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Se nel mondo non si serbasse memoria di coloro che operarono bene, tutto quanto di bene si

compie nel mondo non avrebbe valore.


Male agirebbe chi non volesse apprezzare come tale il bene che l'uomo compie a vantaggio del
mondo.
Odo spesso disprezzare ci che pur si bramerebbe di avere e a questo riguardo anche il poco
diventa troppo e si vuole appunto ci che non si vuole.
All'uomo conviene sempre lodare una cosa di cui deve far uso e compiacersene fintanto che gli
utile.
Assai caro mi chi sa pesare il bene e il male e che sa apprezzare gli altri - e finanche me stesso
- al giusto valore.
Onore e lode producono l'arte, poich l'arte a lode creata. Dove con l'onore fiorisce la lode, ivi
fiorisce anche ogni genere d'arte.
Come tutto ci che privo di onore e di lode perisce, cos invece prospera ci che in onore sta e
di lode non frustrato.
Molti sono quelli che usano volgere il bene in male e il male in bene; questi tali agiscono a
rovescio.
Come bellamente risplendono congiunti sapienza e giusto senno!
Se insieme a essi alberga l'invidia, sapienza e giusto senno svaniscono.
O virt! come sono stretti i tuoi sentieri e com' ardua la tua via! Beato chi segue la tua via e per
i tuoi sentieri cammina.
Se, gi maturo negli anni, io trascinassi la mia vita nella noia dell'ozio non sarei cos esperto del
mondo come sono.
Io per amore del mondo ho dedicato la mia fatica a sollievo dei nobili cuori, dei cuori che porto
nel mio proprio cuore, e a conforto del mondo nel quale il mio cuore rivolto. Non alludo al
mondo di tutti coloro di cui sento dire che non sanno sopportare contrariet alcuna e si cullano
soltanto nei piaceri: nei piaceri Dio li lasci pur vivere. Non a questo mondo e al suo costume io
rivolgo il mio dire; le nostre vie troppo divergono. Un altro mondo intendo io, che nutre insieme
nel cuore il dolce tormento, il dilettoso dolore, la gioia del cuore, la desiosa tristezza, la dolce
vita, la triste morte, la dolce morte, la triste vita.
Alla vita sia consacrata la mia vita, a questo mondo voglio appartenere e con esso perire o
prosperare. Vi sono stato fino a oggi, vi ho trascorso i miei giorni e ne dovevo trarre
insegnamento e guida per la faticosa vita. Questo il mondo al quale ho riservato la mia opera
per suo diletto affnch il mio narrare muti almeno per met il suo affanno in dolcezza e allevi la
sua pena. Poich chiunque ha qualche cosa con cui occupare lo spirito, che non vada ozioso, si
libera dalle sue pene e acqueta il cuore angustiato.
Tutti sono d'accordo nel dire che il mal d'amore che opprime il cuore deserto, aumenta vieppi
con l'ozio. Il desiderio amoroso si accresce nell'inoperosit. Perci bene che chi porta nel cuore
male d'amore e desiderio amoroso cerchi con ogni diligenza un'attivit per il corpo, affnch
anche lo spirito, occupato, possa averne bene e riposo.
Tuttavia a nessuno che soffra di questo male io consiglio di ricorrere a un'attivit che mal si
addica all'amore puro. L'amante segua col cuore e con le parole un amoroso racconto e cos

allevi le ore.
Ora per c' un detto cui voglio credere: l'animo innamorato quanto pi si occupa di novelle
d'amore, tanto pi accresce la propria pena. E questo detto lo confermerei, se non fosse che vi
contrasta una cosa: chi ha vero amore nel cuore, per quanto gli dolga, sempre vi rimane
attaccato e quanto pi lo brucia l'amoroso ardore, tanto pi ama.
Questa pena tanto piena di delizie, questo soffrire cos dilettoso che nessun cuore, il quale ne
sia preso, vi si vuole sottrarre.
E' cosa certa come la morte e da questo stesso dolore lo riconosco, che il vero amatore ama le
novelle amorose. Perci chi desidera racconti d'amore non vada oltre, ma si fermi qui che io gli
narrer di nobili amanti che professarono puro amore; di due innamorati, un uomo e una donna,
una donna e un uomo, Tristano, Isotta; Isotta, Tristano.
So bene che molti hanno raccontato la storia di Tristano, ma pochi l'hanno fatto con fedelt. Se
ora io facessi altrettanto e inoltre parlassi come dispiacendomi di ogni loro narrare intorno a
questa saga, agirei diversamente da come debbo. Quindi non lo faccio: essi parlano bene e
soltanto con nobili intenti e a vantaggio mio e del mondo, e quello che l'uomo fa con retta
intenzione ben fatto. Ma, come dissi, essi non hanno rettamente narrato e cos fu in verit. Non
hanno parlato come fece Tommaso di Britannia, il quale fu maestro di avventure e lesse nei libri
brettoni la vita di tutti i nobili signori di cui ci ha dato notizia. Poich egli rettamente narra la
verit intorno a Tristano io cominciai a investigare diligentemente nei libri francesi e latini e a
preoccuparmi molto di raccontare la sua storia secondo verit. Cos cercai a lungo finch trovai
un libro che narrava come fu questa avventura. La storia quindi di questo amore propongo a tutti
i nobili cuori affinch ne abbiano svago e conforto. Buon per loro sar il leggerla: buono?, s,
perch l'amore nobilita l'animo, rafforza la fedelt, purifica la vita e pu conferirle grande virt,
poich ove l'uomo leale legga oppure oda narrare di cos assoluta fedelt, indotto ad amare
maggiormente questa virt e tutte le altre. Amore, fedelt e perseveranza, onore e molti altri
beni non gli sono mai tanto cari come l dove si parla d'amore e per pena amorosa si piange.
L'amore tale gaudio, tale gioiosa lotta, che senza il suo ammaestramento nessuno pu avere
virt e onore. Dall'amore deriva altrettanta virt quanta la felicit che esso porta con s.
Ahim! Perch tutto ci che ha vita non tende al vero amore? Perch io cos pochi ne trovo che,
soltanto a causa della lieve pena che talvolta sta nascosta nel cuore accanto all'amore, vogliano
accettare il puro desiderio per un cuore amico? E come un animo nobile non vorrebbe sopportare
di buona voglia un male per un bene mille volte maggiore e un disagio per averne molte gioie?
Chi dall'amore non ebbe mai pene, dall'amore neppure ebbe mai gioia. Nell'amore gioia e dolore
non andarono mai disgiunti; bisogna con essi guadagnare lode e onore oppure senza di essi
perire. Se al cuore dei due amanti di cui parla questo racconto l'amore non avesse dato
tormento, e la gioia del cuore doloroso desiderio, il nome e la storia loro non sarebbero mai giunti
a tanti nobili cuori per loro conforto e salute.
E ancor oggi sempre dolce e nuova la storia della loro perfetta fedelt, il loro amore, la loro
passione, la loro gioia, la loro pena; sebbene da lungo tempo siano morti, il loro dolce nome vive
ancora e la loro morte deve restare viva a lungo e per sempre per il bene del mondo, ispirare
fedelt a chi di fedelt bramoso e onore a chi onore persegue; la loro morte deve sempre
essere nuova vita a noi vivi; poich udire narrare della loro fedelt, della purezza di questa
fedelt, dell'amore e della pena del loro cuore, questo alimento per tutti i cuori ed cos che la
morte viva. Noi ne leggiamo la vita, ne leggiamo la morte e questo ci dolce come il pane.
La loro vita e la loro morte sono il nostro pane: cos vive la loro vita, cos vive la loro morte. Cos
essi vivono ancora pur essendo morti e la loro morte pane ai viventi.
E chi ora voglia udir narrare la loro vita e la loro morte, la gioia e il dolore loro, questi porga

orecchio e cuore e trover appagato ogni suo desiderio. Viveva in Parmenia un cavaliere, di anni
ancora fanciullo, secondo quanto ho letto, il quale era, come veracemente racconta la sua storia,
per nascita e per territori pari a re e a principi, bello, di persona avvenente, leale, ardito,
generoso e ricco. Per coloro ai quali voleva a suo tempo far piacere, il signore appariva come un
sole che irradiasse gioia, una letizia per il mondo, un esempio per la cavalleria, un onore per la
famiglia e una sicurezza per il paese.
Nessuna delle virt che si addicono a un cavaliere gli faceva difetto; soltanto, egli voleva andare
troppo lontano, abbandonarsi ai desideri del suo cuore e vivere solo secondo la sua volont, onde
pi tardi gran male gli incolse.
Poich cos e cos fu in tutti i tempi, ch la giovinezza esuberante e la grande ricchezza
conducono alla prepotenza. A pazientare, cosa che pu fare anche un uomo di grande potenza,
raramente egli si adattava: ricambiare il male col male, spiegare violenza contro violenza, a
questo soltanto pensava.
Ora avviene sovente che un uomo, dandosi l'importanza di un Carlomagno, voglia rivalersi dei
torti subti; sa Iddio se, in molti casi, non debba invece transigere affinch non gliene venga gran
danno.
Chi non sa sopportare alcun male ne incontra di maggiori: questo un disgraziato destino; allo
stesso modo anche l'orso, che vuol vendicare ogni piccola offesa, finisce con l'essere preso e a
molti mali soggiace.
Mi pare che anche a Riwalin sia accaduto altrettanto, perch troppo voglioso di vendicarsi, tanto
che male gliene incolse. Questo per non derivava da animo malvagio, dal quale tanti mali
provengono, ma dalla sua inesperta fanciullezza la quale fu causa che nel suo impeto giovanile
lottasse con tutto l'ardore di un giovane cavaliere contro la sua propria fortuna. Lo ingann la
giocosa et che fioriva nel suo cuore con tutta la sua prepotenza; egli faceva come tutti i fanciulli
che raramente sogliono essere prudenti; di nulla si dava pensiero, ma si curava solo di vivere e
soltanto vivere.
Da quando la sua vita ebbe principio e ascese come la stella del mattino e guard il mondo
sorridendo, egli sempre credette - il che mai si avver - di poter vivere sempre cos nella gioia
vivente.
No, quest'alba della sua vita ebbe breve durata; il sole del mattino, la letizia della sua vita, aveva
appena cominciato a splendere che cadde rapida la sera, a lui fino allora ignota, e spense la sua
aurora.
La storia ci racconta, e le sue avventure lo provano, che Riwalin era il nome che gli si addiceva e
Kanelengres il sopranome.
Molti credono che fosse di Lohnois e re di quella regione, ma Thomas ci assicura di aver letto
nelle avventure che era di Parmenia e aveva un'altra terra in feudo da un signore brettone, il
duca Morgan, del quale doveva esser suddito.
Ora Riwalin, gi ricco di onori e da tre anni armato cavaliere, era gi edotto di tutta la scienza
della cavalleria e forte nel maneggio delle armi e possedeva beni, territori e sudditi. Non so se
fosse per necessit o per baldanza che, come narrano le storie, egli attacc Morgan, come se
questi fosse stato in colpa. Mosse a cavallo e a mano armata contro di lui con tale violenza che
espugn molte citt, le quali dovettero arrendersi e, volenti o nolenti, riscattare a caro prezzo
vita e averi, finch egli venne cos a possedere tale potenza e tale ricchezza che ovunque si
volgesse poteva imporre la sua volont.
Per spesso gliene venne male e perse molti uomini valorosi, poich Morgan si difendeva e gli

resisteva con le sue schiere e gli infliggeva gravi danni. Perch nella guerra, come nella
cavalleria, si alternano vittoria e sconfitta e nel mestiere delle armi perdere e vincere costume
di guerra.
Morgan faceva altrettanto, gli distruggeva citt e castelli e gli rapinava uomini e beni per quanto
poteva; ma non riusciva a molto perch sempre Riwalin si prendeva la rivincita e lo metteva fuori
combattimento con grave danno. E questo continu sino a che alla fine Morgan non pot pi
resistere n in alcun modo salvarsi se non nelle sue fortezze migliori e pi munite. Riwalin
assedi anche queste e in accaniti combattimenti e battaglie sempre lo ricacci indietro fino alla
porta e sovente davanti a questa tenne tornei e brillanti tenzoni.
Cos lo oppresse con la sua forza, mettendo il paese a ferro e fuoco finch il duca venne a patti e
con fatica ottenne che gli fosse accordata una tregua di un anno e la pace tra loro venne
conchiusa con garanzie e giuramenti come si conveniva.
Quindi Riwalin ritorn al suo paese ricco e contento, con i suoi fidi, e li ricompens con mano
generosa e tutti li arricch lasciandoli ritornare alle loro case soddisfatti e con onore.
Riuscita questa impresa, non trascorse molto tempo che Kaneles si accinse per suo piacere a
un'altra spedizione, e di nuovo si part dalle sue terre con grandi ricchezze come suole esigerlo
l'ambizione. Tutto ci che poteva occorrergli per un anno fu portato a bordo di una nave. Sovente
egli aveva udito raccontare quanto rinomato per dignit e cortesia fosse il giovane re Marco di
Cornovaglia, il quale era tenuto in sommo onore e aveva sotto di s la Cornovaglia e l'Inghilterra.
La prima l'aveva per eredit e quanto all'Inghilterra le cose erano andate cos: la possedeva fin
da quando i Sassoni avevano scacciato i Britanni dal Galles, rimanendo signori del paese. Da loro
era rimasto anche il nome alla terra che prima si chiamava Britannia e poi da quelli del Galles,
Engelant.
Ora quelli che dominavano il paese e lo avevano in loro potere volevano tutti esserne signori e i
piccoli re; e questa fu la loro sfortuna perch cominciarono a combattere e a uccidersi fra loro,
tanto che alla fine misero se stessi e i loro domini sotto la protezione di re Marco: da allora egli
govern cos bene in tutti i campi che mai, in alcun regno, sovrano fu meglio obbedito. E le storie
ci narrano che in tutti i paesi all'intorno che riconoscevano la sua autorit nessun re fu amato
quanto lui.
Col voleva andare Riwalin che pensava di rimanere un anno presso re Marco per apprendere da
lui la disciplina e acquistare nuove cortesi virt e affinare i suoi costumi. Il suo nobile cuore gli
suggeriva che conoscendo gli usi di paesi stranieri, avrebbe potuto migliorare i propri e averne
egli stesso rinomanza. Cominci in questo modo: lasci le sue genti e le sue terre in custodia al
suo mariscalco, antico signore del paese, della cui lealt era sicuro; Rual di Foitenant era il suo
nome; quindi si imbarc con soli dodici compagni; questi gli bastavano e non gliene occorrevano
altri.
Quando a suo tempo arriv in Cornovaglia, apprese, essendo ancora in mare, che Marco, il
potente, era a Tintajoel, e volse allora la prora verso quella parte. Qui scese a terra e ivi lo trov
e di ci si rallegr molto; rivest se stesso e i suoi riccamente e come a loro si addiceva e quando
giunse alla corte, re Marco il cortese cortesemente lo ricevette, lui e il suo seguito. Riwalin ebbe
col tale accoglienza e tali onori come mai e in nessun luogo ne aveva avuto di simili. Molto ne
godeva il suo animo e il viver cortese tanto gli piaceva, che spesso diceva fra s:
"In fede mia, Dio stesso mi ha guidato fra questa gente; la mia buona fortuna mi ha favorito,
tutto quello che ho udito delle virt di re Marco tutto vero, la sua vita cortese e buona. Cos
egli apr l'animo suo a Marco dicendogli per quale motivo fosse venuto.
Quando Marco ebbe appreso la sua storia e le sue intenzioni disse:

"Benvenuto tu sei e inviato da Dio. La mia vita e i miei beni e tutto quello che posseggo siano
ai tuoi ordini".
Kanelengres stava contento a corte e la corte era tutta presa di lui; poveri e ricchi lo avevano
caro e lo tenevano in onore e mai ospite fu pi gradito. Ben lo meritava il valoroso Riwalin che
era, e sapeva esserlo, pronto a ogni loro servizio con bont e con amore e con animo amico.
Cos egli viveva nell'onore e nella vera bont in cui, come nelle altre virt, ogni giorno
progrediva, finch giunse la grande festa di re Marco alla quale, per invito e per ordine,
conveniva gran folla di gente. Una volta all'anno, al suo messaggio subito accorrevano alla
Cornovaglia i cavalieri del regno d'Inghilterra, conducendo con s grande schiera di belle dame e
grande magnificenza.
Fu deciso di tenere i festeggiamenti durante le quattro fiorite settimane quando ha principio il
dolce mese di maggio sin dove esso ha fine, e di riunire gli invitati a Tintajoel su verdi prati nel
pi bel luogo che occhio abbia mai veduto. La dolce e soave stagione vi aveva profuso i suoi
tesori con mano generosa; gli uccellini del bosco, che sono la gioia dell'orecchio, fiori, erbe e
fronde e tutto quello che rallegra l'occhio e i cuori gentili, di ci era piena l'estiva campagna. Vi si
trovava tutto quello che si voleva che il maggio portasse: ombre a riparo del sole, i tigli presso
alle fontane, i soavi e miti zeffiri che si inchinavano cortesemente alla nobile compagnia di re
Marco. Sorridevano i variopinti fiorellini dall'erba rorida. Il verde prato, l'amico del maggio, si era
fatto una splendida veste estiva che si rispecchiava negli occhi dei nobili invitati. Gli alberi in
fiore sorridevano cos dolcemente a chi li mirava che anima e cuore si volgevano con aperta gioia
alla ridente fiorita e tutti le rendevano il riso. Il dolce canto degli uccelli, cos soave e bello, che
tanto sollievo d all'orecchio e all'animo, riempiva tutta l'aria dal monte al piano. Il felice
usignolo, che sempre sia benedetto, gorgheggiava dai rami fioriti con tale slancio che infondeva
gioia e coraggio in molti nobili cuori.
L'allegra brigata si era gaiamente adagiata sulla verde erbetta, ciascuno a suo agio. E si erano
disposti, secondo il loro piacere, i ricchi sontuosamente, la gente di corte con decoro, qui gli uni
sotto tende di seta, l gli altri tra i fiori. I tigli offrivano ampio riparo e molti stavano nascosti fra
le loro verdi fronde. Mai ospiti e cortigiani furono pi splendidamente albergati. Qui, com'
costume nelle grandi festivit, si trovava gran dovizia di cibi e di ricche vesti, di cui ciascuno
poteva usare a suo piacere, avendo re Marco avuto cura con grande larghezza che tutti vivessero
nell'abbondanza e fossero felici.
Cos ebbe inizio la festa e chi era invogliato a guardare lo poteva fare, perch il luogo vi si
prestava mirabilmente. Si poteva vedere a proprio agio e come si voleva: questi venivano per
ammirare le dame, quelli per vedere le danze, chi guardava torneare e chi giostrare, il desiderio
ovunque si volgesse veniva soddisfatto, poich quanti erano presenti in giovanile et gioconda si
industriavano tutti per rallegrare la festa e accrescere l'allegria. E re Marco, il cortese e il buono,
pur non avendo a fianco altra femminile belt, aveva una rara meraviglia in sua sorella
Blancheflur, una fanciulla che mai pi bella fu veduta ivi o altrove. Di lei si diceva che non vi era
uomo che l'avesse guardata con occhio devoto senza che in lui crescesse l'amore per la donna e
per la virt.
La gioia degli occhi, il bel paesaggio, rendeva anche molti giovani arditi e baldi e molti nobili
cuori coraggiosi. Inoltre si trovavano sul prato varie belle dame, ciascuna delle quali meritava di
essere vera regina di bellezza; esse pure portavano animazione e gioia a tutti i convenuti e
rallegravano i cuori. Allora cominci il torneo della gente di corte e anche dei forestieri: i pi
degni e i migliori cavalcavano liberamente qua e l; c'erano anche il prode re Marco e il suo
compagno Riwalin con altri suoi fidi che si industriavano di dimostrarsi tali da essere degni di
lode e da confermare quindi la loro fama. C'erano anche destrieri coperti di zendado e di pelli,
con gualdrappe alcune bianche come neve, altre gialle, brune, rosse, verdi o azzurre, finemente
tessute in bella seta oppure traforate in molte guise, ricamate e ornate e in tanti modi guarnite. I
cavalieri portavano vesti meravigliosamente ritagliate e traforate con grande arte.

Anche la stagione estiva era palesemente in favore di re Marco, poich si potevano ammirare in
quel ritrovo molte bellissime corone di fiori che essa gli recava in omaggio.
In questa dolce piena estate si tennero varie belle tenzoni: le schiere spesso si scontravano, si
sospingevano qua e l, tanto che giostrando giunsero fin dove Blancheflur, la gentile, questa
meraviglia della terra, stava con molte altre belle dame a guardare lo spettacolo; poich essi
cavalcavano con tale maestria, con tanta regale dignit che ogni occhio ne godeva. Ma le gesta
migliori le compi Riwalin il cortese, che in quel giorno e in quel luogo sembrava davvero
destinato a superare tutti. Ben lo notarono le dame, le quali andavano dicendo che in tutte le
schiere nessuno si comportava con tanto cortese decoro, nessuno cavalcava con altrettanta
grazia; e tutte lodavano in lui l'arte del combattere.
"Vedete - dicevano -, questo giovane uomo avventurato, vedete come tutto quello che
intraprende degno di lui, come perfetta la sua persona, come armoniosa e nobile ogni sua
movenza! Come sempre saldo regge lo scudo, come gli si addice la spada in mano! Come ben gli
si adattano le sue vesti e come porta bene il capo e la chioma, e come piacevole tutto il suo
fare e quanto dilettosa la sua persona. Beata l'avventurata donna che da lui avr gioia!".
Blancheflur, la buona, si rese conto della loro inclinazione poich pure lei teneva Riwalin in
altrettanto pregio; lo aveva accolto nel suo animo ed egli le era entrato nel cuore dove imperava
con scettro e corona. Ma essa teneva tutto ci cos ben segreto che rimaneva a tutti nascosto.
Allorquando i giochi d'arme ebbero termine e i combattenti si dispersero, dirigendosi ognuno
secondo il proprio gradimento, accadde che per avventura Riwalin ritornasse l dove sedeva
Blancheflur la bella. Subito con un balzo dal cavallo le fu vicino e guardandola negli occhi le disse
molto cortesemente:
"A d vus sal la bele".
"Merz"
disse la pulzella, e aggiunse modestamente:
"Iddio munifico che tutti i cuori ricolma, colmi di doni a voi pure l'anima e il cuore. E siano rese
a voi grandi grazie, senza rinunzia per all'ammenda che a buon diritto devo esigere da voi".
"Ohim, dolce Signora, che cosa ho mai fatto?", chiese Riwalin il cortese. Essa rispose:
"A un mio amico, il migliore che io abbia, voi avete recato danno".
"Dio mio - pens egli tra s -, che storia questa? o che cosa ho commesso che possa esserle
dispiaciuto? Di che cosa mi incolpa?".
E pens di avere involontariamente offeso nel torneo qualche amico di lei onde essa ne fosse
contristata e irritata contro di lui.
Ma no, l'amico che lei intendeva era il suo cuore che per causa di lui soffriva; questo era l'amico
di cui parlava. Ma egli non la comprendeva e con la sua grazia abituale e con grande cortesia le
si rivolse:
"Madonna, io non voglio che voi mi portiate odio o malvolere, perci se vero quanto mi dite,
pronunciate voi stessa giudizio su di me; quello che voi comanderete io lo far".
La dolce fanciulla parl e disse:
"Per l'offesa non vi odio troppo, n per essa troppo vi amo. Vi metter perci meglio alla prova

con la soddisfazione che mi darete per quello che avete fatto".


Al che egli si inchin per andarsene e lei, la bella, vedendo ci sospir segretamente ed esclam
dal profondo del cuore:
"O amico diletto, Dio ti benedica!".
Solo allora cominciarono i loro pensieri a corrispondersi.
Kanelengres si allontan cogitabondo, ricercando ansiosamente di che cosa si dolesse
Blanchefiur e di quale storia si trattasse mai. Ripensava il suo saluto, le sue parole, considerando
a parte il suo sospiro, la benedizione, tutta la sua condotta e quindi venne a riguardare il suo
sospiro e la sua dolce benedizione come un avvio all'amore; giunse cos alla convinzione che
ambedue non altro che dall'amore potessero provenire. Questo infiamm anche tutti i suoi sensi i
quali andarono e presero Blancheflur e la condussero immantinente nel regno del cuore di
Riwalin e col la incoronarono sua regina.
S, Blancheflur e Riwalin, il re e la dolce regina, si scambiarono il regno del loro cuore: quello di
Blancheflur seguiva Riwalin e quello di lui obbediva a lei eppure nessuno di loro sapeva dell'altro.
Essi avevano reciprocamente scambiato i loro pensieri unendoli insieme. Ora il diritto aveva
affermato le sue buone ragioni, poich ella gli stava nel cuore con la stessa pena che ella aveva
per causa di lui. E poich egli non era sicuro della disposizione dell'animo di lei n se essa agisse
per amore o per odio, la sua mente oscillava nel dubbio e i suoi pensieri erravano qua e l. Ora
egli voleva fuggirsene subito e ora subito voleva ritornare e cos si impigliava nei lacci del suo
proprio pensiero e non poteva svincolarsene.
L'innamorato Riwalin esperiment in se stesso come l'amante somigli all'uccellino di bosco, il
quale nel suo libero volo si posa sul ramo invischiato e quando si accorge del vischio e sta per
alzarsi in volo, vi rimane attaccato per le zampine: vorrebbe allora fuggire e agita le penne, ma
dovunque con esse tocchi il ramo resta impigliato e prigioniero; si sbatte allora su e gi con tutte
le sue forze e in ogni senso e alla fine resta vinto nella lotta contro se stesso e giace invischiato
sul ramo.
Nella stessa maniera agisce l'animo giovanile incontrollato: quando viene in amoroso desiderio,
l'amore opera in lui i suoi portenti con desioso affanno; allora egli vorrebbe riconquistare la sua
libert, ma lo trattiene la dolcezza dell'amoroso vischio ed egli vi resta talmente intricato che non
pu pi in alcun modo liberarsene.
Cos accadde anche a Riwalin; i suoi pensieri si erano impigliati nell'amore della regina del suo
cuore; questo smarrimento della sua mente lo aveva indotto in uno strano inganno, non sapendo
se essa fosse male o ben disposta verso di lui e mossa da odio o da amore. Speranza e dubbio se
lo disputavano senza posa. L'amore gli suggeriva speranza, ma il dubbio suggeriva odio e in
questo contrasto egli non poteva fermare l'animo n sull'una n sull'altro; cos i suoi sentimenti
ondeggiavano sempre nell'incertezza; la speranza lo sospingeva e il dubbio lo tratteneva e fra
questi due non c'era tregua, tanto erano tra loro confusi. Veniva il dubbio e gli diceva che la sua
Blancheflur lo aveva in dispregio ed egli allora avrebbe voluto fuggirsene via, ma subito dopo la
speranza lo incoraggiava nella dolce illusione d'amore ed ecco che abbandonava ogni idea di
fuga. In questa lotta non sapeva da quale parte volgersi: quanto pi strenuamente combatteva,
tanto pi lo soggiogava l'amore e quanto pi cercava di fuggire, tanto pi l'amore lo richiamava
indietro. E il tormento continu cos finch la speranza vinse e debell il dubbio; Riwalin fu fatto
certo dell'amore di Blancheflur e da allora in poi, tutti i suoi pensieri e tutti i suoi affetti furono
concentrati in lei e nessun potere contrario valse pi.
Ora che il dolce amore aveva volto alla propria volont cuore e animo di Riwalin, egli non
avrebbe creduto che al vero amore si potesse accompagnare tanta amarezza. Riflettendo alla
sua vita e riandando a tutta la sua avventura con Blancheflur, la rivide in pensiero, ne consider
tratto per tratto i capelli, la fronte, il mento e la bocca, le gote e la gaudiosa luce che come il riso
di un d di Pasqua le rideva negli occhi; allora Amore, questo incendiario, accese in lui il fuoco del

desiderio che cominci ad ardere anche nel suo cuore. Gli fu subito manifesto quale fosse la
fatica d'amore, poich entr in una nuova vita. Allorch questa nuova vita gli si rivel, egli mut
pensieri e costumi e divenne un uomo tutto diverso, poich tutto quello che ora cominciava a
fare era misto di stranezza e di oscurit. I suoi sensi innati erano dall'amore fatti cos disordinati
e confusi come se non fossero in suo potere. La sua vita perse ogni allegro sorriso, egli si
allontan da tutti gli svaghi che era solito frequentare. Silenzio e malinconia occuparono la
maggior parte della sua vita, l'animo suo essendo tutto rapito nell'amoroso affanno.
Anche l'innamorata Blancheflur non sfugg al medesimo destino, oppressa anche lei dallo stesso
male che egli provava per causa di lei. L'onnipotenza dell'amore invadendo violentemente anche
l'animo suo le aveva rapito ogni tranquillit e faceva che si sentisse in disaccordo con se stessa e
col mondo. Gli svaghi e i giochi che prima aveva cari le erano ora di peso e la sua vita si
uniformava alla tristezza che le gravava sul cuore.
E questo travaglio lo soffriva senza capire da dove venisse, poich mai prima di allora aveva
saputo che cosa fosse tale dolore e tale pena di cuore. E sovente diceva tra s:
"Ahim, Signore Iddio, che vita ormai la mia! Ma che cosa mi dunque avvenuto? Io ho pure
incontrato molti uomini senza che da essi mi venisse alcun male, ma da quando mi avvenne di
vedere lui, il mio cuore non pi stato libero e lieto come lo era prima. Vederlo cosa che mi ha
procurato grande afflizione. Il mio cuore cui prima era ignoto il dolore, ora ne devastato; egli mi
ha cambiata, anima e corpo. Se anche ad altre donne, al vederlo e udirlo, dovesse accadere
quello che accadde a me, e ci per una tendenza in lui innata, quanta bellezza andrebbe
sprecata per colpa della sua vana vita! Se per egli dalla magia apprese ogni sorta di incantesimi
donde mi venne questo strano male, allora meglio sarebbe se fosse morto e nessuna donna
dovesse mai pi vederlo. Mio Dio, che gran soffrire mi venuto da lui! In verit, io non ho mai
guardato n lui n alcun altro con occhio malevolo e neppure ho mai odiato alcuno; come
dunque ho meritato che tanto male mi venga da uno che guardo con occhio benigno? Ma perch
rimprovero quest'uomo giusto? Egli forse senza colpa e Dio sa se le pene che io soffro per lui
non siano invece dovute soltanto al mio proprio cuore? Molti uomini ho veduto e che colpa ne ha
egli, se l'animo mio si fermato su di lui piuttosto che su di un altro? Da varie nobili dame ho
udito magnificare il suo regale aspetto e le sue cortesi maniere, e rimandarsi le sue lodi come
una palla e io stessa con i miei occhi e nel mio cuore ho potuto constatare la verit d'ogni virt
che si diceva di lui, scch l'animo mio ne restato ammaliato e il mio cuore conquistato. Invero
questo che mi ha abbagliata, questo l'incantesimo che mi ha fatto smarrire il senno. Non lui mi
ha fatto alcun torto, non l'uomo amato che accuso, ma l'animo mio stolto e mal guidato che
causa del mio male e che fortemente vuole quello che non dovrebbe volere se consultasse
l'onore e il buon diritto, e ora altro non vede che il proprio desiderio in questa dilettosa persona
di cui tanto e cos subitamente si preso. E, Dio lo sa, se non devo vergognarmi della parola per
il mio buon nome di fanciulla, mi pare che questa pena che porto nel cuore non sia altro che
amore. Sento desiderio di stargli continuamente vicina e questo nuovo sentimento che nasce in
me si pu solo interpretare con le parole "amore" e "sposo". Quello che ho potuto apprendere
intorno all'amore e che ho udito narrare di donne innamorate ha ora preso anche il mio cuore con
il dolce affanno che tanti nobili cuori tormenta".
Quando la cortese e buona damigella fu convinta nell'animo suo (secondo il costume di tutti gli
amanti) che il suo amico Riwalin sarebbe stato la gioia del suo cuore, il suo maggior conforto, la
sua vita migliore, cominci a levare gli occhi su di lui e a rimirarlo ogni qual volta le era possibile,
per quanto lo permettesse il buon costume. Lo salutava segretamente con dolci sguardi e lo
seguiva spesso e a lungo con occhio innamorato.
L'amico suo cominci ad accorgersene e allora si accrebbero anche il suo amore e il conforto che
trovava in lei e il suo cuore si infiamm di desiderio e rimir l'amata con sguardi pi arditi e pi
dolci di quanto avesse fatto sino allora, salutandola egli pure con gli occhi ogni volta che ne
aveva il destro.

Allorch la bella fu sicura che egli l'amava come lei amava lui, tutta la sua pena svan, poich
essa aveva sempre temuto che egli non avesse affetto per lei; ora invece riconobbe che l'amico
suo le era incline come l'amore lo all'amore. Lo stesso egli sapeva di lei e ci infiammava i
desideri di entrambi e allora cominciarono scambievolmente a intendersi e ad amarsi con tutto il
cuore. Avvenne quindi a loro come si suol dire: che quando l'amante guarda negli occhi l'amato il
fuoco d'amore un tributo che va sempre crescendo.
Ora, finiti i festeggiamenti di re Marco e congedati i nobili cavalieri, giunse al re notizia che un
suo nemico muoveva contro di lui a mano armata con tali forze che qualora non lo si fosse subito
fermato avrebbe ben presto devastato tutto il paese fin dove potesse arrivare. Immediatamente
Marco radun un grande esercito e assal i nemici con grandi forze, li debell e uccise o fece
prigionieri tanti dei loro uomini che fu un miracolo se qualcuno si pot salvare.
Il nobile Riwalin fu ferito di spada nel fianco cos gravemente che i suoi lo portarono senza
indugio e con grande cordoglio quasi morente a Tintajoel e l lo deposero. Subito si sparse la
nuova che Kanelengres era ferito a morte e ucciso in battaglia: ne fu fatto grande lamento alla
corte e in tutto il paese.
Tutti coloro che conoscevano le sue virt lamentavano di cuore la sua sorte e rimpiangevano che
il suo valore, la sua bella persona, la sua dolce giovinezza, la lodata gravit del suo contegno
dovessero cos presto andar perduti con lui e avere una fine cos precoce. Il suo amico re Marco
lo pianse e mai per nessun altro aveva fatto tale duolo. Lo piansero molte nobili donne, molte
dame lamentarono la sua persona e tutte quelle che l'avevano prima conosciuto erano mosse a
piet della sua mala sorte. Ma per grande che fosse il loro dolore, una fra queste vi era, la donna
sua, la cortese, pura e buona Blancheflur, la quale costantemente con le lacrime e col cuore
lamentava le sofferenze del suo diletto e quando era sola e dava sfogo al suo dolore si colpiva
con le mani e si batteva ripetutamente il petto; proprio l dove il cuore le doleva la bella si dava
ripetuti colpi. Cos la soave damigella affliggeva il suo dolce e giovane corpo con tale doloroso
impeto che avrebbe accettato qualunque altra morte, in cambio di quella vita, pur di non morire
per amore. Essa sarebbe certamente perita e morta di dolore se non avesse avuto conforto nella
speranza di poter vedere il suo amato, comunque ci potesse farsi. In tal caso avrebbe sofferto
volentieri qualsiasi cosa le potesse poi accadere. Cos trascorreva la sua vita finch cominci a
ritornare in s e a riflettere come fare per vederlo e quindi lenire il suo male.
Allora si ramment di una sua aja che sempre in tutte le circostanze l'aveva tenuta sotto la sua
direzione e la sua cura e l'aveva sempre protetta. La prese da parte e la condusse dove non c'era
alcuno all'infuori di loro due e cominci a raccontare della sua pena, come fanno e hanno sempre
fatto quelli che sono nelle medesime condizioni: i suoi occhi versavano lacrime che cadevano
fitte e abbondanti sulle sue chiare gote; ella tese davanti a s le mani giunte:
"Ah, vita mia - disse - ah, vita mia! ohim, aja diletta, dammi ora prova della tua devozione
che cos grande e meravigliosa: e poich tu mi sei cos fedele che ogni mia salvezza e ogni mio
consiglio dal tuo solo dipendono, cos confido ora la pena del mio cuore alla tua bont: se tu non
mi aiuti sono perduta".
"Ors, madonna, qual la vostra pena e il motivo del vostro doloroso lamento?".
"Ahim, mia cara, come posso dirtelo?".
"Ma s, diletta signora, parlate".
"Io muoio per quest'uomo mortalmente ferito, Riwalin di Parmenia. Bramo tanto vederlo, se ci
fosse possibile e se sapessi come riuscirci prima che davvero egli muoia; poich purtroppo egli
non potr guarire, se mi aiuterai io non ti rifiuter mai nulla finch avr vita".
L'aja pens:

"Se acconsento che male ne pu venire? Poich quest'uomo gi mezzo morto morir
certamente domani o oggi stesso: cos io avr conservato alla mia signora vita e onore e le
rester sempre pi cara di qualunque altra donna".
"Diletta signora - disse - cara vita mia, il vostro dolore mi va al cuore e se con la mia vita io
posso stornare il vostro travaglio non dubitate di me. Io stessa mi recher da lui, lo vedr e
ritorner subito; devo conoscere il luogo in cui si trova e rendermi conto anche delle persone".
Cos ci and, fingendo di volerlo confortare per il suo male e intanto gli disse segretamente che
la sua signora desiderava vederlo, secondo onore e con ogni onest, se egli volesse permetterlo.
Quindi se ne ritorn con la risposta. Prese la fanciulla e le mise una povera veste da mendicante,
copr la bellezza del suo volto con fitti veli, poi la prese per mano e la guid a Riwalin. Egli pure
aveva congedato tutti i suoi dicendo di aver bisogno di solitudine e di tranquillit ed era rimasto
solo. L'aja poi dichiar che conduceva con s una medichessa e cos ottenne che la lasciassero
entrare presso di lui. Allora essa chiuse il chiavistello e disse:
"Ora, madonna, guardatelo"
. E lei, la bella, gli si avvicin e quando lo ebbe visto:
"Ahim esclam - e sempre ahim! ahim non fossi mai nata, com' ridotto il conforto mio!".
Riwalin le si inchin con grande fatica come pu fare un uomo ferito a morte, ma questo a lei
poco importava e neppure se ne accorse, ma si sedette senz'altro accanto a lui, accost la gota
alla sua finch per l'amore e insieme per il dolore le forze la abbandonarono. La sua rosea bocca
si sbianc, il suo volto perse il bel colore che prima aveva; ai suoi chiari occhi il giorno divenne
fosco e oscuro come la notte. Cos giacque a lungo priva di sensi con la guancia contro quella di
lui, come se fosse morta. Quando si riebbe alquanto da questo deliquio, si prese l'amato fra le
braccia e mise la sua bocca su quella di lui e lo baci mille volte in una sola ora, finch la sua
bocca diede a lui forza d'amore e gli infiamm i sensi, poich l dentro vi era amore: la sua bocca
lo riempiva di gioia, la sua bocca gli diede tale energia che egli allacci strettamente la regale
fanciulla al suo corpo gi per met morto. Quindi non dur a lungo finch la volont di ambedue
cedette e la dolcissima donna concep da lui un figlio. Per l'amore della sua donna egli fu vicino a
morire; se Iddio non lo avesse salvato egli mai avrebbe potuto risanare. Invece guar perch cos
doveva essere.
Fu cos che Riwalin guar e Blancheflur, la bella, fu da lui insieme liberata e gravata da due
diversi dolori di cuore: essa fu libera dalla grande tribolazione per lui, ma ne riport una ancora
maggiore; lasci il doloroso desiderio del cuore e si riport indietro la morte... con l'amore lasci
la pena e col figlio acquist la morte. E tuttavia, comunque fosse, in qualsiasi maniera essa fosse
da lui liberata o gravata sia da bene come da male, pure altro non vedeva che il diletto amore e
l'uomo amato. Non si curava n del bambino che portava in seno n del pericolo di morte: altro
non sapeva che amore e sposo e faceva come deve fare chi vive e come fa chi ama; il suo cuore,
l'animo suo, il suo desiderio non erano rivolti che a Riwalin, come anche il pensiero di lui a lei
sola e al suo amore era rivolto. L'animo loro aveva un solo amore, una unica brama: egli era lei,
essa era lui, egli era suo, ella sua. Se qui vi era Blancheflur, qui era anche Riwalin; se l vi era
Riwalin, l era anche Blancheflur, dove erano entrambi vi era leal amur; la loro era un'unica vita;
essi erano felici l'uno nell'altro, elevavano il loro spirito con molte comuni gioie e quando
potevano convenientemente restare soli in un luogo, la loro felicit era piena e tanto dolce che
non avrebbero scambiato la loro vita neppure per mille regni.
Ma tutto questo fu di breve durata, poich ben presto e quando pi godevano la vita secondo il
loro desiderio, vennero a Riwalin dei messi con la notizia che il suo nemico Morgan aveva ancora
una volta invaso il paese con grandi forze. A questa nuova fu subito allestita una nave per
Riwalin, e imbarcatovi tutto l'occorrente, provviste e cavalli, tutto fu presto pronto per la
partenza.

Dal momento in cui l'amorosa Blancheflur apprese dal diletto sposo la triste novella ebbe
principio il suo tormento. Dal dolore rimase senza vista e senza udito e il suo corpo rest senza
vita come se fosse morta; dalla sua bocca altro suono non usc se non la triste parola ahim!.
Soltanto questo e null'altro diceva.
"Ahim! - ripeteva sempre - ahim, amore, ahim, sposo mio! Qual grande travaglio mi avete
procurato! Amore, infelicit del mondo tutto! Cos brevi gioie tu di! tanto instabile sei! Che cosa
ama in te il mondo? Ben vedo che tu lo ricompensi come suol fare il falso di cuore. La tua fine
non cos bella come la prometti al mondo quando lo seduci dapprima con breve gioia e poi
lungo dolore. La traditrice illusione che si culla in cos falsa dolcezza inganna tutti i viventi, e ci
ben manifesto in me: da ci che doveva formare tutta la mia gioia non ne ho ricavato che
mortale ambascia di cuore: il mio conforto se ne va e mi abbandona qui!".
In mezzo a questo doloroso lamento venne a lei il suo fido compagno Riwalin col pianto nel cuore
per prendere congedo:
"Madonna - disse - datemi licenza; ho il dovere e l'obbligo di partire; voi, o bella, deve
guardarvi Iddio! Possiate sempre essere sana e felice"
. E di nuovo lei venne meno dal dolore e cadde davanti a lui come morta nelle braccia dell'aja.
Quando il suo fido amico vide un cos gran dolore nella sua diletta le fu subito fedele compagno
poich ne condivise fin in fondo la sofferenza. Il colore e la forza cominciarono ad abbandonare il
suo corpo; con grande tristezza le si sedette a lato e a malapena pot riaversi tanto da prendere
tra le braccia la donna dolente e stringerla dolcemente a s; la baci sulla bocca, sugli occhi,
sulle guance, sino a che alla fine essa un po' alla volta ritorn in s e pot sollevarsi e stare
diritta.
Allorch Blancheflur ebbe ripreso i sensi, vide l'amico suo presso di s, lo rimir con grande
tristezza:
"Oh - disse diletto mio, quanto male ho avuto per causa vostra! Signore, perch mai vi ho
conosciuto se dovevo averne poi tanti palpiti dolorosi quanti ne sopporta il mio cuore per voi! Se
mi fosse lecito dirvi tutto, agireste meglio e pi amabilmente verso di me. Signore e amico, io ho
sofferto da voi molti mali e particolarmente tre che sono mortali e inevitabili: l'uno che porto un
bambino che non spero di poter dare alla luce, a meno che Iddio non mi venga in aiuto; l'altro
ancora pi grande: quando il mio signore e fratello apprender questa mia sventura e con questa
il suo proprio disonore, mi condanner e mi far miseramente morire; il terzo male il pi grave
di tutti e molto peggiore che la morte: io so bene che se anche tutto andasse bene e mio fratello
mi lasciasse vivere senza uccidermi, per certamente mi diserediter e mi toglier beni e onore
cos che sar sempre in dispregio a tutti e in cattiva fama. Inoltre dovr allevare il mio bambino,
lui che pure ha un padre vivente, senza l'aiuto e il consiglio paterno. Tuttavia non mi lamenterei
se potessi portare l'onta da sola e ne andassero liberi e con onore la mia nobile famiglia e il mio
nobile fratello. Ma se si diffonde la notizia che io abbia concepito un figlio illegalmente, questo
sarebbe una pubblica vergogna per la Cornovaglia e l'Inghilterra. E guai se accade che si ritenga
che per colpa mia due paesi vengano diffamati e avviliti, allora meglio per me sarebbe essere
morta. Vedete mio signore continu essa -, questa la pena, questa la continua angoscia di
cuore della quale pur vivendo muoio ogni giorno. Signore, se non mi aiutate e se Iddio non
destina altrimenti non avr pi bene nella vita".
"Madonna - rispose egli -, se voi avete sofferto per me io lo sconter come meglio posso e
anche adesso vi difender in modo che per colpa mia non abbiate pi tribolazioni n possano
sorgere calunnie. Qualsiasi cosa possa in futuro accadere, io ho veduto con voi giorni cos felici
che non sarebbe giusto se doveste, me consenziente, sopportare anche la minima pena.
Madonna, voglio dirvi tutto il mio cuore e tutto l'animo mio, dolore e gioia, bene e male e tutto

quello che in me avviene: in nulla di questo mi ritiro, per quanto grave possa essere e vi star
sempre a fianco: vi do la scelta fra due vie; decida il vostro cuore se io devo rimanere o partire.
Ora riflettete se volete che io rimanga qui e veda come si svolge la vostra ventura, allora cos sia
fatto. Se voi invece vi degnate di venire via nel mio paese con me, io stesso e tutto quello che ho
siamo ai vostri ordini; mi avete dato tanta felicit che devo ricambiarla con ogni sorta di bene.
Qualunque sia il vostro desiderio, madonna, fatemelo conoscere, poich quello che volete voi lo
voglio io pure".
"Grazie, signore - disse allora lei - voi parlate e mi fate offerte in modo che Dio deve
compensarvelo e che dovr sempre seguire volentieri i vostri passi. Amico e signore, sapete
bene che qui non vi pu essere dimora per me. Purtroppo non posso nascondere la mia angoscia
per il mio bambino altro che cercando di andarmene segretamente: questo sarebbe il miglior
consiglio nelle circostanze in cui mi trovo; amico e signore, assistetemi in questo".
"Ebbene, madonna - disse egli - ascoltatemi: questa sera quando mi imbarcher fate in modo
di trovarvi col di nascosto prima di me, in modo che io dopo aver preso licenza vi trovi l con la
mia gente; fate questo e cos sia"
. Con queste parole Riwalin se ne and da re Marco e gli narr quello che i suoi messi gli avevano
riferito intorno alla sua gente e al suo paese. Prese allora licenza da lui e quindi da tutti i suoi.
Questi fecero lamento per Riwalin quale egli mai aveva veduto fare per alcuno: fu accompagnato
da molte benedizioni che Dio prendesse sotto la sua protezione il suo onore e la sua vita. Ora
quando cominci a scendere la notte ed egli giunse alla sua nave e vi fece portare le sue robe, vi
trov la sua signora, la bella Blancheflur. Cos la nave salp ed essi se ne partirono di l.
Quando Riwalin arriv al suo paese e si rese conto del grande danno che Morgan gli aveva inferto
con forze superiori, chiam il suo mariscalco del quale conosceva la fedelt e in cui riponeva ogni
fiducia, colui che si curava del suo prestigio sulla sua gente e sul suo paese: questi era Rual li
Foitenant, sostegno dell'onore e della fedelt, che mai in ci aveva vacillato. Questi, cui tutto era
ben noto, gli disse quale calamit si era abbattuta sul paese.
"Eppure - aggiunse - poich per nostro conforto siete venuto in tempo e Dio vi ha rimandato a
noi, cos a tutto vi sar rimedio e potremo ancora salvarci; dobbiamo solo essere di buon animo;
ormai non c' pi ragione di temere"
. Allora Riwalin gli raccont la dolce avventura con la sua Blancheflur ed egli molto se ne rallegr.
"Ben mi accorgo, signore - disse - che il vostro onore cresce in tutti i modi e la vostra dignit, il
vostro valore, la vostra gioia e la vostra felicit salgono come il sole. Non potete sulla terra
acquistarvi da una donna fama maggiore che da lei. Perci, signore, ascoltatemi: se essa vi ha
fatto del bene, dovete lasciargliene godere la ricompensa. Appena avremo condotto a termine
questa impresa e stornato da noi questo malanno che ora ci incombe, preparate una grande
festa, ricca e sontuosa, e prendetela pubblicamente in matrimonio davanti a parenti e famigli; e
anzi vi consiglio che ancora prima vogliate contrarre il matrimonio in chiesa secondo l'uso
cristiano, che lo vedano sacerdoti e laici: in questo modo onorate voi stesso e siete sicuro che le
vostre imprese riusciranno sempre con fortuna a vostro onore".
Cos fu fatto e tutto compiuto; e quando la ebbe presa in moglie la affid in quella stessa ora al
fedele Foitenant. Questi la condusse a Kanoel nel castello medesimo dal quale, come ho letto nei
libri, il suo padrone aveva derivato il nome di Kanelengres, Kanel da Kanoel. In questo medesimo
castello viveva anche la moglie di Rual, donna che per aspetto e animo avrebbe fatto onore al
mondo. A essa egli raccomand Blancheflur e procur che fosse alloggiata come lo comportava il
suo nome.
Quando Rual ritorn al suo signore ambedue si consigliarono fra loro intorno al pericolo in cui si
trovavano. Mandarono in tutto il paese e riunirono tutta la cavalleria e impiegarono ogni loro

sforzo soltanto per la difesa. Cos mossero a cavallo contro il sire Morgan. Erano attesi
fermamente da lui e dai suoi che ricevettero Riwalin con duro combattimento. Ahi! Quanti buoni
garzoni furono l abbattuti e uccisi! Quanto pochi furono risparmiati. Quanti uomini vennero a
rovina da ambedue le parti e quanti giacquero morti e feriti! E in questa calamitosa battaglia
venne ucciso anche Riwalin, l'eroe degno di ogni rimpianto, che tutto il mondo dovrebbe
piangere, se dopo la morte giovasse ancora il doloroso lamento.
Kanelengres il buono, che per animo cavalleresco e per virt di principe non stava neppure di
mezzo passo indietro ad alcuno, giaceva ora miseramente morto. Pure in questo triste frangente
vennero i suoi e lo portarono fuori dalla mischia con grande fatica e profondo cordoglio e gli
diedero sepoltura come a eroe che portava con s nella tomba n pi n meno che tutto il loro
onore.
Se ora io parlassi a lungo del loro cordoglio e del loro rammarico e di come ognuno lo pianse, a
che cosa servirebbe? Con lui erano tutti morti agli onori e alla bont e a tutto quell'animoso
slancio che dovrebbe dare ai buoni fortuna e vita felice.
Cos stato e cos deve essere: il prode Riwalin ormai morto e altro non vi pi da fare per lui
che quello che di diritto spetta a un morto. Null'altro vale: d'uopo rinunciare a lui e cos si deve;
Dio che non dimentica i nobili cuori, lo abbia nella sua custodia.
Quanto a noi, dobbiamo continuare a dire di Blancheflur e di quello che avvenne di lei. Quando la
bella apprese la ferale notizia, che ne fu del suo cuore? Fa', o Signore Iddio, che mai nulla di
simile ci accada! Io sono sicuro che per quante mortali pene per l'uomo amato possa aver
contenuto un cuore di donna, esse tutte erano anche nel cuore di lei, pieno di mortale affanno. A
tutto il mondo fu manifesto quanto la morte di lui le andasse al cuore. Tuttavia, mai in tutto
questo tempo gli occhi suoi si inumidirono di lagrime. Come mai pot avvenire questo, Signore
Iddio, che ella non piangesse? Il suo cuore era impietrito, non c'era in esso pi nulla di vivo, se
non l'amore vivente e il vivissimo dolore che vivamente lottava con la sua vita.
Ma faceva lei lamento con parole per il suo sposo? Non gi. Nello stesso istante era rimasta
ammutolita e il lamento era morto sulle sue labbra; la lingua, la bocca, il cuore, il senno, tutto
era come perduto. La bella non si lamentava pi, non gemeva n diceva parola. Lentamente
cadde e giacque nelle doglie fino al quarto giorno, pi misera che donna fu mai, rivolgendo e
contorcendo il suo corpo in tutti i sensi, finch con grande fatica diede alla luce un fantolino.
Ed ecco: egli fu salvo e lei mor.
O triste vista, quando dopo triste ventura con ancor pi triste tristezza si vede spettacolo pi
triste ancora!
Colei che in Riwalin concentrava tutto quanto aveva di prezioso, colei che egli tenne in cos
grande onore finch Dio permise che egli ne avesse cura, in lei il dolore fu troppo grande e
maggiore di qualsiasi altro, poich tutta la sua forza, ogni sua consolazione, ogni attivit, ogni
cortesia, il suo onore, tutto il suo valore, tutto era per sempre perduto. La morte di lui, almeno, fu
gloriosa, ma quella di lei ben misera. Per quanto grande fosse il danno che dalla morte del
signore ne deriv al paese e al popolo, pure la piet non fu cos profonda come quando si vide
questo tormento e la pietosa fine della dolcissima donna. Ogni uomo di cuore compiangeva il suo
dolore e la sua disgrazia. E chiunque abbia mai avuto o desideri avere gioia da una donna rifletta
in cuor suo come anche al migliore degli uomini pu in simili casi avvenire disgrazia e come
facilmente egli pu perdere gioia e vita; e implori da Dio grazia per la sua casta donna, affinch
Egli la assista ed essa sia sempre il suo aiuto e il suo conforto.
Ora per veniamo a parlare del bambino, che non aveva n padre n madre e di quello che Dio
per lui destin. La perfetta fedelt si accompagna al dolore e sempre si rinnova, mantenendolo
vivo in s anche dopo la morte. In colui che piange un amico, questa fedelt che va oltre la

tomba sta al di sopra di ogni ricompensa e ne come il coronamento.


E secondo quanto ci narrano le storie, questa corona ben la meritarono il mariscalco e la sua
nobile donna, essi che furono una sola carne ed ebbero una sola fede davanti a Dio e davanti agli
uomini e rimasero esempio davanti agli uomini e davanti a Dio di perfetta fedele devozione fino
alla morte, secondo il precetto divino. Se in questo mondo premio di una tale devozione fosse il
titolo di re o di regina, ben lo meriterebbero questi nobili sposi, come in verit posso attestare
per come egli si condusse ed essa ag. Quando Blancheflur, la loro signora, mor, Riwalin era gi
stato sepolto, tuttavia la piccola creatura che essa aveva dato alla luce ebbe miglior sorte pur
dopo mala ventura, come chi sia prescelto ad alti destini.
Il mariscalco e la sua sposa presero in gran segreto l'orfanello e lo tennero nascosto agli occhi del
mondo, facendo diffondere la notizia che la loro sovrana aveva partorito un figlio morto in lei e
con lei. Ci fu allora in tutto il paese triplice lamento per la triplice sventura e il triplice lutto:
lamento sulla morte di Riwalin, lamento su quella di Blancheflur, e lamento anche sulla perdita
del bambino che avrebbe dovuto essere il loro conforto e la loro gioia. Vi era inoltre il terrore che
Morgan incuteva al popolo e che era pari al dolore per la morte di Riwalin; poich la maggiore
infelicit l'avere giorno e notte davanti agli occhi l'immagine dell'odiato nemico, fra tutte le
tribolazioni la pi aspra e quasi la morte da vivi. Molto pianto e molto lamento fu fatto sulla
tomba di Blancheflur e ci fu cordoglio fuor di misura. Non conviene per a me, n io lo vorrei,
turbarvi con troppo tristi novelle, poich all'orecchio non suona gradita la soverchia tristezza e
non c' cosa, per quanto buona, che non perda di valore se troppo vi si insiste. Lasciamo quindi i
lunghi lamenti e torniamo all'orfanello di cui abbiamo intrapreso a narrare la storia.
In questo mondo le buone e le male sorti si avvicendano e, dopo la sventura, la fortuna si volge
nuovamente al bene.
Nel giorno dell'afflizione, quindi, per quanto grave essa sia, conviene all'uomo saggio seguire
buon consiglio, vivere con i vivi e darsi coraggio per la vita, come fece il buon mariscalco
Foitenant. Oppresso da gravi cure, in mezzo ai suoi affanni, riprese a meditare sui danni del
paese e sulla propria morte e mancandogli la forza delle armi per difendersi dal nemico ricorse
all'astuzia: convoc da ogni parte tutti i vassalli del suo signore e li esort a deporre le armi e ad
arrendersi. Essi quindi diedero vita e beni in custodia a Morolt e misero saggiamente da parte
l'odio e le vendette contro di lui e le loro proprie rivalit e cos salvarono la gente e il paese.
Al ritorno, Foitenant, il fido mariscalco, chiam la moglie e la preg di volersi coricare come
donna vicina a partorire e le raccomand, per la sua vita stessa, di fingere, quando fosse giunta
l'ora, di aver messo al mondo un fanciullino, facendo passare per proprio il figlio del loro signore.
La pia mariscalca, la buona, la fida, la casta Floreta, specchio tersissimo di femminile virt,
gemma di vera bont, fu pronta a seguire il consiglio che le sembr onesto e confacente
all'onore. Perci dispose anima e corpo come donna che stia per sgravarsi, fece preparare le sue
stanze e tutto l'occorrente come esperta matrona e simul grandi sofferenze di spirito e di corpo
come se fosse in travaglio. Allora, segretamente e alla presenza di una sola fida nutrice, le fu
posto accanto il fantolino.
Presto si diffuse la notizia che la buona mariscalca aveva partorito un figliolo e cos fu infatti,
poich in lui essa ebbe un figlio che per tutta la vita le dimostr vera filiale reverenza. Il caro
bambino nutriva per lei quella dolce tenerezza che si conviene a un figliolo verso la madre sua e
questa pure lo amava di materno affetto, come se essa stessa lo avesse portato nel seno. Si dice
che non sia mai esistita, n prima n poi, coppia di sposi che abbia con eguale cura allevato il
figlio del suo signore e la storia racconta poi quante fatiche e affanni abbia per lui sostenuto il
fido mariscalco.
A suo tempo la pia mariscalca si rec in chiesa umilmente a piedi, secondo il rito, portando in
braccio il bambino con ogni tenera cura. Ricevuta piamente la benedizione e fatta la consueta

offerta, essa ritorn dall'altare e ridiscese la chiesa con ricco e brillante seguito di cortigiani. Fu
allora tutto apprestato per il battesimo del bambino affinch, qualunque cosa gli potesse poi
accadere, egli fosse gi stato fatto cristiano nel nome di Dio.
Il sacerdote, secondo l'uso, domand che nome dovesse imporre al fanciullo e la gentil
mariscalca parl in segreto al marito domandandogli come volesse chiamarlo. Il maniscalco
stette a lungo in silenzio riflettendo ansioso quale nome meglio convenisse alla sorte del
fanciullo, rievocandone col pensiero la storia secondo che egli stesso l'aveva conosciuta.
"Vedete, madonna - disse egli allora - io appresi da suo padre la storia di lui e della sua
Blancheflur e per quali e quante traverse dovette passare il loro amore, come ella nella tristezza
concep il suo figliolo e nella tristezza lo mise al mondo: chiamiamolo quindi Tristano"
. Questo nome significa tristezza e dalla sventura dei suoi genitori il bambino fu, da triste,
chiamato Tristano e battezzato con questo nome che ben gli si addiceva.
Cos da triste Tristano fu il suo nome e quanto gli convenisse ce lo dimostra bene la sua vita.
Considerate quanto triste fu la sua nascita, vedete quanto presto dovette sopportare durezze e
travagli, vedete che triste vita fu la sua e quale triste morte, fra tutte amarissima, mise fine alla
pena del suo cuore.
Chiunque legga questa storia deve riconoscere che il nome ben si adattava alla sua vita e che
egli era in realt tale uomo come era chiamato, e si chiamava con ragione Tristano quale era
veramente. E a chi volesse sapere per quale motivo Foitenant facesse dire che il fanciullo
Tristano era morto ancor prima della nascita nella madre sua, possiamo rispondere in tutta
sincerit che egli ag in questa maniera per pura devozione al suo signore e che cos fece perch
temeva l'odio di Morgan; infatti se questi avesse saputo che vi era il bambino, lo avrebbe con
astuzia o con violenza fatto perire, privando cos il paese dell'erede. Perci il fido vassallo si prese
l'orfano per figlio e lo allev cos bene che per ricompensa il mondo dovrebbe impetrargli da Dio
quella grazia che egli ben si merit causa l'orfanello. Ora che il fanciullo era battezzato e
mantenuto secondo l'uso cristiano, la virtuosa mariscalca si prese viva cura del suo caro
bambino: voleva sapere e vedere tutto quello che lo riguardava e vegliava a che nulla mancasse
al suo benessere e che non mettesse mai il piede in fallo.
Quando lo ebbe cos guidato fino al suo settimo anno, ormai che sapeva ben parlare e ben
comportarsi, che sapeva e poteva comprendere, suo padre il mariscalco lo affid a un uomo
saggio col quale lo mand in lontani paesi stranieri perch ne imparasse la lingua e soprattutto
perch prima di ogni altra apprendesse la scienza dei libri.
Fu questa la prima limitazione alla sua libert; entr ora sotto il giogo delle restrizioni a lui ignote
e che fino allora gli erano state risparmiate. Nel fiore degli anni, quando la felicit avrebbe
dovuto spuntare per lui ed egli vivere nella gioia, sin dall'inizio della sua vita, la parte migliore ne
era gi passata; quando avrebbe dovuto cominciare a fiorire nel gaudio lo colse il gelo della
sventura che tanta giovent rovina e che fece appassire il fiore della sua felicit.
Gi nella sua prima giovinezza la libert stessa gli sfugg. La dottrina dei libri e la sua costrizione
fu il principio delle pene, eppure fin dall'inizio egli vi applic la mente con tanta diligenza che in
poco tempo apprese dai libri pi di qualunque altro fanciullo prima o dopo di lui.
Fra queste due discipline dei libri e delle lingue trascorreva gran parte del suo tempo; si
esercitava pure in ogni genere di strumenti musicali e vi si dedicava a tutte le ore con tale ardore
che li suonava meravigliosamente. Imparava sempre, oggi questo, domani quello, oggi bene,
domani meglio ancora. Inoltre aveva appreso a cavalcare agilmente con lancia e scudo, a dare
con abilit di sprone al cavallo su ambo i fianchi, a farlo arditamente saltare, torneare, a mollare
e incitare il cavallo, a volteggiare a destra e a sinistra secondo l'uso cavalleresco; e in questo
sovente si divertiva. Parare attentamente, attaccare con forza, correre velocemente e saltare,

inoltre maneggiare l'arco, tutto questo egli faceva egregiamente secondo le sue forze. Ci dice
pure la storia che egli aveva imparato a cacciare meglio di chiunque. Era pure esperto in ogni
sorta di giochi di corte e ne conosceva un gran numero. Di persona era tale che mai garzone
nato di donna fu pi avvenente di lui. In tutto egli eccelleva per animo e per costumi. Ma tutta
questa abbondanza di grazia era commista a contrastante sventura, secondo quanto ho letto,
poich purtroppo egli era destinato al dolore.
Quando ebbe compiuto il quattordicesimo anno il mariscalco lo riprese a casa e gli ordin di
girare a cavallo e a piedi per conoscere il paese e la gente e rendersi conto degli usi e dei
costumi; cosa che il giovinetto fece tanto lodevolmente che in tutto il regno non ci fu a quel
tempo giovane cavaliere virtuoso come Tristano. Tutti lo guardavano con occhio benigno e animo
amico, com' giusto che si faccia verso chi tende solo alla virt e ha in orrore ogni vizio.
Verso quest'epoca venne dalla Norvegia in Parmenia attraverso il mare una nave mercantile che
approd a Kanoel proprio davanti al castello dove dimorava il mariscalco col suo giovane signore
Tristano e tutta la sua casa. Ora, quando i mercanti stranieri ebbero esposto la loro mercanzia, fu
ben presto noto a corte che vi erano buoni acquisti da fare. Anche a Tristano venne per sua
sventura notizia che c'erano in vendita falchi e altri begli uccelli e tanto se ne interess che due
dei figli del mariscalco si misero d'accordo fra loro (poich i fanciulli sono inclini a queste cose) e
insieme al loro fratello putativo Tristano andarono dal padre e subito lo pregarono che in onore di
Tristano permettesse loro di comprare alcuni falchi. Il degno Raul accondiscese, ma comunque
solo a fatica lo avrebbe negato, poich gli sarebbe dispiaciuto non poter esaudire la domanda del
suo amico Tristano che gli era pi di tutti caro e a cui dimostrava maggiore affetto che ad alcun
altro del suo paese o della sua gente. Neppure dei propri figli si prendeva tanta cura come di lui.
E con questo ben dimostrava al mondo la sua fedele devozione, la virt e l'onore che in lui
risplendevano.
Egli si lev e prese paternamente per mano il suo figliolo Tristano; gli altri figli lo seguirono con
molti dei loro fidi che, un po' sul serio un po' per gioco, lo accompagnarono fino alla nave. Qui si
trovava in gran copia tutto ci che pu invogliare e attirare il desiderio: gioielli, sete, nobili vesti
vi erano in grande abbondanza e anche molti bellissimi uccelli, falchi pellegrini, falchetti,
cavedine, sparvieri, astorri e anche astorri sauri, bozzaghi. Non mancavano neppure i fringuelli,
tutto il mercato ne era pieno. Furono comprati falchetti e smerghi per Tristano e per merito suo
ne furono acquistati anche per coloro che passavano per suoi fratelli: ognuno ebbe ci che
desiderava.
Ottenuto quello che volevano, stavano per ritornarsene, quando Tristano vide per caso nella
nave, appesa alla parete una bella scacchiera finemente lavorata e splendidamente ornata.
Accanto vi erano i pezzi di finissimo avorio, magistralmente scolpiti. L'esperto Tristano la osserv
attentamente:
"Ehi! - disse degni mercanti, Dio vi aiuti! ditemi se conoscete il gioco degli scacchi".
E questo glielo disse nella loro lingua. Udendolo parlare nella loro lingua che quasi da nessuno
era conosciuta essi lo guardarono con maggiore attenzione e osservando tutte le sue virt parve
loro che mai giovane fosse di migliore aspetto n di migliori costumi.
"Amico - rispose uno di essi - ve ne sono vari fra noi che conoscono quest'arte; se avete
desiderio di provarvici cosa facile e lo possiamo fare: su dunque, io vi sfido a una partita."
"Sia pure", disse Tristano. E cos ambedue si misero al gioco.
Il mariscalco disse:
"Tristano, io ritorno a casa; se vuoi, puoi rimanere ancora; gli altri figlioli vengono con me;
rimane presso di te il tuo precettore a cui sei affidato, che avr cura di te".

