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Politica Antica

Rivista di prassi e cultura politica


nel mondo greco e romano

V. 2015

LUTOPIE POLITIQUE ET LA CIT IDALE

LUTOPIA POLITICA E LA CITT IDEALE

sous la direction de Marianne Coudry & Maria Teresa Schettino


a cura di Marianne Coudry & Maria Teresa Schettino

estratto - tir part


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La citt ideale del De re publica di Cicerone
tra memoria sogno e utopia
di Chiara Carsana

In questi ultimi anni il pensiero politico di Cicerone, con una particolare


attenzione per il De re publica, stato oggetto di molteplici studi e di un rinno-
vato interesse, soprattutto, ma non solo, in ambito anglosassone1.
A fronte di una almeno altrettanto intensa fioritura delle riflessioni dedica-
te in tempi molto recenti allUtopia antica2, colpisce che non sia stata proposta
una rilettura del De re publica di Cicerone in questa chiave3. Eppure un nucleo
importante del filone di studi relativi al pensiero utopico antico parte tradi-
zionalmente dalla Repubblica platonica4, a cui Cicerone, dichiarandosi Comes
Platonis5, esplicitamente si ricollega6. vero che questa connessione anche
costruita su una consapevole contrapposizione7, ma questo, come cercher di
dimostrare, non esclude, piuttosto comporta una differente declinazione della
portata utopica del trattato ciceroniano.
Come si gi avuto modo di chiarire in altra sede8, letimologia stessa del
termine Utopia, neologismo creato da Thomas More a partire dal greco antico
per veicolare una proposta di riflessione su unidea di Stato che nasce da una
critica alla realt contemporanea, permette di individuare senza equivoci la

1
Basti ricordare, per citare solo alcuni dei pi significativi tra questi, la raccolta di studi
Zetzel 1999, dedicata al De re publica e al De legibus; lopera collettiva Powell, North 2001; le
monografie di Atkins 2013 e di Baraz 2012, lopera collettiva Nicgorski 2012, The Cambridge
Companion to Cicero (Steel 2013), per arrivare al volume di Zarecki 2014, la prima opera di
ampio respiro in lingua inglese dedicata allideale delluomo di Stato in Cicerone, a distanza
di pi di mezzo secolo dal Princeps ciceroniano di Lepore 1954 (vd. recensione Arena 2015).
In particolare sul Somnium Scipionis da segnalare la sezione monografica della rivista Les
tudes Philosophiques (Labarrire 2011).
2
Vd. recensione a cura di Carsana 2013; tra gli ultimi studi dedicati allutopia antica vd.
Canfora 2014.
3
Con lunica eccezione di Canfora 1984, p. 14, il quale parla di utopismo ciceroniano:
esso sta per lappunto nel sognare un principe che avesse le fattezze di Scipione, mentre
la realt effettuale era quella dello scontro ineludibile tra i due triumviri supersititi; cf.
infra. Vd. pure Pittia 2008, pp. 27-48: un primo tentativo di approccio in questa direzione al
pensiero politico ciceroniano nel De legibus.
4
Oltre allultimo volume di Canfora 2014, vd. riferimenti bibliografici in Carsana,
Schettino 2008, pp. 1-2, 11-13.
5
Vd. Plin. N.H. praef. 22: qui (Cicero) de re publica Platonis se comitem profitetur
6
Cf. Cic. Att. 4.16.3.
7
Cic. Rep. 2.3 (facilius autem quod est propositum consequar, si nostram rem publicam
vobisostendero, quam mihi aliquam, ut Platonem Socrates, ipse finxero); 21-22.
8
Vd. Carsana, Schettino 2008, p. 1.

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matrice classica dellopera dellumanista inglese9. LUtopia di More densa


di riferimenti al pensiero filosofico, politico, storiografico antico, al punto tale
che non possibile comprenderne la portata del messaggio prescindendo dai
riferimenti al mondo classico che nutrono il pensiero di questo grande uma-
nista.
Pu dunque essere utile porsi una questione preliminare: in che misura
il pensiero politico ciceroniano, e il De re publica in particolare, siano presenti
nellopera di Thomas More e abbiano rappresentato un testo di riferimento
nella composizione della sua Utopia.

1. Cicerone e lUtopia di Thomas More

Un aspetto importante del metodo di lavoro di More rappresentato dalle


allusioni di cui intessuta la sua scrittura. Nella Lettera a Brixius egli rim-
provera al poeta francese di citare le fonti classiche in modo casuale e disor-
dinato: dovere dello scrittore, nel momento in cui allude a un testo, tenerne
in considerazione il contesto originario e il suo significato10. Alle allusioni
presenti in Utopia dunque doveroso dare il giusto peso, perch nellottica del
suo autore non costituiscono un elemento aggiuntivo, ma piuttosto la sostanza
della struttura della sua opera.
Ad una lettura attenta, lautore del De re publica ben presente allinterno
di Utopia11. Nella Biblioteca degli Utopiani lasciata loro in dono da Raffaele
Itloideo prima di partire dallisola, sono contenuti solo i grandi classici greci,
e in primis la maggior parte delle opere di Platone12. Tuttavia Cicerone , in-
sieme a Seneca, lunico autore latino che Itloideo, dottissimo del greco, che
ha studiato pi del latino perch si era dato totalmente alla filosofia, ritenga
degno di essere letto e studiato13. In effetti anche Thomas More, come il suo
personaggio, mostra di conoscere a fondo il pensiero e le opere di Cicerone che
gli offrono molteplici spunti di ispirazione.
Cominciamo dai dati di pi immediata evidenza che riguardano il De re
publica. Utopia si apre e si chiude con due citazioni: 1) il sottotitolo dellopera,
de optimo rei publicae statu, richiama espressamente il dialogo sullo Stato14. Se

9
Per una discussione sullo status semantico del termine utopia, vd. Bacci 1999, pp.
29-32.
10
Th. More, CW 3.2, pp. 551-552; vd. Wegemer 1996, pp. 226-227.
11
Nelledizione Yale di Utopia (Th. More CW 4) vengono individuati pi di cinquanta
possibili riferimenti e allusioni a Cicerone; per uno studio approfondito vd. Wegemer 1996,
pp. 109-127; 226-229.
12
Th. More CW 4.180.
13
Th. More CW 4.50; vd. Surtz 1965, pp. CLVI-CLXIII.
14
Cos viene indicata lopera da Cicerone stesso allinizio del De legibus (1.5.15); cf. Cic.
Q.Fr. 3.5.5 (de optimo statu civitatis et de optimo cive). Questo titolo non altrimenti attestato
se non in opere successive ad Utopia; vd. tra le prime: De optimo reipublicae statu oratio, quam
misit ad patres in Concilio Tridentino (Ludouico Maiorano, 1575), De optimo reipublicae statu
libri sex, in duos tomos diuisi. Quibus accessit Apologeticus liber de Apostolicis traditionibus. (F.
Gregorio Nunnio Coronel Lusitano, 1597), Oratio de optimo rei publicae statu eiusdemque

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La citt ideale del De Re publica di Cicerone tra memoria sogno e utopia

dunque vero che il titolo Utopia un neologismo coniato dal greco, la didasca-
lia che segue invece latina e ciceroniana; 2) le parole con cui More conclude
il bilancio finale del suo racconto (Interea quemadmodum haud possum omnibus
adsentiri quae dicta sunt,, ita facile confiteor permulta esse in Utopiensium republi-
ca quae in nostris civitatibus optarim verius quam sperarim )15, riproducono quasi
alla lettera il famoso giudizio sulla Politeia di Platone espresso da Cicerone nel
De re publica (civitatemque optandam magis quam sperandam)16.
Questi due elementi il sottotitolo di Utopia e la sua conclusione- si ricol-
legano dunque con certezza al dialogo ciceroniano, che tuttavia era noto a
Thomas More e ai suoi contemporanei solo in modo molto parziale e limitato.
Agli inizi del 500 non esisteva ancora una raccolta dei frammenti di citazione
indiretta del De re publica. Il primo a realizzarne unedizione fu Robert Stepha-
nus, il quale li inser con la denominazione di reliquias de commentariis qui de
republica inscripti erant, magno labore collectas vndique, descriptasque libris allin-
terno della M.T. Ciceronis Opera pubblicata a Parigi nel 153917. Lattenzione
e linteresse degli Umanisti per il De re publica erano comunque altissimi. Il
sogno di tutti gli studiosi (gi a partire dal Petrarca) era ritrovare il misterio-
so manoscritto perduto, di cui periodicamente si millantava la riscoperta18.
dunque pi che probabile che More, da dotto umanista, avesse letto le citazio-
ni dellopera ciceroniana riportate da SantAgostino nel De civitate Dei e quelle
di altri autori cristiani (in particolare Lattanzio), come certo che conoscesse
il Somnium Scipionis, tramandato dal commentario di Macrobio, che circolava
autonomamente in numerosi incunaboli gi a partire dal 146919.
La natura frammentaria del testo che More aveva a sua disposizione non
permette di dimostrare con certezza pi di quanto appena stato indicato.
Vorrei comunque procedere, anche se solo in forma ipotetica, in due direzio-
ni, tentando di individuare, da un lato le tracce dellinfluenza esercitata dal
pensiero politico ciceroniano su Utopia, dallaltro gli elementi di affinit che
possibile riscontrare tra le due opere. Tali affinit, anche se indipendenti dalla

Salute (Michael Helwing, 1601). Opere precedenti che forse More conosceva: il De republica
di Lauro Quirini (1449-50), ricco di richiami ad Aristotele e al De re publica di Cicerone
filtrato dal De civitate Dei di SantAgostino (vd. Cappelli 2010, pp. 8-32); il lungo trattato di
Francesco Patrizi, De institutione, statu, ac regimine rei publicae (1471-1494); il De optimo statu
di Filippo Beroaldo (ca 1497); vd. Surtz 1965, pp. CLXXVI-CLXXVII.
15
Th. More CW 4.245-246.
16
Cic. Rep. 2.30.52. La ripresa da parte di More della distinzione optare/sperare tanto pi
significativa in quanto ricorrente allinterno dellopera di Cicerone, il quale abitualmente
usa optare per definire il desiderio di qualcosa di impossibile, e sperare per indicare la
realizzazione di una speranza possibile; vd. riferimenti in Wegemer 1996, pp. 111, 227; Firpo
1979, comm. ad loc.
17
Questa edizione fu seguita da quelle di Carolus Sigonius del 1559 e di Andreas
Patricius del 1561; vd. Heck 1966, pp. 270-289.
18
Vd. Nenci 2008, pp. 129-130.
19
Vd. Wegemer 1996, p. 227; per un elenco delle citazioni del De re publica in autori
posteriori, vd. Heck 1966 (su SantAgostino: pp. 111-153).

