti della scuola, oggi forse secondario dal momento che altre centrali
informative occupano lo spazio un tempo privilegio esclusivo dell’istruzione scolastica.
La provvisorietà e i limiti dell’insegnamento-indottrinamento sono sempre più evidenti, non solo
per l’obsolescenza delle conoscenze, ma soprattutto perché da più parti si auspica formazione di
capacità. Mentre le riforme scolastiche si accaniscono a fornire programmi con contenuti teorici
sempre più invadenti (sia nell’orario scolastico sia nel tempo pomeridiano), si constatata che ai
giovani disadattati, non collocabili professionalmente, è mancata proprio l’educazione globale.
I successi o gli insuccessi nelle varie materie diventano un grande campo di osservazione essendo
la scuola un ambiente sociale in cui si fa appello all’intelligenza per diventare produttivi nelle varie
attività, chiamate materie scolastiche.
Esse sono quindi importanti strumenti di conoscenza del funzionamento dell’intelligenza.
Di fronte ad incapacità, insuccessi, lentezze, lo strumento (la materia), perché specifico, deve poter
realizzare il suo scopo, far diventare terapeutica soprattutto la materia che fotografa l’insuccesso.
Quasi sicuramente il grande impegno dell’aggiornamento scolastico sposterà l’attenzione dai
contenuti ai metodi, poiché la preparazione scolastica non consisterà più in una massa di nozioni
preconfezionate, ma in una esperienza concreta di processi, di interrogativi, dei metodi più
convenienti sia all’insegnante, sia all’allievo per attrezzare tutti delle capacità essenziali per vivere.
Si tratterà di un aggiornamento che riguarderà il singolo insegnante, un aggiornamento specifico,
tecnico, materia per materia ma dovrà coinvolgere tutta la scuola.
Questa riflessione può indicare una direzione possibile, frutto tra l’altro di risultati ottenuti da
docenti che già operano in questa lunghezza d’onda.
Ciò che oggi è urgente da evitare è che la materia scolastica diventi per il docente e l’allievo un
ambito di chiusura degli orizzonti nella convinzione che l’unica competenza coltivata porti a
proteggere la propria individualità, impossibile ormai in un mondo in forte cambiamento che esige
responsabilizzazione sociale specialmente degli operatori della scuola.
“E’ più facile agire sulle cause affettive di un atto o di un pensiero che sull’atto e il pensiero stesso”
(20) .

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