Cos il mariscalco e i suoi se ne andarono e rimasero solo Tristano e il suo precettore, del quale vi
posso dire, che, come narra la storia, non vi fu mai uomo dotato di maggior cortesia e di pi
nobile cuore: il suo nome era Kurvenal. Egli possedeva molte virt che ben profittavano al suo
discepolo il quale da lui imparava molte buone cose. Il gentile giovinetto, il virtuoso Tristano,
sedeva al gioco e giocava con tale maestria e con tale arte cortese che tutti gli stranieri lo
rimiravano e dicevano in cuor loro di non avere mai visto un giovane dotato di tante virt.
Qualunque cosa facesse nelle mosse del gioco, essi se ne compiacevano.
Si meravigliavano che un giovane garzone conoscesse tante lingue, queste gli fluivano dal labbro
come mai avevano udito in alcun luogo.
Il giovinetto educato alle corti, nel suo linguaggio raffinato lasciava ogni tanto sfuggire alcune
scherzose espressioni straniere; le pronunciava bene e ne conosceva un gran numero e con
queste infiorava il suo gioco. Inoltre cantava lodevolmente canzoni e strane arie, "refloit" e
"stampenie" (1). E tanto continu in queste arti cortesi finch i mercanti decisero tra loro di
portarselo via mediante qualche astuzia, ch avrebbero potuto averne guadagno e onore. Senza
indugio ordinarono ai rematori di tenersi pronti e levarono essi stessi le ancore come se nulla
fosse. Poi salparono e navigarono cos silenziosamente, che n Tristano n Kurvenal se ne
accorsero finch non furono gi lontani pi di un miglio; tanto erano stati assorti nel loro gioco
che non avevano badato ad altro.
Compiuto il gioco, che vinse, Tristano prese a guardarsi intorno e ben si accorse di quanto era
avvenuto. Mai fu visto figlio di madre pi afflitto: balz in piedi e stette in mezzo a loro:
"O degni mercanti - disse -, per amor di Dio, che cosa volete da me? dove mi conducete?".
"Amico - rispose uno di loro - vedete, nessuno pu farci nulla, dovete venire con noi; state
quindi tranquillo e di buon animo".
Il misero Tristano cominci cos doloroso lamento che il suo amico Kurvenal si mise a piangere
dirottamente con lui e a fare tale doglianza che tutta la ciurma ne fu impazientita con lui e col
fanciullo e molto rattristata. Fecero allora scendere Kurvenal in un piccolo battello e vi misero un
remo e un piccolo pane per il viaggio e per la fame e gli dissero che andasse pure dove gli
piaceva, ma quanto a Tristano, questi doveva rimanere con loro. Cos continuarono la loro rotta e
lo lasciarono in bala delle onde in grande angustia.
Kurvenal sballottato sul mare, afflitto per molte ragioni: per il grande dolore che vedeva in
Tristano, e in pena anche per la sua stessa vita, perch temeva di morire non sapendo navigare,
poich non lo aveva mai fatto fino allora. E lamentandosi diceva:
"Ohim, Signore Iddio, come devo fare? non mi sono mai trovato in cos grande angoscia, ora
mi trovo qui senza alcun amico e io stesso non so navigare. Signore, tu mi devi proteggere ed
essere tu il mio pilota. Io far con la tua grazia, quello che non ho mai fatto: sii tu la mia guida".
Con questo afferr il remo e in nome di Dio si mise in viaggio e in poco tempo giunse, con l'aiuto
divino, a riva e cominci a narrare quello che era accaduto. Il mariscalco e la sua degna consorte
se ne afflissero con tale dolore e tale lamento che non sarebbe stato maggiore se il fanciullo
fosse steso morto davanti ai loro occhi. Cos nella loro afflizione andarono con tutto il seguito
sulla riva del mare a piangere il loro figliolo perduto. Molte labbra pregarono con fede che Dio lo
proteggesse. Vi fu col grande cordoglio, pianti e lagrime e quando cadde la sera e dovettero
ritirarsi, il pianto che prima era stato raffrenato, proruppe apertamente: non si faceva pi che
una unica cosa, non si gridava pi che una sola parola: "beas Tristan, curtois Tristant, tun cors, ta
vie a de comant!", la tua bella persona, la tua dolce vita siano affidate alla protezione di Dio!".
Intanto i Norvegesi avevano proseguito il viaggio e credevano d'avere compiuto ogni loro volont
su Tristano, senonch Colui che giudica tutte le creature e tutto giudica rettamente, e al cui
cenno obbediscono con timore vento e mare e ogni altra creatura, si oppose ai loro piani, e al suo

comando, come Egli volle, si lev una cos violenta bufera sul mare che altro non poterono fare
che lasciare la loro nave in bala del vento selvaggio, mentre oramai disperavano della loro
salvezza e della loro vita.
Si erano tutti affidati a quel miserrimo timone che si chiama avventura: si abbandonavano al
caso per salvarsi o perire, poich non potevano far altro che salire verso il cielo con le onde
infuriate o precipitare di nuovo in un abisso. Cos i cavalloni li trascinavano su e gi, di qua e di l
finch nessuno di loro fu in grado di reggersi in piedi. E cos vissero per otto giorni e otto notti e
avevano quasi perduto il senno e le forze.
Allora uno di essi si rivolse agli altri:
"Messeri - disse cos Dio mi aiuti, mi pare che sia il giudizio di Dio a farci vivere in tali angustie;
se stiamo fra la vita e la morte su questo mare in tempesta lo dobbiamo solo al peccato e
all'inganno col quale abbiamo rapito Tristano ai suoi amici."
"Hai ragione dissero gli altri unanimamente - certamente cos ".
Allora si misero d'accordo che se il vento e il mare si fossero calmati, appena scesi a terra
avrebbero lasciato Tristano libero dove avesse voluto. E appena ebbero deciso questo col
consenso di tutti, la loro penosa situazione fu immediatamente alleviata: vento e mare
cominciarono a calmarsi e il sole brill chiaro come prima. Quindi essi non indugiarono pi,
poich in quegli otto giorni il vento li aveva sospinti verso la Cornovaglia ed erano cos vicino alle
coste che si vedeva la riva ed essi vi approdarono. Presero Tristano e lo portarono a terra; gli
diedero pane e una parte delle loro provviste e:
"Amico disseroDio ti protegga e abbia cura della tua vita".
Con questo gli augurarono ogni benedizione e ripartirono subito.
Ora che cosa fece Tristano, il misero esule? Stava l seduto piangendo, poich tutti i fanciulli
altro non possono fare nella sventura. L'esule sconsolato giunse le mani e preg Dio
fervidamente:
"O Dio, Signore munifico, Tu che sei ricco di grazia e di bont, dolce Signore, ti supplico, poich
hai permesso che io fossi rapito, Tu ora per la tua grazia e la tua bont, che Tu mi indichi ora un
luogo dove io possa ancora trovarmi fra gli uomini. Qui ovunque mi volga non vedo anima viva
intorno a me; ho paura di questo sconfinato deserto; ovunque io guardi mi sembra che siano i
confini del mondo e ovunque mi giri non vedo che campi deserti e luoghi selvaggi, aspre rocce e
aspro mare.
Soffro tanto di questa paura, inoltre da qualunque parte mi diriga temo che i lupi e le fiere mi
divorino. Per di pi il giorno volge alla sera e se mi attardo e non vado via da qui, male me ne
incoglier; se non mi affretto ad andarmene e pernotto in questa foresta mai pi mi salver. Ora
vedo che sono circondato da alte rocce e montagne: mi arrampicher su una di queste finch
dura il giorno, per vedere se riesco a scoprire vicino o lontano qualche abitazione dove io trovi
persone alle quali mi possa raccomandare o presso le quali possa comunque rifugiarmi".
Si rialz allora e si mise in cammino. Indossava veste e mantello di una stoffa meravigliosamente
tessuta, opera di Saraceni e lavorata da mano straniera secondo l'uso pagano, ricamata e
intessuta di piccoli galloni, e foggiata in modo da aderire al corpo, cos che mai uomo o donna ne
eseguirono di migliore. La storia ci racconta anche che questa stoffa era di color verde come un
prato di maggio e foderata di un ermellino cos bianco che non ne pu esistere di pi candido.
Cos and avanti per il suo malinconico viaggio, triste e piangente: poich questo viaggio era
inevitabile, si cinse e rialz la veste, arrotol il mantello e se lo pose in spalla e si avvi
attraverso la foresta e la campagna deserta. Non c'era sentiero n traccia all'infuori di quella che

egli vi faceva passando. Con i piedi cercava la via e con le mani si arrampicava servendosi di
esse e delle gambe in luogo di un cavallo, inerpicandosi per balze aspre e scoscese finch
raggiunse una vetta.
Allora per caso trov un rozzo e stretto sentiero nel bosco invaso dalle erbe e seguendolo scese a
valle dalla parte opposta. Questo sentiero continuava dritto e presto lo condusse a una bella
strada spaziosa e frequentata in tutti i sensi. Qui si ferm e sedette a riposarsi piangendo: il suo
cuore lo riportava ai suoi amici e al paese dov'era gente conosciuta. Grande rimpianto lo colse e
ricominci a lamentarsi con Dio della sua sventura:
"Mio Dio - disse -, Signore mio buono, mio padre e mia madre, ahim, mi hanno perduto! Non
avessi mai visto quella bella e malaugurata scacchiera che ora avr sempre in odio. Dio maledica
falchi e sparvieri che mi hanno rapito mio padre; per causa loro sono privo di amici e di parenti e
tutti quelli che mi volevano bene e mi auguravano felicit sono ora in tristezza e in pena per me.
Oh! mia dolce madre, so bene come tu ora per me ti tormenti; padre mio, il tuo cuore pieno di
amarezza e so bene che siete ambedue sopraffatti dal dolore! E ohim, se almeno sapeste che io
sono ancora in vita e in buona salute sarebbe una grande grazia di Dio per voi e anche per me,
poich so bene che non vi consolerete mai, se a Dio non piaccia di farvi conoscere che sono vivo.
Oh, divino Consigliere che a tutto provvedi, disponi Tu che cos sia!".
Mentre, come ho detto, egli se ne stava cos lamentandosi, vide passare lontano due vecchi
viandanti dall'aspetto raccolto, carichi di anni, e con la barba e i capelli lunghi come si addice a
devoti servi di Dio e come sovente usano portare i pii pellegrini. Essi indossavano cappe di lino e
vesti come a tali si conviene e sopra queste erano cucite conchiglie marine e altri gingilli strani e
ognuno di essi aveva in mano un bordone. Cappelli e panni di gamba ben si adattavano al resto.
Questi servi di Dio avevano brache di lino che giungevano loro ai malleoli, lavorate a mano e
legate alla gamba. Piedi e caviglie erano nudi per il passo. Come segno di vita penitente
portavano sulle spalle delle palme benedette. Le preghiere e i salmi e quanto di buono sapevano
li leggevano alle ore.
Quando Tristano li scorse, disse tra s timorosamente:
"Dio di misericordia, che cosa debbo fare adesso? Se quei due viandanti mi vedono, c' il
pericolo che mi prendano".
Ma quando si avvicinarono, li riconobbe dai bordoni e dagli abiti e riprese coraggio e il suo animo
si rasseren alquanto. Dal profondo del cuore disse allora:
"Sia lode a Te, Signore! questa deve essere buona gente di cui non ho da aver paura".
Ben presto essi scorsero il giovinetto seduto davanti a loro sulla via e quando furono vicini egli
balz cortesemente in piedi incrociando le mani sul petto. I due uomini lo osservarono con
maggiore attenzione vedendo le sue belle maniere. Si fecero avanti e lo salutarono con questo
dolce saluto:
"De us sal, beas amis";
"Dio ti salvi, caro amico, chiunque tu sia".
Tristano si inchin ai vegliardi dicendo:
"D bni si sainte companie!";
"Dio nella sua potenza benedica s santa compagnia!."
"Caro fanciullo -replicarono essi -, di dove sei? e chi ti ha condotto qui?"
Tristano era prudente e riflessivo per la sua et e raccont loro una fola:

"Miei buoni signori - cominci - io sono nativo di queste parti e oggi con altra gente dovevo
andare a caccia a cavallo in questa foresta. Ho perduto, non so come, i cacciatori e i cani. Quelli
che sono pratici dei sentieri ebbero miglior fortuna, ma io che non li conosco ho sbagliato la via
finch mi sono completamente smarrito. Cos mi sono messo su di una falsa traccia che mi ha
condotto a un fosso e l non potei pi reggere il mio cavallo che voleva sempre continuare per
conto suo finch rotolammo tutti e due, io e il cavallo. Non riuscii a rialzarmi nelle staffe prima
che questo avesse strappato le redini e fosse galoppato via nel bosco. Io mi sono messo su
questo viottolo che mi ha condotto qui. Adesso non capisco pi dove sono n dove devo andare.
Ora, buona gente, abbiate la carit di dirmi dove siete diretti".
"Amico - risposero essi -, con la volont di Dio vorremmo questa sera stessa essere nella citt
di Tintajoel"
. Tristano li preg gentilmente che gli permettessero di unirsi a loro.
"Fanciullo caro - dissero i pellegrini -, se vuoi recarti l vieni pure con noi".
Tristano si incammin con loro e intanto cominciarono a conversare di varie cose. Tristano, il
gentile fanciullo, era cos pronto con la risposta adatta a qualunque domanda, conservava una
tale misura nel parlare e nelle maniere che i saggi vegliardi conversavano con grande
compiacenza e, meglio osservando i suoi modi e il suo fare e anche la sua bella persona e
vedendo le sue ricche vesti lavorate in fogge straniere, dissero tra loro:
"Buon Dio, chi e di dove questo fanciullo le cui maniere sono cos cortesi?".
Cos continuarono a intrattenersi con lui e ad ascoltarlo con grande piacere per un buon miglio di
strada.
Ora avvenne che in quel mentre i cani di suo zio, re Marco di Cornovaglia, avevano inseguito un
giovane cervo, il quale fuggendo veniva da quella parte, stremato di forze dalla rapida fuga e
braccato dalla muta. Sopraggiunsero ora anche i cacciatori con grande rumore e suono di corni
per abbatterlo.
Quando Tristano vide questo, si rivolse garbatamente ai pellegrini:
"Ecco, signori, questa la comitiva con i cani e il cervo che oggi avevo perduto; ora l'ho
ritrovata; sono i miei compaesani; se mi date licenza vado con loro".
"Fanciullo - dissero essi - Dio ti benedica e ti dia buona fortuna".
"Grazie, Dio vi guardi"
- rispose loro Tristano, si inchin a loro e s'incammin sulla traccia del cervo.
Quando il cervo fu abbattuto, il maestro di caccia lo stese gi sull'erba con le quattro zampe
come un porcello:
"Come, maestro?- esclam Tristano il cortese -, per amor di Dio lasciate stare, che cosa fate?
Chi vide mai trattare cos il cervo?".
Il cacciatore si rialz, guard Tristano e gli disse:
"Come vuoi allora che io faccia, fanciullo? Qui da noi non si usa altro modo di scuoiare un
cervo che spaccandolo dal capo alla coda e poi in quattro parti cos che nessuno dei quarti sia
pi grande dell'altro, questo l'uso del paese: ne conosci tu un altro, fanciullo?"
"S, maestro - rispose questi -. Nel paese da cui vengo l'uso diverso".

"E quale dunque?"


domand il maestro.
"Noi scuoiamo il cervo secondo il "bast".
"In fede mia, amico, se non me lo fai vedere, io non capir davvero che cosa sia il "bast", n
c' alcuno in questo regno che conosca quest'arte o abbia mai udito questo nome da compagni
n da stranieri. Fanciullo mio, che cosa intendi per "bast" ? per bont tua ora mostramelo; vieni e
scuoia tu questo cervo".
Tristano disse:
"Mio caro maestro, col vostro permesso lo far, se questo vi fa piacere e cos vi mostrer, per
quanto l'ho visto io, quale l'uso del mio paese intorno al "bast", come desiderate".
Il maestro guard il giovane forestiero con benevolo sorriso, poich egli stesso era uomo cortese
e pratico di tutte le usanze che un cavaliere deve conoscere.
"Va bene, amico - disse - fa' a modo tuo e se tu fossi troppo debole, o fido compagno e caro
fanciullo, io stesso e quanti sono qui con me ti aiuteremo con le nostre mani a stendere, voltare e
scuoiare il cervo, secondo le tue indicazioni".
Tristano, l'esule fanciullo, si tolse il mantello e lo pos l accanto su di un sasso, rialz la veste e
ripieg le maniche, lisci i suoi bei capelli e li raccolse dietro le orecchie e tutti i presenti
osservarono le sue belle maniere e considerandolo, egli appariva loro tanto gentile che lo
guardavano con compiacenza dicendosi in cuor loro come tutto in lui fosse nobile, le ricche vesti
di foggia straniera e il corpo ben modellato. Cominciarono a avvicinarglisi e stettero a osservare.
Ora il fanciullo esule, il giovane signore Tristano afferr il cervo con le mani e volle rovesciarlo sul
dorso. Ma non pot smuoverlo perch era troppo pesante per lui; allora preg gli altri
cortesemente che lo stendessero gi per prepararlo per lo scuoiamento.
Fatto questo, egli si pose alla testa del cervo e cominci a spogliarlo dalla pelle, dal muso in gi;
alle spalle si arrest e le scortic l'una dopo l'altra, prima la destra, poi la sinistra. Prese quindi le
cosce e le scuoi egualmente; quindi cominci a tagliare la pelle dai due lati e la stacc da cima
a fondo, da garzone esperto, e la stese a terra. Riprese quindi le spalle e le stacc liberando il
petto interamente. Mise da parte le due scapole e cominci a dividere il petto dal dorso
lasciandovi tre costole per parte; secondo la vera arte del "bast" bisogna sempre lasciarle
attaccate quando si libera il petto. Poi rapidamente con grande maestria scuoi le due cosce
posteriori, non separatamente, ma insieme e anche a queste lasci, come di giusto, attaccato il
filetto l dove il dorso dista dai lombi circa una spanna e mezzo: questo, l dove si pratica questa
arte di scuoiamento lo si chiama zimier. Si mise poi intorno alle costole e le separ dalla schiena.
Ma lo stomaco e le interiora non convenivano alle sue belle mani e allora chiam:
"Presto, qua due servi! prendete questa roba e portatela via!".
Cos il cervo venne scuoiato e la pelle debitamente tolta; il petto, le spalle, i lombi, le gambe
erano tutti posati l'uno sopra all'altro in bell'ordine: con ci era compiuto il bast.
"Ecco - disse Tristano, l'ospite straniero -, questo il "bast" e cos si pratica quest'arte. Adesso
compiacetevi di avvicinarvi con la vostra compagnia e fate la "furkie".
"Furkie"? caro fanciullo, che cosa mai? non comprendiamo di che cosa parli. Tu ci hai or ora
mostrato magistralmente questo uso di caccia che straniero e lodevole; ora lascia il resto e
compi il tuo insegnamento; noi siamo a tua disposizione".

Tristano facendo un salto colse un ramo d'albero forcuto, detto furke o forcella da coloro che
conoscono la furkie. Ma non c' differenza fra i due nomi: furke e forcella sono la stessa cosa.
Cos Tristano se ne ritorn col suo ramo. Tagli il fegato e lo separ dal resto, poi stacc la rete e i
lombi e liber il lombo cimie, dal membro cui era attaccato.
Si sedette allora sull'erba, prese i tre pezzi e li fiss alla forcella con la rete, poi con un verde
virgulto li leg in vari modi.
"Ecco, signori - disse allora -, questo nella nostra caccia detto "furkie" e perch lo ho legato
alla forcella, questo uso ha con buona ragione tale nome. Ora lo prenda un servo, e voi state
attenti e pronti alla vostra "curie".
"Curie? d bnie!" - esclamarono tutti -; che cos'? Comprenderemmo meglio il saraceno!
amico, che cosa la "curie" ? Ma no, anzi taci e non dirci nulla: piuttosto eseguilo tu stesso
davanti a noi, in modo che noi lo vediamo con i nostri occhi.Fallo per la tua cortesia".
Tristano acconsent subito: prese il rick, il tendine del cuore voglio dire, al quale il cuore sta
sospeso e lo liber tutto; tagli il cuore per met nel senso della lunghezza, lo prese e lo divise in
quattro pezzi che gett sulla pelle. Poi ritorn all'omento; separ la milza dai polmoni in modo da
liberarne l'omento e anche questi pos sulla pelle, quindi tagli la rete e la gola in alto l dove
comincia il petto. Separ dal collo la testa con le corna e ordin di portarla accanto al petto.
"Or bene - disse -, portate via presto questa corata e se vengono dei poveri a cui piaccia o che
la desiderino, dividetela tra loro o fatene quello che vi aggrada secondo le vostre usanze. E ora
mi volgo alla "curie".
Tutta la compagnia gli si fece intorno e stette a osservare quello che faceva. Tristano ordin che
gli fosse portato quello che prima aveva preparato. Tutto era pronto come egli lo aveva ordinato:
i quattro quarti del cuore spartiti in quattro e posati sulla pelle secondo l'uso dei cacciatori. Egli
tagli in piccoli pezzi la milza e i polmoni, poi lo stomaco e gli intestini e tutto quello che si suol
dare in pasto ai cani, come meglio gli piacque e li sparse pure sulla pelle, poi chiam i cani ad
alta voce:
"Qua, qua"
! e in un momento questi gli furono tutti attorno, aspettando il cibo.
"Vedete - disse l'esperto giovinetto - in Parmenia questo si chiama "curie" e vi dir perch: si
chiama "curie" perch sta sul cuoio quello che poi si d ai cani; cos questo sistema ha preso lo
stesso nome di "curie" da "cuir", cuoio. Poi da "cuir" venuto "curie". Fa bene ai cani ed una
buona usanza, perch quello che vi si mette sopra diventa saporito dal sangue e giova loro.
Vedete ora che questo uso del "bast" non richiede alcuna altra abilit; decidete ora se vi piaccia."
"Ah, signore risposero essi -, fanciullo benedetto, che cosa dici mai? Vediamo bene che questa
arte di grande vantaggio per i cani e per i bracchi".
"Ora - riprese il buon Tristano - portate via la vostra pelle, poich adesso non ho pi nulla da
dirvi e siate certi che in verit, se avessi saputo servirvi meglio lo avrei fatto volentieri. Ora
ognuno si tagli il proprio virgulto e vi leghi il proprio pezzo; tenete pronta la testa e portate il
vostro trofeo a corte secondo l'uso cavalleresco; questo fa onore a voi stessi. Voi sapete ora
come si deve presentare il cervo; presentatelo dunque secondo le regole".
Il maestro e i servi si meravigliavano sempre di pi che questo fanciullo fosse cos esperto in ogni
regola di caccia e conoscesse tutte queste arti.

"Vedi, caro fanciullo - dissero -, queste arti meravigliose che ci mostri e ci hai mostrate ci
sembrano cos belle e varie che vorremmo vederle tutte sino alla fine, senza considerare n
tener conto di quello che hai fatto finora".
Gli menarono allora un cavallo e lo pregarono di andare con loro fino alla corte per far loro
conoscere le altre sue arti e gli usi e i costumi del suo paese.
Tristano disse:
"Volentieri, prendete il cervo e andiamo".
Quindi mont in sella e and con loro.
Cavalcando in compagnia ognuno di loro aspettava con impazienza l'occasione e l'ora di sapere
di quale paese fosse e come fosse arrivato fin l e ognuno fantasticava a modo proprio
desiderando tutti di sapere ci che lo riguardava.
Il saggio Tristano lo comprese e cominci a narrare la sua storia.
Il suo modo di parlare non aveva nulla di puerile; con molto senno prese a narrare:
"Al di l della Bretagna c' un paese chiamato Parmenia: col mio padre mercante e per il
suo stato potrebbe vivere bene e tranquillo, intendo dire da mercante. E sappiate inoltre che egli
non tanto ricco di beni quanto di animo virtuoso. Egli mi fece insegnare tutto quello che so. Poi
vennero dei mercanti di terre straniere e notando la loro lingua e i loro costumi l'animo mio si
sent attratto e spinto verso quelle terre e poich ero bramoso di conoscere anche altri paesi
stranieri, non facevo che pensarci dalla mattina alla sera, finch fuggii da mio padre e partii con i
mercanti e cos sono arrivato qui; ora sapete tutta la mia storia: non so come vi piacer".
"Oh, caro fanciullo - dissero essi -, era un nobile desiderio il tuo. Conoscere paesi stranieri fa
bene a molti cuori e insegna molte virt. Caro compagno, dolce giovinetto, Dio benedica la terra
dove un mercante seppe allevare un figlio cos pieno di virt. Di tutti i re che sono al mondo
nessuno allev meglio un figliolo. Ora caro fanciullo, dicci come ti chiamava il tuo cortese
padre?".
"Tristano - rispose egli - mi chiamo Tristano".
"D us adjut" - disse uno allora - in nome di Dio perch ti ha chiamato cos? Sarebbe stato pi
adatto chiamarti "juvente bele et la riant": bella e ridente giovent".
Cos proseguirono cavalcando e discorrendo sempre del nostro fanciullo piacevolmente in vari
modi e ognuno della compagnia gli poneva le domande che voleva.
In breve arrivarono in un luogo da dove Tristano pot scorgere la citt. Egli allora colse da un
tiglio due rami fronzuti dai quali si fece due ghirlande: una se la pose sul capo, l'altra alquanto
pi grande la offr al maestro di caccia.
"Ditemi, caro maestro, che citt quella? certamente un castello reale".
Il maestro rispose:
"Quello Tintajoel".
"Tintajoel? Ah, che bel castello! "D te sal", Tintajoel, te e i tuoi abitanti".
"E cos te pure, dolce fanciullo, possa tu essere sempre felice e avere sempre buona fortuna,
come noi te lo auguriamo".
Cos arrivarono alla porta della citt davanti alla quale Tristano si ferm :

"Signori - disse loro -, io essendo straniero non conosco i vostri nomi. Ora allineatevi due a due
e fate il vostro ingresso cavalcando ben in ordine l'uno accanto all'altro. Per il cervo regolatevi
cos: per prima deve entrare la testa con le corna, poi, subito dietro, il petto, le costole dopo le
spalle e poi dovete disporre in modo che i quarti posteriori seguano subito dopo le costole, quindi
disporre che per ultimo sia portata la "cuire" e la "furkie": questa la vera veneria e non andate
troppo in fretta ma cavalcate in ordine l'uno dietro l'altro ben in fila. Il maestro e io, suo staffiere,
cavalcheremo insieme, se cos vi pare."
"S, fanciullo caro - dissero tutti - noi vogliamo quello che vuoi tu".
"Cos sia - rispose egli -; ora prestatemi un corno di misura adatta a me e state attenti: quando
suono io suonate anche voi".
Il maestro disse:
"Amico mio, fa' pure come ti aggrada, seguiremo tutti il tuo cenno, io e quelli che sono con
me".
"In buon'ora cos sia fatto"
disse Tristano.
Gli diedero in mano un piccolo corno lucente:
"Avanti - grid egli - "allez avant"!".
Cos entrarono cavalcando in buon ordine due per due e quando furono sotto alla porta Tristano
prese il suo piccolo corno e suon cos forte e allegramente che quelli che lo seguivano non
poterono aspettare pi oltre e lo suonarono tutti insieme a lui col loro corno sulla sua stessa nota.
Egli procedeva in testa a tutti, ed essi lo seguivano sullo stesso suo tono, con abilit e maestria e
il suono riemp tutto il castello.
Re Marco e tutta la corte, udendo il nuovo strano canto di caccia furono grandemente stupiti,
poich nulla di simile si era mai udito a corte. Ora la cavalcata era giunta all'ingresso del palazzo
dove molti erano accorsi al suono dei corni molto meravigliandosi e chiedendosi che cosa
potesse significare. Re Marco stesso era sceso e con lui molti dei cortigiani. Quando Tristano
scorse il re si sent subito attratto verso di lui: era il cuore che glielo segnalava fra tutti, mosso
dalla natura stessa. Lo mir attentamente e lo salut suonando sul corno nel modo straniero cos
bello che nessuno si azzard ad accompagnarlo.
Appena terminato, il cortese straniero abbass il corno e tacque. Si inchin profondamente al re
e parl poi gentilmente, con voce soave, come egli ben sapeva:
"D us sal roi et sa mehne", Dio salvi il re e la sua compagnia! Marco il benevolo e tutto il suo
seguito ringraziarono il fanciullo cortesemente come si conviene a cortese saluto.
"Ah - dissero tutti, grandi e piccoli -, "D duin dze venture si dze crature", Dio dia dolce
destino a s dolce creatura".
Il re osserv il fanciullo e chiam il maestro di caccia e gli chiese:
"Dimmi, chi questo giovinetto, che favella con tanta grazia?".
"Ah, Sire, viene dalla Parmenia ed cos straordinariamente giudizioso e cortese come mai vidi
fanciullo; dice di chiamarsi Tristano e che suo padre sia un mercante; ma non lo creder mai:
come avrebbe potuto un mercante, in mezzo a tutte le sue occupazioni, trovare tanto tempo e

agio da dedicargli? Come poteva trovare tempo per lui, egli che deve sempre vivere
nell'agitazione del suo lavoro? Vedete, Sire, come ricco di virt; anche questa nuova elegante
maniera di presentarsi a corte l'abbiamo imparata da lui. E udite quale altra arte meravigliosa: il
cervo viene portato a corte proprio cos come formato. Fu mai escogitata maniera migliore?
Vedete, per prima viene la testa, poi subito dietro a questa il petto, quindi le spalle e le zampe e
tutto questo non fu mai meglio presentato. Guardate qui: avete mai visto una cos fatta "furkie"?
Io non conobbi mai tali arti da quando mi occupo di caccia. Inoltre ci ha mostrato come si deve
scuoiare il cervo e il sistema mi piace tanto che da ora innanzi non voglio pi squartare cervo n
altri animali, dovessi anche cacciare fino al mio ultimo giorno".
E cos prosegu a narrare tutto fin dal principio al suo signore, e come Tristano fosse esperto nella
caccia cortese e come preparasse la curie per i cani. Il re ascoltava con benevolenza quello che il
cacciatore diceva, poi fece chiamare il fanciullo e ordin che i cacciatori ritornassero alle loro
case attendendo ai loro compiti e ai loro uffici. Questi voltarono le cavalcature e se ne andarono.
Tristano, ora maestro di caccia, rese loro il suo piccolo corno e balz a terra.
I giovani del seguito corsero incontro al fanciullo, lo presero per mano e lo condussero alla
presenza della Corona. Egli possedeva gi di per s un incedere nobile e grazioso: il suo corpo
era fatto secondo le regole della minne, la bocca vermiglia, la carnagione bianca, gli occhi chiari,
i capelli castani che si arricciolavano alle punte; bianche e ben fatte le mani e le braccia, di
giusta statura il corpo; la sua bellezza si palesava meglio ancora nelle gambe e nei piedi, lodevoli
e tali quali si convengono in un uomo. Gli abiti, come vi ho detto, si adattavano alla sua persona
e per le sue belle maniere dava piacere a chi lo guardava.
Marco rimir Tristano :
"Amico - disse -, ti chiami Tristano?".
"S, Sire, Tristano, "d us sal".
"D us sal bas vassal".
"Merzi - replic egli - gentil rois, nobile re kurnevalois: voi e i vostri sudditi siate sempre
benedetti fra i figli di Dio".
Gli fu risposto con grandi ringraziamenti da tutti i cortigiani, i quali non avevano pi che una
parola:
"Tristan, Tristan li Parmenois, cum est bas et cum curtois!".
Marco si rivolse di nuovo a Tristano:
"Ti dico io, Tristano, quello che devi fare. Mi devi accordare un favore di cui non vorrei fare a
meno".
"Tutto quello che comandate, Sire".
"Tu devi essere il mio maestro di caccia".
Si lev allora un gran ridere intorno. Tristano disse allora:
"Signore, comandate e disponete di me; quello che voi ordinerete io lo compir; sar vostro
maestro di caccia e vostro vassallo come meglio sapr."
"Va bene amico - disse re Marco - questo deciso e cos sia".
Ora Tristano, come avete udito, ritornato in patria senza saperlo e credendosi ancora in terra
straniera. Marco il virtuoso, inconsapevole di essere suo parente, lo tratt con molta bont come

era anche grandemente opportuno: preg ciascuno e ordin a tutti di mostrarsi buoni e
compiacenti verso il fanciullo straniero e di fargli onore con la conversazione e la compagnia. A
questo tutti aderirono molto volentieri. Cos Tristano venne a far parte della corte del re che gli
voleva bene e gradiva la sua societ, perch il suo cuore era attratto verso di lui; lo guardava
con compiacimento e il giovinetto era sempre cortesemente al suo lato e pronto al suo servizio
ogni volta che ve ne era l'occasione. Dovunque fosse Marco, ivi era anche Tristano. Marco se ne
compiaceva ed era felice quando lo vedeva.
Intanto avvenne che entro una settimana re Marco stesso and a caccia con lui e con molti del
suo seguito, per vedere la sua arte nel cacciare e osservare la sua abilit. Re Marco ordin di
condurgli il suo cavallo da caccia e gliene fece dono. Miglior cavalcatura Tristano non ebbe mai,
poich era un bell'animale, robusto e snello. Gli fece anche dare un piccolo corno bello e chiaro e
gli disse:
"Tristano, ora ricrdati che sei il mio maestro di caccia; facci dunque vedere la tua bravura,
prendi i tuoi cani e vanne e manda i battitori dove ti pare che meglio ti convenga".
"No, Sire, non cos - replic Tristano il cortese -; manda avanti i tuoi cacciatori che devono
attendere e dare la via ai cani. Essi conoscono il paese e sanno meglio di me dove passa il cervo
fuggendo dalla muta; sapranno ben essi cogliere l'occasione. Io non fui mai in questo luogo e
sono pur sempre uno straniero."
"Dio sa se hai ragione, Tristano, non puoi bene orientarti qui. I cacciatori devono andare avanti
e fare il compito loro".
Allora i cacciatori ritornarono, legarono i cani e posero i battitori nei luoghi a loro noti, ben presto
scovarono un cervo e lo inseguirono a gara fino a sera, quando i cani lo raggiunsero. Allo stesso
momento venne di corsa re Marco con Tristano e molti del seguito per abbatterlo. Ci fu allora un
gran suonare di corni in vari e diversi toni; suonavano tanto bene che re Marco molto ne godette
e con lui molti degli altri che l si trovavano.
Ora che il cervo era abbattuto andarono dal loro maestro Tristano, il loro fido ospite, e lo
pregarono di mostrar loro il bast dal principio alla fine.
"Sar fatto", disse Tristano e con questa parola si accinse all'opera.
Ora mi pare che sarebbe inutile farvi un'altra volta lo stesso racconto. Come gi vi narrai di
quell'altro cervo, nello stesso modo fu scuoiato questo. Quando videro il bast e la furkie e l'arte
della curie, dichiararono ad una voce che nessuno conosceva n avrebbe potuto imaginare un
modo migliore. Il re ordin di prendere e legare il cervo e se ne ritorn egli e il suo cacciatore
Tristano e tutta la compagnia. Al suono dei corni e con la furkie ritornarono cavalcando a casa.
Da allora Tristano fu uno dei cortigiani prediletti. Il re e tutta la corte lo accolsero nella loro
compagnia. Egli pure era compiacente e sempre pronto al servizio di ricchi e di poveri e se
avesse potuto fare onore a tutti lo avrebbe fatto di buon grado. Dio gli aveva dato la grazia di
potere e volere piacere a tutti: egli sapeva ridere, ballare, cantare, cavalcare, correre, essere
allegro con tutti. Viveva come da lui si richiedeva; e come la giovent dovrebbe vivere,
assecondando tutto ci che altri intraprendeva.
Ora accadde che un giorno re Marco se ne stava seduto dopo il pranzo come si suole fare per
riposo e ascoltava il laio di un suonatore di arpa, il migliore che si conoscesse, che veniva dal
paese di Galles.
Ora venne Tristano di Parmenia e si sedette ai suoi piedi e ascolt con tale attenzione il laio e le
dolci note che non pot pi infingersi, ne fosse andato anche della sua vita, tanto l'animo suo fu
commosso e il cuore infiammato.

"Maestro dissevoi suonate bene e le note risaltano bene con quella nostalgia come sono state
pensate. L'hanno composta i Britanni sulla storia di ser Gurune e della sua diletta".
L'artista si fece attento e stette in ascolto come se non avesse ben inteso, sino a che non ebbe
finito il laio. Poi si rivolse a Tristano:
"Che ne sai tu, caro fanciullo, da dove viene quest'aria? Hai qualche nozione di quest'arte?"
"S, caro maestro - rispose Tristano -, prima ne ero pi esperto, ma adesso sono tanto fuori di
esercizio che non mi azzarderei davanti a voi".
"No, amico mio, ecco qui quest'arpa, fammi sentire come si canta nel tuo paese".
"Me lo comandate voi, maestro, ed vostro piacere che io suoni?", disse Tristano.
"S, caro compagno, comincia a suonare".
Quando egli prese l'arpa questa parve adattarsi meravigliosamente alle sue mani, che, come ho
letto nei libri, pi belle non potevano essere, morbide e dolci, piccole e lunghe e bianche come
l'ermellino. Con queste accennava dolcemente a preludi e arpeggi in strana guisa. Allora gli
riaffiorarono alla mente le canzoni brettoni. Prese il plettro, tese le corde quale pi, quale meno
come meglio gli pareva, e quindi Tristano, il nuovo cantore, cominci il suo nuovo ufficio con
grande attenzione. Suonava tanto dolcemente i suoi preludi e i suoi arpeggi, i suoi strani "saluti"
e li rendeva cos bene sulle corde del suo strumento che tutta la schiera dei cortigiani accorse e
l'uno chiamava l'altro. Tutti vennero affrettandosi e a nessuno sembr di essere arrivato troppo
presto.
Ora Marco osservava tutto e riflettendo a tante cose e considerando il suo amico Tristano, assai
si meravigliava che questi avesse saputo nascondere tanta cortese dottrina e tante buone arti
che vedeva in lui. Tristano cominci una canzone della fiera amante di Gralant il bello, e intonava
cos dolcemente e toccava l'arpa con tale maestria alla maniera brettone, che vari degli astanti
ne furono tanto fuori di s da dimenticare il loro proprio nome: orecchie e cuore erano commossi
e agitati e alla mente affluivano pensieri di ogni sorta:
"Beato - dicevano molti -, il mercante che ha avuto un figlio cos cortese".
Le sue bianche dita si muovevano con arte e perizia sulle corde e il suono si espandeva fino a
riempire tutto il palazzo. Anche gli occhi non furono risparmiati, e molti sguardi seguivano le sue
mani.
Finita questa canzone il buon re lo fece pregare di suonare ancora:
"Mu voluntiers", rispose Tristano; e inton una canzone ancor pi nostalgica della prima, di
Tisbe, la curtoise dell'antica Babilonia.
Egli tocc l'arpa cos abilmente, seguendo le note con tanta maestria che l'arpista ne rest
stupito e quando il virtuoso fanciullo accompagn la sua canzone con le parole, e cant i versi in
brettone e in gallese, latino e francese cos soavemente, nessuno avrebbe saputo dire che cosa
fosse pi bello e pi da lodare, se il suo canto o il suo arpeggiare. Furono fatti grandi discorsi di
lui e della sua bravura, dicendo che in tutto il regno non si era mai riscontrata tanta abilit in un
uomo. Chi diceva una cosa e chi un'altra; questi parlava in un modo, quegli in un altro:
"Che fanciullo mai questo? chi abbiamo per compagno? Di tutti i giovinetti che esistono
nessuno vale un soffio accanto al nostro Tristano".

Quando Tristano ebbe terminato la canzone secondo il suo desiderio, Marco disse:
"Tristano, vieni qui; benedetto sia colui che ti ha istruito e sii tu benedetto con lui: era
veramente bella la tua canzone. La riudir volontieri questa sera, prima che tu vada a dormire;
farai questo per me e per te, non vero?".
"S, Sire, volontieri."
"Ora dimmi, conosci anche qualche altro strumento?"
"No, mio signore", replic egli.
"Ma te lo chiedo in nome dell'amore che hai per me."
"Sire - disse allora subito Tristano - non importava cos alta sollecitazione; avrei risposto alla
vostra domanda poich voi volete saperlo e io devo dirvelo. Signore, io mi sono applicato a ogni
genere di strumenti, ma a nessuno abbastanza da non desiderare di saperne di pi. Inoltre non
mi sono dato a questo studio per molto tempo, in verit forse per sette anni o poco pi. In
Parmenia mi hanno insegnato a suonare il violino, la sinfonia; l'arpa e la rotta me l'hanno
insegnata dei galeotti, due maestri gallesi e dei Brettoni della citt di Lut, la lira e la sambuca".
"Sambuca? che cosa questa, fanciullo mio?".
"E' lo strumento a corde pi bello che io conosca".
"Vedete - dicevano i cortigiani -, Dio ha dato a questo fanciullo tutte le grazie per una vita
felice".
Marco gli chiese ancora:
"Tristano, ti ho udito cantare in gallese, in buon latino e in francese: conosci tu queste
lingue?".
"S, Sire, abbastanza bene".
Allora gli si affollarono intorno e chi conosceva una lingua straniera di un qualsiasi paese vicino lo
mise alla prova in tutti i modi. Egli a tutti diede cortesemente risposta nella stessa lingua:
norvegese, irlandese, alemanno, scozzese, danese. Molti cuori presero a desiderare di avere
l'abilit di Tristano e avrebbero bramato di assomigliargli; molti, nel desiderio del loro cuore, gli si
rivolsero dolcemente e amabilmente:
"Ah, Tristano, fossi io come te! tu puoi vivere felice, porti la palma di ogni arte che il mondo
conosca".
Tutti ne parlavano facendone le meraviglie:
"Udite - diceva l'uno -, udite - diceva l'altro -, il mondo intero ascolti: un fanciullo
quattordicenne conosce tutte le arti che esistono".
Il re disse:
"Tristano, ascolta, in te trovo tutto quello che amo, tu sai fare tutto quello che mi aggrada:
caccia, lingue, musica. Ora dobbiamo anche essere amici, tu mio e io tuo. Di giorno andremo a
cavallo a caccia, la sera ci diletteremo con giochi cortesi; tu suoni bene l'arpa e il violino, e sai
cantare e lo farai per me; io pure conosco qualche gioco e far per te quanto il tuo cuore
desidera; ti dar cavalli e belle vesti, quanti ne vorrai. E con questo saremo pari. Ora, ecco la mia
spada e i miei speroni, la mia corazza e il mio corno d'oro; ragazzo mio, io te li affido, tu abbine
cura e sii sempre cortese di animo e felice".

Cos l'esule venne a far parte della corte pi vicina al re. Mai in fanciullo fu vista tale grazia
quanta si manifestava in lui; qualunque cosa facesse o dicesse appariva, e anche lo era, tanto
buona che tutti gli volevano bene e gli erano devoti di cuore. E con questo basta, dobbiamo
abbandonare questa storia e rivolgerci di nuovo a quella di suo padre il mariscalco - Dan Rual li
Foitenant et li leal - e a ci che egli fece quando ebbe perduto il figliolo.
Dan Rual li Foitenant si era messo subito in mare, con grande abbondanza e ricchezza di
provvigioni, poich aveva in mente di non ritornare finch non avesse avuto notizie del suo
giovane figlio; si diresse verso la Norvegia, col err giorno e notte per tutto il paese chiedendo
del suo diletto Tristano: ma a che serviva? questi non c'era. Tutte le ricerche furono vane e non
potendolo trovare Rual volse verso l'Irlanda. Ma, vedete, anche l non pot saperne di pi di
prima. Allora egli cominci a trascurarsi e le sue ricchezze cominciarono a scemare finch si
ridusse ad andare a piedi e ordin di vendere il suo cavallo e rimand tutto il suo seguito in
patria con tutti i suoi beni. Egli stesso rimase in miseria e and mendicando il suo pane di paese
in paese, pellegrinando senza posa per tre anni e pi alla ricerca del suo Tristano, tanto che la
bellezza della sua persona and decadendo e cos pure il suo bel colorito: chi l'avesse visto non
avrebbe mai detto che avrebbe potuto riprendere la sua dignit. E questo fardello di vergogna, il
degno Dan Rual lo portava come se fosse stato un ribaldo e senza che la sua povert gli facesse
perdere, come troppo spesso avviene, nulla della sua buona volont.
Verso il quarto anno egli si trovava in Danimarca dove pure andava chiedendo di Tristano di citt
in citt. Come Dio volle si imbatt in quei due pellegrini che il giovane Tristano aveva incontrato
sulla via del bosco. Interrog anche questi ed essi gli raccontarono come e quanto tempo prima
avessero veduto un fanciullo proprio quale egli diceva e come lo avessero preso in loro
compagnia; dissero quale era il suo aspetto, il volto, i capelli, il modo di esprimersi e di
comportarsi, la persona, il vestire e quante lingue e quante arti conosceva. Immediatamente egli
riconobbe il suo Tristano e preg i pellegrini di dirgli, per amor di Dio, dove l'avevano lasciato e
se si ricordavano la citt gliela nominassero. Cos essi dissero a Rual che era la citt di Tintajoel
in Cornovaglia. Egli li preg di ripetergli il nome della citt pi volte e disse loro:
"Dov' la Cornovaglia?".
"Essa confina - dissero essi -, con la terra al di l della Britannia".
"Ah! - pens egli - Signore Iddio, questa pu essere davvero una tua grazia: se, come sento,
Tristano giunto in Cornovaglia, allora proprio arrivato in casa sua, perch Marco suo zio.
Guidami a lui, o Dio di misericordia! Ah, Signore! nella tua potenza dammi ancora tanta grazia
che io lo possa rivedere. La notizia che ne ho avuto veramente buona e mi d grande gioia; mi
ha sollevato dalla mia tristezza e fatto felice".
"Brava gente - disse egli allora - il Figlio della Vergine vi protegga; me ne andr per la mia via
e vedr se trovo il mio figliolo".
"Bene, rivolgetevi al Bambino che ha tutto il mondo in suo potere."
"Grazie - disse Rual - con vostra licenza non posso attardarmi di pi."
"Amico - dissero quelli - " d, d!".
Rual si mise in cammino senza lasciare neppure una mezza giornata di riposo al suo corpo finch
non arriv al mare, dove suo malgrado dovette fermarsi poich non vi erano navi pronte; appena
trov un battello part subito per la Britannia, che attravers tutta con tanta premura che
nessuna giornata gli sembrava abbastanza lunga da impedirgli di camminare fin tardi nella notte;
ma la notizia ricevuta gli aveva dato coraggio e forza e gli rendeva leggera e dolce la fatica.
Giunto in Cornovaglia chiese dove fosse Tintajoel che gli fu subito indicata. Cos continu la sua

via e vi giunse un sabato mattina all'ora della messa; si mise accanto alla porta della chiesa; la
gente passava avanti e indietro ed egli guardava da tutte le parti e scrutava di qua e di l per
trovare qualcheduno che desse giusta risposta alla sua domanda; poich pensava fra s: questa
gente da pi di me e se ne interpello uno, temo che mi disprezzi e non mi risponda, dato che
sono cos male in arnese. Consigliami tu, Signore Iddio, quello che devo fare.
Intanto re Marco stesso veniva avanti con un brillante seguito in mezzo al quale Rual non vide
colui che cercava e quando il re doveva passare ritornando dalla messa, Rual si trasse un po' in
disparte e si accost a un vecchio cortigiano:
"Signore, per vostra bont, ditemi, sapete se ci sia a corte un fanciullo? Si dice che sia addetto
al re e abbia nome Tristano".
"Un fanciullo- rispose prontamente quegli - non so niente di fanciulli; c' uno scudiere che
deve presto essere armato cavaliere ed molto caro al re perch ha grande virt e grande
cortesia e conosce tante arti. E' un forte garzone dai capelli d'un castano chiaro e un bel
portamento; viene da paesi stranieri e qui lo chiamano Tristano".
"Signore - disse Rual appartenete voi alla corte?"
"S."
"Allora, per l'onor vostro, fatemi ancora una grazia, che ne avrete grande merito: ditegli che
c' un pover'uomo che vorrebbe vederlo e parlargli; potete pure fargli sapere che sono del suo
paese".
Quegli dunque avvert Tristano che era venuto uno della sua terra.
Tristano accorse subito e appena lo ebbe scorto esclam con le labbra e col cuore:
"Sia benedetto Iddio nostro Signore perch ti rivedo, padre mio!".
Questo fu il suo primo saluto; poi gli corse gioioso incontro e baci il fedelissimo guardiano come
un figlio il padre. E questo era giusto e bene poich egli era suo figlio e quegli era suo padre: e di
tutti i padri che ci sono e che mai vi furono al mondo nessuno ag verso il figlio pi paternamente
che lui verso Tristano, il quale in lui ritrov padre, madre, parenti, vassalli e tutti gli amici che mai
avesse avuto.
Con grande affetto gli parl:
"Mio buon padre, ditemi, la mia dolce madre, i miei fratelli vivono ancora?".
"Non lo so, figlio caro - rispose quegli -; vivevano ancora quando li vidi l'ultima volta, soltanto
erano in pena per causa tua. Che cosa abbiano fatto di poi non te lo posso dire perch da molto
non ho incontrato alcuno che conoscessi, e non sono pi stato a casa dal malaugurato momento
in cui mi colse in te la sventura".
"Ah, padre mio - replic l'altro - che cosa mi dici mai! Come ridotto il tuo aspetto!".
"Figlio mio, sei tu che me l'hai fatto perdere".
"E io te lo render".
"Figliolo, anche questo pu darsi".
"Ora, padre mio, vieni con me a corte."

"No figliolo, con te non posso andare; vedi bene che non sono in tenuta conveniente per la
corte".
"No, padre, dobbiamo andarci; necessario che il re, mio signore, ti veda".
Rual, cortese e buono, pens tra s: "la mia nudit non guasta; anche se il re mi vede ora come
pellegrino, sar ben contento di vedermi quando gli dir che Tristano suo nipote. Quando gli
avr raccontato tutto fin dal principio, qualunque cosa indossi gli sembrer bella".
Tristano lo prese per mano: il suo aspetto e le sue vesti erano quali potevano essere: portava una
povera tunica scolorita e consunta e qua e l anche lacera e non aveva mantello. Gli abiti sotto la
tunica erano ben miseri, sciupati e infangati. Capelli e barba erano tanto negletti da farlo
apparire un selvaggio. Inoltre il degno uomo non aveva ai piedi n calze n scarpe e per di pi
era malconcio dalle intemperie come tutti coloro che sono stati esposti al freddo, al sole, al
vento, alle privazioni e hanno perduto colore e robustezza.
In questo stato si present davanti a Marco. Questi, guardandolo negli occhi chiese a Tristano:
"Dimmi, Tristano: chi quest'uomo?".
"Mio padre, sire", rispose Tristano.
"Dici il vero?".
"S, mio Signore".
"Sia dunque il benvenuto", disse il degno re. Rual si inchin cortesemente. Accorsero allora
tutti i cavalieri e con loro tutta la corte e insieme esclamavano tutti:
"Sire, sire, d us sal".
Ora sappiate che Rual, per quanto miseramente vestito, pure era di bell'aspetto e di nobile
portamento. Di persona e di membra era simile a un Unno, lunghe le braccia e le gambe, bello e
signorile l'incedere e tutto il corpo ben fatto. Non era n troppo giovane n troppo vecchio, ma
negli anni migliori, quando la giovinezza e l'et matura danno alla vita il maggior vigore. Per
signorilit di tratto sembrava un imperatore; la sua voce era armoniosa come quella del corno, il
suo favellare ben tornito. Cos, con fare dignitoso, come sempre era solito avere, se ne stava
davanti al re e alla nobilt.
Si lev un gran mormorio fra i cavalieri e i baroni che parlavano fra loro chiedendosi:
"E' lui? E' questo il mercante cortese del quale suo figlio Tristano ci ha tanto decantato le virt?
Abbiamo udito parlare tanto della sua bont e del suo valore: come mai venuto a corte in
questo arnese?".
Questo e molto altro dicevano. Il buon re comand che fosse condotto nella kemenate, e fornito
di ricche vesti. Tristano lo assist a fare il bagno e a rivestirsi di begli abiti. Vi era anche un
cappello che si mise in capo e che gli stava a meraviglia, poich egli stesso era bello di volto e
avvenente di figura.
Tristano lo prese per mano cortesemente, come era uso e lo condusse di nuovo a re Marco e ora
tutti ne furono ammirati e si dicevano l'un l'altro:
"Vedete come il nobile abbigliamento sta bene a quest'uomo e come le ricche vesti si adattano
bene al mercante; anche egli stesso per bellissimo. Deve invero possedere delle grandi

qualit e ne appare ben dotato. Vedete che nobile incesso, quale signorile portamento egli ha nei
begli abiti. E basta vedere Tristano per riconoscere le sue virt. Come avrebbe un mercante
potuto allevare cos bene un figliolo, se non fosse mosso da nobilt di cuore?".
L'acqua era gi stata data e il re era venuto alla mensa; egli fece sedere Rual, il suo ospite, alla
sua stessa tavola e ordin di servirlo bene e con ogni cura, come si addice a un cavaliere.
"Tristano - disse - va' e servi tu stesso tuo padre".
E vi dico che invero cos fu fatto e gli vennero resi tutti gli onori e tutte le possibili attenzioni.
Cos Rual mangi con piacere, poich era felice per Tristano; Tristano era per lui il miglior festino
e guardarlo era tutta la sua gioia.
Quando le mense furono levate, il re si trattenne in discorso con il suo ospite e gli fece tante
domande sul suo paese e intorno al suo viaggio e mentre il re lo interrogava i cavalieri intorno
stavano ad ascoltare le parole di Rual.
"Sire - disse questi -, sono invero quattro anni e mezzo che ho abbandonato la patria e da
allora, dovunque sia capitato, non ho pensato ad altro se non allo scopo per il quale sono venuto
qui".
"E quale questo scopo?".
"E' Tristano che qui vedete. Io ho invero anche altri figli che mi sono stati dati da Dio e li amo
come un padre ama i suoi figlioli: tre figli, che, se fossi rimasto presso di loro, l'uno o l'altro
sarebbe gi cavaliere. Se avessi sofferto per tutti e tre insieme met delle pene e dei tormenti
che ho sofferto per Tristano, che pure mi estraneo, sarebbe gi stato moltissimo".
"Estraneo? - esclam il re -. Dite, che nuova questa? non dunque vostro figlio come dice di
essere?"
"No, sire, egli non mi appartiene se non in quanto io sono suo vassallo".
Tristano trasal e lo guard spaventato. Di nuovo il re parl:
"Ora dunque raccontateci per quale colpa o per quale ragione avete per lui sopportato tante
fatiche e come dite, avete per cos lungo tempo abbandonato moglie e figlioli, se non figlio
vostro?".
"Signore, questo lo sappiamo solamente Iddio e io".
"Ors, amico, fatelo sapere anche a me - disse re Marco -, che ci mi stupisce non poco".
"Se sapessi - replic il fido Rual che non me ne abbia poi a rincrescere e che sia cosa
conveniente richiamare il passato, vi potrei narrare meraviglie di questa ventura di Tristano, di
come ci accaduto e di come stato disposto per lui".
Marco e i suoi baroni subito a una voce lo pregarono:
"Dite, sant'uomo, diteci: chi Tristano?".
Il buon Rual parl allora e disse:
"Signore, come ben sapete e come sanno coloro che erano presenti in quel tempo, avvenne
che il mio signore Riwalin di cui io ero vassallo - e ancora dovrei esserlo, se Dio avesse voluto che
egli ancora vivesse - ud tanto magnificare la vostra virt e il vostro valore che affid alla mia
custodia le sue terre e la sua gente e, desiderando conoscervi, venne qui in questo paese e vi

prese dimora. Sapete pure come and la sua avventura con la bella Blancheflur e come ne
ottenne l'amicizia e come ella fugg con lui. Quando giunsero in patria si sposarono e questo
avvenne in casa mia e ne fummo testimoni io e molti altri; poi egli la affid alla mia protezione e
io ne ebbi cura in tutti i modi con tutto il cuore. Poco tempo dopo egli prepar una spedizione nel
suo paese con tutti i suoi, e part e fu ucciso in battaglia come avrete udito. Quando ci giunse
questa notizia e la bella dama l'apprese, un dolore mortale la colp cos profondamente che mise
al mondo con grande fatica Tristano che qui vedete e lei stessa ne mor".
Con questo il fedele vassallo fu sopraffatto da un cordoglio che a tutti fu palese poich piangeva
come un fanciullo. A questo racconto anche agli altri si inumidirono gli occhi. A re Marco, il
buono, la notizia and talmente al cuore che il dolore gli fluiva in lacrime dagli occhi tanto che
gote e vesti ne erano inondati. Tristano se ne rattrist profondamente, ma non per altro se non
perch cos perdeva nel suo fedele guardiano il padre e l'illusione d'avere un padre.
Cos Rual il buono raccont alla compagnia con grande tristezza, la storia del povero bambino;
come egli aveva fortemente raccomandato di prenderne cura quando sua madre lo aveva messo
al mondo e come l'aveva nascosto segretamente in luogo sicuro e fatto diffondere in mezzo al
popolo la notizia che era morto insieme alla madre. Quindi narr come avesse ordinato a sua
moglie, come gi vi dissi, di mettersi a letto come donna in travaglio e a suo tempo avesse
annunziato di aver messo al mondo il bambino che poi avevano portato in chiesa, dove era stato
battezzato e spieg perch era stato chiamato Tristano; l'aveva fatto poi viaggiare in paesi
stranieri affinch si addestrasse con la lingua e con le mani nelle arti che gli faceva apprendere;
lo aveva lasciato poi sulla nave dov'era stato rapito ed egli stesso era venuto a cercarlo con
grandi fatiche.
Cos raccont la storia dal principio alla fine e Marco pianse ed egli stesso piangeva e piangevano
tutti, meno il solo Tristano il quale non poteva dolersi di ci che udiva perch la notizia gli era
giunta troppo improvvisa. Quello per che il fido Rual narr ai cortigiani delle pene dei due
innamorati Kanele e Blancheflur e tutta la loro avventura non li commosse quanto la fedelt
dimostrata dopo la loro morte verso il loro figliolo. Questa agli occhi della corte era la maggior
prova di devozione che un uomo potesse dare al suo Signore.
Terminato questo discorso re Marco disse agli ospiti:
"Signori, questa storia poi vera?".
Rual, il buono, gli mostr un anellino che aveva al dito:
"Ora, Sire - disse - ecco la testimonianza delle mie parole e della mia storia".
Re Marco, buono e sincero, prese l'anello e lo guard, ma gliene venne un dolore ancor pi
acerbo.
"Ah! - disse - mia dolce sorella, io ti donai questo anellino che mio padre mi diede sul suo letto
di morte. Devo ben prestar fede a questo racconto. Tristano, vieni qui e abbracciami; se Dio d
vita a entrambi noi, io sar tuo padre e tu mio figlio ed erede. Iddio dia pace all'anima di tua
madre Blancheflur e di tuo padre Kanele e voglia concedere ad ambedue la vita eterna. Poich
stato cos disposto che tu mi venissi da mia sorella, io sar, a Dio piacendo, sempre felice".
All'ospite allora egli disse:
"Ora, amico caro, ditemi chi siete e come vi chiamate?"
"Rual, sire."
"Rual?".
"S".

Allora Marco si ramment di avere, a suo tempo, udito parlare di lui e di come fosse saggio e
onorevole e leale e disse:
"Rual li Foitenant?"
"Cos mi chiamano, signore".
Allora il buon Marco and a lui e lo baci e abbracci rendendogli onore come si meritava. I
cavalieri si fecero pure avanti e lo baciarono tutti con gioia, uno a uno; lo abbracciarono e
salutarono con cortesi parole:
"Benvenuto, degno Rual, specchio di virt al mondo".
Rual fu dunque cos il benvenuto. Quindi il re lo prese per mano e se lo fece amorevolmente
sedere a lato; riandarono insieme la loro storia e riparlarono di tutto, tanto di Tristano che di
Blancheflur e di tutta l'avventura e della lotta fra Kanele e Morgan e di come era finita: ben
presto il re venne a narrare a Rual con quale avvedutezza Tristano fosse venuto col e come
avesse detto che suo padre era un mercante. Rual guard Tristano:
"Amico - disse - per lungo tempo ho portato su e gi la mia faticosa mercanzia con grande
angustia e in povert per amor tuo; ma tutto questo ora giunto a buon fine. Perci io sempre
lever le mie mani a Dio in azioni di grazia".
Tristano disse:
"Vedo bene che la storia si sta svolgendo in modo da non potermene rallegrare. Strane parole
mi sono giunte se ho compreso bene: sento mio padre dire che mio padre stato ucciso molto
tempo addietro; con ci egli mi si sottrae e cos dei due padri che avevo acquistato ora resto
senza padre. Come mi siete stati rapiti, voi, padre mio, e l'illusione di possedere un padre! E colui
nel quale credevo di aver ritrovato il padre me ne fa perdere due: lui stesso e quello che non ho
mai veduto".
Ma il buon mariscalco cos parl:
"Ors, amico Tristano, lascia questo discorso che non ha fondamento. La mia venuta ti rende
pi ricco e ti fa crescere sempre pi in onore; inoltre hai due padri come prima, qui il mio Signore
e me. Egli tuo padre e lo sono io pure. Segui bene il mio dire e sempre pi per nobilt e onore
sii pari a tutti i re. Lascia tutti i discorsi e prega tuo zio, il re mio signore, che ti dia il suo aiuto per
ritornare nel tuo paese e ti armi qui cavaliere, perch allora potrai tu stesso prendere cura delle
cose tue. Voi tutti, signori, intercedete per lui affinch al re cos piaccia".
Tutti allora esclamarono:
"Sire, questo giusto; Tristano forte abbastanza ed ormai fatto uomo".
Il re disse:
"Tristano, nipote mio, che cosa ne pensi nell'animo tuo? Sei contento che cos si faccia?".
"Mio buon signore, vi dir l'animo mio: se possedessi beni cos grandi da poter esercitare la
cavalleria secondo il mio talento, in modo che non dovessi vergognarmi del nome di cavaliere, n
esso vergognarsi, n che in me venisse offuscato l'onore cavalleresco, allora ben volontieri sarei
cavaliere e vorrei esercitare questa mia inesperta giovinezza e volgerla agli onori mondani,
poich si dice che la cavalleria debba iniziare fino dalla prima et, altrimenti raramente
acquister valore. E' gran male che io abbia cos di rado esercitata questa mia oziosa giovinezza
nel valore e nella virt e me ne rimorde. Ora da molto tempo so che la vita agiata e il valore

cavalleresco in nessun modo si accordano e male possono stare insieme. E ho pure letto che
l'onore esige austerit di vita. La vita molle la morte dell'onore se vi si cede in giovent oppure
troppo a lungo. Vi dico invero che se un anno addietro, o anche prima, avessi saputo quello che
ora ho appreso, non mi sarei risparmiato fino a questo momento. Ma poich questo stato finora
trascurato, giusto che riacquisti il tempo. Io sono sanissimo di corpo e di spirito. Iddio mi dia
buon consiglio, che io possa agire secondo l'animo mio".
Marco disse:
"Nipote mio, vedi tu stesso quello che vuoi scegliere, e se desideri di essere re e signore su
tutta la Cornovaglia. Qui c' tuo padre Rual che ti interamente devoto: sia egli tuo consigliere e
tuo aiuto; segua egli la tua causa in modo che risulti secondo la tua volont. Tristano, caro
nipote, non ti dar pensiero della povert, poich la Parmenia ti appartiene e sar sempre tua
finch viviamo io e tuo padre Rual; inoltre, altri doni ho in mente di farti: la mia terra e la mia
gente e tutto quello che posseggo, caro nipote, tutto in mano tua. Se il tuo cuore incline agli
onori principeschi e se tale la tua volont, come ho udito da te, non risparmiare i miei averi: la
Cornovaglia sia tuo patrimonio e la mia corona tua tributaria. Se vuoi guadagnarti fama e onore
nel mondo, curati pure soltanto di arricchire il tuo spirito, ch di grandi beni ti provveder io.
Vedi, tu gi possiedi regali domini e ricchezze, quindi non ti far mancare nulla. Constater ben
presto se sai perseguire il tuo proprio vantaggio e se hai animo pronto e deciso quale devi avere
e come mi hai promesso. Ecco, se io riscontrer in te vera e regale nobilt d'animo, troverai
sempre presso di me scrigni aperti a tua disposizione; Tintajoel sar sempre il tuo forziere e il tuo
tesoro; per quanto tu mi preceda con animo generoso, io sempre ti seguir con le mie ricchezze
e se cos non fosse vorrebbe dire che tutto quanto in Cornovaglia chiamo mio andato perduto".
Ci furono allora grandi inchini; tutti i presenti fecero riverenza e diedero a gran voce onore e
lode.
"Re Marco dicevano, tu parli da vero sovrano, e le tue parole ben si addicono alla corona.
Possano il tuo cuore, la tua lingua e la tua mano sempre comandare su questo paese. Sii sempre
re della Cornovaglia".
Il fido mariscalco Dan Rual e il suo giovane signore Tristano si misero all'opera per conto loro,
usando le ricchezze che il re aveva loro largito e nella misura a loro concessa.
Ora mi sforzer di spiegare la vita di questi due, padre e figlio, poich (dato che raramente la
giovent e la vecchiaia si accordano in una medesima virt e la giovent disprezza la ricchezza,
mentre l'et matura la ricerca) qualcuno mi domander come mai poterono questi due mettersi
d'accordo fra loro, cos che ciascuno di essi ottenesse il suo intento e mantenesse il suo diritto, in
modo che Rual tenesse la giusta misura degli averi e Tristano seguisse pienamente lo slancio
dell'animo suo. Ora senza indugio ve lo prover: Rual e Tristano nutrivano l'uno per l'altro lo
stesso affetto, s che ciascuno non proponeva n voleva consigliare in bene o in male se non
quello che l'altro desiderava. Rual, noto per saggezza, aveva fiducia in Tristano e ne considerava
la giovane et; cos pure Tristano cedeva all'esperienza di Rual; ci li conduceva ugualmente a
un'unica meta di comune desiderio e l'uno desiderava ci che l'altro voleva e cos in ambedue vi
era un solo volere e un animo solo, donde avveniva che giovent e vecchiaia fossero unite in
un'unica virt e l'impulso generoso cedeva al senno. Cos venivano a mantenere, Tristano il
diritto al suo sentimento e Rual il controllo sui beni, senza che ad alcuno di essi fosse fatta cosa
contro il suo diritto.
Cos Rual e Tristano si misero all'opera dopo matura riflessione come era loro consuetudine. Entro
trenta giorni si procurarono le corazze e gli abiti che dovevano indossare i trenta cavalieri che
Tristano, il cortese, voleva prendersi per compagni. E se taluno mi interrogasse intorno alla
magnificenza e alla foggia degli abbigliamenti e a come fossero confezionati, non avrei da
pensarci a lungo e non farei che ripetere quello che ne dice la fama; se poi gli dicessi qualche
cosa di diverso, egli mi contraddica pure e ne parli meglio lui stesso.