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volont di More, possono essere in qualche modo indicative della dimensione


utopica del dialogo ciceroniano20.
Il riferimento di More al giudizio espresso da Cicerone sulla citt di Pla-
tone, che si pu desiderare pi che sperare, riportato a chiusura di Utopia,
particolarmente importante, perch pu essere una spia del punto di vista
dellumanista inglese sullisola che non c che ha appena descritto: egli con-
divide lopinione che lArpinate d della Politeia di Platone e la estende alla sua
citt immaginaria. Utopia unopera divisa in due libri: il primo ha la struttura
di un dialogo filosofico-politico ambientato in un tempo e in uno spazio reali,
la Anversa del 1515, cui prende parte, alla maniera di alcuni dialoghi cicero-
niani, lo stesso autore insieme allumanista fiammingo Peter Giles, segretario
del comune di Anversa, e a Raffaele Itloideo, navigatore portoghese reduce da
un lungo viaggio intorno al mondo. Questa prima sezione dellopera impor-
tante quanto la seconda in cui Itloideo descrive lisola di Utopia, ed ad essa
strettamente complementare. La rappresentazione della citt immaginaria una
trasposizione in chiave narrativa e fantastica dei problemi di ordine politico,
sociale, economico discussi nella prima parte dellopera. La forma di dialogo
di questa sezione iniziale implica un approccio dialettico ai temi dibattuti, che
si ripropone anche nella dialettica interna alla struttura stessa dellopera21: nel-
la critica al mondo reale si pongono delle questioni di fondo che trovano una
loro soluzione nella costruzione di un modello fantastico, non privo di punte
di estremismo, sottoposte al giudizio critico e allo sguardo ironico di More22;
un mondo inesistente, che pi possibile desiderare che sperare di realizzare.
La descrizione dellisola di Utopia dunque solo una parte dellUtopia di More.
La struttura bipartita dellopera ricorda, in qualche modo, limpianto del De re
publica ciceroniano, in cui un dialogo storicamente contestualizzato si conclude
con un viaggio fuori del tempo, in uno spazio al di l della terra.
Altrettanto significativa la questione posta allinizio del dialogo del libro
I di Utopia: se sia giusto mettere le proprie esperienze e la propria cultura al
servizio dello Stato, assistendo un sovrano con saggi esempi e utili consigli23.
Su questo punto gli interlocutori sono in disaccordo: mentre Itloideo sceglie la
via dellastensione dalla politica attiva, More invece convinto che sia da vero
filosofo applicare il proprio ingegno e indirizzare la propria opera allattivit
politica. Mentre il viaggiatore di Utopia ritiene che presso i principi non ci sia
posto per la filosofia24, Moro ribatte che c unaltra filosofia pi propria dei

20
Per un parametro definitorio del genere utopico vd. Moneti 1997, p. 4; vd. infra, pp.
36-37.
21
Vd. Wegemer 1996, pp. 80-84, 91-94; Abensour 2013, pp. 259-260.
22
Vd. Wegemer 1996, pp. 80-84; vd. anche Quarta 1991, pp. 11-30: lironia e lautoironia
di More non devono fuorviare e indurre a considerare Utopia come un mero gioco letterario:
Non bisogna mai dimenticare che egli (More) stato uno fra i maggiori maestri di ironia
che siano mai esistiti, e che, pertanto, il suo scherzare intorno allUtopia deve essere posto
in relazione al fatto che di lui era tipico esprimere in termini umoristici le sue convinzioni
pi serie (p. 16).
23
Th. More CW 4.54; vd. Wegemer 1990.
24
Th. More CW 4.98.

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politici, che conosce la propria scena e adattandosi ad essa recita opportuna-


mente e decorosamente la sua parte... Se non si possono sradicare del tutto le
opinioni sbagliate, non per questo devi abbandonare lo Stato al suo destino,
o lasciare la nave durante la tempesta perch non sei in grado di controllare i
venti25.
Il problema che si apre quello del conflitto tra otium e negotium, posto
drammaticamente da Cicerone nel proemio del De re publica, anche se in que-
sto caso More sembra essersi pi direttamente ispirato a Seneca26. Egli si trova
di fronte al dilemma se accettare di entrare nel Consiglio del re di Inghilterra
e sceglie la vita attiva dellUmanesimo civico: allepoca della pubblicazione di
Utopia (1516) aveva gi servito in Parlamento ed era sotto-sceriffo della citt di
Londra27. Il suo impegno politico e il suo rifiuto di accettare lAtto di Supre-
mazia del re sulla Chiesa dInghilterra lo avrebbero condotto ventanni dopo
alla pena capitale con laccusa di alto tradimento (1535).
La seconda parte dellUtopia di More dedicata alla descrizione dellisola e
dei suoi abitanti. Il racconto di Itloideo strettamente correlato al dialogo che
precede; non vuole essere un diario di viaggio, ma piuttosto una trattazione
politico-istituzionale: nunc ea tantum referre animus est quae de moribus atque in-
stitutis narrabat Utopiensium, praemisso tamen eo sermone, quo velut tracto quon-
dam ad eius mentionem reipublicae deventum est28. Sono i problemi etico-politici
che interessano lautore: essi costituiscono il cuore del concetto di utopia fin da
questa sua prima elaborazione.
Alla teoria delle forme di governo e alla costituzione degli Utopiani dedi-
cato un paragrafo breve, ma estremamente denso29. Il sistema politico vigente
nellisola corrisponde, nella sostanza, ad un principato elettivo e soggetto a
forti limitazioni. Il Princeps definito magistratus perpetuus e resta in carica tut-
ta la vita, nisi tyrannidis affectae suspicio impediat. La sua elezione a scrutinio
segreto e viene effettuata da unassemblea (comitia) di 200 filarchi (ciascuno
dei quali eletto ogni anno da un gruppo di 30 famiglie), sulla base di quattro
candidati proposti dal popolo, diviso nei quattro quartieri della citt. A gover-
nare il Princeps con la collaborazione di un consiglio (senatus) costituito da
20 protofilarchi (magistrati anchessi riconfermati per elezione ogni anno, ma
sostituiti solo per gravi motivi) insieme a due filarchi che ruotano quotidiana-
mente. Extra senatum aut comitia publica de rebus communis inire consilia capita-
le habetur: tale severissima regola stabilita per impedire qualsiasi modifica
dellordinamento che, a seguito di un accordo tra il principe e i protofilarchi,
possa condurre alla tirannide. Ogni questione di grande importanza viene sot-
toposta ai comitia dei filarchi che, dopo una consultazione presa con le proprie
famiglie, comunicano la propria opinione (consilium) al senato.

25
Th. More CW 4.98.
26
Th. More CW 4.98/17-18 (si recenseas ex Octavia locum in quo Seneca disputat cum
Nerone).
27
Vd. Hexter 1965, pp. XXVI-XLI.
28
Th. More CW 4.54.
29
Th. More CW 4.122-124.

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Il sistema di governo di Utopia, regolato da meccanismi di equilibrio e


controllo (Checks / Balances), il cui fine ultimo quello di impedire linstaurarsi
di un governo tirannico, ricalca il modello della costituzione mista. In questo
caso la fonte di riferimento di Thomas More non certamente il De re publica
di Cicerone, visto anche che non esisteva alcun frammento di tradizione indi-
retta (in quanto tale reperibile dagli umanisti) disponibile su questo tema30.
comunque un dato degno di nota che la teoria della costituzione mista, espres-
sione dellideale di un equilibrio moderato di forze istituzionali e sociali, sia
al centro di questa prima elaborazione sistemica del concetto di utopia31. Su
quale sia il modello ispiratore del disegno costituzionale moreiano si potrebbe
discutere: a me sembra che le fonti classiche siano mediate da Tomaso dAqui-
no, dietro il quale c Aristotele32. Il lessico politico-istituzionale, a cui More fa
ricorso, sembra comunque ispirarsi alla repubblica romana33.
Il problema di More quello di immaginare una limitazione al potere rega-
le e il ricorso alla teoria del governo misto avviene in questa chiave34. La que-
stione al centro delle preoccupazioni di More, che vive nellepoca delle gran-
di monarchie europee. Lodio per la tirannide, che Erasmo gli attribuisce35,
non solo alla base del nucleo tematico di Utopia, ma ha ispirato allumanista
inglese unaltra grande opera politica, The History of King Richard the Third,
oltre che numerosi epigrammi latini. Il titolo di uno di questi, Quis optimum rei

30
Vd. Blythe 1992, p. 30.
31
A conferma di quanto gi discusso a proposito dellutopia antica: vd. Carsana 2008,
pp. 17-25.
32
Vd. Blythe 1992, pp. 39-59 (52); Simonetta 2009, pp. 1-30; Surtz 1965, pp. CLXIII-
CLXVII.
33
Vd. riferimenti a senatus, comitia, oltre che allusioni alle assemblee curiata (le 30
famiglie) e tributa (le quattro parti della citt che rimandano alle quattro trib urbane);
vd. Surtz 1965, pp. 397-400. Th. More utilizza il lessico antico in maniera non sempre
congruente al sistema che descrive: al posto di senatus avremmo potuto trovare concilium
principis, in luogo di comitia, pi appropriatamente senatus. Questo mi sembra un indizio
del fatto che il ricorso alla terminologia istituzionale repubblicana (piuttosto che a quella
imperiale), sia frutto di una scelta consapevole, proprio in quanto non automatica. Per un
indice ragionato del lessico latino di ambito politico-istituzionale in Utopia, vd. Pawlowski,
Wegemer 2011, pp. 47-57. Sia anche detto -per inciso- che le scelte lessicali di More in questo
passo sono molto varie e mutuate non solo dal latino, ma anche dal greco. In questo senso
la scelta di specifici termini afferenti allambito istituzionale della Roma repubblicana si
riconfermerebbero come frutto di una scelta volontaria, in quanto non obbligata da un
repertorio lessicale circoscritto ed esclusivo. Anche per Erasmo la forma ideale di governo
resta la libera citt-stato; vd. Surtz 1965, p. 398.
34
Vd. Logan 2007, pp. 19-30. Lopposizione al dispotismo anche al centro della
riflessione di Giovanni di Salisbury nel Policraticus (8.18-20); in questo caso tuttavia la
soluzione prospettata quella del tirannicidio, piuttosto che quella di un governo misto a
controlli incrociati, che si riscontra invece nellAquinate; in questo senso mi trovo in accordo
con Blythe 1992, p. 48; vd. contra Surtz 1965, p. CLXVII (On the other hand, is difficoult to
believe that no influence at all was exerted by the medieval treatises of John of Salisbury,
Giraldus de Barry, Thomas Aquinas, Aegidius Romanus, and Vincent of Beauvais), che si
ferma per ad un confronto pi superficiale.
35
Vd. Logan 2007, pp. 19-32.

