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Le mani sporche di Heidegger

LE MANI SUL POSTMODERNO

Le mani sporche di Heidegger


E la strana disfatta di Gianni Vattimo

Franois Rastier

A
seguito della pubblicazione in Italia del libro di Em-
manuel Faye Heidegger, lintroduzione del nazismo nel-
la filosofia (a cura di Livia Profeti, LAsino doro, pp.
502, 30), Gianni Vattimo ha dapprima manifestato
il suo sdegno in unintervista online del 26 maggio su Lette-
ra 43 intitolata Heidegger maestro nazista, quindi il 2 giugno
ha scritto sulla Stampa larticolo Ma Heidegger non era raz-
zista.
Che Heidegger fosse nazista un fatto storico largamente
accertato da molto tempo, ma il lavoro di Faye non si limita
a riproporre leterno ritorno di questa certezza, bens di-
mostra in particolare alla luce dei corsi tenuti tra il 1933
e il 1935, di altri scritti successivi che giustificano
lannientamento totale e plaudono alla motorizzazione
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della Wehrmacht come atto metafisico che anche la sua


filosofia lo era.
Vattimo attribuisce la tesi di Faye a un cartesianesimo
molto francese: Heidegger era anti-illuminista, anticarte-
siano. E si sa che i francesi, quando viene toccato Cartesio,
non la digeriscono. E quando lintervistatore gli domanda
se in gioco ci sarebbe quindi unincompatibilit genetica
tra tedeschi e francesi, egli risponde Senzaltro. Questo
clich discretamente xenofobo non pu per far dimenti-
care che la Francia da lunga data il centro mondiale
dellheideggerismo: da Jean Beaufret a Jacques Derrida, da
Jean-Luc Marion a Jean-Luc Nancy.
Anzich affrontare il tema filosofico posto dal libro di
Faye, Vattimo approva limpegno nazista di Heidegger:
Heidegger, con la sua adesione al nazismo ha fatto
unazione coraggiosa. [] sceso in campo, ha realizzato
la sua personale idea di intellettuale engag. Che poi fosse
unidea sbagliata unaltra storia. Ma si sporcato le mani.
Egli utilizza cos un argomento tipico del discorso rosso-ne-
ro attualmente in voga, che mescola parole dellestrema si-
nistra e dellestrema destra. Se ne trova un esempio in Slavoj
iek, il quale sostiene che Heidegger grande non mal-
grado, bens grazie al suo impegno nazista, criticando Hitler
per non essere stato abbastanza violento (Perch Heideg-
ger ha fatto la mossa giusta nel 1933, International Journal of
iek Studies, 1/2007). E Vattimo conclude larticolo su La
Stampa citando la frase del Maestro Wer gross denkt, muss
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gross irren: Chi pensa in grande, deve per forza anche errare
in grande, ossia la frase con cui Heidegger elogi la propria
grandezza ponendosi al di l del bene e del male.

S
e il coinvolgimento di Heidegger nel III Reich veniva
in passato minimizzato e considerato temporaneo,
Vattimo ora lo accetta magnificamente e difende
lintellettuale engag. La tesi lascia perplessi: un
impegno politico sarebbe quindi indipendente da qualsiasi
considerazione etica? unaltra storia, elude, sapendo che
letica assente nellopera di Heidegger. Tuttavia si ricono-
sce qui un discreto elogio della Volont in s e per s, tema
eroico di Nietzsche diventato tipicamente totalitario dopo
Mussolini. E nel riconoscere a Heidegger il merito di essersi
sporcato le mani alludendo a Sartre, il filosofo del pensie-
ro debole mette sullo stesso piano i due tipi di impegno poli-
tico. Quindi, sulla difensiva, attacca la memoria di due intel-
lettuali ebrei antifascisti: Marc Bloch ed Ernst Cassirer.
Dapprima Vattimo fa di Marc Bloch, eroe della Resistenza,
un ammiratore di Stalin. Eppure molto noto che Bloch, tor-
turato dalla Gestapo e poi fucilato, non era comunista, e che
nemmeno il suo movimento, Franc-Tireur, lo era. Ma perch
mai levocazione di uno stalinista immaginario discolpereb-
be un nazista autentico? Poi insinua che Cassirer poteva per-
mettersi il lusso di essere razionalista, perch membro di un
ricca famiglia borghese: Il filosofo Ernst Cassirer no, lui era
un illuminista, ma poteva permetterselo: era un ricco am-
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burghese. Se ne and, come ebreo dovette fuggire dalla Ger-


