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Ananda K. Coomaraswamy
Buddha e la dottrina del buddhismo
Luni Editrice
Buddhism
Introduzione
Il maggior merito di questo libro, merito che da solo lo rende degno ancor oggi
della massima attenzione anche se fu scritto nel 1916 (o forse proprio per
questo), che il suo approccio al Buddhismo, e in generale alle dottrine
dell'Oriente, radicalmente diverso da quello degli orientalisti occidentali.
In esso infatti Ananda K. Coomaraswamy, invece di limitarsi a prenderle in
considerazione "dall'esterno" come fanno questi ultimi (che poi fatalmente le
presentano deformate dal filtro delle loro idee preconcette), affronta la
"storia" e la dottrina del Buddhismo "dal di dentro", dopo essersi sforzato,
cio, di assimilarsele per come esse sono, e cercando in seguito, senza
sfigurarle, di esporle in modo che siano comprensibili da parte di chi, per
nascita e per abitudini mentali acquisite, molto lontano da esse.
Questo procedimento per cos dire "organico" e certo non facile, presuppone,
come si pu immaginare, una preparazione e delle predisposizioni non comuni; se
si pensa, poi, che all'epoca in cui il libro fu scritto le sole pubblicazioni
esistenti sul Buddhismo nell'area delle lingue europee erano quelle prodotte
dall'orientalismo "ufficiale", la considerazione per quest'opera non pu che
aumentare, fino al punto di giustificarci se diciamo che essa rappresenta
probabilmente, in qualche modo, il primo tentativo fatto nel mondo occidentale
di accostare una dottrina orientale secondo il suo spirito. Se vero che nel
tempo la seguirono altre, di Coomaraswamy stesso e di altri autori, primo fra
tutti Ren Gunon in Francia (con il quale Coomaraswamy collabor intensamente a
partire da una certa epoca e fino alla morte), che chiarirono e approfondirono
ulteriormente alcune concezioni generali, anche importanti, che in essa non
ricevono ancora una luce sufficiente, altres vero che questo lavoro di
conoscenza, di rettificazione di ipotesi preesistenti e di vera e propria
scoperta delle dottrine tradizionali orientali a beneficio dell'Occidente, si
presentava di mole cos poderosa da non poter essere esaurito n da un solo
libro, n da un autore da solo.
Bench nel corso della nostra fatica di traduzione (l'inglese di Coomaraswamy si
presenta a tratti impervio), ci abbia colto pi volte la tentazione di inserire
gi in questo volume i risultati di tali ricerche successive, cosa per attuare
la quale in alcuni casi sarebbe stato sufficiente modificare pochi termini - ma
che in altri ci avrebbe condotto a pi laboriosi interventi esplicativi -,
abbiamo alla fine deciso di mantenere costantemente invariata la terminologia
adottata dall'autore, e questo, principalmente per il rispetto che proviamo nei
confronti di un lavoro che giudichiamo serio e decisamente coraggioso.
Ci sia per permesso dare qui, una volta per tutte, alcuni avvertimenti al
lettore su qualcuno dei punti di interpretazione delle dottrine orientali che in
questo libro non ricevono ancora il trattamento che riserver loro lo stesso
Coomaraswamy nelle sue numerosissime trattazioni successive; ci non sminuir
assolutamente il valore di quest'opera, aiuter anzi coloro che abbiano gi
qualche dimestichezza con i lavori di Coomaraswamy a orizzontarsi, e in fondo
non far che inserirsi in quello sforzo per favorire la conoscenza del vero
Oriente da parte degli Occidentali a cui questo autore consacr tanto tempo
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Prefazione dell'autore
Con questo libro abbiamo voluto esporre, appoggiandoci sulle scritture
buddhistiche, i fondamenti dottrinali del Buddhismo nel modo pi semplice
possibile, e mettere i sistemi buddhistici in relazione, da un lato, con i
sistemi brahmanici da cui traggono origine, e, dall'altro, con quelli tra i
sistemi del misticismo cristiano che presentano con essi le analogie pi
strette. Contemporaneamente, abbiamo cercato di illustrare il ruolo che il
pensiero buddhista ha avuto nello sviluppo complessivo della cultura asiatica, e
di far intravedere, almeno in parte, l'importanza che pu ancora presentare per
i pensatori moderni.
Certo la via del Buddha non si occupa direttamente dell'ordine del mondo,
giacch invita gli uomini superiori ad abbandonarne piuttosto la scena.
Sennonch l'ordine del mondo pu essere stabilito solo su un fondamento di
conoscenza: qualsiasi male , in ultima istanza, riconducibile all'ignoranza.
Per cui necessario riconoscere il mondo per quello che esso realmente .
Gautama ci insegna che le caratteristiche di questa vita sono l'imperfezione, la
transitoriet, l'assenza di immutabilit in ci che solo individuale. Egli ci
propone un summum bonum che strettamente legato con la concezione mistica
cristiana del "disprezzo di s". Siamo in presenza di affermazioni ben definite
che possono essere o vere, o false, e di un altrettanto ben definito obiettivo,
che possiamo anch'esso o accettare, o rifiutare. Se le affermazioni sono false e
l'obiettivo indegno d'attenzione, sarebbe lo stesso della pi grande
importanza che le prime siano refutate e il secondo provato tale. Se poi la
diagnosi corretta e lo scopo valido, varrebbe comunque la pena che ci sia
riconosciuto erga omnes. Non possiamo desiderare, infatti, che venga perpetuata,
quale fondamento della nostra socialit, una concezione della vita
dimostrabilmente falsa, o uno scopo dimostrabilmente contrario al nostro
concetto di bene.
Questo libro perci da intendersi, non come un'ulteriore aggiunta alle nostre
gi sovraccariche biblioteche di informazioni, ma come un contributo
caratterizzato alla filosofia di vita. Lo studio dei modi di pensare e di
sentire degli altri, perch possa servirci realmente a qualcosa, dev'essere
provocato da ben altro che dalla curiosit o dal desiderio di trovare
giustificazioni per il nostro proprio sistema. Perch la civilt del mondo sia
una civilt comune, necessitiamo di una comune volont, vale a dire del
riconoscimento dei problemi che ci sono comuni, e della collaborazione di tutti
per risolverli. In un'epoca come la nostra, in cui il mondo occidentale sta
incominciando a rendersi conto di aver fallito nel suo tentativo di cogliere il
frutto della vita attraverso una societ fondata sulla concorrenza e
sull'autoaffermazione, c' un profondo significato nella scoperta del pensiero
asiatico, pensiero in cui si afferma con non flebile voce che il frutto della
vita pu essere colto soltanto in una societ fondata su concezioni di ordine
morale e di responsabilit reciproca. Mi si permetta di illustrare con un'unica
citazione il meraviglioso realismo e la sincerit di quell'etica sociale alla
quale la psicologia del Buddhismo concede il suo assenso: la vittoria genera
l'odio, perch il vinto infelice.
Sono molti i racconti di sovrani asiatici disposti a pagare il prezzo del
proprio regno per una sola parola di consiglio utile. Ci si potrebbe chiedere
con molta ragione se l'Europa, prima di arrivare al punto in cui , non avrebbe
avuto interesse a non considerare nessun prezzo troppo alto per un
riconoscimento generalizzato di questa verit. C' un altro passo, dallo Jataka
del cervo Ruru, che probabilmente unico in tutta la letteratura per la sua
sublime tenerezza e cortesia: Giacch, chi - chiede il Bodhisattva - si
servirebbe a cuor leggero di un linguaggio duro verso coloro che han commesso
una colpa, spargendo il sale, se cos si pu dire, sopra la ferita del loro
errore?
con doni come questo che il Buddhismo, e l'Induismo da cui esso uscito e nel
quale si riimmerso, si ergono contro il mondo del permissivismo, richiedendo
ai loro seguaci soltanto l'abbandono di ogni risentimento, cupidigia, e
ottusit; ed offrendo in cambio una felicit e una pace che sono al di l di
ogni nostra razionale comprensione. Possiamo forse negare che modi di pensiero
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dei fatti l'espressione di tutto ci che tali fatti, cos come furono capiti,
significarono per coloro per i quali costituirono un'ispirazione vivente; ed
proprio questa espressione di ci che la vita del Buddha signific per i
Buddhisti - o Baudhha, come sono pi propriamente chiamati i seguaci di Gautama
-, che troviamo nelle vite leggendarie, quali il Lalitavistara, con cui i
lettori occidentali hanno pi familiarit per averlo gi trovato nel libro Light
of Asia, di Sir Edwin Arnold. Per la qual cosa, riporteremo qui la vita del
Buddha, in modo abbastanza dettagliato, desumendola dalle varie fonti indicate
[Principalmente il Nidanakatha (Introduzione al Pali Jataka), il Maha
Parinibbana Sutta, e il Lalitavistara], senza tener conto del fatto che esse
presuppongono uno sviluppo dottrinale che pu aver avuto luogo solo dopo la
morte del Buddha; e questo perch gli elementi miracolosi e mitologici sono
sempre molto trasparenti e artistici. La storia del Buddha incomincia con la
risoluzione del Brahmano Sumedha, molto tempo prima, di diventare un Buddha in
qualche cielo futuro di manifestazione, in modo da diffondere intorno a s la
verit salvatrice e di essere d'aiuto per l'umanit sofferente. Or sono
innumerevoli epoche, questo Sumedha, ritiratosi un giorno nella stanza pi
elevata della sua casa, sedutosi ritualmente, si concentr fermamente sul
pensiero:
"Sono soggetto alla nascita, alla decadenza, alla malattia, alla morte;
giusto, allora, che mi sforzi per conquistare il gran Nibbana immortale, che
tranquillo, e libero da morte e decadenza, malattia, tristezza e felicit.
Sicuramente ci dev'essere una via che porta al Nibbana e che libera l'uomo
dall'esistenza".
Conseguentemente, don tutta la sua ricchezza e adott la vita di eremita nella
foresta. A quel tempo Dipankara Buddha apparve nel mondo, e raggiunse
l'illuminazione. Avvenne che un giorno Dipankara Buddha passasse da quelle
parti, con uomini che gli spianavano la strada. Sumedha chiese ed ottenne il
permesso di unirsi al lavoro, ma non esegu solo quello. Quando Dipankara
arriv, Sumedha si distese nel fango, in modo che il Buddha potesse camminare
sul suo corpo senza inzaccherarsi i piedi. Allora l'attenzione di Dipankara si
rivolse a lui ed egli si rese conto dell'intenzione di Sumedha di divenire un
Buddha, e, guardando nel futuro, attraverso innumerevoli anni, vide che sarebbe
divenuto un Buddha con il nome di Gautama, e gli predisse l'avvenire di
conseguenza. Allora Sumedha si rallegr, e, respingendo l'immediata prospettiva
di divenire un Arahat, come discepolo di Dipankara, si disse:
"Meglio che io, come Dipankara, dopo essermi elevato alla suprema conoscenza
della verit, renda tutti gli uomini capaci di salire sul vascello della verit,
e gli possa in tal modo far attraversare il Mare dell'Esistenza; e solo allora
possa io stesso realizzare il Nibbana".
L'incarnazione del Buddha
Quando Dipankara con tutti i suoi seguaci fu passato, Sumedha esamin le dieci
perfezioni indispensabili per raggiungere lo stato di Buddha e decise di
praticarle nelle sue future vite. Cos avvenne, finch nell'ultima di queste
vite il Bodhisatta rinacque come Principe Vessantara, che esib la perfezione
della generosit soprannaturale, e al tempo dovuto trapass e dimor nel Cielo
dei Piaceri. Quando per il Bodhisatta fu giunto il tempo di ritornare sulla
terra per l'ultima volta, le divinit dei diecimila sistemi universali si
riunirono, e, avvicinando il Bodhisatta nel Cielo dei Piaceri, dissero:
"Ora giunto il momento, o Beato, per il tuo raggiungimento dello stato di
Buddha; adesso il tempo, o Beato, arrivato!"
Allora il Bodhisatta consider il tempo, il continente, il distretto, la trib,
e la madre, e, avendoli determinati, assent, dicendo:
"O Beati, giunto il tempo per me, di divenire un Buddha".
Ed anche se stava passeggiando nel Boschetto della Contentezza, lo lasci
volentieri, e fu concepito nel ventre della signora Maha Maya. Le modalit della
sua concezione sono spiegate come segue. All'epoca della festa di mezza estate a
Kapilavatthu, Maha Maya, la moglie di Suddhodana, si coric nel suo letto e fece
un sogno. Sogn che i quattro guardiani dei punti cardinali la sollevavano e la
trasportavano sull'Himalaya, dove la immersero nel lago Anotatta, e quindi ella
giacque a riposare su un giaciglio celeste all'interno di una dimora aurea sulla
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famiglia?"
"I quattro segni", fu la risposta, "un uomo consumato dalla vecchiaia, un uomo
malato, un cadavere e un eremita".
Allora il re decise che questi segni non sarebbero mai stati visti da suo
figlio, perch non desiderava che divenisse un Buddha, ma che governasse il
mondo intero; e istitu un innumerevole e magnifico corpo di guardia e un
seguito per proteggere suo figlio da tali segni illuminanti, e per occupare la
sua mente con i piaceri mondani.
Sette giorni dopo la nascita del bambino la signora Maha Maya mor, rinascendo
nel Cielo delle Trentatr Divinit, e Siddhattha fu affidato alla sua zia e
matrigna, la Madre di famiglia Gautami. Allora avvenne un altro miracolo, in
occasione della festa dell'aratura. Mentre il re inaugurava i lavori di aratura
con le sue proprie mani, e le servitrici preparavano il cibo, il Bodhisatta
prese posto sotto a un albero jambu, e, a gambe incrociate come uno Yogi, si
immerse nel primo grado di contemplazione; e bench il tempo passasse, l'ombra
dell'albero non si mosse. Quando il re scorse questo miracolo, si prostern
davanti al bambino gridando:
"Questo, o mio caro, il secondo omaggio che ti viene offerto!"
Quando il Bodhisatta crebbe, suo padre gli fece costruire tre palazzi,
rispettivamente di nove, cinque e sette piani, dove risiedeva a seconda delle
stagioni. Il Bodhisatta vi viveva circondato da ogni lusso, e migliaia di
danzatrici erano addette al suo servizio e al suo divertimento. Condotto a
studiare dagli insegnanti di scrittura e di altre discipline, ben presto li
sorpass tutti, ed eccelse in tutte le arti marziali.
Le nozze del principe
Quando ebbe sedici anni, il re cerc una moglie per suo figlio, perch sperava
di attaccarlo ancora maggiormente alla vita mondana con i legami familiari. Il
principe aveva gi provato il desiderio di diventare eremita. Ma, come dicono i
libri, per conformarsi al comportamento dei precedenti Bodhisatta, acconsent a
sposarsi, purch fosse stato possibile trovare una ragazza di maniere perfette,
assolutamente sincera, modesta, congeniale al suo temperamento, e di nascita
pura ed onorevole, giovane e bella, ma non fiera della sua bellezza,
caritatevole, soddisfatta nell'abnegazione, e dolce come una sorella o una
madre, senza desiderio di musica, profumi, feste o vino, pura nel pensiero,
nella parola e nei fatti, l'ultima ad andare a letto e la prima ad alzarsi nella
casa dove avrebbe abitato. Brahmani furono mandati dappertutto a cercare una
tale fanciulla nelle famiglie Sakya. Alla fine la scelta cadde sulla cugina di
Siddhattha, Yasodhara, figlia di Suprabuddha di Kapilavatthu. E il re escogit
un piano per incatenare il cuore del giovane. Fece preparare una collezione di
splendidi gioielli, che Siddhattha avrebbe distribuito tra le fanciulle Sakya.
Cos avvenne; ma quando tutti i gioielli erano gi stati assegnati, Yasodhara
arriv in ritardo, e non c'era pi niente per lei. Pensando di essere
disprezzata, chiese se non ci fosse pi nessun regalo per lei. Siddhattha
rispose che non era stata sua intenzione disprezzarla, e mand a prendere altri
anelli e braccialetti che le diede. Ella disse:
"Mi si addice accettare regali simili?"
Egli rispose:
"Appartengono a me, e sono io che te li do".
Cos lei se ne and. Allora le spie di Suddhodana riferirono che Siddhattha
aveva posato i suoi occhi solo su Yasodhara, ed era entrato in conversazione con
lei. Venne inviato a Suprabuddha un messaggio per chiedere la mano di sua
figlia. Egli rispose che le figlie della famiglia si davano solo a coloro che
eccellevano nelle varie discipline e nelle arti marziali, e "poteva essere
questo il caso di uno la cui intera vita era stata trascorsa nel lusso di un
palazzo?"
Suddhodana si rammaric che suo figlio fosse considerato indolente e debole. Il
Bodhisatta intu il suo stato d'animo e gliene chiese la causa; essendone stato
informato, rassicur suo padre, e gli consigli di proclamare un torneo di arti
marziali, a cui fossero invitati tutti i giovani Sakya. Cos fu fatto. Il
Bodhisatta si dimostr superiore a tutti, primo nelle scienze della letteratura
e dei numeri, poi nella lotta e nel tiro all'arco, e in ognuna della
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"Non andare pi in l, mio Signore! Perch tra sette giorni apparir la ruota
della sovranit, e ti render sovrano dei quattro continenti e della miriade di
isole. Non andare pi in l!"
Il Bodhisatta rispose:
"Mara! So bene che questo vero. Ma io non cerco la sovranit del mondo.
Desidero diventare un Buddha, per dare la felicit a decine di migliaia di
mondi".
Cos il Tentatore lo lasci, ma risolse di seguirlo sempre come un'ombra, per
cogliere al volo l'occasione, se mai un pensiero di rabbia o desiderio fosse
sorto nel cuore del Bodhisatta. Era il giorno di luna piena di Asadha, quando il
principe lasci la citt. La sua marcia fu accompagnata da pompa e gloria,
perch le divinit e gli angeli portavano miriadi di torce davanti e dietro di
lui, e una pioggia di bei fiori era gettata dal cielo di Indra, cosicch gli
stessi fianchi di Kanthaka ne erano ricoperti. In questo modo il Bodhisatta
copr una grande distanza finch raggiunsero il fiume Anoma e lo attraversarono.
Quando giunsero dall'altro lato, il Bodhisatta smont da cavallo sulla spiaggia
sabbiosa e disse a Channa:
"Buon Channa, arrivato il momento che tu ritorni indietro, prendendo con te
tutti i miei gioielli e Kanthaka, poich io sto per diventare un eremita e un
pellegrino in queste foreste. Non ti crucciare per me, ma compiangi piuttosto
quelli che restano indietro incatenati da desideri il cui frutto l'afflizione.
mia risoluzione cercare il bene supremo oggi stesso, perch quale fiducia
potrei avere nella vita, quando la morte sempre in agguato? Conforta il re, e
parlagli, cosicch non mi ricordi mai, perch dove l'affetto si perso, non c'
pi dispiacere".
Ma Channa protest e chiese al Bodhisatta che avesse piet del re, di Yasodhara,
e della citt di Kapilavatthu. Il Bodhisatta rispose nuovamente:
"Anche se tornassi con i miei per ragioni di affetto, alla fine ne sarei
separato dalla morte. L'incontro e la dipartita degli esseri viventi come
quando il vento trascina via le nuvole che si erano unite, o come quando le
foglie si staccano dagli alberi. Non c' niente che possiamo definire nostro in
un'unione che non nulla pi di un sogno. Pertanto, visto che sei cos, vattene
e non crucciarti e d alla gente di Kapilavatthu: "Ritorner presto, trionfatore
della vecchiaia e della morte, o lui stesso fallir o perir".
Allora anche Channa avrebbe voluto farsi anacoreta, ma nuovamente il Bodhisatta
rispose:
"Se il tuo amore cos grande, vai ugualmente, porta il messaggio e poi torna".
Il Bodhisatta prese la spada affilata che Channa portava e con essa tagli i
propri lunghi capelli e il diadema ingioiellato, e li gett in acqua; nello
stesso momento in cui avvert la necessit di un abito da anacoreta, apparve un
Deva sotto l'aspetto di un cacciatore, con abiti di tinta fulva da Saggio del
bosco, e prendendo i vestiti di mussolina bianca del principe, gli diede in
cambio gli abiti rossicci, e se ne and.
Kanthaka assistette a tutto ci che stato raccontato e lecc i piedi del
Bodhisatta; il principe gli parl come ad un amico:
"Non ti rattristare, Kanthaka, perch stata provata la perfezione della tua
natura equina. Sopportalo, e presto il tuo dolore dar i suoi frutti".
Per Kanthaka pens:
"Da oggi in poi non vedr mai pi il mio padrone".
Si allontan dalla sua vista, mor di dolore e rinacque nel Cielo dei Trentatr.
Cos raddoppi la tristezza di Channa; straziato per il secondo dispiacere della
morte di Kanthaka torn in citt piangendo e gridando, e il Bodhisatta rest
solo.
La ricerca di una via di liberazione
Il Bodhisatta rimase una settimana nel bosco di manghi di Anupiya, e in seguito
prosegu fino a Rajagaha, la citt pi importante di Magadha. Mendicava il suo
cibo di porta in porta e la bellezza della sua persona spinse a compassione
tutta la citt. Quando ci arriv a conoscenza del re Bimbisara, questi si
diresse al luogo dove il Bodhisatta sedeva e gli offr il suo regno; ma, una
volta ancora, il Bodhisatta rifiut il trono regale, poich aveva gi
abbandonato tutto con la speranza di ottenere l'illuminazione, e non desiderava
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un potere terreno. Per acconsent alla richiesta del re che quando avesse
trovato la sua via avrebbe cominciato la predicazione in quello stesso regno.
Si dice che quando il Bodhisatta entr per la prima volta in un eremo (e questo
avvenne prima che si fosse diretto a Rajagaha), vide che i Saggi praticavano
molte strane penitenze; ne chiese il significato e quale fosse il risultato che
ognuno di loro voleva ottenere, e ricevette la risposta:
"Con simili penitenze sopportate per un certo tempo, con le pi alte raggiungono
il cielo, e con le inferiori, un frutto favorevole nel regno degli uomini; per
mezzo del dolore arrivano infine alla felicit, perch il dolore, dicono, la
radice del merito".
Ma a lui non parve che fosse questo il metodo per arrivare alla liberazione;
anche nella vita comune gli uomini sopportavano l'afflizione per conseguire la
felicit, e questa stessa felicit, tutto ben considerato, consisteva nel
dolore, perch sempre soggetta alla morte e alla rinascita.
"Non lo sforzo in se stesso che critico", disse, "che respinge le bassezze e
segue una propria via pi elevata: ma i Saggi della verit, per mezzo di questo
arduo lavoro, dovrebbero mirare allo stato nel quale non si deve pi rifare
niente. Poich il mentale che controlla il corpo, ci che si deve mantenere
solo il pensiero. N la purezza del cibo, n le acque di un fiume sacro possono
pulire il cuore: l'acqua solo acqua, e il vero luogo di pellegrinaggio la
virt di un uomo virtuoso".
Allora, rifiutando con cortesia le offerte del re, il Bodhisatta si diresse
all'eremitaggio del rinomato Saggio Alara Kalama, si fece suo discepolo ed
apprese i gradi successivi della meditazione estatica. Naturalmente Alara
insegnava la dottrina dell'Atman, la quale dice che il Saggio versato
nell'Essere Supremo "essendosi annullato come individualit, vede che non esiste
niente e viene chiamato nichilista: allora come un passero nella sua gabbia, con
l'anima che si separa dal corpo, viene dichiarato liberato: questo quel
supremo Brahman, costante, eterno, e senza caratteri distintivi, che i Saggi che
conoscono la realt chiamano liberazione". Ma Gautama (ed con questo nome che
i libri cominciano ora a chiamare il Bodhisatta), lascia da parte la frase
"senza caratteri distintivi", e con giustificazione verbale discute la
terminologia animistica e dualistica di anima e corpo: un'anima liberata,
argomentava, continua ad essere un'anima, e qualsiasi situazione raggiunga,
sempre soggetta alla rinascita, "e poich si afferma che ogni successiva
rinuncia accompagnata da qualit, sostengo che l'ottenimento assoluto del
nostro scopo si trova solo nell'abbandono di tutto".
[Nota: Ravvisiamo in questo punto il momento critico in cui il pensiero
buddhista e quello brahmanico si separano sulla questione dell'Atman. Non siamo
in grado di dire se sia Alara che non riusc a mettere in rilievo l'aspetto di
negazione d'ogni limite della dottrine del Brahman, o se sia Gautama (il quale
fino a questo momento presentato come totalmente privo di nozioni sul pensiero
brahmanico) che non riusc a distinguere il Brahman neutro dal dio Brahma. La
questione sar dibattuta con pi ampi sviluppi nella parte terza, cap. IV, di
questo libro.]
Allora il Bodhisatta lasci gli eremitaggi di Rajagaha e, cercando qualcosa al
di l, si inoltr in un bosco vicino, al villaggio di Uruvela, e ivi rimase
sulle pure rive del Nairanjana. In questo luogo lo avvicinarono cinque anacoreti
erranti che vivevano di carit, perch erano convinti che poco tempo dopo egli
avrebbe raggiunto l'illuminazione. La loro guida era Kondanna, il vecchio
indovino brahmano, che aveva predetto il futuro durante la festa di battesimo
del Bodhisatta. Pensando: "Questo pu essere il mezzo per conquistare la nascita
e la morte", Gautama pratic per sei anni in quel luogo una regola austera di
digiuno e mortificazione, di modo che il suo glorioso corpo si consum fino a
ridursi a pelle ed ossa. Si costrinse a cibarsi di un solo seme di sesamo o di
un granello di riso, finch un giorno, mentre passeggiava, vinto dalla
debolezza, svenne e cadde. Alcuni fra i Deva esclamarono:
"Gautama morto!"
