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LA PARROCCHIA di Umberto Barizza

Merita una considerazione particolare perché, già durante la formulazione del questionario,
si temeva venisse danneggiata nel confronto con gli altri ambienti; il tempo passato in famiglia e a
scuola è, ad esempio, non confrontabile con quello passato in parrocchia (forse più simile al tempo
dedicato alla partecipazione al gruppo sportivo).
E’ stato invece particolarmente utile inserire la Parrocchia fra gli ambienti educativi che
provvedono allo sviluppo delle doti fondamentali del carattere: ha infatti permesso di capire quanto
poco i ragazzi e i giovani ne colgano lo specifico proprio della sua missione ed ha fatto emergere la
necessità di ripensare nuove modalità di relazioni valorizzanti.
La parrocchia tocca l’interiorità del 20 al massimo 30% di questi preadolescenti e
adolescenti, anche nell’età in cui la maggioranza la frequenta: si teme che si caratterizzi ancora
come l’ambiente che accoglie o rifiuta.
Infatti, ogni volta che in questa o quella sezione, in questa o quella domanda, veniva scelta
in positivo, contemporaneamente si verificava un aumento anche delle scelte in negativo.
L’analisi-confronto fatta sui tipi di carattere sottolinea una maggiore attenzione agli adultini e agli
introversi, minore invece ai tipi clown e concreti.
La parrocchia adotta modalità organizzative che richiedono comportamenti tali da portare a
privilegiarne alcuni e rifiutarne altri ?
Rifiutando certi comportamenti non si rifiutano anche le persone ?
Gli intervistati sottolineano il contributo della parrocchia sul significato dell’agire
(iniziativa), sul pensare agli altri, favorendo alcuni caratteri nella costruzione di amicizie, non la
segnalano però come ambiente che stimola l’autostima, nemmeno contribuendo alla presa di
coscienza del proprio valore o condividendo insuccessi e sconfitte.
Più i ragazzi diventano adolescenti, più aumentano i “niente” alle domande di apporto educativo
riferite alla parrocchia.
Essa risulta un contesto statico perché è assente ogni contributo al fare (industriosità) e all’essere
attivi (autonomia).
I tipi “autodefinitisi”, che l’indagine ha dimostrato i più armonici, non fanno risaltare (soprattutto
gli adolescenti) alcuna valutazione della parrocchia, né in positivo né in negativo, cosicché viene da
pensare che essa, insieme alla famiglia, siano ambienti già interiorizzati, da cui ci si distacca quando
la vita diventa interessante in altri contesti.
Analizzando non solo le percentuali delle risposte, ma il contenuto stesso delle domande, il
problema della pastorale giovanile viene messo a fuoco su quelle relazioni, attività, esperienze che
riguardano l’essenzialità e la qualità del messaggio trasmesso.
Non si può sottovalutare il risultato di questa indagine trincerandosi sul fatto che compito specifico
della parrocchia, non è sviluppare la personalità dei ragazzi e dei giovani, ma di provvedere
all’educazione religiosa.
E’ possibile pensare ad una educazione religiosa se non si conquista il cuore dell’educando?
se non lo si fa sentire persona nei rapporti, nelle attività, nelle celebrazioni ?
Sicuramente questi interrogativi riguardano non solo i sacerdoti, ma l’intera comunità
religiosa e soprattutto i genitori che dovrebbero essere i primi interessati e quindi responsabili ad
evitare che il seme prezioso dell’educazione religiosa non venga adeguatamente coltivato e che,
invece di produrre frutto, costruisca antipatie o rifiuti controproducenti.
Sembra che la parrocchia accomuni
- l’incertezza della famiglia (una pedagogia in bilico fra tradizione e modernizzazione, che
trasmette parole più che testimonianze)
- la routine della scuola (l’insegnamento-indottrinamento irrigidito dal “si è sempre fatto così”)
- l’attrattiva dell’associazionismo (dove le regole del gioco conducono per mano verso risultati
programmati da altri).

Il fatto che ragazzi e giovani, adattati agli ambienti di vita frequentati, abbiano accantonato
la parrocchia come istituzione che non li coinvolge, anzi li discrimina in maniera così netta sebbene
contraddittoria, diventa l’aspetto più preoccupante di questa indagine orientata a finalità educative.
Non si può non tener conto che i due terzi degli intervistati stanno vivendo, proprio a questa
età, l’esperienza di preparazione ai sacramenti o sono usciti da essa da qualche mese.
Dall’indagine emergono infatti valutazioni generali, dimostrate, che non possono non
responsabilizzare gli adulti educatori.