I vestiti erano di quattro diverse ricche qualit di stoffe e ognuna delle quattro preziosa secondo
il suo tipo. L'una era la magnanimit, l'altra l'abbondanza, la saggezza la terza, di cui ho letto che
regolava le altre due con giusta misura; la quarta era la cortesia che tutte le univa cucendole
insieme. Tutte e quattro operavano molto bene nella loro guisa: la magnanimit comandava,
l'abbondanza concedeva, la saggezza dirigeva e tagliava, la cortesia cuciva e completava gli
abiti e gli altri tessuti, le bandiere, le gualdrappe e tutto il resto dell'attrezzatura che costituisce
la cavalleria; l'apparato di uomini e di destrieri, che distinguono il cavaliere, era cos ricco che
anche un re avrebbe convenientemente potuto prendervi la spada.
Ora che il seguito pronto con adeguata magnificenza, come posso io trovare parole per
descrivere come fu preparato Tristano, il degno loro capo, per la cerimonia della consegna della
spada? e per dirlo in modo che si addica alla mia storia e riesca piacevole a chi mi ascolta? Io
non so come parlarne in modo che vi piaccia e vi aggradi e stia bene in questo racconto; poich
ai miei giorni e anche prima, gi stato narrato cos bene di ornamenti mondani, di ricche
attrezzature, che se anche avessi dodici sensi di cui servirmi - mentre invece uno solo ne ho - e
se mi fosse possibile avere dodici lingue in questa mia unica bocca e sapessi con ognuna di esse
parlare come nella mia, non saprei da dove cominciare per dire di quella magnificenza e di quello
splendore cosa che non fosse stata detta meglio gi prima. L'ornamento della cavalleria stato
descritto tante volte e in forme cos ricercate, che io non sono capace di discorrerne in modo da
dare gioia al cuore.
Herr Hartmann von der Aue, egli s che sa colorire le sue storie e ornarle internamente ed
esternamente con parole e con massime. Come sa cogliere con i suoi versi il senso delle
avventure! Come sono chiare e cristalline (e tali possano sempre rimanere) le sue similitudini!
Esse avvincono l'uomo con la loro grazia; si stringono a lui e ispirano sincerit.
Colui che sa apprezzare e rettamente comprendere le buone massime deve riconoscere che il
cavaliere von Aue meritevole della sua corona e del suo ramo di alloro. Chiunque voglia correre
con la lepre e pascolare al largo nei vasti lontani pascoli della poesia, giocare a dadi con le
parole, e pretendere senza discriminazione alla corona di alloro, rimanga pure con l'illusione:
all'elezione saremo presenti anche noi; noi che aiutiamo a scegliere i fiori di cui intrecciato
questo stesso serto, noi vogliamo sapere a che cosa egli aspiri! poich chiunque egli sia, si faccia
avanti e presenti i suoi fiori: da questi noi giudicheremo se si adattino tanto bene al serto da
togliere il ramo di alloro a Hartmann von der Aue per darlo a lui. Ma poich nessuno si
presentato che ne sia maggiormente degno, cos con l'aiuto di Dio, lo lasciamo dov'. Quel serto
deve portarlo soltanto colui che usi una lingua pura e parole semplici e piane in modo che chi
cammina con passo sicuro e dritto senno non abbia a inciampare.
I narratori di strane fole, i cacciatori di novelle, che con i viluppi delle loro frasi mentono e
ingannano le menti semplici, che ai bambini fanno apparire oro le futili cose, che agitano e
scuotono scatole magiche e ne fanno cadere polvere invece di perle, tutti questi tali ci fanno
ombra con i tronchi e non con le verdi foglie del tiglio, non con le fronde n coi rami. Difficilmente
la loro ombra benefica agli occhi dei pellegrini. Se dobbiamo dire la verit nulla di buono ne
deriva, n al cuore ne viene gioia alcuna. Il loro dire non abbastanza colorito da infondere
serenit al nobile cuore. Questi stessi cacciatori devono mandare dei commentatori insieme alle
loro storie: non si possono altrimenti capire udendole o leggendole; e neppure abbiamo il tempo
di ricercare le glosse nei libri neri.
Vi sono ancora altri maestri del colore: Bliker von Steinach ha versi graziosi; le dame li hanno
ricamati su bordi d'oro e di seta, si potrebbe intrecciarli con galloni greci. Egli ha il primato delle
parole, il loro senso cos chiaro e limpido che si direbbe lo abbiano meravigliosamente filato le
fate, chiarificandolo e purificandolo nella loro magica fonte: veramente fatato. La sua lingua
che eco di arpa, ha duplice perfezione: di parole e di senso e ambedue fondono la loro voce a
sua lode in una unica armonia. Vedete come questo maestro della parola opera meraviglie
intorno al suo Umbhehang con sagace discorso; come lancia agilmente le rime qual gioco di

coltelli, e come sa fonderle quasi fossero insieme cresciute. E' anche mia convinzione che sia libri
che lettere aderiscano a lui come fossero penne, poich, se ben osservate, le sue parole alate si
librano in alto come l'aquila.
Chi ancora posso nominare? molti ve ne sono e molti ve ne sono stati ricchi di parole e di senno.
Enrico di Veldeke poet dalla piena dell'animo suo. Come cant bene d'amore! come bellamente
cesell il suo dire! Io credo che la sua sapienza derivasse dal Pegaso donde ogni sapere ha
origine. Non l'ho conosciuto io stesso, ma dai migliori maestri di allora e di poi, che tanto lo
lodano, ho udito dire come egli abbia innestato nella lingua tedesca il primo germoglio da cui
sono poi venuti i rami che portarono i fiori dai quali i maestri stessi derivarono le loro magistrali
invenzioni. La fama ne tanto diffusa e cos variamente indirizzata che tutti coloro che adesso
poetano ne colgono il meglio di fiori e di fronde in parole e in canzoni.
Ci sono molti usignoli dei quali ora non voglio parlare: essi non appartengono a questa schiera,
perci altro non dico, ma ripeter sempre che essi ben conoscono l'ufficio loro e cantano
lodevolmente la loro dolce canzone primaverile; la loro voce chiara e bella; danno coraggio al
mondo e fanno bene al cuore. Il mondo sarebbe triste e sconfortato se fosse privo del loro soave
gorgheggio; questo risveglia amabili affetti e sovente rammenta a chi abbia provato amoroso
impulso, la gioia, il bene e tutti i vari sentimenti che confortano i nobili cuori. Quando il dolce
canto degli uccelli comunica al mondo la sua letizia ne nasce l'amoroso impulso.
Parlate ora degli usignoli: essi sono pronti al loro ufficio e sanno tanto bene dire e cantare delle
loro pene. Chi fra questi porter il vessillo, ora che il capo di tutta la schiera, l'usignolo di
Hagenau, ammutolito al mondo? egli che portava sulla lingua il segno di questa somma arte.
Penso sovente a lui e ai suoi versi e immagino donde ha preso i tanti e bei dolci toni e donde gli
venuto il miracolo di tante variazioni. Io credo che la lingua di Orfeo, il quale conosceva tutti i
toni musicali, risuoni dalla sua bocca.
Poich dunque questi non sono pi, dateci ora un consiglio (un saggio lo proponga): chi condurr
ora questa schiera? chi guider la bella compagnia? credo che facilmente trover chi dovr
portare il vessillo: il loro maestro von der Vogelweide ne ben capace. Ah, come alta risuona la
sua voce nella campagna! quali meraviglie opera! con quanta abilit sa modulare il suo canto,
nel tono cio del cavaliere di Zitherone, ove la dea Minne impera e comanda. Egli in servizio a
corte e deve essere duce agli altri; e a guidarli perfettamente egli ben sa dove deve cercare le
amorose melodie. Egli e la sua schiera cantino in modo da volgere in gioia la loro tristezza ed i
loro nostalgici lamenti e possa questo accadere ancora ai giorni miei!
Ora per ho abbastanza parlato a persone competenti delle fortune di tanta buona gente e
intanto Tristano non ancora pronto per l'investitura della spada e io non so come prepararvelo;
la mente non ne vuol sapere e la lingua sola e senza il consiglio di quella, da cui deriva ogni suo
officio, non sa quello che fa. Ma quello che ambedue le confonde ve lo spiegher ora: le ha
ingannate ci che induce in errore anche altri mille: quando un uomo che non sa parlare si
presenta a un uomo eloquente la lingua gli diventa muta anche su quello che prima sapeva.
Mi pare che lo stesso sia accaduto anche a me: vedo e ho udito finora tanti eccellenti parlatori,
mentre io non so fare discorsi simili ai loro e i miei non varrebbero un soffio al confronto; si dice
adesso giustamente che dovrei curare la mia lingua e coltivare la mia mente e procurare di
renderle tali quali le vorrei nei poemi altrui e come le riconosco e le giudico io in un estraneo.
Ora non so come cominciare: lingua e sensi non mi vogliono venire in aiuto, il timore mi toglie di
bocca anche quello che sapevo. Qui non so pi che cosa fare se non cosa che non ho mai fatto
finora, innalzer cio il mio cuore e le mie mani in preghiera e in invocazioni verso l'Elicona,
donde sgorgano le sorgenti che conferiscono il dono della parola e dei concetti. L'Anfitrione e le
sue nove compagne, Apollo e le Camene, le nove sirene dell'orecchio che col alla corte hanno in
consegna i doni, li distribuiscono giudicando come debbano concederli al mondo. A certuni hanno
dato la piena dei concetti con tale larghezza, che ora non possono, per l'onore loro, negarne una

goccia a me, e se riesco a ottenerla potr mantenere il mio posto come si addice a cantore.
Quella unica goccia non tanto piccola che non basti a mettermi sulla giusta via, chiarendo
intanto e lingua e concetto, l dove mi sono cos smarrito.
E dovr anche far passare le mie parole attraverso i lucenti crogiuoli dei sensi cananei, e l
fonderle in strane e meravigliose forme, e foggiarle con somma abilit come oro di Arabia.
Vogliano esse, - questi divini doni della vera Elicona e del trono supremo donde sgorgano le
parole che risuonano all'orecchio e ridono nel cuore e rendono la lingua smagliante come una
gemma preziosa, - degnarsi di ascoltare la mia voce e la mia preghiera secondo i miei voti lass
nei loro cori celesti.
Anche se tutto questo si avverasse e mi fossero concesse le parole che ho chieste, e avessi tale
tesoro che il mio poetare fosse dolce a ogni orecchio e desse ombra a tutti i cuori con la sua
verde foglia di tiglio, e fosse intonato ai miei versi in modo da sgombrare loro la via a ogni passo
senza lasciare neppure un granellino di polvere cos che possano incedere su verdi erbette e
variopinti fiori; pure, nonostante tutto questo, io non rivolgerei mai o quasi mai la mia mente vedete come sono poco assennato - a quello che altri hanno gi tentato e trovato. In verit io
devo seguire il miglior consiglio e rivolgere tutta la mia perizia all'equipaggiamento di un
cavaliere, come Dio sa che molti hanno fatto: potrei narrarvi che Vulcano, il saggio, il celebre
artista, fabbric per Tristano con le proprie mani e con grande maestria usbergo, spada e
schiniere e altri accessori necessari a un cavaliere, e che egli stesso, sempre pronto a ogni
ardire, scolp il cinghiale sullo scudo dell'eroe e l'elmo sul quale pose gli strali infuocati a
raffigurare i tormenti d'amore, e poi prepar separatamente ogni pezzo con grande arte e
perfezione. Potrei dirvi che Cassandra la mia signora, la saggia Troiana, aveva impegnato tutta la
sua arte e tutto il suo ingegno per approntare le vesti di Tristano con ogni perizia e quanto meglio
sapeva escogitare la sua mente, la quale, secondo quanto ho letto, era dotata dagli Dei di
magico potere. Ma quale valore avrebbe tutto questo se prima non avessi preparato il seguito di
Tristano per la cerimonia? Questa col vostro beneplacito la mia opinione e so bene che se allo
spirito e alla ricchezza si aggiungono la saggezza e la cortesia, questi quattro operano fra loro
meglio di chiunque. Infatti neppure Vulcano e Cassandra hanno mai saputo meglio di questi
attrezzare un cavaliere.
Ora poich queste quattro virt sanno cos bene allestire la cerimonia della consegna della
spada, cos noi affidiamo loro il nostro amico Tristano, esse lo prendono per mano e lo rivestono
(poich nulla di meglio vi pu essere) delle stesse stoffe e nelle stesse fogge con cui sono cos
bene rivestiti i suoi compagni. Cos Tristano viene condotto a corte e quindi all'assemblea. In
tutto il suo apparato , per ornamento e ricchezza, pari ai suoi compagni; pari, intendo solo nelle
vesti confezionate da mano d'uomo, non nella veste innata che si chiama nobilt d'animo e viene
dai recessi del cuore rendendo l'uomo amabile e nobilitando la sua persona e la sua vita:
vestimento che al signore era stato elargito in modo ben diverso che ai suoi compagni. Iddio sa
che il degno e virtuoso Tristano portava tale speciale abbigliamento, ricco oltre misura d'aspetto
e di foggia. Egli infatti li sorpassava tutti per virt e per buoni costumi, ma negli abiti lavorati da
mano d'uomo non vi era differenza alcuna; il degno capitano vestiva in tutto simile agli altri.
Cos il magnanimo signore della Parmenia e tutta la sua schiera di cavalieri erano giunti alla
chiesa, avevano assistito alla Messa e anche ricevuto la benedizione secondo l'uso: Marco allora
prese per mano Tristano suo nipote e gli cinse spada e speroni:
"Ecco, nipote Tristano - disse - ora che questa tua spada stata benedetta e che tu sei armato
cavaliere, apprezza questa dignit e considera anche te stesso e vedi chi sei; la tua nascita e la
tua nobilt ti siano sempre presenti, sii umile e onesto, sii sincero e gentile, verso i poveri
sempre buono e verso i ricchi sempre altero; orna e tieni di conto il tuo corpo, onora e servi ogni
donna; sii generoso e fedele, rinnovandoti sempre in queste virt poich sul mio onore ti dico che
n oro n preziosi zibellini si convengono alla spada e allo scudo meglio che la liberalit e la
fedelt".

Con ci gli porse lo scudo, lo baci e gli disse:


"Ora va, nipote mio, e Dio, nella sua potenza, ti conceda grazia per la tua cavalleria. Sii
sempre cortese e sempre felice!".
Tristano allora arm i suoi cavalieri di spada speroni e scudo, proprio come suo zio aveva fatto
con lui. A ognuno dei presenti raccomand con sagge parole l'umilt, la fedelt, la liberalit. Non
indugiarono col pi a lungo: non dubito che vi furono grandi tornei e cavalcate. Quale lancio di
giavellotti vi fu al ritorno dall'assemblea! e quanti se ne spezzarono ve lo potranno attestare gli
scudieri che aiutavano a raccoglierli. Io non so descrivere tutto il loro torneare e giostrare, pure
un solo omaggio offro loro, e auguro loro vivamente che possano sempre crescere in onore e che
Dio conceda loro vita cortese e agio per la cavalleria. Se mai mortale soffr ininterrotta pena pur
in mezzo a continuo gaudio, questi fu Tristano che port continuo dolore pur in mezzo a
ininterrotta felicit, come ora vi dir: a lui fu dato un destino di dolore e di gioia, poich tutto
quello che intraprendeva gli riusciva pienamente, eppure accanto al successo stava sempre il
dolore. Per quanto contrastanti l'uno all'altro questi due opposti, continua pena e gioia
ininterrotta, si trovavano riuniti nella sua sola persona.
In nome di Dio, spiegatevi: Tristano ora stato armato ed giunto a grande fortuna con la
dignit di cavaliere: ora sentiamo quale l'afflizione che si accompagna a questa felicit. Una
cosa, Dio lo sa, ha sempre rattristato tutti i cuori e anche il suo: che, come gli aveva detto Rual, il
padre fosse stato ucciso, questo formava il tormento dell'animo suo. Cos c'era il male accanto al
bene, accanto al piacere la pena, nella gioia il dolore. Questo il destino di tutti i cuori. Dicono
tutti quelli che ne soffrono, che l'odio in un giovane cuore pi violento che in un uomo
attempato e Tristano, nonostante tutta la sua magnificenza, nutriva sempre in segreto il
corruccio per la morte di Riwalin, mentre Morgan era invece ancora in vita; questo pensiero lo
angustiava. Egli allora, il saggio Tristano, insieme al virtuoso Foitenant che porta questo nome
per la sua leale fede, allestirono sollecitamente una magnifica nave con la pi ricca attrezzatura
che si potesse imaginare, poi si presentarono a re Marco.
Tristano cominci:
"Mio diletto Signore, col vostro beneplacito io vorrei partire per la Parmenia e vedere come
stanno le cose col, sia per la gente, sia per il paese che voi dite mio".
Il re disse:
"Nipote, cos sia. Per quanto a malincuore io mi privi di te, pure ti accordo quanto mi chiedi.
Parti pure per la Parmenia, tu e la tua compagnia e se ti occorre maggior seguito prendi chi
meglio ti aggrada; prendi cavalli, argento oro e tutto quello che ti pu abbisognare, anche se
vuoi usarne per offrirlo fraternamente in cortese dono a chi ti accompagna, in modo che questi
stia volentieri al tuo servizio e fedelmente ti assista. Diletto nipote, agisci e vivi secondo
l'esempio di tuo padre come te lo ha trasmesso il fedele Rual qui presente, il quale ti ha sempre
fino a questa ora dimostrato grande onore e fedelt. E se Dio ti concede di riordinare tutto e
regolare le tue cose con tuo onore e vantaggio, allora torna a me. Una cosa ti prometto e sia la
mia fede in mano tua, cio che io divider con te in parti uguali il mio regno e i miei averi; e se
per il bene tuo tu mi dovessi sopravvivere, tutto ti sar dato in propriet; io per amore tuo mai
condurr moglie finch viva. Nipote, tu hai ben compreso la mia preghiera e la mia intenzione; se
mi vuoi bene come io te ne voglio e mi porti affetto come io ne porto a te, a Dio piacendo
trascorreremo felicemente insieme i nostri giorni. Con questo ti do licenza. Il Figlio della Vergine ti
protegga, a Lui raccomando la tua sorte e il tuo onore".
Tristano e il suo amico Rual non indugiarono oltre e fecero vela dalla Cornovaglia per la Parmenia,
essi e la loro compagnia.
E se foste vaghi di udire come furono ricevuti col questi nobili signori vi dir quello che ho udito
raccontare delle accoglienze che furono loro fatte.

Il loro duce e compagno, il fido Rual, si avanz per primo e scese a terra, si tolse cappello e
mantello secondo l'uso cortese, si volse a Tristano con volto sorridente, lo abbracci e disse:
"Mio signore, vi do il benvenuto in nome di Dio, in nome della vostra patria e di me stesso.
Guardate ora signore, vedete qui presso questo mare? Fortezze, citt, forti opere di difesa e
molte belle castella: tutto questo vostro padre Kanele ve lo ha dato e lasciato in eredit. Ora se
voi farete ben attenzione nulla di tutto quanto vedete fin dove giunge il vostro sguardo vi
sfuggir di mano: di questo vi sar sempre garante".
Con queste parole si volse e con lieto animo e affabilmente ricevette i cavalieri a uno a uno e con cortesi
parole cominci a salutarli e riverirli. Quindi li condusse a Kanoel; le citt e le castella che sin dagli anni di
Kaneles erano sotto la sua cura le consegn tutte a Tristano secondo la tradizione della lealt feudale e
anche le terre sue proprie che aveva ereditato egli stesso dai suoi antenati. Che bisogno abbiamo pi di
discorsi? Egli aveva senno e onore, perci offr consiglio al suo signore e a tutti gli altri come colui che
senno e onore possiede. Occhio umano mai vide tale zelo e sollecitudine quanta egli ne dimostr in loro
favore.
Ma come? che cosa mi accaduto? sono proprio smemorato! Dove ho lasciato il senno? La degna
mariscalca, la pura, la fida madonna Florete, non cortese in verit che io ne abbia taciuto finora. Ma io
debbo compensarne la dolce signora e farne penitenza. Essa, cortese e buona, la migliore e la pi degna,
cos soavemente femminile, so che accolse gli ospiti non solo con le parole, poich come queste uscivano
dalla sua bocca sempre la dolce volont le precedeva; il suo cuore si librava in alto come se avesse le ali;
parole e volere sempre si accordavano con la sincera intenzione e sono certo che ambedue traboccavano
ricevendo gli ospiti. Quale fu la gioia della santa mariscalca Floreta nel rivedere il suo sposo e il figliolo suo,
il figliolo di cui parla questa novella, intendo suo figlio Tristano!
Secondo quanto ho letto, io riconosco in verit gli onesti costumi di questa donna benedetta e le sue
grandi virt; e come queste non fossero scarse lo dimostr come meglio deve dimostrarlo una donna,
poich procur al suo figliolo e al seguito di lui tutti gli onori e gli agi che mai cavaliere abbia goduto. E io
sono anche sicuramente convinto, quanto meglio non potrei esserlo, che al cortese Kurwenal in quel
momento Tristano fu grandemente benvenuto, di ci non ho alcun dubbio.
Quindi furono convocati in tutta la Parmenia i signori e le autorit che avevano il comando nelle citt e
nelle castella; e quando furono riuniti a Kanoel e videro e appresero la verit, come di Tristano narra la
storia e come voi stessi l'avete udita, migliaia di saluti di benvenuto gli volarono incontro da ogni bocca. La
gente e il paese cominciarono a riaversi dal lungo patire e si prepararono a grande gioia e a meravigliosa
allegrezza; riceverono ognuno dalla mano del loro signore Tristano i loro feudi, la loro gente e le loro terre;
gli giurarono fede e divennero suoi vassalli.
Intanto Tristano portava sempre nascosto nel cuore il suo segreto rammarico a causa di Morgan e questo
rammarico non lo abbandonava mai, in alcun momento. Cos prese consiglio con i famigliari e i sudditi e
disse che voleva andare in Bretagna a ricevere il feudo dalla mano stessa del suo nemico al fine di poter
tenere con maggior diritto la terra di suo padre. Questo egli disse e questo fece. Partirono dalla Parmenia
egli e la sua compagnia, bene armati e preparati come giustamente suole chi ha serio intento di imprese
pericolose.
Quando Tristano giunse in Bretagna, per caso apprese e ud affermare che il duca Morgan era a caccia
nella foresta. Diede ordine allora ai cavalieri di affrettarsi, di prepararsi e di mettere sotto la veste le
corazze in modo che neppure un anello di queste si scorgesse dall'abito. Cos fu fatto: e inoltre ognuno
indoss l'ampio mantello da viaggio e cos stettero in arcioni tutti sui loro destrieri. Alla truppa poi fu
comandato di ritornarsene e di non indugiare in nessun luogo: i cavalieri divisero le loro forze e ne misero
la maggior parte alla retroguardia per coprire la truppa finch questa si trovava in cammino. Restarono
allora soltanto trenta uomini con Tristano mentre quelli della retroguardia erano ben sessanta e pi.
Ben presto Tristano cominci a vedere cani e cacciatori e chiese loro notizie di dove si trovasse il duca: essi
subito risposero e infatti egli non tard a scorgere molti cavalieri brettoni sui prati ai margini del bosco.
Col erano stati eretti anche molti padiglioni e molte tende con grande dovizia di foglie e di fronde
internamente e al di fuori. Avevano anche pronti i cani e i falconi. Salutarono Tristano e il suo seguito
cortesemente secondo l'uso della cavalleria e gli dissero che il loro signore Morgan cavalcava l presso nel

bosco. Tristano e i suoi si affrettarono col e trovarono infatti Morgan con molti cavalieri brettoni montati su
destrieri castigliani.
Si avvicinarono mettendo i cavalli al passo. Morgan accolse i forestieri di cui non conosceva le intenzioni
molto cortesemente come dovere verso gli ospiti e la sua gente fece altrettanto, accorrendo ognuno col
proprio omaggio. Terminati i saluti e cessata l'agitazione Tristano si rivolse liberamente a Morgan:
"Signore, io sono qui venuto per il mio feudo e chiedo che me lo concediate e non mi neghiate ci a cui
io ho diritto; farete cos azione buona e cortese".
Morgan disse:
"Signore, ditemi da dove venite e chi siete".
Tristano gli rispose:
"Signore, io sono nativo della Parmenia e mio padre si chiamava Riwalin. Io, sire, devo essere suo erede.
Il mio nome Tristano".
Morgan replic:
"Messere, voi mi venite con delle vane novelle che sarebbero meglio taciute che narrate. Ho gi deciso
che qualora esigeste da me qualche cosa, vi sarebbe facilmente data soddisfazione senza che nulla lo
impedisca, purch foste uomo da bene e poteste comunque volgerla a onore: ma noi tutti sappiamo (ed
la favola di tutto il paese) in quale maniera vostra madre Blancheflur abbandon la sua terra con vostro
padre e quale onore gliene venne e come fin quella relazione".
"Relazione? che cosa intendete?".
"Non intendo altro che quello che dico: cos come affermo".
"Signore - replic Tristano -, le vostre parole mi fanno supporre che voi crediate che io non sia nato da
matrimonio legittimo e quindi dovrei perdere il mio feudo e il mio buon diritto".
"Dite il vero, buon cavaliere, cos crediamo io e molti altri".
"Voi parlate male - disse Tristano -: io pensavo che fosse giusto e conveniente che chi offende una
persona riflettesse a quello che dice e usasse senno e cortesia nelle sue parole. Se aveste tanta cortesia o
senno per quanto mi avete offeso, mi avreste risparmiato questo discorso che risveglia recente dolore e fa
rivivere vecchie colpe. Voi mi avete ucciso il padre e con questo non vi sembra ancora colma la misura del
mio soffrire e dite che la madre che mi port mi abbia generato in concubinaggio. Iddio misericordioso mi
aiuti! Io so che tanti nobili cavalieri che qui non posso nominare hanno giurato fede nelle mie mani. Se
avessero riconosciuto in me questa macchia nessuno di essi avrebbe messo la sua mano nella mia. Questi
ben conoscono la verit che mio padre Riwalin fino alla sua morte ha avuto mia madre per legittima sposa.
Questo lo dimostrer in verit sulla vostra persona".
"Avanti, dunque - grid Morgan - in maledizione! a che servono le vostre testimonianze, nessuno che
abbia diritto a corte colpito dalle vostre parole".
"Questo si vedr", gli rispose Tristano e sguain la spada e lo attacc spaccandogli il cranio dall'alto in
basso fino alla lingua. Quindi gli immerse la spada nel cuore. Cos fu dimostrata la verit del proverbio il
quale dice che le colpe giacciono ma non si consumano.
I compagni di Morgan, i baldi Brettoni, non poterono assisterlo n venirgli in aiuto prima che cadesse;
tuttavia furono sulla difesa appena poterono e divennero presto un grande esercito. Essi pur impreparati,
con virile coraggio attaccarono i nemici; nessuno cerc scampo o salvezza; si avanzarono in massa e li
rigettarono con violenza fuori dal campo nella foresta. Si lev allora un grande rumore, alti pianti e lai.
Come se avesse le ali la notizia della morte di Morgan si diffuse rapida con grande lamento per citt e
villaggi. Una sola parola vol subito attraverso tutto il paese:A noster sires, il est mort! Che sar ormai
della nostra terra? Su, prodi guerrieri, uscite dalle citt e dalle fortezze e vendicate l'offesa che ci ha fatto
quest'oste nemica".

Essi allora si levarono tutti in grande battaglia ma anche negli stranieri trovarono sempre forte resistenza:
questi ritornavano di volta in volta con un intero drappello, gettando a terra molti cavalieri che attiravano
fuggendo l dove sapevano trovarsi il resto delle loro forze. Col ritrovarono le loro schiere di cavalieri e si
accamparono su di un monte e vi trascorsero la notte. Ma durante questa le forze brettoni si accrebbero
tanto che appena fu giorno attaccarono gli odiati nemici ricacciandoli con violenza, uccidendone molti e
irrompendo nelle schiere con spade e lance che per ressero solo per breve tempo. Invero spade e lance
furono di ben poca difesa, molte si spezzarono nell'attacco. Il piccolo esercito si difendeva con tanto valore
che quando si scontrarono la mischia fu grande. Ambedue le parti vennero volta a volta sopraffatte con
grandi perdite; molte e gravi ferite furono date e ricevute. Cos continuarono gli uni contro gli altri finch la
difesa cominci a indebolirsi poich la sua resistenza scemava e quella dei Brettoni aumentava: questi
crescevano continuamente di numero e di forze, cos che prima di notte ricacciarono i nemici in una
piazzaforte circondata da un fossato: da dove questi si difesero rifugiandovisi per la notte. La fortezza fu
stretta da presso e circondata come da una fitta siepe di uomini. Che potevano fare i campioni stranieri,
Tristano e i suoi uomini oppressi cos? Vi dir ora come andarono le loro fortune e come si risolse la loro
sorte, come uscirono da quella situazione e conseguirono la vittoria sui loro nemici.
Fin da quando Tristano era partito secondo il consiglio di Rual per andare a ricevere il suo feudo e quindi
ritornarsene, si agitava nel cuore del fido Rual il presentimento di quello che in realt accadde; per non
aveva indovinato la sconfitta di Morgan. Egli chiam cento cavalieri e segu le tracce del suo signore
Tristano. Ben presto arriv in Bretagna e subito vi apprese quel che era accaduto e, secondo quanto si
diceva nel paese, si diresse dove i Brettoni erano all'assedio. Quando si avvicinarono e videro i nemici non
vi fu alcuno che si traesse indietro; tutti insieme attaccarono con bandiera al vento. Vi furono alte grida di
guerra fra le loro schiere:
"Chevalier, Parmenie! Parmenie, Chevalier!".
Uno dopo l'altro passavano con vessilli e stendardi attraverso l'attendamento producendo rovine e
devastazioni; inflissero ai Brettoni nelle loro tende delle ferite mortali.
Quando gli assediati scorsero i vessilli del loro paese e udirono il loro grido di battaglia irruppero
cavalcando fra i nemici. Tristano fece attaccare con impeto. Grande strage fu fatta tra le truppe locali,
uccidendo e facendo prigionieri, abbattendo e trafiggendo; cos si fecero strada da ambo le parti nelle
schiere nemiche; anche l'udir gridare in due punti cos frequentemente e tanto forte
"Chevalier, Parmenie", le disanim: non ci fu pi tra loro n resistenza, n contrattacco, n forza per
combattere, ma un fuggire e un nascondersi e sospingersi e correre verso i monti e le foreste: il
combattimento fu generale, la fuga fu la loro maggior difesa e la loro migliore salvezza dalla morte.
Terminato questo scontro, i cavalieri si riposarono e si accamparono in quel luogo; diedero sepoltura a
quelli dei loro compagni che giacevano uccisi e riportarono a casa loro su barelle coloro che erano feriti.
Cos Tristano ottenne dalla propria mano il suo feudo e le altre terre; divenne signore e padrone di ci che
suo padre non aveva mai goduto. Cos ebbe provveduto alle cose sue e messovi ordine: provveduto agli
averi e appagato l'animo; il torto fattogli era stato raddrizzato e la sua tristezza alleviata e placata. Egli
aveva ora in propria mano l'eredit di suo padre e tutta la terra incontrastata e tale che nessuno mai n
ovunque aveva diritto alcuno sui suoi possedimenti. Cos rivolse nuovamente il pensiero alla Cornovaglia,
secondo l'ordine e il consiglio di suo zio, quando da lui era partito. Al tempo stesso non poteva stornare il
pensiero da Rual, che con paterna costanza gli aveva dimostrato tanta bont. Il suo cuore era fortemente
attaccato tanto a Rual che a Marco: a loro due era rivolto tutto il suo affetto e oscillava fra l'uno e l'altro.
Ora un santo stesso ci dica: come potr il buon Tristano riuscire a rendere giustizia ad ambedue e
compensare ognuno come suo dovere? Chiunque comprende bene che non potr evitare di abbandonare
l'uno per rimanere presso l'altro. Diteci che cosa deve risolvere? Se ritorna in Cornovaglia allora la
Parmenia va in rovina, perde ogni valore e anche Rual rimane senza gioia nell'animo suo e privo di tutti i
beni che dovevano formare la sua fortuna; se invece decide di rimanere non potr aspirare a pi alti onori
e annuller anche il progetto di Marco al quale questi onori sono legati. Come dunque dovr contenersi? Sa
Iddio che necessario che parta; in questo bisogna approvarlo: suo dovere crescere in onori e anche
elevarsi di spirito se vuol conseguire il bene e anche la felicit; giusto che desideri e brami tutti gli onori.
Se la fortuna glieli concede ne ha ben ragione, perch tutto l'animo di lui a quelli rivolto.
Il saggio Tristano molto assennatamente decise di dividersi ugualmente fra i suoi due padri, come se
dovesse essere spartito. Egli si divise, proprio come si divide un uovo, in due parti uguali e diede a ognuno
ci che sapeva essere pi vantaggioso a lui e a tutte le sue imprese. A chi non ha mai saputo come si
possa fare questa divisione pur serbando intero il corpo, io racconter come lo si compia. Non c' dubbio:

due cose fanno l'uomo, voglio dire il corpo e gli averi. Da questi due viene il nobile sentire e vengono molti
onori mondani. Se uno per vuole separare questi due elementi, la ricchezza diventa povert, il corpo a cui
non si fa giustizia viene meno al suo nome e l'uomo diventa un mezzo uomo anche col corpo intero. Lo
stesso per la donna. Si tratti di uomo o donna, beni e corpo devono formare un unico essere, unito in
tutto; se li volete separare finita per ambedue.
Tristano comp questa separazione con magnificenza e buona volont e la esegu con saggezza: ordin di
acquistare bei destrieri e nobili vesti, cibi e altre provviste come si suole fare nelle feste e diede un gran
banchetto; mand a chiamare e invit i migliori del paese, quelli che ne facevano la forza; questi agirono
da buoni amici e vennero appena furono chiamati. Anche Tristano era pronto con i suoi preparativi. Egli
arm cavalieri i due giovani figli di Rual, perch desiderava che fossero i propri eredi e vassalli dopo Rual
loro padre; e quindi non risparmi nulla di quanto poteva riuscire a loro onore e a loro dignit e se ne
preoccup sempre e continuamente e con tale buonvolere come se fossero stati figli suoi.
Ecco ora erano fatti cavalieri e altri dodici con loro due e uno dei dodici era Kurvenal il cortese. Tristano il
virtuoso, esperto degli usi cavallereschi, prese i suoi fratelli per mano e li condusse con s. I suoi parenti e i
suoi fidi e tutti quelli che per senno o per et, o anche per ambo le qualit, ne erano degni furono tutti
invitati a corte.
Ora, signore, sono tutti presenti: Tristano si lev e stette davanti a essi:
"Signori - disse - per quanto in mio potere, sono pronto a rendervi servizio con ogni fedelt e lealt,
miei cari amici e vassalli, per la gratitudine che vi debbo, poich quanto di onore Dio mi ha concesso e il
mio cuore desiderava l'ho potuto compiere grazie al vostro aiuto. Per quanto tutto ci sia stato donato da
Dio, pure io so che l'ho ottenuto col vostro valore. Che cosa posso dirvi di pi? In questi pochi giorni mi
avete in vari modi procurato tanto onore e tanta benedizione, che sono sicuro che il mondo potr anche
finire prima che voi in alcuna maniera vi opponiate alla mia volont. Amici, vassalli, e tutti voi che siete qui
convenuti per mio volere e per vostra propria virt, non vi dispiaccia il mio dire: io annunzio e comunico a
tutti che mio padre Rual, qui presente, ha visto e udito come mio zio ha posto in mano mia il suo regno e
per amor mio non vuol prendere donna, affinch io sia suo erede, e vuole che io stia sempre presso di lui,
ovunque vada o dimori. Ora io mi sono deciso e ho risoluto dentro di me di fare la sua volont e di ritornare
da lui. I miei possedimenti e la potest che ho in questa terra io li lascio e li do in feudo a mio padre Rual e
qualora in Cornovaglia non dovessi incontrare buona ventura, sia che io venga a morire o che io rimanga
col, voglio che siano suo feudo ereditario. Ecco qui due figli suoi, insieme agli altri suoi figlioli; questi
saranno d'ora innanzi suoi eredi con ogni diritto. Vassalli miei e uomini ligi, i feudi in tutto il paese li terr in
mano mia per tutti i miei giorni, finch avr vita".
Si lev allora gran pianto e grande lamento fra i cavalieri; tutti si rattristarono e si persero d'animo poich
il loro conforto se ne andava.
"Ah, Dio! - dicevano fra loro - meglio sarebbe stato per noi non averlo mai veduto, non avremmo allora
questo dispiacere di separarci da lui. Signore, in voi avevamo riposto ogni nostra consolazione e ogni
nostra speranza, come se in voi ci fosse stata data una nuova vita per nostra gioia, che adesso morta e
sepolta se voi ve ne andate via da noi: cos, Signore, avete aumentato, non lenito, il nostro soffrire. Le
nostre fortune si erano alquanto rialzate e ora sono ricadute a terra".
Io sono sicuro come della morte che per quanto grande fosse il loro dolore e profonda la loro pena, il pi
dolente di tutti a questa notizia fu Rual, sebbene gliene venisse grande vantaggio e profitto di onore e di
ricchezza. Egli riceveva infatti un feudo, ma sa Iddio se mai ne aveva accettato uno con maggior
rammarico. Ora che Rual e i suoi figli avevano avuto feudo e retaggio dalla mano del loro signore Tristano,
questi raccomand la sua terra e i suoi sudditi a Dio e se ne part da quel paese. Con lui ritorn anche
Kurvenal, suo maestro. Ma fu forse piccola pena e lieve dolore quello di Rual e degli altri suoi vassalli, e del
popolo in generale per il loro amato signore? In fede mia, vi so dire che la Parmenia fu piena di pianti e
lamenti; il loro affanno era straordinario.
La mariscalca Florete, piena di fedelt e di onore, soffr un vero martirio, come in tutta giustizia naturale
in una donna cui Dio ha dato una vita ricca di femminile virt.
Ma a che scopo trattenervi pi oltre su questo? Quando Tristano, senza terre ormai, giunse in Cornovaglia,
apprese subito la sgradita novella, che dall'Irlanda era giunto il potente Morolt che a mano armata esigeva
da Marco il tributo di ambedue le terre, la Cornovaglia e l'Inghilterra.

Per quanto riguarda il tributo, la questione era la seguente: secondo quanto ho letto nelle storie e come
dice la vera tradizione, il re d'Irlanda era in quel tempo Gurmun Gemuotheit, nativo dell'Africa dove suo
padre era re. Alla morte di questi il regno pass a lui e a suo fratello che era erede al pari di Gurmun, ma
cos avido e superbo che non voleva dividere il regno con altri. Il suo cuore non gli lasciava requie se non
era egli solo signore. Cominci a scegliere e a eleggere i pi forti e pi coraggiosi fra i cavalieri e vassalli e
i migliori in caso di bisogno, che pot guadagnare con ricchi doni oppure con opere cortesi e abbandon al
fratello tutte le sue terre.
Quindi subito part e si rec dai celebri potentati romani e da loro ricevette licenza di tenere in propriet
quello che avrebbe conquistato con la spada e con la propria forza, mentre in cambio avrebbe dato loro
alcuni diritti e privilegi. Non indugi a lungo col, ma per mari e monti venne con una forte armata e
giunse in Irlanda, la conquist e con la forza delle armi obblig gli abitanti a riconoscerlo, loro malgrado,
per signore e re, e a impegnarsi ad aiutarlo sempre nelle guerre per sottomettere i paesi vicini.
In questo modo ridusse sotto al suo dominio anche la Cornovaglia e l'Inghilterra. In quel tempo Marco era
ancora fanciullo e come tale imbelle: perse quindi il potere e divenne tributario di Gurmun. Per Gurmun poi
fu di grande aiuto e vantaggio l'avere preso in moglie la sorella di Morolt, donde pi si accrebbe anche il
timore di lui. Morolt era duca in quella terra, ma avrebbe voluto avere un dominio suo proprio poich era
assai prepotente, di grande robustezza e virile coraggio e possedeva terre e molte ricchezze. Egli era capo
delle schiere di Gurmun.
Quanto al tributo che da ogni paese veniva mandato in Irlanda, ve ne posso dare sicura notizia: il primo
anno furono inviati trecento marchi di metallo, il secondo anno di argento, il terzo di oro. Il quarto anno
Morolt venne in Irlanda in persona, pronto a combattere e a far guerra. Dalla Cornovaglia e dall'Inghilterra
furono mandati baroni e loro pari che venivano a sorteggiare in sua presenza chi dovesse dargli i propri
figli che fossero adatti al servizio di corte, belli e avvenenti come a corte si conveniva: non fanciulle, ma
solo giovinetti, e dovevano essere trenta per ciascuno dei due paesi. E a questa onta non potevano
sottrarsi che con la guerra oppure in singolar tenzone.
Ora questi due regni non potevano riacquistare il loro buon diritto in guerra aperta perch le terre erano
immiserite e inoltre Morolt era cos forte e tanto crudele e cattivo che nessuno, se soltanto lo guardava
negli occhi, osava misurarsi con lui, non pi di quanto avrebbe osato una donna. Ora quando al quinto
anno il tributo fu mandato in Irlanda, i due regni dovevano nell'estate inviare a Roma dei messi che a Roma
fossero graditi, per sentire col quali ordini e quali disposizioni il potente Senato decretava per ogni singolo
paese che fosse suddito di Roma, poich tutto l'anno si leggeva e si inculcava loro in tutti i modi come
dovessero osservarne le leggi e gli ordinamenti e come essi dovessero vivere secondo quanto questi
prescrivevano. Questo tributo e questi doni i due regni li mandavano ogni cinque anni a Roma, loro nobile
signora. Ma le tributavano questo onore non tanto per diritto n per amor di Dio, quanto per ordine di
Morolt.
Riprendiamo ora la nostra storia. Tristano aveva gi udito di questo sopruso subto dalla Cornovaglia e fino
a quel tempo conosceva come venisse corrisposto il tributo. Pure, ovunque andasse, per citt o castella,
sentiva tutti i giorni e ovunque lamentare dalla gente del paese questa disgrazia e questa mala sorte della
loro patria; e quando arriv a Tintajoel e giunse alla corte, ud dappertutto nelle vie e nelle piazze, tale
duolo e tali lamenti che ne fu fortemente commosso. Marco e i suoi ebbero presto notizia del ritorno di
Tristano e tutti ne furono lieti. Lieti, intendo, quanto era compatibile col loro affanno; poich i migliori
cavalieri che si trovassero in tutta la Cornovaglia erano allora convenuti a corte in quei giorni a causa di
quel sopruso di cui avete udito. I nobili della citt venivano col a sorteggiare i loro figlioli per questa taglia
e cos Tristano li trov tutti prostrati in preghiera che ciascuno faceva apertamente e senza vergogna con
calde lacrime e con intimo dolore d'anima e corpo, affinch Dio onnipotente proteggesse e salvasse la sua
dignit e anche il suo figliolo.
Mentre erano tutti in preghiera sopraggiunse Tristano. Ma come fu ricevuto? facile dirlo: in verit egli non
fu accolto in quella compagnia da alcun figlio di donna e neppure da Marco con s dolce saluto come lo
sarebbe stato senza quella sventura; di ci egli fece per poco caso, ma si present arditamente l dove si
faceva il sorteggio e dove stavano anche Morolt e Marco.
"Signori - disse egli - voi tutti qualunque sia il vostro nome, che siete qui convenuti per vendere i vostri
figlioli, non vi vergognate di subire quest'onta fatta a voi e al vostro paese? Prodi come siete e sempre
siete stati in ogni circostanza, sarebbe giusto che cercaste di procurare stima e maggior onore a voi stessi

e alla vostra patria. Ora invece avete messo la vostra libert ai piedi del vostro nemico e l'avete posta in
mano sua con vergognoso tributo; i vostri nobili figli, che dovrebbero essere la vostra gioia, la vostra
consolazione e la vostra vita, li date e li avete dati in servit e non potete giustificare quest'obbligo n dire
quale altra necessit ve lo imponga, ma soltanto un duello e un uomo. Non avete altra difficolt che di
trovare fra tutti voi uno che voglia azzardare la propria vita contro un singolo avversario, sia per vincere o
per cadere. Anche se dovesse restare sul terreno, in verit questo breve morire e questa lunga pena
vivente hanno in cielo e in terra ben diverso valore; se per accade invece che egli resti vincitore e che
quindi l'ingiustizia sia tolta, avr sempre lass maggior ricompensa da Dio e quaggi onore maggiore. I
padri devono dare la propria vita per i figli perch sono una vita stessa con essi; questa la volont divina,
ma agisce contro il comandamento di Dio chi aliena la libert dei suoi figli e li d in servit, cos che essi
sono fatti servi mentre egli vive in libert. Se devo darvi un consiglio per la vostra vita e per il vostro onore
quello di scegliervi un uomo come potrete trovarlo tra questa vostra gente, formato alle armi e che
voglia tentare la fortuna per la vita e per la morte e soprattutto pregate tutti per l'amor di Dio che lo Spirito
Santo gli dia fortuna e onore e che non gli incuta timore l'aspetto di Morolt e la sua forza; abbia invece
fiducia in Dio che non ha mai abbandonato chi agisce rettamente. Consigliatevi sollecitamente come
stornare da voi quest'onta e difendervi da un uomo e non disonorate pi oltre la vostra nobile nascita e la
vostra dignit".
"Ah, signore - dissero allora tutti - con quest'uomo un'altra cosa; nessuno pu vincerlo".
Tristano rispose:
"Lasciate questi discorsi, in nome di Dio, riflettete ancora! Voi siete per nascita uguali a tutti i re e pari a
tutti gli imperatori e volete vendere e negoziare i vostri nobili figlioli che sono pari a voi in nobilt e renderli
schiavi. E qualora non vi sia alcuno che possiate muovere a considerare il vostro affanno e la sventura di
questo paese e che osi combattere per la giustizia nel nome di Dio contro quest'unico uomo, allora vogliate
lasciare tutto a Dio e a me. In verit, signori, io impegner in questa avventura la mia giovinezza e la mia
vita in nome di Dio e sosterr per voi il combattimento: Dio faccia che risulti in vostro bene e vi renda il
vostro diritto! E anche se il conflitto non dovesse essermi favorevole questo non vi porter danno. Se io
muoio nel duello non avrete perduto n guadagnato niente, la vostra miseria non ne risulter n diminuita,
n pi grave n pi leggera. Se invece accada che io ritorni salvo in vostra salute, questo sar per volere di
Dio e ringraziatene Lui solo: poich, come ho sentito dire, colui che devo affrontare da solo uomo di
valore e di grande forza e da lungo tempo temprato alle armi: io invece comincio adesso e per animo e per
forze non sono cos pratico di cavalleria come sarebbe ora necessario.
Senonch io ho in Dio e nel nostro buon diritto due potenti aiuti per la lotta che combatteranno con me.
Inoltre ho pure buona volont e anche questa utile nel combattere; se questi tre mi assistono, per quanto
inesperto io possa essere nel resto, ho buona speranza di salvarmi da questo unico avversario".
"Signore - dissero allora i cavalieri - la sacra potenza di Dio che ha creato tutto il mondo vi compensi del
vostro conforto e del suggerimento che ci date e della beata speranza che avete ispirato in noi tutti.
Signore, ora per lasciate che vi diciamo tutto; nel nostro consiglio non siamo mai riusciti a nulla. Se la
fortuna ci avesse favorito ogniqualvolta l'abbiamo tentata non avremmo atteso fino a questo momento. Pi
di una volta ci siamo riuniti in consiglio qui in Cornovaglia per questa nostra iattura: abbiamo molto e
variamente discusso, ma non abbiamo mai potuto trovarne uno fra noi che non preferisse dare il proprio
figlio in servit piuttosto che perdere lui stesso la vita contro questo essere diabolico".
"Come potete parlare cos - disse Tristano -; molte cose sono avvenute e abbiamo veduto operare dei
miracoli in cui l'ingiusta superbia stata annientata da deboli forze. Questo potrebbe ben avvenire anche
ora se uno osasse azzardarcisi".
Ora Morolt stava ad ascoltare e molto lo indispettiva che Tristano, cos giovane di aspetto, insistesse tanto
per il duello e nel suo cuore gli portava odio. Ma Tristano soggiunse:
"Voi dunque, signori, tutti parlate e dite quello che desiderate che io faccia".
"Signore - risposero allora quelli - cos sia. Sarebbe tutta la nostra speranza che si avverasse quello che
ci avete prospettato".
"Siete cos d'accordo - riprese egli. Poich dunque oramai questo riserbato a me, col permesso di Dio
voglio tentare se per mezzo mio Egli voglia concedervi grazia e se possa trovare grazia io stesso".

Allora Marco cominci a dissuaderlo con tutte le sue forze e pensava che ordinandogli di desistere, Tristano
per amor suo vi rinuncerebbe, ma Dio sa che non fu cos: n con comandi n con preghiere pot far s che
per amor suo si ritirasse, anzi and e si present davanti a Morolt e gli disse:
"Signore, cos vi aiuti Iddio, che cosa chiedete?".
"Amico - replic senza indugio Morolt - a che scopo mi fate questa domanda? Vi ben noto quello che
chiedo e quello che voglio".
"Voi tutti, signori, ascoltatemi - disse allora il saggio Tristano - voi Sire, mio re, e voi suoi ligi. Sire Morolt,
voi dite il vero, lo so e riconosco quale sia il nostro disdoro; cosa che nessuno pu ignorare: per molti
anni il tributo stato ingiustamente mandato in Irlanda da qui e dall'Inghilterra e per questo ci voluto
assai tempo e sforzi e fatica dopo che nel paese erano state distrutte citt e villaggi e che anche le
persone avevano subto tanti e cos gravi danni finch furono sopraffatte dalla violenza e dalla ingiustizia;
quindi i buoni sudditi che erano scampati dovettero sottostare a tutto ci che veniva loro comandato,
perch temevano la morte e, ridotti come erano, non avevano modo, per allora, di migliorare la loro
condizione. Questo il grande torto che ancora oggi sussiste e che da allora in poi stato sopportato. Gi
da molto tempo questa vergognosa servit avrebbe dovuto essere rifiutata con le armi, poich ormai i
paesi sono progrediti ed aumentato il numero dei cittadini e anche dei forestieri delle citt e delle
fortezze che sono cresciute in ricchezza e in fama. Dobbiamo ora raddrizzare i torti che ci sono stati fatti,
poich la nostra salvezza deve venire solo dalla forza; se vogliamo essere salvi dobbiamo procurarcelo con
lotta e battaglia.
Noi siamo in vantaggio quanto a uomini: i due regni sono ben popolati. Ci deve venir reso quello che
durante tutta la nostra vita ci stato tolto; dobbiamo noi stessi riconquistarci, appena Dio ce ne dia il
tempo, quanto nostro, sia molto o poco; secondo il mio consiglio e la mia volont dev'essere restituito
tutto, fino all'ultimo anellino.
Il nostro metallo pu ancora convertirsi in rosso oro; sono accadute sulla terra molte cose strane che non si
erano mai prevedute e i nobili figli di questi cavalieri, che sono stati ridotti in servit, potrebbero ancora
ritornare liberi, per quanto impensabile questo possa sembrare. Dio mi conceda quello di cui lo prego nel
Suo nome, che io possa con questa mia mano e insieme a questi miei compagni rovesciare le bandiere
d'Irlanda e cos umiliare quel paese e quella terra".
Morolt replic:
"Ser Tristano, se voi vi incaricaste meno di queste cose e di questa questione, credo che sarebbe bene
per voi poich, per quanti discorsi facciate qui, noi non rinunceremo per ci a quanto per diritto ci spetta".
Mettendosi quindi di fronte a Marco,
"Re Marco - disse -, parlate e fateci sapere, voi e quelli che sono qui presenti per discutere con me dei
loro figlioli e chiariteci meglio questa questione: questo il vostro volere e siete tutti d'accordo secondo
quanto ha detto qui il vostro delegato Ser Tristano?".
"S, signore, quello che egli fa o dice nostro consiglio, nostra volont e opinione di noi tutti".
Morolt replic:
"Allora rompete la fede al mio signore e a me e mancate al vostro giuramento e a tutte le promesse che
sono corse fra noi".
Tristano, il cortese, per rispose:
"No, vi sbagliate, signore: suona male parlare in detrimento della lealt di qualcuno; nessuno di noi
rompe la fede o il giuramento. Un giuramento e un patto furono fatti una volta tra voi e questi devono
essere mantenuti, cio ogni anno si deve mandare come di dovere in Irlanda dalla Cornovaglia e
dall'Inghilterra il tributo fissato oppure, altrimenti, ricorrere alle armi in singolar tenzone o in battaglia. Se
questi ora sono disposti a riprendere la loro fede e sciogliere il giuramento con tributo o con
combattimento, ne hanno tutto il diritto. Signore, decidete: riflettete e ditemi che cosa preferite e se
scegliete il duello oppure la guerra. Di questo siate oggi e sempre sicuro e garantito da parte nostra. Spada

e lancia devono decidere fra noi: ora scegliete e dateci la risposta. Altra soluzione per il tributo non c'".
Morolt disse:
"Ser Tristano, sono gi giunto alla decisione; so bene quello che voglio. Non ho qui uomini in numero
sufficiente da potere armare per la battaglia. Io venni qui dal mio paese oltre il mare con piccolo seguito e
venni pacificamente in questo regno come ho fatto altre volte. Non pensavo che mi dovesse accadere
questo; non prevedevo tale questione con questi grandi feudatari: credevo di ritornarmene col mio buon
diritto e anche con benvolere. Ora mi avete cimentato a combattimenti e a questo io sono ancora
impreparato".
Tristano riprese:
"Signore, se siete disposto a una guerra ritornate subito indietro, andate di nuovo nel vostro paese,
chiamate i vostri cavalieri, riunite tutte le forze e ritornate qui e vediamo quello che accadr; e se non fate
questo entro i prossimi sei mesi, siate pur certo che allora verremo noi. Ci hanno detto gi in antico che
contro la forza bisogna usare la forza e la violenza contro la violenza. Poich con le armi lecito disonorare
il paese e il buon diritto e ridurre i nobili in servit, se c' ancora giustizia noi confidiamo nella grazia di Dio
che faccia valere contro di voi la debolezza nostra".
"Sa Iddio - disse Morolt - Ser Tristano, che io odo cose tali e tali novelle che angustierebbero e
preoccuperebbero chi mai ud simili parole, n mai soffr simili minacce: spero per di uscirne salvo. Mi
sono trovato anche sovente dove si facevano tali vanterie e gran discorsi ed ancora mia convinzione che
Gurmun pu stare senza preoccupazioni riguardo alla sua gente e al suo paese, nonostante la vostra
potenza e le vostre bandiere. E anche questa vostra prepotenza, se ci rompete la fede e il giuramento, non
rester invendicata in Irlanda; dobbiamo ora decidere fra noi con le armi in singolar tenzone chi di noi due
ha ragione, io o voi".
Tristano replic:
"Questo lo compir con l'aiuto di Dio e possa perire quello di noi che ha torto".
Egli si tolse allora il guanto e lo porse a Morolt:
"Signori, - disse egli - voi tutti qui presenti e voi pure Sire, mio signore, ascoltate come io dichiari che in
questo io non ledo il diritto; che n Ser Morolt qui presente, n colui che lo ha mandato qui, n alcun altro
conquist con la forza il diritto al tributo, n in Cornovaglia n in Inghilterra; questo lo affermo e lo
dimostrer davanti a Dio e davanti al mondo contro questo signore che ci sta dinanzi e che in ambo i nostri
paesi ci ha procurato questo malanno e questa vergogna".
Allora subito molte nobili bocche invocarono Dio con le parole e col cuore, affinch Egli, nella sua giustizia
togliesse quel loro vilipendio e quell'afflizione e li liberasse dalla servit.
Per quanto grande fosse la loro sofferenza, questa non importava a Morolt ne punto n poco e non ne fu
affatto impietosito. Da uomo esperto non lasci a terra il pegno della sfida, ma egli pure a sua volta glielo
offr con piglio rude e sicuro; questa occasione gli andava molto a genio e aveva gran fiducia di uscirne
salvo.
Quando tutto fu combinato, il duello dei due cavalieri fu fissato per il terzo giorno e quando questo spunt
vennero tutti i feudatari e i vassalli e anche grande ressa di popolo, cos che tutta la riva fino al mare era
affollata.
Morolt procedette allora ad armarsi. Ora io non voglio forzare l'attenzione del mio cuore e offuscare
l'acutezza dei miei sensi parlando troppo lungamente delle sue armi e della sua robustezza, quando gi
tanto stato detto della sua prestanza. La sua fama vasta, cos che per coraggio e per grandezza la sua
lode come perfetto cavaliere era diffusa in tutti i regni. E con questo sia detto abbastanza in sua lode. So
bene che egli avrebbe potuto affermarsi con onore allora come in ogni altro momento, in schermaglie
secondo le leggi cavalleresche e molte volte lo aveva fatto.
Il buon re Marco era tanto angustiato nel suo cuore a causa di questo duello, che mai neppure una donna
ebbe tanto dolore per un uomo. Non trovava conforto alcuno, non vedeva che la morte di Tristano e

avrebbe volontieri sopportato sempre il danno del tributo, se il duello si fosse potuto evitare. Invece and
tutto per il meglio tanto per una cosa quanto per l'altra, tanto per il tributo quanto per la persona.
L'inesperto Tristano in questo frangente cominci subito a esercitarsi a combattere quanto meglio pot.
Ricopr bene, per difenderli, il corpo e le gambe e li rivest di usbergo e di uose di nobile fattura, chiari e
lucenti in cui il maestro artigiano aveva fatto prova di tutta la sua abilit e della sua diligenza. Re Marco,
suo fedele amico, con cuore afflitto gli mise due sproni belli e forti e gli allacci con le proprie mani le
cinghie delle armi. Fu recata allora una cotta d'armi, tessuta e ricamata, per quanto ne ho udito, da mani di
donna in guisa straniera, ricca e rara e perfetta in ogni particolare, meravigliosamente disegnata e ancor
pi mirabilmente eseguita.
Oh! quando la indoss come fu bello e piacevole a vedersi! molto vi sarebbe da dirne, se non fosse che
non voglio troppo dilungarmi; sarebbe un discorso troppo lungo se volessi riferire su tutto, come dovrei:
sappiate per che l'uomo meglio si addiceva al vestito e gli faceva pi onore che non il vestito all'uomo;
per quanto bella e lodevole fosse la sopraveste pure era a mala pena degna del valore di colui che la
indossava. Sopra a questa Marco gli cinse una spada che fu la sua vita e il suo cuore, che lo salv da
Morolt e molte altre volte di poi. Questa gli pendeva allato al giusto posto, n troppo alta n troppo bassa,
ma nella posizione voluta.
Gli fu preparato anche un elmo lucente come cristallo e altrettanto puro e solido, il migliore e il pi bello
che mai cavaliere abbia portato. Credo che mai elmo cos buono sia entrato nel paese di Cornovaglia.
In cima vi stava uno strale, profetico della Minne, come poi con l'amore ben si avver in lui, sebbene
riservato a pi tardi. Marco glielo impose dicendo:
"Ah, nipote mio, non ti avessi mai conosciuto! Se ti dovesse accadere sventura io me ne appellerei a Dio
e rinnegherei tutto quello che forma la gioia dell'uomo".
Portarono allora uno scudo per fare il quale una mano esperta aveva messo tutto il suo impegno; era
bianco come l'argento per armonizzare con l'elmo e con la corazza ed era brunito e splendente di luce
come uno specchio nuovo. Sopra vi era scolpito molto maestrevolmente un cinghiale di zibellino nero come
il carbone. Suo zio glielo cinse; si adattava al suo regale aspetto e aderiva perfettamente alla sua persona
allora e in ogni tempo.
Ora Tristano, il mirabile e gentile cavaliere aveva ricevuto scudo, usbergo, elmo e gambali, e questi quattro
rilucevano specchiandosi uno nell'altro cos bene come se l'artista avesse disposto le cose in modo che
ogni arma nel suo splendore desse bellezza all'altra e bellezza ne ricevesse; cos il loro quadruplice
splendore non poteva essere ne pi luminoso n pi chiaro. Ma la nuova meraviglia che era nascosta in
questa armatura per danno e malanno dei nemici, non aveva dunque potere contro questa maestria strana
che di fuori vi era raffigurata? Io ben so, ed evidente come il giorno che per quanto abile apparisse
l'artefice della parte esteriore, colui che aveva formato l'immagine interna, lo superava in maestria ed era
meglio dotato per formare la figura del cavaliere che non l'esterna fattura. L'opera vi era mirabilmente
condotta come esecuzione e come concetto. La saggezza dell'artefice, ah, come vi era ben palese! Petto,
braccia e gambe, tutto era bellissimo e nobilmente formato. L'armatura lo rivestiva in modo mirabile. Uno
scudiero teneva il suo destriero e mai n in Spagna n altrove ve ne fu uno pi bello, non manchevole in
alcuna parte: era largo di pettorale e di collo, forte nei due fianchi e perfetto in tutto, anche le gambe si
accordavano col resto per forma e regolarit, gli zoccoli erano rotondi e le gambe snelle e tutte quattro
dritte come in un animale brado, era anche di razza pura e alla sella e al petto appariva cos nobile come
addice ad un vero destriero. Portava sul dorso una gualdrappa bianca chiara come il giorno e splendente
come il resto dell'armatura e lunga e ricca tanto che scendeva gi sino ai garetti.
Ora che Tristano era bene e perfettamente equipaggiato per il combattimento secondo la legge
cavalleresca e la consuetudine delle armi, ben si potevano lodare tanto l'uomo come l'armatura e tutti
erano d'accordo che tanto questo come quella mai fecero miglior figura. Sebbene questo fosse anche qui
palese, molto di pi lo fu quando Tristano mont in sella e prese in mano la lancia: l'apparizione fu mirabile
tanto del cavaliere sopra la sella quanto del cavallo sotto di questa. Egli aveva braccia e spalle ampie e in
sella sapeva stare e muoversi come si conviene; lungo i fianchi del cavallo fremevano le formose gambe,
dritte e snelle come una spada.
Cavaliere e destriero armonizzavano cos perfettamente come se fin dalla nascita fossero insieme fusi. Il
comportamento di Tristano in sella era perfetto, sicuro e dignitoso. E con ci come eletto era il suo aspetto

esteriore, altrettanto eletto era internamente l'animo suo, cos buono e retto che mai elmo copr mente pi
pura e spirito pi nobile.
Ai due campioni fu assegnata per il duello una piccola isola nel mare, abbastanza vicina perch dalla riva si
potesse scorgere quello che sull'isola accadeva ed era anche stato convenuto che all'infuori dei due
guerrieri nessuno vi dovesse mettere piede prima che avesse termine la tenzone. Questo fu strettamente
osservato. Furono quindi preparate per i due combattenti due piccole navicelle ognuna delle quali poteva
portare un cavallo e un uomo armati. Quando i battelli furono pronti Morolt entr in uno di essi, prese i
remi e navig verso la sponda opposta e giunto a terra leg il battellino alla riva e salt subito sul suo
cavallo; prese in mano la spada e se ne and in giro per tutta l'isola giostrando e facendo finte e giochi
d'arme, pure in quel grave momento, cos spensierati e leggeri come se fosse l per divertimento.
Ora anche Tristano entr nella navicella e port con s armi e bagagli, il suo destriero e anche la lancia e,
ritto sulla prua,
"Sire - disse - Re Marco, non vi preoccupate troppo per la mia persona e per la mia vita, ma affidiamo
tutto a Dio. Angustiarci non serve a nulla. Forse avremo miglior sorte di quanto ci sia stato pronosticato.
La nostra vittoria e la nostra salvezza non dipendono dalla nostra maestra nell'uso delle armi, ma
solamente dalla potenza di Dio.
Lasciate ogni timore, poich ben possibile che io ne esca salvo. Io vado a questo scontro con animo
leggero e lieto: siate cos voi pure e state sano; niente accade che non debba accadere; e comunque vada
per me e qualunque sia l'esito, affidate fin da ora il vostro paese e il vostro popolo a Colui al quale io pure
mi sono affidato: Iddio stesso che sar con me nella pugna e nel combattimento far giustizia al buon
diritto. Dio in verit deve vincere con me oppure con me cadere sconfitto: Lui che deve provvedere e
disporre".
Con ci gli diede la sua benedizione, salp con la sua barchetta e si allontan nel nome di Dio. Da molte
bocche allora la sua vita e la sua persona furono raccomandate a Dio e da molte nobili mani gli furono
inviate dolci benedizioni. Quando approd lasci andare il suo battello alla deriva e inforc subito il suo
cavallo.
Anche Morolt si trov subito sul luogo:
"Dimmi - diss'egli - che cosa significa e per quale arte o quale ragione hai lasciato andare cos il tuo
battello?".
"L'ho fatto per questo: ecco qui una navicella e due uomini e non c' dubbio che se non restano
ambedue sul terreno, l'uno rimarr certamente morto su quest'isola; quindi per colui che avr vinto sar
sufficiente questo solo battello che ti port qui nell'isola".
Morolt replic:
"Vedo bene che oramai inevitabile che il duello abbia luogo. Se tu te ne lasciassi distogliere e noi
potessimo separarci in buona armonia sul contratto di prima, cio che mi venga corrisposto regolarmente il
tributo da questi due paesi, penso che ci sarebbe per il tuo bene; poich invero molto mi addolora doverti
uccidere. Mai ho veduto cavaliere che mi piacesse pi di te".
Ma il valoroso Tristano rispose:
"Il tributo deve essere abolito se ci deve essere pace tra noi".
"In verit - disse l'altro - in questo modo non giungeremo a un accordo, non cos verr fatta la pace: il
mio tributo deve venire con me nella mia terra".
"Quando cos - disse Tristano - noi stiamo qui facendo una discussione molto inutile. Morolt, poich sei
tanto sicuro di uccidermi, difenditi se ti vuoi salvare: qui altro modo non vi ".
Volt allora il cavallo e gli fece fare un giro; poi nella curva lo lanci dritto avanti con tutto l'impeto del suo
animo; venne avanti come volando, con la lancia abbassata, incitando il cavallo su ambo i fianchi con gli
speroni e con le ginocchia. Come poteva ora l'altro ancora indugiare, quando ne andava della vita? Fece

come tutti coloro che con tutti i sensi tendono al vero valore: fece egli pure una voltata, come glielo
suggeriva l'animo, ora avanti ora indietro, agitando la lancia in alto e in basso. Cos avanz di carriera,
come portato dal diavolo. Cavallo e cavaliere arrivarono di volo addosso a Tristano, pi rapidi di un falco:
uguale ardore animava anche Tristano. Essi incalzavano con lo stesso impeto e venivano ugualmente
volando, cos che spezzarono le lance e infersero agli scudi migliaia di tagli. Sfoderarono allora le spade,
lottando a cavallo. Dio stesso lo avrebbe veduto con compiacenza .
Ora sento come voce generale e anche nella storia sta scritto che questo fu un duello e si dice che i
cavalieri fossero soltanto due. Io invece vi prover qui che fu un combattimento aperto di due intere
schiere: quantunque non lo abbia mai letto nella storia di Tristano, vi dimostrer come sia vero. Morolt,
come secondo verit si sempre detto e si dice ancora oggi, possedeva forza per quattro uomini e questa
era quindi una schiera di quattro uomini d'arme ed ecco una delle parti. Dall'altra parte i campioni erano:
l'uno Dio, l'altro il diritto, il terzo il servitore di ambedue e loro sincero vassallo, il prode Tristano; il quarto
era la pronta volont che nel bisogno opera miracoli. Con questi quattro e quegli altri quattro, per male che
le possa formare, faccio subito due compagnie, cio otto uomini.
Altrimenti vi sarebbe sembrato strano che due eserciti potessero venire a battaglia su soli due cavalli: ora
avete compreso che qui da ognuna delle parti si trovavano quattro cavalieri o le forze combattenti di
quattro cavalieri riuniti sotto un medesimo elmo e questi lottavano aspramente gli uni contro gli altri.
Quindi Morolt con una compagnia di quattro uomini caric Tristano come un fulmine, e quello sciagurato e
diabolico uomo lo attacc con tale violenza che con i suoi colpi gli avrebbe tolto i sensi e la forza se non lo
avesse difeso lo scudo, sotto il quale pot proteggersi e salvarsi. N elmo n usbergo n alcun altro pezzo
di armatura gli avrebbe portato aiuto, poich Morolt lo avrebbe trafitto attraverso le anella; non gli lasciava
neppure il tempo di alzare lo sguardo.
Cos continu a colpirlo finch ottenne che Tristano per la furia dell'assalto allontanasse troppo lo scudo e
lo tenesse troppo alto e Morolt gli inferse nella coscia una ferita cos terribile che fu quasi mortale e che
attraverso le uose e l'usbergo apparvero la carne e l'osso e il sangue sprizz e bagn il terreno.
"Or dunque, - disse Morolt - ti vuoi arrendere? Devi ben vedere da te stesso come non sia lecito agire
ingiustamente; il tuo torto qui palese: rifletti ancora, se vuoi salvarti, in quale modo tu possa farlo,
poich in verit, Tristano, questa ventura ti porta a sicura morte se io non la storno da te; n uomo n
donna ti potranno mai guarire: tu sei ferito da una spada che mortifera e avvelenata. N medico n arte
medica ti salveranno in questo frangente, se non sola mia sorella Isotta, regina d'Irlanda, che conosce ogni
sorta di spezie e la virt di tutte le erbe e ogni arte di medicina. Essa sola e nessun altro possiede questa
scienza e se non ti guarisce lei sei perduto. Se ora mi vuoi dare ascolto e accordarmi il tributo, mia sorella
stessa, la regina, ti risaner e io divider con te quanto possiedo e non ti negher nulla di quello che tu
possa desiderare".
Tristano rispose:
"Il mio diritto e il mio onore non li cedo n per tua sorella n per te. Ho portato qui nella mia libera mano
due libere terre e tali se ne devono ritornare con me, altrimenti ne avrei danno ancor maggiore e perfino la
morte. E anche non sono per questa unica ferita ancora ridotto a tal punto che tutto debba essere risolto
qui. Il combattimento fra noi due ancora molto indeciso. Il tributo la tua morte o la mia; altra
alternativa non ci pu essere".
Con ci nuovamente lo attacc. Ora forse qualcuno dir, e lo dico io pure, dove sono adesso Dio e il diritto,
i due compagni d'arme di Tristano? Molto mi meraviglia che non lo vogliano aiutare e troppo indugino in
questo momento; la loro fazione e la loro compagnia sono certamente in molto cattivo arnese; se non si
affrettano arriveranno troppo tardi, per cui vengano dunque presto. Qui sono due che combattono contro
quattro e ne va della vita e questa gi in dubbio e in pericolo. Se essi devono essere liberati bisogna che
ci sia subito.
Ecco Dio e il buon diritto che si avanzano con giusto giudizio in soccorso della loro fazione e per la rovina
dei loro nemici. Ora cominciarono a lottare da pari a pari, quattro contro quattro. Combattevano cos
schiera contro schiera e Tristano, scorgendo i suoi compagni d'arme prese nuovo coraggio e nuove forze: la
loro compagnia lo rincuor e gli diede nuovo vigore. Diede di sprone al cavallo e lo lanci avanti urtando il
nemico nello slancio, col pettorale, stordendolo e rovesciandolo a terra insieme al cavallo. E quando questi,
riavutosi un poco dalla caduta, volle rialzarsi e rimettersi in sella, anche Tristano fu pronto e con un colpo
gli butt gi l'elmo che vol via per il piano. Allora Morolt lo assal e attraverso la gualdrappa colp il