Altri portarono la notizia a Suddhodana, re di Kapilavatthu. Ma egli rispose:
"Non posso crederci. Mio figlio non morir mai prima di aver raggiunto
l'illuminazione".
Non aveva dimenticato il miracolo ai piedi dell'albero jambu, n il giorno in
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cui il grande Saggio Kala Devala si era sentito obbligato a riverire il bambino.
Il Bodhisatta si riprese e si alz in piedi; e una volta ancora le divinit
informarono il re. Dopo questo episodio la fama delle estreme penitenze del
Bodhisatta si diffuse da tutte le parti, come nel cielo si diffonde il suono di
una grande campana. Ma egli percep che la mortificazione non era la via per
l'illuminazione e la liberazione, "che era la vera strada che ho trovato sotto
l'albero jambu, e che non pu essere raggiunta da chi ha perso la sua forza".
Cos, una volta ancora, il Grande Essere risolse di mendicare il suo cibo in
citt e villaggi, per recuperare la sua salute e le sue forze. Questo avvenne
nel trentesimo anno dell'esistenza di Gautama. Ma i cinque discepoli pensarono
che se Gautama non aveva potuto ottenere l'illuminazione neppure con sei anni
delle pi severe austerit, "come avrebbe potuto ottenerla ora, che chiede la
carit nei villaggi, e si ciba di alimenti ordinari?", e lo abbandonarono per
recarsi in un sobborgo di Benares, chiamato Isipatana.
La Suprema Illuminazione
Mentre Gautama viveva nel bosco vicino a Uruvela, la figlia del capo del
villaggio, di nome Sujata, era solita fare un'offerta giornaliera di cibo a
ottocento Brahmani, recitando la preghiera:
"Magari il Bodhisatta potesse ricevere finalmente un'offerta di cibo da parte
mia, ottenere l'illuminazione e trasformarsi in un Buddha!"
Ora che era giunto il momento in cui egli desiderava ricevere cibi nutrienti, un
Deva apparve a Sujata durante la notte e le annunci che il Bodhisatta aveva
abbandonato le sue austerit, e desiderava cibi buoni e nutrienti: "e allora si
compir la tua preghiera". Allora Sujata si alz in fretta di buon'ora e si rec
dal gregge del padre. Gi da molto tempo ella soleva mungere il latte da mille
vacche e nutrire con esso cinquecento altre vacche; con il latte di queste ne
nutriva altre duecentocinquanta, e cos finch solo otto vacche si nutrivano con
il latte che restava, e ci ella lo chiamava "far rientrare il latte a poco a
poco". Era il giorno di plenilunio del mese di maggio quando ricevette il
messaggio delle divinit; si alz presto, munse le otto vacche, prese il latte e
lo boll in marmitte nuove per preparare riso e latte. In tanto mand la sua
ancella Punna ai piedi del grande albero dove soleva lasciare le sue offerte
giornaliere. Il Bodhisatta, sapendo che quel giorno avrebbe ottenuto la suprema
illuminazione era seduto ai piedi dell'albero, attendendo l'ora di andare a
mendicare il suo cibo; la sua gloria era tale che tutta la regione dell'Est ne
era illuminata. L'ancella pens che fosse lo spirito dell'albero che si degnava
di ricevere l'offerta nelle sue proprie mani. Quando fu tornata e raccont
questo, Sujata la abbracci, le don la dote come a una figlia ed esclam:
"D'ora in avanti occuperai, per me, il posto di una figlia maggiore!"
Mand a cercare un vaso d'oro e vi pose il cibo ben cotto, lo copr con una tela
bianca candida e lo port con dignit ai piedi del grande albero nigrodha; l",
anche lei vide il Bodhisatta e credette che fosse lo spirito dell'albero. Sujata
gli si avvicin, gli mise il vaso nelle mani e guardandolo negli occhi, disse:
"Mio Signore, accetta ci che ti offro", ed aggiunse: "magari possa portarti
tanta felicit come quella che ha portato a me", e cos se ne and.
Il Bodhisatta prese il vaso d'oro, scese fino alla riva del fiume, si bagn e,
vestendosi come un Arahat, si sedette guardando verso Est (nell'India antica
l'Est era considerato il punto cardinale pi favorevole). Divise il riso in
quarantanove parti, e questo cibo fu sufficiente a nutrirlo per i quarantanove
giorni che seguirono l'illuminazione. Quando ebbe terminato di mangiare riso e
latte, prese il vaso d'oro e lo gett nel fiume, dicendo:
"Se oggi potr raggiungere l'illuminazione, che questo vaso vada controcorrente;
e se cos sar, che scenda a suo piacimento".
Quando lo ebbe lanciato in acqua il vaso risal rapidamente il fiume fino ad
arrivare al vortice del Re Serpente nero, e l affond.
Il Bodhisatta pass le ore calde del giorno in un bosco di alberi sal, vicino al
ruscello. Poi verso sera, si diresse ai piedi dell'Albero della Sapienza e l
prese la decisione:
"Se anche mi si seccassero la pelle, i nervi e le ossa, e se si prosciugasse il
sangue della mia vita, non lascer questo posto finch non abbia raggiunto la
Suprema Illuminazione".
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Mara rest imbarazzato. Ma non si arrese, perch sperava di ottenere con altri
mezzi quello per cui la forza non aveva avuto effetto. Convoc le sue tre
figlie: Tanha, Rati, e Raga, ed esse danzarono davanti al Bodhisatta come i rami
flessuosi di un giovane albero frondoso servendosi di tutte le arti di seduzione
che conoscono le belle donne. Di nuovo gli offrirono la signoria della terra e
la compagnia di belle ragazze: esse cercarono di commuoverlo con canzoni della
stagione di primavera, ed esibirono la loro bellezza e grazia soprannaturali. Ma
il cuore del Bodhisatta non si commosse assolutamente, ed egli rispose:
Il piacere breve come un lampo abbagliante o come una pioggia autunnale, solo
per un momento... perch dovrei dunque desiderare i piaceri di cui parlate?
Vedo che i vostri corpi sono colmi di ogni impurit: la nascita e la morte, la
malattia e la vecchiaia sono il vostro retaggio.
Cerco la posta pi elevata difficile da raggiungere per gli uomini, la vera e
costante conoscenza del Saggio.
Poich non riuscivano a scuotere la calma del Bodhisatta, esse si sentirono
piene di vergogna e sconcertate: indirizzarono allora una preghiera al
Bodhisatta, augurandogli la fruizione del suo sforzo:
Che tu possa raggiungere ci che il tuo cuore desidera, trovare la liberazione
per te stesso, e liberare tutti!
[Nota: Secondo altri libri la tentazione delle figlie di Mara successiva
all'Illuminazione suprema.]
Ora le truppe del cielo, vedendo che l'esercito di Mara era sconfitto e le
astuzie delle figlie di Mara vane, si riunirono per onorare il Conquistatore e
vennero ai piedi dell'Albero della Sapienza, gridando per la gioia:
Beato sia il Buddha - Egli ha trionfato! E il Tentatore sconfitto!
La vittoria era completa che il sole era ancora al di sopra dell'orizzonte. Il
Bodhisatta si immerse in pensieri sempre pi profondi. Nella prima vigilia della
notte raggiunse la conoscenza degli stati anteriori dell'essere, nella seconda
vigilia ottenne l'occhio celeste della visione onnisciente, nella terza vigilia
ottenne la comprensione perfetta della Catena della Causalit che l'origine
del Male, e cos allo spuntare del giorno raggiunse l'Illuminazione Perfetta.
Allora irruppe dalle sue labbra il canto di trionfo:
Attraverso numerose e mutevoli nascite sono passato cercando invano il
costruttore della casa. Ma, o fondatore di case, sei trovato! Non potrai mai pi
progettare una casa per me! Tutte le tue travi sono spezzate, la colonna
principale si frantumata! La mia mente passata alla quiete del Nibbana.
Infine stata raggiunta la cessazione del desiderio!
[Nota: La casa , naturalmente, la casa - o piuttosto la prigione dell'esistenza individuale: il costruttore della casa il desiderio (tanha) il desiderio di fruire e di possedere -.]
Innumerevoli prodigi si manifestarono in quell'ora suprema. La terra si scosse
sei volte, e l'intero universo fu illuminato dallo splendore soprannaturale dei
sestuplici raggi che provenivano dal corpo del Buddha seduto. Il risentimento si
calm nel cuore di tutti gli uomini, ogni mancanza fu riempita, i malati furono
risanati, le catene dell'inferno cedettero e ogni creatura di qualsiasi genere
trov pace e riposo.
I quarantanove giorni
Gautama, che adesso era il Buddha, l'Illuminato, rimase seduto e immobile per
sette giorni, realizzando la beatitudine del Nibbana; poi si alz e rimase in
piedi per altri sette giorni, fissando intensamente il punto dove era stato
colto il frutto degli innumerevoli atti di eroica virt esercitati nelle vite
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precedenti: poi per altri sette giorni passeggi avanti e indietro per un
sentiero riparato che andava da Ovest ad Est, e che si stendeva dal trono sotto
l'Albero della Sapienza al luogo della Contemplazione Immutabile; nuovamente per
sette altri giorni rest seduto in un padiglione scolpito dalle divinit, vicino
allo stesso posto, e vi ripercorse in dettaglio, libro per libro, tutto ci che
insegnato nell'Abhidhamma Pitaka, cos come l'intera dottrina della causalit;
poi per sette altri giorni sedette sotto l'albero nigrodha dell'offerta di
Sujata, meditando sulla dottrina e sulla dolcezza del Nibbana - e secondo alcuni
libri, fu in questo momento che avvenne la tentazione delle figlie di Mara - poi
per altri sette giorni, mentre infuriava una terribile tempesta, il Re Serpente
Mucalinda lo protesse con il suo settuplice cappuccio; e per altri sette giorni
sedette sotto un albero rajayatana, godendo della dolcezza della liberazione.
Cos erano trascorse sette settimane, durante le quali il Buddha non aveva
provato desideri corporei, ma si era cibato della gioia della contemplazione,
della gioia dell'ottuplice via e della gioia del suo frutto, il Nibbana.
Solo dopo l'ultimo giorno delle sette settimane desider fare il bagno e
mangiare, e ricevendo l'acqua e uno stuzzicadenti dal dio Sakka, il Buddha si
lav il viso e si sedette ai piedi dell'albero. In quel momento due mercanti
brahmani viaggiavano in una carovana che andava da Orissa al paese centrale, e
un Deva, che era stato un parente dei mercanti in una vita precedente, ferm i
carri, e spinse i loro cuori a fare un'offerta di riso e dolci di miele al
Signore. Essi si diressero quindi verso di lui, dicendo:
"O Beato, abbi piet di noi, ed accetta questo cibo".
Il Buddha non possedeva neppure una ciotola, e siccome i Buddha non ricevono mai
un'offerta direttamente nelle loro mani, riflett su come l'avrebbe potuta
prendere. Immediatamente i quattro grandi re, i Reggitori dei quattro punti
cardinali, apparvero davanti a lui, ognuno di loro con una ciotola; e perch
nessuno di loro fosse deluso, il Buddha prese tutte e quattro le ciotole, e
mettendole una sopra all'altra, le fece diventare una, sul cui bordo si vedevano
le quattro linee dei bordi di ciascuna. In questa ciotola il Beato ricevette il
cibo, lo mangi, e ringrazi. I due mercanti si rifugiarono nel Buddha, nella
norma e nell'ordine, e divennero discepoli dichiarati. Allora il Buddha si alz
e torn nuovamente all'albero delle offerte di Sujata e l si sedette.
Riflettendo sulla profondit della verit che aveva trovato, sorse nella sua
mente il dubbio se sarebbe stato possibile farla conoscere agli altri: questo
dubbio sperimentato da ogni Buddha quando diviene consapevole della verit. Ma
Maha Brahma, esclamando: "Ahim! Il mondo sar perduto per sempre!" arriv in
tutta fretta, con le truppe dei Deva e scongiur il Maestro di proclamare la
Verit; ed egli acconsent alla loro richiesta.
[Nota: "Le grandi verit non fan presa sui cuori del volgo... E cos stando le
cose, anche se io conosco il vero cammino - come far, come far a guidarli? Se
pur sapendo che non ce la farei, tento comunque di impormi ad essi, sar questa
un'altra fonte d'errore. Meglio perci lasciar perdere, e non tentar neppure. Ma
se non tento io, chi tenter?" Chuang-tzu.
E altamente caratteristico della psicologia del genio che quando questo dubbio
assale il Buddha, egli risponda tuttavia ad una richiesta di guida; nel momento
in cui l'allievo pone le domande giuste, i dubbi dell'insegnante si risolvono.]
La prima rotazione della Ruota della Legge
Allora egli medit su a chi, per cominciare, avrebbe dovuto rivelare la verit,
e ricord Alara, il suo primo Maestro, e Uddaka, pensando che questi grandi
Saggi avrebbero potuto comprenderla velocemente; ma dopo un'accurata riflessione
scopr che entrambi erano recentemente morti.
Allora pens ai cinque pellegrini che erano stati suoi discepoli e in
meditazione vide che risiedevano nel Parco dei Cervi di Isipatana a Benares, e
risolse di recarvisi. Quando i cinque pellegrini, il cui capo era Kondanna,
videro il Buddha da lontano, si dissero:
"Amici miei, arriva Gautama il Bhikkhu. Non gli dobbiamo alcun rispetto, poich
ritornato al libero uso delle necessit della vita, e ha recuperato la sua
forza, e la sua bellezza. Comunque, poich di nobile nascita, prepariamogli un
sedile".
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non sono mie, io non sono queste, esse non sono la mia anima eterna". E
percependo questo, o Bhikkhu, il vero discepolo concepir disgusto per la forma
fisica, per la sensazione, la percezione, le predisposizioni e la coscienza, e
cos si spoglier del desiderio; in questo modo egli liberato, e diventa
consapevole di essersi liberato; e sa che il divenire si esaurito, che ha
vissuto secondo la verit, che ha fatto ci che era doveroso facesse e che ha
eliminato per sempre la mortalit".
In virt di questo discorso le menti dei cinque furono perfettamente illuminate,
ed ognuno di loro raggiunse il Nibbana, cosicch in quel momento esistevano
cinque Arahat nel mondo, oltre al Buddha stesso, che era il sesto. Il giorno
seguente un giovane di nome Yasa, e cinquantaquattro fra i suoi compagni
raggiunsero anche loro l'illuminazione, e cos c'erano sessanta persone oltre al
Maestro stesso, che avevano ottenuto lo stato di Arahatta. Il Maestro invi
questi sessanta in diverse direzioni, con l'ordine:
"Andate, o Bhikkhu, a predicare e ad insegnare".
Egli stesso procedette verso Uruvela, e durante il percorso accolse nell'ordine
trenta nobili giovani e invi anche loro in tutte le direzioni. A Uruvela il
Maestro trionf su tre asceti brahmani, adoratori del fuoco, e accett anche
loro nell'ordine con tutti i loro discepoli, e grazie a lui raggiunsero lo stato
di Arahatta. Il capo di questi era noto come Uruvela Kassapa. Quando si furono
seduti sul pendio di Gaya, egli pronunci il terzo discorso, chiamato il
"Discorso del fuoco":
"Tutte le cose, o Bhikkhu, sono in fiamme. E cosa sono Bhikkhu, tutte queste
cose in fiamme? L'occhio in fiamme, le forme sono in fiamme, la coscienza
dell'occhio in fiamme, le impressioni ricevute dall'occhio sono in fiamme; e
qualsiasi sensazione - piacevole, spiacevole, o neutra - trae origine dalle
impressioni ricevute dall'occhio, ed quindi ugualmente in fiamme.
"e da cosa sono accese tutte queste fiamme? Io dico che lo sono dal fuoco della
passione, del risentimento, e dal fuoco dell'illusione (raga, dosa, moha); sono
infiammate dalla nascita, dalla vecchiaia, dalla morte, dalla deplorazione,
dalla miseria, dal dispiacere e dalla disperazione.
"E cos per l'orecchio, per il naso, la lingua, e per il tatto. Anche il
mentale infiammato, i pensieri sono infiammati; e la coscienza mentale, le
impressioni ricevute dalla mente, e le sensazioni che sorgono dalle impressioni
che la mente riceve, anche queste sono infiammate.
"Da cosa sono infiammate? Io dico che lo sono dal fuoco della passione, dal
fuoco del risentimento, e dal fuoco dell'illusione; esse sono infiammate dalla
nascita, dalla vecchiaia, dalla morte, dalla deplorazione, dalla miseria, dal
dispiacere e dalla disperazione.
"E vedendo questo, o Bhikkhu, il vero discepolo concepisce disgusto per
l'occhio, le forme, la coscienza dell'occhio, le impressioni ricevute
dall'occhio, e per le sensazioni che ne derivano; e per l'orecchio, il naso, la
lingua, per il senso del tatto, per il mentale, i pensieri, la coscienza
mentale, le impressioni e le sensazioni. Cos si sveste del desiderio, e
conseguentemente liberato, ed consapevole di essersi liberato, e sa che il
divenire si esaurito, che ha vissuto secondo la verit, che ha fatto ci che
doveva, e che ha eliminato per sempre la mortalit".
Mentre il "Discorso del fuoco" veniva pronunciato, le menti dei mille Bhikkhu l
riuniti si emanciparono dall'attaccamento e si liberarono dalle bassezze, e cos
raggiunsero l'Arahatta e il Nibbana.
La conversione di Sariputta e Mogallana
Il Buddha, circondato da mille Arahat, il cui capo era Uruvela Kassapa, si rec
nella Selva delle Palme vicino a Rajagaha, per rispettare la promessa che aveva
fatto al re Bimbisara. Quando venne riferito al re: "Il Maestro giunto",
questi si affrett verso il bosco e si gett ai piedi del Buddha, e dopo aver
cos reso omaggio, egli e il suo seguito sedettero. Il re non riusciva a capire
se il Buddha era divenuto il discepolo di Uruvela Kassapa, o se lo era Uruvela
Kassapa del Buddha; per risolvere il dubbio, Uruvela Kassapa si prostern ai
piedi del Maestro, dicendo:
"Il Signore Benedetto il mio Maestro, e io sono il discepolo.
Tutta la gente acclam al gran potere del Buddha, esclamando:
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"Amico mio", disse il re, "puoi diventare un eremita o no, puoi fare ci che
vuoi, solo agisci in modo che io possa vedere mio figlio prima di morire".
Kaludayin si rec a Rajagaha, e stando in piedi tra i discepoli nell'ora
dell'istruzione, raggiunse l'Arahatta e fu accettato nell'ordine. A quell'epoca
erano trascorsi otto mesi dall'illuminazione, e di questo tempo, il primo
trimestre, o stagione delle piogge, era stato passato nel Parco dei Cervi a
Benares, altri tre mesi ad Uruvela, e due mesi a Rajagaha. Adesso era finita la
stagione fredda, la terra era coperta di erba verde, gli alberi di fiori
scarlatti, e le strade erano piacevoli per il viaggiatore. Il giorno della luna
piena di marzo, Kaludayin, un'intera settimana dopo la sua ammissione
nell'ordine, parl con il Buddha, e lo invit ad andare a trovare suo padre, che
desiderava vederlo. E il Maestro, prevedendo che ne sarebbe risultata la
salvezza di molti uomini, assent, dicendo a Kaludayin:
"Ben detto, Udayin, ci andr".
Infatti era conforme alla regola che i Fratelli viaggiassero da un luogo
all'altro. Accompagnato da ventimila Arahat di buona famiglia, e percorrendo
ogni giorno una lega, raggiunse Kapilavatthu in due mesi. Ma Kaludayin si spost
istantaneamente nell'aria e inform il re che suo figlio si era messo in
cammino, ed elogiando ogni giorno le virt del Buddha, predispose i Sakya a suo
favore.
I Sakya pensarono a quale sarebbe stato il luogo pi gradevole per la sua
residenza e scelsero il bosco di alberi nigrodha vicino alla citt. Con fiori in
mano, e accompagnati da bambini del posto, giovanotti e fanciulle di famiglia
reale, uscirono ad incontrarlo e lo condussero nel bosco. Ma vedendolo pi
giovane di loro, come se fosse stato un fratello minore, o un nipote, essi non
si prosternarono. Allora il Buddha, comprendendo i loro pensieri, comp il
miracolo del sollevamento in aria del suo sedile su una piattaforma
ingioiellata, e cos predic la legge. Il re, vedendo questo miracolo, disse:
"O Beato, quando Kala Devala si prostern ai tuoi piedi il giorno della tua
nascita, io ti tributai rispetto per la prima volta. Quando vidi che l'ombra
dell'albero jambu rimaneva immobile in occasione della festa dell'aratura, ti
tributai rispetto la seconda volta; ed ora, a causa di questo grande miracolo,
mi prosterno nuovamente ai tuoi piedi".
E non ci fu nessun Sakya che non si prostern ai piedi del Buddha nello stesso
momento. Allora il Beato scese dall'aria e sedette sul trono che gli era stato
preparato, e l pronunci un discorso, e cio, la storia della sua vita
anteriore come principe Vessantara.
La conversione dei Prncipi Sakya
Il giorno successivo il Maestro entr a Kapilavatthu per mendicare il suo cibo,
accompagnato da ventimila Arahat. Quando si fu sparsa la voce che il giovane
principe Siddhattha stava mendicando porta a porta, le finestre di case a molti
piani si spalancarono e una folla guard fuori stupita. Tra questi c'era la
madre di Rahula, che si disse:
"E giusto che il mio signore, che era solito percorrere questa citt in un
palanchino dorato, con ogni segno di pompa, ora debba mendicare il suo cibo di
porta in porta, con i capelli e la barba rasati, e vestito di abiti dalla tinta
fulva?"
Ella rifer le sue riflessioni al re. Egli, alzandosi immediatamente, usc per
protestare con suo figlio, che cos disonorava il clan dei Sakya.
"Pensi che ci sia impossibile", gli disse "provvedere al nutrimento per tutti i
tuoi seguaci?"
"E il nostro uso, o re!" fu la risposta.
"Non cos, Maestro", disse il re; "nessuno dei nostri antenati ha mai mendicato
il suo nutrimento".
"O re", replic il Buddha, "tu discendi dalla successione dei re, ma io discendo
dalla successione dei Buddha: e ognuno di loro ha mendicato il suo cibo
giornaliero, ed vissuto di elemosine" .
Stando in piedi in mezzo alla strada recit i versi:
Alzatevi e non indugiate, ricercate la vera vita! Chi esercita la virt riposa
nella beatitudine, in questo mondo come nell'altro.
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Perch cos come, quando la gramigna invade un fiorente campo di riso, questo
campo non pu prosperare a lungo, nello stesso modo quando le donne si ritirano
dalla vita domestica alla vita errante sotto una dottrina e una disciplina, la
norma non resiste a lungo. E cos come un grosso bacino si rinforza con una diga
possente, cos io ho stabilito una barriera di otto importanti regole che non
devono essere trasgredite, finch dura la vita".
Fu cos che la matrona Gautami e le cinquecento principesse furono ammesse
nell'ordine; non era passato molto tempo che Gautami raggiunse lo stato di
Arahatta e le cinquecento principesse colsero il frutto della prima via. Questi
avvenimenti ebbero luogo nel sesto anno dall'Illuminazione.
Dal sesto al quattordicesimo anno
La sesta stagione delle piogge fu trascorsa a Savatthi, e quindi il Beato si
trasfer a Rajagaha. Il nome della moglie del re Bimbisara era Khema; ella
andava talmente fiera della sua bellezza che non si era mai degnata di far
visita al Maestro: ma in una certa occasione il re organizz un incontro per
mezzo di uno stratagemma. Allora il Buddha comp un miracolo per lei: produsse
l'immagine di una delle belle ninfe del cielo di Indra, e mentre lei la
osservava, la fece passare attraverso tutti gli stadi della giovent, della
maturit, della vecchiaia e della morte. Con questa terribile visione, la regina
si convinse ad ascoltare l'insegnamento del Maestro, entr nella prima via, e in
seguito avrebbe ottenuto lo stato di Arahatta.
Mentre il Maestro risiedeva a Rajagaha un ricco mercante di quel luogo venne in
possesso di un pezzo di legno di sandalo, e ne fece una ciotola. Si affrett ad
appenderla ad un'alta canna di bamb, e sollevando cos la ciotola in alto,
annunci:
"Se c' qualche pellegrino o Brahmano che possieda poteri miracolosi, tiri gi
questa ciotola".
Allora Mogallana e altri Fratelli si incitarono l'uno con l'altro a tirarla gi;
e un altro, di nome Pindola-Bharadvaja, si sollev nel cielo e prese la ciotola,
facendo poi tre volte il giro della citt prima di scendere, tra lo stupore di
tutti i cittadini. Quando questo fu riportato al Buddha, questi comment:
"Tutto ci non porter alla conversione di chi non convinto, e non porter
alcun vantaggio ai convertiti".
E proib ai Fratelli di dare esibizione dei poteri miracolosi. Il Buddha
incontr opposizione nel suo insegnamento, in particolare da parte di sei
Maestri eretici, ognuno dei quali aveva un grosso seguito di aderenti. Uno di
questi Maestri era Sanjaya, il primo Maestro di Sariputta e Mogallana; un altro
era Nigantha Nataputta, che pi noto come Vardhamana, il fondatore della setta
dei Jaina, la cui storia ricorda sotto molti aspetti quella del Buddhismo; ma
che, contrariamente al Buddhismo, conta ancora molti aderenti nell'India
propriamente detta. Questi diversi Maestri non riuscirono a trovare alcun
appoggio nel regno di Bimbisara, e quindi si trasferirono a Savatthi, sperando
di assicurarsi una maggiore influenza sul re Prasenajit. Savatthi era il luogo
dove i primi Buddha avevano mostrato i loro miracoli maggiori, e ricordando
questo il Buddha procedette a quella volta con l'intenzione di disorientare i
suoi oppositori. Trasport la sua residenza nel monastero di Jetavana.