Se nemmeno la parrocchia, nell’età dedicata all’insegnamento religioso, riesce a coinvolgerli


con i significati profondi e la particolare risonanza familiare e comunitaria della celebrazione dei
sacramenti, è necessario fermarsi a fare il punto sulla situazione e riflettere sull’efficacia della
nostra azione educativa, non solo della parrocchia, ma della famiglia, della scuola, dell’associazione
sportiva.
Se abbiamo concluso che i ragazzi di questo campione privilegiato sono positivi, hanno
famiglie stabili, abitudini per la maggioranza equilibrate, occasioni e stimoli a portata di mano,
d’altra parte l’indagine fotografa una realtà di giovani che sembrano andare per conto loro: non
emerge l’adulto pilota, ma l’ambiente nel suo insieme.
Vanno per conto loro perché non si sentono afferrati affettivamente: tanto vivono in riferimento agli
ambienti di convivenza (la scuola) che vi si adattano e, più crescono, più si lasciano condizionare o
mortificare a livello di scelte personali.
E’ fortemente indicativo il loro rapporto con l’amicizia: scuola, associazione sportiva, gruppi
spontanei, anche la parrocchia vengono scelti per trovare risposta a questa sete di amici.
Dal punto di vista culturale danno definizioni straordinarie del valore dell’amicizia: non traspare
invece dalle risposte, per la stragrande maggioranza, l’esperienza dell’amicizia vera.
Si può sintetizzare così: gran richiesta di amicizia e vuoto di vere amicizie.
Il legame di amicizia fra pari, fra compagni di squadra, è tiepido, ne risultano gruppi superficiali,
non si coglie neppure un certo cameratismo.
Significativa la sottolineatura a riguardo di gruppi spontanei occasionali, voluti come occasione di
evasione e di disinvolto impiego di tempo libero.

Eppure sono giovani per i quali gli ambienti tradizionali hanno un valore enorme.
Se sono così adattati da dare all’adulto anche troppo credito, il punto va fatto su noi adulti
non sui giovani.
Anche se sembrano comportarsi con minore obbedienza, sottomissione, accettazione
remissiva, i giovani pensano quello che pensiamo noi adulti; respirano il nostro ossigeno e noi
adulti trasmettiamo il malessere che respiriamo.
Scriveva A.Berge nel 1961: “L’educatore ha quindi una sua via completamente tracciata.
Egli deve digerire, sino a dove ne è capace, i miasmi dell’aria, e far di tutto per sviluppare nei suoi
allievi le stesse facoltà digestive. Infatti, per mezzo della formazione delle loro facoltà e delle loro
virtù potremo avere la possibilità di agire nel loro destino e non cercando di imporre loro delle
concezioni estranee al loro temperamento ... .
Il compito dei genitori si riduce a formare dei caratteri, ad allargare gli orizzonti, a fornire a
ciascuno un massimo di elementi di stima per determinare la sua scelta “ (21) .
Può la parrocchia trasmettere il suo messaggio di straordinaria potenza educativa senza
entrare in questa problematica esistenziale di un mondo giovanile succube di adulti orientati
altrove?
Questo nostro tempo ci ha incanalati, nostro malgrado, in una routine di scelte e di
comportamenti il cui ritmo non solo ci toglie la possibilità di essere disponibili alle novità, alle
sorprese, ad ogni manifestazione originale dei nostri figli o allievi, ma ci porta addirittura a rifiutare
(come fossero contrattempi, contrarietà, ostacoli) i comportamenti di autenticità, di espressione
genuina giovanile, di ricerca di orizzonti e di scopi più ampi.
La società consumistica, commerciale, stimola l’istintività; l’apparato educativo-scolastico
privilegia lo sviluppo intellettivo-culturale; chi pensa oggi all’educazione del cuore ?
Come adulti è più facile adattarsi e adattare le persone alle abitudini di vita, alla mentalità
corrente, che assecondare il rifiuto delle costrizioni dell’esistenza, la ribellione all’irrigidimento,
comprendendo la sfida e guidando il bisogno di libertà interiore.
Spesso i comportamenti che escono dalla normalità sono segnali di quelle “crisi” che
annunciano il prorompere di nuove energie emotive, tanto vitali da richiedere interiori capacità per
fronteggiare un nuovo stadio di sviluppo, quando appunto nuove aspirazioni fanno apparire più
evidente il limite del proprio vivere.
Nel fare educazione, per anni ci si è affidati alla parola e all’insegnamento e ciò è stato
sufficiente fino a quando le situazioni di vita trasmettevano stabilità, continuità di relazione e di
esperienze comuni.
Oggi l’insegnamento da solo non basta più, perché l’educazione del cuore comporta
presenza attiva, testimonianza, partecipazione affettiva.
In famiglia il rapporto umano viene sacrificato perché “non ho tempo”, a scuola perché
“devo svolgere il programma”.
Eppure è nella profondità dell’animo umano che sono depositate le maggiori risorse e
sorprese: ogni educatore ha nella sua storia professionale realizzazioni umane modellate proprio nel
periodo adolescenziale.
L’educazione del cuore è il campo più esigente dell’educazione perché compromette l’educatore in
tutta la sua persona e lo coinvolge totalmente in una condivisione piena ed esclusiva di esperienze,
sentimenti, itinerari di crescita in comune (22) .
Non è la parrocchia la gelosa custode dell’interiorità delle persone ?
Perché non la si propone oggi come la più responsabile fra le Istituzioni a favorire
l’educazione del cuore ?
La pedagogia dei sacramenti non è l’ultimo baluardo per salvare i giovani dallo svuotamento
interiore che via via produce questo vivere da frastornati?
Come accettare che gli adolescenti si allontanino dalla parrocchia quando il risveglio adolescenziale
delle emozioni e dei sentimenti diventa forse l’ultima occasione naturale per realizzare l’educazione
del cuore ?
Ne va di mezzo non solo la conoscenza del proprio mondo interiore, ma anche l’aggancio
alla sorgente vera di ogni sete di maturazione.
Il senso della propria dignità e del proprio valore non è frutto delle nostre passioni o dei nostri
ragionamenti, ma della profondità del nostro sentimento.
E’ dal cuore che prendono nutrimento, slancio e passioni, i nostri desideri di completezza e di
perfezione, i nostri ideali più genuini ; nel cuore sono depositati i segreti più intimi e misteriosi
dell’essere umano.
Dal cuore nascono i sentimenti di stupore, anche di timore, di fronte alle infinite sfumature della
nostra realtà intima.
E’ il cuore che regola l’impiego delle proprie energie istintive, che nutre di calore i nostri progetti
razionali.
L’educazione del cuore porta ad essere capaci di mettersi nei panni degli altri senza perdere il
senno, a dar valore alle parole come ai silenzi, a mantenere vivi nel tempo fatti, esperienze, realtà
conosciute.
E’ l’educazione del cuore che rende espressivi il nostro agire, la nostra corporeità, anche i nostri
sogni.
L’affettività è il solo guardiano fra ciò che è sopportabile e ciò che è insopportabile.
E non è forse il cuore quel centro equilibratore interiore che noi chiamiamo coscienza ?