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publicae status 36 richiama da vicino Utopia e, di riflesso, il trattato ciceroniano


sullo Stato. In questo componimento in versi lalternativa che si pone tra mo-
narchia e repubblica. Ma in realt si tratta, per More, di unipotesi solo teorica.
Per quanto egli possa prediligere e vagheggiare una res publica esemplificata
su quella romana, More domanda a se stesso: est ne usquam populus cui regem
sive senatum praeficere arbitrio tu potes tuo? La risposta non pu essere che nega-
tiva. Questo popolo non esiste. Il ne usquam allude a Nusquama, altro nome con
cui Utopia viene chiamata dal suo autore37.
C un fondo di forte autoironia nel definire la propria condizione di im-
potenza da parte di More. In una lettera ad Erasmo scritta nel dicembre del
1516, riferendosi alle lodi ricevute per la propria opera appena pubblicata, egli
commenta: Non puoi immaginarti quanto ora io mi imbaldanzisca, quanto
mi gonfi, quanto mi tenga su. Immagino di continuo che i miei Utopiani mi
vorranno eleggere loro sovrano perpetuo, tanto che mi vedo gi incedere co-
ronato del diadema di frumentocircondato da uninsigne accolta di cittadini
di Amauroto, mi vedo, in pompa solenne, andare incontro agli ambasciatori e
ai principi delle genti straniere, ben miseri al nostro confronto, pieni di sciocca
superbiaAvrei continuato pi a lungo questo dolcissimo sogno (prosecuturus
eram longius hoc dulcissimum somnium), ma la sorgente Aurora lha disperso,
ahim! mi ha scosso di dosso il principato, e ora mi richiama alla mia macina,
cio al foro38.
Lautoironia una grande qualit di More, che non si pu riconoscere a
Cicerone. Il racconto del sogno per ha un sapore decisamente ciceroniano;
una metafora che ha il suo precedente nel Somnium Scipionis (che More certa-
mente conosceva); una metafora di larga fortuna nella riflessione sullUtopia,
fino ai nostri giorni39.
More non attinge alla teoria della costituzione mista dal De re publica di
Cicerone, ma poteva avere in mente limmagine del sole presente nel Somnium
Scipionis: dux et princeps et moderator, metafora del rector civitatis. La sua idea di
regalit temperata, volta al benessere del popolo molto pi che al proprio40,
risulta congruente con questo modello.
LUtopia di More un condensato di riferimenti ai testi classici, di prove-
nienza molteplice, i cui dettati sono rielaborati in una nuova sintesi, nel ri-
spetto del contesto originario da cui sono tratti. In questo ordito di citazioni
mi sembra che, accanto a Platone, Aristotele, Plutarco, Luciano e i Padri della
Chiesa si debba tenere in conto Cicerone, e, almeno in parte, anche il De re
publica41.
Se ammettiamo che il dialogo ciceroniano sullo Stato possa essere stato, in

36
Th. More CW 3.2.E198.
37
Vd. le lettere di More ad Erasmo del 3 settembre, 20 settembre e 31 ottobre 1516.
38
Th. More CW Corr. L29; traduzione italiana di A. Castelli, in Rognoni 2008, pp. 191-192.
39
Vd. infra.
40
Th. More CW 4.94. Questo concetto anche al centro del Policraticus di Giovanni di
Salisbury; vd. tuttavia supra, nota 34.
41
In Utopia sono riecheggiati altri spunti ciceroniani: vd. in particolare la teoria del
Sommo Bene, che riprende la discussione sulle teorie stoiche ed epicuree affrontata nel De

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qualche misura, uno dei testi di riferimento da cui nata Utopia, e che comun-
que siano individuabili tra le due opere alcuni interessanti aspetti di affinit,
giunto il momento di fare un passo avanti e di chiedersi in che misura Ci-
cerone stesso, nel comporre la sua opera e nel presentare il proprio progetto
politico, lo ritenesse realizzabile in futuro.

2. La stesura del De re publica tra 54 e 51 a.C.: gli anni della disillusione e della fuga
dalla realt

Noi disponiamo, per il De re publica, di una serie di indicazioni contenute


nellepistolario ciceroniano che ci permettono di individuare la fase iniziale
in cui lopera venne concepita, elaborata progressivamente nel suo disegno
strutturale ed impostata nelle sue linee generali (maggio-novembre 54 a.C.)42,
ed il momento in cui essa venne pubblicata (51 a.C.)43. Alla stesura del De re
publica Cicerone dedic circa tre anni; un arco di tempo lungo, richiesto dalla
complessit dellopera e della sua gestazione, che condusse ad una versione
definitiva e destinata subito a circolare con successo, a differenza del De legibus
che non venne portato a termine e rimase inedito. Questo periodo non fu facile
per Cicerone, da un punto di vista personale e politico. Attraverso le lettere
scritte nel 54 ad Attico e al fratello Quinto abbiamo la possibilit di ricostruire
con quale stato danimo egli avesse intrapreso la composizione dellopera44. In
queste comunicazioni, le informazioni relative al progetto intrapreso si intrec-
ciano strettamente con quelle riguardanti la situazione politica del momento.
In una lettera scritta a fine ottobre-inizio novembre del 54, dopo aver dato rag-
guagli al fratello sullo stadio di avanzamento della stesura del testo e su tutte

finibus bonorum et malorum, nel De legibus, nel De officiis; per una discussione approfondita,
vd. Wegemer 1996, pp. 110-114; Quarta 1991, pp. 249-258.
42
Nel maggio del 54 Cicerone scrive ad Attico (Att. 4.14.1) e al fratello Quinto (Q.Fr.
2.13.1) parlando dellopera appena intrapresa che descrive al fratello come ,
spissum sane opus et operosum e chiedendo allamico di mettergli a disposizione la sua
biblioteca e in particolare le opere di Varrone. Agli inizi di luglio (Att. 4.16.2-3) Cicerone ha
deciso di ambientare il dialogo allepoca di Scipione Emiliano (per il quale ha individuato
anche tutti gli interlocutori) e di lasciare uno spazio dellopera ancora per non ben
definito allet contemporanea, valutando la possibilit di inserirvi Varrone (su richiesta
di Attico: ipotesi che verr successivamente scartata): si tratta di un disegno di vasta portata
e molto impegnativo (rem enimmagnam complexus sum et plurimi oti, quo ego maxime egeo).
Fra ottobre e novembre dello stesso anno Cicerone in una fase di elaborazione abbastanza
avanzata: in una lettera a Quinto (Q.Fr. 3.5.1-2) dichiara di aver terminato la stesura dei
primi due libri (iam duobus libris factis) dellopera (de optimo statu civitatis et de optimo
cive). Dopo averne modificato varie volte il piano e la struttura ( saepe iam scribendi totun
consilium rationemque mutavi), si risolto per una suddivisione della materia del dialogo in
nove libri, ambientati nei nove giorni delle feste novendiali del 129 a.C. (tale disposizione,
che comprende anche i tre libri del De legibus, sar ancora nuovamente modificata nella
versione definitiva). Su consiglio di Sallustio ha anche deciso di premettere al dialogo un
proemio in prima persona rivolto al fratello, che si accinge a stendere.
43
Il term. ante quem la lettera di Celio della fine maggio del 51 (Fam. 8.1.4: Tui politici
libri omnibus vigent).
44
Vd. Shackleton Bailey 1971, pp. 84-95.

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le modifiche apportate al piano generale dellopera45, egli prosegue confessan-


do: Abduco equidem me ab omni rei publicae cura dedoque litteris sed tamen indicabo
tibi quod mehercule in primis te celato volebam. Angor, mi suavissime frater, angor
nullam esse rem publicam, nulla iudicia, nostrumque hoc tempus aetatis quod in illa
auctoritate senatoria florere debebat, aut forense labore iactari aut domesticis litteris
sustentari, illud vero quod a puero adamaram,totum occidisse. Gabinio appena
stato assolto dallaccusa de maiestate; Cicerone deplora la situazione di illegali-
t e di empasse politico-istituzionale in cui Roma si trova. Pi avanti la lettera
si conclude con la descrizione di unalluvione straordinaria che ha colpito la
zona sud dellUrbe, verso il tempio di Marte: un segno della collera degli dei.
Questo sfogo rivolto al fratello assente, impegnato in Gallia al seguito di Ce-
sare, non n il primo, n isolato. Espressioni di scoramento e di totale pessi-
mismo politico sono ricorrenti nella corrispondenza di questi mesi46; un vero
e proprio bollettino in crescendo. Giugno 54: erat nonnulla spes comitiorum sed
incerta, erat aliqua suspicio dictaturae ne ea quidem certa, summum otium forsense,
sed senescentis magis civitatis quam adquiescentis47. Luglio 54: ambitus redit imma-
nis: numquam par fuit48. Agosto 54: De ambitu cum atrocissime ageretur in senatu
multos dies, quod ita erant progressi candidati consulares ut non esset ferendum, in
senatu non fui; statui ad nullam medicinam rei publicae sine magno praesidio accede-
re49. 11 ottobre 54: Cognosce nunc hominis audaciam (in riferimento a Gabinio) et
aliquid in re publica perdita delectare Ego tamen me teneo ab accusando, vix meher-
cule, sed tamen teneo, vel quod nolo cum Pompeio pugnare vel quod iudices nullos
habemus De ambitu postulati sunt omnes qui consulatum petunt magna res in
motu est, propterea quod aut hominum aut legum interitus ostenditur. Opera datur
ut iudicia non fiant. Res videtur spectare ad interregnum50. 24 ottobre 54: Sed vides
nullam esse rem publicam, nullum senatum, nulla iudicia, nullam in nullo nostrum
dignitatem res quidem publica nihil possit, unus ille omnia possit (riferito a Pom-
peo)51. Molto simile il tenore delle comunicazioni inviate in questo stesso
periodo ad Attico, anche se qui il registro dominante quello del sarcasmo52.
Dopo il suo rientro a Roma nel 56, Cicerone si era trovato a dover accettare
compromessi spesso umilianti con i triumviri. Nellagosto del 54 era stato co-

45
Cic. Q.Fr. 3.5.4; vd. supra.
46
Vd. Moatti 2011, pp. 482-484.
47
Cic. Q.Fr. 2.14.4.
48
Cic. Q.Fr. 2.15.4.
49
Cic. Q.Fr. 2.16.2.
50
Cic. Q.Fr. 3. 2.2-3.
51
Cic. Q.Fr. 3. 4.1-2.
52
Cic. Att. 4.15.4.7; 17; 18.2-3 (Amisimus, mi Pomponi, omnem, non modo sucum ac
sanguinem sed etiam colorem et speciem pristinam civitatis. Nulla est res publica quae delectet,
in qua acquiescam Recordor enim quam bella paulisper nobis gubernatoribus civitas fuerit, quae
mihi gratia relata sit. Nullus dolor me angit unum omnia posse (riferito a Pompeo; cf. supra)
ego de meo statu demigro, quaeque vita maxime est ad naturam ad eam me refero, ad litteras et studia
nostra. Dicendi laborem delectatione oratoria consolor Sed accipe alia. Res fluit ad interregnum
et est non nullus odor dictaturae); 19.1-2 (Quin tu huc advolas et invisis illius nostrae rei publicae
germanae putamina? Vide nummos ante comitia tributim uno loco divisos palam, vide absolutum
Gabinium, olface dictaturam, fruere iustitio et omnium rerum licentia).