Immediatamente dopo mostr al popolo, ai sei Maestri, e al re Prasenajit, una
serie di grandi miracoli: cre una grande strada in mezzo al cielo, che andava
da Oriente a Occidente, e vi cammin sopra mentre predicava la buona legge. In
questo modo i Maestri eretici furono sconfitti.
A proseguimento del grande miracolo, il Buddha part in direzione del Cielo dei
Trentatr, e l predic la legge a sua madre, Maha Maya. Il Buddha rest nel
Cielo dei Trentatr per tre mesi, e durante questo tempo cre un'immagine di se
stesso, che continu ad insegnare la legge sulla terra, e ogni giorno and in
giro a mendicare cibo. Quando il Buddha stava per discendere dal cielo, Sakka
comand a Vissakamma, l'architetto divino, di creare una scala tripla, i cui
piedi furono posti vicino alla citt di Sankissa. E il Buddha discese in quel
luogo, scortato da Brahma alla destra e Sakka alla sinistra.
Da Sankissa il Maestro torn al monastero di Jetavana vicino a Savatthi. Qua i
Maestri eretici convinsero una giovane donna di nome Cinca ad agire in modo tale
da far sorgere nella gente il sospetto di una relazione tra lei e il Maestro.
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Dopo molte visite al monastero, ella escogit un modo per assumere l'apparenza
di una donna in stato avanzato di gravidanza, e nel nono mese lanci un'accusa
aperta, e chiese che il Maestro le provvedesse un luogo per il parto. Il Buddha
rispose con voce grave:
"Sorella, se le tue parole sono vere o false, lo sappiamo solo tu ed io".
In quello stesso istante cedettero i legacci, con i quali la donna si era legata
una palla di legno per assumere l'apparenza di una donna incinta. Spinta dal
popolo indignato, spar in mezzo a fiamme che erano sorte dalla terra, e scese
nella parte pi bassa del Purgatorio.
Il nono ritiro fu trascorso nel Ghositarama a Kausambi. Tra i Fratelli sorsero
violenti scontenti su questioni di disciplina, e la saggezza e gentilezza del
Buddha non furono sufficienti a restaurare la pace. Allora egli lasci i
Fratelli e procedette fino al villaggio di Balajalonakara, con l'intenzione di
stabilirvisi da solo come eremita. Durante il percorso incontr Anuruddha,
Nandiya e Kimbila, che vivevano contenti in perfetta concordia, e rinfranc i
loro cuori con un discorso religioso. Poi si stabil nella Selva di Rakkhita e
vi visse in solitudine.
Dopo aver risieduto un certo tempo a Parileyyaka, il Signore si spost a
Savatthi. I Fratelli ribelli di Kausambi avevano ricevuto tali inequivocabili
segni di disprezzo da parte dei laici di quella citt, che risolsero di recarsi
a Savatthi e di esporre l'argomento della disputa al Maestro; accettarono la sua
decisione e cos la pace fu restaurata.
Durante l'undicesimo ritiro il Maestro risiedette a Rajagaha. Un giorno vi vide
un Brahmano, di nome Bharadvaja, che sovrintendeva alla coltivazione dei suoi
campi. Il Brahmano, vedendo che il Buddha si manteneva con le elemosine degli
altri, osserv:
"O pellegrino, io aro e semino, ed cos che mi procuro il cibo. Anche tu ari e
semini con lo stesso scopo?"
Il Buddha replic:
"Anch'io aro e semino, ed cos che mi procuro il cibo".
Il Brahmano ne fu sorpreso, e disse:
"Non vedo, o reverendo Gautama, che tu abbia un giogo, un vomere, un pungolo, o
buoi. Allora, come puoi dire che anche tu coltivi?"
Il Signore rispose:
"La fede il seme che semino; la devozione la pioggia; la modestia il
manico dell'aratro; la mente la barra del giogo; e la concentrazione il mio
aratro e pungolo. L'energia la mia coppia di buoi, che conduce alla salvezza,
che procede senza errori, fino al luogo dove non c' pi dolore".
E Bharadvaja fu talmente toccato da questa parabola che si convert, fece
professione di fede, e fu ammesso nell'Ordine.
Il tredicesimo anno, mentre il Buddha stava a Kapilavatthu, fu vittima di
violenti insulti da parte di suo suocero, Suprabuddha, e predisse che entro una
settimana Suprabuddha sarebbe stato inghiottito vivo dalla terra. E bench
Suprabuddha avesse trascorso l'intera settimana nella torre del suo palazzo, la
terra si apr ed egli fu inghiottito in accordo con la profezia, e sprofond nel
Purgatorio Inferiore.
Il Signore torn da Kapilavatthu al monastero di Jetavana a Savatthi e da l
procedette verso Alavi, un luogo che era infestato da un orco mangiatore di
uomini, che aveva l'abitudine di divorare i bambini del paese giorno dopo giorno.
Quando il Buddha apparve davanti a lui, fu accolto da minacce, ma il Maestro,
con gentilezza e pazienza, riusc ad addolcire il suo cuore, e riusc anche a
rispondere alle domande poste dall'orco, che divent un credente ed emend la
sua vita. Il Maestro conquist alla buona legge anche il feroce brigante
Angulimala, che, nonostante la sua vita malvagia, raggiunse rapidamente lo stato
di Arahatta.
All'incirca nello stesso tempo il pio Anathapindika diede sua figlia in
matrimonio al figlio di un amico che risiedeva ad Anga, e poich la famiglia di
Anga sosteneva il Maestro eretico Nigantha, diede a sua figlia un seguito di
servitrici per sostenerla nella giusta fede. La giovane moglie rifiut di
onorare gli asceti Jaina svestiti, e risvegli in sua suocera un impellente
desiderio di udire la predicazione del Maestro: quando egli arriv, l'intera
famiglia e molti altri si convertirono. Lasciando il compito del lavoro di
conversione ad Anuruddha, il Buddha torn a Savatthi.
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apparissero sulla scena e "la Chiesa nei quattro punti cardinali, presente e
assente" succedesse nel possesso dell'eredit regale. In questi parchi si
trovavano le residenze dei Fratelli, case, sale, chiostri, magazzini, circondati
da vasche di loti, fragranti manghi, snelle palme a ventaglio che ergevano il
loro fogliame in alto, al di sopra di tutto il resto, e dalla fitta verzura
dell'albero nyagrodha, le cui radici, cadendo dall'aria sulla terra, diventano
nuove talee, e con le loro arcate fresche, ombrose, e sentieri arborei, sembrano
invitare alla meditazione serena.
"Questi erano gli ambienti nei quali Buddha trascorse gran parte della sua vita,
probabilmente i suoi periodi pi ricchi di effettivo lavoro. Qui masse di
popolazione, sia laiche sia monastiche, si accalcavano per vederlo e per udirlo
predicare. Qui giunsero da paesi lontani monaci pellegrini che avevano saputo
della fama dell'insegnamento di Buddha, e passata la stagione delle piogge,
intraprendevano un pellegrinaggio per vedere il Maestro di persona...
"La fama della persona di Buddha attrasse da vicino e da lontano folle di
persone che gli stavano attorno, pur senza penetrare nei circoli pi interni
della comunit. Le persone si dicevano l'una con l'altra: "La gente viene
dall'asceta Gotama, attraversando regni e paesi, per conversare con lui".
Spesso, quando avveniva che si fermasse vicino alle residenze dei potenti, re,
prncipi e dignitari arrivavano su carri o su elefanti per rivolgergli domande e
udire la sua dottrina. Tale scena descritta all'inizio del "Sutra sul frutto
dell'ascesi", e riappare nelle rappresentazioni pittoriche dei rilievi di
Bharhut. Il Sutra racconta come il re Ajatasattu di Magadha, nella "Notte del
Loto" - che , nel plenilunio di ottobre, il periodo in cui i loti fioriscono sedesse all'aria aperta, circondato dai suoi nobili sul tetto piatto del suo
palazzo. "Allora", come riportato in questo testo, "il re di Magadha,
Ajatasattu, il figlio dei prncipi Vaidehi, lanci questa esclamazione: 'Bella
in verit questa notte di luna piena, piacevole in verit questa notte di
luna piena, grandiosa in verit questa notte di luna piena, felici presagi in
verit d questa notte di luna piena. Quale Samana (frate mendicante, Bhikkhu) o
quale Brahmano potr consultare, perch la mia anima si rincuori ascoltandolo?'"
Un consigliere nomina questo, e un altro quel Maestro; ma Jivaka, il medico del
re, siede in silenzio. Allora il re di Magadha, Ajatasattu, figlio di Vedehi, si
rivolse a Jivaka Komarabhacca: "Perch taci, o amico Jivaka?" - "Sire, nel mio
bosco di manghi risiede il Sublime, Santo, Supremo Buddha, con una grande
quantit di discepoli, con trecento monaci; di lui, il Sublime Gotama, si sparge
per il mondo un elogio rispettoso, in questi termini: Egli, il Sublime, il
Santo, Supremo Buddha, il Saggio, l'illustre, il Benedetto, che conosce
l'universo, il pi elevato, che soggioga gli uomini come buoi, il Maestro di dei
e uomini, il Sublime Buddha. Sire, vai ad ascoltarlo, il Sublime: se per caso lo
vedi, il Sublime, la tua anima, o sire, si rinvigorir" - Cos il re ordina che
gli elefanti siano preparati per lui e le regine, e la processione reale si
muove con torce accese in quella notte di luna piena, attraversando il cancello
di Rajagaha verso il bosco di manghi di Jivaka, dove si dice che il Buddha abbia
tenuto al re il famoso discorso "Sui frutti dell'ascesi", alla fine del quale il
re si unito alla Chiesa come membro laico...
"Una conclusione frequente di questi dialoghi , naturalmente, che gli avversari
battuti dai partigiani di Buddha invitino lui e i suoi discepoli a pranzo per il
giorno seguente: "Signore, che il Sublime e i suoi discepoli vogliano gradire di
accettare un invito a pranzo da me domani". E Buddha permette che il suo
silenzio sia interpretato come un consenso. Il giorno dopo, verso mezzogiorno,
quando il pranzo pronto, l'ospite invia a Buddha il messaggio: "Signore,
l'ora, il pranzo pronto"; e Buddha prende il suo mantello e la sua ciotola per
le elemosina e si reca con i discepoli nella citt o villaggio della residenza
del suo ospite. Dopo pranzo... durante il quale l'ospite stesso e la sua
famiglia servono gli invitati, quando l'usuale lavaggio delle mani terminato,
l'ospite prende posto con la famiglia di fianco a Buddha e Buddha rivolge loro
un discorso di ammonimento spirituale e di istruzione.
"Se la giornata non riempita da un invito, Buddha, secondo le abitudini
monastiche, intraprende il suo giro di questua nel villaggio o nella citt.
Egli, come pure i suoi discepoli, si alza presto, quando la luce dell'alba
appare nel cielo, e trascorre i primi momenti della giornata in esercizi
spirituali o in conversazione con i suoi discepoli, per poi procedere con i suoi
compagni verso la citt. Nei giorni in cui la sua reputazione era all'apice e il
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suo nome era pronunciato in tutta l'India, con quelli dei personaggi pi famosi,
giorno dopo giorno, si poteva vedere quest'uomo davanti a cui gli stessi re si
prosternavano, che camminava, con la ciotola delle elemosine in mano, per strade
e vicoli, di casa in casa, senza formulare alcuna richiesta, con sguardo
modesto, e che stava ad aspettare silenzioso che un boccone di cibo venisse
deposto nella sua ciotola.
"Quando era tornato dal giro di questua ed aveva mangiato il suo pasto, seguiva,
come richiedeva il clima indiano, un momento, se non di sonno, di riposo e
tranquillo raccoglimento. Riposando in una camera quieta o, meglio ancora, nella
fresca ombra di un denso fogliame, trascorreva le afose e soffocanti ore del
pomeriggio in solitaria contemplazione finch giungeva la sera che lo strappava
una volta di pi dal sacro silenzio all'animata compagnia di amici ed avversari".
La designazione di Ananda
Durante i primi vent'anni di vita del Buddha, i suoi servitori personali non
erano tali in modo permanente. I Fratelli facevano a turno nel portare la
ciotola e il mantello del Maestro, ed egli non favoriva l'uno piuttosto che
l'altro. Ma un giorno si rivolse ai Fratelli, dicendo:
"O Bhikkhu, incomincio ad essere avanti negli anni (a quel tempo il Buddha aveva
cinquantasei anni): alcuni Bhikkhu, quando gli si dice: "Andiamo di qua",
prendono un'altra strada, altri lasciano cadere per terra la mia scodella e il
mio mantello. Conoscete qualche Bhikkhu che possa essere il mio servitore
personale permanente?"
Allora il venerabile Sariputta si alz e disse:
"Io, o Signore, ti servir".
Il Sublime lo scart, e scart pure Mogallana il Grande. Dopo
di ci, tutti i principali discepoli dissero a turno: "Io ti servir".
Solo Ananda rimase silenzioso, perch pensava:
"Il Maestro stesso dir chi accetta".
Allora il Sublime disse:
"O Bhikkhu, Ananda non dev'essere spinto da altri: se lo sa da se stesso, mi
servir".
Allora Ananda si alz e disse:
"Se, Signore, vorrai negarmi quattro cose, e concedermene altre quattro, allora
ti servir".
Le quattro cose che Ananda desiderava gli fossero negate erano i favori
particolari, perch non voleva che si dicesse che si incaricava del servizio per
ottenere abiti, buon vitto, alloggio e inviti. Le quattro concessioni che
desiderava erano che il Buddha avrebbe accettato ogni invito ricevuto attraverso
Ananda, che sarebbe stato facilitato l'accesso a chi Ananda portava per parlare
con lui, e pure ad Ananda stesso, e che avrebbe ripetuto ad Ananda le dottrine
che questi desiderava udire nuovamente: infatti Ananda non desiderava che si
pensasse che il Buddha non gli dava importanza, o che la gente dicesse che il
servitore particolare del Buddha non era versato nella dottrina. Tutte queste
concessioni furono date dal Beato, e da quel momento in avanti, fino al giorno
della sua morte, Ananda rimase il servitore permanente del Buddha. Ananda non
raggiunse lo stato di Arahatta che dopo la morte del Buddha.
[Nota: Il servizio personale del Buddha comprendeva il compito di portargli
l'acqua e lo spazzolino da denti, di lavargli i piedi, di accompagnarlo fuori,
di portare la sua ciotola e il mantello, pulirgli la cella, e fare le funzioni
di ciambellano.]
L'inimicizia di Devadatta
Nella descrizione della vita quotidiana del Buddha riportata nelle pagine
antecedenti, fatta menzione di Ajatasattu, re di Magadha. Questo Ajatasattu
era il figlio di Bimbisara, il principale sostenitore regale del Buddha. Quando
Ajatasattu fu concepito, un presagio e una profezia indicarono che sarebbe stato
l'assassino di suo padre. E questo avvenne sotto istigazione di Devadatta. Un
giorno in cui il Buddha stava insegnando nella Selva dei Bamb, Devadatta
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assiomi: che esiste la sofferenza (dukkha), che ha una causa (samudaya), che pu
essere soppressa (nirodha), e che c' un metodo per riuscirci (magga), la "Via".
Tutto questo consiste nell'applicazione della scienza medica generale alla cura
dei malati spirituali. Il buon medico, vedendo una qualsiasi persona sofferente,
procede alla diagnosi, riflette sulla cura e prescrive il regime necessario al
paziente. Questa la storia della vita di Gautama. L'anima malata, della
propria malattia conosce solo il dolore; cerca la causa della sua sofferenza, e
la sicurezza di una cura, e domanda cosa dovr fare per salvarsi: questa la
storia di coloro che si rifugiano nella legge del Buddha.
Ripetiamo qui la parte essenziale del primo discorso di Gautama:
"Questa, o monaci, la verit degli Ariya sulla sofferenza: la nascita
sofferenza, la vecchiaia sofferenza, la malattia sofferenza, la morte
sofferenza; stare con ci che non si ama sofferenza, essere separati da ci
che si ama sofferenza, non ottenere ci che si desidera sofferenza; in
breve, il quintuplice attaccamento al mondo sofferenza.
"Questa, o monaci, la verit degli Ariya sull'origine della sofferenza: il
desiderio di vivere che conduce da una nascita all'altra, insieme con la
passione e l'ambizione, che trovano gratificazione qua e l; la sete dei
piaceri, la sete di esistere, la sete del potere.
"Questa, o monaci, la verit degli Ariya sull'estinzione della sofferenza.
L'estinzione di questa sete si ottiene con il completo annullamento del
desiderio, lasciandolo cadere, cacciandolo, separandosi da esso, non
concedendogli spazio.
"Questa, o monaci, la verit degli Ariya sulla via che conduce all'estinzione
della sofferenza: questa sacra ottuplice via, cio: fede retta, aspirazione
retta, discorso retto, retta azione, retto modo di vivere, sforzo retto,
attenzione retta, samadhi retto".
E la prima divisione dell'ottuplice via: retta credenza, punto di vista, o fede,
che costituisce la dottrina del Buddha, la dottrina del Buddhismo, che ora
esporremo in modo sistematico. Questo insegnamento consiste in una conoscenza
del mondo e dell'uomo "come sono realmente". Questa giusta conoscenza si pu
riassumere molto chiaramente nella triplice formula di dukkha, anicca, anatta sofferenza, impermanenza, negazione di s [della propria individualit]. La
conoscenza di questi princpi una conoscenza della verit. Ora li
considereremo in ordine e in dettaglio.
Dukkha
L'esistenza del dolore, o male, la stessa raison-d'etre del Buddhismo:
"Se nel mondo non ci fossero queste cose, miei discepoli, il perfetto, il santo
Buddha supremo, non apparirebbe nel mondo; la legge e la dottrina che il
Perfetto ha offerto non brillerebbe nel mondo. Cosa sono queste tre cose?
Nascita, vecchiaia e morte.
"Ora come allora", ripete il Buddha, "vi spiegher questo: il dolore e
l'estinzione del dolore".
Dukkha da intendere sia come un sintomo che come la malattia. Nel primo senso
include tutte le perdite possibili, fisiche e mentali, "tutta la meschinit ed
angoscia senza fine", dolore e imperfezione di qualsiasi tipo a cui sono
soggetti l'umanit e tutti gli esseri viventi (senza escludere neppure le
divinit).
Cosicch Gautama non ha esposto nient'altro che un'ovvia constatazione dei
fatti. Naturalmente, potrebbe apparire che il nostro dolore nella vita sia
compensato dal piacere, e l'equilibrio dovrebbe essere assicurato, come in ogni
coppia di opposti. Ma se ci riflettiamo, comprendiamo che questo stesso
piacere la radice del dolore? perch "il dispiacere scaturisce dal flusso del
piacere dei sensi appena sia rimosso l'oggetto del desiderio sensuale".
Questo pure espresso dalle parole citate nel nostro frontespizio: Vraiement
comencent amours en ioye et fynissent en dolours; e cos pure dalle parole di
Nietzsche: "Avete mai detto "Si" a una gioia? O amici miei, allora avete anche
detto "Si" a tutta la pena".
E secondo il Dhammapada:
"Dalla gioia viene il dispiacere; dalla gioia viene il timore. Chi sia libero
dalla gioia, non prova pi dispiacere, perch, da dove gli verrebbe il timore?
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Quanto la dottrina della perpetua successione delle cause sia essenziale nel
Buddhismo, appare dal fatto che se ne parla sempre come della dottrina:
"Vi insegner il Dhamma", dice Gautama, "se questo presente, accade questo;
dal sorgere di quello, sorge questo. Se quello assente, questo non diventa;
dalla cessazione di quello, questo cessa".
Leggiamo anche che "l'analisi del Dhamma la conoscenza che riguarda le
condizioni".
Ci che Gautama insegnava aveva lo scopo di evitare le due dottrine estreme del
realismo e del nichilismo, la credenza nell'essere fenomenico e la credenza che
non ci sia assolutamente alcun processo fenomenico:
"Tutte le cose sono: questo, o Kaccana, un punto di vista esagerato. Tutte le
cose non sono: questo il secondo punto di vista estremo. Negando entrambi
questi estremi, il Tathagata insegna la norma del giusto mezzo".
Questa dottrina del giusto mezzo asserisce che ogni cosa divenire, un flusso
senza inizio (causa prima) o fine; non esiste un momento statico quando questo
divenire raggiunge l'esistenza: non appena riusciamo a concepirlo con attributi
di nome e forma, esso gi trasmigrato o diventato qualcos'altro. Invece di
un individuo c' una successione di istanti di coscienza.
"Parlando con esattezza, la durata della vita di un essere vivente
spropositatamente breve, perch dura appena il tempo di un pensiero. Esattamente
come la ruota di un carro girando fa pressione solo su un punto del cerchione, e
quando ferma si appoggia solo su un punto; esattamente nello stesso modo, la
vita di un essere vivente dura solo il tempo di un pensiero. Appena questo
pensiero cessato, l'essere vivente considerato finito. stato detto:
"L'essere di un momento passato del pensiero ha vissuto,
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pratico di escludere ogni possibile fessura che possa introdurre l'idea di una
mente o anima che sia un'unit immutabile.
Vedana la "sensazione" con il senso edonistico di piacevole, spiacevole, e
neutra, che risulta dal contatto con gli oggetti sensibili, e che produce tahna,
brama o desiderio. E data importanza al fatto "che non c' un'entit distinta
che percepisce", " solo la sensazione che percepisce o gode", e questo "per un
certo oggetto che in relazione causale con il piacere o altre sensazioni"
(Buddhaghosha). Il pensiero buddhistico non ammette un soggetto, e concentra la
sua attenzione sull'oggetto.
Sanna la percezione di qualsiasi genere, sensibile o mentale, cio,
"consapevolezza con identificazione, espressa con l'attribuzione di un nome"
(Rhys Davids).
Gli sankhara formano un gruppo composito, che include cetana, o la volont
(volizione), e una serie di cinquantuno coefficienti di qualsiasi stato di
coscienza.
Vinnana "qualsiasi consapevolezza della mente, non importa quanto generale o
astratto ne sia il contenuto".
E da notare che i termini rupa e vinnana, nella quintuplice classificazione,
sono usati in senso molto pi ampio che quando si adoperano per abbracciare
l'insieme dell'esistenza cosciente. Il sistema piuttosto laborioso dei khandha
stato in seguito sostituito da una divisione all'interno di citta, mente, e
cetasika, propriet mentali. Tutti i pensatori indiani sono, naturalmente,
d'accordo sulla natura organica e materiale della mente.
Per uno studio serio sulla mentalit dei Buddhisti il lettore pu consultare uno
qualsiasi dei due lavori della Rhys Davids sull'argomento. Bisogna far osservare
lo scopo pratico che i Buddhisti si prefiggevano con l'uso di queste
classificazioni.
"Perch", chiede Buddhaghosha, "il Sublime disse che c'erano cinque aggregati,
non uno di pi, e non uno di meno? Perch essi non solo assommano tutte le
classi di cose condizionate, ma non lasciano appigli all'anima e agli animisti;
in pi, includono tutte le altre classificazioni".
Cos i Buddhisti sembrano ammettere che il loro metodo di pensiero inventato
espressamente per provare la loro tesi. I Buddhisti avevano ovviamente ragione
ad accentuare l'importanza della complessa struttura dell'ego - un fatto che la
moderna ricerca patologica e medica ci mostra sempre maggiormente - ma questa
complessit dell'ego non tocca la questione dell'Atman brahmanico, che "non
cos, non cos".
Questo, dunque, ci che riguarda l'esposizione fondamentale dei "punti di
vista retti".
Le quattro vie
Le quattro vie sono state frequentemente menzionate. Si tratta di una
quadruplice divisione dell'ultima delle quattro verit degli Ariya. Le quattro
vie, o meglio i quattro stadi dell'unica via, sono le seguenti:
- Conversione, entrata nella corrente, che deriva dalla compagnia dei buoni,
dall'ascolto della legge, dalla riflessione illuminata, o dalla pratica della
virt. Essa dipende dall'aver riconosciuto le quattro verit degli Ariya, ed
successiva al primo gradino del semplice rifugiarsi nel Buddha, nella legge,
nell'Ordine, una formula che ripetuta da chiunque professi il Buddhismo,
compresi i molti che non sono ancora entrati nelle vie. La prima via porta alla
liberazione dall'illusione del senso dell'ego, dal dubbio sul Buddha e sulle sue
dottrine, e dalla credenza nell'efficacia assoluta di riti e cerimonie.
- La seconda via quella di coloro che vogliono tornare solamente ancora una
volta nel mondo, e in questa prossima vita raggiungere la liberazione finale. In
questa via l'individuo "convertito", gi liberatosi dai dubbi e dall'illusione
dell'individualit e del ritualismo fine a se stesso, pu ridurre al minimo gli
errori cardinali di lussuria, risentimento, e piacere.
- La terza via di quelli che non torneranno pi in questo mondo, ma
raggiungeranno la liberazione nella vita presente. Qui vengono distrutti gli
ultimi residui di passioni e risentimenti.
- La quarta via quella degli Arahat, gli Adepti; qui il Santo [o Saggio] si
libera da ogni desiderio di rinascita, sia in mondi formali che informali,
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filosofo.