destriero di Tristano al petto, in modo che questi cadde sotto a esso e non fece n bene n male, ma salt
via dalla parte opposta.
Morolt, da guerriero esperto, si copr le spalle con lo scudo, come gli insegnava l'esperienza, e sotto a
quello andava con la mano cercando il suo elmo e lo riprese, divisando, nella sua astuzia, di rimetterselo
quando fosse nuovamente in sella e di assalire un'altra volta Tristano. Recuperato l'elmo, si volse verso il
suo cavallo e gli si appress tanto da mettergli la mano sulla briglia e il piede sinistro saldamente nella
staffa; aveva gi afferrato la sella con la mano quando anche Tristano lo raggiunse e colp sulla sella la
spada e anche la mano destra, cos che ambedue caddero a terra ancora con tutte le anella e prima che si
rialzasse lo colp di nuovo con tanta forza proprio in cima all'elmo che quando ritir la spada una scheggia
di questa rimase conficcata nel cranio, il che procur poi a Tristano grande travaglio e grandi tribolazioni
che lo avrebbero quasi condotto a morte.
Mentre il misero Morolt vacillava ormai senza forza e senza difesa e si lasciava cadere a terra,
"Come mai? - disse Tristano - Dio ti aiuti, Morolt, di' dunque, che te ne pare di questa storia? Mi sembra
che tu sia gravemente ferito e che tu stia molto male. Comunque possa andare la ferita mia, sei tu ora che
avresti bisogno di buoni medicamenti; tutto quello che tua sorella ha imparato di arte medica occorre ora a
te se vuoi guarire. Dio giusto e veritiero e il divino comandamento hanno ben giudicato il tuo sopruso e
rettamente hanno reso giustizia al mio diritto. Cos voglia Egli sempre proteggermi. La tua superbia ora
abbattuta".
Quindi si fece innanzi, prese la spada e afferrandola con tutte e due le mani tagli al suo nemico la testa
con tutta la cuffia.
Ritorn quindi alla baia; vi trov il battello di Morolt, vi entr e si diresse subito a riva verso le schiere del
suo popolo. Gi dal mare ud grande giubilo e grandi lamenti; lamenti e giubilo, come vi dico: il giubilo era
per la vittoria; fu un giorno felice per gli uni che fecero grande festa, battendo le mani, lodando Dio a voce
alta, levando al cielo alti canti di vittoria: ma invece per gli altri, gli stranieri, gli afflitti messi dell'Irlanda fu
giorno di grande duolo; tanto quelli cantavano, quanto questi gemevano e si lamentavano e torcendosi le
mani sfogavano il loro dolore.
Quando i miseri stranieri, gli afflitti Irlandesi, stavano per imbarcarsi, Tristano li segu, li raggiunse sul lido.
"Signori - disse - ritornatevene e prendetevi quel tributo che vedrete l sull'isola e portatelo al vostro
signore a casa vostra e ditegli che mio zio, re Marco, gli manda l'omaggio dei suoi due regni e gli fa dire
che se avesse voglia e desiderio di rimandare qui i suoi messi per un simile tributo, noi non li lasceremo
mai ritornare a mani vuote, ma li rimanderemo via con i medesimi onori, per quanto ci possa costare".
E mentre cos parlava nascondeva con lo scudo il sangue e la ferita davanti a essi che ne erano ignari. E
ci gli torn poi a fortuna poich quelli se ne ritornarono via senza che alcuno ne avesse notizia, poich
ripartirono subito e si recarono sull'isola dove trovarono il loro signore fatto a pezzi e se lo portarono via.
Quando giunsero in patria, presero il lamentevole presente, mandato col per loro mezzo: voglio dire tutti
e tre i pezzi; li riunirono perch non ne andasse perduto alcuno; li portarono al loro signore e gli dissero
tutto quello che era accaduto, come io ho gi narrato. Io credo e ritengo per certo che re Gurmun
Gemuotheit ne ebbe grande cordoglio e ben con ragione: in questo solo uomo perdeva il cuore e l'animo, il
conforto, e il valore e la cavalleria di molti uomini; il disco sul quale posava il suo onore e che Morolt soleva
lanciare liberamente in tutti i paesi all'intorno, era ora a terra.
Ma per la regina, sua sorella, il rammarico e il duolo e le lamentazioni furono ancor maggiori: essa e sua
figlia Isotta afflissero il loro corpo in varie guise, come sapete che si tormentano le donne quando il dolore
va loro al cuore. Esse guardavano questo morto solo per soffrirne di pi, affinch la loro afflizione divenisse
ancor pi grande. Baciavano quel capo e quella mano che aveva conquistato terre e popoli, come gi ho
detto prima; osservavano con angoscia le ferite della testa in tutti i sensi. Ora la saggia ed esperta regina
vi scopr la scheggia; prese allora una piccola pinza e con questa frug nel cranio e la estrasse. Ella e sua
figlia la considerarono con dolore e tristezza, la presero e insieme la posero in uno scrigno. Questo
medesimo frammento fu pi tardi a Tristano causa di grande tribolazione.
Or dunque Ser Morolt morto. Se io ora raccontassi una lunga storia sulla loro passione e il loro cordoglio a
che cosa servirebbe? Non ne avremmo vantaggio alcuno. Chi potrebbe biasimare la loro afflizione? Morolt

fu portato al sepolcro, seppellito come un qualunque altro uomo. Gurmun fece grande lutto ed eman
l'ordine per tutta l'Irlanda che si prendesse nota accuratamente di qualunque persona venisse dalla
Cornovaglia, fosse uomo o donna, e la si mettesse a morte. E questo bando e questo ordine fu cos
strettamente osservato che nessuno del popolo di Cornovaglia si azzardava ad andarvi, poich neppure
offrendo o dando qualsiasi compenso si salvava la vita; cos che molti figli di mamma ne patirono
innocentemente. E tutto questo era cosa inutile perch ormai come di giusto, Morolt era morto: egli aveva
contato soltanto sulla propria forza e non sulla giustizia di Dio e sempre in tutte le sue battaglie aveva
dimostrato violenza ed orgoglio e perci era stato abbattuto. Ora riprendo il mio racconto l dove l'ho
lasciato. Quando Tristano giunse alla riva senza destriero e senza lancia, mille schiere a cavallo e a piedi gli
si affollarono intorno per dargli il loro saluto. Mai il re e il suo regno videro giorno pi felice e lo possiamo
ben credere, poich per mezzo di lui era in questo giorno venuto loro grande onore: egli aveva sanato per
sempre ogni loro male e ogni loro vergogna. Ma essi si preoccuparono molto della ferita che aveva ricevuto
e se ne afflissero grandemente: quando per credettero che da questo male avrebbe potuto presto guarire,
non vi posero pi mente e lo condussero subito fra loro al palazzo; gli tolsero in fretta l'armatura e gli
prodigarono tutte quelle cure e quel conforto che egli o altro cavaliere avrebbe potuto richiedere.
Furono chiamati medici, i migliori che si poterono trovare nelle citt e nel paese, ed essi riuniti vi misero
tutto il loro impegno, tutta la loro arte medica, ma a che pro? A nulla potevano giovargli, il tossico era tale
che nessuna scienza poteva sottrarlo dalla ferita, finch tutto il suo corpo prese un cos orribile colore che
a mala pena lo si poteva riconoscere. Inoltre la stessa ferita emanava un fetore cos terribile che la vita gli
era di peso e il suo proprio corpo odioso. Per di pi, il suo maggior dispiacere era di vedere che cominciava
a far ribrezzo a quelli che prima erano suoi amici e poco a poco ramment le parole di Morolt; anche prima
aveva udito dire quanto bella e perfetta fosse Isotta, la sorella di lui, poich tanto se ne parlava in tutti i
paesi vicini ove si diceva la saggia Isotta, la bella Isotta splende come l'aurora.
Tristano nella sua angoscia pensava continuamente a lei e sapeva bene che se voleva guarire ci non
poteva essere che per le arti di lei, della saggia regina, che in queste era esperta. In che modo per ci si
potesse fare non poteva immaginarlo. Ora cominci a riflettere: dato che doveva morire era lo stesso per
lui rischiare la vita o la morte piuttosto che questa mortale agonia. Cos risolse in mente sua di recarsi col,
comunque dovesse o non dovesse guarire, gli andasse pure come Dio voleva.
Convoc suo zio Marco e gli confid tutto fin dal principio, il suo segreto e il suo desiderio, come l'amico
suol fare con l'amico, e anche quello che aveva in animo di fare, secondo le parole di Morolt.
Al re questo fece piacere e dispiacere, allo stesso modo che nella necessit si sopporta il male come
meglio si pu: fra due mali si sceglie il minore, questo un utile accorgimento. Quindi si misero d'accordo
fra loro due su tutto come poi fu fatto: sul come avrebbe fatto il viaggio, e se si dovesse tenere segreto che
egli intendesse di andare in Irlanda o se si dovesse invece dire che andava a Salerno per curarsi. Stabilito
tutto, fu chiamato anche Kurvenal per informarlo della loro intenzione e del loro desiderio. Kurvenal li
approv e disse che sarebbe andato anch'egli con Tristano per vivere o morire con lui.
E quando si fece sera, prepararono per il viaggio una barca e un battello e vi misero gran copia di cibi e
provviste e tutto quanto necessario a bordo di una nave. Con grandi lamenti vi trasportarono il povero
Tristano in gran segreto, in modo che nessuno si accorse che si imbarcasse, se non gli uomini che
partivano con lui. Egli raccomand caldamente a suo zio Marco la propria gente e i suoi beni, affinch nulla
di questi, neppure un anellino, ne fosse alienato fino a che non si avessero notizie di lui. Della sua roba
prese con s soltanto l'arpa e null'altro.
Cos salparono, con otto uomini in tutto, che avevano dato la loro vita in pegno e malleveria e dichiarato
con giuramento di non allontanarsi di un passo dagli ordini dei due capi. Quando ebbero preso il mare re
Marco segu Tristano con gli occhi e vi so dire che ne aveva scarsa gioia e poca tranquillit; questa
separazione gli trapassava il cuore, per essa risult per il bene e la gioia loro.
Quando il popolo apprese per guarire di quale malattia Tristano fosse partito per Salerno, il dolore di tutti fu
tale che non sarebbe stato maggiore per il proprio figliolo; e tanto pi che egli pativa tutto questo in
servizio loro e ci li affliggeva maggiormente.
Tristano navig giorno e notte oltre stati e regni diretto verso l'Irlanda, come meglio sapeva guidarli la
mano del pilota. E quando la nave fu abbastanza vicina da scorgere la terra, Tristano preg il pilota di
volgersi verso la capitale Develin poich pensava che la saggia regina dovesse tenere l la sua corte. Il
pilota si diresse dunque da quella parte, avvicinandosi abbastanza da poterla scorgere:

"Guardate, signore, - disse egli allora a Tristano - io vedo la citt; che cosa consigliate di fare?".
Tristano rispose:
"Gettiamo qui le ancore e sostiamo questa sera e anche una parte della notte".
Cos gettarono l'ancora e per quella sera riposarono e nella notte egli ordin di navigare verso la riva e
quando furono giunti a mezzo miglio dalla citt Tristano si fece dare il vestito pi povero che si trovasse a
bordo e quando glielo ebbero messo si fece trasportare fuori della nave e adagiare nel battello e vi fece
mettere anche la sua arpa e anche abbastanza provviste che durassero tre o quattro giorni.
Tutto questo fu fatto secondo il suo comando. Egli chiam allora Kurvenal e anche i marinai:
"Amico Kurvenal - disse - prendi questo battello e questi uomini e per amor mio abbine cura sempre e
continuamente; e quando sarete giunti a casa ricompensali molto largamente affinch tengano fedelmente
il nostro segreto e non ne facciano parola ad alcuno. Ritorna presto in patria; saluta mio zio e digli che io
sono vivo e con la grazia di Dio intendo vivere ancora e star bene; egli non deve stare in pensiero per me.
Digli pure che nel caso che guarisca far ritorno entro quest'anno: se la mia impresa riesce egli ne avr
subito notizia. Alla Corte e al paese di' che io sono morto del mio male durante il viaggio. Non congedare
per i miei uomini che ho ancora col e fa' che mi attendano fino all'epoca che ti ho indicata. E se dovesse
avvenire che entro quest'anno la fortuna non mi assistesse, allora potete rinunciare a me; lasciate a Dio la
cura dell'anima mia e pensate a voi stessi. Tu allora, prendi la mia gente e ritornate in Parmenia e prendi
dimora in casa di Rual; di' al mio diletto padre che ti ricompensi della tua fedelt verso di me con la fedelt
sua e che ti accolga bene e degnamente come egli sa e digli inoltre anche questo: che per quelli che mi
hanno servito finora mi conceda una sola preghiera e niente altro: ringrazi e ricompensi ciascuno di loro
secondo il servizio. Ora, miei fidicontinu egli - Dio vi guardi; andate per la vostra via e lasciatemi in bala
dei flutti; io devo aspettare adesso la grazia di Dio; per voi ora che partiate e salviate la vostra vita; gi
spunta il giorno".
Cos con grande dolore e molte lamentazioni essi se ne ritornarono via con molte lacrime e lo lasciarono
ondeggiante sul mare deserto. Mai separazione riusc loro pi dolorosa. Chiunque abbia avuto un amico
sincero, e sappia come si deve apprezzarlo, potr intendere veramente il rammarico di Kurvenal; ma per
quanto il cuore e tutto l'animo gli dolessero, pure se ne partirono. Tristano rimase solo in grande angoscia
sbattuto in tutti i sensi fino a giorno chiaro; e quando quelli di Develin scorsero la navicella vagare senza
guida, mandarono a vedere che cosa fosse quella barchetta. I messi si diressero subito a quella volta.
Quando si avvicinarono non videro ancora alcuno, ma udirono venire da quella parte un suono di arpa e
con questo un cos dolce canto che lo credettero un saluto o un prodigio e non si mossero dal posto finch
durarono il suono e il canto. Per la gioia che ne provarono fu breve perch la musica e il canto non
sgorgavano a Tristano dal fondo del cuore, il quale non vi aveva parte. Poich non un vero melodiare se
fatto senza che il cuore vi sia disposto e se spesso questo accade, non pu chiamarsi vero melodiare quello
che si fa esteriormente senza metterci il cuore e il sentimento. Era soltanto l'animo giovanile di Tristano
che lo spingeva a cercare qualche svago nel muovere le labbra o le mani suonando o cantando; ma per il
martire era un tormento e un martirio.
Quando il canto si tacque, quelli dell'altro battello si avvicinarono e afferrarono la barchetta guardandovi a
gara; ma quando scorsero il suo mortale pallore e lo videro cos male in arnese rimasero delusi che fosse
lui a saper fare tale miracolo con la voce e con le dita; pure lo salutarono con il gesto, con la parola e con
la mano come uno che degno di cortese saluto, e lo pregarono di narrare loro quello che gli era accaduto.
"Ve lo dir"
disse Tristano.
"Io ero un giullare di corte e conoscevo bene gli usi e i costumi cortesi: parlare e tacere, suonare la lira e
il violino, l'arpa e la rotta, fare scherzi e giochi; in tutto ci io ero ben esperto come si addice a tali persone.
Con questo guadagnavo abbastanza, se non che la fortuna mi rese presuntuoso e volli avere pi di quanto
giustamente mi spettava. Cos mi diedi al commercio che mi ha rovinato la vita. Mi presi per compagno un
ricco mercante e fra noi due, l in Spagna, caricammo una nave con tutta la mercanzia che ci parve e
salpammo verso la Britannia. Ma in alto mare ci imbattemmo in una nave di pirati che ci portarono via tutti
i nostri averi, dal maggiore ai pi piccoli e uccisero il mio compagno e tutti gli altri; e se io mi salvai pur

con le ferite che qui vedete, lo devo all'arpa dalla quale ognuno poteva riconoscere in me un giullare, come
dichiaravo di essere. Cos con grande stento ho ottenuto questa barchetta e quel tanto di viveri di cui sono
campato fin qui. Da allora sono rimasto in bala del mare con grande male e tormento per ben quaranta
giorni e quaranta notti, ovunque mi sbattessero i venti o mi portassero le onde, or qua, or l, in modo che
ora non so dove sono e ancora meno dove andare. Ora, Signori, fate la carit che Dio nostro Signore ve la
compensi e aiutatemi ad andare dove ci sia della gente".
"Amico - dissero allora i messi - tu potrai godere qui delle tue dolci note e del tuo canto; non vagherai
pi sulle onde senza direzione e senza conforto. Chiunque sia colui che qui ti ha portato, Iddio, acqua o
vento, noi ti condurremo dove troverai gente".
Cos infatti fecero: lo condussero con la barca fino alla citt, come li aveva pregati; legarono il battellino
alla riva e gli dissero:
"Ecco, menestrello, guarda questo forte e questa bella citt qui vicino: sai tu quale luogo sia questo?".
"No, miei signori, non lo so."
"Allora te lo diremo noi: sei a Develin in Irlanda".
"Sia lodato il Redentore che io sono finalmente giunto fra cristiani, poich fra questi vi sar certamente
qualcuno che user di carit verso di me e mi dar consiglio medico".
Con questo i messi se ne ritornarono e raccontarono grandi meraviglie di lui e riferirono l'avventura
occorsa loro con un uomo che all'aspetto non l'avrebbe fatta supporre. Dissero come, prima ancora di
avvicinarsi, avevano udito suonare cos dolcemente e insieme all'arpa un canto che Dio stesso avrebbe
ascoltato con piacere nei suoi cori celesti e che c'era l dentro un povero menestrello ammalato e vicino a
morte:
"Gli si vede al viso, morir domani o magari ancora oggi; pure nel suo tormento conserva ancora tanta
freschezza di spirito che in tutti i regni della terra non si troverebbe un cuore che sopportasse una cos
grande sventura con tanta tranquillit".
Gli abitanti del luogo vennero allora e si intrattennero con Tristano in ogni sorta di discorsi domandandogli
e questo e quello: ma egli rispose a tutti nello stesso modo come ai messi. Lo pregarono allora di suonare
ed egli mise tutto il suo impegno per soddisfare la loro richiesta e la loro preghiera e lo fece con tutto il
cuore; far loro piacere come poteva sia con le labbra che con le mani, era tutto il suo desiderio; a questo si
applicava e lo attuava.
E quando il povero cantore nonostante le sue sofferenze cominci cos dolcemente a toccare l'arpa e
cantare, ne ebbero tutti piet: portarono il poveretto fuori dalla barca e chiamarono un medico che lo
ospitasse presso di s e facesse tutto quello che poteva con grande premura, e a spese loro gli procurasse
aiuto e sollievo. Questo fu fatto ed eseguito; ma anche portato a casa e curato con le arti migliori del
medico, tutto ci gli risult di ben poco giovamento.
La novella si sparse per tutta la citt di Develin: la gente giungeva a gruppi, uno andava e uno veniva e
tutti lo commiseravano per i suoi patimenti. Intanto sopraggiunse un sacerdote che aveva udito della sua
perizia sia con le mani sia col canto e che si intendeva di molte scienze e arti, era esperto in ogni genere di
strumento e conosceva anche molte lingue straniere. Questi aveva sempre rivolto i suoi pensieri e
dedicato i suoi giorni alle arti cortesi ed era stato il maestro e precettore della regina e l'aveva istruita sin
da bambina in molte buone discipline; molte nozioni straniere ella aveva appreso da lui. Egli aveva anche
istruito con molto zelo la figlia di lei, Isotta la bellissima, la fanciulla celebre nel mondo intero e della quale
dice anche questa nostra storia. Era essa figlia unica e la regina aveva fin dal principio rivolto ogni sua
cura ad addestrarla in tutte le arti sia delle mani come della parola. Il precettore aveva avuto anche lei per
pupilla e la istruiva ognora tanto nella scienza dei libri quanto in quella della musica.
Quando egli osserv in Tristano tanto sapere e tanta abilit sent profonda compassione del suo male e
senza indugiare si rec dalla regina e le disse che c'era nella citt un giullare, malato grave, e morto pur
essendo ancora in vita e che mai da donna era nato uno spirito pi eletto n pi eminente nell'arte sua:
"Ah - concluse egli - nobile regina, se si potesse provvedere a trasportarlo dove voi convenientemente

poteste venire e vedere il miracolo di un uomo morente che riesce a suonare e cantare cos dolcemente
mentre non vi pu essere per lui n aiuto n salvezza, perch non potr mai guarire! Il maestro e suo
medico che lo ha avuto in cura vi ha rinunciato perch non riesce a nulla con qualsiasi escogitazione".
"Ecco - rispose la regina -, io dir ai servitori che se pu sopportare d'essere toccato e sollevato con le
mani, lo portino qui da noi, se mai gli possa giovare qualche aiuto o io lo possa salvare".
Questo fu fatto. Or quando la regina constat il pericolo, le sue ferite e il loro colore, riconobbe il tossico:
"Ah! - gli disse - povero menestrello, sei stato ferito da armi avvelenate".
"Non lo so - rispose pronto Tristano - non posso giudicare che cosa sia, dato che nessuna scienza medica
mi pu salvare n guarire; non posso fare altro che rassegnarmi a Dio e vivere finch mi dato vivere. Ma
Dio ricompensi chi mi usa misericordia, poich sto tanto male e ho bisogno di aiuto, sono morto pur
essendo ancora in vita".
Ma la saggia regina cos gli parl:
"Cantore, di', come ti chiami?".
"Madonna, mi chiamo Tantris."
"Ora, Tantris, sappi sicuramente che io ti guarir; sta' di buon animo e tranquillo, ch io stessa sar il tuo
medico".
"Grazie a te, dolce regina, possa la tua lingua sempre prosperare e il tuo cuore mai morire, la tua
sapienza viva sempre per soccorrere i meschini e il tuo nome sia sempre benedetto sulla terra!".
"Tantris, - disse la regina - se il tuo stato te lo permette, poich sei tanto indebolito, - cosa che non fa
meraviglia - io ti udrei volontieri suonare l'arpa, come, a quanto dicono, sai fare tanto bene".
"Madonna, non dite cos, la mia infermit non toglie che io faccia e ami fare tutto quello che possa
servirvi".
Fu quindi portata la sua arpa e venne anche chiamata la giovane regina, il vero sigillo dell'amore, col quale
il cuore gli fu poi sigillato e chiuso al mondo intero, fuorch a lei sola. La bella Isotta venne dunque e
ascolt Tristano all'arpa. Ora egli suon meglio ancora di quanto avesse fatto prima, poich sperava di
essere al termine dei suoi mali; quindi cant non come uomo stanco della vita, ma cominci subito in tono
gaio come chi di umore sereno. Si adopr s bene con le mani e con la voce che in breve si guadagn il
loro favore, tanto bene tutto gli riusc. Ma mentre suonava, in quel luogo come altrove, la maledetta ferita
dava odore e diffondeva un cos orribile fetore che nessuno poteva resistere un'ora presso di lui.
Di nuovo la regina gli parl:
"Tantris, se cos destinato e se le cose vanno in modo che questo fetore svanisca e che si possa
rimanerti vicino, ti affider mia figlia Isotta; essa ha gi studiato con diligenza sui libri e appreso a suonare
ed gi abbastanza esperta per il breve tempo in cui vi si dedicata. Se tu conosci altre arti e hai maggior
dottrina del suo maestro e di me, istruiscila in queste per amor mio. Io ti dar in cambio vita e salute e
render il tuo corpo sano e bello: ho potere di farlo o non farlo poich le due alternative sono in mano
mia".
"Se destino - rispose l'infermo - che io debba ritornare sano e che suonando guarisca, allora se Dio
vorr, certamente risaner. Madonna regina, se la vostra intenzione quale voi dite riguardo alla fanciulla
vostra figlia, spero fermamente di guarire. Ho anche letto libri in gran numero e in tale misura che ho
fiducia di potermi per suo mezzo dimostrare riconoscente. Inoltre posso dire di me stesso che non c'
uomo al mondo che alla mia et sappia suonare tanti nobili strumenti. Per quanto sta in me, quello che
desiderate e che da me volete gi compiuto".
Cos gli fu assegnata una cameretta e gli vennero prodigate tutte le cure ogni giorno e procurate tutte le
comodit che potesse desiderare. Ora soltanto si ebbe la prova della saggezza usata nascondendo con lo
scudo la ferita che aveva al fianco e non facendone parola alle genti di Irlanda quando era salpato dalla

Cornovaglia. Quindi nulla ne sapevano e ignoravano che fosse ferito. Poich se avessero avuto notizia della
sua piaga, dato che conoscevano quali erano le ferite della spada che Morolt usava in tutti i
combattimenti, la ventura di Tristano non sarebbe mai stata quella che fu. Ora la sua previdenza gli torn a
salvezza. Donde si riconosce e si apprende come spesso la prudente riflessione porti a buon fine colui che
giudizioso e preveggente.
La saggia regina mise tutto il suo impegno e tutta la sua arte per guarire quell'uomo per la vita del quale
avrebbe dato la propria e tutti i suoi onori. Essa lo odiava ancor pi di quanto amasse s stessa, eppure
giorno e notte si preoccupava e affaccendava per quello che poteva riuscirgli salutare. E ci non fa
meraviglia poich non conosceva in lui un nemico: e se avesse saputo per chi si prodigava e chi era colui
che cercava di strappare alla morte, se ci fosse stato qualche cosa di peggiore di questa, gliela avrebbe
certamente data pi volentieri che la vita. Ma di lui sapeva soltanto il bene e non aveva verso di lui che
benevolenza.
Ora a che servirebbe e quale scopo avrebbe il fare lunghi discorsi sull'abilit della regina e dire quale forza
meravigliosa vi fosse nella sua medicina e quanto bene facesse a quell'infermo? A un nobile orecchio
maggiormente gradita una parola che suoni cortesia piuttosto di quelle che sono conservate negli scaffali.
Per quanto sta in me mi guarder bene dal dire una parola che possa dispiacere al vostro orecchio o che
contrasti al vostro cuore. Preferirei parlare molto meno, anzich rendervi spiacevole e sgradita la mia storia
con discorsi che non siano cortesi.
Dir brevemente della perizia nell'arte medica della regina e della guarigione del suo infermo; in venti
giorni essa lo cur in modo che tutti gli stavano volentieri vicino e nessuno di quelli che desideravano
stargli accanto lo sfuggiva pi a causa delle ferite.
Da allora la giovane regina divenne sua allieva e a lei egli rivolse tutto il suo impegno e dedic il suo
tempo. Tutto il meglio delle sue cognizioni, sia di scienza come di musica che non star qui a enumerare,
tutto egli le pose dinanzi cos che essa stessa potesse scegliere quello che pi le piaceva di imparare.
Isotta la bella fece come segue: fra tutte le sue varie arti si dedic a quanto trov di migliore e si applic
con zelo a tutto quello che aveva intrapreso. Le fu anche di grande aiuto ci che prima aveva gi imparato:
essa si applicava con la mano e con le parole a molte arti cortesi; la bella conosceva la lingua materna di
Develin, il francese e il latino, sapeva suonare mirabilmente il violino alla maniera italiana; le sue dita
erano esperte nel toccare la lira e nel trarre dall'arpa suoni potenti e nello scorrere agilmente sulle corde.
Inoltre la creatura benedetta cantava bene con dolce voce. Pure, per quanto brava fosse, il menestrello,
suo maestro, le fu sempre di grande vantaggio e l'aiut a perfezionarsi.
Oltre tutte queste dottrine una nuova gliene insegn che chiamata moralit. E' l'arte che insegna i buoni
costumi: ogni donna dovrebbe applicarvisi fin dalla giovinezza: moralit, la dolce virt beata e pura, le sue
leggi riguardano il mondo e Dio e ci insegnano a piacere a Dio ed al mondo: essa data come nutrice a
tutti i nobili cuori che cercano nei suoi insegnamenti il nutrimento e la vita, poich non possono avere n
onore n bene se essa non li guida. Questo fu il compito maggiore della giovane principessa; in questo si
dilettavano spesso i suoi pensieri e la sua mente e cos divenne onesta e pura di animo, gentile e soave
nelle maniere. In quei sei mesi la dolce fanciulla giunse a tale perfezione di comportamento e di sapere
che tutto il paese ne parlava e il re, suo padre, ne aveva grande soddisfazione e sua madre ne era
oltremodo lieta.
Ora accadeva spesso quando suo padre era di lieto umore, o quando c'erano cavalieri stranieri dal re a
corte, che Isotta fosse chiamata a palazzo da suo padre e allora con le arti cortesi e le belle costumanze
che possedeva dilettava lui e con lui molti invitati. Nello stesso modo che rallegrava il padre dava gioia
anche a tutti ugualmente: per poveri e ricchi era un piacere degli occhi, dell'orecchio e del cuore e la loro
gioia era tanto esteriore quanto profonda nel petto. La dolce, la pura Isotta cantava, leggeva o scriveva o
faceva quanto altri desiderassero e questo era per lei un sollazzo. Essa suonava le sue stampenie, i lai e le
canzoni straniere, che non avrebbero potuto essere pi meravigliose, nella guisa di Francia, di Sanze e di
San Dionigi: di queste ne conosceva un gran numero. Con mani bianche come l'ermellino toccava
stupendamente la lira e l'arpa. N in Lut n in Thamise da mani di donna le corde furono toccate pi
dolcemente che in questo luogo. La duze Isot la bele cantava le sue pastorelles, le sue rotrouanges, i suoi
rond, le canzoni, i refloit e le folate, con tale maestria che molti cuori ne furono pieni di nostalgia, e varia
stima e lode ne fu fatta e molto di lei fu narrato, cosa che, come ben sapete, suole accadere allorch si
vede un tale miracolo di bellezza e di cortesia quale si manifestava in Isotta.

A chi posso paragonare la bella e benedetta donna se non a una delle Sirene che con la pietra magnetica
attirano a s le navi? Nello stesso modo mi sembra che Isotta attirasse molti pensieri e molti cuori che si
credevano al sicuro dal turbamento d'amore. Ma queste due cose, navi senza ancora e animo innamorato,
si somigliano e sono ambedue raramente sulla giusta via. Spesso navigano qua e l nell'incertezza
barcollando e ondeggiando su e gi. Parimenti senza guida ondeggia il desiderio, l'incerto animo
innamorato, proprio come fa la nave disancorata. Cos, la leggiadra Isotta, la saggia, la dolce giovane
regina, attraeva i pensieri dall'alveo dei cuori come la calamita attira le barche col canto delle sirene. Il
canto di lei penetrava nei cuori per gli occhi e per gli orecchi, sia esternamente che in segreto. Il suo canto
che si espandeva apertamente tanto in casa che fuori, era la dolce armonia, il soave tocco delle corde che
apertamente risuonava in fondo al cuore attraverso il dominio delle orecchie: invece la musica segreta era
la sua meravigliosa bellezza che con il piacevole suono si insinuava nascostamente in molti nobili cuori e vi
introduceva la mala che afferrava e tratteneva i pensieri con il desiderio e la pena d'amore. Sotto la guida
di Tristano, era dolce di animo e garbata di costumi e di modi, sapeva molto ben suonare con grande
abilit, era capace di comporre lettere e canzoni, di ben limare le sue poesie e di scrivere e leggere.
Intanto anche Tristano era guarito e interamente risanato, cos che la pelle e il colorito riprendevano la loro
tinta chiara. Ora egli era in continuo timore che qualcuno della corte o nel paese lo riconoscesse e stava
sempre riflettendo come prendere congedo in maniera conveniente e togliersi dalle preoccupazioni, poich
sapeva bene che, nel caso, nessuna delle due regine gli avrebbe mai dato licenza. Pensava che la sua vita
era quindi sempre malsicura. Si rec dunque dalla regina e cominci con bella maniera il suo discorso,
come soleva fare sempre e in ogni luogo; pieg il ginocchio davanti a lei e cos parl:
"Madonna, che Dio vi renda nella vita eterna, la grazia, il bene e il soccorso che mi avete dato! Voi avete
agito verso di me in modo cos buono e santo che Dio ve ne deve ricompensare; io cercher di meritarlo
sino alla fine della mia vita in qualunque modo, da povero uomo quale sono, possa promuovere la vostra
lode. Mia nobile regina, col vostro favore, devo tornare al mio paese perch la mia situazione tale che
non posso trattenermi pi a lungo".
La dama rise :
"La tua adulazione - disse -, non ti serve a nulla: io non ti do licenza; non te ne potrai andare prima della
fine dell'anno".
"Non cos, nobile regina; ripensate nell'animo vostro quale sia la legge di Dio nel matrimonio e che cosa
sia l'amore del cuore. Io ho a casa mia una moglie che amo come la mia stessa vita e sono sicuro che
certamente mi crede morto. Ora mio pensiero e mio timore che essa possa venir data a un altro e io
perda cos il mio conforto e la mia vita e sia perduta ogni gioia che spero e attendo e non possa esser
felice mai pi".
"In verit - disse la saggia regina -, se cos, il tuo motivo legittimo. Nessuno, che abbia animo onesto,
deve sciogliere una simile unione. Dio conceda la sua grazia ad ambedue, te e la tua donna; per quanto a
malincuore io rinunci a te, pure me ne priver per amor di Dio. Ti conceder licenza e ti manterr il mio
favore e la mia benevolenza. Io e mia figlia Isotta ti diamo due marchi di rosso oro per il viaggio e il tuo
mantenimento; li riceverai da Isotta".
Egli allora giunse le mani, tanto con lo spirito come col corpo, davanti alle due regine, alla madre e alla
fanciulla:
"Ad ambedue voi - disse -, Dio conceda grazia e onore!".
E senza pi indugiare part per l'Inghilterra e dall'Inghilterra subito per la Cornovaglia.
Allorch suo zio Marco e il popolo appresero che Tristano ritornava guarito, furono tutti, in tutto il regno,
felici dal fondo del cuore.
Il suo amico, il re, gli chiese come ci fosse avvenuto ed egli raccont la sua storia dal principio alla fine,
come meglio sapeva e si fece fra tutti un gran ridere e scherzare sul suo viaggio in Irlanda e su come lo
avesse guarito proprio la mano della sua nemica e su tutto quello che era accaduto col. Dicevano di non
avere mai udito storia cos straordinaria.
Terminato questo e finito che ebbero di ridere sulla sua guarigione e sul suo viaggio, subito si informarono
della fanciulla Isotta.

"Isotta - rispose egli -, tale fanciulla che tutto quanto il mondo dice di lei non che un soffio di vento;
la bionda Isotta una creatura quale mai ne nacque da donna di altrettanto bella ed eletta di persona e di
maniere, n mai ne nascer. La bella, chiara Isotta pi pura dell'oro d'Arabia. Leggendo i libri scritti in
lode della figlia di Aurora, l'inclita Tindaride, io pensavo che in lei sola, come in un unico fiore, fosse
raccolta la bellezza di tutte le donne, ma mi sono ricreduto: Isotta mi ha tolto questa illusione; non creder
pi che il sole sorga da Micene; la perfetta bellezza non nacque mai in Grecia: nata qui. I pensieri di tutti
sono rivolti all'Irlanda: l gli occhi si deliziano e vedono come il nuovo sole si levi dopo la sua aurora, Isotta
dopo Isotta, e risplenda da Develin in tutti i cuori; la bella, chiara Isotta illumina tutti i regni della terra.
Tutto quanto stato detto in lode della donna, quello che le storie narrano in suo onore, tutto nulla. Chi
guarda Isotta negli occhi purifica con quello sguardo il cuore e l'animo come fa il fuoco con l'oro: ama
meglio la vita. Pure nessun'altra donna viene offuscata o sminuita per causa di lei, come spesso si sente
dire: ma la sua bellezza orna, abbellisce e corona la donna e il nome stesso di donna, quindi nessuna ha da
sentirsi umiliata".
Tristano il gentile aveva parlato della sua signora, la fanciulla, la meraviglia d'Irlanda. A coloro che erano
stati presenti e l'avevano ascoltato, il suo racconto aveva addolcito l'animo come fa la rugiada di maggio
col fiore: tutti gli animi ne furono rasserenati. Tristano riprese lietamente la sua vita, una nuova vita che gli
era stata largita: era come un uomo rinato per cui questa cominciasse adesso e ne era felice e giulivo. Il re
e la corte erano pronti a ogni sua volont, finch la rovinosa discordia, l'invidia maledetta che non riposa
mai, cominciarono a insinuarsi in molti dei cavalieri e a turbarli nell'animo e nelle azioni, poich erano
gelosi degli onori e della stima che gli tributavano la corte e gli abitanti tutti del paese. Cominciarono ben
presto a parlare delle cose sue e a spargere la voce che fosse un mago e che tutta la sua fortuna, l'avere
ucciso il loro nemico Morolt e il suo soggiorno alla corte d'Irlanda fosse stato eletto di magia.
"Vedete - dicevano -, osservate e spiegate come si salv dal fortissimo Morolt! Come ingann Isotta, la
saggia regina, sua nemica mortale, che si prese tanta cura di lui fino a guarirlo di sua mano? Osservate il
prodigio e ascoltate: come pu questo ciurmatore abbacinare occhi cos veggenti e fare tutto questo?".
Quelli che facevano parte del consiglio di Marco si misero d'accordo per insistere continuamente presso di
lui col consiglio di prendere moglie, per poterne avere un figlio o una figlia come erede. Marco disse:
"Dio ci ha gi dato un buon erede; Dio faccia che viva. Sappiate che finch Tristano vive non ci sar qui a
corte n regina n signora".
Ma con ci l'invidia che portavano a Tristano si accrebbe sempre pi e cominci a manifestarsi in modo che
essi non poterono pi tenerla nascosta e a volte le parole e gli atti erano tali che egli temeva che lo
uccidessero ed era sempre preoccupato che essi in qualche modo e in qualche momento si mettessero
d'accordo per colpirlo mortalmente. Egli preg suo zio che esaudisse il desiderio dei suoi vassalli e che per
amor di Dio considerasse la tribolazione e l'angustia di lui stesso che non sapeva quando e quale sarebbe
stata la sua morte e la sua fine.
Suo zio da uomo veritiero cos parl:
"Taci, Tristano, nipote mio, giammai acconsentir: non desidero per erede altri che te. E non devi stare in
pensiero per la tua vita: io ti dar buona protezione. Tutta la loro invidia e il loro odio, se Dio con te, come
ti possono nuocere? L'uomo probo e onesto deve saper sopportare l'odio e l'invidia; l'uomo cresce in
dignit finch invidiato. Dignit e invidia sono unite come madre e figlia, la dignit genera sempre e
porta con s odio e invidia. E contro chi si dirige l'odio se non contro un santo uomo? La santit che non ha
mai incontrato odio debole e povera; anche se vivi sempre in modo da non destare odio e fai ogni sforzo
a questo fine non riuscirai mai a non essere odiato. Ma se vuoi non avere male dai malvagi, canta le loro
lodi e sii malvagio con loro, allora non ti odieranno. Tristano, qualunque cosa facciano gli altri, tu fa'
sempre in modo da tenere alto il cuore. Abbi sempre in mente il tuo vantaggio e il tuo onore e non mi
suggerire pi cosa dalla quale possa venirti danno. Qualunque discorso facciano a questo riguardo io non li
ascolter, come non ascolto neppure te".
"Signore, se mi date licenza io voglio lasciare la corte e non posso pi guardarmi da loro. Se devo vivere
in mezzo a questo odio non potr mai essere felice; piuttosto che avere in mano mia tutti i regni in mezzo
a simile angustia preferirei non avere regno alcuno".
Quando re Marco comprese che diceva sul serio lo fece tacere e disse:
"Nipote mio, per quanto volentieri io ti terrei ora e sempre fede costante, tu per non me lo permetti. Di
tutto quello che pu derivarne io non ho colpa. In qualunque modo io ti possa favorire sono pronto a farlo.

Parla, cosa desideri che io faccia?".


"Riunite allora il vostro consiglio di corte che vi ha portato a questo e sondate l'animo di ognuno;
domandate loro come dovreste agire e studiate l'animo loro affinch ci possa farsi con onore".
Cos fu subito fatto e tutti furono chiamati e non per altro che per dispetto a Tristano essi sugerirono che se
fosse possibile, la bella Isotta sarebbe stata adatta per sposa del re, sia per nascita come per virt e
bellezza. E su questo conclusero il consiglio. Si presentarono tutti a re Marco e uno di loro, che sapeva
parlare, manifest per bocca propria il desiderio e la volont di tutti.
"Sire - disse egli -, ecco quello che ci sembra bene: la bella Isotta d'Irlanda , come ovunque noto,
vicino e lontano, una creatura in cui la virt femminile ha messo tutta la perfezione possibile, come voi
stesso avete sovente udito di lei, che perfetta e mirabile di persona e di costumi. Se essa diventa vostra
moglie e nostra signora, non potremo avere miglior fortuna su questa terra con alcuna altra donna".
Il re rispose:
"Vediamo, signori, come ci potrebbe farsi anche se io lo volessi? Riflettete quali da lungo tempo siano i
rapporti fra noi e loro: paese e abitanti ci odiano. Gurmun mi ha in avversione dal fondo del cuore e con
ragione, perch altrettanto faccio io. Chi potrebbe far nascere una cos grande amicizia fra noi due?".
"Signore - ripresero essi -, accade sovente che fra un paese e l'altro corrano offese. Le due parti devono
cercare e trovare consiglio, essi e i loro figlioli. Da opere di odio nasce sovente grande amicizia, rifletteteci
bene. Potreste ancora vedere il giorno in cui l'Irlanda diventasse vostra. L'Irlanda dipende soltanto da loro
tre: il re la regina e Isotta, loro sola erede; essa la loro unica figlia".
A questo re Marco rispose:
"Tristano mi ha gi fatto molto riflettere e ho molto pensato a lei quando egli ne cantava le lodi al mio
cospetto. La mia mente si volgeva a lei, pi che a ogni altra, tanto che qualora ella non diventi mia, non
avr figli da alcun'altra donna. Lo giuro davanti a Dio sulla mia vita".
Questo giuramento non lo fece perch il suo animo inclinasse pi da una parte che dall'altra; ma lo fece
per astuzia, sembrandogli impossibile che una tale cosa potesse riuscire.
Ma il real Consiglio disse allora:
"Sire, ordinate che ser Tristano, qui presente, il quale conosce la corte, porti la vostra ambasciata, ch in
questo modo si raggiunger lo scopo e la sicura meta. Egli saggio e giudizioso, e abile in ogni cosa; egli
pu portare a termine l'impresa. Egli conosce la loro lingua e pu compiere tutto quello che necessario".
"Mal consiglio il vostro - disse re Marco - troppo ricercate il male di Tristano e il suo danno. Egli gi una
volta morto per voi e per i vostri eredi: ora volete farlo morire una seconda volta. No, Signori di
Cornovaglia, dovete voi stessi recarvi col. Mai pi proponetemi lui".
"Sire, - disse per Tristano - non parlano male. E' conveniente che io sia, pi di chiunque altro, ardito e
pronto a eseguire ci che avete in animo ed anche giusto che io lo faccia. Signore, sono io la persona
adatta, nessuno pu servirvi meglio di me. Ora, comandate che essi vengano e ritornino con me e che con
me proteggano il vostro onore e promuovano la vostra causa".
"No, non voglio che tu venga pi mai in loro potere e in mano loro, dopo che Dio ti ha ridonato a me".
"Sire, in verit, bisogna che sia cos: sia che questi altri debbano morire col o salvarsi, uguale sorte
deve essere la mia e la loro. Voglio che, se il paese dovesse rimanere senza erede, vedano essi stessi se
ci sar per colpa mia. Comandate che si preparino. Io stesso guider la nave e li condurr con la mia
propria mano nella felice Irlanda e di nuovo a Develin, verso il sole splendente che forma la gioia di molti
cuori. Chiss che l'impresa non ci riesca? che non riusciamo presso la bella? E se la bella Isotta diviene
vostra, sarebbe piccolo danno anche se dovessimo tutti noi morire".
Quando i consiglieri di Marco compresero dove mirava il discorso, furono a quelle parole cos rattristati
come mai lo erano stati in tutta la loro vita. Ma ormai la cosa era decisa e cos doveva essere.

Tristano scelse a corte, fra i pi fidi del re, venti cavalieri fra i migliori e i pi provati alle fatiche e assold
sessanta uomini fra gente del paese e stranieri; ottenne dal consiglio, senza compenso, venti baroni del
regno. Cos furono in tutto una compagnia di cento e non pi. Con essi Tristano travers il mare; questi
formarono tutta la sua scorta. Aveva procurato grande quantit di viveri e di vesti e vari strumenti di
navigazione, cos che mai nave fu meglio attrezzata per un viaggio di tanta gente.
Si legge nelle storie di Tristano che una rondine era volata dalla Cornovaglia verso l'Irlanda, vi aveva preso
un capello di donna per fabbricarsi il nido (non so dove lo avesse trovato) e lo aveva riportato al di l del
mare. Vi fu mai rondine che facesse il suo nido pi faticosamente, mentre poteva trovare nel suo paese
tanto materiale per costruirlo e invece migr in paese straniero oltre il mare per cercarlo? Dio sa che la
canzone qui si perde nel fiabesco e il racconto balbetta. Anche sciocco chi dice che Tristano navigasse
per il mare con la sua scorta, alla ventura, senza essersi ben reso conto di dove andasse e per quanto
tempo e non sapesse neppure chi doveva cercare. Come punire colui che nei libri fece leggere e scrivere
tali cose? Sarebbero stati tutti pazzi e stolti, il re che mand i suoi consiglieri lontano dal paese, e gli stessi
messi a questo inviati.
Tristano era ora in viaggio e navigava sempre avanti, egli e i suoi compagni, una parte dei quali era in
grande apprensione, cio i baroni, i venti compagni del Consiglio di Cornovaglia; essi tutti avevano grande
angoscia e timore: si vedevano gi tutti morti. Maledicevano col cuore e con le parole l'ora in cui mai
avevano divisato il viaggio in Irlanda. Non sapevano che cosa decidere per la loro vita, proponevano ora
una cosa ora un'altra, si consultavano su questo e su quello e non sapevano a quale partito attenersi che
sembrasse loro sicuro; e ci non fa meraviglia: da qualsiasi parte si volgessero, non c'era da scegliere che
fra due vie, una delle quali doveva costar loro la vita: la fortuna o l'astuzia. Ma l'astuzia era difficile e anche
la fortuna era molto incerta; erano quindi privi di ambedue. Per vari fra essi dicevano:
"Veramente in quest'uomo abbondano saggezza e valore. Se Dio ci d fortuna potremo bene salvarci
con lui, se soltanto volesse moderare alquanto il cieco ardire di cui troppo fornito; egli troppo temerario
e impetuoso e non considera ora quello che fa; non darebbe un mezzo pane per la vita o la morte nostra,
n per la sua; pure la nostra miglior speranza legata alla sua salvezza. La sua scaltrezza ci deve
insegnare come salvare la nostra vita".
Allorch giunsero in Irlanda e vi furono sbarcati udirono la notizia che il re era a Weisefort davanti alla citt;
Tristano fece gettare l'ancora a tale distanza dal porto che prendendolo di mira con l'arco non si sarebbe
potuto colpirlo. I suoi baroni lo supplicarono di dir loro per l'amor di Dio in qual modo volesse chiedere in
sposa la fanciulla; ne andava della loro vita e sembrava loro giusto, e lo era, che egli dicesse loro la sua
intenzione. Tristano replico:
"Non dite altro, badate che nessuno di voi si faccia scorgere dagli abitanti; rimanete tutti nascosti, meno
i marinai e i servi. Questi si informino sul ponte e all'entrata del porto, ma nessuno di voi venga fuori;
tacete, state nascosti; io stesso star all'ingresso perch conosco la lingua del paese. Verranno certo
presto dalla citt con cattive intenzioni contro di noi. Io dovr in questo giorno mentire quanto mai sia
possibile. Nascondetevi dentro, perch se vi scorgono avremo subito battaglia e tutto il paese contro.
Domani mentre sar via (poich voglio uscire di buon'ora a cavallo andando in giro alla ventura, mi debba
o no riuscire), Kurvenal stia alla porta con altri che conoscano la lingua del paese; e a questo ponete bene
attenzione: se io star via quattro giorni o anche tre soli, non mi aspettate pi, ma fuggite di nuovo oltre il
mare e mettete in salvo la vostra vita. Cos io sar solo a scontare con la vita mia l'impresa per questa
donna; allora consigliate il re vostro signore che prenda donna come meglio vi pare. Questo il mio
consiglio e la mia volont".
Il mariscalco del re d'Irlanda che aveva in sua mano e sotto il suo potere la citt e il porto, venne in gran
fretta, armato e in pieno assetto di battaglia, con una numerosa schiera di cittadini e di messi, poich gli
era stato comandato dalla corte- come narra la storia e come sa chi della storia si occupatoche chiunque
approdasse alla riva fosse tenuto prigioniero fino a che non si conoscesse se veniva dal paese di Marco e
se fosse della sua gente.
Questi malvagi assassini e carnefici che avevano sparso tanto sangue inglese innocente in omaggio al loro
signore, arrivarono al porto con archi e balestre ed altre armi come una masnada di predoni.
Tristano, il capitano della nave, indoss un mantello da viaggio non per altro che per meglio occultarsi e
ordin che gli portassero una coppa di rosso oro, lavorato e cesellato con arte straniera alla maniera
anglica. Cos entr in una barchetta assieme a Kurvenal e si diresse verso il porto inviando il suo saluto coi

gesti e con la bocca quanto pi cortesemente sapeva, ma ci nonostante molti degli abitanti correvano ai
loro battelli e dalla riva gridavano ripetutamente:
"Approdate! venite a terra!".
Tristano entr subito in porto:
"Signori disse- ditemi a che scopo venite in questo arnese e che cosa volete in questo malo modo? Il
vostro comportamento pare ostile; io non so da che cosa debba difendermi. Per amor di Dio fate che se c'
qualcuno tra voi che abbia potest nel paese, questi mi ascolti e mi interroghi".
"Eccomi - disse il mariscalco - sono qua io: il mio modo di fare e di agire vi riuscir sgradito poich io
voglio sapere esattamente i vostri scopi e le vostre intenzioni".
"In verit signore - rispose Tristano - io sono dispostissimo a ci; vorrei pregarvi di ordinare di far silenzio
e di lasciarmi parlare ascoltandomi benevolmente secondo il buon uso del paese".
Si fece allora silenzio:
"Signori - cominci Tristano - per quanto riguarda la nostra vita, la nostra nascita, la nostra patria, le
cose stanno come vi dir: noi siamo mercanti e non ce ne vergognamo. Io e i miei compagni ci chiamiamo
negozianti e siamo della Normandia dove sono rimaste le nostre mogli e i nostri figlioli. Noi stessi andiamo
un po' qua e un po' l, di paese in paese comprando ogni sorta di mercanzie e guadagnandoci da vivere.
Circa trenta giorni or sono partimmo dal nostro paese io e due altri mercanti; noi tre volevamo venire
insieme in Ibernia e circa otto giorni fa un mattino di buon'ora un vento violentissimo ci assal, come fanno
spesso i venti, e ci separ noi tre, me solo dai miei due compagni, e non so che cosa sia accaduto di essi
se Dio non li ha protetti o se siano vivi o morti. Io con grande travaglio sono stato malamente sballottato in
questi otto duri giorni finch ieri verso il meriggio, il vento e la bufera essendosi calmati vidi monti e terra.
Gettai l'ancora per riposarmi e mi sono riposato fino a oggi. Questa mattina allo spuntar del giorno mi sono
diretto verso Weisefort, ma trovo qui uguale sfortuna; a quel che sembra sono ancora nella tribolazione.
Pure speravo di essere in salvo qui, perch conosco la citt e vi sono gi stato due volte con dei mercanti;
tanto pi quindi credevo di trovarvi salvezza e favore. Ora sono invece caduto in mezzo a una bufera
peggiore, ma Dio mi pu ancora proteggere: poich non trovo tra questa gente n pace n riposo, me ne
ritorno in mare. L ho ogni modo di difendermi e forza per la lotta nella navigazione. Se invece mi volete
usare cortesia e onore, io divider volentieri con voi quanto possiedo di beni per un solo piccolo favore: che
cio mi concediate di restarmene tranquillo in questo porto con la mia mercanzia finch io possa cercare e
vedere se ho la fortuna di trovare i miei compagni o di averne notizie. Se mi volete concedere questo
favore, ordinate anche che mi diano pace quelli che si stanno avvicinando rapidamente da laggi (non so
chi o quali siano) in piccole barchette; altrimenti me ne ritorno fra i miei senza curarmi affatto di voi".
Allora il mariscalco ordin a tutti di ritornarsene a terra. Allo straniero egli parl come segue:
"Che pegno darete al re perch io vi conservi vita e beni in questo regno?".
"Signore - rispose subito lo straniero -, io vi dar ogni giorno un marco di rosso oro, sia che io lo
guadagni o me lo procuri con la caccia; e voi, se a voi posso affidarmi, avrete per compenso e
ringraziamento questo calice."
"S - dissero tutti subito -, egli il mariscalco e comanda su questo paese".
Il mariscalco prese il suo dono che trov bello e lodevole e permise a Tristano di ancorarsi nel porto e offr
pace e grazia per lui e per i suoi averi.
Erano ben ricchi e lucenti tanto il dono quanto il pegno: ricco e rosso l'oro del re, rosso e ricco il dono al
messaggero: ambedue erano di grande valore; e questo lo aiut molto a ottenere favore e pace.
Ora Tristano ha avuto pace ma che cosa intenda fare ancora nessuno lo sa; a voi per lo diremo perch la
novella non vi venga a noia. La nostra storia dice e racconta d'un serpente che c'era allora in quella terra.
Questo terribile demonio aveva fatto nel paese tale sterminato sterminio che il sovrano aveva giurato con
parola di re che avrebbe dato la sua propria figlia a chi lo avesse ucciso, purch fosse nobile cavaliere. E
questa parola e la dilettosa donna costarono la vita a migliaia di cavalieri che vennero al cimento e vi

trovarono la morte; di questa novella il paese era pieno. Anche Tristano la conosceva e questa sola ragione
lo aveva spinto a intraprendere il viaggio; questa era la sua miglior speranza, altro conforto non aveva. E
con questo ormai tempo che riprendiamo il racconto.
Il giorno seguente molto di buon'ora egli si arm completamente come si conviene a chi deve affrontare il
pericolo e inforc un robusto destriero; si fece dare una lancia, la migliore e la pi forte che si trovasse
nella nave. Cos si avvi a cavallo attraverso campi e praterie e si addentr nei boschi per molte vie e molti
sentieri. E sul meriggio diresse arditamente il cavallo verso la valle di Anfergynnt dove era l'antro del
drago come si legge nella geste. L egli vide fuggire galoppando in gran fretta, per dritto e per traverso
anzich sul sentiero, quattro uomini armati. E uno dei quattro era il siniscalco della regina che era e si era
messo in mente di essere l'amis della giovane principessa, pur a dispetto di lei. E quando qualcuno
scendeva in campo, fosse per tentare la sorte oppure per far mostra della propria forza, anche il siniscalco
si trovava sempre e dovunque presente, soltanto perch si potesse dire che lo si vedeva ovunque vi fosse
un azzardo: cos e non altrimenti era da intendere la cosa, poich egli mai vide il drago senza fuggirsene
subito.
Ora, da questa masnada in fuga, Tristano comprese che il drago non doveva essere lontano; si diresse
dunque da quella parte e non cavalc a lungo prima di scorgere il ripugnante mostro, l'orrore dei suoi
occhi: questi, da vero figlio del diavolo, soffiando fumo e fuoco dalle fauci, gli si rivolt subito contro.
Tristano abbass la lancia, diede di sprone al cavallo e gli fu addosso con tale impeto che gli conficc la
lancia nella gola trapassandola e giungendo sino al cuore; ed egli stesso si lanci cos violentemente sul
serpente che il cavallo ne rimase morto e lui stesso a mala pena si salv. Il drago si gett col suo alito
infuocato sul destriero di cui presto non rimase che la sella. Per la lancia che lo feriva gli causava tale
dolore che lasci il cavallo e si diresse verso una frana di pietre. Il suo rivale Tristano lo insegu mentre il
mostro avanzava strisciando e ruggendo di rabbia cos che tutta la foresta risuonava di quella orribile voce
e molti cespugli ardevano in quel fuoco rovinoso e venivano sradicati dalla terra; cos continu a
divincolarsi finch il dolore lo vinse ed esso si trascin sotto una roccia vicina. Tristano impugn la spada
credendo di trovarlo stremato di forze, ma invece fu lotta pi aspra di prima e mai ve ne fu di cos dura.
Tristano attacc il drago, questo attacc l'uomo e lo ridusse a tale estremo che egli si credette morto. Non
gli lasciava modo di battersi, gli impediva i colpi e la difesa. Il mostro aveva con s un grande esercito:
portava con s nel cimento fumo e vapore e altri aiuti di zanne, di fuoco e di colpi, di artigli cos aguzzi e
pi affilati di un rasoio; con questi lo trascin su e gi per molti tormentosi giri da un albero e da un
cespuglio all'altro. Tristano era obbligato a nascondersi e a salvarsi come poteva perch il combattere non
gli serviva a nulla per quanto si sforzasse, tanto che lo scudo in mano sua era bruciato e quasi
carbonizzato poich il mostro lo investiva col fuoco in modo che a mala pena poteva sfuggirgli.
Pure, tutto ci non dur a lungo, e il serpente maligno ben presto cominci a cedere e a vacillare, la lancia
lo feriva tanto profondamente che giacque contorcendosi di continuo. Tristano fu svelto ad accorrere e gli
immerse la spada nel cuore fino all'elsa come aveva fatto con la lancia. Allora il mostro emise dalla sua
orrida gola un urlo cos terribile come se cielo e terra sprofondassero e il pauroso rumore risuon lungi nel
piano e molto spavent Tristano. Quando questi vide il drago che giaceva morto gli apr le fauci con grande
fatica e con la spada tagli della lingua quel tanto che gli parve, se la nascose in seno e gli chiuse di nuovo
la gola.
Quindi se ne ritorn nel bosco e ci fece perch aveva intenzione di nascondersi col e riposare alquanto
per rimettersi in forze e ritornare poi di notte dai suoi compagni. Ma lo vinse il caldo e anche la fatica per la
lotta sostenuta contro il drago ed era tanto abbattuto che non aveva quasi pi forze e voglia di vivere.
Scorse allora un laghetto non grande n largo nel quale scorreva da una roccia una piccola fresca
sorgente. Vi si lasci cadere con tutta l'armatura immergendosi sino in fondo e non lasciando fuori che la
bocca. L giacque tutto il giorno e tutta la notte perch la malaugurata lingua che portava addosso gli
toglieva ogni forza. Il fetore che da questa saliva lo privava di energia e di colore ed egli non si mosse di l
finch non lo port via la regina.
Il siniscalco che, come ho detto, voleva essere l'amico e il cavaliere della fanciulla gentile, cominci a darsi
molto pensiero del ruggito del drago che cos alto e terribile aveva echeggiato nel bosco e nella campagna.
Si rese conto fra s di come le cose fossero andate e pens: "Colui certamente morto o ridotto in tale
stato che con poca fatica lo potr vincere". Si allontan dagli altri tre compagni, scese gi dal pendio, e
cavalc poi verso il luogo da cui era venuto l'urlo.
Giunto al cavallo si ferm per riposarsi e si trattenne a lungo riflettendo con timore e angustia; il breve
viaggio gli faceva gran paura e spavento.

Pure finalmente si fece coraggio e cavalc contro voglia spaventato e timoroso nella direzione dove
scorgeva erbe e foglie bruciate. E giunse in breve senza avvedersene proprio l dove giaceva il drago. Il
siniscalco prese un tale spavento per trovarglisi cos vicino che quasi cadde a terra. Fu cos pronto a
volgere il cavallo con tanta furia che precipit insieme a questo. Quando si rialz non fu neppure in grado
dalla paura che aveva di rimettersi in sella; il vile siniscalco lasci l il cavallo e fugg. Ma poich nessuno
lo inseguiva si ferm e strisciando si avvicin di nuovo, afferr la lancia, prese il cavallo per la briglia e
giunto a un tronco rimont in sella, dimentic il suo spavento e osserv da lontano il drago semmai desse
segni di essere vivo o morto. Quando lo vide immobile "Evviva, se Dio vuole! - esclam - ecco una fortuna
trovata, sono arrivato giusto in tempo e in buon'ora". Con ci egli abbass la lancia, sciolse la briglia, men
di gran colpi galoppando come all'assalto con alte grida di guerra:
"Schevaliers, daimoisele, ma blunde Isot, ma bele".
Colpiva con tanta forza che la robusta asta di frassino gli scivol dalla mano. Ma se si arrest lo fece
soltanto perch gli venne il pensiero: se chi ha ucciso questo drago ancora in vita quello che voglio fare
non mi porter alcun vantaggio. Quindi volgendo il cavallo si mise a cercare qua e l nella speranza che,
trovandolo in qualche luogo stanco e ferito, si sarebbe azzardato a sfidarlo, lo avrebbe combattuto e ucciso
e dopo ucciso seppellito. Ma non trovandolo, "lasciamo stare - pens che sia vivo o morto sono io il primo
qui; nessuno pu testimoniare contro di me; possiedo amici e uomini fidi, sono amato e tenuto in conto
tanto che chi vi si azzardasse perderebbe senz'altro". Spron il cavallo e ritorn verso il suo avversario il
drago; smont e ricominci le finte come poc'anzi, con la spada che portava punse e colp il nemico da
tutte le parti e lo scortic in vari punti. Si prov a tagliare il collo che avrebbe volentieri staccato ma era
cos duro e grosso che la fatica lo respinse. Spezz allora la spada su di un ceppo e infisse la punta nella
gola del drago come se vi fosse stata una lotta. Quindi rimont sul suo destriero spagnolo e se ne ritorn
allegramente a Weisefort e subito fece apprestare quattro cavalli e un carro che dovevano riportare la
testa del mostro e raccont a tutti come tutto ci gli fosse riuscito e quante pene e fatica gli fosse costato.
"S - disse - Signori, tutti prestino orecchio e considerino questo miracolo e vedano quello che per la
donna amata pu compiere un uomo di coraggio e un animo risoluto. Sempre pi mi stupisce e mi fa
meraviglia che io sia sfuggito al pericolo nel quale ero incorso e mi sia salvato; sono anche convinto che se
fossi stato debole come un qualunque altro uomo non ne sarei uscito sano. Un avventuriero, che non so chi
fosse, andando in cerca di avventure era giunto per sua mala sorte col prima che vi arrivassi io e vi aveva
trovato la morte; sono stati divorati ambedue, uomo e cavallo, e sono morti; Dio li ha dimenticati. Il cavallo
giace ancora l dimezzato e bruciato. Che bisogno c' pi di parole? io ho sofferto il travaglio pi grande
che mai abbia sofferto creatura nata di donna".
Radun poi i suoi fidi e con essi ritorn l dove era il serpente e mostr loro la sua gloriosa impresa. Li
preg ancora uno per uno di testimoniare della verit di ci che avevano veduto. Quindi fece portare via la
testa. Chiam parenti e amici e corse dal re e gli ramment la sua promessa. Fu per questo fissato un
giorno a Weisefort e vi fu invitato tutto il paese, intendo i baroni del regno; questi si prepararono tutti e
furono pronti a corte per il giorno stabilito.
Anche le dame furono informate e mai si vide in donne maggior dolore e passione di quanto ne ebbero
tutte. La dolce fanciulla, la bella Isotta, aveva la morte nel cuore; mai aveva veduto pi triste giorno. Sua
madre Isotta cos le parl:
"Mia bella figliola, lascia andare, non ti affliggere cos, perch in qualunque modo, sia con la verit, sia
con la menzogna sapremo ben trovare rimedio e Dio stesso ci difender. Non piangere, figlia mia, i tuoi
limpidi occhi non devono arrossarsi per cos misera causa".
"Ah, madonna, e madre mia - disse la bella - non vogliate avvilire la vostra nascita e la mia. Piuttosto
che obbedire mi pianto un coltello dritto nel cuore: prima che egli faccia di me la sua volont mi tolgo io
stessa la vita. Egli non avr mai in Isotta donna o dama; non mi avr che morta".
"No, mia bella figliola, non temere; checch egli o altri possano dire, sar tutto inutile, e se anche il
mondo intero lo avesse giurato, egli non sar mai tuo marito".
Al cadere della notte la saggia dama consult la sua segreta scienza in cui era ben esperta, intorno a
questa pena di sua figlia e vide in sogno che non era vero quello che si veniva raccontando in giro.
E appena si fece giorno chiam Isotta e le disse:

"Sei sveglia, mia dolce figliola?".


"S, madre mia, lo sono".
"Cessa dunque di angustiarti; ti devo dare una buona novella: non egli ha ucciso il drago. Qualunque sia
l'avventura che qui lo ha condotto, stato uno straniero a ucciderlo. Alzati dunque, dobbiamo andare in
fretta a sincerarcene noi stesse. Brangaene, levati in silenzio e di' da parte nostra a Paraneis che prepari in
fretta le nostre cavalcature: dobbiamo andare fuori noi quattro, io, mia figlia Isotta, tu e lui: conduca i
cavalli al pi presto possibile davanti alla porta segreta, l dove il verziere si apre sulla campagna".
Allorch tutto fu pronto, la comitiva mont in sella e si diresse l dove aveva udito che il drago giaceva
morto. Quando trovarono il cavallo si misero a osservarne la bardatura e pensarono che mai in Irlanda se
ne era veduta di quel genere e ne conclusero che chiunque fosse il cavaliere che quel cavallo aveva
portato, era quello stesso che aveva ucciso il drago. Continuando ad avanzare trovarono il serpente.
Questo figlio del diavolo era cos grosso e mostruoso che alla sua vista la chiara comitiva femminile
divenne del pallore della morte, ma la regina disse alla figlia:
"Ora sono sicura che il siniscalco non mai stato capace di vincerlo! Possiamo abbandonare ogni timore
e in verit, Isotta, figlia mia, io ho idea che l'uomo vivo o morto debba essere nascosto in qualche luogo
qui vicino: me lo dice il mio animo profetico. Su, dunque, se sei d'accordo mettiamoci alla ricerca e
vediamo se Dio ci concede di trovarlo in qualche luogo e con questo di vincere la vana angoscia che ci
opprime come la morte".
Si consultarono subito e tutti e quattro si misero in cammino cavalcando separatamente e cercando l'uno
di qua l'altro di l.
Ora accadde come doveva succedere, come era giusto, che la giovane regina Isotta fosse la prima a
scorgere colui che doveva essere la sua vita e la sua morte, la sua gioia e il suo dolore. Dall'elmo di lui
veniva un chiarore che ne annunciava la presenza.
Appena ebbe scorto l'elmo ella si volse indietro e chiam la madre:
"Madonna, affrettatevi, avvicinatevi, io vedo luccicare qualche cosa e non so che cosa sia. Sembrerebbe
un elmo, mi pare di aver visto bene".
"In verit - disse la madre -, anche a me pare cos. Dio ci vuole proteggere; io credo che abbiamo gi
trovato colui che cerchiamo".
Cos esse chiamarono gli altri due compagni e tutt'e quattro cavalcarono a quella volta.
Quando si avvicinarono e lo videro giacere l, credettero tutti che fosse morto.
"E' morto - esclam ciascuna delle due Isotte tutta la nostra speranza svanita, il siniscalco lo ha
vilmente assassinato e lo ha portato in questa palude".
Tutti e quattro scesero da cavallo e lo ebbero presto tratto a terra, gli tolsero l'elmo, e sciolsero la cuffia.
La saggia Isotta lo guard e vide che s viveva, ma che la sua vita pendeva da un capello:
"In verit - disse -, egli vive. Ora toglietegli l'armatura e se avr la fortuna che egli non muoia tutto si
pu accomodare".
La chiara compagnia delle tre belle donne cominci a disarmare con le bianchissime mani lo straniero e
allora esse trovarono la lingua:
"Aspetta, guarda, - disse la regina -, che cosa mai questo? Brangaene, cara nipote, parla".
"E' una lingua mi sembra."
"Dici il vero, Brangaene? Anche a me sembra e io prego che sia quella del drago: la nostra fortuna
veglia, figlia del mio cuore, o bella Isotta, io sono sicura come della morte che siamo sulla giusta via. E

questa lingua gli ha tolto la forza e i sensi".