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stretto a difendere Vatinio53, personaggio legato a Cesare, che in precedenza


aveva attaccato violentemente in pi occasioni. Lo stesso avvenne poi con Ga-
binio, che aveva contribuito a mandarlo in esilio nel 58. Tornato a Roma dalla
Siria, questi venne processato de maiestate. Cicerone avrebbe voluto partecipa-
re allaccusa, ma si limit, cedendo alle pressioni di Pompeo, a testimoniare
nel corso del processo, che si concluse con unassoluzione nellottobre del 5454.
Dopo aver deprecato tale risultato, talmente grave da suscitare secondo lui
lira di Giove55, solo un mese pi tardi egli si pieg ad assumerne la difesa in
un processo per concussione56.
Nelle lettere al fratello Cicerone confessa la propria impotenza, rassicu-
randolo sulla propria arrendevolezza e disponibilit al compromesso57. Le
dichiarazioni entusiastiche nei confronti di Cesare e della sua amicizia hanno
qualcosa di eccessivo; ricompaiono, ma molto pi tiepide, nelle lettere ad At-
tico, dove Cesare descritto senza infingimenti come lultima ancora di sal-
vezza (una ex hoc naufragio tabula)58. Cicerone dovrebbe comporre un poema in
suo onore sulla conquista della Britannia, incitato dal fratello (anche di questo
nelle lettere del 54 si parla di continuo)59, ma gliene mancano lispirazione
e lenergia: opus est ad poema quadam animi alacritate, quam plane mihi tempora
eripiunt60.
La Roma del 54 descritta nella Corrispondenza come il peggiore dei mon-
di possibili: una repubblica senescente61, dove la giustizia non esiste pi, i
meccanismi istituzionali sono bloccati dalla corruzione e dai conflitti, i candi-
dati al consolato sono tutti imputati per brogli elettorali, e si profila la dittatura
come unica possibile soluzione.
Cicerone intanto scrive un trattato sulla migliore delle repubbliche possibi-
li. Il contrasto non potrebbe essere pi stridente. La composizione del dialogo
gli permette di sopportare la realt che lo circonda: quaeque vita maxime est ad
naturam ad eam refero, ad litteras et studia nostra62.

53
Testimonianze in Cic. Q.Fr. 2.16.3; Fam. 1.9.4; Ascon. 22.3-5 Stangl; schol.Bob. 146.7;
160.22 Stangl; vd. Alexander 1990, pp. 141-142; Marinone 2004, p. 132.
54
Testimonianze in Cic. Att. 4.18.1; Q.Fr. 3.1.15; 3.3; 4.1-3; 7.1; vd. Alexander 1990, p. 145;
Marinone 2004, p. 133.
55
Cic. Q.Fr. 3.5.8.
56
Testimonianze in Cic. Rab.Post. 19.33; Quint. 11.1.73; Val.Max. 4.2.4; DC 46.8.1; vd.
Alexander 1990, p. 148; Marinone 2004, p. 133.
57
Cic. Q.Fr. 2. 13.2; 14.4; 15.3; 16.1-3; 3.2.2; 3.3; 4.2-3; 5.5; 7.1-5; cf. Att. 4.18.1.
58
Cic. Att. 4. 19.2.
59
Cic. Q.Fr. 2. 16.4; 3. 1.11; 4.4; 5.3; 6.3; 7.6 (alla fine lo avrebbe portato a termine).
60
Cic. Q.Fr. 3. 5.4. Cicerone troppo coinvolto e angosciato dai problemi politici interni.
In questo senso possibile che le parole con cui lAfricano mostra al nipote la vanit e
la natura contingente delle guerre di conquista (Cic. Rep. 6.21-22) sottendano un indiretto
messaggio rivolto a Cesare; vd. Boes 1990, pp. 165-172. Questo tuttavia non comporta,
a mio avviso, una identificazione tra il conquistatore delle Gallie e il rector ciceroniano;
piuttosto potrebbe essere una reazione al De re publica di Aurunculeio Cotta, effettivamente
incentrato sulla figura di Cesare condottiero; vd. Zecchini 1997, pp. 56-57.
61
Cic. Q.Fr. 2.14.4.
62
Att. 4. 18.2.

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Le lettere del 54 sono di un disfattismo che non lascia spazio a progetti


politici concreti e neanche a pi generali speranze per il futuro, almeno quello
immediato. Cicerone non parla solo di assenza di legalit e di giustizia, ma
anche di naufragio, di interitus della citt. La situazione non miglior nel corso
del 53-52, con il processo e la condanna di Milone (una personale sconfitta per
Cicerone stesso che ne aveva sostenuto la difesa), e la nomina di Pompeo a
consul sine collega63.
In quale misura Cicerone ritenesse realizzabile il disegno di ottimo stato in
un futuro pi distante per un altro discorso. Suggerimenti in questo senso
ci possono venire dalla strutturazione del dialogo; ad essa Cicerone dedic
unattenzione particolare, articolando la narrazione su molteplici piani tem-
porali sul cui significato importante ragionare.

3. La struttura compositiva del De re publica: la danza del tempo della Storia e la


dimensione dellUcronia

Il presente escluso dal De re publica. Cicerone in una lettera motiva questa


scelta al fratello Quinto64: preferisce evitare riferimenti allattualit, ambien-
tando il dialogo un unepoca passata, per non correre rischi: ne in nostra tem-
pora incurrens, offendere quempiam. In seguito per, su suggerimento di Sallu-
stio, decide di inserire un proemio dove assumere la parola in prima persona,
praesertim cum essem non Heraclides Ponticus65, sed consularis et is qui in maximis
versatus in re publica rebus essem, non mancando di rassicurare il fratello sul
fatto che si sarebbe comunque espresso con prudenza66.
In effetti, neanche in questo proemio sono presenti immediati riferimenti
allattualit. Nellasserire il dovere, per il sapiente, di porre la propria vita al
servizio dello Stato assumendosene tutti i rischi, Cicerone cita lesempio di
grandi politici del passato di Atene e di Roma colpiti dalla ingratitudine dei
cittadini e condannati allesilio. Alla fine fa riferimento al proprio consolato e
ai rischi corsi per la salvezza dello Stato, a prezzo dellesilio. Ancora una volta
per prudenza (ne quis se aut suorum aliquem praetermissum queratur) egli evita di
fare menzione a tempi pi recenti.
Lomissione del presente e la prospettiva sul passato non sono per moti-
vate solo da questo. La costruzione letteraria ha una funzione importante nel
veicolare i messaggi nel De re publica e va tenuta in debito conto per valutare
uneventuale prospettiva utopica da parte del suo autore.
Cicerone conferisce al dialogo unarticolazione temporale complessa e

63
Cf. Q.Fr. 3. 4.2-3; 6. 3-4. Per il 53 non disponiamo delle testimonianze epistolari che
abbiamo per il 54 (il carteggio col fratello si interrompe nel dicembre del 54; nel 53-52 Attico
si trovava a Roma).
64
Q.Fr. 3. 5.2.
65
Vale a dire un puro teorico della politica.
66
Allo stesso modo tutta la corrispondenza del 54 improntata ad unestrema prudenza:
si temono intercettazioni, bisogna assicurarsi che le lettere siano trasmesse da persone
affidabili, altrimenti meglio tacere: vd. per esempio Cic. Q.Fr. 3.1.21; 3.6.2; Att. 4.15.3; 17.1.

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giocata su molteplici piani. Dedica a questa costruzione notevole impegno e


attenzione, con vari ripensamenti e modifiche in corso dopera. Le soluzio-
ni finali sono il risultato di scelte ponderate, che verosimilmente rispondono
allobiettivo di inviare segnali ai lettori. Alcuni di questi sono stati individuati
e discussi67, altri sono stati trascurati68. Sullintero disegno pu essere utile
ritornare.
I piani temporali della narrazione storica sono quattro: il 51, il 78, il 129, il
14969. La costruzione avviene per flash-back successivi, che amplificano il mo-
dello platonico del dialogo di secondo grado: 1) Nel 51 (data di composizio-
ne dellopera) Cicerone nel proemio racconta 2) di un colloquio avuto nel 78
con Publio Rutilio Rufo, 3) il quale gli rifer di una conversazione avvenuta nel
129 a casa di Scipione Emilano (il libro II, con un ulteriore movimento allin-
dietro, contiene un excursus sulla storia costituzionale delle origini di Roma);
4) allinterno di questo racconto nel racconto, Scipione nel VI libro riferisce a
sua volta ai suoi ospiti di un sogno fatto in occasione di una visita a Massinissa
re di Numidia, subito dopo il suo arrivo in Africa nel 149. I salti temporali sono
tanti; la costruzione del racconto basata su alcune date epocali, che coprono
un secolo della storia di Roma, in un progressivo viaggio a ritroso nel tempo.
Il 149 un anno evidentemente cruciale: linizio della Terza guerra Punica
e della parabola ascendente di Scipione Emiliano.
La scelta del 129 (data in cui collocato il dialogo principale) viene esplici-
tamente motivata da Cicerone, che restituisce lambientazione storica in modo
accurato: si tratta del momento che precede la misteriosa morte di Scipione
Emiliano. Il 129 un anno di crisi, la cui gravit sancita dal fenomeno astrale
dei due soli, che prefigurano la spaccatura dello Stato in due popoli e in due
senati70. Scipione era intervenuto opponendosi ai lavori della commissione
triumvirale incaricata di mettere in esecuzione la riforma agraria di Tiberio
Gracco ed era riuscito a bloccarne momentaneamente lattuazione; con un di-
scorso in senato che lo aveva reso molto impopolare71, aveva fatto trasferire
dai triumviri ad uno dei due consoli le funzioni giudicanti sulle controversie
nate dal recupero dellager publicus72. Secondo Cicerone in quella occasione
sarebbe stata anche proposta la sua nomina a dittatore73. LEmiliano venne
trovato morto poco dopo, alla vigilia del discorso col quale avrebbe dovuto
motivare davanti al popolo le posizioni assunte74.
Sulla scelta della prima tappa del viaggio retrospettivo nel tempo, il 78
a.C., Cicerone non fornisce alcuna spiegazione, se non quella del pretesto au-
tobiografico; ma allinterno di uninvenzione narrativa cos accurata, su que-

67
Vd. Canfora 1984; DIppolito 1984; Luciani 2010, pp. 42-45.
68
In particolare lambientazione del 78; vd. infra.
69
Vd. Canfora 1984, pp. 11-16; DIppolito 1984, pp. 75-77.
70
Sulla funzione della metafora nellopera di Cicerone, vd. Gallagher 2002, pp. 509-519.
71
Cic. Rep. 1.31.
72
App. B.C. 1.19.
73
Cic. Rep. 6.12.
74
App. B.C. 1.20; cf. Cic. Fam. 9. 21.3; Q.Fr. 2.3.3; Mil. 16.