Questo vantaggio messo in risalto da Sankara nella sua distinzione tra la
conoscenza esoterica ed exoterica, para e apara vidya: a Quegli che "non cos,
non cos", le qualit sono attribuite per scopo di adorazione o come mezzo di
adattamento al pensiero limitato. Quest'attribuzione di qualit, da parte del
"profano", vista dal filosofo con indulgenza, perch egli capisce che la via
Non Descrivibile, il desiderio di Ci-che-non- [qualcosa], insopportabilmente
dura. Chi non si ancora aperto una strada verso l'idealismo, non deve e non
pu fare a meno dei supporti sensibili: il Brahmanesimo, considerato come una
chiesa, si distingue dal Buddhismo di Gautama - non ancora il Buddhismo della
chiesa buddhistica - per questa tenerezza verso i suoi figli spirituali: "Che
chi conosce di pi non risvegli dubbi negli uomini pi lenti e di minor talento".
[nota: I puristi spirituali che insistono sul fatto che solo le verit assolute,
come anatta (negazione del senso dell'io), e neti, neti (non cos, non cos)
dovrebbero essere insegnate e che considerano falsa ogni interpretazione
teologica ed estetica di queste verit, dovrebbero meditare le parole del
Maestro Kassapa: "Che i pellegrini virtuosi e i Brahmani non forzino la
maturazione di chi acerbo; che essi, essendo saggi, attendano che tale
maturazione avvenga". Payasi Sutta, Dialogues of the Buddha, II, 332.]
Gautama, d'altro canto, un iconoclasta inflessibile. Predica solo agli uomini
pi elevati, capaci di accettare i concetti di dukkha, anicca, e anatta nella
loro nudit. Questa posizione gli permise di sostenere un solo e unico argomento
con compattezza indivisibile; non aveva bisogno di riconoscere anche il valore
relativo delle altre forme o gradi della verit; egli voleva rompere
completamente con il pensiero corrente assolutista ed animista.
Questa posizione metteva per lui in particolare evidenza la propria difficolt
di esprimere ci che desiderava insegnare, servendosi del linguaggio popolare ed
animistico dei tempi; e non poteva neppure evitare l'uso di tale linguaggio,
perch ci lo avrebbe reso totalmente incomprensibile. Questa difficolt pu
aver contribuito all'esitazione che egli prov nei riguardi della predicazione
della dottrina. Il metodo che fu obbligato ad adottare, stato quello di usare
espressioni correnti, ampliandole e adattandole a modo suo, ed usando parole ben
note in un senso nuovo.
Dobbiamo comunque guardarci, come dice Buddhaghosha, dal supporre che il modo di
esporre l'argomento esprima esattamente il concetto. Il termine samsara uno di
questi modi; cos che l'"erranza" per Gautama non l'erranza di una qualsiasi
cosa. Il Buddhismo non parla mai della trasmigrazione delle anime, ma solo della
trasmigrazione di caratteristiche, di una personalit senza un'individualit.
Molti sono gli esempi di cui Gautama si serve per mostrare che nessuna cosa
trasmigra da una vita all'altra. La fine di una vita e l'inizio di un'altra
differiscono appena, come genere di cambiamento, da quello che avviene quando un
ragazzo diventa un uomo; anche questa una trasmigrazione, uno spostamento un
nuovo divenire.
Tra gli esempi usati pi spesso troviamo quello della fiamma, particolarmente
adeguato. La vita una fiamma, e la trasmigrazione, il nuovo divenire, la
rinascita, la trasmissione della fiamma da un oggetto combustibile ad un
altro; solo questo, niente di pi. Se accendiamo una candela con un'altra, la
fiamma passata solo una e sempre la stessa, nel senso di una continuit
mantenuta, ma la candela non la stessa. Allo stesso scopo, se ci permessa
un'intrusione moderna, non potremmo offrire un'immagine migliore, di quella di
una serie di palle da biliardo a stretto contatto; se un'altra palla fatta
rotolare contro l'ultima palla ferma, la palla che si muove si arrester
improvvisamente, e la prima palla ferma si metter in movimento. La
trasmigrazione buddhistica consiste esattamente in questo: la palla che si muove
per prima non procede, rimane indietro, muore; ma innegabilmente il movimento
di quella palla, il suo momento, il suo kamma, e non un movimento creato ex
novo, che rinasce nella palla seguente. La "reincarnazione" buddhistica una
trasmissione senza fine di tale impulso attraverso una serie indefinita di
forme; la salvezza per il Buddhismo arrivare a comprendere che le forme, le
palle da biliardo, sono strutture composte, soggette a deperimento, e che ci
che viene trasmesso solo un impulso, una vis a tergo, che determinata da ci
che si accumulato nel passato. Sono le caratteristiche di un uomo, e non egli
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2. Rupa-loka, o Piani formali: I sedici cieli, esenti dal desiderio dei sensi,
ma condizionati dalla forma. Questi cieli sono raggiunti con la pratica dei
quattro jhana.
Kama-loka, o Piani del desiderio dei sensi (sono anch'essi Rupa-loka, ma non
Brahma-loka:
1. I sei Kama-vacara devaloka. questi cieli sono raggiunti con
buone azioni:
Divinit: Paranimitta-vasavatti.
Divinit: Nimmana rati.
Cielo di Tusita (dove Gautama Buddha risiedeva prima della sua
ora Metteya attende la sua ultima nascita.
Divinit di Yama.
Cielo di Tavatimsa (dove risiedono le Trentatr divinit con a
I quattro grandi re (guardiani dei punti cardinali, Nord, Sud,
il merito delle
nascita e dove
capo Sakka).
Est e Ovest).
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"E per finire, invece io ho detto: "Chiunque lo trovi, trova [insieme] Niente e
Tutto"; anche questo certo e vero. Ma cosa significa che egli non trova
Niente? Perch, ti dir, colui che lo trova, trova un Abisso sovrannaturale,
sovrasensibile, il quale non ha terreno o base su cui poggi, e nel quale non c'
luogo dove stia; e trova anche che nulla simile ad esso, per la qual cosa si
pu giustamente paragonarlo a Niente, perch pi profondo di qualsiasi Cosa,
ed come un Niente rispetto a Tutte le Cose, tanto pi che non pu essere
compreso da nessuna di esse. E poich non Nulla nei riguardi di qualsiasi
cosa, altres libero da Tutte le Cose, ed quell'unico Bene che l'uomo non
pu esprimere o descrivere cosa sia, perch non c' niente, a cui si possa
paragonarlo, con il quale esprimerlo.
"Ma in ci che ho detto alla fine: "Chiunque lo trovi, trova Tutto"; non c'
nulla che possa essere pi vero di una simile asserzione. E stato l'inizio di
ogni cosa; e governa tutte le cose. altres la fine di tutte le cose; per cui
comprender ogni cosa nel suo cerchio. Tutte le cose provengono da Esso, e in
Esso, e per mezzo di Esso. Se tu lo trovi, metti i piedi in quella terra dalla
quale tutte le cose traggono origine, e nella quale durano; e in essa tu sei un
Re [che regna] su tutte le opere di Dio".
V - L'etica
"Che i Fratelli non si occupino di commercio"
Theragatha, 1072
Esaminando l'argomento della morale buddhistica, non potremmo mai, in primo
luogo, dar troppo rilievo al fatto che lo scopo che si prefiggevano tanto
Gautama quanto Ges non era quello di stabilire l'ordine nel mondo.
[nota: Dhammapada, V, 412. Il Buddhista, come il Cristiano tolstoiano, non ha
fede nel governo. Leggiamo di lezioni spirituali ai prncipi, ma la "strada
della saggezza politica" chiamata "una via impura di falsit" (Jatalzamala,
XIX, 27). Il punto ulteriormente illustrato dal rifiuto di Gautama ad
intervenire quando gli giunse il messaggio che Devadatta aveva usurpato il trono
di Kapilavatthu (supra, pag. 38).]
Niente avrebbe potuto essere pi lontano dai pensieri del Buddha che il
raddrizzamento dell'ingiustizia sociale, e non si sarebbe potuto immaginare per
Colui-che-ha-raggiunto-ci un titolo meno adatto che quello di democratico o
riformatore sociale. "Un uomo saggio", dice il Dhammapada, "deve abbandonare lo
stato oscuro della vita nel mondo e perseguire lo stato luminoso della vita
monastica". Il messaggio di Gautama rivolto a coloro di cui percepisce la
potenzialit di discernimento finale gi sul punto di maturare: per questi egli
pronuncia la parola di affrancamento da cui sorge un richiamo irresistibile ad
abbandonare il mondo e a seguirlo: Nibbana.
"Questa legge appartiene al Saggio e non allo stolto".
Per i bambini e per coloro che sono come i bambini, come fa notare il Prof.
Oldenberg, le braccia del Buddha non sono aperte. Non neppure giusto per
Gautama confrontare il suo Dhamma - la norma buddhistica - con i Dharma che sono
assegnati a uomini di diverso stato sociale nell'ordine sociale brahmanico. Per
esaminare la sua dottrina senza pregiudizi dobbiamo concentrare la nostra
attenzione sul Sangha, l'Ordine, che egli ha fondato: dobbiamo comparare il suo
sistema, non con altre religioni, ma con un altro sistema monastico, e
considerare se la sua disciplina mentale e morale sia finalizzata o no a far
ottenere a chi la segue la salvezza che desidera. Certamente Gautama non credeva
che la salvezza si potesse ottenere in un altro modo, n da parte di Fratelli di
un altro ordine: perch, per coloro che seguissero un altro metodo, e per la
vasta massa dei laici si trattava solo di rinascere in condizioni favorevoli o
sfavorevoli a seconda del valore morale dei loro atti.
[nota: Il Buddhismo ha molto da dire sullo stato futuro di coloro che muoiono
senza essersi liberati, perch non si sono separati dalle condizioni che
determinano la rinascita. Come detto dalla Rhys Davids, "La massa della brava
gente ordinaria, che procede, con la pazienza e il coraggio dei mediocri
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l'Editto di Asoka, "Non esiste carit pi grande della carit del Dhamma".
Questo corrisponde anche alla convinzione di una mente occidentale cos pratica
come quella di Cromwell, la cui prima lettera esistente (come ha fatto notare
Vincent Smith) costituisce un parallelo molto vicino al detto di Asoka appena
citato:
"La costruzione di ospedali", egli scrive, "provvede ai corpi degli uomini;
costruire templi giudicato opera di piet; ma chi procura il cibo spirituale,
che costruisce i templi spirituali, sono costoro gli uomini veramente
caritatevoli, veramente pii". molto probabile che il Buddhismo pi antico non
avesse altro codice morale che quello della disciplina mentale e morale
prescritta a chi aveva rinunciato al mondo ed era entrato nelle vie. I seguenti
dieci comandamenti erano gli obblighi imposti ai Fratelli: evitare: 1. la
distruzione della vita; 2. il furto; 3. l'incontinenza sessuale; 4. la menzogna;
5. l'uso di liquori alcolici; 6. di mangiare tra i pasti; 7. la partecipazione a
divertimenti profani; 8. l'uso di unguenti e gioielli; 9. l'uso di letti elevati
o lussuosi; e, 10, il maneggio di soldi. Chi si dedicava all'insegnamento dei
Fratelli, ma restava laico, doveva obbedire alle prime cinque regole - che sono
tutte, si noter, di carattere negativo -. Ma nel caso dei laici, il terzo
comandamento inteso semplicemente come astensione dall'adulterio.
Praticamente tutte queste regole sono estratte da fonti brahmaniche. Questo
pi particolarmente evidente in altri passaggi dei libri canonici dove la
moralit laica esposta pi dettagliatamente. Quando pareri su questi argomenti
sono richiesti a Gautama o ai Fratelli, la decisione che viene presa si accorda
evidentemente con l'opinione pubblica corrente; il matrimonio e la vita
familiare non sono direttamente criticati, semplicemente fatto notare che la
vita secolare non conduce all'affrancamento da rinascite e sofferenza.
[nota: Ma la superiorit della vita errante sempre maggiormente ribadita; per
esempio: "La vita del padre di famiglia piena di impacci, una via contaminata
dalla passione; libera come l'aria la vita di chi ha rinunciato a tutte le
cose mondane. Com' difficile per l'uomo che vive in casa condurre una vita
elevata in tutta la sua pienezza, in tutta la sua purezza, in tutta la sua
brillante perfezione! Devo tagliarmi i capelli e la barba, devo rivestirmi di
abiti fulvi, e uscire dalla vita del padre di famiglia, allo stato di erranza".
Tevijja Sutta. " facile ottenere la rettitudine nella foresta, ma non per un
padre di famiglia". Jatakamala di Arya Sura XXXII.]
In alcuni libri abbiamo ovviamente una dettagliata esposizione dei reciproci
doveri di figli e genitori, marito e moglie, padrone e servo. Queste norme
stabiliscono proprio quei doveri che sono riconosciuti anche nelle opere
brahmaniche e indicano un modo di vita irreprensibile, dove dato particolare
risalto al non recar danno agli altri, sostenere i parenti, e dare in elemosina
ai Fratelli. Questa la condizione pi vicina a quella del pellegrino, che
membro dell'Ordine, ed "errante". I doveri dei laici sono esposti nel Sigalavada
Sutta per sei capi: i genitori devono allontanare i figli dal vizio, spingerli
verso la virt, far apprendere loro arti e scienze, provvederli di mogli o
mariti adeguati, e dar loro la loro eredit; i figli devono mantenere quelli che
li hanno mantenuti, adempiere ai doveri familiari, occuparsi della propriet dei
loro genitori, rendersi degni di esserne gli eredi, e finalmente onorare la loro
memoria. Gli allievi devono rispettare gli insegnanti alzandosi in loro
presenza, assecondarli, obbedendogli, rifornendoli del necessario e applicandosi
con attenzione all'apprendimento; l'insegnante deve mostrare affetto verso i
suoi allievi e indirizzarli a tutto ci che buono, insegnando loro ad
apprendere in fretta, istruendoli nella scienza e nella tradizione, parlando
bene di loro, e proteggendoli dal pericolo. Il marito deve trattare la moglie
con rispetto e gentilezza, esserle fedele, far s che sia rispettata dagli altri
e darle abiti e gioielli adeguati; essa deve tenere la casa nel dovuto ordine,
essere ospitale con parenti e amici, essere casta e parsimoniosa e in ogni cosa
comportarsi con abilit e diligenza. Un uomo deve coltivare le sue amicizie con
regali, linguaggio cortese, promuovere i loro interessi, trattare gli amici come
pari, e dividere con loro la sua prosperit; essi devono assisterlo quando in
difficolt, proteggere la sua propriet quando egli la trascura, offrirgli
rifugio in caso di bisogno, stargli vicino nella sfortuna, e mostrare gentilezza
verso la sua famiglia. Il padrone deve aver cura dei suoi dipendenti, imponendo
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perno su cui ruota l'ordine pubblico il punto in cui si separano gli interessi
pubblici dai privati. Se il popolo prevalentemente influenzato da
considerazioni di pubblico interesse, l'ordine assicurato; se lo da
considerazioni di interesse privato, il disordine inevitabile. Gli interessi
pubblici sono quelli che spingono alla debita osservanza dei doveri... Gli
interessi privati sono quelli suggeriti da motivi egoistici... Considerare gli
affari della nostra famiglia con l'attenzione che dovuta alla nostra famiglia
e i nostri affari nazionali con l'importanza che si deve alla nazione, questo
significa compiere appropriatamente il nostro dovere, ed essere guidati dalla
considerazione per l'interesse pubblico... L'egoismo insito in ogni uomo;
indulgere liberamente nei suoi confronti abbassarsi al rango di animali. E per
questo che i Saggi predicano i princpi del dovere e della propriet, della
giustizia e della moralit, mettendo freni agli scopi privati ed incoraggiando
lo spirito pubblico.... Ci che sappiamo della civilt occidentale che da
molti secoli essa si dibatte in una condizione confusa, ed ha finalmente
raggiunto un certo ordine; ma che anche quest'ordine, non essendo basato su
princpi come quello delle relazioni naturali e immutabili tra sovrano e
suddito, genitore e figlio, con i loro corrispondenti diritti e doveri,
soggetto ad un cambiamento continuo, secondo il crescere delle ambizioni e delle
mire umane. Siccome si adatta bene a persone le cui azioni sono dettate
dall'ambizione egoistica, l'adozione di questo sistema in Giappone perseguita
naturalmente da una certa classe di politici. Da un certo punto di vista
superficiale, il tipo di societ occidentale molto attraente, poich, essendo
il risultato di un libero sviluppo dei desideri umani dai tempi antichi,
rappresenta l'estremo del lusso e della stravaganza. In poche parole, lo stato
di cose che prevale nell'Occidente basato sul libero sviluppo dell'egoismo
umano, ci che pu essere raggiunto solo lasciando il dominio incontrastato a
questa qualit. In Occidente si presta poca attenzione ai disordini sociali;
tuttavia essi sono, di fatto, i segni evidenti ed i fattori del cattivo stato
presente delle cose... In Oriente, dai tempi antichi, il governo nazionale
basato sulla benevolenza, e mirato ad assicurare il benessere e la felicit del
popolo. Nessun credo politico ha mai sostenuto che l'energia intellettuale debba
essere coltivata con lo scopo di sfruttare gli inferiori e gli ignoranti...
Perch, per soddisfare i bisogni di un uomo dedito al lusso, necessaria la
fatica di mille persone. E certamente mostruoso che coloro che sono in debito
nei confronti del lavoro a cui sono dovuti i piaceri suggeriti dalla loro
civilt, dimentichino ci che devono al lavoratore, e lo trattino come se non
fosse neppure un essere umano. Ma la civilt, secondo l'Occidente, serve solo a
soddisfare uomini di smodati desideri. Non apporta benefici alle masse, perch
semplicemente un sistema sotto il quale le ambizioni combattono tra di loro per
ottenere i loro scopi... Che il sistema occidentale disturbi gravemente l'ordine
e la pace di un paese, gli uomini che hanno occhi lo vedono e gli uomini che
hanno orecchie lo sentono. Il futuro del Giappone sotto un simile sistema ci
riempie di ansiet. Un sistema basato sul principio che l'etica e la religione
sono fatte per servire l'ambizione umana si accorda naturalmente con i desideri
di individui egoisti; e teorie come quelle che sono insite nella moderna formula
di libert ed eguaglianza distruggono i rapporti stabiliti nella societ, ed
oltraggiano il decoro e la propriet... L'assoluta uguaglianza e l'assoluta
libert essendo irraggiungibili, si presuppone che i limiti prescritti dai
diritti e dai doveri siano stabiliti. Ma poich ogni persona cerca di avere pi
diritti e di essere gravata da meno doveri possibili, ne risultano dispute e
contese legali senza fine... E evidente che se i reciproci diritti degli uomini
e le loro condizioni sono fatti dipendere dal loro grado di ricchezza, la
maggioranza della gente, che non possiede ricchezza, deve rinunciare a veder
stabiliti i suoi diritti; e poich la minoranza costituita da chi ricco
accamper i suoi diritti, con l'approvazione della societ, estorcer ingiusti
doveri dal povero, trascurando i dettami dell'umanit e della benevolenza.
L'adozione di questi princpi di libert in Giappone corromperebbe gli usi buoni
e pacifici del nostro paese, renderebbe la gente predisposta all'aridit e
all'insensibilit, e sarebbe finalmente una fonte di disgrazia per le masse...
Bench al primo sguardo la civilt occidentale presenti un'apparenza attraente,
adattata com' alla gratificazione dei desideri individuali, essa per, poich
si basa sull'ipotesi che i desideri degli uomini costituiscano leggi naturali,
votata a finire nella delusione e nella demoralizzazione... Le nazioni
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occidentali sono divenute quello che sono dopo essere passate attraverso
conflitti e vicissitudini di tipo estremamente grave... Il disordine perpetuo
la loro sorte. L'uguaglianza pacifica non potr mai essere raggiunta a meno che
non sia costruita sulle rovine degli stati occidentali distrutti e sulle ceneri
delle popolazioni occidentali".
VI - La coscienza
Il Buddhismo stato spesso criticato in quanto, mentre il suo codice morale
ammirevole, esso non prende provvedimenti punitivi, o non abbastanza, per la
moralit. Possiamo dire prima di tutto che poich l'"individuo" non esiste, non
si pu parlare di ricompense o punizioni per l'individuo, e pertanto non possono
esistere per la moralit sanzioni basate su ricompense o punizioni che
colpiscano l'individuo nel futuro. N il Buddhismo nomina un Dio che abbia
emanato tavole della legge investite di autorit soprannaturale. Il vero
Buddhista, quindi, non ha bisogno di essere forzato dalla speranza del paradiso
o dal timore dell'inferno; egli non pu neppure immaginare una ricompensa pi
alta di quella della ragione, (intesa nel senso di Verit).
[nota: Chi non ammette la sufficienza della ragione non pu essere chiamato
Buddhista; nello stesso tempo non si pu concludere da questo a priori, che per
i veri Buddhisti, la ragione non debba essere una ricompensa sufficiente. Come
detto da C. A. F. Rhys Davids (Psalms of the Sisters, pag. XXIX), "Siamo sicuri
di aver stimato al loro giusto valore tutti i cuori umani ed ogni tocco al quale
essi rispondono?)" E notevole che nei trentaquattro Editti di Asoka che
stabiliscono il comportamento morale, ci sia solo un'allusione alla parola di
Buddha come tale; l'unica sanzione, nel senso di motivazione per la moralit,
il benessere comune e dell'individuo. L'idea di sostenere il benessere di tutti
gli esseri profondamente radicata nella mentalit indiana, ed un'attivit
mirata a questo scopo poco probabilmente richiederebbe una motivazione ulteriore
sia da parte dei Buddhisti che dei Brahmani.]
Poich il Buddhismo essenzialmente un sistema pratico, psicologico ed etico,
pi che filosofico e religioso, esso pu giustamente chiedere di essere
giudicato dai suoi frutti, e non ha da temere paragoni.
Si far comunque un po' di luce sul pensiero buddhistico se ci chiederemo a cosa
corrisponda la "coscienza" nel Buddhismo. La coscienza - per definire la parola
nelle lingue europee - un giudizio interno e morale sulle intenzioni e le
azioni dell'individuo, e come tale un innegabile fatto di consapevolezza; essa
riporta automaticamente e immediatamente tutte le attivit ad un modello morale.
In un sistema teistico come quelli semitici questo modello morale formulato in
una serie di comandamenti; nel sistema ateistico di autoaffermazione che
implicitamente riconosciuto nelle societ concorrenziali (l'industrialismo
moderno) esistono comandamenti simili, ma fatti dall'uomo e registrati in codici
legali; qui chi non infrange la legge ha una buona coscienza. In sistemi
idealistici come quello di Ges, il modello morale riassunto nel principio di
amare il proprio prossimo come se stessi, una posizione che i monisti
giustificano aggiungendo: "Perch il tuo prossimo, in realt, sei tu stesso".
Conseguentemente, nella sua forma pi bassa, la coscienza, che si pu
riconoscere anche in certi animali inferiori, consiste in qualcosa di pi che la
paura della punizione, che, comunque, pu facilmente svilupparsi in un senso di
"colpa" che non dipende assolutamente dal timore, e che in larga parte un
effetto delle convenzioni. Un altro aspetto pi elevato della coscienza basato
sulla ragione, sulla conoscenza di causa ed effetto - una piena comprensione che
le cattive azioni devono presto o tardi ricadere su chi le ha compiute, e sulla
riflessione, d'altra parte, che tutti gli esseri hanno una natura simile, e
quindi, che dev'essere giusto comportarsi con gli altri come si vorrebbe che gli
altri si comportassero con noi stessi. Una terza forma ancora pi elevata di
coscienza deriva dall'intuizione (ovvero dalla presa di coscienza)
dell'identit: una cattiva coscienza significa allora il riconoscimento di un
movente egoistico che equivale a una negazione della relazione interna di unit
di cui la coscienza testimone.
Il sati buddhistico, concentrazione o raccoglimento, si deve identificare con la
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coscienza basata sulla ragione. Essa non agisce spinta dalla paura delle
conseguenze, ma per il senso dell'inutilit di porre ostacoli al progresso
spirituale. Chi concentrato ricorda (riporta alla mente) la legge naturale,
cio l'entrata-nell'esistenza come risultato di una causa, e la nuova-dipartita,
di tutti i fenomeni, fisici o mentali. Agire come se l'azione del divenire non
fosse reale sarebbe da pazzi, sentimentali, sviati. Chi realizza "che tutte le
esistenze sono non-ego", non pu agire per interessi egoistici, perch non
conosce ego. Per molte menti occidentali pu sembrare che essere sempre memori
dell'impermanenza non possa essere una sanzione sufficiente per la moralit. Non
si pu comunque pretendere che una simile sanzione sia sufficiente per tutti.
Coloro, per esempio - forse la maggioranza dei Buddhisti professanti - che
stimano che esista un paradiso da raggiungere dopo la morte, compiono azioni
meritevoli per raggiungerlo. Ma per coloro che comprendono il vero significato
del Nibbana, il comportamento etico dettato da un imperativo categorico ed
interiore, "a causa del Nibbana".
[nota: Shikshasamuccaya di Shanti Deva versi 21, 23: "Rendi puro il tuo merito
con azioni piene dello spirito di sensibilit e col vuoto... l'aumento di
piacere deriva dall'elemosina piena della sensibilit e del vuoto".]
Poich il bene pi alto una condizione della mente (la condizione mentale
dell'Arahat, che liberato dal desiderio, dal risentimento e dal piacere), ogni
attivit etica giudicata come un mezzo per raggiungere questo stato. Una
cattiva coscienza, quindi, uno stato di peccato, considerato dal Buddhista
come una condizione mentale contraria al Nibbana.