Lo disarmarono allora e poich non trovarono su di lui lesioni o ferite ne ebbero grande gioia. Presero allora
del theriacum e la saggia regina glielo introdusse in bocca cos che egli cominci a sudare.
"Guarir - disse -; il veleno che ha assorbito dalla lingua sta gi uscendo; ora potr vedere e parlare.
Cos accadde infatti: egli non rimase a lungo a giacere, ma incominci ad aprire gli occhi e a guardarsi
intorno.
Quando ebbe scorto intorno a s la dilettosa schiera, disse nell'animo suo:
"Ah, Signore, non mi hai dimenticato, Dio buono! tre luci, le pi belle che il mondo abbia, mi assistono,
esse, beatitudine e conforto di molti cuori e gioia degli occhi per gli uomini: Isotta il chiaro sole e anche
Isotta sua madre, la gaudiosa aurora e la fiera Brangaene, come raggio di luna piena".
Cos si riebbe e chiese con debole voce:
"Ah, chi siete e dove sono?".
"Oh! cavaliere, puoi parlare? parla dunque e noi ti soccorreremo nella tua necessit", disse la saggia
Isotta.
"Cos sia, dolce madonna, benedetta signora; io non so come il mio corpo e tutte le mie forze siano in
breve volgere di tempo indeboliti e fiaccati".
La giovane Isotta lo guard:
"Questo Tantris, il menestrello - disse -, tale come io lo ho veduto".
Ognuna delle altre disse pure:
"Anche a me pare in verit che sia cos".
La saggia regina riprese:
"Sei tu Tantris?".
"S, madonna."
"Dimmi - continu ella -, da dove sei venuto e come? e che cosa cerchi qui?".
"O tu fra le donne la pi benedetta, io non sono ancora abbastanza in forze da potervi raccontare la mia
storia nei particolari. Per amor di Dio fatemi condurre o portare in un luogo dove qualcuno si prenda cura di
me per oggi e per questa notte, e quando sar rinvigorito giusto e doveroso che io faccia e dica ci che
vi piace e vi aggrada".
Fra loro quattro sollevarono Tristano e lo posero su di un cavallo e lo condussero via, riportandolo
attraverso la porticina segreta, cos silenziosamente che nessuno si accorse della loro andata n del loro
ritorno; gli prodigarono poi cure e aiuto. Della lingua di cui abbiamo detto sopra, delle sue armi e di tutta la
sua attrezzatura non rimase l n un filo n un anello; tutto fu portato al castello, tanto l'armatura quanto
il cavaliere.
Il giorno seguente la saggia regina lo prese in disparte:
"Ors, Tantris, per il favore che ti ho dimostrato adesso e in passato quando per ben due volte ti risanai
e ti fui benevola e soccorrevole quando dovesti andare da tua moglie, dimmi quando sei venuto in Irlanda
e come hai ucciso il serpente?".
"Madonna, ora ve lo dir: io sono giunto a questo porto solo da poco tempo, sono oggi tre giorni, in un
battello con altri mercanti; allora, non so per quale destino vennero dei pirati che, se non avessi rimediato
con i miei averi, ci avrebbero tolto, oltre i beni, anche la vita. Ci accadde perci di doverci trattenere ed
essere ospiti in vari paesi stranieri, non sapendo di chi fidarci, perch ci viene fatta spesso violenza.
Sapevo quindi che avrei fatto bene a farmi notare nel paese con qualche impresa; poich essere noto in
paese straniero avvantaggia il mercante. Vedete, madonna, era questo che io pensavo, poich da lungo

tempo sapevo la storia del serpente e solo per questa ragione lo ho ucciso. Spero che cos trover pi
facilmente pace e grazia presso la gente di questo luogo".
"Pace e grazia - disse Isotta -, ti accompagneranno fino alla morte con quell'onore che mai ti verr
meno. Sei qui giunto in buon'ora tua e nostra. Ora pensa quello che il tuo cuore desidera e questo sar
fatto e te lo otterr dal re mio signore e da me stessa".
"Grazie, madonna, allora io affido la mia barca e me medesimo interamente alla vostra protezione.
Procurate che non mi debba mai pentire di avervi dato in custodia beni e vita".
"No, Tantris, in verit ci non sar mai; non avere pi pensiero per la tua vita e per i tuoi averi; il mio
onore e la mia fede, prendile qui in mano tua, che mai in Irlanda ti accadr alcun male. Ora non mi rifiutare
una preghiera e dammi consiglio e assistenza in una questione da cui dipendono il mio onore e tutta la mia
felicit".
E gli narr come il siniscalco si vantasse di questa impresa e come sbito egli facesse valere il suo diritto
su Isotta e come pronto fosse a difendere la falsit e la menzogna in campo aperto, se si trovasse qualcuno
che vi si azzardasse:
"Madonna - rispose Tristano - non vi prendete pensiero alcuno per questo: mi avete ben due volte, con
l'aiuto di Dio, reso vita e salute e giustamente debbono ambedue essere al vostro servizio per questa
tenzone e in ogni altra necessit finch mi dura la salute".
"Dio te lo rimeriti, caro Tantris; di te sono sicura e voglio anche confidarti che se questo malanno
dovesse veramente aver luogo, saremmo tutte e due morte, Isotta e io, anche se il corpo fosse ancora
vivente.".
"No, madonna, non dite cos: poich sono sotto la vostra guarentigia e la mia persona e tutto quello che
posseggo resta ancora affidato al vostro onore, devo io pure darvi sicuro affidamento; quindi, madonna,
state tranquilla. Aiutatemi soltanto a guarire e rimetter io tutto a posto. E ditemi, madonna, sapete se la
lingua che fu trovata su di me sia rimasta col? o dove l'abbiano messa?".
"In verit, io la ho qui con tutto il resto che ti appartiene; io e la mia bella figliola, Isotta, abbiamo
portato via tutto".
"Buon per noi - replic Tristano -; ora, nobile regina, lasciate ogni preoccupazione e aiutatemi a
riprendere le forze e tutto sar presto risolto".
Le due regine lo presero in cura, ambedue insieme e separatamente. La loro maggior preoccupazione era
di conoscere quello che meglio potesse servire alla guarigione di lui e al suo benessere.
Intanto sul battello i suoi compagni erano in grande angustia perch temevano di essere perduti e, dopo
due giorni non avendo avute notizie di lui, nessuno di essi credeva ancora di potersi salvare. Avevano
anche udito l'urlo del drago ed era pure molto diffusa la voce che un cavaliere fosse rimasto ucciso e che
met del cavallo giacesse ancora sul luogo. Essi pensarono subito:
"Chi potrebbe essere se non Tristano?", poich non dubitavano che se la morte non lo avesse colto, egli
sarebbe gi ritornato.
Cos si consultarono fra loro e mandarono Kurvenal a riconoscere il destriero; egli and, lo vide e lo
riconobbe per quello di Tristano e, avanzando, trov anche il drago; ma non rinvenendo null'altro di suo, n
vesti n armatura, venne in grande dubbio.
"Ah - pensava - ser Tristano, sei vivo o morto? ahim, ahim! Isotta, la tua fama e le tue lodi non fossero
mai giunte in Cornovaglia! poich la tua bellezza e la tua virt hanno condotto a perdizione e a rovina una
delle pi nobili nature che mai siano state insignite dell'onore della spada; tu troppo gli sei piaciuta!".
Cos egli ritorn alla loro nave piangendo e lamentandosi e raccont quello che aveva veduto. La notizia
addolor molti, ma pure non tutti; la stessa triste novella non fu triste per ognuno: pi di uno la sopport
assai bene; ma in molti altri, ed erano i pi numerosi della compagnia, si vedeva che cagionava loro
grande rammarico. Cos l'affetto e l'animo loro erano divisi fra bene e male. E in questo dissidio parlavano
e mormoravano fra loro discordi. I venti baroni non erano sinceramente dolenti di questo dubbio che era

stato loro manifestato; speravano di ritornarsene indietro e pregavano che non si indugiasse pi a lungo; e
tutti (intendo i venti baroni) volevano far vela la notte stessa. Altri per consigliavano diversamente, che si
rimanesse cio, aspettando di sapere meglio quello che fosse avvenuto. C'era dunque discordia fra loro, gli
uni volevano partire, gli altri restare, finalmente fu deciso di restare ancora almeno due giorni,
informandosi e domandando notizie, poich la sua morte non era certa e palese. I baroni di ci si
lagnarono.
Intanto a Weisefort era giunto il giorno da Gurmun fissato per l'incontro della fanciulla sua figlia e il
siniscalco. I vicini, i fidi e i parenti che Gurmun aveva convocato a consiglio erano tutti presenti. Egli li
prese a parte uno per uno e li interrog stringentemente come uno cui ne vada del proprio onore e a cui
null'altro prema. Mand anche a invitare al consiglio la sua diletta sposa, la regina. Ben poteva ella essergli
cara poich in lei trovava riunite due qualit benedette, le migliori che si possano trovare nella donna
amata, bellezza e saggezza; essa le possedeva in tale misura che poteva davvero essergli cara. La bella e
saggia regina era dunque presente. Il re suo sposo la prese in disparte dall'assemblea:
"Che cosa mi consigli tu? dimmelo! - le chiese - per me questa questione dura come la morte".
"State di buon animo - replic la regina Isotta sapremo ben liberarcene; io ho scoperto tutto".
"Come? donna del mio cuore, dillo anche a me, in modo che io possa rallegrarmene con te".
"Vedete, per quanto il nostro siniscalco lo affermi, non lui che ha ucciso il drago e io so bene chi
stato e lo prover quando sar necessario. Lasciate dunque ogni timore, ritornate alla vostra assemblea e
annunziate che quando avrete constatato la sincerit del siniscalco manterrete il giuramento che avete
fatto al paese. Comandate che tutti vengano con voi e sedete a giudizio. Non temete di nulla: lasciate che
il siniscalco parli e dica quello che vuole; quando sar il momento verremo io e Isotta e quando me lo
comanderete parler io per lei, per voi e per me. Rimaniamo d'accordo cos. Ora vado da mia figlia e presto
ritorneremo ambedue".
Essa si rec dalla figliola e il re ritorn nel palazzo, sedette a giudizio e con lui molti baroni, giudici nel
paese. Vi era grande raduno di cavalleria, venuta non solo e non tanto per fare onore al re, ma anche
perch tutti volevano vedere che cosa sarebbe risultato da questa storia di cui tutto il paese parlava.
Quando le due gentili Isotte entrarono nel palazzo salutarono i signori ognuno separatamente e ne
ricevettero il saluto. Fra questi ci fu un gran parlare e molti discorsi sulla bellezza di ambedue le regine e
ancor pi si diceva della fortuna del siniscalco.
"Ecco - pensavano e dicevano - osservate come a questo sciagurato che non ha mai meritato bene,
debba essere data questa meravigliosa fanciulla; egli cos otterr la maggiore felicit che chiunque possa
trovare in una donna".
Esse giunsero cos fino al re. Questi si lev e and loro incontro e cortesemente le fece sedere accanto a
s.
"Ora - disse egli - siniscalco, parla: chiedi, che cosa vuoi?".
"Molto volentieri, o re - disse egli; - io esigo e chiedo che non violate in me la parola di re data al paese.
Se volete confermarla, voi diceste e giuraste, con parola e con giuramento, che qualora un cavaliere
avesse ucciso di propria mano il drago, gli avreste dato per ricompensa vostra figlia Isotta. Questo voto fu
la rovina di molti; ma io non vi posi mente perch amavo la fanciulla e rischiai la vita pi pericolosamente
di quanto mai uomo abbia fatto, sinch alla fine mi riusc di uccidere il mostro. Questo vi basti: ecco qui la
testa; guardatela; l'ho portata per testimonianza; ora sciogliete il vostro impegno: parola di re e
giuramento di re devono essere veritieri e mantenuti".
"Siniscalco - disse la regina - colui che pretende una cos ricca ricompensa come mia figlia Isotta, senza
averla veramente meritata, ha in verit troppo ardire".
"Ah - disse allora il siniscalco - madonna, voi fate male a parlare cos, il re mio signore, che deve
decidere, pu ben parlare egli stesso. Parli dunque egli e mi risponda".
Il re disse:
"Madonna, parlate voi per conto vostro, per Isotta e per me".

"Grazie a voi, sire; cos far".


La regina riprese:
"Siniscalco, il tuo amore puro e giusto e tu possiedi anche virile coraggio: sei dunque ben degno di una
buona sposa. Chi per chiede una cos alta ricompensa quando non l'abbia meritata, commette in verit un
delitto. Tu ti sei attribuito un'impresa e un atto di valore, come mi stato detto, in cui non hai avuto parte".
"Madonna, non so come parlate; ho pur portato qui la prova".
"Tu hai portato qui una testa, questo lo potrebbe facilmente fare chiunque volesse ottenere Isotta. Essa
per non sar guadagnata con cos poca fatica."
"No, invero disse la giovane Isotta - io non voglio essere acquistata cos a buon mercato".
"Ahim, mia giovane signora - replic allora il siniscalco ahim, che nei miei riguardi possiate parlare
cos sprezzantemente della fatica che ho tante volte sofferta per amor vostro e portata a buon fine".
"Se anche voi mi amate - disse Isotta - io non ho mai avuto per voi n amore n amicizia, n, in verit,
mai ne avr".
"Gi - replic l'altro - lo so bene, voi fate proprio come tutte le donne: siete tutte uguali di modi e di
animo; a voi il male sembra sempre bene, il bene sempre male; questa tendenza molto forte in voi tutte;
sbagliate in ogni senso: gli sciocchi sono tutti saggi per voi e i saggi sciocchi, i dritti li fate storti e gli storti
a loro volta dritti; avete preso il vostro filo alla rovescia, amate chi vi odia e odiate colui che vi ama. Come
avviene che siete cos fatta che, come si vede, tanto vi piace la contraddizione delle cose? Ci che vi vuole
non lo volete e volete invece quello che non vuole voi. Voi siete il gioco pi pazzesco che mai si sia veduto
su di uno scacchiere. E' ben insensato colui che mette a repentaglio la propria vita per una donna! eppure,
nonostante tutto quello che voi dite e che madonna afferma, avr ben altro responso: altrimenti vorr dire
che il giuramento sar stato infranto".
La regina riprese:
"Siniscalco, la tua mente salda e acuta; chiunque abbia senno perspicace si accorge che la tua
saggezza sembra si sia maturata nella "kemenate" (2) e ti venga dai conversari con donne. Ti sei
dimostrato un vero cavaliere di dame.
Conosci troppo bene il costume femminile e ne sei troppo esperto e ci ti ha fatto perdere il tuo virile
carattere. Anche tu ami troppo la contradizione delle cose, anzi mi pare che in questa ti trovi a tuo agio.
Hai preso per tua norma lo stesso sistema femminile: ami chi ti odia, vuoi chi non ti vuole; questo il gioco
di noi donne: come te lo permetti anche tu? Dio ti aiuti, tu sei un uomo, lasciaci dunque il nostro uso
donnesco; questo non ti giova; tienti il tuo senno da uomo e ama chi ti ama e brama chi ti vuole, cos avrai
fortuna nel gioco. Tu affermi e insisti che vuoi Isotta ed essa non ti vuole: questo il suo temperamento:
chi pu farci nulla? Essa ha gi tralasciato molte cose che avrebbe potuto avere; ha in avversione quelli
che pur l'avrebbero molto cara, fra i quali tu sei ora il primo. Questa tendenza l'ha ereditata da me: io
stessa non ho mai avuto per te simpatia alcuna e cos, lo so, di Isotta, lo ha preso da me. Tu sprechi per
lei molto amore: la bella, la pura fanciulla sarebbe davvero un bene troppo comune se dovesse subito
volere colui che la vuole. Siniscalco, come tu hai detto, il mio Signore deve mantenere il suo giuramento:
vedi tu che nel tuo dire e nel tuo racconto nulla manchi o venga tralasciato. Prora la tua causa. Io sento
dire che il drago stato ucciso da altri che da te: vedi che cosa puoi dircene tu".
"Chi sarebbe costui?".
"Io ben lo conosco e lo posso produrre quando occorra".
"Madonna, non c' uomo che tanto osi e che voglia con la menzogna togliermi l'onore, e che non mi dia
il modo e il diritto di arrischiare la mia vita e la mia persona, secondo il giudizio della Corte, in singolar
tenzone prima che io mi allontani di un passo".
"Di questo ti do lode - disse la regina - e sar io stessa garante che ti accorder la tua domanda e ti

condurr qui per il duello, fra tre giorni da oggi (poich non mi possibile farlo in questo momento), colui
che uccise il drago".
"Basta cos"- disse il re e anche tutti i cavalieri dichiararono:
"Siniscalco, va bene cos; questo un breve indugio, va', accetta l'impegno e lo stesso faccia madonna
la regina".
Il re prese allora da ambedue promessa e sicura garanzia che questa finale tenzone sarebbe stata tenuta
al terzo giorno. E cos termin la questione.
Ambedue le regine si ritirarono e presero in diligentissima cura il loro menestrello. Il loro pensiero era
sempre rivolto con dolce preoccupazione a tutto ci che potesse giovargli. Ora egli era ben guarito, agile di
corpo e ben colorito in volto. Isotta stava sovente a guardarlo e ne osservava con grande attenzione
l'aspetto e i modi; considerava di nascosto le sue mani e il suo volto, guardava le braccia e le gambe che
rivelavano ci che egli cos segretamente celava. Essa lo considerava da capo a piede e tutto quello che a
una fanciulla lecito guardare in un uomo, tutto le piaceva e tutto lodava in cuor suo.
Ora la bella, la buona fanciulla, vedendo e considerando la nobile prestanza e le signorili maniere di lui,
disse segretamente in cuor suo:
"Signore Iddio onnipotente, se ci pu essere qualche difetto in ci che creasti, allora invero lo sbaglio
proprio qui in questo nobilissimo uomo, nel quale hai profuso tanta bellezza di corpo e che costretto a
errare di paese in paese cercando il suo sostentamento: sarebbe giusto che un regno o un paese gli
obbedissero; cos dovrebbe essere! Il mondo ben strano. Tanti regni sono governati da mani deboli e
invece nessuno di questi toccato a lui. Una cos regale figura, ricca di tante virt, dovrebbe possedere
beni e onori; grande torto gli stato fatto. Signore Iddio, gli hai dato una vita troppo in disaccordo con la
sua persona".
Cos spesso diceva la fanciulla. Intanto anche sua madre aveva parlato al re del mercante e narrato tutto
fino dal principio, come gi avete udito, e aveva detto come egli fosse venuto e non chiedesse se non pi
ampia protezione qualora dovesse ritornare in questo regno. Tutto ci ella aveva narrato in segreto al re
con ogni particolare.
Intanto la fanciulla aveva ordinato al suo scudiero Paranise di ripulire e lustrare bene l'armatura e le armi di
Tristano e di prendere diligente cura di tutta la sua roba; cos fu fatto: tutto era bello e pronto e disposto in
bell'ordine, un pezzo sull'altro. Quindi Isotta venne in segreto e osserv tutto particolarmente; ma sfortuna
volle che essa vi trovasse, come l'altra volta era accaduto, nuovo tormento per il cuore. Il suo cuore era
intento e il suo occhio rivolto all'armatura che le giaceva davanti; ora non so come accadde che ella prese
in mano la spada, cos come per gioco sogliono sovente fare fanciulli e fanciulle e, come Dio sa, anche pi
di un uomo adulto; la sguain e la guard osservandola da tutte le parti e scorse anche la falla; consider a
lungo la malaugurata scheggiatura e pens fra s:
"Dio mi aiuti! io credo di avere il frammento che qui si adatta, anzi voglio andare a prenderlo".
Lo trov dunque e ve lo intromise; ora la falla e il pezzo mancante combinavano perfettamente come se
fossero una cosa sola, quali infatti erano stati due anni prima.
Le si gel il cuore per l'antica pena. Dall'ira e dal dolore il suo volto passava da un pallore di morte al
rossore del fuoco:
"Ahim - diceva - sventurata Isotta! guai a me e anche a voi o armi! Chi ha portato qui dalla Cornovaglia
quest'arma sciagurata? Con essa venne ucciso mio zio e colui che lo uccise si chiamava Tristano; chi l'ha
donata a questo menestrello il cui nome Tantris?".
Essa cominci allora tra s a mettere a raffronto i due nomi e a pronunciarli a voce alta:
"Oh, Signoredisse di nuovo -, questi due nomi mi tormentano; non posso capire come sia, ma suonano
molto simili fra loro. Tantris pronunzi - e Tristan! qui c' davvero un mistero".
Ora quando cominci a ripetere e a ridire i due nomi, le avvenne di por mente alle lettere di cui ambedue
erano formati e trov che erano le medesime nell'uno e nell'altro. Prese allora a dividerle in sillabe e le
spost avanti e indietro: rintracci cos il nome vero. In un senso leggeva Tristan, nell'altro leggeva Tantris;

cos fu sicura del nome.


"Gi - disse la bellaallora, se cos stanno le cose, il mio cuore mi aveva ben predetto questo inganno e
questa falsit. Come sin da quando in lui scorsi la persona e le maniere e osservai nel mio cuore tutto il
suo comportamento, compresi che egli doveva essere di nobili natali! Chi, se non lui, avrebbe osato
questo, di venire dalla Cornovaglia fin qui, presso il suo mortale nemico? E noi per due volte lo abbiamo
salvato. Salvato? Ora egli tutt'altro che salvo. Questa spada segner la sua fine. Ora affrttati, Isotta,
vendica il tuo dolore! Allorch egli giacer trafitto da questa spada con la quale uccise mio zio, allora
vendetta sar stata fatta".
Ella afferr la spada e si rec da Tristano che stava nel bagno:
"Dimmi - domand - sei tu Tristano?".
"Madonna, io sono Tantris."
"Tu sei ambedue, Tristano e Tantris, ne sono sicura; tutti e due sono l'unico medesimo tristo uomo.
Quello che mi ha fatto Tristano me lo pagher Tantris; tu sconterai per mio zio".
"No, mia dolce signora, no! per amor di Dio, che cosa fate? pensate al vostro buon nome. Voi siete
donna e fanciulla: quando si sapr che mi avete ucciso, la bellissima Isotta sar per sempre morta
all'onore. Il sole che splende sull'Irlanda e che ha rallegrato tanti cuori, ahim, sar allora spento! Ahim,
come male si addice la spada a quelle bianche mani!".
In quel momento entr nella torre la madre di lei, la regina.
"Come! - esclam - come! che cosa significa questo? Figlia, che cosa fai? E' questo il buon costume per
una dama? Hai perduto il senno o agisci per collera o per scherzo? Che cosa significa quella spada in mano
tua?".
"Ah! madre mia; ricorda il nostro dolore, tuo e mio: questi Tristano che uccise tuo fratello. Ora abbiamo
il modo di vendicarci e di trafiggerlo con questa spada; non troveremo mai momento pi propizio".
"Questi Tristano? come lo sai?"
"Lo so sicuro, Tristano: questa la sua spada; guardala e guarda la scheggia e vedi se non lui. Io ho
introdotto la scheggia in questa malaugurata intaccatura e, ahim, mi avvidi che vi si adattava come a
formare un solo pezzo."
"Ahi! - disse allora la madre - che cosa mi ricordi, Isotta! Non fossi mai vissuta! E se questi Tristano,
come mi sono ingannata su di lui!".
Isotta aveva levata la spada e si avanzava verso di lui; ma sua madre si rivolse a lei:
"Lascia, Isotta, lascia andare! non sai che cosa ho giurato?"
"Non me ne importa, deve morire!".
"Merz, bele Ist!" - disse Tristano.
"Come, o perfido uomo esclam Isotta - ancora chiedi merz? Merz non per te: devi dire addio alla
vita".
"No, figliola - disse allora la madre le cose non stanno, purtroppo, in tal modo che noi possiamo
vendicarci senza rompere la nostra fede e mancare al nostro onore: non avere troppa fretta: egli sotto la
mia protezione per la persona e per gli averi. Comunque ci sia avvenuto io l'ho preso interamente nella
mia custodia".
"Grazia, madonna - disse Tristano - pensate, madonna, che io mi sono affidato al vostro onore e che voi
su questo mi riceveste".

"Tu menti - disse la giovane - so ben io come fu il discorso; essa non promise mai pace e protezione per
la vita e per gli averi a Tristano".
Con ci gli si fece nuovamente contro, mentre Tristano esclamava di nuovo:
"Ah, ble Ist, merz, merz!".
Ma sempre si interponeva la madre, la pia regina: egli poteva stare senza preoccupazioni. Anche se fosse
stato l legato nel bagno e sola Isotta presente, si sarebbe ugualmente salvato: la dolce, la buona fanciulla
che mai aveva accolto nel suo animo di donna asprezza o amarezza di cuore, come avrebbe potuto
uccidere un uomo, anche se per il dolore e per l'ira poteva sembrarvi disposta? E lo avrebbe anche fatto, in
quel momento, se ne avesse avuto il cuore: questo per si rifiutava a una tale crudelt.
Pure, per buono che fosse il suo cuore, essa non poteva impedirsi di sentire sdegno e tristezza guardando
colui il quale le aveva cagionato tanto male. Udiva il suo nemico e lo vedeva eppure non lo poteva
uccidere: la sua dolce femminilit le si imponeva e la ritraeva indietro. In lei lottavano due sentimenti
opposti: collera e femminilit che male stanno insieme quando si vogliono dare la mano. Quando in Isotta
l'ira avrebbe voluto uccidere il nemico, sopraggiungeva la mite femminilit e "no - diceva dolcemente, non farlo!".
Cos il suo cuore era diviso in due ed era insieme buono e cattivo. La bella abbassava la spada e subito la
levava di nuovo; non sapeva nell'animo suo da quale parte volgersi fra il bene e il male: voleva e non
voleva, desiderava farlo e tralasciarlo. Cos continu nell'alternativa finch la dolce femminilit vinse l'ira;
quindi il nemico mortale fu salvo e Morolt rimase invendicato.
Allora essa gett via la spada e piangendo disse:
"Ahi me misera, non avessi mai veduto questo giorno".
La saggia sua madre cos le parl:
"Figlia del mio cuore, le tue pene sono purtroppo anche le mie e queste sono maggiori e pi dolorose
delle tue, le quali, per grazia di Dio, non ti colpiscono tanto profondamente come me. Purtroppo, mio
fratello morto: questa era finora la mia pena maggiore; ora per te, mia cara figliola, ne temo inoltre una
ancor peggiore che mi va ancor pi profondamente al cuore. Nessuno al mondo mi pi caro di te:
piuttosto che ti debba accadere qualche cosa di male, rinunzio volentieri a questa vendetta e sopporto
meglio e pi facilmente un solo dolore anzich due. Ora piuttosto pensiamo a quello sciagurato che ci ha
sfidato: se non ci guardiamo da lui col massimo impegno, il re tuo padre, io e tu saremo per sempre
disonorati e per sempre infelici".
Tristano, nel bagno, disse allora:
"Nobili dame, io vi ho cagionato, vero, grande afflizione, ma stato per estrema necessit. Se per
vorrete riflettervi, come pur dovete fare, saprete bene che questa estremit non era altro che la morte, che
nessuno soffre volentieri se pu salvarsene. Comunque ci sia stato, ora di rivolgere il vostro pensiero al
siniscalco; per quanto lo riguarda, gli procurer io una buona fine, s'intende se mi lasciate la vita e se la
morte non me lo impedisce. Madonna, e anche voi Isotta, so bene che voi siete sempre piene di bont e di
discernimento: se osassi contare su di una tregua con voi e se voleste rinunciare a ostilit contro di me e
all'odio che per tanto tempo avete nutrito contro Tristano, vi potr dare una buona novella".
Isotta, madre di Isotta, lo contempl a lungo e divenne rossa, i suoi chiari occhi si riempirono di lacrime:
"Ahim - disse ellaora sento bene e so per certo che siete voi; fino a questo momento ne dubitavo. Ora,
non richiesto, mi avete detto la verit. Ahim, ahim, ser Tristano, che io abbia acquistato potere su di voi
come adesso lo possiedo e che non lo possa usare come mi sarebbe facile e giusto! Il potere per cos
molteplice e io credo che mi sia lecito usarlo verso il mio nemico ledendo il diritto, trattandosi di un uomo
malvagio. Dimmi, Signore Iddio, lo far io? In verit credo di s".
In quella sopraggiunse Brangaene, saggia, altera e sorridente, bella e cortese, entrando con passo leggero.
Vista in terra la spada e le due dame turbate:
"Come - disse - che cosa fate qui voi tre? che sistemi sono questi? Perch sono umidi e offuscati gli occhi
delle mie signore? E che cosa fa qui in terra questa spada?".

"Brangaene, mia diletta nipote, vedi come siamo stati tutti ingannati: abbiamo ciecamente allevato il
serpente invece dell'usignolo e messo dinanzi al corvo i granelli che dovevano essere per la colomba.
Signore Iddio, noi abbiamo con le nostre mani nutrito il nemico come se fosse amico e due volte strappato
alla morte il nostro mortale nemico Tristano. Guarda colui che sta l: Tristano. Ora io sono in dubbio su
quello che debbo fare, se vendicarmi o no. Dimmi tu, nipote mia, che cosa mi consigli?".
"No, madonna, lasciate questo discorso; avete troppo senno e troppa bont perch possiate trovare il
coraggio per una simile mala azione e per comportarvi cos insensatamente e perch possiate pensare di
dare la morte a un uomo e per di pi a uno cui avete promesso tregua e protezione; spero in Dio che non
abbiate mai avuto in animo di farlo. Dovete anche riflettere quale contratto avete concluso con lui, e come
il vostro onore ne dipenda. Vorreste rinunciarvi per la vita di un qualsiasi nemico?".
"Che cosa vuoi dunque che io faccia?".
"Madonna, vedete voi stessa; lasciatelo andare per ora; intanto potrete prendere consiglio su quanto
sar pi conveniente fare".
Si recarono quindi tutte e tre nelle loro stanze per consultarsi.
Isotta la saggia regina disse:
"Ecco, parlate: che cosa pu aver voluto dire quest'uomo? Egli ha affermato davanti a noi due che, se
volevamo recedere da questo nostro rancore che per tanto tempo abbiamo nutrito, ci avrebbe dato una
buona novella. Quale pu mai essere? me lo domando".
Brangaene disse:
"Io consiglio che nessuno gli faccia alcun male finch non scopriamo le sue intenzioni. L'animo suo
forse buono e volto all'onore di ambedue voi. Bisogna voltare il mantello secondo il vento. Chiss che non
sia venuto in Irlanda per il vostro bene? Tenetelo dunque qui per questo tempo e ringraziate Iddio sempre
che, per mezzo suo, si sia chiarito questo inganno e la falsit del siniscalco. Dio ci ha protette nella nostra
ricerca perch se allora non lo avessimo subito trovato, forse sa Iddio che sarebbe gi morto; e allora, lo sa
Cristo o mia giovane signora Isotta, staremmo ancora peggio. Non dimostrategli alcuna ostilit, poich se
si accorge di qualche cosa e trova il modo di fuggire ha ragione di farlo. Perci pensateci ambedue,
mostratevi cortesi come uso e dovere. Questo quanto vi consiglio. Datemi ascolto. Tristano nobile
quanto voi ed cortese e saggio e perfetto in tutto. Comunque vi sentiate disposte verso di lui in cuor
vostro, usategli cortesia: in verit qualunque cosa abbia in mente venuto qui per seri motivi; il suo modo
di agire e i suoi sforzi sono rivolti al bene".
Cos allora si levarono e si recarono dove Tristano stava ritirato, seduto sul suo letto. Egli non venne meno
a se stesso: si lev subito in piedi, and loro incontro e si prostr davanti a loro e giacque ai piedi delle
belle donne cortesi in atto supplichevole, mentre diceva:
"Grazia, o voi dolci Signore, concedetemi grazia affinch io possa compiere, per vostro onore e per
vostro bene, quello per cui sono venuto in questo regno".
L'inclita compagnia, le tre chiare donne distolsero lo sguardo da lui e si guardarono tra loro. Esse erano in
piedi ed egli ancora stava prostrato.
"Madonna - disse Brangaene - troppo tempo che il cavaliere giace cos".
La regina replic:
"Che cosa vuoi che gli faccia? Il mio cuore non disposto a divenirgli amico; non so che cosa fare che
sia giusto".
Brangaene rispose:
"Mia diletta Signora, voi e la mia giovane signora Isotta: so bene ed cosa certa come la morte che, per
l'antica vostra afflizione, difficilmente lo potete amare; ma ambedue voi fatelo sicuro della vita e allora
probabilmente per suo proprio vantaggio vi dir qualche cosa".
"Cos sia fatto", dissero le dame e con questo gli ordinarono di alzarsi.

Dopo questa promessa tutti e quattro sedettero e Tristano cominci il suo discorso:
"Vedete, Madonna regina, se voi volete ora essermi amica, avverr ancora entro questi due giorni (e
invero senza inganno n astuzia) che la vostra figliola diletta sposer un nobile re, a lei bene adatto come
sposo perch bello e generoso con la spada e con lo scudo, un cavaliere nobile ed eletto, nato di stirpe
reale e oltre a tutto questo anche molto pi ricco del padre di lei".
"In verit - disse la regina -, se siete sicuro di quello che dite, io acconsentirei e farei quello che mi si
chiede".
"Madonna - riprese Tristano - vi voglio subito rassicurare. Se non ve lo provo ora finch dura questa
tregua, che io sia escluso da questa pace e mai pi salvo".
La saggia regina disse:
"Brangaene, parla, che cosa consigli? che cosa te ne pare?".
"Il suo discorso mi sembra giusto e vi consiglio di fare come egli dice. Lasciate ogni dubbio, levatevi
ambedue e dategli il bacio. E sebbene io non sia regina, pure voglio io pure prendere parte alla tregua,
poich Morolt era mio parente, sebbene io sia povera".
Allora tutte e tre lo baciarono, ma Isotta la giovane lo fece con grande contrariet.
Conclusa questa riconciliazione, Tristano disse alle dame:
"Or sa il buon Dio, che mai fui felice nell'animo come lo sono adesso; dovevo finora sempre guardarmi
da tutti i mali che aspettavo e che mi potevano accadere, per potermene difendere. Ora, lo so bene, non
spero di essere nella vostra grazia; ma lasciate ogni timore: io sono venuto dalla Cornovaglia in Irlanda per
vostro onore e per vostro bene. Fin dal mio primo viaggio, quando qui fui risanato, ho sempre parlato in
vostro onore e in vostra lode a Marco mio signore finch con i miei discorsi inclinai cos fortemente l'animo
suo verso di voi che egli si fece ardito, sebbene fosse esitante, e vi dico perch: egli temeva l'inimicizia
vostra e inoltre non voleva prendere donna per amor mio, affinch io fossi suo erede dopo la sua morte.
Ma da questo io seppi distoglierlo, finch cominci a darmi ascolto. Cos ci accordammo noi due per questo
viaggio: perci io venni in Irlanda e perci uccisi il serpente; voi mi avete prestato le vostre cure con felice
risultato. Cos la mia giovane signora sar regina e signora di Cornovaglia e d'Inghilterra. Adesso lo scopo
del mio viaggio vi noto. Per, mie nobili dame, piene di grazia tutte e tre, tenete ancora tutto segreto".
"Dimmi ora - chiese la regina - farei male se lo dicessi al mio signore e lo facessi entrare nel patto?".
"No, Madonna - rispose Tristano - anzi giusto che egli ne sia informato. Voi abbiate cura che da tutto
ci a me non venga danno."
"No, ser Tristano, non abbiate timore alcuno; non vi pi luogo a preoccupazioni".
Le dame tutte si ritirarono nelle loro stanze e con grande ammirazione considerarono la ventura di lui e il
buon successo di tutte le sue imprese. La madre in un modo, Brangaene in un altro, ognuna aveva da dire
della saggezza di lui.
"Vedi, madredisse la figlia -, come mirabilmente io scoprii che si chiamava Tristano: quando presi in
mano la spada e cominciai a maneggiarla ripensai anche ai nomi Tantris e Tristan e quando presi a studiarli
mi sembr che avessero qualche cosa di comune; allora lo considerai attentamente e trovai che le lettere
erano le stesse per ambedue i nomi; per qualunque verso le leggessi, altro non trovavo che Tantris o
Tristan e sempre in tutti e due un solo nome. Ora, madre mia, dividi questo nome in un Tan e in un Tris e
pronunzia il Tris prima del Tan e avrai Tristan: metti il Tan davanti al Tris e dirai Tantris".
La madre si segn:
"Dio mi benedica! - disse - donde ti venuta in mente questa idea?".
Dopo che tra loro ebbero variamente discusso intorno a lui, la regina mand per il re, il quale venne.

"Ecco, Sire - disse ella- ascoltate, voi dovete esaudire una preghiera per cosa che noi tre desideriamo
ardentemente; se lo farete ne verr bene a noi tutti."
"Io vi obbedir in qualsiasi cosa desideriate. Sia fatto tutto quello che volete."
"Lo lasciate dunque in mio arbitrio?" - insist la buona regina.
"S, sar fatto quello che voi volete".
"Grazie, Signore, questo basta: sire, colui che uccise mio fratello, Tristano, lo ho qui presso di noi; a lui
dovete concedere la vostra grazia e il vostro affetto; le sue opere sono tali che la riconciliazione
giustificata".
Il re rispose:
"In verit, mi facile lasciarti questa decisione; essa riguarda pi te che me. Morolt, tuo fratello, era pi
prossimo parente tuo che mio: se tu rinunci alla vendetta, per me va bene, io sono d'accordo".
Quindi ella gli narr la storia di Tristano, come lui stesso l'aveva raccontata a lei; il re ne fu soddisfatto e le
disse:
"Ora sta' attenta che egli agisca lealmente".
Allora la regina mand Brangaene a chiamare Tristano: questi, entrando, pieg il ginocchio dinanzi al re:
"Grazia, Sire", disse.
"Alzatevi, ser Tristano e venite qui - disse Gurmun -, e abbracciatemi: a malincuore vi rinunzio, pure
rinunzio a questa vendetta, poich le dame hanno perdonato".
"Sire - soggiunse Tristano -, in questa pace sono compresi anche il mio sovrano e ambedue i suoi
regni?".
"Certamente", rispose pronto Gurmun.
Compiuta questa riconciliazione, la regina fece sedere Tristano accanto a sua figlia e lo preg di narrare di
nuovo al loro signore la sua storia fin dal principio e dirgli in qual modo tutto si fosse svolto, tanto per
quanto riguardava il drago che per la domanda del re Marco: tutto questo Tristano ripet dal principio alla
fine. Ma il re osserv:
"Ser Tristano, come posso assicurarmi che tutto questo sia la verit?".
"Molto bene, sire; qui nelle vicinanze ho tutti i principi del mio sovrano: domandate per garanzia quello
che vi piace e lo avrete sinch l'ultimo di essi sia qui".
Dopodich il re si ritir e le donne rimasero sole con Tristano. Questi chiam Paranise da parte e gli disse:
"Va' subito gi al porto, l c' un battello; avvicnati di nascosto e chiedi chi di loro si chiami Kurvenal. A
lui di' sottovoce che venga subito dal suo signore e non dire altro ad alcuno, ma conducilo qui in segreto,
quanto pi cortesemente sai".
Ora, Signore Iddio, Paranise cos fece e lo condusse tanto in silenzio che nessuno se ne accorse. Quando
entrarono nella "kemenate" davanti alle dame, la regina sola lo salut e nessun'altra bad a lui, non
ritenendolo cavaliere.
Allorquando Kurvenal vide Tristano stare fra le dame cos sano e contento gli disse in lingua francese:
"A, b dz sir, in nome di Dio, che cosa fate mai standovene cos al sicuro in questo paradiso e
lasciando noi in pena? Ci credevamo tutti perduti e fino a questo momento avrei giurato che voi non foste
pi in vita. Quanta preoccupazione ci avete dato! La vostra nave e la vostra gente ancora oggi giurava e
riteneva per certo che foste morto e solo con grande fatica sono rimasti fino a questa sera; avevano gi
stabilito di partire questa stessa notte".

"Invece disse la regina -, egli vivo, sano contento".


E Tristano, parlandogli in brettone, cominci:
"Kurvenal, va' subito gi e di' che sono salvo e che va tutto bene e che porter a compimento tutto
quello per cui ci hanno mandati qui".
E con ci gli raccont fino dal principio le sue avventure come meglio seppe. Quando gli ebbe narrato le
sue fortune e il suo travaglio,
"Ora - disse - va' in fretta gi e di' ai miei vassalli e anche ai cavalieri che per domani mattina ognuno si
tenga pronto, ben lustrato e ben vestito con gli abiti migliori che possiede e che attendano tutti un mio
messaggero e quando io lo invier vengano tutti a cavallo qui da me a corte. Inoltre io spedir qualcuno
domani mattina da te e tu mandami il piccolo scrigno nel quale sono i miei gioielli e anche mandami degli
abiti, quelli di foggia pi bella. Tu pure abbgliati riccamente come si addice a cortese cavaliere".
Kurvenal si inchin e usc. Brangaene domand:
"Chi quell'uomo? quando entrato qui gli sembrato di entrare in un paradiso; egli cavaliere o
servo?".
"Madonna, sebbene non appaia, non abbiate alcun dubbio; egli tale cavaliere e tale uomo che il sole
mai illumin cuore pi nobile".
"Ah, possa egli essere sempre benedetto!" esclam la regina e con lei Brangaene la donna cortese e
gentile.
Giunto al battello, Kurneval cominci subito il suo discorso, secondo quanto gli era stato ordinato e
raccont anche come aveva trovato Tristano. Allora si rallegrarono tutti tanto, cos come se fosse
risuscitato un morto. Molti per erano lieti pi per la pace conchiusa che per l'onore di Tristano. I baroni
invidiosi ricominciarono come prima a parlare e a mormorare tra loro, imputando ancor pi a magia questa
grande ventura di Tristano; l'uno diceva all'altro:
"Osservate le meraviglie e i miracoli che quest'uomo compie! Signore! quale potere ha mai, s da
riuscire in tutto quello che intraprende?".
Intanto era anche giunto il giorno stabilito per il combattimento e nella sala, alla presenza del re c'era gran
numero di cavalieri e di signori del paese. Anche fra i fedeli vassalli non pochi si domandavano chi si
sarebbe offerto a combattere col siniscalco per la donzella Isotta. E le domande si incrociavano, ma non
c'era alcuno tra loro che ne avesse sentore. Intanto erano arrivati gli abiti di Tristano e lo scrigno e da
questo egli aveva scelto per le tre dame tre cinture tali che mai regina o imperatrice ne ebbe di pi belle. Il
cofanetto era colmo di diademi e anelli, fibbie e pendenti e tutti tanto belli che nessun cuore avrebbe
potuto desiderare o imaginare qualche cosa che meglio valesse. E da tutto questo non fu detratto che quel
tanto che Tristano ne tolse per se stesso: una cintura che assai bene gli si adattava, un diadema e una
piccola fibbia che dovevano servirgli per suo proprio ornamento.
"Belle dame - disse egli - tutte e tre voi, fate e disponete a vostro talento di questo cofanetto e di tutto
ci che contiene".
Con queste parole si ritir: si rivest con i suoi abiti mettendovi ogni cura e ogni attenzione, s da figurarvi
cos bene come si conviene a perfetto cavaliere; infatti gli si adattavano mirabilmente. Ritorn allora dalle
dame ed esse cominciarono a guardarlo e a ripensare fra s quanto apparisse bello e amabile. Le tre nobili
donne ebbero simultaneamente la stessa impressione: in verit questi l'ideale di una creatura umana, la
sua persona e insieme il suo abito formano in lui l'uomo egregio, tanto bene si completano l'uno con l'altro;
tutto in lui e in tutto quello che lo riguarda perfetto.
Ora Tristano aveva mandato per il suo seguito; i suoi compagni erano venuti e avevano preso posto l'uno
accanto all'altro nella sala. Gran folla di gente veniva ad ammirare la meraviglia degli abiti che essi tutti
portavano e fra la gente molti dicevano che non si era mai veduto cos gran numero di uomini tanto
sfarzosamente abbigliati. Se restavano tutti in silenzio, senza parlare con le persone del paese, era
soltanto perch non ne conoscevano la lingua.

Il re mand un messo alla regina che venisse alla corte e conducesse con s la figliola.
"Isotta - disse la regina andiamo: voi, ser Tristano, resterete qui intanto; quando vi far chiamare vi
prender per mano Brangaene e cos farete il vostro ingresso voi due dopo di noi."
"Volontieri, Madonna regina".
Cos la regina Isotta, la bella aurora, venne conducendo per mano il suo sole, la meraviglia d'Irlanda, la
chiara donzella Isotta che seguiva da vicino la sua aurora, aleggiandole intorno leggera e pur dignitosa,
bella e soave di aspetto, alta, slanciata e snella nella veste aderente: pareva che la stessa Minne l'avesse
acconciata per il gioco del falco e modellata come meta insuperabile di ogni desiderio.
Essa portava veste e manto di velluto bruno alla moda di Francia, e la veste, la dove scende verso i fianchi,
era d'ambo i lati ornata di frange e stretta alla vita da una cintura al punto giusto, dove la cintura deve
stare. La veste si adattava e aderiva perfettamente alla persona modellandola, senza mai staccarsene e
cadendo in pieghe sino ai piedi, come si conveniva secondo la moda di allora. Il mantello era all'interno
bellamente foderato di bianco ermellino, coi bordi sciolti ondeggianti e non era n troppo lungo n troppo
corto, non toccando terra n rimanendone troppo discosto.
Aveva un orlo di prezioso zibellino di giusta misura, n troppo stretto n troppo largo, picchiettato di nero e
di grigio: il nero e il grigio erano distribuiti in modo che ognuno risaltava separatamente. Questo bordo
girava tutto intorno all'ermellino con quella morbidezza che ha lo zibellino e che figura tanto bene. Al posto
dei tasselli vi era una piccola striscia ricamata di bianche perle e la bella vi aveva infilato il pollice della
mano sinistra; con la destra teneva raccolto il mantello pi in basso, dove, come ben sapete esso deve
stare chiuso e, secondo la moda cortese, lo teneva accostato con due dita, quindi esso cadeva libero e
scendeva in belle pieghe sino in basso, lasciando intravedere questa e quello, intendo dire la seta e la
leggera pelliccia. Si vedeva brillare dentro e fuori l'imagine che la Minne aveva cos ben modellata nel
corpo e nell'anima, ma tanto modellatura che foggia mai seppero formare imagine vivente pi bella. Fitti
come fiocchi di neve volavano in tutte le direzioni sguardi alati pieni di desiderio e credo che pi di un
uomo fu rapito fuori di s.
Sul capo essa portava un cerchio d'oro sottile come si conviene, lavorato con grande arte; vi erano
incastonate gemme e pietre preziose, splendide e pur piccole, le pi belle del regno, smeraldi e giacinti
zaffiri e calcedonie, cos ben disposte che nessuna perizia di artefice, per quanto perfetta, mai pot meglio
combinarle. L'oro si confondeva con l'oro; il diadema e Isotta facevano a gara l'uno con l'altra, poich
nessuno per quanto esperto, se non fosse stato per le pietre, avrebbe creduto che vi fosse un cerchio,
tanto simili all'oro erano i suoi capelli.
Cos avanzava Isotta con Isolde, la figlia con la madre, lieta e a cuor leggero, con passi misurati, n brevi
n lunghi ma di giusta misura. Ella incedeva a testa alta, dritta e franca come uno sparviero, morbida e
liscia come un pappagallo. Quale falco sul ramo lasciava errare gli sguardi qua e l in modo che, n troppo
timidi n troppo arditi, trovavano la loro pastura. I suoi occhi si posavano intorno cos tranquilli e lievi e
tanto soavemente che non c'era altro occhio per il quale quei due chiari specchi non costituissero una
meraviglia e un gaudio. Quel giocondo sole diffondeva in ogni luogo il suo splendore, rallegrando la sala e
gli ospiti mentre ella incedeva leggera accanto alla madre. Ambedue erano dolcemente occupate in due
diverse maniere: salutando e inchinandosi, parlando e tacendo, in questi due modi il giusto uso era
prescritto e stabilito: l'una salutava, l'altra si inchinava, la madre parlava, la figlia taceva. Cos facevano le
ben costumate dame, questo era il compito loro.
Ora, quando Isotta e l'altra Isotta, il sole e la sua aurora, si furono accomodate e sedute accanto al re, il
siniscalco osserv tutto attentamente e si inform qua e l dove fosse il valoroso campione delle dame;
ma non riusc a saperlo. Riun allora i suoi uomini, di cui vi era una grande schiera intorno a lui e and
davanti al re e si present alla giura:
"Ecco, Sire disse, sono qui e domando il mio diritto di combattimento. Dov' dunque il prode garzone
che pretende privarmi del mio onore? Io possiedo ancora amici e uomini ligi e il mio diritto ben saldo; se
la legge del paese mi rende giustizia, come deve, non temo violenza a meno che non siate voi a
esercitarla".
"Siniscalco - disse la regina - se questa tenzone inevitabile, io non so bene che cosa fare, vi sono

impreparata e in verit se tu volessi rinunziarvi lasciando andare tale questione, cos che Isotta fosse
libera, siniscalco, in verit, ne verrebbe a te altrettanto vantaggio quanto a noi".
"Libera? - esclam l'altro. Gi, Madonna, fareste proprio cos anche voi: lascereste il gioco che avete gi
vinto! Qualunque cosa diciate, io voglio risolvere questo gioco con profitto e onore; avrei sprecato tanta
fatica ben insensatamente se adesso mi ritirassi. Madonna, io voglio vostra figlia: questa la fine del
discorso. Voi conoscete cos bene colui che ha ucciso il drago: conducetelo dunque qui ora e non si
facciano pi altre parole".
"Siniscalco - disse la regina -, vedo bene che cos deve essere: ora devo badare a me".
Essa fece un cenno a Paranise:
"Va' disse- e conduci qui quell'uomo".
Tutti, cavalieri e baroni si guardarono l'un l'altro e ci fu tra loro un gran mormorio, un gran domandare e
molto discorrere su chi potesse essere il campione: nessuno di essi lo sapeva. Allora si avanz l'altera
Brangaene, come luna nel suo pieno splendore, conducendo per mano il suo compagno Tristano. Ella,
dignitosa e garbata, gli camminava allato con nobile contegno, mirabile d'aspetto e di modi libera e
disinvolta. Anche il suo compagno le incedeva accanto con passo fiero. Il suo abbigliamento era pure
combinato con tutta la perfezione che deve distinguere il cavaliere e gli si adattava stupendamente; figura
e vesti armonizzavano fra loro facendo di lui un cavaliere perfetto. Egli portava abiti di ciclade oltremodo
ricchi e belli e di foggia straniera. Non erano stati forniti dalla corte: l'oro non vi era intessuto come in
questa corte si usava, la seta si scorgeva appena, tanto era dappertutto coperta dall'oro e nell'oro
affondata che quasi non si vedeva. Sopra la seta si stendeva una rete di piccole perle con le maglie
discoste per la larghezza di una spanna. Attraverso questa il ciclade risplendeva come un carbone acceso.
La fodera interna era di velluto, pi scuro di una violetta, bruno come una foglia di aglaia. Lo stesso serico
tessuto scendeva in pieghe e in drappeggi come quel tessuto suole, adattandosi alla figura, e si addiceva
mirabilmente al mirabile uomo come meglio poteva desiderare. Sul capo portava un diadema di raro
splendore che riluceva come una face: come stelle vi brillavano topazi e sardoni, crisoliti e rubini, era
chiaro e lucente e gli cingeva il capo e la chioma di vivo splendore.
Tale si avanzava, ricco e dignitoso: il suo portamento era bello e signorile, tutto l'insieme sfarzoso ed egli
stesso nobile in tutto il suo essere. Gli fecero subito largo al suo ingresso nel palazzo. Allora anche i
compagni di Kurvenal lo scorsero, lieti balzarono in piedi, lo salutarono e fecero grandi accoglienze a lui e a
Brangaene, che si avanzavano; li presero per mano ambedue e fra loro con grande cortesia li condussero
davanti al trono. Il re e le due regine manifestarono la loro amabilit, si alzarono e lo salutarono: Tristano si
inchin a tutti e tre e questi salutarono quindi il seguito di Tristano con ogni onore come si conviene a
cavalieri.
Allora tutti i nobili del paese si affollarono intorno a loro e salutarono gli ospiti pur non sapendo nulla del
loro viaggio. Ma quelli che anni prima erano stati mandati dalla Cornovaglia in Irlanda riconobbero i loro
padri e i loro parenti e piangendo di gioia padri e parenti si corsero incontro: vi fu grande giubilo e anche
grande dolore su cui per non mi voglio soffermare. Quando Tristano si avvicin, il re lo prese per mano e
lo fece sedere vicino a s tra lui e Brangaene; a suo lato stavano le due regine. I cavalieri e i baroni
compagni di Tristano erano seduti pi in basso nella sala, in modo da avere la giura di fronte e di poter
vedere, ognuno di loro, quello che accadeva.
Tra i presenti si era levato intanto un mormoro e si faceva un gran parlare in lode di Tristano. Mi consta
che da molte bocche sgorgavano fonti di lode per tutto quello che lo riguardava: gli tributavano ogni
genere di onore e di lode in vari modi:
"Quando mai - dicevano molti fra loro - Dio cre figura che meglio si convenisse alla dignit di cavaliere?
Vedete com' adatto a ogni tenzone e a ogni gioco d'armi! e di che ricca foggia sono gli abiti che indossa!
Non si mai visto in Irlanda abbigliamento cos regale. Anche il suo seguito vestito con grande
magnificenza. In verit, chiunque egli sia, animo e averi in lui sono liberi".
E si facevano molti discorsi simili. Il siniscalco si guardava intorno con occhio torvo: questa la vera
parola.
Fu allora ordinato di far silenzio nella sala e cos fu fatto e nessuno pronunzi pi una mezza parola. Il re
disse:
"Siniscalco, parla! di che cosa ti vanti?".

"Signore, io ho ucciso il drago".


L'ospite si lev e replic subito:
"Messere, non vero."
"Messere, lo feci e ve lo prover qui sul luogo".
"Con quale prova?", chiese Tristano.
"Con questa testa che vedete, che ho portato qui".
"Sire - disse Tristano - poich egli porta la testa come testimonianza, ordinate di guardarvi dentro: se vi
si trova la lingua io rinuncio subito al mio diritto e ritiro la mia sfida".
Quindi fu aperta la testa e nulla vi si trov; Tristano ordin di portare la lingua e cos fu fatto.
"Signori - disse egli osservate e vedete se quella del drago".
Tutti gli si affollarono intorno e tutti insieme lo ammisero, meno il siniscalco che avrebbe voluto negarlo,
ma non sapeva come; cominci a esitare e a balbettare con la lingua e con la bocca, con le parole e con i
pensieri, non sapendo n parlare n tacere, n come comportarsi.
"Tutti voi signori - disse Tristano - osservate questo miracolo e vedete come dopo che io ebbi ucciso il
drago e con leggera fatica gli ebbi tagliata dalle morte fauci e asportata la lingua, questo signore poi lo
abbia ammazzato".
I cavalieri e tutti gli astanti dissero:
"Tutto questo gli fa poco onore e qualunque cosa si possa dire o raccontare, ognuno di noi sa bene che
chi per primo giunse e tagli la lingua uccise anche il drago".
In ci furono subito tutti d'accordo.
Ora che il mentitore era stato smascherato e dalla corte era stata resa giustizia all'ospite veritiero, Tristano
riprese:
"Sire, ora vogliate ricordarvi della promessa: vostra figlia in mia mano".
Il re rispose:
"Signor cavaliere, lo riconosco cos come me lo avete dichiarato".
"No, sire - disse il falso siniscalco - per amor di Dio non parlate cos! Comunque sia andata, qui c'
dell'imbroglio ed egli giunto a questo con ingiusti mezzi. Per, piuttosto che mi sia ingiustamente
interamente tolto l'onore, preferisco perderlo in combattimento, con le armi".
"Siniscalco - disse allora la saggia Isotta - tu discuti inutilmente; contro chi vuoi fare giusta tenzone?
Questo cavaliere non ci tiene a combattere: egli ha gi ottenuto con Isotta tutto quello che desiderava.
Sarebbe pi sciocco di un bambino se combattesse con te per un soffio di vento".
"Perch, Madonna? - disse Tristano -. Piuttosto che egli possa dire che qui viene usata prepotenza e
ingiustizia, preferisco combattere con lui. Voi sire, voi madonna, parlate e ordinategli di andare ad armarsi
e di prepararsi come faccio io pure".
Ora che il siniscalco comprese che si addiveniva al duello, radun tutti i suoi fidi e si fece da parte a
parlare e a consigliarsi con loro. Ma a questi la cosa sembrava cos disonorevole che poca soddisfazione ne
ebbe. Essi tutti gli dissero:
"Siniscalco, la tua causa cominciata male ed anche giunta a mala fine. In quale impresa ti sei
messo? Se ti offri a combattere ingiustamente ne va della tua vita. Quale consiglio possiamo darti? Qui sei
senza consiglio e senza onore e se oltre ad aver perduto l'onore perdi anche la vita non ne avrai che
maggior danno. A noi sembra, e tutti lo vediamo, che quegli che vuole combattere con te uomo di

grande valore nelle armi; se ti misuri con lui sei un uomo morto. Ora, poich il suggerimento del diavolo ti
ha tradito nell'onore, conserva almeno la vita. Vedi se qualcuno non possa con qualche buona parola
rimediare a questa onta e a questa menzogna".
Il bugiardo siniscalco rispose:
"Che cosa volete che faccia?".
"In una parola, ti consigliamo di entrare di nuovo nella sala e dichiarare che i tuoi amici sono d'avviso
che tu desista da questa sfida e che tu vi rinunci".
Cos fece il siniscalco: rientr e disse che i suoi amici e i suoi fidi lo avevano persuaso ed egli pure aveva
cambiato idea e ritirava la sfida.
"Siniscalco - disse la regina - non mi sarei mai aspettata di vederti rinunciare a un gioco che avevi vinto
cos bene".
Tutti si fecero beffe di lui nel palazzo; il povero siniscalco divenne lo zimbello di tutti. Se lo gettavano come
una palla fra uno scherno e l'altro e vi fu gran chiasso di motteggi. Cos fin quel mentitore con pubblica
vergogna.
Dopo di ci, il re annunzi a tutto il palazzo, ai cavalieri e ai baroni e a tutta l'assemblea che quel
campione era Tristano e narr loro la storia come egli stesso l'aveva appresa: il motivo per il quale Tristano
era venuto in Irlanda e come egli stesso, Gurmun, avesse giurato di concludere alleanza con i principi di
Marco in tutte le questioni di cui aveva fatto parola con loro.
Gli Irlandesi furono ben contenti di ci, i grandi vassalli dichiararono che questa pace era conveniente e a
loro gradita, poich una lunga inimicizia fa perdere tempo e procura danno.
Il re ordin e chiese che Tristano gli desse garanzia della sua parola. Cos fecero Tristano e tutto il suo
seguito; essi giurarono e assicurarono a Isotta il paese di Cornovaglia come dono del mattino e promisero
che sarebbe signora su tutta l'Inghilterra. Cos Gurmun immantinente diede Isotta in mano a Tristano suo
nemico. Lo chiamo nemico, perch essa ancora gli portava rancore.
Tristano la prese per mano:
"Sire, - disse - Sovrano d'Irlanda, vi preghiamo, la mia regina e io, che per lei e anche per me lasciate
liberi coloro che furono dati come tributo dall'Inghilterra o dalla Cornovaglia, siano essi cavalieri o paggi;
che vengano ora legalmente consegnati in mano alla mia signora Isotta, poich essa la sovrana del
regno".
"Molto volentieri - disse il re - cos sia fatto con il mio beneplacito, partano pure tutti con voi".
Questa notizia rallegr molti cuori. Allora Tristano ordin di allestire, oltre alla propria, un'altra nave a
disposizione sua e d'Isotta e inoltre di chi altro egli volesse scegliere.
Mentre questa veniva allestita, egli stesso si prepar al viaggio. Fu subito mandato per gli ostaggi, a corte
e in tutto il paese, dovunque si trovassero.
Intanto mentre Tristano e i suoi compagni si preparavano e predisponevano tutto, Isotta, la saggia regina,
apprestava in una piccola ampolla di cristallo un filtro d'amore, pensato e composto con tale sottile senno
e cos combinato con virt magiche che se due ne bevevano insieme, dovevano, anche senza loro volere,
amarsi l'un l'altro sopra ogni altra cosa; veniva loro insieme largita una sola vita e una sola morte, un'unica
felicit e infelicit, uno stesso dolore e una stessa gioia.
La saggia regina prese il filtro e disse piano a Brangaene:
"Brangaene, nipote mia, non ti dispiacciano le mie parole: disponi in questo senso la tua mente e ascolta
quello che ti dico: prendi questa ampolla e questo filtro e tienili ben custoditi, e abbine cura sopra ogni
cosa. Guarda che nessuno al mondo lo sappia e bada bene che nessuno ne assaggi. Veglia con grande
diligenza e quando Isotta e Marco saranno soli, mesci loro questa bevanda come se fosse vino e fa' che ne
bevano ambedue. Guarda anche che all'infuori di loro due nessun altro ne assaggi. Tu stessa non bere con

loro: un filtro d'amore, tieni questo ben in mente. Ti raccomando con ogni premura e ogni cura Isotta;
essa la parte migliore della mia vita: io stessa e lei siamo affidate alla tua vigile bont: e questo basti".
"Madonna diletta - disse Brangaene - se questa la volont di ambedue voi, partir volentieri con lei e
veglier sul suo onore e su tutto ci che la riguarda come meglio posso".
Tristano prese allora congedo e con lui tutto il suo seguito. Partirono da Weisefort con grande fasto. Il re e
la regina con il loro seguito li accompagnarono al porto per amore d'Isotta. Al lato di Tristano camminava
piangente la sua ancora insospettata amica, il suo ancora ignoto futuro travaglio di cuore, la chiara, la
bella Isotta; per il padre e la madre di lei quelle brevi ore trascorsero con grande duolo. Molti occhi
cominciarono a inumidirsi e ad arrossarsi. Isotta cagion duolo a molti cuori e a molti cuori port segreta
pena. Essi rimpiangevano intensamente Isotta, la gioia degli occhi loro. Il pianto era generale: piangevano
insieme molti occhi e molti cuori, tanto apertamente quanto in segreto e quando Isotta e l'altra Isotta
dovettero separarsi, il sole e la sua aurora, e anche il pieno chiaro di luna, la bella Brangaene, ci fu gran
lamento e gran duolo. La cara intimit familiare s'infranse con grande tristezza; Isotta baci ambedue
ripetutamente.
Ora che quelli di Cornovaglia e anche gli Irlandesi al seguito di Isotta erano tutti imbarcati e avevano preso
congedo, Tristano sal per ultimo a bordo: la bella giovane regina, il fiore d'Irlanda lo seguiva per mano,
triste e a malincuore. Essi si inchinarono sino a terra e invocarono la benedizione di Dio sul paese e sul
popolo.
Quindi salparono e levando la voce cominciarono a cantare ripetendo:
"Partiamo nel nome di Dio".
E cos si allontanarono.
Per consiglio di Tristano era stata allestita una cabina appartata per comodit delle donne; vi stavano la
regina e le sue damigelle e raramente c'era con loro un uomo, all'infuori del solo Tristano: egli vi entrava di
tempo in tempo e confortava la regina che sedeva piangendo. Questa si doleva e si rammaricava di essersi
separata dal suo paese, dove conosceva tutti, e dai suoi amici e di andare con gente a lei estranea, senza
sapere dove e come. Tristano la consolava, come pi dolcemente poteva, ogni volta che veniva da lei nella
sua tristezza: la teneva tra le braccia lievemente e solo come lo comporta il dovere di un suddito verso la
sua signora.
Il fedele cavaliere non pensava ad altro che a essere per la bella un conforto per la sua afflizione. E ogni
qualvolta accadeva che egli la circondasse col suo braccio, la bella Isotta pensava alla morte di suo zio e
gli si rivolgeva contro.
"Lasciatemi stare, maestro, andatevene, togliete le vostre braccia, voi siete ben molesto, perch mi
toccate?"
"Ah, bella signora, faccio forse male?"
"S, perch vi porto rancore".
"Madonna mia dolce, per quale motivo?".
"Voi uccideste mio zio."
"Ma questo mi gi stato perdonato".
"Fa lo stesso, voi mi siete egualmente odioso, perch se non fosse per voi io vivrei senza affanni e senza
cure; voi solo mi avete procurato questa pena con inganno e con astuzia. Che cosa vi ha spinto a venire,
per mia disgrazia, dalla Cornovaglia in Irlanda? Quelli che mi hanno allevato fin dall'infanzia li avete
ingannati nei miei riguardi e ora mi conducete chiss dove. Io non so come sia stata venduta n che cosa
sar di me".
"No, mia bella Isotta, tranquillizzatevi. Sarete molto pi felice come regina in paese straniero, che
povera e umile in casa vostra; avere onori e piaceri, oppure vivere in umile posizione nel regno paterno

sono due cose ben diverse".