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sto ulteriore passaggio giusto porsi delle domande. Il 78 lanno della morte
di Silla. A partire dallanno successivo lascesa di Pompeo sarebbe stata inarre-
stabile e lo avrebbe portato al consolato sine collega del 52. Publio Rutilio Rufo,
testimone del dialogo, legato allEmiliano col quale aveva iniziato la propria
carriera a Numanzia, dopo aver subito ingiustamente una condanna de repe-
tundis nel 9275, si era ritirato volontariamente in esilio prima a Mitilene e poi
a Smirne, proprio nella provincia nei confronti della quale era stato accusato
di concussione76. l che Cicerone nel De re publica racconta di averlo incon-
trato. Rufo il pi giovane dei partecipanti al dialogo, forse anche lultimo
testimone sopravvissuto77. La sua condizione di esiliato riflette il fallimento di
una generazione che non aveva saputo, o potuto, raccogliere leredit lasciata
dallEmiliano (e che non aveva accettato di venire a compromessi con Silla78).
Lambientazione , fin qui, rigorosamente storica79. La scelta dei personag-
gi chiave e del momento in cui si svolge il dialogo offrono per un segnale
della prospettiva con cui Cicerone guardava alla praticabilit del disegno po-
litico oggetto di discussione. Il principale portavoce del messaggio politico
ciceroniano, Scipione Emiliano, un uomo che sta per morire in circostanze
misteriose e sospette, verosimilmente per mano dei suoi avversari politici80. E
di questa morte imminente anche in qualche modo consapevole, o quanto-
meno preparato ad accettarla81.
Rutilio Rufo, il narratore secondario, era stato vittima del proprio rigore e
della propria onest, in coerenza con i propri principi filosofici82. La sua scelta
di non rientrare in politica ne aveva forse consentito la sopravvivenza. lui a
costituire lelemento di raccordo tra Scipione e Cicerone.
Sono questi i precedenti a cui lautore del De re publica fa riferimento, in
unopera scritta con uno stato danimo di generale pessimismo sul presen-
te. Entrambi non prefigurano il successo, ma piuttosto una pi che probabile
sconfitta per chi intendesse seguire il loro esempio.
Scipione un modello per Cicerone anche in questo senso: il suo impegno
per il bene dello Stato avviene sotto il segno della consapevolezza del futuro

75
Vd. Cic. De Or. 1.229-231; Brut. 30.113-115; vd. Alexander 1990, pp. 49-50.
76
Val.Max. 6.4.4.
77
Sugli interlocutori del dialogo, vd. Brguet 1980, pp. 25-30.
78
Quint. 9.1.13: P. Rutilius,cum reuocante eum P. Sulla manere in exilio maluit; cf. Sen.
Epist. 24.4: Damnationem suam Rutilius sic tulit tamquam nihil illi molestum aliud esset quam
quod male iudicaretur reditum suum Sullae negavit, cui nihil tunc negabatur.
79
Sullattenzione di Cicerone ai dettagli storici dellambientazione, vd. Cic. Att. 4.16.2-3.
80
Cic. Fam. 9.21.3; Q.Fr. 2.3.3; Mil. 16: secondo Cicerone responsabile della sua morte
sarebbe stato Gaio Papirio Carbone, uno dei triumviri.
81
Vd. Cic. Rep. 6. 13-14: in questo punto la profezia dellAfricano fa riferimento a una
duplice possibilit: dictator rem publicam constituas oportebit, si impias propinquorum manus
effugeris. A queste parole Lelio proruppe in un grido e tutti levarono gemiti profondi;
Scipione chiede loro di ascoltare il seguito del racconto. Pi avanti al paragrafo successivo
lEmiliano si dichiara perterritus non tam mortis metu quam insidiarum a meis.
82
Cf. Cic. De Or. 1. 227-230.

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che lo attende. La prospettiva del fallimento e del sacrificio della vita non han-
no avuto il potere di farlo recedere, per ventanni83.
Da un punto di vista narrativo, la funzione del sogno finale del libro VI
quella di disvelare agli altri interlocutori del dialogo (e di rammentare ai letto-
ri) questo futuro di sconfitta e di morte, ormai imminente, insieme allapertura
di un orizzonte inatteso. Lincontro col proprio antenato defunto avviene in
una dimensione estranea al tempo, che quella del sogno, e conduce Scipione
in un viaggio nello spazio cosmico al di fuori della terra. In questa sezione
finale dellopera Cicerone trasporta il lettore, insieme a Scipione -mi sembra-
nel territorio dellucronia e dellutopia.

4. Luomo politico tra sogno e utopia

In che misura la dimensione del sogno rimanda allutopia e pu coincidere


con essa? Un indizio in questo senso ci viene offerto, come abbiamo visto,
dallo stesso Thomas More, che in una lettera ad Erasmo racconta di aver so-
gnato di essere il re di Amauroto e di essersi bruscamente svegliato e richiama-
to alla grigia routine del tribunale84. Walter Benjamin parla dellutopia come
pensiero del sogno e insieme del risveglio, cio della capacit di utilizzare gli
elementi onirici al risveglio capacit dellutopia di entrare nella storia85. Cos
Ernst Bloch rivolge una critica piuttosto aspra alla psicanalisi e alla psicologia
del profondo e al loro privilegiamento del sogno notturno rispetto a quello
diurno, il sogno a occhi aperti. Per Bloch il desiderio costruisce e crea real-
t. Noi soltanto siamo i giardinieri dellalbero pi misterioso che deve cresce-
re. di aiuto, per questo, la costante concentrazione onirica su se stessi, sulla
propria vita pi pura, pi alta Solo questo pensante sogno del desiderio crea
qualcosa di reale, ascoltando in profondit dentro se stesso86.
Nel caso di un autore antico come Cicerone, necessario anzitutto chiari-
re il problema del significato che egli conferisce in particolare nel Somnium
Scipionis al fenomeno del sogno in quanto tale: messaggio della divinit,
premonizione profetica o piuttosto attivit mentale87?
Cicerone, come noto, avrebbe dato una risposta articolata e argomentata
a tale questione nel De divinatione. In questo dialogo composto nei primi mesi
del 44 a.C., confutando i ragionamenti del fratello Quinto a favore della divi-

83
Lo sguardo rivolto alla futura crisi della res publica romana, che si prefigura nel momento
di apparentemente massimo successo la sconfitta definitiva di Cartagine attribuito a
Scipione gi a partire da Polibio, nel famoso episodio del pianto dellEmiliano di fronte alla
citt distrutta (Pol. 38.21); Cicerone mi sembra recuperi e rielabori consapevolmente questa
prospettiva interpretativa.
84
Vd. supra.
85
Benjamin 1989 (trad. fr.), pp. 407-410; 842; 893; Benjamin 1962 (trad. it.), p. 80; vd.
Abensour 2009, pp. 69-79, 113-117; Abensour 2013, pp. 15-60.
86
Bloch 1980 (trad. it. 1918), pp. 193.
87
Sulle diverse concezioni del sogno nei testi filosofico-letterari di ambito greco e latino,
vd. utile sintesi in Bouquet 2001, pp. 6-11.

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La citt ideale del De Re publica di Cicerone tra memoria sogno e utopia

nazione in linea con i principi dello Stoicismo, Cicerone offre uninterpreta-


zione dei fenomeni divinatori che rappresenta la punta pi avanzata di quello
che potremmo definire il suo illuminismo neo-accademico88. Allinterno di
questa discussione, ai sogni viene dedicato un notevole spazio89. In sostanza,
Cicerone non crede che i sogni siano dei messaggi divini che pervengono alla
nostra anima in movimento, grazie alla sua natura divina che le permette di
captare comunicazioni provenienti da altre anime consenzienti che riempiono
luniverso, secondo quanto sosteneva Zenone, sulla scorta di Platone e dei Pi-
tagorici90. Egli ritiene, seguendo Aristotele91, che lattivit onirica sia un feno-
meno naturale, per cos dire fisiologico: Naturam autem eam dico, qua numquam
animus insistens agitazione ac motu esse vacuus potest. Is cum languore corporis
nec membris uti nec sensibus potest, incidit in visa varia et incerta ex reliquiis, ut ait
Aristoteles, inhaerentibus earum rerum quas vigilans gesserit aut cogitaverit; quarum
perturbazione mirabiles interdum exsistunt species somniorum92. Ci che soprattut-
to agisce nelle nostre menti durante il sogno sono i residui di ci che abbiamo
fatto e pensato durante la veglia: ut mihi temporibus illis multum in animo Marius
versabatur recordanti qua mille gravem suum casum magno animo, quam constanti
tulisset. Hanc credo causam de illo somniandi fuisse93.
La composizione del Somnium Scipionis parte da queste medesime premes-
se, che Cicerone introduce allinizio del racconto. Scipione appena arrivato in
Africa nel 149 fa visita al vecchio Massinissa. Dopo aver discusso con lui per
lintera giornata sul regno di Numidia e sulla repubblica romana, e dopo aver
ascoltato fino a notte inoltrata tanti ricordi del vecchio re su imprese e parole
dellAfricano, di cui era stato amico, Scipione racconta di essere stato avvinto
da un sonno pi profondo del solito, per la stanchezza del viaggio e per la ve-
glia fino a tarda notte94. Fu allora che gli apparve in sogno proprio lAfricano,
nella sembianza che al nipote era nota attraverso i ritratti. Di questa apparizio-
ne Scipione offre una precisa spiegazione ai suoi interlocutori: Hic mihi - credo
equidem ex hoc quod eramus locuti; fit enim fere ut cogitationes sermonesque nostri
pariant aliquid in somno tale, quale de Homero scribit Ennius, de quo videlicet saepis-
sime vigilans solebat cogitare et loqui - Africanus se ostendit...95.
Questa annotazione razionalistica non lascia spazio ad equivoci. Lappa-
rizione dellantenato non ha niente di sovrannaturale. Scipione Africano di
ispirazione al nipote grazie al diaframma del ricordo, del culto della memoria
e delleredit politica e spirituale. ancora il richiamo del passato a giocare un
ruolo chiave: le radici della propria identit umana, familiare e politica non
offrono solo modelli di riferimento alla progettualit politica, ma innescano

88
Vd. Timpanaro 1998, p. LXXIV.
89
Cic. Div. 2.119-150.
90
Cic. Div. 2.119.
91
Aristot. De somnio et vigilia 454b10,26; 458a29.
92
Cic. Div. 2.128; cf. 138-140; Aristot. De insomniis 460b28-29.
93
Cic. Div. 2.140.
94
Cic. Rep. 6. 9-10.
95
Cic. Rep. 6.10.

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anche un movimento di tensione spirituale verso quelle idealit pi alte che


devono essere di ispirazione allazione96. La visione del futuro escatologico
che a Scipione si rivela, la sede celeste ubi beati aevo sempiterno fruantur97 un
frutto del culto della memoria e dellexemplum degli antenati che egli aspira a
raggiungere98.
Il viaggio oltre i confini della terra e la contemplazione dellUniverso99
costituiscono un momento del sogno strettamente complementare al prece-
dente100 e rimandano, insieme ad esso, alla globalit della formazione del sa-
piens impegnato nella politica. La sapientia, per Cicerone, conoscenza del-
le cose umane e delle cose divine101; la formazione delluomo politico viene
dallintreccio di diversi saperi: mos maiorum, diritto, retorica, storia, filosofia.
A questultima appartiene anche lastronomia, la cognitio rerum caelestium102.
proprio con una discussione sul rapporto tra filosofia e astronomia che si apre
il dialogo nel libro I103. Sono gli studi di astronomia che richiamano a Scipione
limmagine del sole, che la mente delluniverso, il suo principio ordinatore
e moderatore: dux et princeps et moderator luminum reliquorum, mens mundi et
temperatio, tanta magnitudine ut cuncta sua luce lustret et compleat104. Questa defi-
nizione del sole ricorre ad un ambito lessicale che quello politico: rinvia alla
teoria della costituzione mista esposta nel libro I (quartum genus rei publicae
moderatum et permixtum tribus)105; ma ancor pi allude al ruolo e alle qualit
del rector: un uomo quasi divino, che ha il compito di prevedere (prospicere) le
trasformazioni politiche in atto (orbes et quasi circuitus in rebus publicis commu-
tationum et vicissitudinum106), moderandone il corso e mantenendolo sotto il
proprio controllo (in gubernanda re publica moderantem cursus atque in sua pote-
state retinentem)107.