Pu sembrare che "a causa del Nibbana" non sia una sufficiente motivazione
etica. Nello stesso modo anche il vero Buddhista potrebbe non riuscire a capire
la forza del cristiano "Sia fatta la Tua volont", "A modo Tuo, non mio,
Signore" o della rassegnazione che esprime la parola "Islam". Ma tutte queste
espressioni si riferiscono comunque alla stessa esperienza interiore, che il
Sufi ci menziona dicendo: "Chi non ha rinunciato alla (propria) volont, non ha
volont". E molto probabile che la forza di queste affermazioni non possa mai
essere completamente chiara per chi non ha gi sperimentato almeno l'inizio del
rivolgimento della volont individuale dall'affermazione alla negazione. E in
ragione di quanto un uomo permette ai suoi pensieri ed alle sue azioni di essere
determinati da moventi impersonali - la motivazione di anatta e del Nibbana,
come direbbe un Buddhista - che egli comincia a gustare una pace che oltrepassa
la comprensione. questa pace che si trova nel cuore di ogni religione, e il
Buddhismo pu proclamare a ragione che il principio "a causa del Nibbana"
sufficiente a rispondere affermativamente alla domanda se il sistema di Gautama
si possa descrivere come una religione (sebbene questa espressione si attagli
maggiormente al Mahayana che al pensiero originario). Questo aspetto della
coscienza che proibisce le cattive azioni - si ricorder che la maggior parte
dei primi comandamenti buddhistici sono negativi - , allora, sati, o la
concentrazione. C', comunque, un altro lato della coscienza che obbliga
l'individuo non solo a trattenersi dal far del male agli altri, ma a darsi da
fare per il loro vantaggio, in accordo con il principio che l'amore non mai
senza un effetto: si parla di questo nel Buddhismo del Mahayana, come del bodhicitta, o cuore dell'illuminazione. Questo differisce dal sati principalmente per
la sua spontaneit; un modo di essere che non deriva dalla riflessione, ma
dall'armonia della volont dell'individuo con la saggezza e l'attivit dei
Buddha. Di questa condizione si parla a volte in libri occidentali di
edificazione come di uno stato di grazia, o pi comunemente, come dello stato di
"essere in sintonia con l'infinito". Il senso di "bodhi-citta" reso
eccellentemente dall'idea di "germe d'eternit" di Feltham: questa espressione
la pi appropriata, perch il risveglio del bodhi-citta rappresentato
poeticamente nella letteratura buddhistica come lo sbocciare del loto del cuore.
[nota: "La Coscienza, la caratteristica di un Dio stampata in essa e
l'intuizione dell'Eternit provano tutte che essa sia un germe d'eternit".
Resolves, di Feltham.]
Le due condizioni mentali che nel Buddhismo corrispondono all'idea occidentale
di coscienza sono, quindi, la concentrazione, e l'amore; ed da queste
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condizioni che derivano tutte le concezioni del bene che sono definite per
esteso nei passi buddhistici sulla morale.
VII - Gli esercizi spirituali
Una parte definita del lavoro quotidiano dei membri del Sangha - sia Fratelli
che Sorelle - consisteva nella pratica di determinate meditazioni. Le modalit
di queste meditazioni si differenziano solo in dettagli minori da quelle che
sono praticate regolarmente dagli asceti indiani di altra forma tradizionale.
Seguendo una caratteristica sistematizzazione, questi metodi di allenamento del
cuore e del mentale sono spesso contati come quarantaquattro. Quanto
essenzialmente autodisciplinare sia lo scopo di queste pratiche di meditazione
appare dal fatto che alcune sono indicate per persone di un determinato
temperamento ed altre per chi ha un temperamento diverso. Ho deliberatamente
chiamato queste meditazioni un "lavoro", perch importante capire che non
stiamo parlando di qualcosa che abbia il carattere di un sogno ad occhi aperti o
di castelli in aria, ma di un rigoroso sistema di allenamento mentale, basato su
un'elaborata psicologia, e ben calcolato - ora con l'autosuggestione, ora con
profonda concentrazione - per produrre il tipo di risultato a cui si tende.
La disciplina del cuore
Le prime meditazioni sono di carattere etico, e per certi aspetti possono essere
paragonate alla preghiera. Esse consistono nell'incoraggiare gli stati d'animo
(bhavana) di benevolenza amorevole, compassione, simpatia e imparzialit (metta,
karuna, mudita e upekkha). Questi ultimi sono chiamati i quattro Stati d'animo
Illimitati e Sublimi (Brahmavihara). La meditazione sulla benevolenza amorevole,
per esempio, consiste nell'ampliamento di questo sentimento, nell'irraggiamento
attivo della buona volont in tutte le direzioni e verso ogni forma di vita: e
chiunque praticher anche questo solo esercizio buddhistico quotidianamente ad
un'ora fissa, per un tempo determinato, e con completa concentrazione, anche se
conosce poco altro del Buddhismo, potr giudicare da s a quale sviluppo del
carattere esso tende.
Forse capiremo meglio cosa significano veramente i quattro Sublimi Stati d'animo
considerando i loro equivalenti nel pensiero di un moderno.
Quando Walt Whitman dice:
Non ti chiedo chi sei, non m'importa,
non puoi fare nulla, n esser nulla
di pi di come ti comprendo,
e
Quando do, do me stesso,
questo metta.
Quando dice:
Non chiedo al ferito come si sente,
divento io stesso la persona ferita,
le mie piaghe illividiscono mentre
appoggiato a una canna lo osservo,
questo karuna.
Quando dice:
Capisco i cuori grandi degli eroi,
il coraggio dei tempi presenti e di tutti i tempi...
Io sono l'uomo, io ho sofferto, io c'ero,
questo mudita.
Quando dice:
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Sublimi sono sorpassati, in quanto essi sono diretti ad altre persone, mentre il
pensiero dei pi avanzati diretto solamente verso il Nibbana. Per la
realizzazione del Nibbana non occorre sbarazzarsi solamente delle cattive
condizioni mentali, ma anche di quelle buone. Le prime portano a rinascere in
condizioni sgradevoli, e le altre a rinascere in condizioni favorevoli; ma non
costituiscono in tutti i casi la conoscenza liberatrice che d l'affrancamento
totale. Nel Buddha-carita di Asvaghosha (VII, 25) riportato che il Buddha
parlava di questi sforzi nel modo seguente:
"Non biasimo lo sforzo in se stesso, che scarta le bassezze, e cos prosegue per
una propria via elevata; ma disapprovo che il Saggio si dedichi a questo compito
ordinario, mentre dovrebbe cercare di raggiungere lo stato in cui nulla deve mai
pi essere rifatto".
Jhana
Un ulteriore gruppo di meditazioni consiste nei jhana o pi esattamente dhyana;
anche queste sono discipline di concentrazione ed astrazione quasi identiche a
quelle che sono meglio note come appartenenti allo Yoga.
"Sarai dunque beato" dice Boehme, "se riesci a smettere di pensare e di volere
in modo individuale, e se riesci a fermare la ruota della tua immaginazione e
dei tuoi sensi; poich a causa di ci puoi arrivare infine a vedere la grande
Salvezza di Dio, ed esser reso capace di ogni tipo di percezione divina e di
comunicazione celeste. Giacch in verit nulla ti ostacola in ci se non il tuo
proprio udito e la tua propria volont".
Proprio come il mistico cerca di astrarsi dall'attivit mentale, per conoscere
meglio la realt una, cos il Buddhista pratica esercizi di astrazione per
potersi liberare dal pensiero individuale e poter conoscere le cose come sono
realmente. Se omettiamo le due parole "di Dio" nell'ultima citazione, o se
ricordiamo che Dio nessuna cosa, essa esprimer esattamente le caratteristiche
e lo scopo ultimo dei jhana buddhistici.
Una serie di questi ultimi consiste nella meditazione su alcuni oggetti
determinati - per esempio, un cerchio di terra liscia in modo da separarsi da
ogni appetito o impulso in relazione ad essi. Questo esercizio ricorda
l'indifferenza della contemplazione estetica, dove lo spettatore "si libera da
se stesso"; il jhana buddhistico mira a raggiungere lo stesso risultato in modo
pi meccanico. Questa contemplazione spiana la via verso scopi pi elevati, e di
per se stessa porta ad una rinascita favorevole nel Cielo della forma ideale
(Rupa-loka). Lo stato di rapimento che ne risulta diviso in quattro o cinque
fasi.
Un'ulteriore serie, che assicura la rinascita nel Cielo informale (Arupa-loka),
consiste nella realizzazione successiva delle stazioni dell'indefinit dello
spazio, dell'indefinit dell'intellezione, del vuoto della non-coscienza-e-nonincoscienza. In questi esercizi l'aspirante assapora, se cos si pu dire, il
gusto anticipato dei mondi del ridivenire ai quali le sue caratteristiche lo
porteranno dopo la morte; in quei momenti, naturalmente, ha gi avuto accesso a
quei mondi.
Questi esercizi, comunque, non conducono direttamente e immediatamente al
Nibbana, ma solo al ri-divenire nelle condizioni pi ideali degli altri mondi
superiori. Oltre queste stazioni si trova la pratica del "pensiero rivolto al
mondo aldil" (lokuttaram cittam). Il metodo non differisce notevolmente da
quelli descritti in precedenza, ma senza il pensiero o desiderio di qualsiasi
altro mondo, sia formale che informale, ed perseguito soltanto con lo scopo di
raggiungere la perfezione della conoscenza qui ed ora. Per questa ragione,
nonostante la similitudine di metodo, gli autori buddhistici tracciano una netta
distinzione tra il jhana che conduce direttamente al Nibbana e quei jhana che
conducono semplicemente alla rinascita nei Cieli di Brahma, formali o informali.
Bisogna menzionare qui anche il termine samadhi, che indicava originariamente
qualsiasi meditazione profonda, o concentrazione su un oggetto sacro;
""citt'ekaggata", lo stato del mentale concentrato in un unico punto, un
sinonimo di samadhi... questo samadhi, che chiamato autoconcentrazione, ha
come segno caratteristico l'assenza di dispersione, di distrazione... e come
conseguenze, la calma, o la saggezza... e la naturalezza" [Commento del DhammaSangani].
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sia asceti che padri di famiglia, con donazioni e varie forme di rispetto. La
Sua Sacra Maest, in tutti i casi, non si preoccupa molto dei regali o della
venerazione esteriore quanto, invece, che ci sia un aumento nell'essenza di
contenuto in tutte le forme tradizionali. L'aumento dell'essenza di contenuto
assume varie forme, ma la radice di esso il controllo delle parole; vale a
dire che un uomo non deve riverire la sua particolare tradizione o disprezzare
quella di un altro senza ragione. Il disprezzo pu esserci solo per ragioni
precise, perch le forme tradizionali di altra gente meritano tutte rispetto per
un motivo o per un altro... Chi onora la propria tradizione e disprezza le
tradizioni degli altri unicamente per attaccamento alla sua, e con l'intento di
elevare lo splendore della sua propria tradizione, in realt con una simile
condotta infligge il peggior danno proprio alla sua.
[nota: Colui, cio, secondo le parole di Schopenhauer, che "si sforza con ogni
mezzo di provare che i dogmi della credenza estranea non sono in accordo con
quelli della sua, per spiegare che non solo essi non dicono la stessa cosa, ma
certamente non intendono ci che intende la sua". Con questo egli immagina nella
sua semplicit di aver provato la falsit delle dottrine della fede estranea.
Non gli capita assolutamente mai di chiedersi quale delle due sia giusta. Ho
conosciuto una volta un Inglese, ardente sostenitore delle missioni straniere,
il quale mi informava che un Ind era un Buddhista che adorava Muhammad. La
politica di tolleranza di Asoka quella che ha sempre prevalso in India.
Vediamo, per esempio: "Che ogni uomo, per quanto ne sia in grado, favorisca la
comprensione delle scritture, sia della sua tradizione, sia di quelle di altre"
(Bhakta-kalpadruma, di Pratapa Simha, 1866). L'unico vero missionario colui
che porta punti di sostegno alle scritture degli altri, trovati nei suoi propri
testi. Pi si conoscono le varie fedi, pi diventa impossibile distinguerle una
dall'altra; e nessuna tradizione potrebbe essere vera, se non contenesse ci che
contengono anche le altre tradizioni. "Questi sono veramente i pensieri di tutti
gli uomini di tutte le epoche e paesi; essi non sono nuovi per me. Se non sono
tanto tuoi quanto miei, non sono niente, o quasi niente". Walt Whitman.]
La concordia, dunque, meritoria; il che significa, cio, ascoltare, ed
ascoltare volentieri, la legge della piet riconosciuta da un altro popolo. Per
questo desiderio della Sua Sacra Maest che i fedeli di qualsiasi forma
dispongano di molto insegnamento e si attengano ad una dottrina valida".
Comunque non bisogna arrivare a supporre che i Buddhisti iniziali estendessero
l'idea della tolleranza al punto di credere che fosse possibile ottenere la
salvezza altrimenti che con la dottrina e la disciplina insegnate espressamente
da Gautama. L'eresia, invece, considerata come un peccato che porta alla
dannazione, e che si deve espiare nei purgatori. Gli Ajivika sono considerati
particolarmente empi, e Gautama alla domanda se uno di loro potesse raggiungere
il cielo dopo la morte - per non parlare del Nibbana - risponde:
"Nei novantun periodi cosmici, o Vatsya, che ricordo, so di un unico Ajivika che
avesse raggiunto il cielo e che riconobbe la realt del kamma e l'efficacia dei
nostri riti".
"Le dottrine degli altri Maestri sono vuote", dice Gautama, "prive di veri
Santi", un punto di vista a cui il Fratello Nagita fa eco con questi versi:
Fuori dal nostro Ordine ci sono molti altri, che insegnano
una via che, mai, come questa conduce al Nibbana.
Il libero pensiero non era comunque tollerato all'interno dell'Ordine.
L'obiettivo globale dei concili buddhistici, cos come la stesura finale del
Canone pali, era di definire la giusta dottrina e di sradicare quella falsa. I
Fratelli eretici furono scomunicati; e questo appare con molta evidenza in
alcuni Editti di Asoka, che stabiliscono che non bisogna allontanarsi dalla via
della tradizione del Buddha, e che chi infrange l'unit tradizionale dev'essere
allontanato dall'Ordine ed esiliato dai Fratelli.
[nota: R: F: Johnston non perci completamente nel giusto quando dice che
l'espulsione dall'Ordine non mai inflitta per libert di pensiero o infedelt.
Buddhist China, pag. 308.]
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dello Zen, insegnato dai loro Maestri della foresta per comprendere l'unit
della vita, i quali avevano gi udito il Discorso dei Boschi, ed erano gi
passati attraverso l'isolamento spirituale dell'Arahat e del Pacceka Buddha.
Che la cultura iniziale del Buddhismo sia ancora lontana da un reale rapporto di
intimit con l'ipseit del mondo appare dalla sua mancanza di simpatia per la
natura umana. impossibile pretendere da una regola monastica che include quale
pratica essenziale la meditazione sulla sozzura delle cose, una simpatia reale
per la natura: incoerente provare piacere per il modo di vivere delle creature
selvatiche dei boschi, ed allontanarsi con disprezzo dalla nobilt e
dall'innocenza dell'uomo. E uno strano modo di guardare alla natura quello che
considera il corpo umano come "impuro, puzzolente, pieno di lordura", una "forma
spiacevole" e "un oggetto putrido", e che cerca di indurre al disgusto per i
corpi sani con la contemplazione di carogne in decomposizione. "Questo vile
corpo" dice Sorella Vijaya, "mi causa solo pena e vergogna".
Nessuno vorr negare che le verit del Buddhismo originario siano reali, o che
l'importanza accordata ad anicca (caducit), ad anatta (l'anima non eterna), e
al pensiero della salvezza qui ed ora, costituiscano una spinta permanente alla
nostra comprensione delle "cose come esse sono realmente"; e difficilmente
potremmo essere troppo grati per la condanna del sentimentalismo come un peccato
cardinale. Ma i primi Buddhisti, come numerosi altri entusiasti, facevano uso
degli aspetti della verit che erano loro propri per negare quelli degli altri:
erano cos convinti dei dispiaceri del mondo che non potevano simpatizzare con
le sue gioie. Dicendo questo, non dimentico il sublime stato d'animo di mudita,
ma ricordo anche che la prima letteratura buddhistica in generale piena di un
disprezzo del mondo che inevitabilmente impedisce qualsiasi partecipazione alle
sue speranze e ai suoi timori. Il Buddhismo originario non si associa alle
speranze e ai timori di questa vita: cerca solo di mostrare il rifugio da
entrambi, e la sua simpatia si rivolge agli sforzi di chi ancora prigioniero
di questi affanni. I primi Buddhisti non potevano comprendere il pensiero che
"l'essenza del dolce piacere non pu mai essere contaminata". D'altronde non
dobbiamo permetterci di spingere troppo oltre questa critica alle lacune del
Buddhismo originario. Ricordiamo una volta ancora che non si tratta di una
religione per laici, ma di una regola per monaci, che come tale, anche se
severa, ragionevole ed equilibrata, e ben studiata per coltivare il nobile
genere di carattere desiderato. Dobbiamo anche ricordare che Gautama non era
l'unico ad essere puritano; tale era la predisposizione intellettuale della sua
epoca, ed essa si riflette tanto nei testi brahmanici e jaina quanto in quelli
buddhistici, e sopravvive come una tendenza del pensiero indiano fino ai giorni
nostri, anche se meno preponderante tra le altre. L'estetica generale (non solo
buddhistica) dell'epoca di Gautama, inoltre, era pienamente edonistica. Non si
immaginava che la musica o l'arte plastica, considerate secolari, potessero
avere un'attrattiva diversa da quella soltanto sensibile, o che, considerate
come rituali, potessero servire ad uno scopo pi spirituale che quello di
piacere alle divinit o di essere utili per i bisogni del mago. Era anche
un'epoca in cui la civilt era molto sviluppata dal punto di vista materiale, e
soprattutto in quelle classi in cui hanno avuto origine i movimenti
dell'atmanesimo e del Buddhismo vi era un lusso esagerato per quanto semplice.
Quindi la prima reazione naturale della mente era quella di sfuggire alla
schiavit dei sensi con l'ascetismo, tagliandosi di netto, per cos dire, le
mani, e strappandosi gli occhi. Tra tanti altri che sentirono questo impulso,
Gautama si distingueva per la sua moderazione.
Dobbiamo comunque considerare quest'epoca indiana di ascetismo quasi un utile
periodo brahmacarya, la severa e spartana prima educazione del futuro padre di
famiglia, compiuto in conformit con la disciplina delle verit finali di anatta
e neti, neti. Come ha fatto notare uno dei pi severi critici del Buddhismo
originario:
"L'ascetismo e il puritanesimo sono mezzi quasi indispensabili per educare e
rendere nobile una razza che cerca di sollevarsi dalla sua bassezza ereditaria e
di lavorare per una supremazia futura". Nei secoli successivi la razza (per
"razza" non intendo qui niente di pi della successione di individui che hanno
fatto parte della cultura indo-ariana) che aveva con questi mezzi raggiunto la
maturit spirituale con la conoscenza di se stessa e con l'autocontrollo, pot
permettersi un rilassamento della disciplina monastica, rilassamento
proporzionato alla sua crescente capacita di accoppiare la rinuncia con il dolce
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per i suoi sudditi, e parla con autorit paterna. D una grandissima importanza
alla tolleranza religiosa e al dovere del rispetto verso coloro a cui spetta per
anzianit o posizione; e sostiene vigorosamente l'inviolabilit della vita
animale. D'altra parte non tenta di abolire la pena capitale. Rispetto,
compassione, sincerit e simpatia sono le virt cardinali. Gli effetti pi
notevoli, permanenti e di grande portata delle attivit di Asoka sono quelli che
risultarono dalle sue missioni all'estero. Questa affermazione dev'essere
interpretata in senso moderno-evangelico e non politico: infatti vediamo che,
non soddisfatto di predicare il Dhamma ai propri sudditi, Asoka invi missionari
imperiali in tutte le altre parti dell'India, a Ceylon, e poi in Siria, Egitto,
Cirenaica, Macedonia ed Epiro; e questi missionari erano incaricati di
diffondere, oltre al Dhamma buddhistico, anche la conoscenza di utili medicine.
Si deve pi ad Asoka che a qualsiasi altro individuo se il Buddhismo divenuto
ed restato a lungo la forma tradizionale predominante dell'India, e certo
anche dell'Asia, e se ancora ai nostri giorni conta pi aderenti di qualsiasi
altra fede.
La conversione di Ceylon documentata nelle Cronache di Ceylon con una
ricchezza di dettagli pittoreschi che parzialmente confermata dalle scoperte
archeologiche dell'India settentrionale, ma che non pu essere considerata
storica in toto. In particolare, riportato che il capo della missione di Asoka
a Ceylon era un suo figlio chiamato Mahendra, che convert il re di Ceylon e
40.000 dei suoi sudditi. Per far s che anche la principessa Anula ed altre
donne potessero essere ordinate, un'ambasciata di ritorno fu inviata a
richiedere che si mandasse la figlia di Asoka, Sanghamitta, con un ramo del
sacro albero bodhi, da piantare a Ceylon. Si sostiene che il sacro albero bodhi,
ancora conservato ad Anuradhapura a Ceylon, sia quello stesso ramo che ora
diventato il pi vecchio albero storico del mondo. La principessa fu debitamente
ordinata da Sanghamitta e divenne un'Arahat. Nella realt dei fatti la
conversione di Ceylon dev'essere avvenuta in modo pi graduale di quanto viene
raccontato, ma non c' dubbio che ci furono scambi di ambasciate e conversioni.
I Singalesi - non, naturalmente, i Tamil che occupano una gran parte del Nord
dell'isola - sono rimasti Buddhisti fino ai giorni nostri, e nella maggior
parte, sebbene non nella totalit, di ortodossa fede Hinayana.
Dobbiamo pensare ad Asoka anche come a un grande amministratore e a un gran
costruttore. Il suo impero comprendeva quasi tutta l'India e l'Afghanistan, la
cui amministrazione era gi molto ben organizzata sia come registrazione che
come azione esecutiva. Con energia instancabile Asoka si imbarc
nell'impossibile compito di controllare personalmente tutti gli affari di
governo:
"Non sono mai pienamente soddisfatto", dice, "dei miei sforzi e della mia
conduzione degli affari".
La caratteristica essenziale della sua condizione di governo un dispotismo
paterno. Che abbia governato con successo un impero cos vasto per quarant'anni
una prova della sua abilit, come le parole dei suoi Editti lo sono della sua
forza di carattere - che si potrebbe paragonare a quella di Cromwell e
Costantino - e della sua piet pratica.
Abbiamo gi detto che gli Editti furono scolpiti sulla pietra, e che molti di
essi sono sopravvissuti fino a oggi. Alcuni sono incisi su colonne monolitiche;
quella che di gran lunga la pi bella la colonna scoperta recentemente a
Sarnath, tra i monasteri, nella localit del vecchio Parco dei Cervi di Benares,
dove Gautama pronunci il suo primo discorso. La colonna sormontata da un
capitello con leoni, con una fascia a bassorilievo che rappresenta un cavallo,
un leone, un toro, un elefante, e la Ruota della Legge. Il tutto poggia su una
base a forma di campana di genere persiano, come appare anche altrove
nell'architettura dello stesso periodo. L'insieme un'opera artigianale di
straordinaria perfezione, che per la finitezza pu essere paragonata solo con
l'accurata finizione di alcune opere murarie di Asoka, e con le superfici
levigate di alcune celle scavate nella roccia, che Asoka aveva destinato all'uso
degli Ajivika: e non dobbiamo dimenticare l'abilit ingegneristica che
comportava il trasporto e l'erezione: spesso pilastri monolitici che potevano
anche pesare una cinquantina di tonnellate si trovavano a centinaia di miglia
dai cantieri.
La capitale di Asoka a Pataliputra (gli scavi archeologici in questa zona sono
attualmente in fare di esecuzione), ora Patna, descritta nel modo seguente dal
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non conosce [in modo distintivo, analitico]; poich per il Conoscitore non c'
interruzione di conoscenza; perch imperituro... Egli sta immobile nell'oceano
tumultuoso, come uno spettatore, solo e senza compagno, colui il cui mondo
Brahman. Questa la sua pi alta meta, questa la sua massima gioia, questo
il suo mondo pi elevato, questa la sua beatitudine suprema".
Chi non si liberato in questo modo, ed ancora soggetto al desiderio,
Dopo aver ricevuto la ricompensa
per tutto ci che ha qui compiuto,
torna da quell'altro mondo
al basso mondo delle azioni.
Ma "chi senza desiderio, libero dal desiderio, il cui desiderio placato, che
lui stesso l'oggetto del suo desiderio, i suoi spiriti vitali non
l'abbandonano; egli Brahman e in Brahman si riassorbe":
Quando ogni passione se n' del tutto andata
che nel cuore umano si nasconde e annida,
trova allora il mortale, l'immortalit,
allora giunto egli a Brahman, il Supremo.
Il frutto naturale della liberazione in questa vita l'ascetismo, per cui:
"Gli antichi sapevano questo, quando non aspiravano ad avere discendenti,
dicendo: "Perch dovremmo desiderare discendenti, noi il cui s l'universo?" E
cessavano di desiderare figli, di desiderare possessi, di desiderare il mondo,
ed erravano come mendicanti. Perch il desiderio di figli desiderio di
possesso, il desiderio di possesso desiderio del mondo; perch tutti questi
sono semplici desideri. Ma Egli, l'Atman, "non cos, non cos"".