E’ proprio la dimensione religiosa della vita che porta alla lettura essenziale di quanto
avviene nel nostro tempo e i sacerdoti ne sono i testimoni quotidiani.
Quanta sofferenza per scelte o abitudini sbagliate! Quanta fatica per uscire da sconfitte subite!
Quanta amarezza in tanti giovani che sperimentano il male nel loro intimo! Quanta profonda pena
in coppie che non trovano la strada della generosità per accettarsi e capirsi nelle loro sconfitte!.
Ogni uomo o lotta tutta la vita per amare o lotta per soffrire.
E non c’è in ogni esistenza umana l’istinto più invincibile e mai soffocato che vuole la gioia di
vivere ?
Lo sviluppo della capacità d’amare è l’essenza del messaggio cristiano ed esso non avviene se non
nella presa di coscienza del proprio valore.
Siccome oggi sull’amore si scherza, si equivoca, si disorienta, può la parrocchia non coltivare il tu
per tu con i ragazzi e i giovani quando, per sentirsi compresi, riconosciuti, amati è necessario
sperimentare rapporti di stima e fiducia ?
Per creare le condizioni minime perché la paura di non valere non porti i giovani verso le strade
infeconde (professionali e non) dell’egoismo (erotismo), dell’arrivismo, dell’accumulo di occasioni
di solitudine o di abbandono, bisogna che ci aiutiamo l’un l’altro per riscoprire il nostro valore.
La parrocchia che non coltiva l’autostima, l’autonomia, l’industriosità (che dà mete e ideali astratti)
può trasmettere valore alle giovani generazioni ?

Si sta facendo strada la convinzione che fa più breccia per costruire il bene la singola persona che
l’Istituzione sociale, il movimento, il partito.
La comunità religiosa ha bisogno di socializzare il consenso di uno stile di vita orientato oltre.
Il consenso di fede-fiducia passa attraverso le persone, le famiglie, i gruppi che ci credono.
Un messaggio così grande alla società contemporanea ha bisogno di gruppi convinti e solidali.
Molte persone di questo nostro tempo di benessere vivono con l’amaro in bocca:
- vogliono la felicità e sbagliano strada,
- vogliono sicurezza e vivono nell’ansia,
- assolutizzano il presente per garantirsi un futuro che non vedono e a cui non credono,
- gestiscono il presente con gli occhi bendati.
La comunità cristiana ha trovato risposte che trasformano la vita ed è necessario sapere
incarnarle - far diventare vita le risposte
parteciparle - comunicare ciò che si crede vivendo
celebrarle - socializzare le conquiste.
Un simile contesto afferrerebbe tanto più ragazzi e giovani adattati, ma ancora pronti all’azione.

Ci si potrebbe chiedere: è giusto pretendere che un ambiente educativo faccia terapia di ciò che gli
altri ambienti non fanno? Che la scuola faccia educazione invece che istruzione perché molte
famiglie non educano i figli? Che la parrocchia faccia educazione del cuore perché gli altri ambienti
non riescono a farlo?
E’ difficile esonerare la parrocchia dal fare supplenza visto che la storia della Chiesa è caratterizzata
proprio da questi interventi profetici: ha inventato gli ospedali, le scuole, le associazioni caritative,
il recupero dei drogati, dei malati di AIDS ... prima che l’intervento pubblico ne prendesse
coscienza.
O gli adulti della comunità si responsabilizzano e collaborano per far crescere personalità sane o
l’ambiente più motivato e responsabile, invece che fare normale educazione, dovrà fare terapia delle
disfunzioni sociali e dei conseguenti vuoti educativi.

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