96
Questa tensione quanto avverte lo stesso Cicerone; qualcosa che va oltre ogni
ragionevole pessimistica valutazione e che, per luomo politico sapiente e virtuoso,
dovrebbe rappresentare la prima molla ad agire per il bene dello Stato: nec sitio ambitiones,
nec desidero gloriam vivo tamen in ea ambitione et labore, quasi id quod non postulo expectem
(Q.Fr. 3.5.3).
97
Cic. Rep. 6.12.
98
Cic. Rep. 6.13-15.
99
Su tutto quanto riguarda la rappresentazione del cosmo nel De re publica e le fonti
filosofiche cui Cicerone fa riferimento, vd. larticolo di Humm in questo stesso numero
della rivista.
100
E segue anche nellorganizzazione del racconto: Cic. Rep. 6.16-18.
101
Cf. Cic. Off. 1.43.153.
102
Cic. Rep. 1.26; vd. Nenci 2008, pp. 52-56. Sulla necessit, secondo Cicerone, di un
contemperamento tra otium e negotium in funzione della formazione del sapiens, vd. Luciani
2010, pp. 68-78.
103
Cic. Rep. 1.16.
104
Cic. Rep. 6.17.
105
Cic. Rep. 1. 45.
106
Cic. Rep. 1. 45; cf. 2.45. Il lessico utilizzato richiama quello astronomico del movimento
delle sfere celesti: Rep. 6. 15.17.
107
Cic. Rep. 1.45; per moderator riferito al rector-princeps civitatis, vd. pure Rep. 5.8; cf. Att.
8.11.1. Per temperans, vd. Rep. 5.1.2. Vd. Nenci 2008, pp. 110-111.

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La citt ideale del De Re publica di Cicerone tra memoria sogno e utopia

Allo stesso modo larmonia delle sfere celesti108 rimanda alla concordia, al
superamento dei conflitti interni alla citt. lo stesso Scipione nel libro II ad
istituire un confronto in questo senso:

Come infatti nella musica delle cetre e dei flauti e nello stesso canto necessa-
rio mantenere, nella concertazione di suoni tra loro diversissimi, un accordo
armonioso (concentus est quidam tenendus ex dissimillimarum vocum moderatione
concors), allo stesso modo dallincontro tra le diverse classi sociali, le pi elevate,
le medie e le infime, come succede nella musica, la citt raggiunge la coesione
grazie allaccordo equilibrato tra gli elementi pi diversi (ex summis et infimis et
mediis interiectis ordinibus ut sonis moderata ratione civitas consensu dissimillimorum
concinit). Quella che nella musica chiamata armonia, nella citt detta concor-
dia (quae harmonia a musicis dicitur in cantu, ea est in civitate concordia): il vincolo
pi saldo e perfetto per garantire lintegrit dello Stato (in re publica vinculum
incolumitatis)109.

Larmonia musicale il riflesso di un ordine cosmico a cui luomo politico


deve guardare per realizzare la concordia sulla terra110. La costituzione mista
lo strumento istituzionale che consente di pervenire alla concordia sociale;
il suo funzionamento per garantito dallintervento del rector, che innesca il
meccanismo virtuoso e ne lagente moderatore111.
Remo Bodei in un breve scritto su Sogno e Utopia ha opportunamente sot-
tolineato la differenza che intercorre tra queste due forme di visione: i sogni
sono un prodotto spontaneo e sfuggente, come la circolazione del sangue o il
battito cardiaco. Nei sogni noi mettiamo in scena una complessit di eventi di
cui non saremmo capaci di tracciare un racconto da svegli; le utopie invece
sono un genere letterario con forti implicazioni politiche, minuziosamente e
coscienziosamente costruite secondo precise intenzioni112. Il Somnium Scipio-
nis non ha i contorni indistinti dei sogni veri, ed infatti non lo . piuttosto un
racconto, una costruzione letteraria113 che rientra in un topos di larga fortuna

108
Cic. Rep. 6.18.
109
Cic. Rep. 2.69. La concordia il fine pi alto cui tende anche lUtopia di Thomas More,
che conclude in questo modo il racconto di Itloideo: Infatti, quando si estirpano in patria
assieme agli altri vizi anche le radici dellambizione e delle fazioni (extirpatis enim domi
cum ceteris vitiis ambitionis et factionum radicibus), non c pi pericolo che motivi interni
portino alla discordia, che quel male che da solo mand alla rovina la potenza ben protetta
di molte citt. Ma se salva la concordia in patria, e salutari sono le istituzioni, neanche
linvidia di tutti i principi confinanti () potrebbe scuotere o far vacillare quella nazione
(At salva domi concordia et salubribus institutis, non omnium finitimorum invidia principum
concutere illud imperium aut commovere queat) (Th. More CW 4.244).
110
Il motivo avr larga fortuna e verr ripreso da Plutarco (De unius in re publica
dominazione 4). Lispirazione platonica (Leg. 700a-701a) e aristotelica (Pol. 4.1290a).
111
Vd. Zetzel 2013, pp. 181-195; Powell 2012, pp. 24-26; Atkins 2013, p. 114; Zarecki 2014,
pp. 60-62.
112
Bodei 2009, p. 8.
113
Vd. a tale proposito gi il commento di Favonio Eulogio, che confronta il Somnium con
il mito di Er della Repubblica platonica (Rep. 6.3.3): Imitatione Platonis Ciceronon fabulosa ut
ille assimulatione commentus est, sed sollertis somnii rationabili quadam imaginatione composuit,
videlicet scite significans haec quae de animae immortalitate dicerentur caeloque, nec somnantium

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nellepica latina114, e che, nelle intenzioni di Cicerone, si carica di forza meta-


forica115.
Nel De re publica la scienza dellastronomia serve come modello alla scienza
della politica, e ne insieme la metafora: questa metafora si sviluppa allinter-
no dellopera, a partire dal planetario di Archimede fino alla contemplazione
del cosmo nel Somnium Scipionis.
Il sole un modello di azione per il Rector, e insieme ne la metafora.
Permane tuttavia una distanza incolmabile tra il mondo degli astri e quello
sublunare. Sulla terra tutto soggetto a morte e a degenerazione. Lanima, per
sua natura immortale, fa da tramite tra i due mondi. Ma il rector, che nella pro-
fezia dellAfricano avrebbe dovuto salvare lo Stato, muore improvvisamente.
Esiste dunque uno scarto tra il modello cosmico e lazione delluomo. In
questo scarto , mi sembra, la sostanza dellutopismo di Cicerone.
Lantenato che fa da guida al giovane Scipione lo esorta ad abbandonare
il proprio ristretto punto di vista di abitante della terra e a contemplare luni-
verso cambiando la propria prospettiva: Quaeso - inquit Africanus - quousque
humi defixa tua mens erit? Nonne aspicis quae in templa veneris?116. E pi avanti,
in conclusione: haec caelestia semper spectato, illa humana contemnito117. Questa
una esortazione che Scipione rivolge a se stesso. Il suo sogno in realt un
sogno ad occhi aperti118. Luomo politico deve tendere ad un modello di
perfezione e di eternit che non di questo mondo119. Il sogno costituisce il
tramite, il mezzo di trasporto per cos dire, tra la dimensione storica e quella
utopica.

5. La Roma delle Origini: modello ideale o utopia retrospettiva?

A questo punto necessario fare un passo indietro.


Dopo aver discusso con i suoi interlocutori sulla migliore forma di governo
nel libro I, Scipione si propone di presentarne un modello di riferimento con-
creto, che identifica con Roma: sic enim decerno, sic sentio, sic adfirmo, nulla om-
nium rerum publicarum aut constitutione aut discriptione aut disciplina conferendam
esse cum ea quam patres nostri nobis acceptam iam inde a maioribus reliquerunt120. In
questo modo lArpinate intende contrapporsi a Platone, rivendicando la novi-

philosophorum esse conmenta, nec fabulas incredibiles quas Epicurei derident, sed prudentium
coniecturas.
114
A partire da Ennio, cui Cicerone esplicitamente si ispira (Rep. 6.10); sul sogno nellepica
latina vd. Bouquet 2001.
115
Vd. Gallagher 2001; sulla metafora e sulla teorizzazione di uninsieme di immagini
metaforiche connesse luna con laltra (quello che i Greci chiamano allegoria) vd. quanto
dice Cicerone nel De Oratore (3.155; 166-167).
116
Cic. Rep. 6.17.
117
Cic. Rep. 6.20; cf. 1.28.
118
Per laccezione di sogno ad occhi aperti in Cicerone, vd. Cic. Att. 7.23.1.
119
Vd. Atkins 2011, pp. 468-469; Atkins 2013, pp. 76-79.
120
Cic. Rep. 1.70.

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t della propria prospettiva: la descrizione della storia della citt, nel momento
della sua nascita, della sua crescita e del raggiungimento della piena stabilit
(iam firmam atque robustam), gli permetter di raggiungere il suo scopo pi
facilmente di quanto avesse fatto Socrate rappresentandone una immaginaria
(facilius autem quod est propositum conseguarquam si mihi aliquam, ut apud Pla-
tonem Socrates, ipse finxero)121.
Questa affermazione programmatica, che prende le distanze dalla citt
che non c del filosofo greco, e che sembra andare in una direzione opposta
rispetto allutopia platonica, pone evidentemente dei problemi:

1) Quello della relazione tra tale modello storico e il modello cosmico del
sogno di Scipione.
2) Quello della prospettiva storica di Cicerone.

Come stato opportunamente sottolineato da Tim Cornell122, lexcursus del


libro II consiste in un profilo storico fortemente selettivo e finalizzato alla de-
scrizione dellevoluzione della costituzione romana, che fin dallinizio si con-
figura come una costituzione mista. In questo senso Cicerone anticipa Dionigi
di Alicarnasso e la sua presentazione della costituzione di Romolo123. A diffe-
renza di Dionigi, per, Cicerone-Scipione inizia il suo racconto con Romolo
e non sostiene, anzi esclude lipotesi di unorigine greca della citt di Roma.
Questo allo scopo di sottolineare i caratteri distintivi della romanit, la sua
evoluzione inizialmente indipendente dalle influenze greche, che sarebbero
subentrate solo a partire da Tarquinio Prisco.
Non dato stabilire, aldil di alcuni indizi offerti dallo stesso Cicerone per
bocca di Scipione124, quali fonti egli abbia utilizzato e in che modo le abbia
rielaborate e adattate al contesto nella misura delle finalit che si proponeva.
Ci che sicuro che dedic unattenzione notevole e un lavoro di ricerca ap-
profondita alla preparazione dellArcheologia di Roma del libro II125. Non si
possono neanche, dato il carattere frammentario del libro stesso, ricostruirne
con certezza tutti i passaggi, soprattutto nella parte finale.
possibile comunque, sulla base di quanto ci stato trasmesso, enucleare
alcuni dati significativi riguardo alla prospettiva dellautore nel presentare la
graduale evoluzione delle istituzioni dello stato romano. Ci che a Cicerone
interessa mostrare il progressivo raggiungimento di una equilibrata mesco-
lanza tra le componenti della compagine statale nella direzione di una sempre
pi stabile aequabilitas tra le parti sociali. Il richiamo iniziale a Catone sta a
sancire la superiorit della costituzione romana che, a differenza delle politeiai

121
Cic. Rep. 2.3.
122
Cornell 2001, pp. 41-56.
123
Forse medesima fonte: vd. Ferrary 1984.
124
Il quale cita Catone ed Ennio, insieme a Polibio, ed inoltre le XII Tavole e gli Annales
Maximi; vd. Cornell 2001, p. 41.
125
Di questo lavoro di ricerca Cicerone parla in una lettera ad Attico; certamente egli
consult e utilizz le opere di Varrone, in particolare le Antiquitates: vd. Cic. Att. 4.14.1; vd.
Rawson 1991 (1972), pp. 58-79.