Vi un'altra stazione, chiamata "La Quarta", che trascende sia il Non-Essere
che l'Essere. Questa stazione indicata nel mantra "Om", e corrisponde alla
concezione occidentale dell'Eterno Riposo e dell'Opera Eterna come aspetti
simultanei dell'Unit. Come questa stazione differisca dal sonno profondo si
capir dai versi di Gaudapada:
Ai
un
n
li
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silenzioso. Interrogato nuovamente una seconda e una terza volta, alla fine
rispose:
"In effetti io ti sto insegnando, ma tu non capisci; questo Brahman silenzio".
Giacch quell'Atman di cui si dice: "Quello sei Tu" non il corpo e neppure
l'"anima" individuale, non un oggetto di conoscenza, ma, come il futuro stato
dell'Arahat, sta dall'altra parte dell'esperienza, invisibile, inesprimibile e
insondabile. Che il Brahman non possa essere conosciuto affermato
ripetutamente nelle Upanishad:
Quello che l'occhio non penetra, n il discorso, n il pensiero,
che resta sconosciuto, e che noi non vediamo,
come si potrebbe darcene informazione?
Non con il discorso, non con il pensiero,
non con la vista pu essere compreso,
Egli !
Con questa parola lo si comprende, e non in altro modo.
Esiste ancora molta confusione tra gli esponenti del Buddhismo a proposito di
ci che significhi realmente la dottrina dell'Atman. La formula dell'identit,
"Quello sei Tu", distorta irrimediabilmente dalla Rhys Davids quando scrive:
"L'argomento anti-atta del Buddhismo principalmente e costantemente diretto
contro la nozione di un'anima che era non solo un essere persistente,
immutabile, beato, che trasmigrava, ed era al disopra dei fenomeni, ma che era
anche un essere in cui il supremo Atman, o anima del mondo, era immanente, uno
con esso in essenza, e costituente il fattore corporeo o mentale che dettava il
suo fiat".
[nota: C. A. F. Rhys Davids, Buddhist Psycology, 1914, pag. 31. L'Atman
precisamente ci che non trasmigra. La parola "fiat" pare qui essere riferita
alla concezione del Brahman quale guida interna (antaryamin) e dell'universo
come conseguenza del suo ordine (prasasanam), ad esempio in Brihadaranyaka, 3,
8, 9. Ma in questo caso l'espressione male interpretata. La "guida interna"
l'imperativo categorico, la pi alta forma di coscienza, che possiamo paragonare
alla sanzione buddhistica "a causa del Nibbana"; mentre l'"ordine"
quell'ipseit (tattva) per cui ogni cosa diventa come diventa.]
Questa confusione non appartiene al Vedanta com'esso inteso dai Vedantini.
Forse i Buddhisti hanno sempre commesso l'errore di sottovalutare l'intelligenza
dei loro avversari. Possiamo solo dire che l'alto valore intrinseco del pensiero
buddhista non ha bisogno di una spuria giustificazione, ottenuta per confronto
con le forme popolari e non qualificate del Brahmanesimo. Ci che migliore
deve essere comparato con il migliore se lo si vuole veramente far conoscere
come tale.
Molto probabilmente i Buddhisti indicherebbero come animistici, passi come
questo della Bhagavad Gita, II, 22: "Come un uomo mette da parte gli abiti
consumati e ne indossa altri nuovi, cos ci che risiede nel corpo lascia il
corpo usato e va ad un altro nuovo", nonostante sia costantemente affermato
lungo tutto lo stesso capitolo che Quello "non mai nato e non muore mai". Ma
anche i Buddhisti sono costretti a far uso della fraseologia corrente, e sebbene
non intendano parlare della trasmigrazione di un'anima, anch'essi non possono
evitare di dire che quando qualcuno muore, "egli" rinasce in una nuova vita, e
nei Pitaka "ci sembra di scorgere la credenza nella trasmigrazione di un'anima
che si sposta, proprio quanto lo vediamo nei libri delle fedi animistiche".
Buddhaghosha commenta a questo proposito: "Sarebbe pi corretto non usare
espressioni comuni per esprimere il concetto", e "dobbiamo far attenzione" a non
credere che questi modi di dire esprimano ci che appare. Le difficolt di
linguaggio erano le stesse tanto per i Buddhisti quanto per i Brahmani; e la
stessa concessione dev'essere fatta per entrambi.
Ci si dice inoltre che le Upanishad classificate come pi antiche "mostrano un
animismo ingenuo; quelle classificate come posteriori rivelano che il pensiero
giunto ad una relativa maturit". Ma questa una completa inversione delle
cose. E vero, certo, che ci sono molti passi animistici nelle Upanishad antiche;
ma le formule "non cos, non cos", e "Quello sei Tu", prese insieme,
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vita del Buddha stesso. Con il passare del tempo vediamo che si svilupparono
numerose frazioni, che pretendevano tutte di essere seguaci della vera dottrina,
esattamente come nel caso del Cristianesimo e di ogni altra grande fede. Le
divisioni buddhistiche sono ripartite in due raggruppamenti principali: quelli
dello Hinayana ("la Piccola Zattera") e del Mahayana ("la Grande Zattera"). Il
primo, le cui scritture sono conservate in pali, pretende di rappresentare
l'insegnamento puro ed originario di Gautama, e in maggioranza conserva i suoi
aspetti razionalistici, monastici e puritani in modo molto marcato; il secondo,
le cui scritture sono in sanscrito, interpreta la dottrina in un altro modo, con
uno sviluppo metafisico, teologico e rituale. Lo Hinayana ha mantenuto la sua
supremazia principalmente nel Sud, in particolare a Ceylon e in Birmania; il
Mahayana principalmente nel Nord, in Nepal e in Cina. Ma inesatto parlare
delle due scuole come nettamente settentrionale e meridionale. Ricordiamo che
secondo lo Hinayana ortodosso, Gautama era originariamente un uomo come gli
altri, e differiva dagli altri solo per la sua penetrazione intuitiva del
segreto della vita e del dolore, per la sua percezione delle cose come esse sono
realmente, un continuo divenire; con questa conoscenza egli raggiunse il
Nibbana, e si estinsero per lui le cause di rinascita. Altri uomini, a cui la
via stata indicata dal Buddha o dai suoi discepoli, possono arrivare
all'Arahatta e al Nibbana, ma non sono considerati Buddha, n affermato che
ogni creatura possa raggiungere infine la condizione di Buddha. E proibita ogni
speculazione per stabilire se il Buddha e gli Arahat esistano o no dopo la morte
del corpo. Se ora esaminiamo le scritture canoniche come un tutto, - redatte in
pali nell'80 a.C. - troveremo che esse includono certi elementi che sono pi o
meno concordi con la pura dottrina intellettuale che sembra aver formato il
Dhamma estremamente coerente di Gautama stesso. Nel dialogo di Pasenadi, re del
Kosala, con la monaca Khema, dialogo il cui argomento lo stato di Buddha dopo
la morte, troviamo:
"O grande re, il Perfetto liberato da tutto ci, tanto che il suo essere non
pu pi essere valutato con misure terrestri: profondo, non misurabile,
inimmaginabile come il grande oceano". Ci suggerisce quindi che
l'indeterminato, l'irregistrabile, che qualcosa di diverso dal divenire,
ancora, sebbene al di l della nostra conoscenza o comprensione. Secondo
un'altra prospettiva, rispondendo alla domanda: Che genere di essere un
Buddha? Si dice che Gautama stesso abbia risposto che non n un Deva, n un
Gandharva, n uno Yakkha, n un uomo, ma un Buddha. Si pu solo comprendere
che un Buddha non dev'essere considerato un uomo ordinario; comunque sia si vede
qui apparire chiaramente un'apertura per la successiva dottrina del Mahayana sul
corpo di trasformazione.
Troviamo nuovamente (nell'Udnaa, VIII, 3) il passo seguente, che suona pi come
un detto brahmanico che buddhistico:
"C', o Bhikkhu, qualcuno che non nato, che senza origine, increato, non
formato. Se non ci fosse, o Bhikkhu, questo Essere non nato, senza origine,
increato, non formato, non ci sarebbe modo di sfuggire dal mondo dove si nasce,
si ha origine, si creati, e formati".
Si pu anche notare che la pi definita ed universale professione di fede del
Buddhista o convertito suona cos:
"Mi rifugio nel Buddha, nel Dhamma, e nel Sangha" (collettivamente, i "tre
gioielli").
[nota: La dottrina devozionale si presenta anche in un'altra forma, nella quale
quasi con le stesse parole della Bhagavad Gita, si riferisce che Gautama abbia
detto, di chi non ancora entrato nelle vie, che " sicuro del paradiso se ha
amore e fede in Me". Majjhima Nikaya, 22.]
Non c' dubbio che questa formula sia stata usata per la prima volta durante la
vita di Gautama, la cui persona poteva sembrare, a chi era stanco del mondo, un
porto di rifugio non meno della dottrina e dell'Ordine. Ma dopo la sua morte,
cosa potevano significare le parole "mi rifugio nel Buddha" per un laico o per i
pi critici fra i Fratelli? Non poteva significare la dottrina del Buddha,
perch menzionata separatamente. Quelle donne ed altre persone che vediamo nei
bassorilievi di Sanchi e Amaravati, che si prostrano con appassionata devozione
e con offerte di fiori davanti a un altare, su cui il Buddha rappresentato con
i simboli delle impronte dei piedi e dell'Albero della Sapienza, cosa significa
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per loro rifugiarsi nel Buddha? Questa frase, da sola, deve aver agito con il
potere sottile della suggestione ipnotica per convincere l'adoratore - e la
maggior parte degli uomini sono adoratori pi che pensatori per natura - che il
Buddha era ancora e che qualche relazione, anche se solo vagamente immaginata,
poteva stabilirsi tra l'adoratore e Colui-che-ha-raggiunto-ci. stata, quasi
certamente, la crescita di questa convinzione che ha determinato lo sviluppo
dell'iconolatria buddhistica e di tutta la teologia mistica del Mahayana.
l'elemento dell'adorazione che ha trasformato il sistema monastico di Gautama in
una religione mondiale.
Nella letteratura buddhistica originaria la parola "Buddha" non ancora usata
in senso tecnico: Gautama non parla mai di s come del "Buddha", e quando altri
lo fanno il termine significa solo l'Illuminato, il Risvegliato. Il Buddha
solo il pi saggio e il pi grande degli Arahat. Nel corso del tempo il termine
assunse un significato pi specialistico, che indicava un particolare tipo di
essere, mentre il termine Bodhisatta, o Essere di saggezza, usato da Gautama tra
l'entrata nella Via e il raggiungimento del Nibbana, giunse a significare un
destinato-a-diventare-un-Buddha, qualsiasi essere destinato a diventare un
Buddha in questa o in una futura vita. Questa dottrina del Bodhisatta
sviluppata per esteso nel libro dei 550 Jataka, o Storie delle vite, che narrano
le storie didattiche dell'esistenza anteriore di Gautama come uomo, animale, o
essere fatato. Quando il Brahmano Sumedha rifiuta il pensiero di attraversare da
solo il mare del divenire, e pronuncia il voto di raggiungere l'onniscienza, in
modo da poter condurre anche altri uomini, e divinit, attraverso questo mare,
parla gi nel senso del Mahayana. Associata alla dottrina del Bodhisatta anche
quella dei Buddha precedenti, i quali sono debitamente nominati nel Mahapadana
Sutta, ed i dettagli delle loro vite sono esposti secondo una formula fissa; il
loro numero di tre o sette, o, secondo un conto posteriore, ventiquattro. Dei
Buddha futuri menzionato solo il Bodhisatta Metteya, la personificazione della
benevolenza, nel Milinda Panha, che leggermente posteriore rispetto alle
scritture canoniche.
E possibile che i primi tre Buddha che si dice siano apparsi nel ciclo attuale,
ma molto tempo fa, rappresentino un ricordo di Maestri reali anteriori al
Buddha. In ogni caso, la teoria che tutti i Buddha insegnino la stessa dottrina
di considerevole interesse, e corrisponde alla prospettiva brahmanica
dell'eternit dei Veda, che sono uditi, pi che inventati, da Maestri
successivi. Questa credenza nell'unit eterna della verit, che comune agli
Indiani di diverse organizzazioni tradizionali, di grande importanza.
Senza riferirci in maggior dettaglio agli elementi mitologici e magici che sono
contenuti anche nella prima letteratura del Buddha, baster far notare che
questa letteratura contiene gi, come parzialmente indicato in precedenza, i
germi della maggior parte di quelle dottrine che sono elaborate, in modo di gran
lunga pi ampio, nei dogmi della "Grande Zattera". Lo sviluppo di questa
religione a partire dalla base della psicologia del Buddhismo originario,
quasi parallelo allo sviluppo dell'Induismo medioevale a partire dalla base
dell'idealismo puro delle Upanishad.
II - Il sistema del Mahayana
Le plus saint, c'est le plus amant.
Ruysbroeck
Il Mahayana, o Grande Veicolo [Vessel = nave, vascello; anche = vaso, coppa],
chiamato cos dai suoi aderenti, in contrasto con lo Hinayana, o Piccolo Veicolo
del Buddhismo originario, perch il primo offre a tutti gli esseri di tutti i
mondi la salvezza con la fede e l'amore, oltrech con la conoscenza, mentre il
secondo serve ad accompagnare sul tempestoso mare del divenire fino all'altra
riva del Nibbana quelle poche anime forti che non ricercano un aiuto spirituale
esterno o la consolazione dell'adorazione. Lo Hinayana, come la "via non
tracciata" di coloro che cercano il "nirguna Brahman", terribilmente
difficile; mentre il carico del Mahayana leggero, e non richiede che un uomo
debba rinunciare immediatamente al mondo e a tutti gli affetti dell'umanit. La
manifestazione del Corpo della Legge, dice il Mahayana, adattata alle varie
necessit dei figli di Buddha; mentre lo Hinayana solo ad uso di coloro che
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vista e dai nostri sensi, perch se i nostri occhi fossero aperti, la vedremmo":
il paradiso gi sulla terra, e solo a causa del nostro pensare a noi stessi e
della nostra volont autonoma noi non vediamo ed udiamo Dio. Essa quella di
Whitman, quando dice che non ci "sar mai una perfezione maggiore di quella che
qui, n pi paradiso o inferno di quanto ce ne sia ora", e chiede: "Perch
dovrei desiderare di vedere Dio meglio di oggi?"
Strano e difficile questo giusto paradosso che propongo,
gli oggetti grossolani e lo spirito invisibile sono una sola cosa.
I Buddha
Nel regno dell'assoluta (paramartha) verit possiamo parlare del Dharmakaya solo
come del vuoto. Ma per noi esiste anche un campo di relativa (samvritti) verit,
dove l'Assoluto manifestato dal nome e dalla forma; per chi risiede in cielo
come Sambhogakaya, il corpo di beatitudine, e per chi in terra come
Nirmanakaya, il corpo della trasformazione.
Il Sambhogakaya il Buddha, o i Buddha, considerati come divinit in cielo,
determinati da nome e forma, ma onniscienti, onnipresenti, e, all'interno della
legge di causalit, onnipotenti. Un Buddha inteso in questo senso, identico
all'"Isvara" brahmanico, che pu essere adorato sotto diversi nomi (per esempio,
come Vishnu o come Siva); e l'adoratore raggiunge il cielo retto da colui che
adora, sebbene sappia che tutte queste forme sono essenzialmente una e la
stessa. Il Mahayana infatti moltiplica il numero dei Buddha indefinitamente e
con perfetta logica, poich lo scopo di ogni individuo quello di diventare un
Buddha. La natura di questi Buddha ed i loro cieli saranno compresi meglio se
descriviamo il pi popolare di tutti, il cui nome Amitabha, o Amida.
Amitabha Buddha governa il cielo Sukavati, la Terra Pura, o Paradiso
Occidentale. Con lui sono in rapporto il Gautama storico, in quanto emanazione
terrestre, e il Bodhisattva Avalokitesvara come il Salvatore. La storia di
Amitabha racconta che molti cicli temporali addietro era un grande re, che
lasci il trono per divenire un pellegrino, e raggiunse lo stato di Bodhisattva
sotto la guida del Buddha, cio, del Buddha umano allora manifesto; fece una
serie di grandi voti, sia per diventare un Buddha con lo scopo di salvare tutte
le cose viventi, sia per creare un paradiso dove le anime dei beati potessero
godere di un lungo periodo di felicit, conoscenza e purezza. Il diciottesimo di
questi voti la fonte principale dello sviluppo dell'Amidismo, come chiamata
la fede degli adoratori di Amitabha. Questo voto cos diceva:
"Quando diventer un Buddha, che tutti gli esseri viventi delle dieci regioni
dell'universo possano mantenere una fede fiduciosa e gioiosa in me; che essi
concentrino i loro desideri su una rinascita nel mio paradiso, invochino il mio
nome, anche se solo dieci volte o meno; poi, se solo non si saranno resi
colpevoli dei cinque peccati atroci, e non avranno diffamato o vilipeso la vera
religione, il desiderio di tali esseri di nascere nel mio paradiso sar
certamente esaudito. Se cos non sar, che io possa non ricevere mai
l'illuminazione perfetta dello stato di Buddha".
Si tratta, come si vede, di una dottrina della salvezza per mezzo della fede,
pienamente sviluppata. Il parallelismo con alcune forme del Cristianesimo
molto evidente. Amitabha "attira" gli uomini a s, "manda" suo figlio Gautama
per guidare gli uomini verso di lui, ed sempre accessibile attraverso il santo
spirito di Avalokitesvara. ammessa l'efficacia del pentimento sul letto di
morte; e in ogni caso l'Amidista moribondo dovrebbe contemplare la gloriosa
figura di Amitabha, proprio come il Cattolico morente fissa gli occhi sul
crocifisso tenuto sollevato dal prete che amministra l'estrema unzione. Il
fedele amidista trasportato immediatamente in cielo e l rinasce con un corpo
spirituale nel calice di un loto del lago sacro. Ma i meno virtuosi devono
attendere a lungo prima che il loro loto si espanda, e prima di allora non
possono vedere il Dio. Quelli che hanno commesso uno dei cinque peccati
capitali, ma che abbiano invocato il nome di Amitabha, devono attendere
innumerevoli secoli, per un tempo, cio, al di fuori di ogni concezione, prima
che i loro fiori si schiudano; cos come, secondo Boehme, le anime che si
dipartono dal corpo "senza il corpo di Cristo, come se fossero appese ad un
filo", devono aspettare l'ultimo giorno [del giudizio] prima di arrivare.
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esempio, dal comportamento di Gautama con Gotami la Snella, e dai ben noti
episodi della vita di Ges. Di entrambi si pu dire:
Egli Colui che risponde;
a ci cui pu rispondersi, risponde;
a ci cui non si pu, dimostra
come non si possa.
Essa anche una dottrina dei vari gradi di verit: le fedi non sono divise in
vere e false, ma sono i molti pioli di una scala, e le diverse scale, che
portano all'Uno sconosciuto. La dottrina dell'upaya implica la comprensione
perfetta delle necessit umane da parte di quell'intelligenza divina che non ha
bisogni in se stessa, salvo ci che implicito nel detto, l'Eternit
innamorata delle produzioni del tempo, l'unica ragione che possiamo addurre per
il desiderio dell'Uno di diventare molti. Questa perfetta comprensione, "come
del padre col figlio, dell'amico con l'amico, dell'amante con l'amante", non
urta con il riconoscimento intellettuale delle divinit come fatte dall'uomo, e
questo gli Ind lo hanno stupendamente riconciliato con l'idea di grazia,
nell'adorazione: "Tu che assumi le forme immaginate dai tuoi adoratori",
indirizzata, naturalmente, dai Saiva a Siva, ma non meno appropriata al pensiero
del Mahayana. La dottrina dell'upaya si pu anche accostare al pensiero, "Egli
si rende come noi, perch noi possiamo essere come Lui". Le arti e le religioni
del mondo sono cos molte upaya, una sola fonte, una sola mta, soltanto con
differenza di mezzi.
Una seconda scuola Mahayana, sotto alcuni aspetti divergente dalla scuola
Madhyamika di Nagarjuna, la scuola Yogacara di Asanga e Vasubandhu. Qui si
riconoscono tre tipi di conoscenza invece di due; ma due di questi sono
semplicemente una suddivisione della conoscenza relativa in errore reale e
conoscenza relativa. Cos abbiamo, invece di samvritti e paramartha satya:
1. Parikalpita satya, ad esempio, quando prendiamo una corda per un serpente;
2. Paratantra satya, ad esempio, quando riconosciamo una corda per una corda;
3. Parispanna satya, quando riconosciamo che "corda" un semplice concetto
senza che esista come cosa in se stessa.
1. e 2. insieme, sono samvritti e 3. paramartha.
Gli Yogacara sviluppano una forma di idealismo che differisce dall'assoluto
agnosticismo dei Madhyamika. Secondo i primi esiste realmente una mente cosmica,
non impersonale, chiamata Alaya-vijnana, la mente onnicontenente, o perennementesussistente. Tutte le cose nell'universo stanno in essa, o piuttosto
costituiscono il suo substrato. Qualche volta essa viene confusa con l'ipseit;
ma in realt corrisponde pi al Brahman saguna (qualificato) che al nirguna (non
qualificato).
Essa fornisce la base per una specie di idealismo platonico; perch, secondo gli
Yogacara, in questa mente cosmica che i germi di tutte le cose esistono nel
loro stato ideale. In altre parole, il mondo "oggettivo" costituito
interamente da materia mentale, ed l'illusione nata dall'ignoranza che
proietta le idee reali in un universo esterno e fenomenico.
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difficilmente dire di essa che abbia qualche altro credo oltre a quello che il
regno dei cieli nel cuore dell'uomo. Questa forma di pensiero rappresenta il
Mahayana come religione mondiale nel modo pi completo; perch per quanto
attrattive e pittoresche possano essere le immagini del paradiso occidentale di
Amitabha, per quanto commoventi siano le storie leggendarie dei Buddha deificati
e dei Bodhisattva, queste rappresentazioni di un paradiso materiale e settario,
e queste divinit personalizzate, non possono pretendere di essere
universalmente accettate pi di quanto non lo siano quelle di qualsiasi altro
sistema teistico. Il Buddhismo Ch'an differisce dal Mahayana popolare ortodosso
dei sutra teistici come l'insegnamento di Cristo e dei mistici cristiani
differisce dal Cristianesimo sistematico delle chiese. Inoltre, esso
strettamente legato al pensiero taoista e non costituisce una semplice
religione, ma la cultura dell'Estremo Oriente, trovando piena espressione non
solo nella fede, ma praticamente nella vita e nell'arte.
Il Buddhismo Ch'an fu fondato in Cina nell'anno 527 dal patriarca Bodhidharma,
che si sostiene sia il ventottesimo della successione apostolica partita da
Gautama. Questo grand'uomo, il cui compito in Cina dur solo nove anni, e la cui
personalit ancora cos profondamente impressa nella memoria dell'Estremo
Oriente, era di carattere taciturno, perfino farouche, e poco incline a
sopportare di buon grado gli stupidi. Pass i nove anni della sua vita in Cina
(527/536 d.C.) nel monastero di Shao Lin, presso Loyang, godendo di poca
popolarit, e meritandosi il soprannome di "Brahmano che guarda il muro".
L'essenza della sua dottrina sostiene che il Buddha non si pu trovare nelle
figure e nei libri, ma nel cuore dell'uomo. I suoi seguaci, come indica il nome
della scuola, danno grande importanza alla meditazione; respingono l'adorazione
supina delle immagini, i vincoli dell'autorit, e i mali della classe
sacerdotale.
[nota: Non si deve supporre, comunque, che la larga diffusione delle idee Ch'an
in Cina abbia spazzato via l'adorazione rituale, o anche solo la superstizione.
Il modello del Cinese laico, come in altri paesi, "spesso crudele,
irrazionale, e superstizioso; egli capace di confondere il simbolo con la
realt oggettiva, e di sostenere che la fede una garanzia sufficiente per un
fatto storico". R. F. Johnston, Buddhist China, pag. 96. I gruppi Ch'an e
Amidisti, rispettivamente filosofico o mistico, e devozionale, sono intimamente
legati - sfarzosi santuari sorgono spesso di fianco a monasteri Ch'an - come il
misticismo cristiano associato all'iconolatria della Chiesa romana. Il
Buddhista cinese tende da una parte o dall'altra in conformit con il suo
temperamento e i suoi bisogni spirituali.]
Il principio fondamentale del Ch'an, o Buddhismo Zen, pu essere riassunto
nell'espressione che l'universo la scrittura dello Zen, o con termini pi
vicini alla filosofia, l'identit della molteplicit con l'Uno, del samsara con
il Brahman, di questo con Quello.
[nota: Per cui il vero Maestro colui "che fa intuire il supremo S in
qualunque cosa a cui la mente possa attaccarsi" (Kabir): perch "qualunque cosa,
di qualsiasi generesia, il compito della saggezza di vedervi ci che ha di
reale". Il Tutto in tutto.]
La scrittura stessa senza valore nella sua lettera, e conta solo per ci che
veicola; e per questo scopo ci sono anche altre guide oltre alle pagine scritte
e alle parole pronunciate. Si racconta, ad esempio, del saggio Huen Sha, che un
giorno egli si era preparato a fare un discorso alla congregazione riunita; era
sul punto di incominciare quando si ud un uccello cantare molto dolcemente nei
dintorni; Huen Sha scese dal pulpito osservando che il sermone era gi stato
predicato. Un altro Saggio, Teu-tse, un giorno indic una pietra che era vicina
al cancello del tempio, e fece notare: "In essa risiedono tutti i Buddha del
passato, del presente e del futuro". Lo spettacolo della natura era chiamato "il
discorso dell'Inanimato".