"Va bene, maestro Tristano - disse la fanciulla - ma per quanto voi diciate, io accetterei uno stato pi
modesto ove fossero amore e pace, piuttosto che grande magnificenza e ricchezza con travaglio e
scontento".
"Voi dite bene - replic Tristano - ma se si pu avere l'uno e l'altro, piacere e magnificenza, queste due
buone cose unite sono migliori che ognuna da sola. Ora dite, se per avventura aveste dovuto prendervi per
sposo il siniscalco, come stareste? Sono sicuro che allora sareste contenta dello stato presente. E in questo
modo dunque mi ringraziate per avervi liberata da lui?".
"Di ci ben tardi vi sar grata - disse la fanciulla - perch se pure mi avete allora liberata da lui, mi avete
procurato poi tale malanno che preferirei ancora aver preso per marito il siniscalco piuttosto che essere
venuta via con voi; poich per quanto egli fosse privo di ogni virt, vivendo un certo tempo presso di me
avrebbe per amor mio lasciato i suoi vizi. E forse, chiss, da questo avrei riconosciuto quanto mi amasse".
"Questo discorso - disse Tristano - mi sembra una favola: ci vuole grande fatica perch un cuore possa
attirarne un altro alla virt contro la sua natura. Tutti al mondo sanno che un'illusione che il male possa
mai mutarsi in bene. Consolatevi, bella regina; fra breve io vi dar per sposo e signore un re presso il quale
avrete sempre gioia e vita bella, ricchezze, virt e onori".
Intanto le navi continuavano ad avanzare: avevano vento favorevole e viaggio buono; soltanto, la gentile
schiera delle damigelle, Isotta e il suo seguito, non erano abituate al faticoso viaggio fra vento e mare e
presto provarono un malessere sconosciuto. Tristano, il maestro, ordin allora di dirigersi verso terra per
riposare alquanto. Entrarono in una baia e tutto l'equipaggio scese per cercare un ristoro. Tristano si rec a
salutare la sua degna signora e mentre sedeva accanto a lei parlando di questo e di quello e delle cose
loro, preg che portassero da bere. Ora non c'erano a bordo, oltre la regina, che alcune fanciullette. Una di
queste disse:
"Ecco, qui c' del vino, in questa ampolla".
No, non era vino sebbene tale sembrasse, ma era la pena continua e l'infinito dolore del loro cuore di cui
ambedue morirono. Questo per era loro ancora ignoto. Isotta si lev e and l dove l'ampolla con la
bevanda era conservata; ne offr a Tristano, suo maestro: egli prima lo porse a Isotta che lo bevve di
malavoglia e lentamente e lo diede a Tristano. Egli pure bevve, ambedue pensando che fosse vino.
Intanto rientr Brangaene e riconobbe l'ampolla e vide bene di che cosa si trattava: ne ebbe un tale
spavento che le forze l'abbandonarono e rimase come morta. Con la morte nel cuore and e prese la
malaugurata fiala, la port via e la gett nel mare agitato e tempestoso.
"Guai a me, misera - disse ella - ahim che io mai venni in questo mondo! Misera me, che ho perduto il
mio onore e tradito la mia fedelt. Dio volesse che la morte mi avesse colta quando fui destinata ad
accompagnare Isotta in questa malaugurata avventura! Ahim, Isotta e Tristano, questa bevanda sar la
morte di ambedue voi".
Ora che la fanciulla e il giovane, Isotta e Tristano, avevano tutti e due bevuto il filtro, immantinente giunse
la Minne, l'inquietudine del mondo intero, la cacciatrice dei cuori e si insinu in quelli di ambedue. Prima
che se ne accorgessero essa vi aveva piantato il suo vessillo vittorioso e li aveva presi in suo potere.
Essi che prima erano due esseri discordi divennero una cosa sola in un solo accordo: non furono pi avversi
l'uno all'altro: l'odio di Isotta era svanito. La Minne conciliante aveva purificato il loro spirito dall'odio e li
aveva uniti nell'amore, talmente che ognuno di essi era per l'altro trasparente come un cristallo. Avevano
ambedue un unico cuore, la pena di lei era il dolore di lui, e il dolore di questi era la pena di lei e tutti e due
avevano in comune l'amore e il dolore, eppure si nascondevano per dubbio e pudore: essa si vergognava e
lui pure, lei dubitava di lui e lui di lei. Per quanto cieca fosse la brama del loro cuore avevano un'unica
volont, pure era loro difficile cominciare e dire la prima parola. Cos celavano uno all'altro la propria
inclinazione.
Quando Tristano avvert l'impulso d'amore, pens subito alla fedelt e all'onore e voleva fuggire.
"No - pensava tra s rifletti Tristano, e distogline la mente".

Ma il cuore voleva sempre ritornarvi. Egli combatteva continuamente contro il suo desiderio e bramava
contro la propria brama: ora voleva una cosa ora un'altra, trascinato ora dall'una ora dall'altra parte.
Smarrito e in lotta continua, resistette a lungo: il leale cavaliere aveva due profondi travagli: quando la
guardava negli occhi, la dolce Minne prendeva a devastare il suo cuore e i suoi sensi e allora egli pensava
all'onore che da quello lo distoglieva; ma ben presto la Minne, sua signora, lo riprendeva ed egli doveva
essere obbediente a lei. La sua fedelt e il suo onore molto lo tormentavano, ma ancor pi lo tormentava
la Minne che gli faceva pi male ancora: essa lo affliggeva pi che la fedelt e l'onore.
Guardandola, il suo cuore si rallegrava, ma lo sguardo se ne distoglieva: se per non la vedeva, questo
diveniva la sua maggior sofferenza. Sovente, come fa il prigioniero, rifletteva fra s come potesse sfuggirle
e spesso pensava:
"Volgiti da un'altra parte, muta questa tua brama, cerca e ama altrove".
Ma sempre lo serrava questo laccio. Egli esaminava il suo cuore e la sua mente e vi cercava un qualche
cambiamento, ma in essi non vi era che Isotta e Minne.
Lo stesso accadeva a Isotta, essa pure resisteva strenuamente e la vita le era a dispetto riconoscendo la
pania della magica Minne e vedendo che i suoi sensi vi erano impigliati. Essa voleva difendersi, voleva
uscirne e liberarsene, ma sempre il vischio le aderiva addosso e la sopraffaceva. La bella lottava e
resisteva: muoveva ogni passo con ripugnanza facendo ogni sorta di sforzo; con le mani e con i piedi si
difendeva e si rivoltava, ma sempre pi con le mani e coi piedi affondava nella cieca dolcezza dell'uomo e
della Minne. I suoi sensi invischiati non potevano districarsene n trovare via o ponte senza che a ogni
movimento e a ogni passo la Minne non fosse con lei.
Qualunque cosa Isotta pensasse, qualunque idea le venisse, altro non vi era mai che Minne e Tristano; e
tutto ci rimaneva segreto. Il cuore e gli occhi erano tra loro in disaccordo, il pudore ne distoglieva lo
sguardo, la Minne vi attirava il cuore, e queste schiere avverse, la fanciulla e l'uomo, Minne e il pudore,
erano in lei contrastanti. La fanciulla desiderava l'uomo e ne distoglieva lo sguardo: il pudore voleva amare
e non lo lasciava vedere. E a che cosa serviva tutto ci?
Pudore e fanciulla, a quanto dice generalmente il mondo, sono cosa tanto caduca, hanno cos breve durata
che non resistono a lungo.
Isotta si arrese alla sua inclinazione; vinta, abbandon il suo corpo e i suoi sensi all'uomo e alla Minne.
Di tanto in tanto lo guardava e lo osservava in segreto; i chiari suoi occhi e il suo spirito vivevano ora in
buon accordo fra loro. Il suo cuore e i suoi occhi di frequente si volgevano furtivi, di nascosto e
amorosamente, verso l'uomo. Questi a sua volta la guardava con profonda dolcezza. Egli pure cominciava
a cedere alla Minne che non lo abbandonava. Sempre e a ogni ora, appena potevano farlo con discrezione,
si scambiavano dolci sguardi. A ognuno degli amanti l'altro appariva pi bello di prima: questo il diritto
dell'amore, questa la legge della Minne, cos oggi come negli anni passati e sempre sar finch dura
l'amore: tutti gli innamorati si piacciono sempre di pi, man mano che l'amore in essi cresce e porta fiori e
frutti di maggior dolcezza che non al principio. La feconda Minne va sempre crescendo in bellezza. Questa
la semente che essa semina per cui non potr mai finire. Appare pi bella dopo che prima. Cos si
afferma il diritto della Minne: se questa apparisse uguale dopo come prima, presto la legge della Minne
avrebbe fine.
Le navi salparono nuovamente e seguirono allegramente la loro rotta, senonch l dentro la Minne aveva
portato due cuori fuori di strada. I due amanti erano pensierosi, oppressi dal mal d'amore, il quale opera
tali miracoli, mette fiele dentro il miele e rende aspra la dolcezza, infiamma ci che si intiepidito, turba la
tranquillit, svuota ogni cuore e sconvolge il mondo intero. Cos Tristano e Isotta ne erano stati colpiti e li
opprimeva una continua strana pena: non riuscivano ad avere pace n riposo se non si vedevano. Ma
quando si guardavano cominciava per essi una nuova sofferenza, perch non potevano appagare il loro
desiderio; e ci faceva il ritegno e il pudore che impedivano loro il piacere; ogni volta che volevano
scambiarsi in segreto furtivi sguardi innamorati il loro volto diveniva del colore stesso del cuore e dei sensi:
Minne, la bella pittrice, non si contentava che il nobile cuore conservasse in segreto il potere di lei, ma
voleva che fosse apertamente rivelato agli occhi di tutti. E questo si manifest nei due amanti: il colore del
loro volto non rimaneva a lungo della medesima tinta, ma mutava sempre dal pallido al rosso; essi
arrossivano e impallidivano secondo come li tingeva la Minne. Cos ognuno di essi riconobbe, come a
questi segni si suole, che chi li attirava l'uno verso l'altro era la Minne e allora cominciarono a mirarsi
amorosamente, a spiare il tempo e il luogo per parlarsi segretamente. I cacciatori della Minne si tendevano

frequentemente l'un l'altro le reti e i lacci, le imboscate e gli agguati, e con risposte e con domande molti
racconti si scambiavano tra loro.
Il modo di fare e di parlare di Isotta era quale suole essere quello di una fanciulla: cominciava da lontano
pian piano a farsi intorno al suo diletto e amico: da principio gli ricord come egli fosse venuto a Develin
solo e ammalato in una navicella e come la madre di lei lo avesse accolto presso di s e anche guarito, e
tutto quello che poi avvenne, e come lei stessa sotto la direzione di lui avesse imparato il latino e a
scrivere e a suonare ogni sorta di strumenti. Con molti discorsi lo intratteneva sul suo virile coraggio e
anche intorno al serpente e sul come per ben due volte lo avesse riconosciuto: nel laghetto e nel bagno. Il
discorso si alternava tra loro: egli parlava a lei ed essa a lui.
"Ah - diceva Isotta - che fortuna che non ti abbia ucciso nel bagno! Signore Iddio, come mai potevo agire
cos. Se allora avessi saputo quello che ora so, certamente sarebbe stata la vostra morte".
"Perch, bella Isotta - disse egli - che cosa vi tormenta? e che cosa che sapete?".
"Mi tormenta quello che so, quello che vedo mi d dolore: ho a noia cielo e mare, la vita stessa mi di
peso".
Essa si appoggi a lui, sostenendosi sui gomiti: questo fu il principio dell'ardire. I chiari occhi lucenti si
riempirono furtivamente di lacrime, il cuore cominci a battere, la dolce bocca a protendersi, la testa si
chin. Il suo amico prese allora a circondarla con le braccia, per tenendosi n troppo vicino n troppo
discosto, ma come pu permettersi di fare un estraneo. A bassa voce e dolcemente le diceva:
"Oh bella, dolce signora, ditemi, che cosa avete? che cosa vi turba?".
Isotta, zimbello della Minne,
"L'ameir" - rispose - questo il mio tormento; "l'ameir" mi opprime l'animo, "l'ameir" mi fa dolere il
cuore".
Poich essa pronunziava cos sovente l'ameir egli si mise a pensare e ricercare accuratamente e
ansiosamente il significato di questa parola e cos si ricord che "ameir" vuol dire amare, "amer" amaro, la
"meir" il mare. Di significati gli parve che ce ne fosse tutta una fila. Dei tre ne tralasci uno e chiese degli
altri due: tacque della Minne, loro signora e padrona di ambedue, loro consolazione e loro desiderio e parl
invece del mare e di amarezza:
"Io credo - disse - bella Isotta, che il mare e la sua asprezza siano causa del vostro male; voi sentite il
sapore del mare e del vento e penso che questi due vi siano amari".
"No, messere, no! che dite mai! n l'uno n l'altro mi danno disturbo; non mi dispiace n il mare n
l'aria: "l'ameir" solo mi fa soffrire".
Quando egli ebbe compresa quella parola e riconosciutavi la Minne, le disse in segreto:
"In verit, bella Isotta, lo stesso accade a me; "l'ameir" e voi siete il mio tormento. Amata mia, mia
diletta Isotta, voi sola e il vostro amore mi avete rapito e travolto il cuore e il senno; sono tanto fuor di
strada che mai pi mi ritrover! Tutto quello che il mio occhio vede mi duole e mi opprime, mi affatica e mi
dispiace; nulla al mondo caro al mio cuore se non voi".
E Isotta replic:
"E cos voi a me".
Quando gli innamorati ebbero riconosciuto in se stessi un unico cuore, un solo animo, un'unica volont, la
loro pena cominci a calmarsi e al tempo stesso a divenir palese. Ognuno guardava l'altro e gli parlava pi
arditamente, l'uomo alla fanciulla, la fanciulla all'uomo. Fra loro il ritegno era finito: egli la baciava e lei
baciava lui dolcemente e amorosamente; questo era il pegno della Minne, il suo inizio beato: ognuno
mesceva e ognuno beveva la dolcezza che dai loro cuori fluiva. Sempre, quando ne trovavano l'occasione
favorevole, riprendevano fra loro nascostamente lo scambio con tanto mistero che nessuno al mondo
penetrava l'animo loro e il loro intento, se non colei che gi ne era a conoscenza.
La saggia Brangaene osservava sovente in silenzio e di nascosto il loro segreto comportamento e pensava

tra s:
"Ohim! lo vedo bene, l'amore comicnia fra loro".
Ben presto cominci a comprenderne e a constatarne in loro la gravit e a indovinare dall'esterno l'intima
sofferenza del loro cuore e della loro anima. La loro pena le faceva compassione, vedendoli a ogni
momento ameire e amare, sospirare e rattristarsi, meditare, languire e mutar colore. Dal dolore non
prendevano pi alcun nutrimento, finch la mancanza di cibo e il dolore li vinsero al punto che Brangaene
se ne angusti temendo fosse giunta la loro fine e pens:
"Suvvia, coraggio, va' e scopri che cosa vi sia".
Sedette un giorno accanto a loro, pianamente e raccolta:
"Non c' nessuno qui - disse la saggia e nobile donzella all'infuori di noi tre; ora ditemi voi che cosa c'
che vi turba? Vi vedo continuamente assorti in pensieri, sospirare, lamentarvi e rattristarvi".
"Cortese Signora, se mi fosse lecito dirvelo lo farei", disse Tristano.
"Bene dunque, parlate, ditemi quello che volete dirmi".
"Siate benedetta, voi buona - rispose egli - io non oso parlare se prima non mi assicurate con promessa
e giuramento che sarete benigna verso noi due poveretti: altrimenti siamo perduti".
Brangaene diede loro la sua parola, promise e li assicur sulla sua fede e davanti a Dio che avrebbe fatto
ci che essi volevano.
"Buona e fedele amica - disse Tristano - ora pensate prima a Dio, poi considerate la vostra stessa
salvezza; riflettete alla nostra afflizione e alla nostra angoscia. Io, meschino, e la misera Isotta, non so
come ci abbia potuto accadere, abbiamo in breve tempo perduto il senno tutt'e due per uno strano male:
moriamo di amore e non ne possiamo trovare n il tempo n il luogo, ch a tutte le ore voi ci disturbate e
certamente noi ne moriremo e la colpa non sar d'altri che di voi. La nostra morte e la nostra vita sono in
mano vostra. Con questo tutto detto. Brangaene, dolce fanciulla, ora aiutateci e fate grazia alla vostra
signora e a me".
Brangaene domand a Isotta:
"Madonna, il vostro male davvero cos grave come egli dice?".
"S, cugina del mio cuore", rispose Isotta.
"Dio abbia misericordia - disse Brangaene - ch il diavolo si preso gioco di noi! Vedo bene che non c'
scampo e per amor vostro devo agire in modo che ne verr dolore a me e vergogna a voi; ma piuttosto che
lasciarvi morire, vi do libert. Non rinunciate per me a quello che intendete fare e che neppure per il vostro
onore non potete tralasciare; se per potete trattenervi e astenervi da questa azione, astenetevene:
questo il mio consiglio; fate che questa onta rimanga segreta e nascosta tra noi tre. Se la palesate, tanto
pi ne va del vostro onore; se qualcuno l'apprende all'infuori di noi, siete perduti e io pure con voi. Mia
diletta signora, bella Isotta, la vostra vita e la vostra morte sono in mano vostra: ora disponete della morte
e della vita secondo il vostro talento. Da ora in poi siate senza alcun timore di me: fate quello che vi
aggrada".
La notte, mentre la bella giaceva tristemente, ammalata e languente per il suo
"amis", Tristano e la Minne, cio l'"amis" e la risanatrice, si insinuarono pian piano in camera sua. Minne,
la medichessa, conduceva per mano il suo paziente e trov l anche Isotta, la sua ammalata; prese allora i
suoi due pazienti e li diede l'uno all'altra come medicina. Che cosa avrebbe potuto liberarli ambedue dal
comune male se non la loro unione, il vincolo dei loro sensi? Minne, la seduttrice allacci i due cuori col suo
dolce vincolo con tale grande maestria e tale meravigliosa potenza che non si sciolsero pi per tutta la vita
loro.
Un lungo discorso sulla Minne annoia lo spirito cortese: un discorso breve sulla Minne si addice, invece,
all'animo buono.

Per quanto poco a mio tempo io abbia sofferto del mal d'amore, del dolce dolore di cuore che lo fa cos
deliziosamente dolere dentro di noi, pure l'animo mi dice, e devo pur crederlo, che ai due amanti fu molto
caro di avere rimosso dalla loro via l'odiata sorveglianza, questa peste dell'amore, la nemica della Minne.
Ho pensato molto a essi e ancora tutti i giorni vi penso: quando rifletto all'amore e alla passione di amore e
ne considero nel mio cuore le vicissitudini, allora tutto il mio spirito si innalza, e il mio coraggio, mio
compagno d'armi, si slancia come se volesse raggiungere le nuvole. Quando particolarmente medito sul
miracolo della felicit, che nell'amore trova chi ve la sa cercare, e alle gioie che l'amore procura a colui che
con fedelt lo coltiva, allora il mio cuore si fa pi grande del mondo intero e ho compassione con tutta
l'anima della Minne, perch il maggior numero dei viventi a lei si attacca, eppure nessuno le fa giustizia.
Tutti noi vogliamo farci animo e percorrere le vie della Minne, ma no, la Minne non tale come noi
falsamente ce la rappresentiamo. Noi facciamo le cose alla rovescia, seminiamo giusquiamo e vogliamo
che porti rose e gigli, e questo in verit non possibile; dobbiamo raccogliere quello che stato piantato e
mietere quello che la semente produce; dobbiamo falciare e tagliare quello che seminammo. Noi
coltiviamo la Minne con l'amarezza nell'animo, con falsit e inganno e poi vi cerchiamo la gioia dei sensi e
del cuore. E cos essa ci porta soltanto dolore, mali frutti e sventura, secondo quanto stato piantato; e
quando poi ne nasce rammarico e ci ulcera il cuore e ci uccide dentro, allora accusiamo la Minne e diamo
la colpa a lei che mai ebbe colpa alcuna. Seminiamo ogni falsit e mietiamo male e malanno. Se l'onta
molto ci dispiace, riflettiamoci prima e seminiamo meglio, ch cos anche meglio mieteremo. Noi che
l'animo, buono o cattivo che sia, teniamo rivolto al mondo, che cosa facciamo dei nostri giorni che
passiamo e sprechiamo in nome della Minne, e poi non vi troviamo nulla se non gli stessi travagli che vi
abbiamo gi riconosciuti, insuccesso e disgrazia? Non vi troviamo nulla di quel bene che desideriamo e che
mai ci viene concesso. Questo bene l'amicizia costante, che costantemente consola, che accanto alle
spine porta le rose e dopo il travaglio d la pace, nella quale, anche in mezzo alle cure, sta ascosa la Minne
e che infine produce sempre gioia, sia pure nell'affanno: questo bene raramente si trova e quindi per
questo che lavoriamo. E' pur vero quello che dicono: la Minne scacciata e bandita nei luoghi pi remoti.
Non ne abbiamo pi che la parola, il nome solo ci rimasto e anche questo lo abbiamo bandito: lo abbiamo
sciupato e consunto e distrutto finch lei stessa, stanca, si vergogna del suo nome e se ne duole; si
trascina debole, disonorata e misera sulla terra, va mendicando di casa in casa e porta un variopinto sacco
di mali costumi nel quale versa tutto quello che ha rubato e mendicato e che si toglie dalla propria bocca
per andarlo a vendere per le strade. Ohim, questo mercato lo facciamo noi che con lei pratichiamo questo
strano costume e ancora vogliamo ritenerci innocenti. La Minne, la regina di tutti i cuori, la libera, l'unica
Minne mercanteggiata. In lei abbiamo resa tributaria la nostra regalit. Portiamo al dito una falsa
imitazione invece del vero anello e con questo ci inganniamo. E' un triste privilegio della menzogna che
colui che rinnega cos l'amico inganni se stesso. Noi che con falso amore siamo traditori della Minne, in che
modo passiamo i nostri giorni, noi che cos raramente sappiamo dare lieto fine alla nostra lamentela?
Come sprechiamo la nostra vita, senza amore e senza bene! Eppure anche quello che non ci riguarda vale
a darci buon animo: quello che le belle storie raccontano di amabili avventure, quello che si narra di gente
vissuta secoli addietro, tutto ci fa bene al cuore ed pieno di tali pregi, che se qualcuno fosse soltanto
fedele e costante e senza malizia verso l'amico, potrebbe procacciarsi per proprio conto tale gioia nel
cuore, mentre teniamo sotto i piedi ci da cui tutto questo proviene, vale a dire la fedelt che viene dal
cuore; invano essa si stringe a noi, noi ne distogliamo lo sguardo indifferenti; l'abbiamo calpestata con
dispregio fin sotto terra e se la vogliamo, non sappiamo pi dove cercarla. Sarebbe cos buona e
profittevole la fedelt fra amanti! perch dunque non l'amiamo? Uno sguardo, un cenno benevolo degli
occhi amati estingue senza fallo centomila martiri del corpo e del cuore. Un bacio sulla cara bocca che
venga dal profondo del cuore ah! come farebbe svanire ogni nostalgica cura e ogni dolore!
So bene che le pene di Tristano e Isotta, la coppia impaziente, furono assai alleviate per l'uno e per l'altro
allorch compresero di avere il medesimo intento. Era finita quella brama che affanna e opprime la mente;
ora quello che tutti gli amanti desiderano lo compivano fra loro. Allorquando il tempo e il luogo erano
propizi a trovarsi insieme, davano e prendevano con animo fiducioso dolce tributo da se stessi e dalla
Minne. Ora era a loro ben gradito il viaggio e il navigare; da quando fra loro era partita l'estraneit, la loro
vita comune era felice e beata e in ci era saggezza e senno, poich coloro che si evitano e si nascondono
il loro amore, dopo esserselo rivelato, e vogliono ancora mantenere il ritegno e si estraniano all'amore
stesso, sono ladri di se medesimi. Quanto pi si celano tanto pi rubano a se stessi e mescolano la gioia
col dolore. Questi due amanti non si nascondevano l'uno dall'altro, ma con cenni e con parole erano
sempre uniti tra loro.
Cos, si compiva il viaggio in gaudio di vita eppure non interamente felice; un timore li turbava: temevano
quello che pi tardi si avver e che poi rap loro ogni gioia e port loro tante tribolazioni; cio che la bella
Isotta doveva andare sposa all'uomo cui non voleva appartenere. Anche un altro pensiero li affliggeva:

Isotta ormai non era pi fanciulla. Questa era la preoccupazione di cui soffrivano ambedue; per questa
sofferenza era lieve e sopportabile perch fra loro erano liberi di fare la volont loro come e quanto
volevano.
Ora che andavano avvicinandosi alla Cornovaglia tanto da vedere gi la terra, tutti se ne rallegravano e
ognuno era lieto, salvo Tristano e Isotta che stavano in angustia e nel timore; se avessero potuto fare
secondo il loro desiderio non avrebbero mai toccato terra. Li rattristava ambedue il timore per l'onor loro;
non sapevano come e che cosa fare perch al re rimanesse celata la condizione di Isotta. Pure, per quanto
irragionevoli siano gli amanti ingenui nella loro semplicit, pure fu la giovinetta che trov il miglior
consiglio. Cos, come la Minne ama trastullarsi con i bimbi irragionevoli, cos nei fanciulli possiamo trovare
spirito e astuzia.
Evitiamo i lunghi giri di parole: Isotta nella sua ingenuit trov un artifizio e un'astuzia che migliore non
poteva essere in quel frangente: cio di pregare Brangaene di giacere per quella prima notte in silenzio e
senza rumore con Marco loro signore e in compagnia di lui. Egli non se ne sarebbe accorto, essendo essa
fanciulla e bella. Cos la Minne volge a falsit la mente pura e retta che dovrebbe ignorare tutto quello che
si riferisce a inganno.
Gli amanti fecero in questo modo, pregarono tanto a lungo e con tanta insistenza Brangaene finch
conseguirono lo scopo ed essa accett e promise con giuramento, sebbene molto a malincuore. Essa si
faceva volta a volta rossa e di nuovo pallida e le dava grande pena questa richiesta che veramente era
strana abbastanza.
"Diletta signora - disse Brangaene - vostra madre, la regina mia signora, vi ha dato in mia custodia e io
stessa avrei dovuto guardarvi da tale malanno durante questo malaugurato viaggio. Ora voi avete
vergogna e dolore a causa della mia disattenzione; perci ora non mi devo troppo lamentare e devo
sopportare con voi la vergogna; anzi sarebbe giusto che la portassi io sola: poteste esserne cos liberata
voi! Signore Iddio di misericordia, perch mi avete cos abbandonata?".
Isotta disse a Brangaene:
"Mia nobile cugina, dimmi che cosa ti tormenta? Non capisco il tuo rammarico".
"Madonna, l'altro giorno io gettai dalla nave una fiala di cristallo".
"Infatti, che cosa significa questo?".
"Ohim, questo cristallo e il filtro che esso conteneva saranno la morte di voi due".
"Perch, cugina? - chiese Isotta - che novella questa?"
"Cos "; e Brangaene narr ad ambedue tutto dal principio alla fine.
"In nome di Dio - esclam Tristano - si tratti pure di vita o di morte, per me stato un dolce veleno. Non
so come sar quella morte, ma questa mi di gioia. Se pure la mia diletta Isotta dovesse portarmi tale
morte, sceglierei volentieri un eterno morire".
Lasciamo i vani discorsi: se si vuol godere l'amore non si pu pretendere che tutto rimanga sempre
immutato, ma si deve sopportare anche il dolore.
Per quanto dolce sia l'amore dobbiamo pur pensare anche all'onore ed un perdere questo il volgersi
soltanto ai piaceri della carne. Per quanto cara fosse a Tristano la vita che conduceva, pure l'onore ne lo
distoglieva e la sua lealt lo obbligava a riflettere che doveva condurre a Marco la sua sposa. Tanto la
lealt che l'onore gli torturavano il cuore e la mente che poco prima dalla Minne erano stati vinti, quando a
loro egli aveva preferito la Minne: ora essi, onore e lealt, vincevano sulla Minne.
Tristano mand dei messi a terra con due battelli per informare Marco e dargli notizie della bella d'Irlanda.
E Marco mand subito tutti quelli dei suoi che pot, pi di mille messi, a invitare tutta la nobilt: ospiti e
amici furono ricevuti con grande festa; quegli stessi due amanti dai quali gli venne poi il male peggiore e il
maggior bene, che anche a lui come a loro cost la vita, egli li accolse con tutto l'onore col quale un uomo
suole accogliere ci che sopra ogni cosa gli caro.

Intanto Marco fece dire a tutti i baroni di venire a corte entro diciotto giorni, nel modo pi conveniente, per
le sue nozze.
Tutti risposero volontieri all'appello e vennero in gran numero.
Giunse pi di una bella schiera di cavalieri e dame per contemplare la gioia degli occhi, la chiara Isotta.
Essa fu molto ammirata e si udiva dire soltanto:
"Ist, Ist la blunde, marveil de tu le munde,( Isotta la bionda la meraviglia del mondo). E' tutto vero
quello che si dice di questa benedetta fanciulla: essa d gioia al mondo come fa il sole. Mai vi fu in alcun
paese una cos splendida fanciulla".
Ora che il matrimonio era stato celebrato e riconosciuto il suo diritto sulla Cornovaglia e l'Inghilterra e
queste garantite in mano di lei, fu stabilito che se non vi fossero eredi, l'erede sarebbe stato Tristano; e
dopo che a lei fu fatto omaggio, venne la sera ed essa doveva andare a dormire col suo signore Marco;
Tristano e Brangaene si erano ben premuniti e messi d'accordo con lei sul modo e sul luogo. Nella stanza di
Marco non c'erano che loro quattro, il re stesso e loro tre. Ora anche Marco era coricato. Brangaene aveva
indossato la veste di Isotta: fra loro due si erano scambiate gli abiti.
Tristano accompagn Brangaene a soffrire il martirio e la pena, madonna Isotta spense i lumi. Marco
strinse Brangaene a s; non so come le sia piaciuto il principio di questa storia, essa sopport cos
pianamente che tutto rimase in silenzio: quello che il suo compagno richiedeva ella glielo concedeva,
ottone o oro, come egli voleva. Io posso assicurare che ben raramente era accaduto che cos bell'ottone
fosse pagato per oro come tributo nuziale. Veramente scommetterei la mia vita che dal tempo di Adamo in
poi mai fu coniato s nobile metallo falso, n mai moneta falsa cos gradita fu posta a lato di un uomo.
Intanto che quei due erano occupati nel gioco d'amore, Isotta stava sempre in pena e angustia e pensava
tra s:
"Signore Iddio salvami e aiutami e fa' che la mia cuginetta mi serbi la fede; se essa continua troppo a
lungo il gioco d'amore temo che finisca col piacerle tanto che facilmente pu sorprenderla il giorno: allora
saremmo zimbello e ludibrio a tutti".
Ma no, i pensieri e l'animo di quella erano buoni e onesti: quando ebbe fatto tutto ci che doveva per
Isotta e assolto il suo compito, scivol via dal letto; Isotta fu pronta subito a sedersi sull'orlo del giaciglio
come se fosse la stessa di prima. Allora il re ordin di portare il vino: egli seguiva in ci l'uso di allora,
perch era costume del tempo che cos si facesse: che, quando uno era giaciuto con una fanciulla,
ottenuto il fiore del suo amore, venisse qualcuno con del vino e ne facesse bere ad ambedue, insieme e
senza distinzione. Anche qui fu osservata questa costumanza. Suo nipote Tristano port subito lumi e vino;
il re bevve e la regina pure. Alcune storie vogliono che fosse lo stesso filtro che caus tanto dolore di cuore
a Tristano e a Isotta: ma no, di quella bevanda nulla pi ne restava: Brangaene l'aveva gettata in mare.
Ora che secondo l'usanza avevano ambedue bevuto, la giovane regina Isotta con grande fatica e segreto
dolore dell'animo e del cuore si stese accanto al re suo signore. Egli ricominci le sue delizie; la strinse a
s, prese una donna per l'altra: trov anche questa docile e l'una gli valse l'altra. In ognuna trov oro e
ottone. Anche esse gli resero il loro tributo in modo che egli di nulla si accorse.
Madonna Isotta fu allora grandemente onorata e amata dal suo signore Marco e tenuta in grande
considerazione, tutto il popolo e il paese la onorava e lodava, poich in lei si vedevano tante virt e tanta
grazia. Chiunque era capace di lodare parlava a sua gloria e in suo onore. In tutto questo tempo essa e il
suo amis prendevano il loro piacere e la loro gioia in molti modi a tutte le ore; poich nessuno vi trovava da
ridire e n uomo alcuno n donna pensava a qualche cosa di male. Essa era in custodia di lui sempre e
dappertutto e viveva secondo il proprio talento.
Intanto per lei ripassava in cuor suo e rifletteva a tutte queste cose; e che del suo segreto e del suo
inganno nessuno sapeva nulla, all'infuori della sola Brangaene e che se non ci fosse stata questa, lei non
avrebbe avuto nulla da temere per il suo onore. Era anche molto preoccupata per il timore che Brangaene
potesse nutrire amore per Marco e gli rivelasse la sua onta e tutto quello che era avvenuto. Cos, con la
sua preoccupazione, la regina dimostr che, pi ancora che Dio, si teme il dileggio e la vergogna.

Essa fece chiamare due servi stranieri, venuti dall'Inghilterra; prese da ambedue giuramento su
giuramento e assicurazione di fedelt. Poi ordin loro, pena la vita, di fare subito quanto avrebbe
comandato, mantenendolo segreto. Cos disse loro:
"Ora state bene attenti a quello che intendo: io mander con voi una giovane, prendetela e cavalcate
con lei rapidamente e di nascosto tutti e tre in qualche foresta, sia vicina o lontana come pi vi piace, dove
non ci sia nessuno, e tagliatele la testa: e fate bene attenzione a quello che essa dir e ditelo a me.
Portatemi anche la sua lingua e siate certi che io nel giorno di domani con gli usi cavallereschi vi far
ambedue cavalieri e vi dar beni e doni finch avr vita".
La cosa fu cos stabilita. Isotta chiam allora Brangaene:
"Brangaene - disse - non sono molto pallida? Non so quello che ho, mi duole tanto la testa: procurami
delle erbe, bisogna che troviamo rimedio a questo male altrimenti ne va della mia vita".
La fedele Brangaene rispose:
"Madonna, il vostro male molto mi addolora, non dite altro, comandate soltanto che mi indichino un
luogo dove possa trovare qualche cosa che vi sollevi".
"Ecco, qui ci sono due servi con i cavalli, essi ti guideranno".
"Volentieri madonna, cos sar fatto".
Salt in sella e si avvi con loro.
Giunti nella foresta in cui vi era dovizia di quelle erbe che essa desiderava, Brangaene voleva scendere da
cavallo, ma essi la condussero pi profondamente nella solitaria boscaglia. Quando furono lontano
nell'aperta campagna, presero la fedele, la cortese e buona donzella e la posarono a terra con tristezza e
rammarico e levarono le spade. Brangaene ne ebbe tale spavento che giacque a terra e vi rimase distesa;
il cuore le tremava e cos tutte le membra, alz gli occhi spaventata:
"Grazia, messeri - disse per amor di Dio che cosa volete fare?"
"Voi dovete morire".
"Ohim, perch?, ditemelo".
Uno di essi le chiese:
"Che cosa avete fatto contro la regina? E' lei che ci ha ordinato di uccidervi e cos deve essere: la nostra
e vostra signora Isotta ha lei stessa ordinato la vostra morte".
Brangaene giunse le mani e piangendo parl:
"Messeri, per vostra bont e per l'amor di Dio ritardate questo ordine e lasciatemi vivere finch io vi
possa rispondere; dopo farete presto a uccidermi. Dovete dire alla mia signora e sapere voi stessi che io
mai ho mancato verso di lei n commesso cosa che potesse recarle dispiacere, se non sia questo a cui
per non voglio credere. Quando partimmo dall'Irlanda avevamo ambedue due vesti che ci eravamo scelte
e messe da parte dalle altre vestimenta; ci eravamo portate via dalla nostra terra queste due camicie
bianche come la neve. Quando fummo in mare, durante la traversata, il sole dava un tale calore che la
regina in quei giorni non poteva sopportare altro che la sola camicia bianca e pulita. Questa le dava tanto
piacere e tanto essa la port che cominci a sciuparsi e anche il suo biancore cominci ad alterarsi. Intanto
io avevo ben nascosta e conservata nell'armadio la mia in belle pieghe bianche. E quando la mia signora
giunse qui e prese il re per suo signore e doveva andare a dormire con lui, la sua camicia non era cos bella
come avrebbe dovuto essere e lei desiderava che le prestassi la mia e io in principio mi rifiutai e in questo
mancai al mio dovere.
Se non per questa ragione, Dio sa che io mai feci nulla contro il suo desiderio e il suo comando. Ora vi
prego per l'amor di Dio, salutatela da parte mia come da ancella si addice salutare la sua signora; e Dio
nella sua bont la guardi e protegga il suo onore, la sua persona e la sua vita! E le sia perdonata la mia
morte. Raccomando l'anima mia a Dio e il mio corpo al comando vostro".

I due uomini si guardarono impietositi; faceva loro compassione quella gentile fanciulla e il suo pianto
desolato: si pentivano e si dolevano assai di aver promesso di ucciderla poich non trovavano nulla in lei
n potevano scoprire cosa che comportasse la morte o la meritasse. Si consigliarono fra loro e si
accordarono che, andasse pure come poteva, l'avrebbero lasciata vivere. Legarono la fedele ancella su di
un alto albero affinch i lupi non la prendessero prima che essi non fossero di ritorno e tagliarono la lingua
a un cane e si allontanarono sui loro cavalli.
I due uomini dichiararono a Isotta, l'omicida, che l'avevano uccisa con rammarico e a malincuore e
assicurarono che la lingua era quella di lei. Isotta domand:
"Ora ditemi, che cosa vi ha raccontato la fanciulla?".
Essi riferirono tutto quanto questa aveva detto loro dal principio alla fine e non tacquero nulla".
"Ma - chiese la regina - non vi ha detto altro?"
"No, madonna".
"Ohim - esclam Isotta - guai a voi per questo delitto! Sciagurati assassini, che cosa avete fatto? Sarete
tutti e due impiccati".
"Signore Iddio, che discorso questo? O, strana regina Isotta, voi ci avete con grande insistenza pregati
e costretti d ucciderla".
"Io non so di che preghiera parlate, io ho affidato la mia ancella alle vostre cure affinch la guardaste
per la via, perch doveva portarmi qualche cosa per mio uso. Dovete rendermela o ne va della vostra vita:
voi, vili serpenti velenosi, sarete impiccati o bruciati sulla graticola".
"In verit - replicarono quelli - madonna, il vostro cuore e l'animo vostro non sono n puri n buoni, la
vostra parola molto mutevole.
Ora, madonna, vogliate ritardare la vostra condanna: piuttosto che perdere la nostra vita vogliamo
rendervi la vostra ancella bella e in buona salute".
Isotta parl piangendo forte:
"Ora non mentitemi pi: Brangaene viva o morta?"
"Essa ancora viva, o strana Isotta".
"Oh portatemela qui e quello che vi ho promesso ve lo dar."
"Sar fatto, madonna Isotta".
Isotta trattenne uno di loro, l'altro cavalc fino al luogo dove avevano lasciato Brangaene e la riport alla
sua signora Isotta. Questa la prese fra le sue braccia e la baci sulle gote e sulla bocca tante e tante volte.
Ai due servi diede per compenso ben venti marchi d'oro a condizione che di tutto questo tacessero
sempre.
Isotta aveva ormai riconosciuto Brangaene fedele e costante fin alla morte, di animo sincero in ogni cosa,
provata nel crogiuolo e pura come l'oro; da allora in poi Brangaene e Isotta furono cos unite e affezionate
col cuore e con l'animo che nulla poteva pi separarle; erano sempre insieme, liete di spirito e di cuore.
Brangaene era ben vista a corte e la corte era piena delle sue lodi; era amata da tutti e non portava
rancore ad alcuno, n internamente n fuori; era lei la consigliera del re e della regina. Nulla accadeva nel
loro appartamento che essa non ne fosse informata. Sempre era assidua al servizio di Isotta e l'aiutava
secondo il desiderio di lei con Tristano, il suo amis.
In tutto questo si comportavano con tanta segretezza che nessuno aveva concepito il minimo sospetto:
nessuno badava ai loro discorsi o ai loro gesti o a quanto li riguardasse, o imaginava qualche cosa; essi
vivevano tranquilli e felici come due amanti che hanno il tempo e il luogo propizi e a loro disposizione.
L'"amie" e l'"amis" erano sempre e a ogni ora preda della Minne, si scambiavano sovente con gli occhi di

giorno e pubblicamente e fra la gente amorosi sguardi che esprimevano gli scambievoli detti che servono a
unire in ogni diletto di amore. E giorno e notte lo facevano senza pericolo: erano liberi e disinvolti nel loro
comportamento e nelle loro parole, sia che stessero in piedi o seduti o passeggiando.
Cominciarono a intrecciare i loro aperti discorsi con segrete parole, cosa che sapevano fare a meraviglia,
cos che nel loro parlare l'opera della Minne si insinuava come un filo d'oro in un tessuto. Ma a nessuno
veniva in mente che in parole e in opere si trattasse di altro amore se non di quello dovuto alla parentela
stretta che vi era fra Marco e Tristano ed essi la sfruttarono e ne approfittarono per il loro gioco amoroso.
Cos la Minne ingannava il senno e il cuore di molti e nessuno mai si accorse della natura del loro amore.
Questo era chiaro e buono: la mente e l'animo loro erano uniti tanto da formare una sola cosa: si
corrispondevano l'uno e l'altro, s e s, no e no; in verit non si udiva mai dire s a un no, oppure no a un s;
in nulla erano separati, ma vivevano ambedue l'uno nell'altro.
Cos passavano piacevolmente le ore, ora in un modo ora nell'altro, ed erano a volta a volta allegri e tristi,
cos come suol fare l'amore negli innamorati; nel loro cuore palpitava la dolcezza accanto alla malinconia e
accanto alla gioia c'era pena e grave cura. Cos Tristano e Isotta non potevano sempre giungere alla meta
dei loro desideri e questo era il loro male e questo li rendeva ora tristi ora allegri.
Neppure mancava fra loro la collera, nonostante tutto il loro amore, intendo collera senza odio; e se
qualcuno nega che la collera sia possibile fra due tali amanti, in verit vi dico che questi non ha mai
conosciuto vero amore, poich tale il costume della Minne di accendere cos gli amanti e infuocarne
l'anima; ch, come la collera ferisce il cuore, altrettanto il fedele affetto lo risana: e cos l'amore si rinnova
e l'affetto maggiore di prima. Ma come nasca la collera e come poi giunga da se stessa alla
riconciliazione, questo certamente lo avete gi molte volte udito.
Sovente gli amanti che stanno sempre insieme si immaginano che un'altra persona sia pi cara all'amato e
a lui pi diletta e da piccola causa nasce grande baruffa e da lieve dolore grande riconciliazione e anche
questo un bene e non si deve risparmiarlo loro, perch da questo l'amore deve crescere, rinnovarsi,
ringiovanire e condurre a vero fedele affetto. L'amore immiserisce e si raffredda se privo di questo fuoco,
perch, come passa la collera, anche esso subito appassisce. Quando fra amici sorge qualche piccola
disputa, allora il fedele affetto ne il conciliatore sempre nuovo e fresco. Cos si rinnova la fedelt, e cos
come si purifica l'oro, si purifica l'amore.
Cos Tristano e Isotta passavano le ore fra il piacere e la pena: la gioia e la pena mai si dipartivano da loro;
intendo, la gioia priva del dolore di cuore. Nessuno di loro due aveva ancora sentore del duolo e della
passione che minacciavano i loro cuori. Essi nascondevano amore e pena e custodivano il loro segreto con
arte e con cura e cos continuarono per lungo tempo. Erano entrambi liberi e lieti e di buon animo: la
regina Isotta era amata in tutto il paese e da tutto il popolo e anche di Tristano si facevano lodi dal popolo
e nel paese: egli era celebre e stimato e molto temuto in tutto il regno.
Ora Tristano, pieno di slancio, passava molte delle sue ore in esercizi cavallereschi e nei giorni di ozio si
divertiva col falco e andava a caccia a tempo opportuno.
In quell'epoca una nave giunse in Cornovaglia, nel porto di re Marco: ne scese un gagliardo cavaliere, un
nobile barone d'Irlanda chiamato Gandin, cortese, bello, ricco e nobile, cos aitante della persona che la
fama del suo valore era diffusa in tutta l'Irlanda.
Questi venne solo, a cavallo, alla corte di Marco, sfarzosamente abbigliato con cavalleresca magnificenza.
Non portava n spada n scudo, sulle spalle aveva una piccola rotta ornata di oro e di gemme e bene
accordata. Quando smont dal cavallo entr nel palazzo e salut cortesemente Marco e Isotta della quale
era gi in molte occasioni stato amico e cavaliere e per amore di lei era ora venuto dall'Irlanda in
Cornovaglia. Ora anche la regina lo riconobbe:
"Dussal, messire Gandin!", disse ella doverosamente.
"Merz - rispose Gandin - bele Ist, ancor pi bella dell'oro agli occhi di Gandin".
La regina spieg allora in segreto al re chi egli fosse; il re stup e gli sembr anche strano che quegli
portasse la rotta in spalla. Di ci tutti intorno si meravigliavano e lo osservavano stupiti. Tuttavia Marco si
sforz a fargli onore, tanto per la sua propria dignit quanto per la preghiera di Isotta, che lo supplicava
istantemente di fargli buona accoglienza come conterraneo di lei, e il re volontieri ader: lo fece sedere

accanto a s e gli rivolse ogni sorta di domande sul paese e sul popolo, sulle dame e i cavalieri.
All'ora del pranzo, quando fu data l'acqua e portata anche a lui, egli fu pregato e ripregato di deporre il suo
strumento, ma nessuno lo pot persuadere. Il re e la regina benignamente lo lasciarono fare, ma a molti
ci apparve cosa tanto scortese e sconveniente che non pass senz'altro inosservata, ma cominci fra di
essi un gran ridere e motteggiare; ma il cavaliere con la rotta, il signore pur con quel vile peso (3) non se
ne occup affatto; stava seduto al banchetto accanto a Marco e mangiava e beveva a suo piacimento.
Quando furono levate le mense, egli si alz e and a sedersi fra gli uomini di Marco che gli tennero
compagnia e si occuparono di lui con molti cortesi discorsi. Il cortese sovrano, Marco il virtuoso, lo preg
pubblicamente, qualora sapesse suonare la cetra, di concedere loro di ascoltarlo. L'ospite rispose:
"Sire, lo far soltanto se prima ne conoscer il compenso".
"Messere, che cosa intendete dire? - chiese il re -. Se desiderate qualche cosa che io ho, presto fatto:
dateci prova della vostra arte e vi dar quello che vi piaccia".
"Cos sia"
disse l'Irlandese, ed esegu uno dei suoi lai che commosse tutti. Il re lo preg di suonare ancora; quel
traditore sorrise fra s:
"Il compenso - disse - mi incita a suonarvi quello che so", e suon ancora bene come prima.
Terminato il secondo pezzo, Gandin si present al re con la sua rotta in mano:
"Ora, Sire, ricordatevi della vostra promessa".
Il re rispose:
"Volontieri, ditemi che cosa volete?"
"Datemi Isotta", disse quegli.
"Amico - replic il re - qualunque cosa comandiate, all'infuori di questa, ai vostri ordini, ma questa non
pu essere, in alcun modo."
"Davvero, Sire - rispose Gandin, io non voglio cosa n piccola n grande se non solo Isotta".
Il re dichiar:
"In fede mia questo non sar mai!".
"Allora, sire riprese l'altro - voi non volete mantenere la vostra fede? Quando si sapr che non
mantenete la parola non potrete pi essere re in nessun paese. Essere re significa saper leggere
correttamente: se non trovate scritto questo, io rinuncio al mio diritto. E se voi andate a dire o qualcun
altro dice che voi non me lo avete giurato, io perseguo la mia giusta causa contro di voi e contro di lui,
secondo quanto giudicher la corte; io metto la mia vita a disposizione per tenzone o per combattimento
finch non rientri nel mio diritto. Chi fra voi lo desidera venga a misurarsi con me; io dimostrer allora
come Isotta la bella mi appartenga".
Il re si guard intorno da tutte le parti per vedere se ci fosse qualcuno che volesse cimentarsi, ma nessuno
era disposto ad azzardare la propria vita sulla bilancia, n Marco stesso voleva combattere contro Gandin
che era di tale forza e cos robusto e ardito che nessuno osava misurarsi con lui.
Ora, ser Tristano stava intanto cacciando nella foresta, ma mentre ritornava a corte apprese per via la
triste novella che Isotta era stata venduta all'incanto. E infatti era proprio cos. Gandin condusse la bella
che piangeva dirottamente e levava alti lamenti, dalla corte alla riva del mare; l era alzata una tenda
molto ricca e bella. Egli vi entr e sedette con la regina attendendo che la marea ritornasse e la nave
potesse prendere il mare, poich era arenata sulla spiaggia.
Allorch Tristano ritornato a casa, intese meglio tutta la storia della rotta, salt subito a cavallo, prese la

sua arpa e di gran carriera giunse al porto. Leg il suo destriero in un boschetto un po' discosto, a un
albero, e vi appese accanto anche la spada, prese l'arpa e giunse in tutta fretta alla tenda dove trov il
barone seduto con la povera Isotta piangente fra le braccia, che si sforzava di consolarla, ma ci a nulla
serviva, finch essa non vide avanzare colui che era il suo vero arpista.
Gandin lo salut:
"D te saut, bas harpers!".
"Merz, gentil schevaliers. Signore - continu Tristano - mi sono affrettato a venire qui perch mi hanno
detto che voi siete irlandese. Io pure vengo di l. Per l'onor vostro, riconducetemi a casa mia in Irlanda".
L'Irlandese rispose subito:
"Amico, te lo prometto. Ora siedi e suonami qualche cosa sull'arpa: se riesci a consolare la mia dama, ti
dar come ricompensa la pi bella veste che ci sia in questa tenda".
"Bene, signore, accetto disse Tristano - e ho pure fiducia che anche se nessuna musica di arpista potr
calmare il suo pianto, essa ne ritrarr almeno qualche conforto".
Egli allora si mise all'opera e suon cos dolcemente una canzone che penetr fin nel cuore di Isotta e
occup i pensieri di lei tanto che interruppe il suo pianto e non pens pi che al suo amis.
Terminata la canzone, la marea era salita e la nave galleggiava. E quelli della nave gridavano verso la riva:
"Signore, Signore, affrettatevi! Se arriva ser Tristano mentre voi siete ancora a terra, passeremo dei
brutti momenti. Egli ha in mano il paese e il popolo e si dice che sia di cos grande ardire e tanto
coraggioso e intrepido che facilmente vi vincer".
Questo discorso non piacque a Gandin che molto indignato esclam:
"Che Iddio mi mandi in maledizione se io per questo mi imbarcher una sola ora pi presto! Amico,
fammi ancora sentire il laio di Didone; tu suoni cos bene che devo mostrarmiti riconoscente. Ora suona
per la mia dama. Per ricompensa ti condurr via con me e con lei e ti dar anche subito quello che ti ho
promesso, la migliore veste che io abbia".
Tristano rispose:
"Signore, cos sia fatto".
Il menestrello ricominci e tocc lo strumento con tale dolcezza che Gandin gli porse orecchio
attentamente e vide che anche Isotta era tutta intenta all'arpa. Quando la canzone fu terminata, Gandin
prese per mano la regina e volle salire con lei sulla nave, ma la corrente e le onde erano cos alte davanti
al ponte, che nessuno poteva giungervi se non con un cavallo molto grande.
"Come faremo? - chiese Gandin - come potr entrarvi la mia dama?".
"Ecco, signore - disse il menestrello visto che so di sicuro che mi conducete con voi, poco o nulla della
mia roba deve rimanere in Cornovaglia. Io ho qui vicino un cavallo assai alto e credo che sia abbastanza
grande perch io possa condurre a bordo la mia signora e vostra amica senza che l'acqua la tocchi".
Gandin disse:
"Mio caro musico, affrttati, conduci qui il tuo cavallo e porta poi anche i tuoi abiti".
Tristano condusse il cavallo e appena ritornato si mise l'arpa in spalla:
"Ora, signor Irlandese - disse - datemi la mia signora, che la faccia salire davanti a me".
"No, musico - disse Gandin - tu non la devi toccare; la condurr io stesso."
"No, signore - replic la bella Isotta - questa storia di non dovermi toccare non ha senso: sappiate
sicuramente che io mai salir a bordo se non mi ci conduce questo musico".

Gandin allora gli consegn Isotta:


"Ragazzo - disse egli - abbi cura di lei e guidala bene, cos che io possa ricompensarti".
Quando Tristano ebbe Isotta con s, salt da parte e Gandin vedendo ci esclam incollerito: "Ol, imbroglione, che cosa significa questo?".
"No - rispose Tristano - non io ma voi ciurmatore Gandin, avete ormai, amico, quello che merita il vostro
imbroglio, poich come voi avete ingannato re Marco col suono della rotta, lo stesso faccio ora io con
l'arpa: voi ingannaste, e ora siete ingannato. Tristano vi ha teso un'insidia e vi ha giocato. Amico, voi mi
date assai ricca ricompensa: io ho la veste pi bella che trovai nella tenda".
Tristano se ne and per la sua strada. Gandin era oltremodo arrabbiato e triste. Il danno e la vergogna lo
affliggevano profondamente. Egli se ne ritorn oltre il mare con smacco e con dolore.
Quegli altri due, Tristano e Isotta, se ne ritornarono indietro. Se per via abbiano in qualche luogo trovato fra
loro diletto, o preso riposo tra i fiori, di questo nulla voglio pensare; per conto mio lascer stare ogni
sospetto o supposizione. Tristano riport Isotta a suo zio Marco e molto lo rimprover:
"Sire gli disse - sa Cristo quanto cara avete la regina: quindi una grande stoltezza darla via cos
leggermente per arpa o per rotta; il mondo potr ben deridervi: quando mai si vide regina essere ceduta
per musica di rotta? Da ora in poi ricordatevene e custodite meglio la mia signora".
La fama e le lodi di Tristano vieppi crebbero a corte e nel paese. Si lodavano in lui le maniere e il senno.
Egli e la regina erano di nuovo felici e tranquilli, si facevano animo l'un l'altro come meglio potevano.
In quel tempo Tristano aveva un compagno che era un nobile barone, feudatario del re e primo siniscalco,
chiamato Mariodo; questi dimostrava a Tristano amicizia e affetto causa la dolce regina per la quale nutriva
un segreto amore come fanno molti uomini per molte donne le quali non se ne curano. Il siniscalco e
Tristano avevano una stanza in comune e stavano volontieri insieme; anzi, quando Tristano raccontava
delle belle favole, il siniscalco soleva giacere accanto a lui perch egli potesse pi comodamente parlargli.
Una notte avvenne che, dopo aver discorso a lungo con Tristano di svariati argomenti, si era
addormentato. L'innamorato Tristano si allontan allora per andare a caccia della sua selvaggina, e ci per
grande sventura sua e della regina. Mentre egli si credeva insospettato e sicuro delle cose sue, la mala
sorte aveva teso i propri lacci, il tradimento e il travaglio sulla stessa via che egli percorreva contento e
giulivo per andare da Isotta. Ora quella notte aveva nevicato e adesso la luna splendeva limpida e chiara.
Tristano non aveva timore n prendeva alcuna precauzione, ma si rec in fretta e segretamente al luogo
che gli avevano indicato e stabilito. Brangaene prese una scacchiera e la mise dritta davanti al lume, poi
non so come fu, dimentic di chiudere la porta e and di nuovo a dormire.
Intanto avvenne che il siniscalco dormendo vide in sogno un cinghiale terribile e spaventoso che si
precipitava fuori dal bosco e arrotando le zanne e coperto di schiuma giungeva fino alla corte del re,
pronto ad assalire qualunque cosa trovasse. Veniva allora la gente della corte e molti cavalieri si
precipitavano verso il cinghiale senza tuttavia che alcuno osasse affrontarlo. Cos esso corse attraverso
tutto il palazzo giungendo fino alla stanza del re; ne sfond la porta e scompigli quello che pareva fosse il
letto, imbrattando con la bava il letto stesso e le coltri regali. I fidi di Marco vedevano tutto questo, ma
nessuno se ne faceva carico.
Mariodo svegliatosi prese a considerare fra s e s il sogno da cui era rimasto molto turbato. Chiam allora
Tristano per raccontargli quello che aveva sognato, ma nessuno gli rispose. Lo chiam e richiam e anche
allung la mano, ma non udendo nulla e non trovando nessuno nel letto intu subito qualche segreta
relazione. Ma non gli pass neppure per la mente alcun sospetto di una di lui relazione con la regina. Ebbe
tuttavia un senso di amichevole rammarico perch Tristano, pur volendogli tanto bene non gli avesse detto
nulla del suo segreto.
Mariodo si lev, si vest in fretta e scivol pian piano fuori dalla porta dove si ferm scorgendo le orme di
Tristano. Segu questa traccia e arriv a un piccolo verziere; il chiaro di luna lo guidava sulla neve e
sull'erba, l dove l'altro era passato, fino alla porta della kemenate. Qui si ferm esitante, molto sorpreso di
trovare aperta la porta. Riflett a lungo intorno al caso di Tristano, pensando di lui bene e male. Gli venne

in mente allora che Tristano si fosse recato col per una qualche donzelletta, ma avuto questo sospetto
gliene venne subito un altro; che, cio, fosse entrato dalla regina; questo pensiero gli tornava
continuamente.
Finalmente si fece animo ed entr cautamente non vedendo n chiaro di luna n altra luce se non quella
della candela che ardeva e dava poco chiarore: davanti a questa una scacchiera faceva schermo. And
avanti a tentoni lungo i muri e le pareti finch giunse al letto dove vide gli amanti giacere insieme e ud
tutto quello che dicevano. Ne fu profondamente turbato e addolorato in fondo al cuore perch fino ad ora
aveva nutrito affetto e venerazione per Isotta: ora questo si mut in odio e dolore. Egli ne aveva pena e
odio, odio e pena; ora pensava una cosa, ora un'altra e non sapeva come contenersi in questo frangente e
che cosa fosse conveniente fare. Ira e dolore lo incitavano alla bassa e scortese azione di rivelare e
rendere pubblica la loro relazione; ma lo tratteneva il pensiero di Tristano e la paura che aveva di lui e del
male che questi avrebbe potuto fargli. Cos si volse indietro e se ne ritorn via e si mise di nuovo a giacere
assai contristato.
Poco dopo ritorn anche Tristano e scivol pian piano nel suo letto. L'uno taceva e l'altro pure taceva;
accadeva raramente che alcuno di loro due non dicesse parola e questo non era solito in loro; da questa
novit Tristano comprese che l'altro covava nell'animo qualche sospetto, perci fu pi guardingo nelle
parole e negli atteggiamenti di quanto prima non usasse. Ma oramai era troppo tardi: il suo segreto era
svelato e il suo sotterfugio scoperto.
Mariodo, geloso, prese il re in disparte e gli disse che a corte era sorta una chiacchiera su Isotta e Tristano
donde al paese e al popolo veniva gran disdoro e che conveniva che il re vi ponesse mente e si
consigliasse sul da fare; ne andava e della dignit di lui e dell'onore del suo matrimonio. Per non gli disse
altro di tutto ci che era a sua conoscenza. Marco, leale e buono e alieno dai raggiri, molto stup e si
rammaric di dover sospettare di alcun male Isotta, la stella polare di ogni sua gioia; pure port questa
pena dolorosamente chiusa nel suo cuore e stette vigile ogni giorno e a ogni ora per avere alcuna prova.
Osserv i loro discorsi e i loro atti e non pot scoprirvi nulla, poich Tristano aveva messo in guardia Isotta
e l'aveva informata del sospetto del siniscalco.
Tuttavia Marco continuava a vigilare angosciosamente e con ogni cura e li spiava giorno e notte. Una notte
mentre giaceva accanto alla regina e fra loro discorrevano del pi e del meno, egli le tese con astuzia un
tranello e ve la fece cadere:
"Ecco, madonna - diss'egli - ditemi che cosa pensate e che cosa mi consigliate; io intendo fra breve
intraprendere un pellegrinaggio e stare assente forse molto tempo: chi volete che intanto lasci a guardia e
protezione vostra?".
"Dio mio rispose la regina - per quale motivo mi chiedete questo? In mano di chi potremmo meglio stare
io e il vostro paese e il vostro popolo se non in quella di vostro nipote che pu ben prendere cura di noi?
Ser Tristano, il figlio di vostra sorella baldo e saggio e ben esperto in ogni cosa".
Queste parole dispiacquero a Marco e lo misero in sospetto. Strinse ancor pi la sorveglianza e li osserv
sempre pi attentamente e disse anche al siniscalco quello che aveva saputo. Questi subito replic:
"In verit, sire, cos : da questo potete vedere voi stesso che essa non pu nascondere il grande amore
che gli porta ed grande stoltezza in voi che lo soffriate accanto a lei. Per quanto vi sono cari l'onore e la
donna non vogliate pi permetterlo".
Questo fu per Marco un tormento: dover nutrire sospetto e dubbio verso suo nipote era per lui una morte
di tutte le ore, tanto pi che lo trovava sempre senza colpa e libero da qualsiasi falsit.
La illusa Isotta era tutta lieta e con gran gioia raccont a Brangaene ridendo giuliva, del pellegrinaggio del
suo signore e anche di come egli le avesse domandato chi voleva per custode. Brangaene disse:
"Mia signora, non mi mentite e ditemi in nome di Dio, chi avete indicato?".
Isotta le disse la verit, proprio come le cose erano andate.
"O stolta! - esclam Brangaene - perch mai avete detto cos? Tutta questa storia, se ben mi appongo,
un'astuzia e sono certa che questo tranello lo ha combinato il siniscalco. Essi vogliono cos spiare l'animo

vostro e voi dovete stare meglio in guardia contro di ci. Se egli ve ne riaccennasse fate come vi dico io e
rispondete cos e cos".
Ed essa insegn alla sua signora come conveniva rispondere a quell'astuzia.
Intanto Marco era afflitto da due diversi affanni: lo tormentavano il dubbio e il sospetto che nutriva e
doveva nutrire in s; sospettava della sua diletta Isotta e dubitava di Tristano in cui pure non poteva
riconoscere falso comportamento o altro che fosse contrario alla lealt. Il suo amico Tristano e la sua donna
Isotta formavano la sua maggior sofferenza e il tormento del suo spirito e del suo cuore; sospettava di lui e
di lei e dubitava di entrambi; perseguiva la sua duplice pena proprio nel modo che solito in chi dubita,
poich quando voleva ricercare amore presso Isotta il sospetto ve lo distoglieva ed egli allora voleva
trovare la verit e quando questa gli si sottraeva allora il dubbio lo tormentava e cos rimaneva sempre allo
stesso punto. Che cosa pu esservi di pi penoso per l'amore che non il dubbio e il sospetto? Che cosa
angustia l'animo desideroso di amore quanto il dubbio? La mente non sa dove rivolgersi, poich talvolta e
per qualche indizio che abbia osservato o di cui abbia udito, giurerebbe che tutto fosse finito, ma in un
volger di mano tutto cambia e se vede cosa che faccia rinascere in lui il dubbio egli ne nuovamente
afferrato e quindi confuso. Sebbene tutti facciano cos, tuttavia cosa assai poco saggia e grande stoltezza
il dubitare dell'amore poich nessuno felice in un amore intorno al quale debba avere dei dubbi; per fa
ancora peggio chi persegue il sospetto e il dubbio fino alla certezza, poich se uno riesce a vedere che
quello fondato, la fatica durata finora di correre dietro alla verit gli procura adesso una pena di cuore
maggiore assai di qualunque altra. I due precedenti mali che lo opprimevano prima gli sembrano ora
essere leggeri: se potesse riaverli accetterebbe il dubbio e il sospetto pur di non trovare la vera realt.
Cos avviene che il male genera un altro male finch non giunge il peggiore di tutti, e poich questo duole
maggiormente, il primo appare lieve. Per quanto penoso all'amore sia il dubbio, non lo mai tanto da non
farglielo sopportare pi volontieri che non la positiva certezza. E nessuno vi si pu sottrarre: l'amore deve
produrre il dubbio; questo deve sussistere accanto all'amore e da lui l'amore deve derivare vita: fintanto
che dura il dubbio, l'amore pu ancora trovare buon consiglio, ma appena conosce la verit allora subito
tutto finito.
Inoltre l'amore ha una usanza in cui spesso si impiglia e si confonde: anche quando tutto va secondo la sua
volont, non per questo si d pace e lascia facilmente andare le cose; e dove vede il dubbio da questo non
si diparte, questo il suo male al quale corre e lo ricerca ancor pi per risentirne dolore al cuore che per il
piacere che potrebbe trovarvi o derivarne. Anche Marco seguiva questo stolto costume; egli ripensava
giorno e notte come avrebbe voluto liberarsi dal dubbio e dal sospetto e come la verit avrebbe posto fine
al suo dolore; questo era il suo costante pensiero.
Avvenne dunque che una sera egli e Mariodo avevano escogitato insieme come prendere Isotta con
astuzia e meglio scoprire la verit. Ma tutto si rivolse contro di loro e nel laccio che le avevano teso
cercando il danno della regina essa vi prese il re suo signore, secondo il consiglio di Brangaene. In questo,
Brangaene fu loro molto utile e di grande aiuto, usando astuzia contro astuzia. Il re si strinse al cuore la
regina e la baci molte e molte volte sugli occhi e sulla bocca.
"Bellezza mia le disse egli - nulla al mondo ho pi caro di voi e devo separarmene. Sa Iddio in cielo come
questo mi faccia perdere il senno".
La regina, bene istruita, us artifizio contro artifizio e sospirando rispose:
"Ahim, misera, ahim che finora ho creduto tutta questa storia fosse uno scherzo e ora sento e conosco
che deve veramente sul serio realizzarsi!".
Ed essa cominci a mostrare gran cordoglio con le parole e con gli occhi, a piangere cos pietosamente ch
l'ingenuo marito vinse tutti i suoi dubbi e avrebbe giurato che ci le venisse realmente dal cuore; poich in
tutte le donne altro fiele non vi , n hanno altra falsit o inganno - se stiamo a quanto esse stesse ne
dicono - se non questo: di saper piangere senza motivo e senza voglia ogni volta che a loro conviene.
Isotta piangeva dirottamente.
"Bella - disse l'ingenuo Marco che cosa vi turba? perch piangete?".
"Ho ben ragione di piangere rispose Isotta - e se mi lamento ne ho ben donde. Sono una misera donna e
altro non ho che questo corpo e quel tanto di senno che mi stato concesso e tutto questo lo ho

abbandonato a voi e al vostro amore, cos che la mia mente non pu pensare n amare altro che voi solo.
Nulla mi tanto caro quanto voi e ora mi avvedo che voi non mi portate tutto quell'affetto che dimostrate
e dite; che voi ve ne partiate e che ora mi vogliate lasciare in questo paese straniero mi fa chiaramente
comprendere che vi sono molto indifferente; il mio cuore e l'anima mia non se ne consoleranno mai".
"Perch, bella? - disse egli allora -; avete pur in mano vostra il paese e il popolo che sono vostri quanto
miei: voi ne siete la sovrana, essi obbediscono ai vostri ordini e quello che comandate sar fatto. Intanto
che io sar lontano si prender cura di voi uno che sapr ben custodirvi, mio nipote Tristano, che cortese,
saggio e prudente e cercher in ogni modo di farvi onore e procurarvi piaceri e agi sempre maggiori; di lui
a buon diritto mi fido; voi gli siete cara come gli sono caro io: egli far tutto per voi e anche per me".
"Ser Tristano? - esclam la bella Isotta - davvero, vorrei prima essere morta e preferirei essere sepolta
piuttosto che trovarmi, me volente, in sua custodia. Questo ipocrita che mi sta sempre accanto strisciando
e adulandomi e ripete che mi vuol bene. Pure Iddio solo conosce l'animo suo e sa con quanta sincerit egli
parli; e anche io stessa ne so abbastanza, perch egli mi ha ucciso mio zio e ora teme la mia ira e l'odio
mio; perci ha paura e sta sempre a lisciarmi, infingendosi e blandendomi ipocritamente e si illude con
questo di ottenere la mia amicizia. Ma ci a poco gli vale e la sua adulazione a nulla serve. E sa Iddio che
soltanto per voi e pi per amor vostro che per il mio stesso onore io gli dimostro amicizia; altrimenti non lo
guarderei davvero con occhio benevolo. E poich non posso evitare di vederlo e udirlo, mi avviene allora di
mettervi poca sincerit e poco cuore. E' vero che io spesso mi rivolgevo a lui con bocca che mentiva e
occhi privi di affetto, ma era soltanto per disprezzo. Si dice delle donne che esse odiano gli amici dei loro
mariti: per questa ragione io spesso ingannavo il tempo con lui con molti falsi sguardi e con vuote parole,
in modo che egli avrebbe giurato che mi venissero dal cuore. Signore, non ci contate. Vostro nipote, ser
Tristano, non mi avr neppure un giorno in sua custodia; se posso pregarvene mi dovete intanto con vostro
beneplacito custodire voi stesso; dove andate voi voglio andare io pure, se non me lo proibite voi e se non
me lo impedisce la morte".
Cos, simulatrice, parlava Isotta col suo sposo e signore, finch a forza di blandirlo gli tolse ogni dubbio e
ogni risentimento ed egli avrebbe giurato che era sincera. Marco il dubbioso era ritornato sulla retta via. La
sua compagna aveva dissipato ogni suo dubbio e timore; ora tutto quello che lei diceva o faceva andava
bene.
Il re rifer subito al siniscalco, cos come meglio seppe, le parole e la risposta di lei, dicendogli come non ci
fosse in lei alcun genere di falsit. Il siniscalco se ne dispiacque assai e se ne rattrist nel suo cuore; pure
insegn al re come poteva mettere Isotta ancor meglio alla prova.
La notte, mentre Marco giaceva con lei, egli con altre domande le tese nuovamente i suoi lacci e ve la
impigli.
"Vedete, mia regina - disse egli - mi pare che dobbiamo ancora pensarci bene. Ora bisogna vedere e
riflettere se le donne possano governare il paese. Madonna, io devo partire e voi dovrete rimanere qui con
i miei fidi. Chi mi dimostra fedelt e affetto, sia egli parente o vassallo, questi dovr tributarvi onore e
servirvi come voi comandiate. Coloro che non vi piacessero o non fossero cari ai vostri occhi, siano essi
cavalieri o vassalli, rimandateli pure. Non dovete vedere n udire, contro il vostro desiderio, persone n
cose che vi possano dispiacere; io stesso non terr in alcun modo caro colui verso il quale voi nutrite
avversione: questo vi sia detto in verit. State tranquilla e lieta e vivete come meglio vi aggrada. Questa
la mia volont. E poich mio nipote Tristano non gradito al vostro cuore, tra breve io lo allontaner dalla
corte e dalla compagnia dei cortigiani; appena ne trovo l'occasione egli andr in Parmenia a badare alle
cose sue. Questo sar un vantaggio tanto per lui come per il paese".
"Grazie, sire - disse Isotta - voi parlate bene e saggiamente, poich ora conosco che volontieri rinunciate
a quello che al mio cuore dispiace; mi pare quindi giusto che io pure mi adatti a ci che piace ai vostri
occhi e aggrada al vostro animo, come meglio posso, e che io contribuisca giorno e notte col consiglio e
con l'aiuto a quello che al vostro onore si addice. Ma badate, signore, a quello che fate: non sia mai che per
mio consiglio e mio volere vostro nipote venga allontanato dalla vostra corte, n oggi n mai, altrimenti ne
verrebbe disonore a me: si direbbe subito nel paese e fra la gente che ve lo ho consigliato io a causa del
mio rancore per la sua colpa di avere ucciso mio zio. Se ne farebbero tanti discorsi che porterebbero a me
disdoro e non farebbero onore a voi. Non sia mai che per causa mia voi diffamiate il vostro amico o abbiate
malanimo contro qualcuno che dovreste proteggere. Riflettete anche: quando ve ne andrete chi custodir i
vostri due regni? In mano a una donna non starebbero n bene n in pace: colui che deve prendersi cura
bene e con onore di due regni deve avere senno e cuore e in questi due paesi non c' nessuno all'infuori di