mania nazista, ma non fu costretto a prendere posizione. In
Germania erano tempi duri per tutti, comunque. Gadamer
mi raccontava che lui e Heidegger si trovavano a casa sua
a leggere Guerra e Pace, a lume di una sola candela. Non ne
avevano altre. Per quanto riguarda Cassirer, lo stereotipo
del plutocrate ebreo trasparente, e Vattimo gli contrappo-
ne limmagine del povero Heidegger col suo discepolo pre-
diletto. Quando invece Heidegger ha sempre ricevuto il suo
confortevole stipendio mentre Cassirer aveva perso il pro-
prio sin dal 1933, grazie a una legge che il Rettore Heidegger,
presunta vittima a lume di candela, aveva applicato con ze-
lo.
Secondo Vattimo Cassirer, in qualche modo protetto dal
suo esilio forzato, non fece alcuna scelta e non fu n stali-
nista n nazista. Egli dunque insinua che questi non avreb-
be preso posizione contro il nazismo e lascia aperta la pos-
sibilit di una sua condiscendenza al III Reich. Questo no-
nostante il fatto che Cassirer pubblic nel 1932 La filosofia
dellIlluminismo e che nel ultimo libro, Il mito dello Stato ap-
parso postumo nel 1945, articoli unapprofondita risposta fi-
losofica tanto a Rosenberg quanto a Heidegger. Alla vigilia
della sua morte formul un progetto che oltrepassava il na-
zismo stesso per affrontare ogni teologia politica: studiare
accuratamente lorigine, la struttura e la tecnica dei miti
politici ci che permetter di guardare lavversario in
faccia al fine di sapere come combatterlo. A leggere oggi
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largomentario di Vattimo si direbbe che tale programma sia


ancora dattualit.
Peraltro il pensiero di Cassirer non riducibile a una per-
sistenza di razionalismo classico, poich nel suo Saggio
sulluomo egli ritiene che il concetto di ragione sia inadegua-
to a descrivere le varie forme di cultura nella loro diversit.
questo il programma che lheideggerismo, esasperato da
unossessione identitaria travestita da ontologia, non ha fat-
to che ritardare.
Sempre nellintervista a Lettera 43 Vattimo, per affer-
mare che Heidegger aveva preconizzato la crisi economica
e politica, si poggia sul rabbino Richard L. Rubenstein ri-
cordando che questi sosteneva, non cinicamente ma abba-
stanza freddamente, che Hitler aveva solo anticipato i tem-
pi. Aveva cominciato a trattare gli uomini come numeri. Co-
sa che adesso fanno leconomia, le banche, i governi. Alla
fine unintuizione heideggeriana. Con tale argomento
Vattimo toglie al nazismo qualsiasi specificit e responsabi-
lit, e per mezzo di una strategia di sovrapposizioni sostiene
che esso sarebbe diventato la nostra realt quotidiana, il no-
mos globale della Terra. Un paradosso da caff filosofico che
conclude perfettamente un discorso rivelatore.
Nellarticolo sulla Stampa, per evitare la questione filo-
sofica, Vattimo d vita a un Heidegger vittima di un proces-
so postumo: Diciamo che la filosofia di Heidegger, in quan-
to ispirata al nazismo, qui oggetto di una sorta di proces-
so di Norimberga, in cui la si giudica in nome della stessa
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umanit riconoscendola, o cercando di mostrarla, come di-