Come abbiamo gi indicato, alcune di queste concezioni possono essere fatte
risalire molto addietro nel tempo, alle prime origini del Buddhismo, e sarebbe
ugualmente facile stabilire paralleli con l'Occidente.
Quando i Maestri Zen fanno notare il sorgere e il tramontare del sole, il
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profondo mare, la caduta dei fiocchi di neve in inverno, e per mezzo di questi
esempi impartiscono lezioni di Zen, noi ci ricordiamo di colui che ci invita a
guardare i gigli, che non tessono e non filano, e a non preoccuparci per il
domani. Quando fu chiesto ai misteriosi visitatori dell'isola cinese di Puto di
spiegare la loro fede religiosa, essi risposero:
"I nostri occhi hanno visto l'oceano, le nostre orecchie hanno udito i venti
soffiare, la pioggia cadere, le onde del mare frangersi, e gli uccelli selvatici
cantare". Questo ci ricorda Blake, quando esclama: "Quando vedi un'aquila, vedi
una porzione di genio. Alza la testa!" e "La fierezza del pavone la gloria di
Dio".
I versi gi citati - un intero poema nell'originale giapponese -:
Ammesso che questo mondo di rugiadasia solo un mondo di rugiada, ammesso questo,
tuttavia...
appartengono alla pi pura tradizione Zen, sebbene forse non siano la sua pi
profonda espressione. La pi profonda intuizione quella dell'ipseit che trova
espressione nella stessa transitoriet di ogni momento passeggero: lo stesso
indivisibile essere si esprime in continuazione, e non mai espresso, nel
venire al mondo e nell'andarsene dell'uomo e dell'intero mondo, momento per
momento; il cuore stesso della "cultura" e della religione il riconoscere
l'Eterno, non come oscurato, ma come rivelato dal transitorio, vedendo
l'Infinito nel granello di sabbia; lo stesso Futuro in ogni nascita e lo stesso
Imperituro in ogni morte. Questi pensieri trovano un'espressione costante nella
poesia e nell'arte ispirate dal pensiero Zen. La gloria del mattino, ad esempio,
che sbiadisce in un'ora, il tema preferito del poeta e del pittore giapponese.
Cosa dobbiamo capire dalla poesia di Matsunaga Teitoku?
La gloria del mattino fiorisce solo un'ora,
ma non differisce in essenza
dal pino gigante che vive mille anni.
Dobbiamo pensare che la gloria del mattino sia una figura ed un simbolo della
tragica brevit della nostra vita, come un memento mori, un ricordo
dell'impermanenza, come la coda della cutrettola? Possiamo pensarlo, senza
dubbio: ma oltre a questo un significato pi profondo celato nelle parole di
Matsunaga, qualcosa di pi di un compiangimento per la costituzione stessa della
nostra esperienza. Secondo il commento di Kinso:
"Chi ha trovato la Via la mattina pu morire in pace la sera. Fiorire la
mattina, attendere il calore del sole, e poi perire, tale la sorte che la
Provvidenza ha assegnato alla gloria del mattino. Naturalmente, ci sono pini che
sono vissuti mille anni, ma la gloria del mattino, che deve morire cos presto,
neppure per un momento dimentica se stessa, e non si mostra invidiosa degli
altri. Ogni mattina i suoi fiori si schiudono, fantasticamente belli, producono
la virt naturale che gli stata predestinata, poi appassiscono. Cos essi
compiono fedelmente il loro dovere. Perch condannare questa fedelt come vana e
infruttuosa?
"La stessa cosa vale per il pino, ma poich la vita della gloria del mattino
pi breve, essa illustra il principio in modo pi incisivo. Il pino gigante non
elucubra sui suoi mille anni, come la gloria del mattino non elucubra sulla sua
vita di un giorno solo. Entrambi fanno semplicemente ci che bisogna. Certo, il
destino della gloria del mattino diverso da quello del pino, ma uguale ad
esso nel senso che entrambi obbediscono alla volont della Provvidenza, e sono
contenti. Matsunaga pensava che il suo cuore era come il loro cuore, e questa
la ragione per cui ha scritto la poesia della gloria del mattino".
La Contemplation upon flowers di Henry King molto vicina al senso della poesia
di Matsunaga. Lo studioso noter che quasi ogni pensiero espresso nella
letteratura buddhistica ed ind trova ugualmente espressione nel mondo
occidentale; e non potrebbe essere altrimenti, perch il valore di questi
pensieri universale e quindi essi non possono essere definiti propriamente n
orientali n occidentali; l'Oriente solo pi avanzato dell'occidente nella
loro accettazione pi ampia e completa.
Coraggiosi fiori, potessi essere prode come voi,
ed essere cos poco vano!
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dei beni personali che era permesso ai Fratelli possedere. Fino ad allora gli
Indiani adottavano un sistema di letteratura mnemonica, che, data la sicurezza
di una regolare successione di Maestri e discepoli, assicurava
contemporaneamente la trasmissione dei testi come, o forse ancora meglio, della
pagina scritta. Grazie a questo sistema mnemonico il bisogno di mezzi esterni di
registrazione non era avvertito. Lo studio consisteva perci nell'ascolto e
susseguentemente nella ripetizione a se stessi, e non nella lettura di libri.
Questa tradizione sopravvissuta con notevole forza fino ai giorni nostri; non
raro incontrare Pandit che sono in grado di ripetere a memoria intere sezioni
di letteratura sacra della pi incredibile lunghezza, e si crede ancora che
"l'istruzione orale sia di gran lunga superiore all'apprendimento dai libri,
perch fa maturare la mente e sviluppa le sue possibilit". superfluo far
notare che molti grandi pensatori, sia antichi che moderni, condividono questa
convinzione. Platone sostiene che l'invenzione delle lettere "produrr
smemoratezza nelle menti di coloro che le imparano, i quali, trascurando la
memoria e fidandosi della scrittura, ricorderanno superficialmente, per mezzo di
segni esteriori, e non interiormente per mezzo delle loro proprie facolt";
mentre Nietzsche esclama che "chi scrive con sangue e proverbi, non vuole essere
letto, ma essere imparato a memoria". Di fatto, la principale forma letteraria
dell'epoca di Gautama quella del sutra o sutta, una "successione" di logia da
imparare a memoria; e la maggior parte di tutta la letteratura indiana dei primi
tempi, persino la letteratura di legge e di grammatica, era scritta in versi.
Un'altra delle ragioni che facevano guardare alla scrittura con sfavore era che
il testo scritto diventa accessibile a tutti mentre i Brahmani desideravano
soprattutto impedire l'accesso alla dottrina esoterica a chi non era qualificato
per comprenderla o a farne buon uso; e a non divulgare altri argomenti a chi
forse avrebbe tentato di usurpare i loro diritti professionali. Il sistema
dell'educazione mnemonica e la successione discepolare erano inoltre cos ben
organizzati che non c'era pericolo che il "memorizzatore" ben addestrato potesse
mai dimenticare ci che sapeva; gli unici pericoli riconosciuti erano che certi
testi non venissero pi apprezzati e finissero per essere perduti, come
inevitabilmente avvenuto con gran parte della letteratura indiana originaria; o
che qualche incidente potesse interferire nella successione discepolare.
Inoltre, i mezzi per rendere i libri durevoli, ai tempi di Gautama non erano
ancora stati trovati. D'altra parte appare chiaro dal modo di pubblicazione
degli Editti di Asoka che una conoscenza abbastanza generale della scrittura, e
un alfabeto che era pi o meno uguale a quello dell'India moderna, esistevano
gi nel secolo III a.C.
Il Canone Buddhistico fu scritto per la prima volta in pali verso l'80 a.C.,
durante il regno del re Vattagamani, a Ceylon. Vale la pena citare le parole
della cronaca singalese di questo importante evento:
"Nei primi tempi i Bhikkhu pi saggi ricordavano a memoria il testo dei tre
Pitaka e l'annesso commento, ma quando videro che la gente stava allontanandosi
(dall'insegnamento ortodosso), i Bhikkhu si riunirono perch le vere dottrine
potessero durare nel tempo, e le scrissero in libri".
Questi testi sono stati fedelmente trasmessi fino ai tempi moderni da copisti
successivi. D'altra parte certo che una considerevole parte di questi testi
esistesse gi all'epoca di Asoka, perch ad alcuni ci si riferisce con il loro
titolo, e con citazioni, negli Editti. Senza addentrarci in una lunga
discussione, baster dire che alcune parti dei testi quasi certamente risalgono
ad un periodo molto antecedente, e riportano le parole e la dottrina di Gautama
com'erano ricordate dai suoi discepoli immediati. Gli Hinayanisti ortodossi,
comunque, hanno torto quando asseriscono che il Canone pali fu realmente
fissato, anche se non scritto, in occasione del "Primo Concilio", immediatamente
dopo la morte di Gautama; la Bibbia buddhista, come quella cristiana,
costituita da libri composti in differenti periodi, e molti, o la maggior parte
di essi, sono compilazioni di materiale proveniente da diverse fonti e di
periodi svariati.
Il Canone pali
Il Canone pali costituito dai "Tre Pitaka" o "Canestri". Il Vinaya Pitaka
riguarda le regole dell'ordine dei Fratelli. suddiviso come segue:
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nella terza sezione i sutta parlano della triade di pensiero, parola e azione e
dei tre tipi di monaci; nella quarta sezione, si esaminano le quattro cose che
portano alla cessazione del divenire, delle quattro che portano al purgatorio,
delle quattro che portano al paradiso, e cos via; nell'ottava sezione si parla
degli otto modi in cui l'uomo e la donna si ostacolano uno con l'altra, e delle
otto cause di un terremoto; nella decima sezione, dei dieci poteri di un Buddha.
Non c' forse bisogno di farlo notare, ma la stesura formale e pedante, e il
tono generale piuttosto asciutto. Uno dei migliori passi, comunque, quello che
parla dei tre messaggeri degli Dei - vecchiaia, malattia, e morte - dei quali il
re Yama chiede notizie ai peccatori che vanno in purgatorio:
""O uomo, non hai visto il primo messaggero della morte apparire visibilmente
tra gli uomini?"
"Egli risponde: "Signore, non l'ho visto".
"Allora, o Fratelli, il re Yama gli dice: "O uomo, non hai visto, fra gli
uomini, un uomo o una donna di ottanta, o novanta, o cento anni, decrepito,
incurvato come la trave inclinata di un tetto a spiovente, ricurvo e appoggiato
a un bastone, che vacillava camminando, miserevole, da cui la giovent era
fuggita da molto, con i denti rotti, i capelli grigi e quasi calvo, barcollante,
con la fronte rugosa e con il viso chiazzato?"
"Egli risponde: "Signore, s".
"Allora, o Fratelli, il re Yama gli dice: "O uomo, non ti sopravvenuto il
pensiero, essendo una persona di intelligenza ed et mature: 'Anch'io sono
soggetto alla vecchiaia e non ne sono assolutamente esente. Da ora, agir
nobilmente, nelle azioni, nelle parole, e nei pensieri'?"
"Egli risponde: "Signore, non ho potuto. Signore, non ci ho pensato".
"Allora, o Fratelli, il re Yama gli dice: "O uomo, a causa della tua
irriflessione non sei riuscito ad agire nobilmente nelle azioni, nelle parole, e
nei pensieri. Cos anche tu sarai trattato, o uomo, in accordo con la tua
leggerezza... Sei tu che ti sei costruito questa malattia, e tu solo ne patirai
le conseguenze!""
Dal punto di vista letterario possiamo notare tre caratteristiche dei sutta
considerati fino ad ora. Prima di tutto, le ripetizioni, di cui si pu trovare
un esempio nel Discorso del Fuoco citato sopra. quasi impossibile presentare
testi simili ad un lettore moderno senza farne un condensato, senza usare la
congiunzione "e", e senza pronomi, come sono nell'originale, per non parlare
della tediosa ripetizione di ogni frase e di ogni sfumatura di pensiero.
"I periodi di questi discorsi", dice il Prof. Oldenberg, "nella loro immobilit
e rigida uniformit, privi di luci ed ombre, sono un'accurata pittura del mondo
come appariva agli occhi di quella fraternit monastica, il severo mondo
dell'origine e della decadenza, che procede come il meccanismo di un orologio in
un percorso sempre uniforme, ed oltre il quale sta l'immensa profondit del
Nirvana. Nelle parole di questo ministerio, non Si sente nessun suono di lavorio
interno... Nessun appello appassionato agli uomini perch entrino nella fede,
nessuna amarezza per il miscredente che se ne allontana. In questi discorsi, una
parola, una frase posta dietro a un'altra in un silenzio di tomba, sia che
esprima la cosa pi insignificante come la pi importante. Cos come, per la
coscienza buddhistica, i mondi di divinit e uomini sono regolati da una
necessit senza fine, cos lo sono anche i mondi delle idee e delle verit:
anche per queste c' una, ed una sola, forma necessaria di conoscenza e di
espressione, e il pensatore non crea egli stesso questa forma, ma adotta quella
che ha pi a portata di mano... E cos si accumulano quelle ripetizioni senza
fine, che i discepoli del Buddha non si stancavano mai di ascoltare sempre da
capo e di onorare ancora e ancora con il rispetto dovuto al pensiero sacro".
Forse gli autori buddhistici erano cos impegnati ad ammirare l'eccellente
dottrina, che non erano in grado di avvertire come le ripetizioni fossero un po'
noiose; forse gli sembrava di non poter ascoltare mai troppo spesso quelle
verit, cos difficilmente conquistate, che li avevano resi liberi. Un riflesso
di questo modo di vedere le cose l'abbiamo in uno degli Editti di
Asoka, nel quale l'imperatore dice:
"Certe frasi sono state ripetute tante e tante volte a causa della dolcezza
mielata di tale o tal altro argomento, nella speranza che la gente agisca in
base ad esse".
I Buddhisti delle origini non avevano alcun desiderio di rendere "gradevoli" le
loro scritture, ed verissimo che queste "hanno un unico gusto". Nello stesso
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raccolta di detti
del Buddha. Il semplice aspetto etico del Dhamma, per esempio, si presenta in
essi nel modo seguente:
"Non dire maldicenze, non offendere,
mantenersi sobri in accordo con i precetti,
essere moderati nel cibo,
dormire soli,
concentrarsi in pensieri elevati,
questa la legge del Buddha".
Il Sutta-nipata, una raccolta di cinque sutta tutti in versi. Il Vasettha
Sutta, ad esempio, ritorna sulla vecchia questione di ci che faccia un
Brahmano, se la nascita o le caratteristiche proprie. In correlazione con questa
discussione, c' un notevole passo che afferma l'unit delle specie umane, un
punto di vista in accordo con la maggioranza (sebbene non con tutte) le autorit
moderne. Il passo procede, dopo aver menzionato i segni di distinzione tra
quadrupedi, serpenti, uccelli, ecc. in questo modo:
"Mentre in queste specie i segni distintivi tra specie e specie sono numerosi,
negli uomini i segni distintivi di ogni specie non sono molti.
"Non nei loro capelli, testa, orecchie, occhi, bocca, naso, labbra o fronti...
n nelle loro mani, piedi, palmi, unghie, polpacci, fianchi, colore o voce ci
sono segni distintivi di una specie in rapporto alle altre.
"C' differenza [di corpi] tra gli esseri dotati di corpo, ma non c' tra gli
uomini; la differenza tra gli uomini solo nel loro nome".
E quindi:
"Non per nascita si Brahmani, n per nascita non si Brahmani... ma per lo
sforzo, per la vita tradizionale, per l'autocontrollo e la temperanza, per
questo si Brahmani".
Fra tutte le opere del Khuddaka Nikaya, i "Salmi dei fratelli e delle Sorelle"
(Thera-theri-gatha) hanno un posto di primo piano per interesse letterario ed
umano. Per costruzione e bellezza questi canti sono degni di essere posti a
fianco degli inni del Rig Veda e dei poemi lirici di Kalidasa e Jayadeva. Ognuna
delle canzoni attribuita per nome ad un membro del Sangha che ha raggiunto lo
stato di Arahatta durante la vita di Gautama, e il commento che le segue spesso
aggiunge qualche parola a mo' di biografia dell'autore. Ma non dobbiamo riporre
troppa fiducia nei nomi, anche se la loro citazione ci porta non a torto a
supporre una grande variet di autori in questa raccolta. interessante notare
come l'analisi riveli certe differenze psicologiche tra le canzoni dei Fratelli
e quelle delle Sorelle: nelle seconde vi un tocco pi personale, e vi sono pi
aneddoti; nelle prime vi pi vita interiore e pi descrizioni della bellezza
naturale. Il contenuto di tutte le canzoni un piacere tranquillo, la pace
inesprimibile a cui sono giunti coloro che hanno lasciato il mondo e sono liberi
dai desideri e dal risentimento; ogni salmo come se fosse un piccolo canto di
trionfo - come l'inno che il Buddha rivolge al costruttore della casa, qui
attribuito all'Arahat Sivaka riferito all'esperienza interiore di chi parla.
Questi inni sono un'espressione personale di quegli ideali e di quegli scopi di
cui si parla nei testi pi "profondi". Da parte dei Fratelli molto spesso il
tema quello di una misoginia spinta all'estremo: il vero eroe colui che
chiude il cuore a "tutto ci che proviene dalla donna". Pi di un'immagine di
cadavere femminile in un campo di cimitero presentata con i particolari pi
sgradevoli; e cos alla fine la donna acquista una certa utilit, perch il suo
corpo in decomposizione insegna la lezione del disgusto; da qualsiasi altra
parte essa non potrebbe essere altro che un ostacolo per coloro che vogliono
attenersi ai loro doveri. Sarebbe forse ingiusto contrapporre questo punto di
vista all'ideale brahmanico del matrimonio che uomo e donna devono vivere
precisamente per conformarsi ai loro doveri sociali e tradizionali, perch qui
si tratta di un ordine monastico, e la letteratura ascetica del Brahmanesimo ci
fornisce anch'essa testi misogini paragonabili con quelli del Buddhismo. Il
testo seguente pu servire come esempio delle canzoni dei Thera:
[nota: Le traduzioni che seguono sono tratte dalle eccellenti versioni della
Rhys Davis (Psalms of the Brethren, 1913). Le pi interessanti poesie dei
fratelli sulla Natura sono state da noi citate in precedenza.]
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Di Candana si racconta che quando gli nacque un figlio, lasci la sua casa per
l'Ordine, e si ritir nella foresta. Un giorno, avendo saputo che era immerso in
meditazione in un cimitero, sua moglie cerc di riportarlo alla vita del padre
di famiglia. Fu invano; e questa la "testimonianza" dell'Arahat:
Ornato d'ori, un gruppo di fanciulle per corteo,
portandosi il bambino sopra un fianco,
mia moglie s'accost.
Mi accorsi dal suo incedere, la madre di mio figlio,
in simile apparecchio costituiva un tranello di Mara.
Ma allora sorse in me, pensiero pi profondo:
"Al fatto attento e alla sua causa".
In tutto ci insisteva miseria manifesta;
disgusto, indifferenza,
possedette la mente;
fu libero il mio cuore.
Si osservi della Norma il giusto ordine!
La Triplice Saggezza ho fatta mia,
fatto tutto ci che il Buddha disse.
Il seguente poemetto un estratto dal "Salmo di Revata":
Da quando da casa me ne andai,
verso la vita errante,
mai pi con mente conscia nutrii
n desideri o piani che non fossero degni d'un Ariyano
o colorati d'odio...
Non perdo tempo a temere la morte,
o a godere la vita. Attendo l'ora
a mo' d'un mercenario che ha concluso l'opera.
Non perdo tempo a temere la morte,
o a godere la vita.
Attendo l'ora con mente acuta e vigilando.
La mia fedelt e il mio amore
ha il mio Maestro,
del Buddha i precetti tutti ho seguto.
Deposto il fardello che portavo,
ragion di rinascita in me non troverai.
Il Bene per cui ho ripudiato il mondo,
lasciando casa mia per vagare errando,
quel Bene Supremo io l'ho ottenuto,
e ogni legame o ceppo l'ho distrutto.
Molto pi poetici dei versi ispirati dalla paura dei Fratelli verso le donne,
viste come la forma pi subdola di trappola mondana, sono quelli delle Sorelle,
le quali riflettono sullo sfiorire della loro giovinezza e bellezza, e prestano
attenzione alla lezione della transitoriet; tra questi nessuno pi
interessante di quello della cortigiana Ambapah, di cui abbiamo gi narrato la
generosit verso l'Ordine; essa si convert a causa della predica del figlio, e
studiando la legge dell'impermanenza, che poteva osservare nel suo corpo che
invecchiava; tutto ci si espresse nelle strofe seguenti (in tutto diciannove,
di cui ne cito cinque):
Neri e brillanti come peluria d'ape
un tempo si svolgevano i miei ricci.
Pi simili alla canapa, e cristosi, essi son ora,
con il passare degli anni.
Cos, non altrimenti, dice la runa,
il verbo del Veridico.
Folte come un boschetto ben piantato,
morbide al pettine, ordinate e divise,
le belle trecce son ora cadenti e scarmigliate
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nella storia del Buddhismo, esattamente come nelle stesse sculture adattata ai
princpi buddhistici l'arte popolare e secolare.
Oltre a ci, c' da osservare che sebbene le storie siano ora adattate ai
princpi di edificazione buddhistici, esse appartengono alla letteratura indiana
pi che a quella specificamente buddhistica. In realt, la regola dell'Ordine
proibisce ai Fratelli di ascoltare storie di re e regine, guerre, donne,
divinit, fate, e cos via, e deve quindi essere passato qualche tempo prima che
i Buddhisti arrivassero a pensare che i Jataka erano stati veramente raccontati
dal Buddha stesso. Anche qui, perci, il fatto stesso che si porti tanta
attenzione sulla dottrina dei Bodhisattva, e che si dia una cos grande
importanza all'antica "decisione" del Brahmano Sumedha (nei Jataka), insieme ai
riferimenti introduttivi e d'altro genere ai ventiquattro "Buddha precedenti",
fanno pensare al libro dei Jataka come a un notevole esempio di sviluppo della
scolastica e della teologia buddhistiche, e si potrebbe addirittura dire che si
tratti di un testo del Mahayana, anche se invece incluso nel canone pali.
Molte delle storie in esso contenute sono anteriori al Buddhismo e, nonostante
siano rivestite di significati buddhistici, non datano dal tempo di Gautama, ma
ci danno un'immagine autentica della vita indiana del secolo V a.C. A parte il
loro valore letterario, questo solo fatto rende la raccolta dei Jataka molto
interessante; per cui essa la "pi fedele, pi completa, e pi antica raccolta
di folklore esistente in tutta la letteratura mondiale".
I Jataka sono molto vari sia negli argomenti che in quanto a valore letterario;
essi sono molto variabili anche in lunghezza; alcuni sono secchi e senza
spirito, altri esprimono un semplice buon senso moraleggiante, altri ancora
elaborano la dottrina sistematica dei Buddha anteriori e le caratteristiche del
Bodhisattva come esempi delle dieci grandi virt (Paramita), mentre altri infine
sono lavori dell'arte pi raffinata, ed espongono con intensit toccante il
dramma delle emozioni umane: alcuni sono frammenti epici, con un marcato profumo
aristocratico, altri sono lavori di misogini senza fantasia, altri sono ballate
popolari, e molti sono poco pi che racconti per bambini. Tutto questo
facilmente spiegabile con l'eterogeneit degli autori della raccolta, e con la
variet delle classi e delle occupazioni di coloro che furono reclutati
nell'Ordine dei pellegrini buddhisti.
Tra le storie pi semplici ci sono molte favole dalla diffusione mondiale, come
quella dell'asino nella pelle del leone, storie di bestie riconoscenti e di
uomini irriconoscenti; ci sono anche storie di demoni e fate, re cannibali e
stregoni, capaci di soddisfare i cuori di ogni bimbo o popolo infantile. Di
tutt'altro genere sono i brani epici formali, fra cui un rifacimento di alcune
antiche ballate di cui Rama il personaggio, analoghe a quelle che
costituiscono la base del Ramayana. Qui citeremo soltanto un Jataka un po'
estesamente, il Chaddanta Jataka (il quale per forse il pi bello), a cui
aggiungeremo inoltre un breve riassunto di quell'altro, il Vessantara Jataka,
che resta uno dei pi amati, forse perch espone la "generosit sovrumana" del
Bodhisattva nel corso della sua ultima incarnazione prima dell'ottenimento dello
stato di Buddha.
Chaddanta Jataka
Episodio introduttivo: Una ragazza di Savatthi di nobili natali, riconoscendo la
miseria della vita mondana, aveva adottato il modo di vivere errante, e un
giorno che sedeva con altre Sorelle, ad ascoltare l'insegnamento del Maestro, le
sopravvenne il pensiero:
"In una vita precedente sono stata una serva delle sue mogli?"
Ricord allora che al tempo dell'elefante Chaddanta, ella stessa era stata sua
moglie, ed il suo cuore si riemp di gioia. Ma "Ero ben disposta o mal disposta
verso di lui?" si chiese, "Poich la maggior parte delle donne sono mal disposte
verso i loro mariti".
Allora ricord di aver nutrito rancore contro Chaddanta, e di aver mandato un
cacciatore con una freccia avvelenata, perch gli strappasse le zanne. Per
questo la colse il rimorso, il suo cuore avvamp, ed ella ruppe in singhiozzi e
pianse forte. Vedendo ci, il Maestro sorrise, ed essendo interrogato dai
Fratelli rispose:
"Fratelli, questa giovane Sorella piangeva per un'offesa che mi ha fatto tanto
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tempo fa".