ser Tristano, se egli non rimane qui per il bene del paese. Senza di lui non c' alcun altro che possa
permettere o vietare qualche cosa. Se sopravviene una guerra, cosa che pu capitare ogni giorno e che
sempre si deve prevedere, allora potremmo aver disgrazia e mi si rinfaccerebbe sempre malignamente la
partenza di Tristano; allora si direbbe continuamente: "Se fosse stato qui ser Tristano in questo frangente,
non avremmo avuto questa disgrazia"; e tutti a una voce mi darebbero la colpa di avergli fatto perdere il
vostro favore a danno vostro e loro. Sire, meglio rinunciarvi; ripensateci meglio e riflettete tanto all'uno
che all'altro partito: o mi lasciate venire con voi, o gli ordinate di aver cura del paese. Comunque il mio
cuore possa essere disposto verso di lui, preferisco mi sia daccanto piuttosto che un altro debba venire qui
a rovinare e danneggiare tutto".
Il re comprese subito che tutto il cuore di lei era rivolto al bene di Tristano e in lui ricominci pi di prima il
dubbio e l'incertezza; cos era pi che mai ricaduto e sprofondato nell'amarezza della collera.
Isotta inform minutamente Brangaene del colloquio e le narr ogni cosa senza omettere una parola. A
Brangaene dispiacque molto che essa avesse parlato cos e che il discorso fosse andato in questo modo, e
le tenne un altro sermone su come dovesse parlare e comportarsi in seguito.
Alla notte, quando la regina and di nuovo a dormire col suo sposo, essa lo riprese fra le braccia, lo
abbracci e baci, lo strinse al suo dolce seno e ricominci a irretirlo coi suoi discorsi, con le domande e le
risposte:
"Ditemi, signore cominci -, ditemi per amor mio se avete parlato sul serio quando mi diceste di ser
Tristano e che volevate per causa mia rimandarlo al suo paese? Se fossi sicura delle vostre parole vorrei
rendervene grazie oggi e tutti i giorni della mia vita. Signore, io mi fido bens di voi, come debbo e come mi
caro fare; pure temo che si tratti solo di un tranello; e se sapessi con certezza, come mi avete indotta a
credere, che volevate solo bandire e tenermi lontano colui che mi sgradito, allora riconoscerei da questo
che mi volete bene. Gi da tempo vi avrei rivolta questa preghiera se non fosse che lo facevo
malvolentieri, poich mi troppo ben noto ci che per colpa sua mi potrebbe accadere se egli dovesse
restarmi a lungo dappresso. Ora, signore, considerate bene tutto senza badare alla mia antipatia: se egli
deve governare il paese durante la vostra assenza e se intanto dovesse accadere che qualche cosa
sopravvenga a voi, come facilmente potrebbe darsi in viaggio, allora egli mi toglierebbe regno e onore. Ora
avete ben compreso il male che mi pu fare: rifletteteci dunque con animo benevolo come pu fare un
amico e liberatemi da ser Tristano e farete bene, sia rimandandolo al paese suo, sia conducendolo con voi
e lasciandomi intanto sotto la protezione del siniscalco Mariodo. Se invece voleste che io venissi con voi,
per conto mio lascerei governare i paesi da chi vuole, purch io potessi essere con voi. In tutto questo, dei
vostri regni e di me stessa, fate voi come meglio vi sembra: questa la mia volont e il mio desiderio. Se
con questo io penso che faccio la vostra volont rinuncio subito al paese e al popolo".
Cos continu ad adulare il suo sposo finch riusc a ottenere che egli vincesse il dubbio e abbandonasse il
sospetto sulla sincerit e sull'amore di lei e di nuovo la ritenesse innocente di tutto e di qualsiasi cattiva
azione. Quanto al siniscalco Mariodo, lo ritenne allora per mentitore, mentre invece gli aveva dato vere
notizie e detto la verit.
Quando il siniscalco si accorse che la sua volont non era seguita cerc nuovamente altri mezzi. C'era a
corte un nano chiamato Melot petit d'Aquitaine, che sapeva scoprire, come si suol dire, cose segrete negli
astri della notte. Non voglio per affermare nulla in proposito se non quello che ho letto nel libro; ora io non
vi trovo detto altro se non che egli era abile, astuto e buon argomentatore.
Egli godeva della piena fiducia del re e della kemenate. Con lui si accord Mariodo in modo che quando si
recasse dalle donne stesse bene a osservare Tristano e la regina. Se gli riuscisse di scoprire la verit sul
loro amore, ne avrebbe avuto sempre onore e ricompensa da re Marco.
Egli quindi vi mise tutta la sua arte e tutta la sua scienza e continuamente tese i suoi lacci con le parole e
con i gesti ed ebbe presto scoperto l'amore dei due amanti; essi avevano fra di loro tali dolci atteggiamenti
che Melot vi scorse immediatamente i segni della Minne e disse a Marco che senza dubbio l vi era
l'amore. Allora, fra loro tre, Melot, Marco e Mariodo si consultarono e furono d'accordo sulla decisione che
allontanando Tristano dalla corte si scoprirebbe la verit.
Cos fu fatto, giusto quanto era stato proposto: il re preg il nipote che per il proprio onore non
frequentasse pi la kemenate n altro luogo dove potesse incontrare alcuna delle dame, poich a corte
correva una diceria e bisognava guardarsene altrimenti ne poteva venire grande danno e disdoro a lui e

alla regina. Cos fu fatto secondo la sua preghiera e il suo comandamento. Tristano evit ogni luogo che
fosse frequentato dalle donne, non entr pi nella kemenate n nel palazzo. I familiari si meravigliarono di
lui e di questa stranezza; ne parlavano alcuni dicendo bene di lui, altri dicendone male; il suo orecchio era
continuamente afflitto da qualche nuovo tormento.
Tanto egli che Isotta passavano le loro giornate in gran pena; facevano tra loro lamento continuo e grande
doglianza. Due diversi tormenti avevano: dolore per il sospetto di Marco e dolore per non avere un luogo
dove poter stare soli a discorrere. Ognuno di essi poco a poco perdeva forza e coraggio e il loro colorito
cominci a impallidire e la persona a indebolirsi, l'uomo impallidiva per la donna, la donna per l'uomo, per
Isotta Tristano, per Tristano Isotta. Ambedue erano afflitti da profonda pena. Non mi stupisce che questa
loro pena fosse comune a tutt'e due e il loro dolore indiviso: non avevano fra tutti e due che un solo cuore
e un solo animo; il bene e il male di entrambi, la morte e la vita loro erano come insieme intessute: di
quello che contrariava l'uno anche l'altro se ne accorgeva, ci che all'uno piaceva subito l'altro lo sentiva.
Avevano fra loro due un animo solo sia per il bene che per il male: la comune sofferenza era cos palese nel
loro aspetto stesso che esso mal dissimulava l'amore.
E ben presto Marco se ne accorse e vide che ad ambedue la separazione e l'assenza andavano fino al
cuore con grande comune pena e quale era la loro brama di rivedersi se avessero saputo come e dove. Egli
invent allora un'altra astuzia e ordin ai cacciatori di prepararsi con i cani per una battuta di caccia. A
corte fece dire che sarebbe andato a caccia per una ventina di giorni: chi fosse pratico di arte venatoria e
chi gradisse questo passatempo si preparasse. Prese congedo dalla regina e le raccomand di stare allegra
e contenta come pi le piacesse. In segreto per incaric Melot di stare attento e tendere insidie sui segreti
passi di Tristano e Isotta; egli gliene avrebbe sempre reso merito. Cos se ne and poi a caccia con grande
clamore.
Il suo compagno di caccia Tristano rimase a casa e fece dire allo zio che era ammalato. L'infermo
cacciatore desiderava egli pure la sua selvaggina. Ambedue, egli e Isotta, rimasero a languire cercando
con affannoso intento buona ventura e un modo come potersi vedere. Ma non ci riuscivano mai.
Frattanto Brangaene si rec da Tristano poich aveva riconosciuto che la ferita del cuore di lui era molto
profonda. Essa gli confid il suo affanno ed egli confid il proprio a lei.
"Ah - disse egli - mia dolce signora, ditemi, che cosa consigliate in questo frangente? Che cosa
dobbiamo fare per non morire? Non sappiamo come contenerci per poter rimanere in vita".
"Che consiglio posso darvi? - rispose la fedele amica - Dio volesse che non fossimo mai nati! Noi tre
abbiamo perduto felicit e onore; non riacquisteremo giammai la nostra serenit di spirito. Ahim, Isotta!
Tristano, ahim! Mai questi occhi vi avessero veduti, voi e tutta l'infelicit di cui sono stata la causa! E ora
non ho consiglio n arte con cui vi possa giovare; non so trovare nulla che vi aiuti e sono sicura come della
morte che verrete in grande afflizione se resterete ancora a lungo cos sorvegliati e costretti. Dunque,
poich non si pu fare di meglio, seguite il mio consiglio questo tempo in cui dovete stare lontano da noi:
quando troverete il momento adatto prendete un ramo di olivo e tagliate delle schegge in lunghezza e
segnatele da una parte con una T dall'altra con una I, in modo che sia la prima lettera dei vostri nomi; non
vi aggiungete altro e andate in giardino; l conoscete il ruscelletto che scorre dalla fonte verso la
kemenate: orbene gettatevi dentro la bacchettina e lasciatela galleggiare e andare verso la porta della
kemenate; la dolente Isotta e io vi passiamo sovente piangendo la nostra sventura. Vedendo la bacchettina
sapremo che voi siete presso la fonte, l dove l'ulivo getta la sua ombra. L aspettate e state bene attento:
la desiosa mia signora, l'amica vostra verr allora a voi e io pure, se sar possibile e se tale il vostro
volere. Signore, questo breve tempo che ancora mi rimane da vivere deve da ora in poi esser tutto
dedicato a voi due, in modo che io viva per voi e vi dia consiglio perch possiate vivere. Se potessi
procurarvi gioia anche per una sola ora e per questo darne mille delle mie, venderei tutti i miei giorni per
mitigare la vostra pena".
"Grazie, mia bella - disse Tristano - io non ho dubbio alcuno che in voi non siano onore e fedelt quali
mai di maggiori furono racchiuse in cuore alcuno. Dovessi ancora trovare grazia per me, la volgerei in
vostro onore e per la vostra felicit. Per quanto mala sia ora la mia sorte e per male che per me giri la
ruota, pure se sapessi come poter dare i miei giorni e le mie ore per la vostra gioia, rinuncerei anche a
parte della mia vita; credetelo e siatene certa".
Piangendo egli soggiunse poi:
"O beata fedele donna!", e con ci se la strinse al petto, l'abbracci stretta e le baci angosciosamente

pi e pi volte le gote e gli occhi.


"Bella - disse - ora agite da fedele amica, a voi raccomando me stesso e la dolente desiosa Isotta;
ricordatevi sempre di noi due, di lei e di me."
"Lo far volontieri, signore; ora datemi licenza, ch devo andare. Fate secondo il mio consiglio e non vi
preoccupate troppo".
"Dio stesso conservi il vostro onore e la vostra bella persona".
Brangaene si inchin piangendo e se ne and tristemente.
Tristano, sempre mesto, tagli e gett il fuscello come gli aveva insegnato la sua consigliera Brangaene.
Cos per ben otto volte in otto giorni egli e madonna Isotta vennero alla fonte segretamente e sicuramente
all'ombra dell'albero, senza che alcuno se ne accorgesse n alcun occhio li vedesse; senonch una notte
accadde che mentre Tristano andava col, non so come, Melot, il malaugurato Nano, lo strumento del
diavolo, per disgrazia lo scorse, lo segu di soppiatto e lo vide andare verso l'albero ed essere poco dopo
raggiunto da una donna che egli strinse a s. Chi fosse per la donna Melot non lo sapeva.
Il giorno seguente Melot ritorn di nascosto per quella via un poco prima del meriggio, essendosi riempito
il petto di false accuse e di maligne astuzie e si avvicin a Tristano:
"Invero, signore - disse egli - io sono venuto qui in grande preoccupazione; voi siete tanto sorvegliato e
spiato che mi sono recato qui di nascosto e con grande fatica, perch nel mio cuore sento grande
compassione per la fedele Isotta, la virtuosa regina, che in questo momento in gran pensiero per voi.
Essa mi ha mandato e pregato molto di venire da voi, non avendo alcun altro adatto a questa mansione.
Essa mi preg e mi ordin di salutarvi di cuore per lei e di chiedervi di parlarle oggi stesso, dove non lo so,
ma lo saprete voi che siete stato ultimamente con lei; vi prega di mantenere l'ora solita e il tempo in cui
solete venire. Non so contro quale cosa voglia mettervi in guardia. Credetemi pure, nulla di quanto mai
accadde a me stesso mi ha dato maggior dispiacere che il suo dolore e il vostro cruccio. Ora, mio signore,
ser Tristano, devo andare, datemi licenza; le dir quello che volete, ma non posso rimanere pi a lungo. Se
la gente mi vedesse qui, me ne verrebbe danno. Gi tutti dicono e pensano che quello che a voi due fu
fatto sia stato per mio suggerimento; di questo dichiaro davanti a Dio e a voi che nulla mai accadde per
mio consiglio".
"Amico, sognate disse Tristano -. Che storia mi andate mai raccontando? Che cosa sospettano i
cortigiani? e che cosa abbiamo fatto io e la nostra signora? Via! andatevene immediatamente in
maledizione di Dio e sappiate per certo che qualunque cosa si dica o si supponga, voi non dovrete mai
raccontare a corte quello che qui avete sognato, a meno che non lo permetta io stesso per l'onor mio".
Melot si rec subito a cavallo nel bosco dove trov Marco e gli disse che era finalmente giunto a scoprire la
verit e gli raccont come e dove e quello che era avvenuto alla fonte.
"Potete voi stesso sincerarvene, Signore - disse Melot - se a notte volete venire con me; ne sono sicuro
come di nessun'altra cosa; se possono combinarlo verranno ambedue l questa notte e potrete voi stesso
rendervi conto di quello che tra loro trattano".
Il re si rec a cavallo con Melot a procurarsi il tormento del suo cuore. Giunsero verso sera nel giardino e
cercarono un luogo dove celarsi, ma n il re n il nano seppero trovare un nascondiglio che facesse per
loro. Ora, accanto al ruscello che l scorreva c'era un ulivo grande, basso e anche sufficientemente
frondoso; vi salirono ambedue con fatica e sedettero in silenzio.
Fattasi notte, Tristano si avanz furtivamente e giunto nel giardino prese i suoi messaggeri (i fuscelli) li
gett nel rivo e li lasci scorrere via con questo. Essi palesarono alla desiosa Isotta la presenza del suo
amico. Tristano pass oltre la fonte, dove sull'erba cadeva l'ombra dell'ulivo. L si ferm cogitabondo
riandando nel suo cuore il suo segreto cruccio. Cos avvenne che scorse l'ombra di Marco e di Melot poich
la luna splendeva chiara attraverso l'albero. Ora, quando distinse le due ombre venne in grande angustia,
rendendosi subito conto dell'inganno e dell'insidia.
"Signore Iddio - pens tra s proteggete Isotta e me! se essa non si accorge in tempo di questa insidia
nell'ombra mi viene certo dritta incontro. E se questo accade ce ne verr male e malanno. Signore Iddio,
per la tua grazia tienci ambedue in tua custodia; salva Isotta sulla sua via, guida i suoi passi, metti
l'ingenua in guardia contro questa malizia e questa insidia che hanno tesa a noi due, prima che essa dica o

faccia qualche cosa che faccia pensare a male. Deh Signore, abbi piet di lei e di me. A te raccomandiamo
questa notte il nostro onore e la nostra vita".
Isotta, la sua signora, e Brangaene, la casta amica di ambedue loro, stavano passeggiando e aspettando il
messaggio di Tristano nel loro giardino del pianto, dove si recavano a tutte le ore, appena potevano farlo
senza pericolo, lamentando fra di loro la loro sventura. Passeggiavano avanti e indietro parlando della loro
storia di amore e di dolore. Ben presto Brangaene scorse il messaggio e la bacchetta nella corrente e fece
cenno alla sua signora.
Isotta la prese e l'osserv, lesse Isotta, lesse Tristano, prese subito il suo mantello e se lo avvolse intorno
alla testa e scivol furtiva fra l'erba e i fiori fino all'albero e alla fonte. Quando fu a tanto breve distanza da
poterlo scorgere, vide Tristano che se ne stava immobile come mai aveva fatto prima: poich mai lei aveva
mosso un passo verso di lui senza che egli le fosse premurosamente venuto incontro.
Ora Isotta molto si meravigli, chiedendosi che cosa questo significasse: le si strinse il cuore, chin il capo
e mosse timorosamente verso di lui con grande angoscia e a lenti passi e quando giunse presso l'albero
vide l'ombra dei tre uomini, mentre sapeva di uno solo. Comprese allora l'inganno anche dal contegno di
Tristano.
"Ah - diss'ella - traditori! Che vuol dire questo? Donde questo agguato? Certamente il mio signore si
trova qui vicino, dovunque possa essere nascosto. Temo assai che siamo traditi. Proteggici, Signore Iddio,
aiutaci affinch possiamo uscirne con onore; Signore salva lui e me".
E si domand tra s:
"Tristano sa di questa mala ventura o non lo sa?".
E dal suo contegno comprese che egli doveva esserne a conoscenza.
Essa sost allora un po' discosto e disse:
"Ser Tristano, molto mi dispiace che voi siate cos certo e convinto della mia ingenuit, tanto da
chiedermi un colloquio a quest'ora. Se consideraste l'onore che dovete a vostro zio e a me sarebbe cosa
pi conveniente alla vostra lealt e al mio onore, che non il darmi ritrovo a cos tarda ora e cos di
nascosto. Ora parlate: che cosa volete? io sto qui angustiata e soltanto perch Brangaene, oggi di ritorno
da voi, mi ha esortata e consigliata a venire a sentire la vostra querela. Per ho fatto molto male a
obbedirle. Essa qui vicina a me e per quanto sicura io mi senta, darei in verit un dito della mano
piuttosto che qualcuno sapesse che sono qui con voi. Si sono gi raccontate tante storie su di voi e su di
me che tutti giurerebbero che siamo colpevoli di amicizia illecita. Tutta la corte piena di questo falso
rumore. Ora Dio sa quale il mio sentimento verso di voi, e voglio dire anche di pi: Dio mi testimonio e
possa io non ottenere mai assoluzione dei miei peccati se io vi ho amato diversamente, come e con qual
cuore; io dichiaro davanti a Dio che non ho mai sentito affetto per uomo alcuno e oggi e sempre il mio
cuore chiuso a tutti gli uomini, meno a colui che colse il primo fiore della mia verginit. Che il mio
signore, re Marco, mi sospetti tanto per causa vostra, ser Tristano, sa Iddio che molto male da parte sua,
dopo che ha conosciuto il mio sentimento verso di voi. Coloro che hanno fatto tanti vani discorsi sul conto
mio sono, sa Iddio, molto sconsiderati, ignorando essi interamente il mio cuore. Migliaia di volte ho
simulato amicizia per voi e senza malizia, per l'amore che porto a colui che devo amare e Iddio lo sa. Fosse
servo o cavaliere, chiunque appartenesse alla famiglia di re Marco o gli fosse caro, mi pareva giusto e
onorevole fargli accoglienza; ora questo si rivolge contro di me. Pure non voglio portarvi rancore a causa
delle loro menzogne. Signore, ora quello che mi volete dire ditemelo, perch non posso rimanere pi a
lungo con voi".
"Madonna - disse Tristano - io non ho dubbio alcuno che voi nelle parole e nelle azioni seguiate soltanto
l'onore e la virt, ma non ve ne fanno credito quei mentitori che hanno vanamente sospettato di voi e di
me e ci hanno fatto perdere il favore del nostro signore senza nostra colpa n peccato, come Iddio ben sa.
Madonna, mia virtuosa regina, riflettete bene e persuadetevi nell'animo vostro che io sono altrettanto
innocente verso di voi quanto verso di lui e consigliate al mio signore che per la sua cortesia voglia per
questi otto giorni nascondere e sospendere il rancore che senza mia colpa mi porta. Per questo tempo
voglia egli e vogliate anche voi serbare verso di me un contegno come se mi foste benevolmente disposti.
Intanto anch'io mi preparer a partire da qui. Ci rimettiamo l'onore tanto il re quanto voi e io, poich se vi
mostrate cos ostili e io parto da qui, i nostri nemici diranno che realmente c'era qualche cosa di vero:
"vedete come ser Tristano se ne partito in disgrazia del re".

"Ser Tristano - replic Isotta - preferirei morire piuttosto che pregare il mio signore di fare per amor mio
qualche cosa in vostro favore. Sapete bene che da molto tempo egli mi avverso per causa vostra e se
venisse a sapere che io sono qui adesso sola e di notte con voi, ne verrebbe una tale scena che egli mai
pi mi avrebbe amore n onore e, in fede mia, anche cos non so se ci mai pi sar. Mi fa molta
meraviglia che Marco, mio signore, sia venuto in questo sospetto e mi domando da chi abbia preso
consiglio, poich io non mi sono mai accorta - e le donne se ne accorgono subito - che col vostro contegno
mi abbiate voluta indurre a qualche frivolezza, n io stessa ho mai in questo praticato inganni o falsit.
Non so che cosa ci abbia rovinati, perch lo stato di ambedue noi ora misero e pietoso. Dio onnipotente
voglia presto porvi fine e renderlo migliore. Ora, messere, datemi licenza; io devo ritirarmi e andatevene
voi pure. Dio sa se il vostro travaglio e il vostro dolore mi fanno pena; io sarei per questo abbastanza
colpevole - sebbene io non ammetta di esserlo - perch dobbiate avermi in odio e mi duole che per causa
mia siate tanto oppresso, senza vostra colpa; perci voglio passarci sopra e quando venga il giorno in cui
dovrete partire, signore, Dio vi guardi; raccomando voi, la vostra preghiera e il vostro messaggio alla
Regina del cielo; e se sapessi che il mio consiglio avesse qualche potere, consiglierei e farei, anche con mio
danno, tutto quello che potesse giovarvi. Temo per assai che il re sia irritato contro di me, ma comunque
vada e per quanto male, devo pur darvi la soddisfazione di dirvi che non siete colpevole in nulla contro di
me n contro il re; se mi riuscir appogger meglio che posso la vostra domanda".
"Grazie, madonna - disse Tristano - e le parole che il re vi dir riportatemele subito; se per vedessi che
mi conviene partire subito e non vedervi prima, qualunque cosa mi accada, o virtuosa regina, siate sempre
benedetta da tutte le celesti schiere, poich sa Iddio che terra e mare mai portarono donna pi casta.
Madonna, la vostra anima, la vostra persona, il vostro onore e la vostra vita siano sempre sotto la
protezione di Dio".
Cos si separarono; la regina se ne ritorn tristemente sospirando, amareggiata e amante con segreto
dolore nel cuore e nello spirito. Il triste Tristano se ne andava pure tristemente e con gran pianto. Marco se
ne stava triste egli pure, sull'albero; lo affiggeva e gli passava il cuore di aver cos mal pensato del nipote e
della sposa e malediceva molte volte col cuore e con la bocca coloro che a questo lo avevano indotto.
Rimprover aspramente il nano Melot di averlo ingannato e di aver diffamato la sua casta donna. Scesero
dall'albero e rimontarono a cavallo con vergogna e rammarico, tanto Marco come Melot. Avevano doppio e
diverso duolo: Melot per l'inganno di cui era incolpato, Marco per il sospetto col quale aveva infamato il
nipote, la donna e soprattutto se stesso, spargendo la calunnia a corte e in tutto il paese.
Al mattino di buon'ora fece dire ai cacciatori che rimanessero pure e continuassero a cacciare, ma che egli
stesso se ne ritornava a casa.
"Raccontatemi, madonna regina - disse egli come avete passato le ore e il vostro tempo?".
"Signore, il mio tempo libero fu quasi tutto vano dolore, mio sollievo furono l'arpa e la lira."
"Vano dolore? - esclam Marco - come mai e per che cosa?".
Isotta sorrise e disse:
"Come avvenne e avviene ancora tutti i giorni e anche oggi; tristezza e duolo sono comuni a tutte le
donne: ci purifica il nostro cuore e illumina i nostri occhi. Ci creiamo in segreto dei gran guai da un
nonnulla e anche facilmente li dimentichiamo".
E in questo modo continu scherzando. Marco per ascoltava e ripassava in cuor suo le parole di lei e il
loro significato:
"Ora ditemi, madonna- diss'egli - c' nessuno che sappia, o sapete voi, che ne sia di Tristano? Mi dissero
che stava male quando ultimamente andai a caccia".
"Signore, vi hanno detto il vero", rispose la regina: essa intendeva mal d'amore; sapeva bene che la sua
malattia proveniva dalla Minne. Il re replic subito:
"Come lo sapete? Chi ve lo ha detto?"
"Io so soltanto quello che suppongo e quello che poco tempo fa della sua malattia mi rifer Brangaene.
Essa lo vide ieri e mi disse che dovevo riferire a voi le sue parole e la sua domanda e pregarvi che per
amor di Dio non lo accusiate cos gravemente contro il suo onore e che vogliate desistere dal vostro
sdegno contro di lui, almeno per questi otto giorni mentre si prepara per la partenza e che gli permettiate

di prendere congedo con onore dalla corte e dal paese; di ci egli prega ambedue noi".
E cos essa espose al re tutta la richiesta che Tristano le aveva fatto presso la fonte, dove il re stesso aveva
ascoltato i loro discorsi.
Il re rispose:
"Madonna regina, sia sempre maledetto colui che mi indusse a dubitare di lui, del che profondamente mi
dolgo perch ho recentemente riconosciuta la sua innocenza; mi sono reso conto di tutto fino in fondo e
ora, benedetta sposa mia, per l'affetto che mi portate, tutto sia rimesso a voi e sia fatto quello che voi dite.
Decidete voi e mettete pace fra lui e me".
"Sire - disse la regina - non voglio troppo affrettarmi a far questo, poich se anche questa sera vi calmo,
domani tornerete al vostro sospetto, come prima."
"No, invero, madonna, ci non sar mai pi; io non avr mai pi dubbi sul suo onore e voi, madonna
regina, sarete sempre sciolta da ogni sospetto di amore infedele".
Fatto questo giuramento, fu mandato subito per Tristano e ogni sospetto risolto in bene con animo sincero.
Isotta fu nuovamente affidata a Tristano; egli l'assistette in tutto col consiglio e con l'azione; essa e la
kemenate erano ai suoi ordini. Tristano e la sua dama Isotta vivevano tranquilli e felici, la loro gioia era
completa; dopo lungo soffrire era concessa loro una vita beata secondo i loro desideri, sebbene dovesse
durare poco tempo senza crucci.
Io affermo a voce ben alta che non c' erba ortica cos pungente e amara quanto il maligno vicino, n mai
periglio cos grande come il falso familiare - intendo dire di quella falsit di chi prende aspetto d'amico e
invece nel cuore nemico. Questi un terribile compagno, ha sempre in bocca il miele e nel cuore il
veleno che stilla dal pungiglione dell'invidia; questa col suo alito appestato spira sventura su ogni impresa
dell'amico, su tutto quello che vede e sente e nessuno ne salvo. Colui invece che apertamente avversa il
nemico sulle sue vie, non lo accuso di falsit; finch combatte lealmente non fa gran danno; ma se si
nasconde allora bisogna stare in guardia.
Cos fecero Melot e Mariodo, stando sempre ipocritamente accanto a Tristano, profferendogli i loro servigi e
la loro amicizia con simulazione e menzogna. Ma Tristano stava bene attento e mise in guardia anche
Isotta:
"Badate - le disse - regina del mio cuore, e state ben attenta, tanto per voi quanto per me, alle vostre
parole e ai vostri gesti; siamo circondati e minacciati da grandi pericoli; due serpenti velenosi in veste di
colombe ci accompagnano ovunque con dolci detti e adulazioni. Da essi difendetevi, regina benedetta,
perch l dove i familiari sono come colombelle nell'aspetto e come stirpe di serpenti nella coda, bisogna
segnarsi come davanti alla tempesta e farsi benedire come davanti alla morte improvvisa. Madonna
benedetta, bella Isotta, guardatevi dalla serpe Melot e dal cane Mariodo".
Tali erano infatti questi due, quegli serpe, questi cane perch continuamente tendevano agguati agli
amanti a ogni occasione, a ogni passo, tal quale serpente e cane. Anche contro Marco esercitavano la loro
malizia con accuse e consigli a tutti i momenti, finch egli ricominci a esitare nel suo affetto e a
sospettare gli amanti e a tendere loro tranelli e segrete reti.
Un giorno si fece salassare, secondo quanto gli avevano proposto i suoi falsi consiglieri, e con lui Isotta e
Tristano, i quali non pensarono che vi fosse nascosta alcuna insidia e non temerono pericolo alcuno.
Giacevano tutti tranquilli e in silenzio nelle loro stanze. Il giorno seguente, quando a sera si fu ritirata la
schiera dei cortigiani e Marco fu andato a dormire, non rimasero nella kemenate, secondo quanto era stato
combinato, oltre Marco e Isotta, alcun altro che Tristano e Melot, Brangaene e una piccola ancella. Le
lampade e il loro chiarore era velato dalle folte cortine del letto.
Or quando all'ora di mattutino le campane cominciarono a suonare, Marco, sospettoso, si rivest in silenzio
e ordin a Melot di levarsi e di andare con lui alla messa dell'alba. Quando Marco ebbe lasciato il letto,
Melot prese una manciata di farina e la sparse sul pavimento in modo che se uno passasse venendo dal
letto o andandovi, si dovesse scorgerne la traccia. Dopo di che uscirono tutti e due. Le loro devozioni non
consisterono certamente in preghiere.

Ora Brangaene si accorse subito dell'insidia della farina, scivol verso Tristano e lo fece accorto, quindi
torn a mettersi a letto. L'astuzia dispiacque molto a Tristano; il cuore gli ardeva nel petto per la donna e
studiava come giungere a lei. Egli agiva come dice la similitudine, cio che la Minne deve essere senza
occhi e l'amore non conoscere paura quando ci si mette sul serio.
"Ahim - pens tra di s - Signore Iddio, come faccio con questo malaugurato inganno! Questa impresa
un grande azzardo per me".
Si lev sul letto e si guard intorno da tutte le parti per vedere in quale maniera potesse giungere col.
C'era gi abbastanza luce perch potesse scorgere la farina; ma lo spazio gli parve troppo grande per un
salto e non os tentarlo. Pure non pot che scegliere fra le due alternative quale fosse la migliore. Un i
piedi, si punt fortemente in terra, e arriv con un balzo dove voleva. Ma Tristano, cieco d'amore aveva
preso lo slancio e l'impresa alquanto al disopra delle sue forze: salt, s, fino al letto ma perse la gara
poich la vena si ruppe causandogli grande disagio e dolore. Letto e lenzuola si tinsero di sangue, come il
sangue suol fare e si macchiarono in vari punti. In breve tempo la porpora e il broccato, il letto e le
drapperie ne furono tutte segnate. Egli allora salt di nuovo nel proprio letto e vi giacque preoccupato fino
a giorno chiaro.
Poco dopo Marco fu di ritorno e guard il pavimento e lo vide intatto e non si accorse di nulla, ma quando
si avanz e vide sangue e ancora sangue, l'animo suo ne fu turbato.
"Come dunque, madonna regina - disse egli - che cosa significa questo? Donde viene questo sangue?".
"Viene dalla vena che si riaperta e solo adesso ristagnato".
Allora il re pass la mano anche su Tristano come per scherzo:
"Su, su, ser Tristano!", e gett indietro le coperte e anche qui trov sangue come l. Tacque e non disse
parola, lo lasci e se ne ritorn via, molto oppresso nel pensiero e nello spirito. Riflett a lungo come uomo
cui il giorno non spunta per la gioia. Aveva troppo cercato anche l, finch aveva trovato il tormento del
suo cuore. Pure del segreto di quei due e della loro vera storia non sapeva che quello che vedeva dal
sangue: la prova era invero troppo debole. Il dubbio e il sospetto, che lo avevano lasciato, ora lo tenevano
di nuovo sotto il loro giogo; l'aver trovato intatta la farina davanti al letto gli faceva supporre innocente suo
nipote, ma l'aver trovato insanguinato il letto della regina e quello di lui gli procurava dolore e cattivi
pensieri, cos come suole accadere ai dubbiosi. Con questo dubbio stava e pensava ora una cosa ora
un'altra e non sapeva quello che voleva o quello che doveva supporre: aveva trovato indizio dell'amore
colpevole sul suo letto eppure nulla davanti a questo; cos la verit gli veniva offerta e al tempo stesso
sottratta ed era ingannato da tutte e due le parti. Queste due, verit e menzogna, ora le rivolgeva
ambedue in mente e ora non ne credeva nessuna. Non voleva ritenerli colpevoli, eppure non voleva
crederli senza colpa; questo era un profondo tormento per il dubbioso.
Marco nel suo traviamento era intanto tormentato dal pensiero sul modo di chiarire questo sospetto e
liberarsi dal peso del dubbio e stornare la corte dai mali pensieri sulla sua sposa Isotta e su suo nipote
Tristano.
Fece chiamare i grandi vassalli della cui fedelt era sicuro e confid loro la sua incertezza e raccont come
questa maldicenza fosse sorta a corte e come egli temesse per l'onore del suo matrimonio e dichiar che
finch durava questa pubblica accusa, nota a tutto il paese, egli non voleva pi avere la regina nel suo
favore e nella sua grazia, se essa prima non avesse dimostrato pubblicamente la propria innocenza e la
propria fedelt coniugale. Per questo chiedeva il loro consiglio sul come risolvere il dubbio sulla colpa di lei,
in modo che, tanto negandolo che accogliendolo, ci risultasse a suo onore.
I suoi amici e vassalli gli consigliarono di riunire un concilio a Lunders in Inghilterra e l manifestare il suo
cruccio ai sacerdoti, ai saggi antistiti che conoscevano bene il diritto canonico.
Il concilio fu subito indetto a Lunders, dopo la settimana di Pentecoste, verso la fine di maggio. Sacerdoti e
laici accorsero in gran numero all'appello del re, come egli aveva pregato e anche ordinato; venne Marco e
venne Isotta, ambedue sotto il peso del timore e del dolore. Isotta temeva fortemente di perdere l'onore e
la vita, Marco pure era in grande angoscia di perdere dignit e gioia per la sua sposa Isotta.
Ora Marco sedeva al concilio e si lamentava coi principi del regno di essere gravato da questa vergognosa

diceria, e li preg con insistenza per amor di Dio e per l'onore loro se sapessero suggerirgli sia un'astuzia o
un consiglio per giudicare o vendicare questo delitto e in un modo o nell'altro porvi fine. Su questo molti
espressero la loro opinione in varie maniere, l'uno in bene, l'altro in male, chi in un senso, chi nell'altro.
Uno dei principi che erano al convegno si lev, per et ed esperienza bene adatto a buon consiglio,
vecchio e di nobile aspetto, canuto e saggio, vescovo di Tamise. Appoggiandosi sul pastorale,
"Sire - disse - ascoltate: ci avete chiamati qui noi, principi d'Inghilterra, per avere da noi consiglio e
fedelt, secondo il bisogno. Signore, sono io pure uno di questi principi e il mio posto fra di loro; sono
anche in et da sapere quello che devo fare o tralasciare e dire quello che ho da dire. Ognuno di voi parli
per proprio conto: quanto a me, sire, io voglio dirvi il mio pensiero e la mia opinione: se la mia idea vi parr
buona e vi piacer obbedite al mio consiglio ed a me. La mia regina e ser Tristano sono accusati di grave
colpa, ma da quanto ho udito raccontare, non sono stati convinti n sorpresi in nulla di grave. Come potete
giustificare malignamente questa sfiducia? Come potete giudicare di vostro nipote e della vostra donna,
del loro onore e della loro vita se non sono mai stati trovati in alcuna sorta di misfatto, n probabilmente
mai lo potranno essere? Chiunque pu facilmente accusare Tristano di questa colpa, senza apertamente
provare nulla contro di lui, come giustamente dovrebbe fare. Cos anche ognuno pu spargere chiacchiere
sulla regina, ma non pu testimoniarne. Per, poich la corte sospetta tanto del loro delitto, dovete, voi
sire, stare separato dalla regina di mensa e di letto fino al giorno in cui essa potr dimostrare la sua
innocenza davanti a voi e davanti al popolo fra cui diffusa questa diceria e che ognora ne parla, poich
purtroppo, a simili novelle l'orecchio sempre aperto, siano esse verit o menzogna; sia vera o falsa,
quando di tale colpa si sparge la fama, cresce e dilaga e diventa sempre peggiore. Comunque sia, questa
diceria e questa mormorazione sono andate tanto per la bocca della gente che voi ne avete avuto danno e
la corte crede al male. Ora io penso, e questo il mio consiglio, che, se la regina accusata di tale fallo, la
si chiami qui alla presenza di tutti noi e si ascolti la vostra accusa e la sua difesa, secondo il costume della
corte".
Il re disse:
"Signore, far come dite; le vostre parole e il vostro consiglio mi sembrano giusti e convenienti".
Fu mandato per Isotta ed essa venne al concilio nel palazzo. Quando si fu seduta, il vecchio vescovo, il
saggio del Tamise, su cenno del re si lev e cos parl:
"Madonna Isotta, virtuosa regina, che il mio dire non vi dispiaccia. Il re mio signore mi ordina di parlare
per lui e debbo obbedire al suo comando. Per Dio sa come ci mal si addica alla vostra dignit e contrasti
con la vostra pura fama e assai a malincuore lo divulgo e lo metto in luce e vorrei potermene esimere.
Mia buona regina, il vostro signore e sposo mi ingiunge di interrogarvi intorno a una pubblica accusa. Non
so, e neppure egli sa, di che cosa vi si incolpi, se non che voi siete accusata dalla corte e dal popolo, voi e
suo nipote Tristano. Dio voglia, madonna regina, che di questo peccato siate libera e innocente; pure il re
preoccupato, perch lo dice la corte. Il mio signore non ha trovato egli stesso in voi nulla se non di buono;
soltanto da chiacchiere della corte gli nato il sospetto contro di voi, non da realt alcuna; per questo egli
vi cita qui affinch i suoi amici e vassalli lo sentano e lo sappiano e affinch egli possa distruggere questa
diceria e questa menzogna col giudizio di tutti noi. Ora mi sembra giusto che voi diate risposta e rendiate
conto del sospetto alla presenza di noi tutti".
Isotta, la bene assennata regina, quando fu la sua volta di parlare si lev essa pure e disse:
"Monsignor Vescovo, voi baroni del regno e la corte tutta, dovete tutti sapere quello di cui devo render
conto sul disonore del mio signore e di me stessa: in fede mia, io lo nego ora e sempre. Signori, mi noto
che da un anno questa villana su di me viene detta a corte e fra il popolo. Voi tutti per ben sapete che
nessuno tanto fortunato da poter sempre vivere col favore del mondo, tanto che non gli venga mai
attribuita colpa veruna. Perci non mi meraviglio che questo accada a me pure. La gente non sa parlare di
me senza accusarmi di mal costume e cattiva condotta, perch sono straniera e non ho parenti o amici a
cui rivolgermi. Non vi alcuno accanto a me che abbia compassione della mia pena. Voi tutti quanti, che
siate poveri o ricchi, siete, ognuno di voi, pronti a credere alla mia onta. Se sapessi che cosa fare, a quale
consiglio ricorrere perch la mia innocenza possa valere per la vostra grazia e ad onore del mio signore, lo
farei di buona volont. Che cosa mi consigliate? Io sono pronta a qualunque giudizio cui mi si voglia
sottoporre, affinch ogni vostro dubbio venga da ora in poi soppresso: e molto pi per affermare l'onore del
mio signore e mio".

Il re disse:
"Madonna regina, cos sia fatto: se potr far giudizio su di voi come ci avete proposto, datecene vera
sicurezza affidandovi alla prova del ferro rovente al quale vi deferiamo".
La regina accett e promise di sottostare al giudizio come avevano combinato, entro le prossime sei
settimane nella citt di Carlium. Il re e i baroni del regno si separarono allora e il concilio si sciolse.
Isotta rimase col sola, dolente e preoccupata, molto oppressa da cure e pena: temeva per il suo onore e
la stringeva il segreto timore che la sua finzione venisse scoperta. Con questi due crucci non sapeva dove
rivolgersi: allora li pose ambedue davanti a Cristo misericordioso, che la soccorresse nel bisogno; a Lui
raccomand ardentemente, con preghiere e digiuni tutta la sua pena e la sua angoscia. In questo
frangente Isotta escogit nel suo cuore un'astuzia, fidando nella cortesia di Dio. Essa scrisse una lettera
che invi a Tristano pregandolo di venire a Carlium la mattina di buon'ora se appena gli fosse possibile e di
trovarsi sulla riva quando essa doveva approdare. Cos fu fatto: Tristano venne in abito da pellegrino, col
volto truccato, travestito e alterato nell'aspetto e nella persona.
Quando Marco e Isotta giunsero a riva la regina lo scorse e subito lo riconobbe; e quando il battello
approd, Isotta chiese e ordin che fosse quel pellegrino, se ne fosse capace e se gli bastassero le forze, a
portarla dal battello a terra per amore di Dio, poich in quel giorno non voleva essere portata da un
cavaliere. Quindi lo chiamarono:
"Avanti, sant'uomo, venite e portate a riva madonna".
Egli fece quanto gli veniva richiesto, prese in braccio la regina sua signora e la port a terra. Isotta gli
mormor sottovoce che quando toccasse la sponda facesse in modo da cadere in terra insieme a lei.
Qualunque cosa significasse questo consiglio, egli obbed. Giunto dal battello alla riva il pellegrino cadde a
terra come per caso e rivoltandosi venne a trovarsi nelle braccia della regina e al suo lato.
Immediatamente si precipit un gran numero di cortigiani con bacchette e bastoni per dare addosso al
pellegrino, ma Isotta disse:
"No, no; questo accaduto senza volere, il pellegrino debole e senza forza ed caduto senza sua
colpa".
Nell'animo degli astanti fu calcolato molto ad onore e a lode di lei che essa non fosse in collera e non
volesse vendicarsi del poveretto.
Isotta disse sorridendo:
"Che cosa ci sarebbe di strano se questo pellegrino avesse voluto scherzare con me?".
Ci le fu attribuito a virt e cortesia e il suo onore e la sua stima ne furono accresciuti e celebrati da molte
bocche. Marco osservava tutto e ascoltava ogni cosa.
Isotta riprese allora:
"Ora non so che cosa avverr: ognuno di voi vede bene che non posso pi dichiarare che nessun uomo
mi abbia avuta in braccio suo e mi sia giaciuto a lato all'infuori di re Marco".
Cos continuarono a scherzare su questo pellegrino cavalcando verso Carlium. Qui c'erano molti baroni,
chierici e cavalieri e gran folla di popolo, vescovi e prelati che facevano l'ufficio loro e benedicevano
l'assemblea. Erano pronti con tutti i preparativi. Allora fu portato il ferro.
La buona regina Isotta aveva dato via tutto il suo argento e il suo oro, i suoi gioielli e tutto quello che
aveva di vesti e di cavalli perch Dio nella sua grazia non ricordasse la sua vera colpa e la riportasse in
onore. Intanto erano giunti alla chiesa e la saggia, la buona regina con animo raccolto aveva appreso
quello che doveva fare. La sua penitenza fu molto devota: sul corpo direttamente portava un aspro cilicio
di setole, sopra a questo una corta tunica di lana che le giungeva una spanna al disopra della caviglia. Le
maniche erano rialzate fino al gomito; braccia e piedi erano nudi. Molti cuori e molti occhi vedendola ne
ebbero tristezza e compassione; tutti poterono mirare la sua persona e la sua veste.

Intanto era giunta anche la reliquia sulla quale doveva giurare. Fu quindi ordinato a Isotta di confessare a
Dio e al mondo la sua colpa di questo peccato. Ora Isotta aveva rimesso interamente onore e vita alla
bont di Dio. Protese reverentemente il cuore e la mano verso la reliquia per il giuramento. Cuore e mano
affid alla benedizione di Dio perch li proteggesse e li custodisse.
Ora col si trovavano molti invidiosi che sarebbero stati contenti se il giuramento della regina le avesse
portato danno o vergogna. Il velenoso siniscalco Mariodo, pieno di odio, cercava di nuocerle in tutti i modi.
All'opposto ve ne erano invece altri che di lei si onoravano e volgevano tutto a suo bene. Cos grande
contesa vi fu tra loro riguardo a questo giuramento, l'uno le era contrario, l'altro favorevole, come suole
accadere in queste circostanze.
"Mio re e signore - disse Isotta - comunque si dica e si parli, tutto deve essere fatto come a voi piace e
come vi gradito; perci vedete voi stesso quello che io debba dire o fare, affinch col mio giuramento vi
sia data soddisfazione. Sono gi troppi tutti questi discorsi: ascoltate quello che voglio giurare: che nessun
uomo conobbe mai il mio corpo, n all'infuori di voi mai in alcun momento uomo che viva mi ebbe tra le
braccia o mi giacque allato, se non quegli per il quale non posso giurarlo n negarlo, in braccio del quale
mi avete veduto con i vostri occhi, voglio dire quel povero pellegrino. Cos mi aiuti Iddio Signore e tutti i
Santi che per il nostro bene e la nostra eterna salvezza sono presenti a questo giudizio. Se non ho detto
bene, signore, posso fare giuramento pi perfetto in un modo o nell'altro".
"Madonna - disse il re - mi pare che basti cos, per quanto ne so. Ora prendete il ferro in mano e, come
avete detto, Iddio vi aiuti in questo grave momento."
"Amen", rispose la bella Isotta.
Quindi nel nome di Dio essa prese il ferro e lo port senza che la bruciasse.
E qui si vede e fu palese a tutto il mondo come il potente Cristo sia adattabile come una manica: egli si
piega e si accomoda come da lui si richiede, cos maneggevole come a buon diritto si conviene. Egli
pronto per tutti i cuori, per la sincerit come per l'inganno. Sia sul serio, sia per scherzo, sempre come lo
si vuole. Ci fu chiaramente manifesto nell'abile regina: il suo inganno e il falso giuramento che aveva
fatto a Dio le servirono a crescere in onore cos che fu di nuovo pi che mai amata, venerata lodata e
onorata dal suo signore Marco, dal popolo e dal paese. Il re consentiva a qualunque cosa capiva poterle
essere gradito; le tributava onori e doni. Il suo cuore e tutto l'animo suo erano rivolti a lei senza ombra di
falsit; dubbio e sospetto erano di nuovo scomparsi.
Quando a Carlium Tristano, il compagno di Isotta, ebbe portato la regina dalla nave a terra e compiuto ci
di cui ella lo aveva pregato part subito dall'Inghilterra alla volta di Swales, dal duca Gilan; questi era
giovane e ricco, non aveva moglie ed era libero e allegro. Tristano fu il benvenuto; gli era gi noto per varie
sue gesta e strane avventure e quindi gli stava molto a cuore di rendergli ogni onore, procurargli piaceri e
agi in qualunque cosa egli potesse gradire; a questo egli si applicava con tutto lo zelo, poich l'afflitto
Tristano era sempre immerso in pensieri, nel desiderio e nella tristezza per la sua avventura.
Un giorno accadde che Tristano sedesse accanto a Gilan, in triste meditazione e inconsciamente
sospirasse. Gilan se ne accorse e ordin che gli portassero il suo cagnolino Petitcrin venuto da Avalon che
era il trastullo del suo cuore, la gioia dei suoi occhi. Orbene, il suo ordine fu eseguito. Un panno di porpora
raro e bello, prezioso e di struttura straniera meravigliosa della stessa misura della tavola fu steso dinanzi
a loro e vi venne portato un cagnolino che, a quanto ho sentito dire, era fatato e che una maga aveva
inviato, per amore e per Minne da Avalon, il paese delle fate. Era fornito con tale arte delle due qualit del
colore e dell'intelligenza, che non c' lingua abbastanza eloquente, n cuore tanto esperto da saperne
descrivere o narrare la bellezza e la grazia. Le tinte erano cos sapientemente combinate con arte straniera
che nessuno poteva dire esattamente quale fosse il colore; questo era distribuito cos variamente che
guardando il petto non altrimenti si poteva dire che bianco pi della neve, i fianchi erano verdi come l'erba,
un lato rosso come il melograno, l'altro pi giallo dello zafferano, in basso interamente azzurro, pi in alto
un misto cos ben combinato che fra tutti nessun colore risaltava pi dell'altro; non era n biondo n rosso
n bianco n nero n giallo n turchino, eppure vi era parte di ognuno di questi colori, cio era di lucente
tinta purpurea. L'opera magica di Avalon si palesava nel pelo; non c'era uomo per quanto esperto che
avesse potuto riconoscerne la tinta: questa era cos varia e cos strana e diversa che sembrava non vi
fosse colore alcuno. Intorno al collo portava una catena d'oro; da questa pendeva una campanella di cos
dolce e chiaro suono che quando cominci a oscillare l'afflitto Tristano si sent libero dalla tristezza e dalla
preoccupazione per la sua avventura e perfino dimentic il dolore che lo opprimeva per Isotta. Tanto dolce

era il suono della campanella che nessuno poteva udirlo senza essere alleggerito di tutte le sue pene e del
suo soffrire.
Udendo e vedendo questa meraviglia Tristano cominci a considerare cane e campanella, ognuno
separatamente, il cane e il suo strano pelo, il campanellino e il suo dolce suono; ambedue lo stupivano e il
miracolo del cagnolino gli parve ancora pi meraviglioso del bel suono della campanella che gli penetrava
per gli orecchi e lo sollevava dalla sua tristezza. Gli sembrava una strana avventura trovare in tutti questi
colori quello che i suoi occhi aperti negavano, poich non ne riconosceva alcuno, per quanto attentamente
osservasse. Tese la mano dolcemente a carezzarlo e lisciandolo con le mani gli sembrava di toccare della
seta tanto era morbido, e non ringhiava n abbaiava, n dava segno di irritazione, qualunque scherzo con
esso si facesse; anche, secondo quanto di lui si narrava, non mangiava n beveva.
Quando lo riportarono via, la tristezza e il duolo di Tristano ripresero pi gravi di prima e anzi tanto pi
dolorosi in quanto tutti i suoi pensieri e tutti i suoi desideri erano rivolti a studiare in qual modo o con quali
mezzi poter ottenere il cagnolino Petitcrin per la sua dama, la regina, affinch la pena di lei ne venisse
mitigata; ma non vedeva come ci fosse possibile sia con arti o con preghiere, poich sapeva bene che
Gilan non lo avrebbe dato via neppure se ne fosse andato della sua vita, n per alcun tesoro che avesse
mai visto. La brama e l'inquietudine gli agitavano sempre il cuore e mai aveva provato nulla di simile.
Come dice la verace storia del valore di Tristano, viveva a quel tempo nella terra di Swales un gigante
superbo e temerario che aveva la sua dimora sulla riva e si chiamava Urgan il Villoso. Gilan e il suo paese
di Swales erano soggetti a questo gigante e dovevano pagargli dei tributi perch lasciasse in pace la
gente, senza offese e senza malanni. Ora corse voce a corte che Urgan era venuto e che si era portato via
quello che doveva essere il tributo di buoi, pecore, e suini e che aveva ordinato di spingerli innanzi a lui.
Gilan raccont allora al suo amico Tristano come questo tributo gli fosse stato fin dal principio imposto con
frode e violenza.
"Ora - disse Tristano - se io riesco a liberarvene e venirvi presto in aiuto in modo che siate svincolato
dall'obbligo del tributo finch vivrete, quale ricompensa mi darete?".
"In fede mia, signore - disse Gilan - vi dar volentieri tutto quello che ho".
Tristano replic subito:
"Signore, se mi garantite questo, io vi aiuter certamente per quanto mi debba costare, in modo che tra
breve siate liberato da Urgan, dovessi anche rimetterci la vita".
"Invero, signore, vi dar tutto quello che vorrete - rispose Gilan - e sar fatto tutto quello che voi
comanderete".
E in fede di ci gli diede la mano. Tristano mand subito per il suo cavallo e le sue armi; quindi chiese che
gli indicassero il luogo dove questo figlio del diavolo doveva passare col suo bottino.
Tristano fu condotto sulla giusta via, sulle tracce di Urgan, in una fitta foresta; su di un ponte incontr la
banda del gigante, di ritorno dopo la rapina. Il gigante e la preda avanzavano, ma Tristano si mise davanti
a loro e non permise loro di passare. Quando il perfido gigante Urgan si accorse che il ponte era bloccato
venne subito con una lunga e forte stanga di acciaio che teneva librata in alto. Giunto davanti al cavaliere
cos bene armato, gli parl con mal garbo:
"Voi, amico a cavallo, chi siete? Perch non lasciate passare la roba mia? Sa Iddio che ci che avete fatto
vi coster la vita, se non vi arrendete".
Colui sul cavallo replic:
"Amico, mi chiamo Tristano; sai bene che non tengo te n la tua mazza in conto neppure di mezza fava.
Perci vattene pure e sappi che in verit la tua rapina non passer finch io lo potr impedire".
"Gi, ser Tristano - disse il gigante - voi vi vantate perch avete vinto Morolt di Irlanda, col quale avete
combattuto molto ingiustamente e per nessuna ragione e che avete ucciso per superbia; ma con me non
sar come con l'Irlandese che assaliste con grande rumore e gli portaste via la bella, fiorente Isotta che gli
spettava come compenso. No, no! la sponda casa mia e io mi chiamo Urgan il Villoso! Ora lasciate libera
la via!".

Con ci cominci a dirigere con tutte e due le mani un colpo verso Tristano con uno slancio lungo e potente
prendendo la giusta mira nel puntare e lasciare, in modo che sarebbe costata la vita a Tristano. Quando
con la stanga cominci ad agitarla contro di lui, Tristano si schiv, ma non abbastanza presto: essa colp il
cavallo tagliandolo in due. Il mostruoso gigante diede un urlo e grid a Tristano ridendo:
"Dio vi assista, ser Tristano, non abbiate fretta di montare in sella; degnatevi trattenervi un poco con
me, se vi posso pregare di lasciar procedere con la vostra grazia e il vostro onore il tributo della mia terra".
Tristano cadde sull'erba poich il cavallo gli era stato ucciso; si rialz e con la lancia inferse a Urgan un
colpo nell'occhio; cos il maligno fu ferito. Il mostruoso gigante Urgan corse subito verso il luogo dove
giaceva la sua stanga, ma intanto, mentre egli stendeva la mano per afferrarla, anche Tristano aveva
gettato via la lancia e accorreva rapido con la spada; lo colp proprio come voleva, poich gli recise la
mano che era tesa verso la mazza, cos che quella cadde in terra; poi gli diede ancora un colpo sulla coscia
e si volse indietro. Urgan, malconcio, afferr la stanga con la mano sinistra, la impugn e corse contro il
suo nemico; egli insegu Tristano fra gli alberi per molti giri e molte difficili svolte. Intanto il sangue
scorreva dalla ferita di Urgan in tale abbondanza che il malandrino cominci a temere che a causa di
questo potesse fra breve perdere forze e coraggio. Abbadon quindi preda e cavaliere, raccolse la mano
dove la trov e ritorn in fretta a casa nella sua fortezza.
Tristano se ne stava solo nel bosco accanto alla sua preda; era non poco angustiato che Urgan fosse
scampato vivo; sedeva sull'erba pensoso e meditabondo, preoccupato nell'animo suo di non aver altra
prova e testimonianza della sua impresa se non il tributo predato, quindi a nulla gli sarebbe valso tutto il
suo travaglio e la fatica che vi aveva impiegata e Gilan non manterrebbe l'impegno che avevano fra loro
pattuito. Ritorn allora sui suoi passi seguendo la traccia delle macchie di sangue sul terreno e sull'erba
dove era passato Urgan.
Giunto al castello, osserv tutto attentamente e cerc Urgan dovunque, ma non trov n lui n anima viva,
poich, come ci narra la storia, il mutilato aveva posato su di una tavola in una sala la sua mano staccata
ed era sceso dal castello a valle gi per il monte in cerca delle erbe che gli occorrevano per la guarigione
della ferita e delle quali conosceva le qualit. E se ci avesse pensato prima, avrebbe riattaccato in tempo
la mano al braccio con arti che ben conosceva, prima che fosse interamente morta e avrebbe cos
rimediato alla disgrazia, non dell'occhio ma della mano. Ora questo non era pi possibile perch Tristano,
giunto col e trovata la mano incustodita, se ne era impadronito e se ne era ritornato per la stessa via per
la quale era venuto.
Urgan ritorn indietro e vide che aveva perduto la mano e ne ebbe gran dolore e ira. Gett a terra i suoi
medicamenti e si lanci dietro a Tristano; questi era giunto al ponte e aveva gi notato di essere inseguito;
prese la mano e la nascose sotto un tronco rovesciato, stando in gran timore di questo uomo gigantesco,
poich non vi era dubbio che sarebbe finita con la morte di uno di loro due, o del gigante o della sua.
Ritorn al ponte e gli and incontro con la lancia e lo assal cos violentemente che questa si spezz nel
colpo; intanto anche il maledetto Urgan gli fu addosso con la sua stanga con tale impeto che il colpo cadde
molto pi addietro, altrimenti Tristano, fosse pur stato di ferro, non avrebbe potuto salvarsi. Molto gli giov
per questo che Urgan fosse cos avido della sua vita, poich questi gli si era troppo avvicinato e aveva
preso lo slancio troppo al di l di lui. Prima che il gigante avesse sollevato di nuovo la stanga Tristano gli
aveva inferto un colpo non dubbio all'altro occhio.
Allora Urgan cominci a battere intorno a s come un cieco con tali colpi che Tristano fugg lontano e lo
lasci a battere con la sinistra tutto in giro; cos facendo giunse vicino al margine del ponte e Tristano
allora accorse, chiam a raccolta per questa impresa tutte le sue forze, tutta la sua energia, lo afferr con
tutte e due le mani e lo spinse gi dal ponte; lo precipit dall'alto a valle, cos che la mostruosa mole si
sfracell sulle rocce.
Quindi il vittorioso Tristano prese la mano e corse via e giunse al luogo dove Gilan stava muovendogli
incontro a cavallo. Gilan era profondamente addolorato che Tristano avesse intrapreso questo
combattimento, poich gli pareva impossibile che ne uscisse salvo come ne usc e quando lo vide venire di
corsa verso di lui gli grid gioiosamente:
", bien venianz, gentil Tristan: uomo avventurato, ditemi ora: come state? siete sano?".
Tristano allora gli mostr la mano recisa del gigante e gli narr tutto come era avvenuto, la sua avventura

e la sua fortuna nell'impresa. Gilan ne ebbe gran piacere; ritornarono a cavallo al ponte e trovarono, come
era stato detto da Tristano e secondo le sue parole, un uomo sfracellato; lo considerarono con grande
meraviglia, poi ritornarono allegramente verso casa sospingendo davanti a s il bottino. Di questo molto si
parl in tutto il paese di Swales; si celebr la gloria, l'onore, la lode di Tristano; mai altrettanto si era detto
in quel paese del valore di alcun altro.
Allorch Gilan e Tristano il vittorioso furono ritornati a casa, ripresero a parlare della loro buona ventura.
Tristano, quest'uomo straordinario, disse al duca:
"Signor Duca, ricordatevi della vostra promessa e del patto che abbiamo fatto tra noi e che avete
giurato".
Gilan rispose:
"Certamente, che cosa vi piace di pi? che cosa desiderate?"
"Ser Gilan, io desidero che mi diate Petitcrin".
Gilan rispose:
"Posso darvi miglior consiglio".
"Sentiamo, che cosa?" - rispose Tristano.
"Che voi mi lasciate il cagnolino e prendiate la mia bella sorella e la met di quanto possiedo".
"No, signor duca Gilan, rammentatevi della promessa, poich io non prenderei tutti i regni n tutti i
paesi della terra se pur me ne fosse lasciata la scelta. Io uccisi Urgan il Villoso soltanto per Petitcrin".
"In verit ser Tristano, se questo il vostro desiderio e preferite questo a ci che vi ho proposto,
mantengo la mia parola e vi cedo quello che pi vi piace; non vi metto malizia n voglio ingannarvi: per
quanto a malincuore, quello che voi ordinate sar fatto".
Con questo fece venire il cagnolino davanti a s e davanti a Tristano.
"Vedete, signore - diss'egli,- vi posso dire e giurare sulla mia eterna salvezza che fra tutto ci che mi
caro nulla c', all'infuori del mio onore e della mia vita, che non vi donerei pi volontieri che non il
cagnolino Petitcrin: ora prendetelo e tenetelo voi e Dio voglia che sia per la vostra gioia. Mi avete invero
portato via il mio trastullo migliore e molta della gioia del mio cuore".
Quando Tristano ebbe in suo possesso il cagnolino, in verit al confronto di questo non gli sarebbe
importato nulla di Roma e di tutti i regni della terra e del mare. Il suo cuore, eccetto quando era insieme a
Isotta, non era mai stato tanto lieto come ora. Per il suo segreto servizio egli si procur da Gales un giullare
abile e prudente e si mise a istruirlo sul modo pi saggio di portare il dono alla regina, alla bella Isotta per
sua gioia. Prudentemente lo nascose al Galeotto durante il viaggio, ma le scrisse delle lettere e gliele
mand e le fece sapere come e dove lo avesse ottenuto per lei.
Il giullare si mise in via come gli era stato ordinato e insegnato, e giunse a Tintajoel, al castello di re Marco,
senza che per strada gli fosse occorsa alcuna contrariet. Parl con Brangaene, la quale consegn la
lettera e il cane a Isotta. Questa consider attentamente nell'insieme e nei particolari tutte le meraviglie
del cagnolino; diede dieci marchi d'oro al giullare per salario e per ricompensa. Scrisse e mand una
lettera richiamando Tristano con insistenza, dicendo che re Marco gli era favorevolmente disposto e non
pensava pi a quella diceria: venisse pure dunque, essa aveva tutto appianato.
Tristano fece come lei gli diceva e ritorn immediatamente; corte, popolo e paese gli tributarono onori
ancor maggiori di prima; mai dalla corte aveva ricevuto di maggiori che adesso, senonch Mariodo e il suo
compagno petit Melot, che gi erano suoi nemici, glieli offrivano solo esternamente e qualunque onore gli
facessero poco ve ne era di sincero. Ora qui ditemi tutti come sia; se dove c' l'apparenza vi sia o non vi
sia l'onore? Io dico di no e pur anche di s: no, per colui che lo rende, s, per colui al quale reso; l'uno e
l'altro sono contenuti in questi due termini. Che dire di pi? un onore senza onore.
Isotta disse al re che il cagnolino glielo aveva inviato sua madre, la saggia regina d'Irlanda, e fece fare per
lui molti preziosi gioielli e ornamenti d'oro, quanto di meglio si poteva desiderare, e una bellissima cuccia

dove era stesa una ricca pelliccia sulla quale esso si coricava. Cos Isotta lo aveva giorno e notte davanti
agli occhi, in pubblico e in segreto. Ovunque fosse, ovunque andasse a piedi o a cavallo ella soleva non
perderlo di vista; lo conducevano e lo portavano sempre dove lei potesse seguirlo con gli occhi, e questo
non lo faceva per proprio sollievo, ma, come racconta la storia, per rinnovare il suo nostalgico dolore e per
amore di Tristano che per amore glielo aveva donato.
Essa non ne aveva alcun conforto, n gliene veniva pace, poich la fedele regina, appena ricevette il
cagnolino e si rese conto della campanella che le faceva dimenticare la sua pena, pens che il suo diletto
Tristano soffriva per lei e disse fra s:
"Oh! come mi posso io rallegrare e che faccio mai io, donna infedele? Come posso mai e in qualsiasi
momento sentirmi gaia, mentre egli tanto triste per causa mia? egli che per me ha lasciato ogni gioia e
votato la sua vita alla tristezza? Di che cosa posso io godere senza di lui, io che sono la sua gioia e la sua
pena? Come posso ridere quando il cuore di lui non trova requie se il mio cuore non gli vicino? Egli non
vive se non per me: dovrei io ora vivere felice e contenta mentre egli intanto immerso nella tristezza?
Iddio misericordioso non voglia mai che io possa gustare gioia senza di lui!".
Con ci stacc il sonaglio e vi lasci appesa la catena; cos esso perse ogni virt e ogni incantesimo; non
diede pi un suono che avesse il primitivo potere; si dice che mai pi, per quanto si stesse in ascolto,
desse sollievo o consolazione a cuore alcuno. Questo non importava a Isotta che non desiderava essere
felice: l'amante fedele innamorata aveva votato la sua felicit e la sua vita al suo nostalgico amore e a
Tristano.
Tristano e Isotta avevano ora nuovamente vinto cure e affanni ed erano di nuovo in auge a corte; questa
era piena delle loro lodi e mai ne avevano riscosso di maggiori, o goduto di pi del favore di re Marco loro
signore. Erano anche ben nascosti, poich non trovando luogo o modo per stare insieme loro due, si
contentavano dell'intenzione che spesso di conforto agli amanti; la fiducia e la speranza di poter
compiere ci che il cuore desidera, d sempre al cuore stesso desiderio di vivere e nuova vita. Questa la
vera intimit, questo il vero e miglior senso dell'amore e della Minne: che quando non si pu avere la realt
che la Minne vorrebbe vi si rinunci di buon grado e si accetti la buona volont invece dell'atto. Quando c'
la ferma volont, vicina anche la realizzazione. Con la buona volont si deve acquietare il desiderio. I due
compagni e amici nulla devono intraprendere cui il momento e l'occasione non siano propizi, altrimenti
vogliono il loro proprio male. Se non si pu, eppure si vuole, si gioca un gioco molto svantaggioso. Se ben
si pu, allora si voglia, ch questo buon gioco, senza dolor di cuore. I due amanti, Tristano e Isotta, non
potendo usufruire di occasioni propizie, vi rinunciarono per la loro comune volont che agiva in loro
dolcemente e amabilmente sebbene con grande difficolt. Avere un solo amore e un animo solo sembrava
loro cosa dolce e buona. Essi tenevano il loro amore celato a Marco e alla corte, per quanto lo permetteva
il cieco amore che loro aleggiava sempre intorno.
Per il seme e il sospetto della Minne sono cos fatti che ovunque siano gettati mettono radice e portano
sempre nuovi frutti finch hanno un po' di umidit e non inaridiscono mai n si possono seccare. Questo
malo sospetto presto cominci a crescere e a farsi gioco di Tristano e Isotta. Di umidit ce n'era anche
troppa, cio dolci atteggiamenti, dai quali a ogni momento si manifestava l'amore. Parl il vero colui che
disse che, per quanto in guardia si cerchi di stare, l'occhio tende sempre a stare vicino al cuore e il dito al
punto doloroso. Le stelle polari del cuore deviano volontieri verso l dove volto il cuore cos come anche
il dito e la mano facilmente si dirigono verso il punto che duole. Lo stesso facevano sempre gli amanti; essi
non sapevano n potevano ad alcun prezzo evitare di nutrire il sospetto con molti dolci sguardi troppo
frequenti; poich, purtroppo, come ho letto, l'amico del cuore, l'occhio, sempre verso il cuore era rivolto, la
mano sempre andava dove stava il dolore; cominciarono fra loro due a irretire con gli sguardi cuore e occhi
e spesso non sapevano distoglierli affinch Marco non vi scoprisse il balsamo della Minne.
Perci egli sempre li osservava, il suo occhio era sempre vigile, spesso negli occhi loro leggeva
segretamente la verit, ma sempre solo e unicamente nel loro aspetto; questo era cos palesemente
amoroso, cos dolce e pieno di desiderio che gli andava al cuore ed egli ne provava tale ira, tale gelosia e
tale odio che lasci libero corso a questo e a quella, alla gelosia e al sospetto: dolore e collera gli avevano
fatto perdere il senno e la misura. Era una morte per lui che la sua diletta Isotta dovesse pensare con
amore ad altri che a lui solo, perch nulla al mondo gli era pi caro che Isotta e in questo era fermo e saldo
l'animo suo. Nonostante la sua collera lei era sempre la sua amata donna, pi cara a lui della sua propria
persona. Per per quanto la diligesse, questa pena e questo pazzesco duolo ardevano in lui con tale furore
che egli ripudi l'amore e rimase solo con la collera. Non gliene importava pi nulla, che fosse menzogna o
verit.