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greche opera di un unico legislatore (singuli fuissent fere quorum suam quisque
rem publicam constituissent legibus atque institutis suis) era stata il risultato di
una progressiva evoluzione in tempi lunghi: non unius esset ingenio sed multo-
rum, nec una hominis vita sed aliquot constituta saeculis et aetatibus126.
Al contrario di quanto per ci si potrebbe aspettare dal rimando alle Ori-
gines e dallaccento posto sul lavoro compiuto non dal singolo, ma da una co-
munit intergenerazionale di uomini saggi, un aspetto distintivo del raccon-
to di Scipione proprio il personalismo: tutti i passaggi di questo cammino
verso lequilibrio socio-istituzionale ottimale sono avvenuti grazie allazione
di singoli personaggi, quasi che la res publica romana fosse il risultato dello-
pera non di uno, ma di pi successivi legislatori. Questa prospettiva non
investe solo la fase monarchica, ma anche let repubblicana. Sono singoli
uomini politici ad aver attuato le riforme che gradualmente conducono alla
forma di mescolanza pi equilibrata127: in questo senso tra i re saggi e i primi
consoli, Bruto e Valerio Publicola, lunica soluzione di continuit data dal
tiranno Tarquinio, cui Bruto, in qualit di semplice privato cittadino, si con-
trappone. Questo un particolare importante perch, nella visione che Ci-
cerone ne d, il ruolo del rector allinterno della civitas sembra non sempre e
necessariamente determinato dalla carica rivestita128. La parte finale del libro
II che segue il Decemvirato (i cui membri restano significativamente anoni-
mi) irrimediabilmente frammentaria. In uno degli ultimi passaggi Scipione
ripropone limmagine del vir prudens e lo paragona al guidatore di elefanti129:
nel dominio delle componenti irrazionali dello stato si realizza la concordia.
Questa similitudine prepara quella successiva, musicale, che assimila la con-
cordia allharmonia prodotta dalle sfere celesti130.
grazie allazione di singoli uomini politici che si attua larmonia dello
stato perfetto: in questo sta la coerenza di insieme dellopera e il nesso di con-
tinuit tra II e VI libro.
Il modello storico comunque, per Cicerone, quasi perfetto ma non per-
fetto: prospicere enim videor te reliquos reges perseguente quasi perfectam rem publi-
cam131. Questa precisazione significativa e contribuisce a stabilire un nesso
consequenziale tra il modello storico del libro II e il modello cosmico del Som-
nium Scipionis.
Non possibile, come si gi detto, stabilire in che misura Cicerone abbia
rielaborato dati che gli venivano dalla tradizione storiografica e antiquaria cui
attinge per costruire il suo racconto; una tradizione che ci giunta in modo
estremamente frammentario, sicch Cicerone in molti casi la fonte pi antica

Cic. Rep. 2.2. La stessa idea espressa anche da Polibio (6.10.13-14).


126

Vd. Nenci 2008, pp. 98-101.


127

128
Il rector si contrappone al tiranno e a qualsiasi forma di governo non fondato sulle
leggi, definito da Cicerone un falso stato (Cic. Rep. 3.42-45); vd. Gabba 1971; Moatti 2011,
pp. 485-488.
129
Cic. Rep. 2.67.
130
Cic. Rep. 2.69.
131
Cic. Rep. 2.22.

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di cui disponiamo. Questo permette di avanzare solo ipotesi, con tutti i limiti
che unoperazione del genere comporta.
Nel presentare la fondazione di Roma, Scipione sottolinea la providentia di
Romolo, che gli ha consentito di scegliere il luogo ottimale per una citt desti-
nata a divenire la capitale di un immenso impero (ut mihi iam tum divinasse ille
videatur hanc urbem sedem aliquando et domum summo esse imperio praebituram)132.
Alla descrizione del sito e alla discussione sui vantaggi e sulla motivazione
della scelta operata da Romolo Cicerone dedica un notevole spazio. A questa
parte iniziale del libro II non stata forse prestata a quanto mi risulta suffi-
ciente attenzione. Mi limito qui ad affrontare la questione in modo sintetico133.
Cicerone insiste molto sugli svantaggi che avrebbe comportato una fondazio-
ne sul mare 134. In questo senso sottoscrive la tesi di Platone 135, da cui per
si smarca, avvicinandosi ad Aristotele, nel momento in cui ammette che la
presenza del mare rappresenta un grande vantaggio per le esportazioni e gli
approvvigionamenti136. Il sito della fondazione romulea ottimale in quanto
abbraccia tutti i vantaggi di una citt marittima evitandone gli inconvenienti,
essendo in riva a un fiume, il Tevere, dal corso perenne e uniforme che sbocca
al mare con unampia foce. Tale posizione era unica in Italia: hanc rerum tantam
potentiam non ferme facilius alia ulla in parte Italiae posita urbs tenere potuisset137.
Romolo, premette Scipione, avrebbe potuto molto facilmente fondare la
citt alla foce del Tevere, dove molti anni dopo Anco Marzio dedusse una co-
lonia (multis post annis rex Ancus coloniam deduxit)138. Egli ag certamente in
questo modo per ragioni morali, per quella particolare tendenza alla corru-
zione e al mutamento dei costumi che la vicinanza del mare comporta139; ma,
ancor prima, fu spinto da concrete motivazioni di carattere difensivo: infatti
la terra ferma avverte con molti segni e con particolare fragore dellarrivo dei
nemici che arrivano allimprovviso, mentre il nemico che viene dal mare pu
avvicinarsi inaspettatamente e in alcuni casi senza offrire indizi sulle proprie
buone o cattive intenzioni140. Queste ultime considerazioni di carattere geo-
morfologico-militare, cui Cicerone attribuisce unimportanza prioritaria, non
derivano n da Platone n da Aristotele e sembrano essere unaggiunta tanto
originale, quanto in apparenza non pienamente congruente con le problemati-
che politico-costituzionali che sono il nucleo dellopera. C da chiedersi quali
ne siano le motivazioni. In questo senso possono offrire degli indizi interes-

132
Cic. Rep. 2.10.
Con il proposito di approfondirla in altra sede.
133

134
Cic. Rep. 2.5-9.
135
Plat. Leg. 4.705a-b; 707b.
136
Arist. Pol. 7.1327a.
137
Cic. Rep. 2.10.
138
Cic. Rep. 2.5; cf. 33.3 (ad ostium Tiberis urbem condidit colonisque firmavit); Liv. 1.33.9;
Dion. Hal. 3.44.4.
139
Questo un topos presente sia in Platone che in Aristotele e ripreso da Cicerone; vd.
Nicolet 2002, pp. 7-11.
140
Cic. Rep. 2.6.

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santi alcuni dati biografici relativi allattivit svolta da Cicerone nellanno del
suo consolato.
La rilettura in anni recenti, da parte di Fausto Zevi, di una coppia di iscri-
zioni monumentali collocate sulle due fronti della maggiore porta della citt di
Ostia, la cosiddetta Porta Romana posta alluscita del decumano massimo che
portava verso Roma, ha evidenziato il ruolo di primo piano svolto nel 63 da
Cicerone nella costruzione di una nuova cinta di mura, munita di porte doppie
e di torri, che circondava una superficie di circa 70 ettari e proteggeva larea
portuale di Ostia lungo le banchine del Tevere. Secondo quanto riporta la dop-
pia iscrizione Senatus Populusque Romanus / coloniae Ostiensium muros et portas
dedit /M. Tullius Cicero consul fecit locavitque / P. Clodius Pulcher tr. pl. consummavit
e probavit141. Lepigrafe, che risale al I-II d.C., commemora, in occasione di un
restauro della porta, la storia della costruzione delle mura di cui il console Ci-
cerone, su mandato del senato, aveva provveduto al progetto fino allappalto
dei lavori (locatio operis). Fu poi Clodio, a quanto sembra, a portare a termine
loperazione dopo lesilio di Cicerone, fatto che amareggi notevolmente lex
console142. La decisione di realizzare questopera difensiva imponente era stata
molto probabilmente presa in conseguenza ad unincursione di pirati Cilici
ne parla lo stesso Cicerone nellorazione De imperio Cn. Pompei i quali nel 67,
dopo aver distrutto le navi che si trovavano nel porto, si erano impadroniti
della citt sottoponendo gli abitanti ad ogni sorta di violenze143. Da scavi re-
centi sappiamo anche che allampliamento della cinta muraria segu uninten-
sa attivit di edilizia privata (consequenziale alla messa in sicurezza dellarea
stessa) che possibile datare proprio agli anni 60-50144. A questo stesso periodo
corrisponde anche un rimodellamento dello spazio forense che suggerisce una
maggiore autonomia politica della citt145, sancita probabilmente da una coeva
lex coloniae146, insieme alla edificazione di unarea cultuale147.
Ora, sulla fondazione della citt di Ostia si apre una questione molto com-
plessa, che non qui il caso di affrontare148. Ci che qui interessa rilevare il

141
Per la ricostruzione del testo vd. Zevi, Manzini 2008.
142
Cic. Fam. 1.9.15; vd. Zevi 2013.
143
Cic. Imp.Cn.P. 33.
144
Vd. Zevi 2002, pp. 55-58.
145
Vd. Zevi 2012, pp. 537-540; cos anche Cbeillac Gervasoni 2002, pp. 60-61, che avanza
dei dubbi sulleffettivo potere dei pretori ostiensi, malgrado il titolo prestigioso (vd. pure
nota 2). I Fasti dei duoviri della colonia (molto frammentari) ne danno testimonianza a
partire dal 49 a.C.
146
Come gi suggerito da Meiggs 19732, pp. 173-174.
147
Vd. Zevi 2012, pp. 546-547; 552-554.
148
A tale proposito vd. Coarelli 1988, pp. 136-148; Zevi 2000, pp. 233-242. Secondo
lipotesi di Coarelli, linsediamento di et arcaica sarebbe stato collocato non sulla riva
sinistra (in corrispondenza del castrum, dove si svilupp successivamente la colonia), bens
sulla riva destra del Tevere. A sostegno di tale ipotesi vengono addotte la testimonianza di
Festo (p. 214L) che parla di una Ostiam urbem ad exitum Tiberis in mare fluentis fondata da
Anco Marcio, e di una coloniam, quae postea condita est, unitamente al racconto di Dionigi
di Alicarnasso (3.45.4) che ricorda con precisione la collocazione della fondazione di Anco
Marcio nella zona delle Salinae (testimoniate sulla riva destra).