Cos dicendo raccont una storia del passato.
Una volta il Bodhisatta era nato nell'Himalaya come figlio del capo di un branco
di elefanti. Egli era di un bianco candido, con piedi e muso rossi; quando
crebbe divenne il capo di un grande branco, ed adorava i Buddha personificati.
Le due regine erano Cullasubhadda e Mahasubhadda. Un anno riferirono:
"Il grande bosco di sal in fiore"; e cos egli si rec in quel luogo con tutto
il suo branco.
Durante il percorso urt un albero sal con la fronte, e poich Cullasubhadda era
controvento, ramoscelli, foglie secche e formiche rosse le caddero addosso,
mentre Mahasubhadda stava sottovento, cos che le caddero addosso fiori, polline
e foglie verdi. Cullasubhadda pens:
"Fa cadere i fiori e il polline sulla sua moglie favorita, e i rametti e le
formiche rosse su di me", e cos ne ebbe risentimento.
In un'altra occasione, quando gli fu offerto un fior di loto a sette petali,
Chaddanta lo regal a Mahasubhadda.
Allora Cullasubhadda divenne ancora pi irritata, ed and ad un tempio dei
Buddha personificati, fece offerte di frutti selvatici, e preg:
"In seguito, quando trapasser, vorrei rinascere come figlia di un re, per poter
diventare la moglie del re di Benares. Allora gli diventer cara, potr
esercitare la mia volont, e potr fargli mandare un cacciatore con una freccia
avvelenata che ammazzi questo elefante e mi porti le sue sestuple zanne".
In seguito divenne effettivamente la regina sposa del re di Benares. Ricord la
sua vita precedente, e pens:
"La mia preghiera stata esaudita".
Si finse malata, e persuase il re a esaudire un suo desiderio, che era l'unico
mezzo per recuperare la sua salute e i suoi spiriti vitali; avrebbe detto in
cosa consisteva il suo desiderio quando tutti i cacciatori del re si fossero
riuniti. Questo era che uno di loro le portasse le zanne di Chaddanta. Apr una
finestra ed indic il nord dell'Himalaya dicendo:
L dimora, invincibile in potenza
questo elefante, bianco, con sei zanne,
signore di un branco forte di ottocento capi
le cui zanne sono come timoni di carri,
e veloci come il vento
nello stare in guardia e nell'attaccare!
Se vedessero un bimbo d'uomo
la loro furia lo distruggerebbe interamente,
E vide nel suo cuore il luogo stesso dove l'elefante si stava divertendo, e come
Uscito dal bagno e inghirlandato di loto,
si muove sulla pista di casa.
Vasto il suo boschetto, egli come un bianco giglio,
ed egli cammina verso una regina beneamata.
Di tutti i cacciatori, uno, di nome Sonuttara, che era uno zotico brutto, grande
e forte, accett il compito, e dopo essere stato rifornito di tutto il
necessario, si avvi per la sua strada. Gli ci vollero sette anni di faticoso
cammino per raggiungere i luoghi frequentati da Chaddanta; ma non appena vi
arriv, Sonuttara scav una fossa e la ricopr con piccoli tronchi d'albero ed
erba ed indossando la veste gialla da monaco e portando l'arco con la freccia
avvelenata, si nascose e rest in attesa. Presto Chaddanta pass di l, e
Sonuttara lo fer con la freccia avvelenata. Ma l'elefante, controllando i sui
sentimenti di rancore, chiese al cacciatore:
"Perch mi hai ferito? per tuoi scopi o per soddisfare la volont di un
altro?"
Il cacciatore rispose che Subhadda, la consorte del re di Benares, lo aveva
mandato perch si impadronisse delle sue zanne. Chaddanta riflett:
"Quella non desidera le mie zanne, ma la mia morte"; e disse:
Vieni ora, o cacciatore, e prima che io muoia
sega le mie zanne d'avorio;
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gli salv la vita e lo port a riva. Il cervo Ruru preg anche l'uomo di non
dire nulla della sua avventura, perch temeva la crudelt degli uomini. Intanto
avvenne che la regina di quel paese sognasse proprio quel cervo, ed il re offr
una taglia per la cattura di quest'animale. L'uomo a cui il cervo aveva salvato
la vita, essendo povero, fu tentato dall'offerta di un prospero villaggio e di
dieci belle donne, e rivel al re il segreto del bel cervo. Il re stava per
lasciar partire la sua freccia, quando il cervo gli chiese di fermare la mano, e
di dirgli chi gli aveva rivelato il segreto della foresta dove egli dimorava.
Quando il re ebbe indicato il disgraziato, il cervo esclam: "Vergogna a lui!
proprio giusto il detto che ' meglio tirar fuori dall'acqua un tronco, che
salvare un uomo che annega'. cos che ricompensa lo sforzo fatto a suo
beneficio!"
"Il re chiese perch il cervo parlasse con tanta amarezza e il Bodhisattva
(perch, naturalmente, tale era il cervo) rispose: "Non il desiderio di
biasimare che mi ha spinto a queste parole, o re, ma conoscendo la sua azione
riprovevole, ho parlato duramente per dissuaderlo dal ripetere ancora simili
azioni. Perch chi userebbe di buon animo un linguaggio duro verso coloro che
hanno commesso una cattiva azione, spargendo sale, se cos si pu dire, sulle
ferite del loro peccato? Ma anche al suo figlio adorato un medico deve applicare
la medicina che richiede la malattia. Chi mi ha messo in questa situazione di
pericolo, o migliore degli uomini, colui che ho ripescato dalla corrente, per
piet verso di lui. Veramente, i rapporti con le cattive compagnie non portano
alla felicit".
"Il re voleva giustiziare l'uomo; ma il Bodhisattva parl in difesa della sua
vita, e perch ricevesse la ricompensa promessa. Allora il Bodhisattva predic
la dottrina al re, alle sue mogli e agli ufficiali della corte con il discorso
seguente:
""Della legge dalla quale dipendono i multiformi doveri e delle sue divisioni,
dell'astenersi dall'offendere gli altri, dal furto, e cose simili, credo che il
pi sintetico riassunto sia: 'Piet verso ogni creatura'. Perch considera, tu,
illustre principe: se la piet verso ogni creatura portasse gli uomini a
guardare gli altri come se stessi, o come membri della propria famiglia, il
cuore di chi albergherebbe pi il pericoloso desiderio di perversit?... Per
questa ragione il Saggio crede fermamente che l'essenza della giustizia sia
compresa nella piet. Quale virt, dunque, nutrita dal pio non conseguenza
della piet? Ricordandoti questo, sii assiduo nel fortificare la tua piet verso
tutto il popolo, considerando tutti pari a tuo figlio o a te stesso; e
conquistando con i tuoi atti pii i cuori del tuo popolo, possa tu glorificare la
tua maest!"
"Il re apprezz le parole del cervo Ruru e con i possidenti terrieri e i
cittadini divenne assiduo nella pratica della Legge della Giustizia. Garant
sicurezza a tutti i quadrupedi e agli uccelli..."
("Questa storia pu essere raccontata quando si parla della compassione, pu
essere citata a proposito dell'abnegazione dei virtuosi, e anche per criticare i
perversi").
Molte storie buddhistiche sono in accordo perfetto con le parole del poeta
occidentale, che dice:
Colui che prega meglio chi pi ama
tanto le cose grandi che le piccole,
ed certo che l'Ancient Mariner proprio quel tipo di racconto che i Fratelli
buddhisti di gusti letterari avrebbero trasformato in Jataka.
Difficilmente discernibili dai Jataka sono i vari Avadana, che sono costituiti
in genere da leggende di Bodhisattva. Tra di essi si pu notare il ciclo di
Asoka, che forma una parte dei Divyavadana o "Avadana celesti". La pi bella di
queste leggende la patetica storia di Kunala, il figlio di Asoka, a cui furono
cavati gli occhi per ordine della sua malvagia matrigna, senza che nel suo cuore
si risvegliassero sentimenti di collera o odio. Cito qui il riassunto
dell'episodio dal lavoro di Oldenberg:
"Kunala - questo nome gli era stato dato a causa dei suoi occhi
meravigliosamente belli, belli quanto gli occhi dell'uccello Kunala - vive
lontano dal trambusto della corte, dedito alla meditazione sull'impermanenza.
Una delle regine arde d'amore per il bel giovane, ma tanto le proposte quanto le
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minacce della bellezza respinta sono ugualmente vane. Assetata di vendetta, essa
trama per farlo mandare in una lontana provincia, e poi invia un ordine a quel
distretto, firmato con il sigillo d'avorio sottratto scaltramente al re, perch
vengano cavati gli occhi al principe. Il principe stesso offre una ricompensa a
chi fosse pronto ad eseguire l'ordine del re. Alla fine appare un uomo, orribile
d'aspetto, che si incarica del compito. Quando, tra le grida e i pianti della
folla, viene cavato il primo occhio, Kunala lo prende in mano e dice: "Perch
non vedi pi quelle forme che prima guardavi, tu, rozza palla di carne? Come si
illudono, come sono sviati quei pazzi, che si attaccano a te, dicendo: 'Questo
sono io'". E quando viene cavato il suo secondo occhio, dice: "Gli occhi di
carne, che sono difficili da ottenere, mi sono stati cavati, ma ho guadagnato il
perfetto occhio infallibile della saggezza. Il re mi ha dimenticato, ma io sono
il figlio del sublime Re della verit: mi si pu dire suo figlio". Viene allora
informato che fu per colpa della regina se stato eseguito quell'ordine contro
di lui. Egli replica: "Che possa godere a lungo felicit, vita e potere, colei
che mi ha portato a un cos alto benessere". E cos se ne va come mendicante con
sua moglie; e quando arriva alla citt di suo padre, suona il liuto davanti al
palazzo. Il re ode la voce di Kunala, lo fa chiamare, ma quando vede davanti a
lui il cieco, non riconosce suo figlio. Alla fine la verit viene alla luce. Il
re in un accesso di rabbia e di risentimento sta per far torturare ed uccidere
la perfida regina. Ma Kunala dice: "Non ti si addice ucciderla. Fai come comanda
l'onore, e non uccidere una donna. Non c' ricompensa pi grande che quella che
si riceve per la benevolenza: la pazienza, sire, stata comandata dal
Perfetto". Ed egli si getta ai piedi di suo padre dicendo: "O re, io non sento
dolore; nonostante l'inumano trattamento che ho subto, non sento il fuoco della
collera. Il mio cuore nutre solo sentimenti di benevolenza verso mia madre, che
ha dato l'ordine di cavarmi gli occhi. E se queste parole sono veramente
sincere, possano i miei occhi ritornare com'erano"; e i suoi occhi brillarono
splendenti come prima.
"Da nessun'altra parte la poesia buddhistica ha meglio onorato il perdono, e
l'amore rivolto anche ai nemici, di quanto abbia fatto nel racconto di Kunala.
Ma anche qui percepiamo quella fredda aria che fluttua attorno a tutte le
immagini della moralit buddhistica. Il Saggio sta cos in alto che nessun atto
umano lo pu avvicinare. Non prova risentimento per qualsiasi azione peccaminosa
che cerchi di aggredirlo, e non sente neppure dolore per questa azione. Il
corpo, sul quale i suoi nemici possono agire, non lui stesso. Senza provare
dolore per le azioni degli altri uomini, permette alla sua benevolenza di
aleggiare sopra a tutto, sia sopra il male sia sopra il bene. "Chi mi provoca
dolore e chi mi causa gioia, per me sono uguali; non conosco affetto o odio. In
gioia e in dolore io resto impassibile, nell'onore e nel disonore; in qualsiasi
situazione io sono uguale. Questa la perfezione della mia equanimit"".
L'insieme delle opere sanscrite buddhistiche fin qui descritte sta in una
posizione di mezzo tra lo Hinayana e il Mahayana, eccettuato, naturalmente, il
Risveglio della fede di Asvaghosha; tutte tendono per sempre pi verso il
Mahayana, e ci le porta ad esprimersi accrescendo l'importanza data alla
devozione al Buddha, secondo l'ideale del Bodhisattva.
Mahayana-sutra
Con i Mahayana-sutra arriviamo ad una serie di lavori integralmente e
completamente mahayanisti. Non esiste comunque un canone Mahayana, ma ci sono
nove libri che sono ancora altamente onorati da tutti i raggruppamenti del
Mahayana senza eccezione. Tra di questi c' il Lalitavistara gi menzionato,
l'Ashtasahasrika-prajnaparamita, e il Saddharmapundarika.
L'ultimo menzionato, il "Loto della buona legge", forse il pi importante di
essi, e certamente il pi notevole dal punto di vista letterario. Pu essere
datato circa alla fine del secolo II d.C. Esso non contiene pi tracce del
Buddha umano: il Buddha un Dio al di sopra di tutte le altre divinit, un
essere eterno, che sempre stato e sempre sar; la religione buddhistica qui
resa completamente indipendente dalla storia. Il Loto della Buona Legge pi un
dramma che un racconto;
"E una rappresentazione misteriosofica non sviluppata, in cui il personaggio
principale, ma non l'unico, Sakyamuni, il Signore. Consiste in una serie di
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II - La scultura e la pittura
Cos come il Buddhismo originario poco desiderava esprimere le sue idee
caratteristiche con la poesia, il dramma, o la musica, cos pure poco immaginava
che le arti della scultura e della pittura potessero avere scopi ed effetti
diversi da quelli mondani. I preconcetti edonistici erano troppo forti - e
questo vale in generale per tutto il pensiero indiano dell'epoca - perch un
atteggiamento diverso da quello puritano nei confronti dell'arte potesse essere
possibile per il filosofo. Le arti erano considerate una specie di lusso. Cos
troviamo testi come il seguente:
"Per me la bellezza non nulla, n la bellezza del corpo, n quella conferita
dagli abiti.
[nota: Infinitamente lontano dal punto di vista moderno, che era corrente anche
nell'India medioevale, "che il segreto di ogni arte... sta nella facolt di
oblo di se stessi". Riciotto Canudo, Music as a Religion of The Future.]
"Se un Fratello o una Sorella vede diversi colori, come ghirlande, figure
vestite, bambole, abiti, sculture in legno e in gesso, gioielleria, lavori
d'avorio, nastri, e cose del genere, essi non dovrebbero, per cercare il piacere
degli occhi, andare dove si possono vedere questi colori e forme" [Dasa Dammika
Sutta].
proibito alle Sorelle guardare "quadri di tresche" o scene d'amore; mentre ai
Fratelli permesso di avere i muri del monastero o della caverna dipinti con
rappresentazioni di ghirlande e piante rampicanti, mai di uomini e donne. La
motivazione edonistica di queste ingiunzioni rivelata molto chiaramente in un
passo del tardo Visuddhi Magga - poich lo Hinayana mantiene la tradizione
puritana fino alla fine, con la sola esile concessione che ammette la
raffigurazione del Buddha - dove "pittori e musicisti" sono classificati al pari
di "profumieri, cuochi, medici che preparano elisir, e altre persone del genere
che ci riforniscono di oggetti per il piacere dei sensi".
L'arte del "Buddhismo originario"
solamente a partire dai secoli III e II a.C. che possiamo trovare Buddhisti
che patrocinino gli artigiani e usino l'arte per scopi educativi. Da ci che
stato appena detto, comunque, si comprender facilmente che non si era ancora
arrivati ad un'arte religiosa specificamente buddhistica o brahmanica, ed
perci che l'arte del Buddhismo originario in realt l'arte popolare indiana
del tempo adattata ai fini buddhistici, mentre una fase speciale dell'arte,
rappresentata dai capitelli delle colonne di Asoka e altri motivi
architettonici, in realt di origine extraindiana.
Quest'arte non-buddhistica di cui abbiamo esempi nell'epoca di Asoka in
rapporto con il culto degli spiriti della natura, la Dea Terra, i Naga o re
serpenti delle acque, e i re Yakkha che reggono i quattro punti cardinali.
L'arte buddhistica originaria di Bharhut e Sanchi, che contemporanea di Asoka,
o leggermente pi tarda, riflette il predominio di questo culto nelle figure dei
guardiani Yakkha dei punti cardinali in bassorilievo, che proteggono le porte
d'entrata del porticato. La vittoria del Buddhismo sui culti animistici - certo,
solo una vittoria parziale, giacch questi culti sono ancora praticati
attualmente - indicata dalla presenza di questi spiriti della natura che
agiscono come guardiani dei templi buddhistici, come nella storia della vita del
Buddha, nell'episodio del Naga Mucalinda che diventa il protettore e rifugio del
Buddha durante la settimana delle tempeste. Gli spiriti della natura sembra
siano anche rappresentati con intenzione puramente decorativa, o forse
reverenziale, nel caso delle immagini di driadi insieme ad alberi, nella parte
superiore dei portoni di Sanchi. Queste immagini belle e sensuali sono di alto
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punto d'arrivo della Grande Ricerca. E cos, quando si volle rappresentare con
un'icona visibile l'immagine di Colui-che-ha-raggiunto-ci, la forma pi
appropriata era gi a portata di mano. E molto probabile che figure del Buddha
assiso fossero gi d'uso locale e privato come oggetti di culto, ma solo dopo
l'inizio dell'ra cristiana che essi incominciarono ad avere un ruolo
ufficialmente riconosciuto nell'arte buddhistica, e che la figura del Buddha fu
introdotta nella scultura "narrativa".
[nota: Come fa rilevare il Foucher, la figura del reliquiario di Kanishka
"mostra un'arte gi stereotipata... e questo documento votivo basta da solo a
rendere pi antica di almeno un secolo la creazione del modello plastico del
Beato, facendoci cos risalire al primo secolo prima della nostra ra".
L'Origine greque de l'Image du Buddha, Paris, 1913, pag. 31.]
molto probabile che esempi di queste prime opere buddhistiche non esistano
pi, ma anche se cos fosse, le splendide e monumentali immagini di Anuradhapura
e Amaravati, che sono forse del secolo II d.C., riflettono ancora in gran parte
la piena forza dell'ispirazione primitiva. Di queste figure nessuna pi bella
- e forse non c' nulla di pi bello in tutta l'arte buddhistica - della
colossale figura di Anuradhapura. A quest'ultima bisogna associare un'immagine
del Buddha in piedi e una di un Bodhisattva. Tutte e tre sono da mettere in
relazione con le rappresentazioni del Buddha in piedi di Amaravati. In queste
immagini austere la grandezza morale dell'ideale del Nibbana trova la sua
espressione diretta nella forma monumentale, libera da ogni orpello
insignificante o da una qualunque enfasi, e questi prototipi sono riprodotti poi
in tutta l'arte buddhistica successiva.
La scultura greco-buddhistica
Per queste opere dobbiamo riprendere ad esaminare l'arte del Gandhara,
leggermente precedente, pi conosciuta e molto pi abbondante, generalmente
chiamata "greco-buddhistica". Quest'arte cos chiamata perch, a parte la
figura del Buddha seduto, che naturalmente interamente indiana, i personaggi
pi importanti del pantheon buddhistico - cio, il Buddha in piedi, la sua
figura seduta, le immagini di Bodhisattva e altre divinit buddhistiche, cos
come i personaggi che compongono alcune scene della vita del Buddha, e alcuni
dettagli di ornamentazione architetturale - sono, o basati direttamente, o
fortemente influenzati, dai prototipi greco-romani. Di fatto l'arte del Gandhara
una fase dell'arte delle provincie romane, arricchita con elementi indiani, e
adattata all'illustrazione delle leggende buddhistiche. L'influenza delle forme
occidentali chiaramente riconoscibile nella posteriore arte buddhistica
indiana e cinese: ma l'arte del Gandhara d l'impressione di una profonda
insincerit; per l'espressione compiacente dei costumi un po' affettati dei
Bodhisattva, e per i gesti effeminati e svogliati delle figure del Buddha essa
esprime solo vagamente l'energia spirituale del pensiero buddhistico. Anche dal
punto di vista occidentale quest'arte dev'essere considerata ancora pi
decadente di quella dell'impero romano: perch, veramente, "nei sabbiosi sfondi
del realismo romano, il flusso dell'ispirazione greca si perse per sempre", e
nulla lo mostra pi chiaramente dell'arte del Gandhara. E interessante osservare
anche il modo in cui certi simboli indiani sono interpretati goffamente ed
imperfettamente, perch questo fornisce la prova, se ce ne fosse bisogno, che i
modelli in questione sono di origine anteriore, e indiana. Un caso evidente
quello del sedile di loto, che il simbolo della purezza spirituale o divinit
del Buddha. Il Buddha seduto del Gandhara sbilanciato, in posizione insicura e
poco confortevole, sui petali appuntiti di un loto sproporzionatamente piccolo,
e questo difetto distrugge cos il senso di riposo che essenziale nella figura
dello Yogi - il quale nei libri indiani paragonato alla fiamma che non vacilla
in un luogo senza vento - ed in diretto conflitto con i testi yoga che
dichiarano che il sedile di meditazione dev'essere stabile e comodo (sthirasukha). Abbiamo davanti a noi il lavoro di artigiani stranieri che imitano una
formula indiana che non capiscono. Non possiamo credere che quest'arte sia
originale e autoctona e nonostante il suo interesse storico essa non
certamente primitiva nel senso in cui la parola usata dagli artisti.
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Sanna, P: percezione.
Sarraguna, S: saggio integrale, che possiede ogni qualit possibile.
Sati, P: autoconcentrazione, coscienza.
Sila, P: condotta, moralit.
Sufi: mistico persiano.
Sukha, P, S: bene, piacere, felicit, benessere.
Sukhavati: il Paradiso Occidentale di Amitabha, il Cielo Superiore, il "Campo di
Buddha", dove le anime sono fatte maturare per il Nirvana.
Sutta (sutra): "filo". Una forma letteraria delle scritture buddhistiche, parole
di Buddha "infilate insieme" come un discorso o un dialogo; nelle scritture
ind, una serie di aforismi collegati.
Svabhava, S: "natura-propria". L'Esistente di per s, la sorgente della
spontaneit; un termine analogo a "Io sono quello che sono", applicato al Buddha
supremo (Adi-Buddha del Mahayana posteriore).
Sva-dharma, S: "norma propria", dovere peculiare dell'individuo o gruppo sociale.
Tanha (trishna): desiderio, bramosia, avidit, voglia impellente di ottenere o
godere, movente interessato. In questo senso il Buddhismo insegna l'estinzione
del desiderio (nell'Induismo, "rinuncia ai frutti dell'azione"), ma tanha non
comprende l'aspirazione e la buona intenzione che sono incluse nel "desiderio
retto" dell'Ottuplice Via.
Tao: la dottrina dell'Assoluto del pensatore cinese Lao-tzu. Il termine Tao ha
una connotazione simile a quella del Nirvana e di Brahman.
Tapas, S: bruciore, incandescenza, sforzo, tortura.
Tara: la controparte femminile di un Bodhisattva, una Redentrice.
Tathagata, S: Cos-andato o Cos-venuto, Colui-che-ha-raggiunto-ci, un termine
usato dal Buddha parlando di se stesso.
Tathagata-garbha, S: "Utero di Coloro-che-hanno-raggiunto-ci". Il Dharmakaya, o
ipseit, considerato dal punto di vista del relativo e visto come l'origine di
tutte le cose; Madre dei Buddha e di tutti gli esseri sensibili; natura come
materia potenziale, Maya, Prakriti, Prajnaparamita.
Tattva, bhutatathata, S: ipseit, fondamento, substrato, l'inevitabilit e
universalit delle cose, la sorgente della spontaneit. La qualit di Infinito
in ogni particolare, del Tutto nel parziale.
Tavatimsa: Cielo delle trentatr divinit, uno dei sei Cieli inferiori.
Thera, P: anziano; tra i Fratelli, un Arahat.
Theravada, P: "Parola degli Anziani". Con questo termine i Buddhisti primitivi
distinguono la loro credenza da quella dei Mahayanisti. I testi Theravada
costituiscono il Canone pali.
Theri, P: femminile di Thera.
Thupa (stupa): tumulo commemorativo, che generalmente contiene reliquie.
Trikaya, S: i tre corpi, o modalit, di un Buddha (Mahayana), cio Dharmakaya,
Sambhogakaya, e Nirmanakaya, vedere queste parole.
Tri-ratna, S: i "Tre Gioielli". Nello Hinayana, il Buddha, il Dhamma, e il
Sangha; nel Mahayana, i Buddha, i figli del Buddha, e il Dharmakaya.
Tusita, S: Cielo dei Piaceri, uno dei sei Cieli Inferiori.
Upadhi (upadhi): attributi, sovrapposti dal mentale all'Incondizionato:
determinazioni individualizzanti.
Upanishad, S: libri del Veda posteriore, parzialmente pre-buddhistici, in cui si
trovano i testi principali del Vedanta o della filosofia brahmanica
dell'Assoluto, alla quale il Buddhismo nominalmente opposto.
Upaya, P: mezzi, agevolazioni.
Upekkha, P: imparzialit, unit di intenti, uno dei quattro Stati d'Animo
Sublimi.
Vanaprastha, S: eremita dei boschi.
Varna, S: "colore", natura. Combinato con il mestiere ereditario, ed il
riconoscimento di specifiche forme sociali, "colore" diventa la casta,
istituzione che era in via di sviluppo al tempo di Gautama.
Vedana, P: sensazione.
Vinnana (vijnana): coscienza, attivit mentale.
Vimutti, Vimokha (moksha): salvezza, liberazione, il summum bonum.
Vimutto: salvato, liberato.
Vinaya, P: regole dell'Ordine buddhistico.
Yakkha (Yaksha): spirito della natura.
Yogacara, S: divisione del Mahayana, principalmente dipendente da Asanga.
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Indice
Introduzione
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Prefazione dell'autore
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