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QUANTI SECOLI ci sono nel nostro secolo? Quanta storia di troppo è stata
pigiata a forza nel Novecento? A guardarlo bene, questo secolo ti appare
come un plastico della storia universale, fors'anche futura. Chi ha avuto la
ventura di percorrerne le strade può dire di essersi accostato al mistero
dell'umanità.
Margarete Thüring è una donna che ha avuto la disgrazia di non perdersi
niente della nostra epoca.
Margarete non ha il dono della scrittura letteraria. Per fortuna. Non commuove con
l'immagine azzeccata, il ritmo incalzante, l'intonazione grave. La sua narrazione ha lo
stesso colore livido e un po' mosso di un video girato da un dilettante che si trovi a
testimoniare la tragedia. C'è naturalmente tutto l'orrore delle
memorie dei sopravvissuti e l'esperienza di ciò che è
incredibile. Ma essenzialmente la sua attraversata del
Novecento è in funzione di verità. Non solamente dopo, a
concentramento finito, per convincere che lager e gulag erano
matrici di storia europea, ma soprattutto durante. A Karaganda
la sua verità è una menzogna per le "asociali" che vedono in lei
solo una tedesca che sparla della loro grande patria, è una
bestemmia per le comuniste deportate perché sono convinte di
essere cadute in una trappola, in un infame equivoco che un
giorno il compagno Stalin rivelerà colpendo i colpevoli. Come
scriverà Evtusenko "Molti, tornando alle torture,
scrivevano col sangue sui muri delle loro celle 'Viva
Stalin'". A Ravensbrück Margarete è una "comunista sovietica"
per tutti e una maledetta trotzkista per le comuniste recluse,
che infatti la "processano" e la mettono al bando.
E' ostica la verità che questa donna incarna e racconta. Anche adesso. Il treno che da
Karaganda l'ha portata a Ravensbrück, con il passaggio delle consegne a Brest Litovsk tra
Nkvd e Gestapo, è qualcosa di più di un tragitto geografico e personale. E' un incubo
storico perché stabilisce un contatto e un riconoscimento tra due forme di organizzazione
sociale che avrebbero dovuto essere antagoniste, invece di intersecarsi fluidamente.
Margarete esibisce l'unico punto di vista ineccepibile, quello della vittima che vede e
capisce. Non è re/visionismo il suo, è visione di ciò che è nella ineluttabile potenza della
sofferenza. Una par condicio di cui milioni di persone avrebbero fatto volentieri a meno.
"Da quel che dice pare quasi che Stalin non sia poi tanto diverso da Hitler. La
pensa veramente così?' mi chiese, quasi reclamando una mia smentita. 'Sì, è
proprio così. A mio parere, le efferatezze di Hitler e quelle di Stalin si
distinguono unicamente per una tenue sfumatura. Comunque, il comunismo in
sé mi sembra un'idea positiva, a differenza del nazionalsocialismo, che sin dai
suoi esordi ha manifestato radici, motivazioni e programmi criminali. Non so se
l'errore si nasconda nell'ideologia o nella teoria comunista, oppure se sia stata
la sua applicazione politica da
parte di Stalin a tradire la bontà
dell'idea originale, stabilendo in
Unione Sovietica una sorta di
fascismo'".