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La citt ideale del De Re publica di Cicerone tra memoria sogno e utopia

fatto che Cicerone sia il primo autore a noi noto a parlare di una deduzione
coloniaria utilizzando un lessico attualizzante ad opera del quarto re di
Roma149. Questa tradizione si sarebbe imposta in et imperiale: essa si trova
recepita in uniscrizione commemorativa della citt ed riproposta da Plinio e
da Floro, che parlano entrambi di una colonia deducta da Anco Marcio150.
Questi elementi, in concomitanza con i dati offerti dalle recenti acquisi-
zioni archeologiche ed epigrafiche, inducono quanto meno alla tentazione di
ipotizzare che sia stato proprio Cicerone lartefice della tradizione sulla dedu-
zione coloniaria di Anco Marcio, al fine di nobilitare (e anche in qualche modo
di rivendicare) il ruolo personalmente assunto nel processo di trasformazione
di Ostia in centro meglio difeso e maggiormente autonomo da Roma da un
punto di vista istituzionale, che si era avviato proprio a partire dalla costruzio-
ne della nuova cinta muraria.
La Roma di et regia si prefigura gi, allapertura del II libro del De re publi-
ca, coi connotati di una citt imperiale: tale visione il risultato di una prospettiva
che tende a ricostruire, e in parte a reinventare consapevolmente il passato. La
descrizione della scelta, dovuta alla providentia di Romolo, del luogo destinato alla
fondazione di Roma e i riferimenti conseguenziali alla deduzione della colonia
di Ostia da parte di Anco Marcio ne possono essere un indizio.
Una medesima prospettiva nel guardare al passato quella sottesa al De
legibus, originariamente concepito come parte del De re publica. Anche qui Ci-
cerone presenta il mos maiorum come un modello perfetto cui non necessario
aggiungere quasi niente di nuovo151, inserendo tuttavia in modo consapevole
allinterno del corpus normativo, e omogeneizzandole linguisticamente al for-
mulario arcaico, proposte innovative la cui fonte per, paradossalmente, la
tradizione152.
Ci troviamo di fronte ad una sorta di utopia retrospettiva153: la formula-
zione di un modello che coincide con un passato non (integralmente) reale e
consapevolmente riformulato in funzione del futuro.

6. Conclusioni: utopismo o utopia?

Per concludere la discussione, nel tentativo di definire in modo pi pre-


ciso la portata utopica del trattato del De re publica, mi sembra possa essere

149
Da non confondersi con la tradizione relativa alla fondazione della citt da parte dello
stesso Anco Marcio, che pi antica e risale almeno ad Ennio (Ann. 2.128-129) e a Polibio
(6.11a.6).
150
Plin. NH 3.56 (in principio est Ostia colonia ab romano rege deducta); Flor. 1.1 (Ancus
deinde Marcius Ostiamque in ipso maris fluminisque confinio coloniam posuit iam tum videlicet
praesagiens animo futurum ut totius mundi opes et commeatus illo velut maritimo urbis hospitio
reciperentur).
151
Cic., Leg. 3.12 (quae res cum sapientissime moderatissimeque constituta esset a maioribus
nostris, nihil habui <aut> sane non multum quod putarem novandum in legibus).
152
Romano 2009-2010, pp. 38-40; vd. anche Powell 2001, pp. 17-39.
153
Vd. Carsana, Schettino 2008, pp. 5; 9.

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Chiara Carsana

utile fare riferimento alla distinzione, ricorrente nelle discussioni teoriche, tra
utopia e utopismo. I punti di vista degli studiosi, a tale proposito, sono molto
variegati154, ma partono da un presupposto generale, che mi sembra sia ben
espresso dalla definizione di Maria Moneti, secondo la quale si possono di-
stinguere:

lutopia in senso stretto, costituita dalle opere che si ispirano alla prima utopia
e ne hanno le caratteristiche formali e contenutistiche e lutopia in senso largo,
spesso chiamata utopismo, che comprende una vasta gamma di fenomeni, di
natura molto diversa forme di pensiero, immaginazioni collettive, attese, spe-
ranze, esperimenti sociali, progetti di rinnovamento, movimenti popolari, azio-
ni rivoluzionarie ecc. difficilmente classificabili in modo non controverso155.

Sulla base dei punti discussi, mi sembra si possano evidenziare alcuni


aspetti dellutopismo ciceroniano:

- Premessa alla composizione del De re publica un atteggiamento critico ri-


spetto al presente. Lo stato danimo di Cicerone anzi, per cos dire, disperato
riguardo alle condizioni attuali in cui versa lo Stato.
- Da questa disperazione nasce la spinta ad un progetto, formulato a par-
tire da un modello che si identifica nel passato; un passato per non (intera-
mente) reale, consapevolmente trasfigurato alla luce di problemi attuali e in
funzione del futuro.
- Il passato non rappresenta lunico modello di riferimento proposto al let-
tore. Il progetto costruito lungo un filo teso tra due poli: lexemplum del mos
maiorum e la visione della perfetta armonia delle sfere celesti. Il secondo polo
, per sua intrinseca natura, in quanto oltre la terra, inarrivabile; tuttavia
presentato come prospettiva indispensabile allazione del vir sapiens.
- Il Somnium Scipionis una costruzione letteraria; una metafora di quello
che si potrebbe definire un sogno ad occhi aperti: tensione spirituale che si
traduce in spinta allazione nella storia.
- La struttura narrativa per analessi non solo fuga dal presente, ma an-
che indizio della prospettiva dellautore sulla realizzabilit del progetto pre-
sentato: il suo portavoce un uomo, Scipione Emiliano, che sta per morire per
mano dei suoi avversari politici; colui che fa da tramite tra Scipione e Cicerone
un marginale, anche lui uno sconfitto della politica. Cionondimeno il dovere
allimpegno politico un imperativo ineludibile, con cui si apre il dialogo.
- Per concludere: solo utopismo o vera e propria utopia nel De re publica? La
questione resta necessariamente aperta, considerata la condizione frammenta-
ria dellopera che ci pervenuta.

Se manteniamo valido come criterio di definizione il riferimento allopera


eponima vale a dire lUtopia di More156 per valutare lappartenenza del

154
Vd. Moneti 1997, pp. 4-5.
155
Moneti 1997, pp. 3-4.
156
Vd. in questo senso Moneti 1997, pp. 3-13 (4).

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La citt ideale del De Re publica di Cicerone tra memoria sogno e utopia

dialogo di Cicerone al genere dellutopia, possibile individuare varie caratte-


ristiche che accomunano queste due opere: 1) La struttura della composizione,
che abbraccia il genere dialogico insieme al racconto del viaggio in un mondo
altro; 2) la dialettica tra critica della realt esistente e modelli situati fuori
dallo spazio e dal tempo della terra; 3) lattenzione per la lezione offerta dal
passato; 4) un progetto che ha il proprio fulcro nella forma di governo mi-
gliore, ma che investe la vita associata nei suoi molteplici aspetti: giustizia,
educazione, economia, organizzazione dello spazio
Certo altri aspetti del dialogo ciceroniano ne segnano la distanza, anzi po-
tremmo dire la divergenza dal genere della letteratura utopica: uno di questi, e
certamente il pi vistoso, la concezione della propriet privata157. Lafferma-
zione, da parte del suo autore, della storicit del suo modello di Stato rispetto
alla citt che non c di Platone ha probabilmente contribuito a celare la va-
lenza utopica del De re publica. Ma la tensione verso il futuro che nasce da un
doppio sguardo rivolto insieme al lontano passato e alla dimensione ucronica
delleternit, la dinamica dialettica tra condizione di sogno e risveglio, fanno
di Cicerone, mi sembra, un homme utopique158.

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157
C per da dire che anche More non sembra condividere il punto di vista di Itloideo
e in un giudizio finale dato in prima persona critica labolizione della propriet privata in
Utopia: vd. Th. More CW 4.105-106; vd. Wegemer 1996, pp. 120-121.
158
Vd. Abensour 2013: la sua ipotesi di partenza si pone come complemento alla tesi di
Hannah Arendt, secondo la quale la condizione umana contiene tre dimensioni essenziali:
homo laborans, homo faber, homo politicus. Ad esse egli propone di aggiungerne una quarta:
lhomo utopicus. Il suo punto di vista non privo di affinit col pensiero di Ernst Bloch
che considera lutopia come una caratteristica ontologica propria dellessere umano,
consistente nellandare sempre al di l dellesistente; vd. Moneti 1997, p. 4.

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Abstract
In the De re publica, set in 129 BCE, Scipio Aemilianus, along with some bene meriti de
patria, draws a project of constitutional reform, in order to bridge the gap between
populus and Senate, or rather, to put an end to their double-headed power (cf. the me-
taphor of the two suns). However, he dies before its fulfilment. In an age of returning
crisis, Cicero revives Scipios earlier programme, albeit knowing that it is an ideal
model, hardly applicable to the political reality. Besides, the Ciceronian dialogue on
the State could have been a source for Thomas More in the making of his Utopia.

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Chiara Carsana

Rsum
Dans le dialogue cicronien De re publica, plac en 129 av. J.-C., Scipion milien d-
finit, en compagnie de quelques bene meriti de patria, un projet de rforme constitu-
tionnelle visant remdier la fracture entre populus et Snat, ou, plutt, de mettre
un terme leur division en deux (selon la mtaphore des deux soleils). Mais il meurt
avant davoir pu le mettre en uvre. Cicron, une poque de nouvelle situation de
crise, relance ce programme, tout en sachant quil sagit dun modle idal difficile-
ment applicable la ralit politique. Le dialogue cicronien sur la Rpublique a pu
tre un des textes de rfrence pour lUtopia de Thomas More, comme le suggrent
dintressantes affinits.

Riassunto
Nel De re publica, ambientato nel 129 a.C., Scipione Emiliano insieme ad altri bene
meriti de patria definisce un progetto di riforma costituzionale che consenta di porre
rimedio alla frattura o duplicazione (cf. i due soli) di popolo e senato. Ma morir
prima di averlo potuto mettere in pratica. Cicerone rilancia in una nuova et di crisi
questo programma, consapevole che si tratta di un modello ideale, che non potr
mai (o molto difficilmente) essere pienamente realizzato. Il dialogo ciceroniano sullo
Stato potrebbe essere stato uno dei testi di riferimento dellUtopia di Thomas More,
con cui sono ravvisabili interessanti aspetti di affinit.

Chiara Carsana
Universit di Pavia - Dipartimento di Studi Umanistici
P.zza del lino, 2 (Palazzo San Tommaso) - I - 27100 Pavia
chiara.carsana@unipv.it

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Sommario

Marianne Coudry - Maria Teresa Schettino


Lutopie politique et la cit idale. Introduction

Chiara Carsana
La citt ideale del De re publica di Cicerone tra memoria sogno e utopia

Michel Humm
Lharmonie des sphres dans la pense politique grecque et romaine:
de lutopie la cit idale

Marianne Coudry
Des cits pour les pirates: une utopie de Pompe?

Cinzia Bearzot - Laura Loddo


Le rle du tribunal populaire dans lutopie constitutionnelle oligarchique.
De Solon aux Trente Tyrans

Michele Faraguna
I nomophylakes tra utopia e realt istituzionale delle citt greche

Luisa Prandi
Platone e lutopia democratica?
(considerazioni su Menesseno, Timeo 20e-24e, Crizia)

Alberto Giudice
La (re)fondation de Cyrne lpoque dHadrien:
utopie constitutionnelle et idalisation urbanistique

Jos Mara Zamora Calvo


Restaurar una ciudad ideal: Plotino y el proyecto de Platonpolis

Edipuglia srl, via Dalmazia, 22/b - I - 70127 Bari-S.Spirito


tel. (+39) 080 5333056-5333057 (fax) - http://www.edipuglia.it - e-mail: info@edipuglia.it

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