sumana e dunque impraticabile da chiunque voglia restare
fedele alla propria natura. Se avvertiamo in questa imposta-
zione un certo spirito affine a quello della lotta al terro-
rismo internazionale, che diventato il pensiero comune
dellOccidente dall11 settembre in poi, peccheremo di ec-
cessivo politicismo?. Egli mette cos in scena una sorta di
paradosso di Norimberga: giudicare in nome dellumanit si-
gnificherebbe arrogarsi il potere di decidere arbitrariamen-
te cosa sia lumanit, ed escludere chi non gli fedele fa-
cendolo passare per disumano. Lidentit (la propria na-
tura) si opporrebbe cos allumanit, renderebbe illegitti-
mo qualsiasi giudizio argomentato in suo nome, nonch as-
surda la stessa nozione di crimine contro lumanit.
Questo argomento fu allorigine stessa della lotta della
dottrina nazista contro lIlluminismo, poi utilizzato
nellaccusa a Norimberga quale giustizia dei vincitori. La
giustizia internazionale viene cos delegittimata nel suo
principio fondamentale e assimilata alla lotta arbitraria
dellera Bush contro il terrorismo internazionale. In questa
confusione, il povero Heidegger si ritroverebbe imprigiona-
to in una Guantanamo filosofica sotto la guardia minacciosa
di Emmanuel Faye.
Le mani sporche di Heidegger

E
bbene, non si tratta in alcun modo di aprire una tar-
diva Norimberga filosofica, ma di sapere come legge-
re Heidegger, e in quale corpus. Uno sforzo di com-
prensione che trae vantaggio dalle risorse
dellermeneutica filologica (o materiale nei termini di
Schleieirmacher e di Szondi), e ha rinnovato gli studi hei-
deggeriani. Pi in generale, le reazioni contro il libro di Faye
segnano una tendenza: si passa gradualmente dal discono-
scimento del nazismo di Heidegger alla sua giustificazione. E
negli ambienti meno accademici e pi nettamente politici si
passati dal negazionismo a ci che io chiamo affermazio-
nismo. Il nazismo avrebbe avuto i suoi meriti: il tema
dellautoaffermazione (Selbstbehauptung), che anima il Di-
scorso del rettorato, resta invidiabile.
Resta nondimeno, per un intellettuale di sinistra come
Vattimo, la questione imbarazzante del razzismo. Per cui
egli riconosce che s, Heidegger era un nazista ma non era
razzista, e quindi neanche la sua filosofia lo era. Ma allora
come si dovrebbe considerare, oltre alle lettere, ai discorsi
e alle misure antisemite adottate, la sua rivendicazione di
un Rassegedanke, di un pensiero della razza che si propone
loltrepassamento delle persecuzioni ordinarie per fonda-
re la filosofia stessa nella visione del mondo del popolo te-
desco?
Riconoscere la debolezza delle argomentazioni del pen-
siero debole non uningiuria. Ripresa eufemistica dellAb-
bau, della distruzione heideggeriana, la decostruzione si
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presenta come un pensiero critico antirazionalista e in base


a ci moltiplica i paralogismi, assumendo il principio del
piacere come base. Da qui la seducente facilit del suo di-
scorso radicale, oggi globalizzato. Ma cos il decostruzioni-
smo si trova nellincapacit di contraddire la pi importante
tesi filosofica del libro di Faye dimostrata da una serrata let-
tura del corpus delle opere di Heidegger oggi disponibile, e
non pu far altro che chiudersi nella negazione.
Il decostruzionismo rivendica lirresponsabilit rispetto
alle esigenze filologiche seguendo il principio heideggeriano
che si deve far violenza ai testi, e non pu o non vuole legge-
re i suoi propri testi fondatori, di cui cela la radicalit malsa-
na e criptata attraverso migliaia di commenti lenitivi. Aven-
do cos preparato la sua strana disfatta, esso si autocondanna
a un doppio linguaggio di cui Vattimo ha fornito in queste
due occasioni un florilegio, prestandosi cos al giudizio dato
da Cassirer nel 1945 sulla filosofia che aveva favorito il nazi-
smo, quella di Heidegger in particolare: Questa nuova filo-
sofia ha indebolito e lentamente minato le forze che avreb-
bero potuto resistere ai miti politici moderni.

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Oliva
Il postmoderno non un paio docchiali
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Fausto Curi
Comprensione e scelta

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