In questa cieca rabbia li cit ambedue davanti alla corte, nel palazzo, davanti a tutti i cortigiani. Parl a
Isotta pubblicamente in modo che tutta la corte pot udire:
"Madonna Isotta d'Irlanda, noto a tutto il paese come da molto tempo e per lunghi anni voi siate stata
sospettata insieme a mio nipote Tristano. Ora io molte volte vi ho fatto spiare per vedere se per amor mio
aveste moderato questa folla, ma non volete desisterne: io non sono uno stolto che non sappia e non veda
chiaramente e segretamente nel vostro cuore: i vostri occhi sono continuamente volti a mio nipote; a lui
voi mostrate pi dolce viso che a me. Da tutta la vostra condotta riconosco che lo amate pi che non
amiate me. Qualunque vigilanza io eserciti su di lui o su di voi non porta ad alcun risultato: tutto inutile
per quanto io faccia. Vi ho tanto sovente separati l'uno dall'altro che mi meraviglio possiate essere ancora
cos uniti di cuore. Ho spesso intercettato i vostri dolci sguardi, pure non posso impedire l'amore fra voi
due. Ora finalmente voglio dirvi che non sopporter pi a lungo questa infamia e questa pena che mi avete
cos dolorosamente imposto. Da ora in poi non sopporter pi questo disonore. Neppure voglio per ci,
nipote Tristano, madonna Isotta, vendicarmi di voi come ne avrei diritto, vi voglio troppo bene per
condannarvi a morte e farvi del male, a malincuore lo confesso, poich vedo che voi due contro ogni mia
volont vi amate pi di quanto non amiate me; state dunque pure insieme come vi aggrada e non
lasciatevi per timore di me. Se il vostro amore cos grande, io non voglio da ora in poi costringervi n
molestarvi in alcun modo. Prendetevi dunque per mano e toglietevi dalla corte e dal paese. Se pur alcun
male mi debba venire da parte vostra, io non voglio vedere n saperne nulla. Fra noi tre non pu sussistere
unione, la lascio a voi due e mi ritiro. Comunque io me ne sciolga, una cattiva compagnia e volontieri vi
rinuncio. Il re che coscientemente accetta comunanza in amore fa grande villana. Andate e Dio vi
accompagni e vi conceda vita e amore, come desiderate: questa nostra societ non sussiste pi".
Tutto fu fatto secondo quanto aveva detto Marco. Tristano e madonna Isotta senza grande dispiacere e con
mediocre duolo si inchinarono al re loro signore e quindi agli astanti; poi i due fedeli compagni si presero
per mano e lasciarono la corte. Augurarono alla loro amica Brangaene di starsene in buona salute e la
pregarono di voler rimanere ad allietare la corte fino a che non ricevesse notizie da loro due, e glielo
raccomandarono caldamente. Tristano prese venti marchi dell'oro di Isotta, per s e per lei per le cose
necessarie e per il cibo: inoltre gli portarono, dietro sua richiesta per il viaggio, la sua arpa, la spada, l'arco
e il corno. Scelsero anche per lui fra i suoi bracchi uno piccolo e bello chiamato Hiudan, che egli stesso
prese al guinzaglio con una mano; poi preg Iddio di proteggere i suoi fidi e ordin loro di ritornare in patria
presso suo padre Rual, tutti, eccettuato il solo Kurvenal che ritenne presso di s; a lui consegn l'arpa;
l'arco invece lo tenne egli stesso e cos pure il corno e il cane Hiudan - non Petitcrin - e cos se ne partirono
a cavallo dalla corte.
La casta Brangaene rimase sola tristemente rammaricandosi. La triste avventura e la dolorosa separazione
dai suoi due amici le andava al cuore cos angosciosamente che fu gran miracolo che non morisse dal
dolore. Anche i due amanti si separarono da lei con grande pena, sebbene la lasciassero l con un'astuzia
dicendole di restare per breve tempo presso Marco affinch potesse pi tardi ottenere da lui il perdono per
loro due.
Cos se ne andarono tutti e tre, dirigendosi sempre verso il bosco, attraverso selve e folte macchie per
quasi due giorni di viaggio. In quel luogo Tristano conosceva in un monte selvaggio una grotta, che aveva
un tempo per caso scoperta andando a caccia a cavallo; ve lo aveva condotto la sua strada. Questa grotta
era stata scavata nella roccia in antiche et, sotto la legge pagana, ancor prima dell'epoca di Korineis
quando ancora imperavano i giganti, i quali si nascondevano quando volevano stare in segreto per le loro
amorose avventure.
Dovunque si trovava una tale grotta, essa veniva chiusa con porta di ferro e in onore della Minne era
chiamata "la fossiure la gent amant", cio la grotta degli amanti. Il nome ben le si adattava. La storia
dice anche che la "fossiure" era rotonda, vasta, alta e diritta, bianca come la neve e tutto in giro liscia e
levigata. La volta era chiusa in alto con arte mirabile e sulla chiusura vi era un coronamento di
meravigliosa fattura e ornato di gemme. Il pavimento era liscio, lucido e ricco, di marmo verde come
l'erba. Nel centro vi era un letto intagliato in puro cristallo, grande, alto e spazioso con tutto in giro delle
scritte scolpite che dicevano come fosse consacrato alla dea Minne. In alto nella grotta erano praticate per
la luce delle finestre che illuminavano tutto l'interno. Per entrare o uscire vi era la porta di metallo e
davanti a questa, fuori, stavano tre soli folti tigli, ma pi gi a valle e intorno c'erano innumerevoli alberi
che con il loro fogliame e i loro rami davano ombra alla montagna. Da un lato si stendeva una pianura
dove scorreva una fresca sorgente pi lucente del sole. Anche qui tre tigli proteggevano la fonte dalla
pioggia e dal sole; chiari fiorellini e verde erbetta di cui era variopinta la pianura, gareggiavano
dolcemente fra loro; ognuno pareva che volesse superare l'altro. Vi cantavano, alla loro stagione, anche gli

uccelli e il loro canto era dolcissimo, pi assai che altrove. Occhio e orecchio vi trovavano pascolo e
godimento, l'occhio il pascolo, l'orecchio la gioia. C'era ombra e sole, dolci aure e miti brezze. Intorno a
questa valletta, per un giorno di cammino, altro non c'era che rocce senza vegetazione e aspro deserto
selvaggio; n strada n viottolo vi erano tracciati; pure per quanto impervia, Tristano vi penetr, egli e la
sua fida compagna e presero dimora nella roccia e nel monte.
Appena vi si furono stabiliti, rimandarono Kurvenal a corte, che dicesse, qualora occorresse, che Tristano e
Isotta la bella erano partiti per l'Irlanda con grande pianto e dolore, per dichiarare col verso il popolo e il
paese la loro innocenza; gli ordinarono anche di rimanere a corte a disposizione di Brangaene e di portare
fedelmente alla loro fedele amica tutto il loro affetto e la loro amicizia: ascoltasse anche quanto si diceva
intorno alla volont di re Marco, se questi avesse qualche cattiva intenzione o meditasse qualche mala
azione contro la loro vita e in quel caso subito li informasse; tenesse poi sempre presente il pensiero di
Tristano e di Isotta e ritornasse ogni venti giorni con notizie che portassero buon consiglio.
Che posso dirvi di pi? Egli fece quanto gli era stato comandato e Tristano e Isotta entrarono in casa loro in
quella chiostra selvaggia. Molti sono meravigliati e curiosi e si tormentano per sapere come i due amanti
Tristano e Isotta riuscissero a nutrirsi in questo deserto. Glielo spiegher subito, appagando la loro
curiosit: essi si miravano l'un l'altro e di ci si cibavano. Il frutto che questo sguardo produceva era il loro
nutrimento; l dentro di altro non si cibavano se non di gioia e di Minne, la diletta compagnia era la loro
"mangerie".
Liberi da preoccupazioni, portavano celato sotto le vesti il vitto migliore che si possa avere in questo
mondo. Lo tenevano in segreto e sempre nuovo e sempre fresco: era questo il puro amore, la balsamica
Minne, tanto dolce al corpo e all'anima e che accende animo e cuore, era esso il loro miglior nutrimento e
invero raramente prendevano altro cibo se non questo dal quale il cuore trae tutto l'appagamento del suo
desiderio e l'occhio la sua gioia e anche il corpo il suo profitto. Questo bastava loro. L'amore tirava per loro
l'aratro della vita, li accompagnava a ogni passo e a ogni momento e dava loro tutto ci che si pu
desiderare per vivere.
Inoltre, ben poco si davano pensiero di starsene in un deserto lontani dal mondo, poich di che cosa
avevano mai bisogno e chi avrebbe potuto dar loro cosa alcuna? Erano compagnia pari di numero - uno e
uno - nessun altro occorreva loro, se ne avessero preso uno in pi sarebbero stati dispari e in pi e inoltre
disturbati e oppressi da questo uno dispari. La societ di loro due teneva loro luogo di una intera
compagnia, tanto che lo stesso buon re Art non ebbe mai in casa sua festa cos grande e che gli avesse
procurato maggior piacere e gioia di vivere maggiore. Non si sarebbe trovata nel mondo intero delizia
alcuna per la quale questi due amanti avrebbero speso neppure il valore di un anellino di vetro.
Tutto quello che si poteva immaginare di desiderabile sulla terra o altrove essi lo trovavano in s stessi.
Non avrebbero dato una fava per una vita migliore, a meno che non fosse per l'onore. Che cosa altro
poteva loro importare? Tenevano corte, avevano beni sui quali si basa ogni piacere. I loro costanti familiari
erano il verde tiglio, l'ombra e il sole, il rivo e il fonte, i fiori l'erba e le foglie, i bocci e i fiori che sono cos
dolci alla vista; loro servitore era il canto degli uccelli; il piccolo usignolo, il tordo e il merlo e gli altri
uccellini del bosco, il cardellino e la calandra li servivano facendo a gara l'uno con l'altro; questi famigli
stavano a ogni ora a disposizione delle loro orecchie e dei loro sensi. Festa loro poi era la Minne che
indorava i loro piaceri e col suo favore li convitava mille volte al giorno alla Tavola Rotonda di Art, essi e la
loro compagnia tutta. Quale miglior nutrimento per l'anima e per il corpo? L'uomo vi si trovava accanto alla
donna e la donna presso all'uomo; che cosa dunque mancava loro? avevano quello che desideravano ed
erano l dove volevano essere.
Molti per ve ne sono che, secondo il loro uso e la loro scostumatezza - nel che io non li seguo - dicono che
a questo tipo di gioco occorre anche cibo di altro genere; di questo io non so bene se sia cos. E con ci mi
pare che basti. Se per ci fosse qualcuno che ha scoperto cibo migliore, lo dica pure, secondo come gli
noto; qualche volta io pure condussi tal genere di vita: allora mi pareva sufficiente.
Ora non vi dispiaccia che io vi spieghi con quale intento fosse combinata la grotta nella roccia. Essa era,
secondo quanto ho letto di essa, fatta a volta, spaziosa, alta e diritta, bianca come neve, liscia e levigata
tutto in giro. La volta interna rotonda significa la semplicit della Minne: la semplicit si addice alla Minne
che non deve avere angoli. L'angolo della Minne l'artificio o l'astuzia. La vastit la forza della Minne,
che infinita. L'altezza l'elevatezza dell'animo che sale fino alle nuvole e al quale niente troppo grave
quando si vuole innalzare col dove le virt sboccano e si fondono con la valta in un unico slancio. Cos non
croller mai: le virt sono sempre cos bene incastonate e sistemate, cos ingemmate e ornate, che noi, i

quali siamo pi umilmente orientati, noi il cui animo si china e striscia al suolo e non se ne stacca e non si
sa innalzare, noi guardiamo sempre verso il monte e miriamo in alto l'edificio delle sue virt; a noi
discende da esse la gloria, esse si librano alto sopra di noi nelle nuvole e ci rimandano quaggi il loro
splendore; noi le contempliamo ammirati e cos ci spuntano le ali con le quali l'animo prende il volo e,
volando, dalle virt produce la lode.
Le pareti erano bianche e lisce; questo rappresenta la perfetta giustizia, la cui bianchezza e il costante
splendore non devono essere macchiati; nessun maligno sospetto deve trovarvi incavi o rilievi.
Il pavimento di marmo nella tinta verde e nella consistenza simile alla costanza; questo il miglior
significato del colore e della lucentezza. La costanza deve sempre rinverdire come l'erba ed essere lucente
e liscia come uno specchio.
Il letto, dentro, era con ragione chiamato col nome della cristallina Minne; questo diritto lo aveva ben
riconosciuto colui che tagli il cristallo per loro giaciglio e loro comodit: la Minne deve essa pure essere
trasparente e pura come il cristallo.
Dentro, erano applicati alla porta di ferro due chiavistelli e anche una maniglia fissata con grande abilit
nella parete, cos come la trov anche Tristano; questa manovrava una piccola spranga azionandola
dall'esterno all'interno e facendola muovere in su e in gi. Non vi era serratura n chiave e ora ve ne dir il
motivo: la serratura non c'era perch quel congegno che si applica alla porta, cio al difuori della
medesima per ostacolare o impedire il passaggio, indizio di inganno, poich colui che entra per la porta
della Minne senza che gli venga aperta dall'interno non ha parte nella Minne, ma viene con inganno o con
violenza. Perci davanti all'ingresso vi la porta di ferro che nessuno pu oltrepassare se non se lo merita
con l'amore.
Inoltre di ferro affinch non possa essere infranta da congegno alcuno, n con la forza, n con la
violenza, n per astuzia o abilit o inganno o sotterfugio. Internamente i due chiavistelli, che sono i sigilli
della Minne, erano volti l'uno verso l'altro, dai due lati della parete e l'uno era di cedro, l'altro di avorio. Ora
ne apprenderete il significato: quello di cedro simboleggia nella Minne la saggezza e il senno; quello di
avorio la castit e la purezza. Con questi due sigilli, con questi due chiavistelli la casa della Minne era ben
custodita e difesa da inganni e da violenza.
La segreta molla che agiva dall'esterno sulla maniglia era un sottile fuso di stagno; la maniglia stessa era
d'oro come era giusto che fosse. Ambedue, maniglia e molla, non potevano nel loro genere essere meglio
formate: lo stagno la buona inclinazione per le cose misteriose e segrete; l'oro il buon esito. Oro e
stagno sono qui al loro giusto posto: ogni uomo pu dirigere la sua mente secondo la propria volont,
estenderla o ritrarla, ristringerla o allargarla in un senso o nell'altro con poca fatica, come fa lo stagno, e
senza grave danno; chi invece pone mente a praticare la Minne con vera bont viene per questa sua cura
portato dallo stagno, - debole cosa quale , - fino all'aurea meta, alla felice ventura.
In alto nella grotta erano praticate tre sole finestrelle, con bell'arte intagliate nella pietra, attraverso le
quali splendeva il sole. L'una la bont, l'altra l'umilt, la terza la Zucht, la interna disciplina; attraverso
tutte e tre ride il dolce splendore, la benedetta luminosit dell'onore, la migliore di tutte le luci, e illumina
la grotta della bella ventura. E anche non senza una particolare intenzione che la grotta sia situata in
quella selvaggia solitudine e se ne pu dedurre che la Minne e ci che la riguarda non deve compiersi
all'aperto o in pubblico; essa si nasconde in luoghi selvaggi, la via alla sua chiostra ripida e faticosa, i
monti si elevano intorno in catene accavallate e complicate. I sentieri scoscesi sono, per noi poveri martiri,
irti di rocce e se non seguiamo la giusta via, se mettiamo il piede in fallo non arriviamo pi alla meta. Chi
per tanto fortunato da entrare nel selvatico ha impiegato la sua fatica a buon fine: l egli trova la gioia
del suo cuore; poich il selvatico contiene tutto ci che l'occhio ama e che l'orecchio desidera udire, tanto
che egli non vorrebbe pi essere altrove.
E questo ben lo so io, perch ci sono stato; ho anche inseguito la selvaggina, gli uccelli, il cervo e gli
animali sulle loro tracce nella selva, ingannando cos le ore, tanto che non ho ancora mai veduto il bast. La
mia fatica e il mio travaglio rimasero senza ricompensa. Nella grotta trovai la spranga e vidi la maniglia, mi
sono talvolta anche avvicinato al cristallo, ho sovente seguito le danze, ma non mi sono mai indugiato. E
per duro che fosse il marmo del pavimento non ho talmente calpestato il terreno con i miei passi da non
farvi pi crescere l'erba la quale ne il miglior pregio e lo rinnova continuamente; vi si sentiva sempre il
passaggio della Minne.

Ho anche sovente mirato, per il piacere degli occhi, la bella parete e spesso fissato lo sguardo alla volta e
ai suoi begli ornamenti l in alto. Le finestre dalle quali entrava il sole hanno varie volte mandato il loro
fulgore nel cuore mio. La grotta mi nota fin dal mio undicesimo anno, quando non ero ancora mai stato in
Cornovaglia.
La coppia fedele, Tristano e l'amica sua, avevano dolcemente disposto nella selva, nel bosco e nei campi il
luogo per il loro riposo e per le loro occupazioni, per l'ozio e per l'attivit: erano costantemente vicini. Al
mattino uscivano sul prato nella rugiada che rinfrescava l'erba e i fiori. La fresca prateria era il loro ristoro;
vi passeggiavano su e gi conversando fra loro e ascoltando il dolce canto degli uccelli; poi si slanciavano
in corsa dove mormorava il fresco fonte, ne ascoltavano il mormorio e lo guardavano scorrere e fluire verso
la pianura; l sedevano per riposare e stavano attenti al gorgoglio e al corso del rivo e questo era il loro
divertimento.
Quando il chiaro sole cominciava a salire nel ciclo e il caldo a incombere, andavano sotto il tiglio al soave
venticello che infondeva piacere nel petto e nella persona, rallegrando gli occhi e tutti i sensi. Il dolce tiglio
addolciva loro l'aria e l'ombra con le sue foglie; i venti erano dalla sua ombra resi miti, soavi e freschi, il
sedile sotto l'albero era fatto di erbe e di fiori, prato pi smagliante che si sia mai visto sotto un tiglio.
L sedevano i fidi amanti, l'uno accanto all'altro, riandando alle storie di coloro che in antichi tempi erano
periti per nostalgia di amore. Essi ne parlavano e ne discorrevano compiangendoli e compassionandoli: la
Phillis di Tracia e quello che per il nome della Minne ebbe da soffrire la povera Canace, e Byblis cui per
amore del fratello si spezz il cuore, e la regina di Tiro e Sidone, l'innamorata Didone, il cui amore ebbe
cos tragica fine. Con tali racconti essi occupavano qualche volta il tempo. Quando per volevano
dimenticare queste storie si ritiravano nella cella e riprendevano in mano gli strumenti che erano il loro
diletto e lasciavano risuonare l'arpa e il canto con dolce malinconia, alternando lo svago fra le dita e la
voce. Suonavano e cantavano lai e canzoni d'amore, alternandosi a loro talento nella gioia della musica:
allorch l'uno toccava l'arpa, l'altro ne seguiva le note col canto, dolcemente e nostalgicamente. E ogni
tono della voce e dell'arpa si accordava e si fondeva cos amabilmente che ben a ragione la loro chiostra
della dolce Minne fu chiamata la fossiure la gent amant.
In loro si avverava quello che le antiche storie avevano narrato della fossiure. La vera padrona di casa, si
era, lei per prima, concessa al loro gioco. Tutto quanto di passatempo e di svago era stato fatto prima di
allora non bastava allo scopo, non era tanto puro d'intenzione e chiaro quanto il loro gioco. Essi coltivavano
la Minne continuamente come mai fecero altri amanti e di altro non si occupavano perch a questo solo il
cuore li spingeva.
Molti erano gli svaghi a cui si davano durante il giorno, cavalcando o stando fermi secondo l'umore,
cacciando nella selva con l'arco uccelli e selvaggina. Qualche volta inseguivano a cavallo il cervo selvatico
con il loro cane Hiudan, il quale non sapeva ancora inseguire la preda in silenzio; ma Tristano presto lo
abitu a cacciare il cervo e gli altri animali del bosco e a seguire la traccia di ogni genere di selvaggina
attraverso le foreste e la campagna senza farsi sentire. Impieg vari giorni in questo, ma non, come alcuni
affermano, per necessit di preda, n per il diletto che in tali cose si trova, ma essi adopravano l'arco e il
cane pi per il piacere del loro cuore che per mangerie. Ogni loro cura e ogni occupazione non dipendeva
che dal loro piacere e da ci che era gradito all'animo loro.
Durante questo tempo, re Marco, dolente, era in grande tribolazione per il suo onore e per la sua sposa.
Corpo e anima erano di giorno in giorno pi angosciati e onori e ricchezze gli erano indifferenti. Uno di
questi giorni, cacciando a cavallo, pi per tristezza che per avventura, egli capit in quella stessa foresta. I
cacciatori presero i loro cani e trovarono presto un branco; allora lasciarono andare la muta e in quello
stesso momento i cani puntarono un cervo, di una rara specie, grande, forte e bianco, con una criniera
come un cavallo, le corna piccole e brevi e come se le avesse appena spuntate. Lo inseguirono a gara e
con tutta forza quasi fino a sera; allora ne persero le tracce, cos che il cervo sfugg loro e riprendendo la
sua corsa giunse al luogo dove era la grotta; vi si rifugi e fu salvo.
Ora, Marco, e ancor pi i suoi cacciatori, ne furono assai contrariati, perch il cervo era cos raro, sia per il
colore che per la criniera, che tutti ne ebbero grande malumore. Riunirono di nuovo i cani e si buttarono a
giacere per la notte perch avevano gran bisogno di riposo.
Ora anche Tristano e Isotta avevano udito per tutto il giorno il rumore dei corni e dei cani e subito
pensarono che altri non poteva essere se non re Marco e ne ebbero una stretta al cuore, temendo
ambedue grandemente di essere traditi.

Il mattino seguente di buon'ora il gran Cacciatore usc prima che spuntasse l'aurora, ordin ai suoi uomini
di aspettare che facesse giorno e quindi di seguirlo. Prese al guinzaglio un bracco, il migliore che trov e lo
mise sulla traccia del cervo. Questi lo guid per molte impervie strade, per rocce e dirupi, per luoghi aridi e
luoghi erbosi, fin l dove il cervo era fuggito e sparito la sera prima: ne segu attentamente la traccia
finch la gola dei monti si apr e comparve il sole: era giunto al fonte e nella piana di Tristano.
Quella stessa mattina Tristano e la sua compagna erano usciti, tenendosi per mano, nell'amena valletta e
sul prato fiorito ancora rorido di rugiada. Calandre e usignoli cominciarono a gorgheggiare salutando i loro
compagni; salutavano anche Tristano e Isotta; gli uccellini del bosco davano loro il benvenuto dolcemente
nel loro latino; per molti dolci uccellini essi erano davvero i benvenuti.
Tutti si erano dati a un'allegra festa. Per fare omaggio agli amanti cantavano sul ramo con molte variazioni
ed era una dolce lingua quella che l chantoit et discantoit le sue canzoni e i suoi refloit per la gioia degli
innamorati. Li accolse il fresco fonte che zampillava bello davanti ai loro occhi e ancora pi bello
bisbigliava alle loro orecchie e veniva loro incontro gorgogliando misteriosamente e li accoglieva col suo
mormorio; esso sussurrava dolcemente per salutare gli amanti. I tigli pure li salutavano con le loro dolci
aure: li rallegravano dentro e fuori, nell'orecchio e nei sensi. La fiorita degli alberi, la prateria nel suo chiaro
splendore, i fiori, l'erba verdeggiante e tutto quello che fioriva sorrideva loro. Anche la rugiada scintillante
li salutava nella sua dolcezza e rinfrescava loro i piedi e dava pace ai loro cuori. E quando ebbero
abbastanza goduto di tutto questo rientrarono nella loro grotta e si accordarono sul da farsi in questa ora,
poich temevano assai quello che poi infatti avvenne, e avevano paura che qualcheduno, seguendo i cani,
venisse in qualche modo a scoprire il loro segreto. Tristano escogit un artifizio sul quale convennero tra
loro. Si distesero sul letto, stando ben separati e rivolti l'uno di schiena all'altro, come giacciono uomo e
uomo, non come uomo e donna: il corpo dell'uno stava lontano dall'altra. Inoltre Tristano aveva posta fra
loro la spada nuda. Di qua giaceva egli, di l essa; giacevano separati, ognuno per conto proprio. Cos si
addormentarono insieme.
Il cacciatore di cui ho detto pi sopra, giunto alla sorgente, scorse nella rugiada la traccia dei passi di
Tristano e di Isotta e pens quindi che fosse quella del cervo; smont da cavallo e scese sul sentiero
seguendo la pista che essi avevano segnata, fino alla porta della grotta. Quivi erano i due chiavistelli e non
pot andare oltre. Fallitagli questa via, ne tent un'altra facendo tutto il giro intorno e per caso trov in alto
della grotta una finestrina nascosta; guard dentro furtivamente e vide gli alunni della Minne; non altro che
una donna e un uomo. Li mir con grande stupore perch, sebbene donna, gli parve che mai potesse
essere venuta al mondo creatura cos straordinaria. Tosto scorse la spada nuda e si ritir spaventato
sembrandogli cosa pericolosa ed ebbe paura. Scese di nuovo dalla roccia e ritorn gi dove erano i cani.
Ora anche Marco aveva di molto preceduto i cacciatori e incontr il primo cacciatore per via.
"Ecco Sire - esclam questi - ho una cosa meravigliosa da narrarvi; mi accaduta or ora una bella
avventura".
"Parla: quale avventura?".
"Una grotta della Minne".
"Dove e come l'hai trovata?"
"Sire, in questo bosco, qui vicino."
"In questo bosco selvaggio e deserto?"
"S, qui."
"Vi alcun essere vivente?"
"Sire, ci sono un uomo e una dea; giacciono su di un letto e dormono come a gara. L'uomo come un
uomo comune, ma il mio dubbio per la sua compagna, se sia o no un essere umano; pi bella di una
fata, nulla di cos bello, fatto di carne e ossa, pu esistere sulla terra; e non so per quale ragione fra loro
giace una spada nuda e lucente".

Il re disse:
"Conducimi l".
Il cacciatore lo guid di nuovo attraverso la selva per la stessa via fino al luogo dove era sceso da cavallo.
Il re smont sull'erba e prese a salire per il sentiero; il cacciatore rimase sul posto. Marco giunse alla porta,
pass oltre, fuori dalla parete di roccia e in fondo alla stretta gola fece molti giri secondo l'insegnamento
del cacciatore e trov la finestrella. Vi mise l'occhio per sua gioia e per suo dolore e li vide ambedue
giacere sull'alto letto di cristallo, ancora addormentati. Li trov pure come li aveva veduti il cacciatore,
giacere lontani l'uno dall'altro, l'uno da una parte, l'altro dalla parte opposta e la spada nuda fra loro.
Riconobbe il nipote e la sposa: il cuore dentro di lui e tutto il corpo gli si raggelarono dal dolore e anche
dall'amore. La strana situazione gli faceva piacere e pena: piacere, intendo, per l'apparenza che fossero
senza colpa, pena, intendo, perch li vedeva insieme. Di nuovo disse dentro di s:
"Signore misericordioso, come pu essere ci? Se fra loro c' stato quello che da lungo tempo
sospettavo, come mai giacciono essi ora in questo modo? La donna dovrebbe pur sempre stare accanto
all'amato e fra le sue braccia; come avviene che questi amanti se ne stanno cos?".
Di nuovo per si diceva:
"C' mai qualche cosa di vero in tutto questo? C' colpa o non c' colpa?".
Ma di nuovo ecco il dubbio:
"Colpa? - diceva - s. Colpa? - diceva - in fede mia, no".
Cos seguit in queste due alternative finch, smarrito e perplesso, cominci di nuovo ad avere dei dubbi
sull'amore di ambedue.
Minne, la conciliatrice, giunse tutta ornata e acconciata con cura meravigliosa: portava nei suoi tratti sul
bianco dipinta con i colori pi belli la menzognera parola no, che luceva e splendeva nel cuore del re; l'altro
suo dolore, la sgradita parola s, Marco non la vide affatto; era interamente sparita, non vi era dubbio n
illusione: la doratura della Minne, l'aurea innocenza, attirava con la sua magia lo sguardo e la mente di lui
verso la luce del mattino, l dove giaceva tutta la sua felicit. Egli contemplava assorto Isotta, la gioia del
suo cuore che mai prima gli era apparsa pi bella.
La storia narra di non so quale ardore che la infiammava e il suo viso colorito come una rosa selvatica
risplendeva rivolto in alto verso di lui. La bocca ardeva e rifulgeva come un carbone acceso. S, ora
comprendo di quale ardore si tratti: alla mattina Isotta era uscita sul prato nella rugiada che ancora le
brillava sulla persona. Un furtivo raggio di sole le splendeva sul fianco, sul mento e sulla bocca. Questi due
splendori si erano fusi in un unico gioco di luci, una luce brillava in un'altra luce, un sole e un altro sole
avevano combinato una grande festa e fatto nozze fra loro in omaggio a Isotta.
Il mento e la bocca di lei, il suo incarnato e tutta la sua persona erano cos amabili, cos armoniosi che
Marco ne fu infiammato di desiderio e bram di baciarla. La Minne gli lanci la sua fiamma, la Minne
accese l'uomo della bellezza del corpo di lei; la bellezza della donna incitava i suoi sensi all'amore. Il suo
sguardo rimaneva immobile, contemplando assorto come fuori dalla veste apparivano belli il collo e il
seno, le braccia e le mani. Essa portava senza altra acconciatura una ghirlanda di trifoglio e al suo signore
mai era apparsa pi desiderabile e pi deliziosa.
Ora egli vide che il sole le splendeva in faccia e temette che le facesse male e le portasse danno; prese
erba, foglie e fiori e tapp con questi la finestra e diede alla bella la sua benedizione; preg il buon Dio di
vegliare su di lei e piangendo si ritir. Ritorn afflitto ai suoi cani, ma non continu a cacciare e fece
ritornare a casa cacciatori e cani, ma lo fece con lo scopo di evitare che alcun altro si recasse col e
scorgesse i due amici.
Appena il re se ne fu andato, Tristano e Isotta si svegliarono e si guardarono intorno cercando la spera di
sole; ma questo entrava soltanto da due delle finestre: guardarono la terza meravigliandosi molto che non
ne venisse luce. Non indugiarono oltre, si levarono tutti e due e uscirono sul monte; tosto trovarono foglie
e fiori davanti alla finestrella e scorsero anche sulla sabbia e davanti, sopra e sotto alla grotta le orme di
un uomo. Molto si spaventarono e temettero assai. Pensarono subito che Marco fosse venuto e li avesse
sorpresi: lo supponevano, ma non ne avevano vera certezza. Per molto confidavano nel pensiero che
chiunque li avesse veduti, li avrebbe trovati in quella posizione giacenti voltandosi le spalle.

Il re convoc subito a consiglio i suoi fidi a corte e nel paese per consultarsi e per discutere con loro e narr
in qual modo li avesse trovati, come io vi ho appena raccontato, e disse che egli mai crederebbe a qualche
cosa di male fra Tristano e Isotta. L'assemblea comprese subito quale fosse il desiderio del re e dove
tendessero le sue parole e come egli bramasse di riaverli. Diedero quindi il consiglio secondo quanto fanno
le persone sagge, cio secondo quello che egli aveva in cuore e come egli stesso voleva, e cio lo
esortarono a richiamare la sua sposa Isotta e suo nipote Tristano, poich non aveva riconosciuto in essi
nulla che fosse contro l'onore e non aveva udito altre maldicenze sul conto loro. Fu chiamato Kurvenal e fu
inviato ai due amici quale messo, poich conosceva il loro rifugio. Il re invi a Tristano e alla regina il suo
saluto e la sua minne e fece loro dire che venissero pure, che da ora in poi non avrebbe ascoltato nulla di
male che fosse detto su di loro.
Kurvenal si rec col e rifer agli amanti l'intento di Marco. A essi sembr buona cosa e se ne rallegrarono
in cuor loro. Ne ebbero per piacere pi per la grazia di Dio e il loro onore che per qualsiasi altro bene che
ne potesse derivare loro. Ritornarono quindi e ripresero le loro abitudini come una volta. Per non furono
mai pi per tutta la loro vita cos intimamente uniti come lo erano stati in quel tempo, n mai trovarono
epoca cos propizia per la loro felicit come era stata quella. Intanto per Marco e la corte si prodigavano
per far loro onore, ma essi non si sentivano pi liberi e franchi.
Marco il dubitoso raccomandava loro e li pregava per amore di Dio e anche di lui stesso che stessero bene
attenti ed evitassero le dolci intese e gli sguardi furtivi e non ostentassero tanta intimit n tanta
familiarit discorrendo fra loro. Questo divieto dispiacque grandemente agli amanti.
Marco per era felice. Nella sua donna Isotta trovava tutta la gioia che il suo cuore desiderava, l'onore
per, non era se non per il corpo. Egli non riceveva dalla sua sposa n minne, n reverenza, n alcuno
degli onori che Dio ha creato, se non in quanto nel nome di lui essa si chiamava regina e signora, poich
egli era re. Egli accettava tutto questo e le voleva bene come se lui solo le fosse caro. Questa era la stolta
irragionevole cecit di cui parla un proverbio: la cecit della Minne abbaglia dentro e fuori, ottenebra la
mente e gli occhi che non vogliono vedere quello che pure vedono chiaro davanti a loro. Cos era accaduto
a re Marco: vedeva e sapeva ed era sicuro come della morte che Isotta era corpo e anima presa dall'amore
per Tristano, eppure non voleva saperlo. A chi si pu ora dare la colpa della vita disonorevole che egli cos
conduceva con lei? poich egli avrebbe certamente agito male accusando la regina di inganno o di falsit
poich n essa n Tristano lo ingannavano; egli vedeva con i propri occhi e lo sapeva anche senza vederlo
che essa non gli portava amore, eppure gli era cara ugualmente. Perch, o Signore, e per quale motivo egli
le voleva tanto bene?. Perch anche oggi accade a pi di uno: chi soffre desiderio lussurioso deve
sopportare grande angustia.
Ahim! quante se ne vedono ancor oggi di persone come Marco e come Isotta! Se dobbiamo confessarlo
esse sono pi cieche ancora o altrettanto cieche di occhi e di cuore. E non soltanto alcuni, ma molti sono i
colpiti da cecit i quali non vogliono rendersi conto di ci che hanno davanti agli occhi e che considerano
menzogna quello che pur sanno e vedono. Se vogliamo essere giusti non dobbiamo di questo dar colpa
alcuna alle donne: queste sono innocenti verso l'uomo se gli lasciano vedere con i suoi occhi quello che
esse combinano e fanno. Quando da s si vede la colpa, non si traditi n ingannati dalla donna; in questo
caso la concupiscenza ha fatto velo agli occhi; lussuria e concupiscenza sono il velame che in tutto il
mondo e in tutti i tempi stato davanti agli occhi veggenti. Per quanto riguarda la cecit, nessuna cecit
abbacina con tanto affanno e tanta angustia come la concupiscenza e il desiderio. Preferiremmo tacerlo,
pure vero il detto che bellezza genera vituperio. La fiorente Isotta, questa meravigliosa bellezza, abbagli
cos fortemente il re, internamente ed esternamente, negli occhi e nella mente, che egli non sapeva pi
vedere in lei nulla che potesse far pensare a male e quello che di lei sapeva era solamente tutto il meglio.
Per concludere il mio dire, egli era cos contento di starle vicino che non si curava di qualunque male da lei
gli provenisse.
E' difficile occultare quello che sta sempre chiuso e sigillato dentro al cuore. Ci si occupa volontieri di ci
che angustia la mente; l'occhio ritorna al suo oggetto; occhio e cuore rintracciano con diletto le orme delle
gioie passate e colui che vuole impedire loro questo piacere non fa che renderglielo pi caro. Cos quanto
pi si cerca di distoglierneli, tanto pi tenacemente vi aderiscono. Cos fecero anche Isotta e Tristano:
appena la loro gioia e il loro piacere vennero limitati dalla cautela, ne ebbero angoscia e pena. La
seducente brama faceva loro ancora pi male di prima; erano attratti l'uno verso l'altro pi
angosciosamente e dolorosamente di quanto lo fossero mai stati finora. L'oppressione della malaugurata
prudenza pesava, grave come una montagna di piombo, sul loro animo. La maledetta prudenza, nemica
della Minne, ottenebrava il loro senno. Isotta, lontano da Tristano, era di nuovo in pene e angoscia: questa

lontananza da lui era la sua morte. Quanto pi il suo signore le vietava ogni rapporto con lui, tantop i il
suo pensiero e la sua mente erano in lui assorti. C' un detto vero che la prudenza porta e genera soltanto
rovi e spine se la si coltiva; essa la spina pungente che fa inaridire onore e fama e disonora anche quelle
donne che meriterebbero di essere stimate se si facesse loro giustizia. Ma poich si fa loro torto, il loro
spirito si abbatte e cos la sorveglianza le offende nello spirito e nell'onore. Eppure, comunque si faccia, la
prudenza sprecata per la donna, poich nessun uomo riuscir mai a sorvegliare una donna cattiva; la
buona non deve essere sorvegliata perch, come si suol dire, si guarda da s e le viene in odio chi inoltre
vuol farle la guardia; e questi mette la donna in pericolo per il corpo e per l'onore e facilmente essa non
ritorner pi al suo buon costume, senza che le rimanga attaccato qualche cosa di quello che la spina ha
prodotto, poich se accade che il rovo prenda una volta radice nel buon terreno, pi difficile sradicarlo di
l che non nel terreno arido o altrove.
So bene che l'animo buono, a cui per tanto tempo si fatto torto finch a causa di questo male diviene
infecondo, produce frutto ancor peggiore dell'animo che sempre stato cattivo. E questo vero: l'ho letto.
Perci l'uomo saggio che tiene all'onore della donna non deve metterle intorno segretamente altra guardia
che buoni consigli e ammaestramenti. In questo modo deve vigilarla e sappia che in verit meglio di cos
non potr mai sorvegliarla, perch, sia essa buona o cattiva, se troppo spesso le viene fatta ingiustizia
nasce facilmente in lei un risentimento che sarebbe bene evitare. Ogni brav'uomo e ognuno che abbia
animo virile deve avere tanta fiducia nella propria moglie e anche in se stesso da credere che per amor
suo essa eviti ogni intemperanza. Per quanto si faccia, non si potr mai forzare l'amore della donna con
cattive arti; queste spengono la Minne. La prudenza una cattiva costumanza della Minne, essa risveglia
rovinosa ira: allora la donna perduta.
Assai bene farebbe colui che volesse rinunciare a proibizioni e divieti poich questi generano nella donna
grande dispetto e la spingono a fare, causa il divieto, quello che non farebbe se non fosse proibito. Questo
cardo e questa spina pare le siano congeniti. Le donne di questo carattere sono figlie della loro madre Eva:
fu essa che infranse il primo divieto: a lei Dio nostro Signore aveva concesso frutta e fiori ed erbe e tutto
quello che c'era nel Paradiso terrestre perch ne usasse a suo talento, meno una sola cosa che le proib per
la vita e per la morte (i preti ci dicono che fosse il fico). Essa lo colse e infranse il comandamento di Dio e
perdette se stessa e Dio. E' mia assoluta convinzione che non l'avrebbe mai fatto se non fosse stato
proibito. Con la prima azione che comp rivel la sua natura e fece quello che le era vietato. Se per si
considera attentamente, Eva avrebbe certamente disprezzato quell'unico frutto, avendo tutti gli altri a sua
disposizione e invece non volle che quello solo e con quello mangi (sic) anche il suo onore.
Tali sono tutte le figlie di Eva che le somigliano. Anzi, se si potessero ancora fare divieti, quante Eve si
troverebbero ancora al giorno d'oggi, che a causa della proibizione perderebbero se stesse e Dio! E poich
ci proviene dalla loro stessa natura ed questa che in loro lo produce, merita grande lode e onore colei
che sa astenersene. Perch quando una donna agisce virtuosamente contro la sua propria natura e
custodisce bene la sua fama, il suo onore e il suo corpo, una donna solo di nome, ma ha un animo virile e
bisogna tributarle in ogni cosa onore, lode e benedizione. Quando la donna rigetta da s la sua natura
femminea e ne distacca il cuore e assume un cuore virile, allora l'abete produce miele, la cicuta porta
balsamo, la radice dalla quale nasceva l'ortica infiora di rose la terra.
Che cosa c' nella donna di pi puro che combattere con onore contro il suo corpo secondo il miglior diritto
sia del corpo che dell'onore? Essa deve disporre il combattimento in modo che ad ambedue sia fatta
giustizia e provveda a ognuno dei due in modo che l'altro non venga negletto. Non c' donna assennata
che trascuri il proprio onore per il corpo o il proprio corpo per l'onore, ma ha modo di mantenere ambedue.
Non deve rinunciare ad alcuno dei due, ma sostenerli sia con l'amore che col dolore, cos come destinato.
Sa Iddio che esse devono tutte crescere in dignit; con grande travaglio devono consacrare la loro vita alla
virt di temperanza, farne la regola dei loro sensi e l'ornamento della persona e dei costumi.
Tra tutte le creature che il sole illumina nessuna ve ne di cos avventurata come la donna che consacra
anima corpo e vita alla temperanza e quindi ama e onora se stessa; e per tutto il tempo che essa bene
accetta a s anche giusto che sia benvoluta dal mondo. Una donna che agisce contro il proprio corpo e
che dispone l'animo suo a odiare se stessa chi vorr amarla? e colei che disprezza il proprio corpo e rende
ci palese al mondo, quale amore o quale onore pu venirle tributato? Il desiderio spento appena spunta,
e si vorrebbe dare a questa vita senza nome l'altissimo nome di vita!
No, no, questa non Minne, la sua avversaria, la perfida, empia, malvagia avversaria che non merita il
nome di donna, come veridicamente dice un proverbio: Colei che a molti d amore da molti disamata.
Colei che si mette in mente che tutto il mondo la ami, pensi prima di tutto ad amare se stessa e mostri al

mondo i segni della Minne: se la vera traccia della Minne tutto il mondo l'amer.
Una donna che vincendo se stessa dedica la propria femminilit a piacere al mondo merita che tutto il
mondo l'apprezzi e la stimi, la adorni di fiori e la incoroni di quotidiani onori e cos accresca la sua fama.
Colui verso il quale lei incline, al quale essa affida il suo corpo e lo spirito, il suo pensiero e il suo amore,
questi nato fortunato e prescelto e destinato a costante felicit; egli porta nascosto nel cuore un vero
paradiso. Non deve temere che il rovo lo punga quando stende la mano, n che la spina lo ferisca quando
coglie la rosa: qui non vi n rovo n spina, qui l'asprezza del cardo non esiste pi: la rosea pace ha
sradicato spina cardo e rovo. In questo paradiso nulla che non sia gradito alla vista spunta dal ramo, cresce
o rinverdisce; la piena fioritura della bont femminile. Altro frutto non vi se non fedelt o Minne, stima
del mondo e onore.
Ah! in un tale paradiso cos gaudioso e fiorito l'uomo dovrebbe trovare la felicit del cuore e godere la gioia
degli occhi suoi. E che cosa di peggio che a questo tale sarebbe accaduto a Tristano e a Isotta? E chi mi ha
seguito fino a qui non scambierebbe la sua vita con quella di Tristano? poich in verit una donna virtuosa
con quale cuore si dedica a colui al quale essa ha dato e affidato il suo onore e il suo corpo! Come si
prende dolce cura di lui! Come tiene tutte le vie di lui sgombre da cardi e da spine e da ogni tristezza!
Come lo protegge dalle pene di cuore, proprio come una qualunque Isotta il suo Tristano! E sono anche
convinto che cercando bene si scoprirebbero ancora delle Isotte nelle quali si troverebbe tutto quello che si
cerca.
Ora per dobbiamo ritornare a quanto dicevamo della prudenza: come avete udito, questa era tanto invisa
ai due amanti, Tristano e Isotta, e il divieto li faceva tanto soffrire, che pensavano con ancor maggiore
intensit di prima al loro destino, finch lo compirono per loro rovina: donde ne venne ad ambedue grande
sventura e mortale dolore.
Era sul meriggio e il sole splendeva ardente, purtroppo anche sul loro onore. Due diversi soli brillavano nel
cuore della regina e nel suo spirito: il sole e la Minne, il desiderio dell'animo e il calore della stagione la
tormentavano col loro contrasto. Ora essa volle sfuggire alla lotta e al tormento e anche al caldo mediante
un'astuzia nella quale rest lei stessa impigliata.
Si rec nel verziere per avere sollievo e andava in cerca di un'ombra propizia e di un luogo fresco, ombroso
e appartato che le offrisse schermo e riparo. E appena lo ebbe trovato vi fece apprestare un ricco e
bellissimo letto. Coltre e lenzuola erano di porpora e di bliat e stoffe regali furono stese sul letto e quando
questo, il pi bello che si potesse immaginare, fu pronto, la Bionda vi si coric in camicia; alle ancelle
ordin di ritirarsi tutte, meno la sola Brangaene.
Venne allora spedito un messo a Tristano, che non mancasse di recarsi subito senza indugio a colloquio
dalla regina. Ora, egli fece proprio come Adamo: mangi il pomo che gli offriva la sua Eva e con questo
mangi insieme anche la morte. Egli giunse e Brangaene and con le altre donne e si sedette fuori con loro
in grande angustia. Ordin ai camerieri di chiudere tutte le porte e di non lasciar passare alcuno senza un
ordine espresso di lei di farlo entrare. Le porte furono serrate e Brangaene stando seduta pensava
deplorandolo tra s, che non c'era timore n cautela che potesse arrestare la sua signora.
Mentre era in questi pensieri, un cameriere usc un momento e appena davanti alla porta gli venne
incontro il re chiedendo molto impazientemente della regina.
"Essa dorme, credo, signore", rispose ognuna delle ancelle. La povera Brangaene tacque spaventata, la
testa le ricadde sul petto, le tremarono le mani e il cuore. Il re parl di nuovo:
"Ors, ditemi, dove dorme la regina?".
Gli accennarono il verziere ed egli vi si rec immantinente per trovarvi il tormento del suo cuore: vide
sposa e nipote con le braccia strettamente intrecciate, gota contro gota e la bocca sulla bocca l'uno
dell'altro. Quello che si poteva vedere e che la coperta lasciava scorgere in alto, le braccia e le mani, le
spalle e il petto erano tanto vicini, tanto strettamente allacciati e intrecciati come se fossero opera di oro e
metallo insieme fusi e tale che pi bella non avrebbe potuto essere. Tristano e la regina dormivano
dolcemente non so dopo quali fatiche.
Quando il re vide cos apertamente la sua disgrazia, ebbe finalmente e per la prima volta la certezza
dolorosa del suo male; era ormai informato e libero da dubbio e da sospetto, suoi antichi oppressori; ora
egli non supponeva pi, ma sapeva: quella certezza che prima aveva tanto desiderato gli era ora tutta

concessa. Io credo per che meglio sarebbe stato per lui supporre che sapere; quello che sempre si era
sforzato di sapere per uscire dalla pena del dubbio, diveniva ora la sua vivente morte. Cos si volse via in
silenzio, chiam a s i suoi consiglieri e i suoi uomini e disse loro che gli era giunta notizia, come verit
attendibile, che Tristano e la regina fossero insieme e che tutti dovevano andare con lui a sincerarsene e
che, se ci fosse risultato vero, si fosse subito fatto giudizio sul luogo stesso di tutti e due, secondo le leggi
del regno.
Ora, appena il re si era scostato da accanto al letto, Tristano si svegli e lo vide allontanarsi.
"Ahim - esclam -, che cosa avete fatto, fedele Brangaene! sa Iddio che temo che questo sonno ci
coster la vita. Destatevi, Isotta, povera donna, destatevi, regina del mio cuore! temo che siamo scoperti".
"Scoperti? - disse lei - e come?".
"Il re mio signore era qui davanti a noi, egli ci ha visti ambedue e io ho visto lui; se ne sta andando
proprio ora e io so con certezza che devo morire; egli vuole condurre qui dei testimoni che lo aiutino a
questo scopo, perch vuole la nostra morte. Signora del mio cuore, bella Isotta, dobbiamo ora separarci e
probabilmente mai pi ci troveremo insieme per nostra gioia come prima. Ora tenete a mente come
abbiamo mantenuta pura la Minne fino a questa ora; badate che rimanga ancora ferma e salda e non mi
escludete dal vostro cuore, perch in quanto al mio, voi non ne uscirete mai. Isotta rester sempre nel
cuore di Tristano. Ora vedete, amica del mio cuore, che questa separazione e questa partenza non mi
allontani da voi; non mi dimenticate per nessuna ragione. Dze mie, ble Ist, baciatemi e datemi
licenza".
Lei si ritrasse un poco e sospirando gli rispose:
"Signore, i nostri cuori e i nostri sensi sono stati troppo tempo e troppo strettamente congiunti perch
possano mai apprendere che cosa significhi dimenticare. Che mi siate vicino o lontano, nel mio cuore non
ci sar vita n creatura vivente se non Tristano, mio cuore e mia vita. Signore, da gran tempo possedete di
me anima e corpo; ora badate che nessun'altra donna mi divida da voi e che noi rimaniamo sempre
confermati e rinnovati nell'amore e nella fedelt che cos lungamente e per tanto tempo stata in noi cos
pura. E prendete questo anellino: sar un pegno di fedelt affinch qualora abbiate in mente di amare
alcuna all'infuori di me, esso vi ricordi il mio cuore e questo momento. Pensate quanto dolorosa questa
separazione al nostro cuore e al nostro corpo; pensate a tutte le ore dolorose che ho passato per voi e non
abbiate nessuno pi caro della vostra amica Isotta. Non mi dimenticate per alcun'altra; noi due abbiamo
sopportato amore e dolore insieme e tanto uniti fra noi fino a quest'ora che dovremo nutrire fino alla morte
lo stesso sentimento e la stessa devozione. Signore, inutile che io vi faccia altre raccomandazioni; se
Isotta ebbe sempre un solo cuore e una sola fedelt con Tristano, tali li ha ancora sempre e cos deve
sempre durare. Per voglio farvi una preghiera: in qualsiasi terra remota vi troviate, conservatevi bene voi,
vita mia, poich se dovessi essere priva di voi, mia vita, allora io, vita vostra, morirei. Per amor vostro, non
per me stessa, io prender grande cura di me, che sono la vostra vita, di questo corpo che vostro, perch
so bene che del vostro corpo e della vostra vita sono responsabile io; noi siamo un solo corpo e una sola
vita; ora pensate sempre a me, a Isotta, vita vostra; che io veda in voi la vita mia sempre e anche voi
vediate la vostra in me; voi avete in mano le nostre due vite. Ora venite e baciatemi: Tristano e Isotta, voi
e io, noi due saremo sempre una cosa sola. Questo bacio deve essere il suggello della nostra fedelt fino
alla morte, voi a me e io a voi, un solo Tristano e una sola Isotta".
Suggellato cos questo discorso, Tristano part con grande dolore e rammarico; l'altra sua vita, e l'altro suo
io, Isotta, rimase con profondo duolo. I due amanti non si erano ancora mai separati con s grande martirio
come questa volta.
Intanto giunse il re conducendo con s tutta la schiera dei suoi consiglieri. Venivano troppo tardi per,
perch non trovarono che Isotta sola sul letto immersa nei suoi pensieri come prima. Dato che il re non
aveva trovato che la sola sua Isotta, i consiglieri lo condussero subito via da quel luogo e gli dissero:
"Sire, voi agite molto male verso vostra moglie e verso il vostro onore, volendo tante volte e senza
ragione trovare motivo d'accusa. Voi avete in odio il vostro onore, vostra moglie e pi ancora voi stesso.
Come potete essere felice se vi amareggiate ogni gioia con la vostra donna, ne fate ludibrio a corte e in
tutto il paese, pur non avendo mai constatato cosa che possa essere contraria all'onore di lei? Di che cosa
accusate la regina? perch volete vedere falsit nella regina che non us mai inganno verso di voi? Sire,
per il vostro onore, non fatelo mai pi; per amore di voi stesso e per amor di Dio evitate una simile beffa".

Cos dicendo lo condussero via ed egli li segu e ancora una volta fece tacere la sua collera e se ne and
invendicato.
Tristano and a casa sua, riun tutti i suoi fidi e con loro si diresse subito al porto. Si imbarc sulla prima
nave che trov e fece vela per la Normandia, egli e la sua compagnia tutta. Non vi rimase che breve tempo
perch l'animo suo lo spronava a cercarsi una vita che potesse dargli forza e conforto nella sua
tribolazione. Ora vedete che cosa strana: egli sfuggiva il duolo e il travaglio e cercava travaglio e duolo;
fuggiva da Marco e dalla morte e cercava la pena mortale che gli uccidesse nel cuore quella per la
separazione da Isotta. A che cosa serviva che egli l fuggisse dalla morte e qui le andasse incontro? A che
serviva schivare il tormento in Cornovaglia mentre questo gli gravava addosso giorno e notte? Per la donna
manteneva la propria vita e alla vita era perduto se non era insieme alla sua donna. Nessun essere vivente
portava la morte al suo corpo e alla sua vita se non Isotta, la sua vita migliore. Cos lo premevano morte e
duolo. Ora egli si disse che questa pena non avrebbe mai potuto divenire sopportabile su questa terra,
tanto da poterne guarire, se non per mezzo della cavalleria.
Si parlava allora di una grande guerra nella terra di Allemagna.
Tristano lo apprese e subito and nella Champagne e di l pass in Allemagna dove serv cos bene lo
scettro e la corona che mai l'Impero Romano ebbe sotto le sue bandiere uomo altrettanto celebre per virile
cavalleria. Ebbe fortuna e successo in tutte le avventure e le imprese guerresche che non star qui a
narrare, perch se volessi enumerare tutte le gesta che sono state scritte di lui, la storia diverrebbe
qualche cosa di prodigioso. Devo gettare al vento le favole che vi si riferiscono; gi la sola verit mi
impone una fatica assai grave.
Isotta, vita di Tristano e sua morte, sua vivente morte, la fiorente Isotta, soffriva pena e angustia. Se non le
si spezz il cuore il giorno in cui vide partire Tristano e ne segu la nave con lo sguardo, fu soltanto perch
lo sapeva vivo: fu la vita di lui che la salv; senza di lui non poteva vivere n morire, n comunque agire.
Tanto la vita come la morte le erano avvelenate e non poteva n morire n vivere. La luce degli occhi suoi
le veniva molte volte a mancare; la lingua nella bocca taceva sovente al bisogno. Tutto questo non era vita
e non era morte, eppure vi era questa e quella, ma dal dolore erano confuse cos che per lei l'una o l'altra
era indifferente. Quando vide gonfiarsi le vele il suo cuore disse fra s:
"Ahim, ahim, mio ser Tristano, tutto il mio cuore si attacca a voi, i miei occhi vi seguono e voi vi
affrettate tanto ad allontanarvi! Come potete andar via da me cos? Eppure so che se fuggite da Isotta,
lasciate la vita vostra, poich la vostra vita sono io e non potete vivere un solo giorno senza di me, come io
non posso vivere senza di voi. Le nostre due persone e le nostre due vite sono talmente intrecciate fra loro
e tanto insieme intessute che voi mi portate via la mia vita e mi lasciate qui la vostra. Mai ci furono due
vite altrettanto fuse. Noi ci diamo vita e morte l'uno all'altro, poich nessuno di noi due pu vivere o morire
se l'altro non glielo concede. Cos la povera Isotta non n interamente viva n morta. Non so da che
parte rivolgermi. Or dunque mio ser Tristano, poich voi siete con me un solo corpo e una sola vita, dovete
insegnarmi come mantenere corpo e vita per voi e poi anche per me. Istruitemi dunque: perch tacete?
Noi avremmo bisogno di buona dottrina. Ma che dico io, stolta Isotta? La parola di Tristano e il mio spirito
se ne stanno andando via laggi insieme. La vita e il corpo di Isotta sono in bala della vela e dei venti.
Dove posso trovare me stessa? dove mi posso cercare? dove, ora? Sono qui e anche cost e non sono n
qua n l. Chi mai fu tanto smarrito quanto me? chi fu tanto diviso? mi vedo l su quel mare e sono qui a
terra, viaggio con Tristano e sto qui presso Marco; in me morte e vita si combattono aspramente; ambedue
mi avvelenano. Morirei volontieri, se potessi, se non mi trattenesse colui al quale legata la mia vita. E
non posso intanto vivere bene n per lui n per me stessa poich devo vivere senza di lui. Egli mi lascia
qui e se ne parte eppure sa bene che senza di lui io sono morta fin dentro nel cuore. Dio sa che questo mio
discorso ben inutile, perch il nostro dolore comune e non lo porto io sola: suo quanto mio e anzi
penso che il suo debba essere maggiore. Il suo soffrire e la sua pena sono pi grandi ancora. La
separazione, se pur affligge l'animo mio, affligge ancor pi il suo. Se mi fa male al cuore l'essere qui sola
senza di lui, a lui questo duole anche pi che a me. Se io lo rimpiango, egli rimpiange me, soltanto con
minor ragione. Io mi dico con tutta verit che giustamente piango e mi affliggo per Tristano, poich la mia
vita legata alla sua; invece a me legata la sua morte, perci egli piange senza bisogno; egli pu andare
lontano per mantenere il suo onore e la sua vita, visto che se rimanesse qui presso di me non potrebbe
mai essere salvo; perci io debbo adattarmi a stare senza di lui; per quanto io ne possa soffrire, egli non
deve mai essere in pericolo alcuno per colpa mia. Per quanto dolorosa mi sia la sua assenza, pure ho assai
pi caro che stia lontano da me in buona salute, piuttosto che mi sia vicino e io debba temere che presso
di me debba averne danno. Poich, Dio sa che colui il quale vuole avere il proprio vantaggio con danno del
suo amico poco amore gli porta. Per quanto male ne possa venire a me, io voglio essere amica di Tristano

senza danno di lui; se egli sta bene e ha fortuna, non mi rammarico anche se debbo sempre soffrire: mi
dominer in tutte le mie azioni, rinuncer a me e a lui affinch egli sia sano e salvo per me e per s".
Tristano, secondo quanto ho letto, era in Allemagna da sei mesi o pi e aveva gran desiderio di ritornare
per avere qualche notizia e sapere che cosa si dicesse della sua signora. Si consigli con se stesso e decise
di ritornare l donde era venuto dapprima, andare in Normandia e di l passare in Parmenia presso i figli di
Rual. Sperava di trovare anche lo stesso Rual e raccontargli la sua ventura. Purtroppo questi era morto e
cos pure sua moglie Florete. Sappiate per che i suoi figli si rallegrarono fino in fondo al cuore dell'arrivo di
Tristano.
L'accoglienza che gli fecero fu affettuosa e sincera; gli baciarono ripetutamente le mani e i piedi, gli occhi
e la bocca.
"Signore - gli dissero - in voi Dio ci ha ridonato padre e madre. Caro e buon signore, ora stabilitevi qui e
riprendetevi tutto quello che doveva essere vostro e nostro e lasciateci vivere qui con voi, come con voi
visse nostro padre che fu vostro fido vassallo e come vogliamo essere noi pure. Nostra madre, amica
vostra, e nostro padre sono morti ambedue, ma ora Dio nella sua grazia ci ha in voi ricompensati
riconducendovi qui a noi".
Il triste Tristano fu grandemente addolorato ed ebbe grande tristezza e afflizione e li preg di condurlo alla
tomba dei genitori. Vi si rec dolente e vi stette per un buon pezzo piangendo e lamentandosi e
pronunciando il suo discorso funebre:
"Dichiaro innanzi a Dio - disse con gran fervore - che se mai dovesse accadere quaggi, come ho udito
dire da bambino, che l'onore e la fedelt siano sepolti in terra, allora veramente essi giacciono qui
seppelliti; e se onore e fedelt hanno come dicono, parte in Dio, allora certamente vero e non ne dubito,
che ambedue, Rual e Florete, sono alla faccia di Dio che li ha dati al mondo per ornamento e bellezza, e
ora sono incoronati l dove ricevono la loro corona i figli di Dio".
I degni figli di Rual offrirono poi a Tristano con spontanea reverenza la loro casa, la loro persona, i loro beni
e il loro vassallaggio come meglio potevano. Erano sempre, a tutte le ore, pronti al suo servizio: quello che
egli comandava era fatto in tutto e per tutto appena era possibile: lo accompagnarono con cavalieri e
dame nei tornei, nelle cacce e in qualsiasi svago egli desiderasse.
Fra la Bretagna e l'Inghilterra si trovava un ducato chiamato Arundel, situato in riva al mare. Il Duca era
valoroso, cortese e anziano e i suoi vicini, a quanto narra la storia, gli avevano fatto guerra e rapito la sua
terra e i suoi diritti e lo avevano sopraffatto in terra e in mare. Egli avrebbe voluto dar loro battaglia, ma
non ne era in grado. Aveva avuto da sua moglie un figlio e una figlia, perfetti ambedue nel corpo e
nell'anima. Il figlio era stato armato cavaliere ed era bravo e pieno di vita; in tre anni si era gi acquistato
fama e onore. Sua sorella era bella e giovane e si chiamava Isotta as blansche mains; suo fratello Kaedin li
frains, suo padre era il duca Jovelin, sua madre, la duchessa, era chiamata Karsie.
Ora Tristano in Parmenia ud che c'era guerra nella terra di Arundel e decise di prendervi parte per
dimenticare alquanto la sua pena. Se ne part dalla Parmenia e and verso Arundel, a un castello dove si
trovava il signore del paese: questo si chiamava Karke. Quivi per primo si ferm; padrone e famigli gli
fecero quell'accoglienza che si conviene a un valoroso. Lo conoscevano gi di fama. Tristano, come ci narra
la storia, era noto per il suo valore in tutte le isole a occidente; perci lo accolsero con gioia. Il Duca
accett il suo consiglio e le sue direttive e lo preg di disporre del suo onore e di tutta la sua terra. Suo
figlio, il cortese Kaedin, era molto devoto a Tristano e sempre intento al suo volere perch desiderava
imparare da lui onore e dignit; a questo si applicava mettendovi tutto l'animo suo. Erano sempre insieme,
a ogni ora e a ogni momento, sempre pronti al servizio l'uno dell'altro in ogni gara e in ogni disputa. Si
erano promessi fra loro fedelt e amicizia e la mantennero tutti e due sino alla fine.
L'esule Tristano chiam Kaedin e con lui si rec dal Duca e gli domand e lo preg di narrargli fin dal
principio la storia della guerra con i suoi nemici e da dove gli fosse derivato il danno maggiore che avesse
sofferto. Venne informato allora di tutto, di come si fosse svolta la guerra e della posizione dei nemici e
della direzione presa dalle loro truppe.
Ora, il Duca aveva sotto la sua giurisdizione un buon castello fortificato che stava proprio sulla via del
nemico. Quivi si accamp Tristano col suo compagno Kaedin e con un piccolo manipolo di cavalieri. Non
avevano forze sufficienti da potersi battere in qualunque momento in campo aperto, ma potevano soltanto

di quando in quando furtivamente e in segreto danneggiare le terre del nemico con rapine e incendi.
Tristano mand segretamente in Parmenia a dire ai suoi cari amici, i figli di Rual, che gli occorrevano dei
cavalieri ben armati e li pregava per il loro onore e la loro virt di assecondarlo e venirgli in aiuto. Essi gli
inviarono subito cinquecento cavalcature e cavalieri bene attrezzati e grande provvista di viveri. Quando
Tristano apprese che da casa sua gli venivano rinforzi, mosse egli stesso incontro a essi e li guid nel
paese di notte, in modo che nessuno se ne accorse, salvo quelli che gli erano amici e gli portavano aiuto.
La met di questi li lasci a Karke ordinando loro di starsene chiusi e di non muoversi, chiunque li
attaccasse, finch non giungessero egli con Kaedin e avessero dato l'assalto al nemico; soltanto allora
dovevano tentare la loro fortuna. Prese quindi l'altra met degli armati e ritorn al castello che gli era stato
affidato. Anche l li condusse di notte e pure a questi raccomand di stare nascosti con altrettanta
attenzione quanta ne usavano quelli di Karke.
Al mattino, appena spunt il giorno, Tristano scelse non meno di cento cavalieri; gli altri li lasci nel forte.
Preg Kaedin di dire ai suoi che stessero attenti in caso egli fosse inseguito e gli venissero allora in aiuto da
Karke e anche dal castello fortificato. Percorse poi a cavallo tutta la Marca, rapinando e incendiando
apertamente nel paese, dovunque sapeva esservi fortezze e citt fortificate del nemico.
Prima di notte era volata per tutto il paese la notizia che il fiero Kaedin era sceso in guerra aperta. Questa
notizia turb grandemente Ruggero di Doleise e Nautenis di Hante e Rigolin di Nantes, i duci del nemico;
essi riunirono tutte le forze che poterono chiamare nella notte e che furono inviate. Il giorno seguente, sul
meriggio, quando le loro schiere furono radunate, mossero contro Karke. Avevano con loro ben
quattrocento e pi cavalieri e intendevano e si preparavano ad accamparsi l come altre volte avevano
fatto. Ma Tristano e il suo compagno Kaedin si misero sulle loro tracce, mentre quelli si ritenevano sicuri
che in quel momento nessuno avrebbe osato combattere con loro. Ora quegli altri vennero in rapida corsa
da tutte le parti e a nessuno pareva di fare abbastanza presto a raggiungere i nemici.
Quando questi si avvidero che bisognava ingaggiare battaglia, vi si prepararono subito e avanzarono tutti
insieme. Nella mischia volarono spade e picche, si scontrarono destriero contro destriero, uomo contro
uomo con tale ferocia che fu fatta gran carneficina. Grande strage fecero qui Tristano e Kaedin, l Ruggero
e Rigolin. Ognuno otteneva e trovava quello che perseguiva sia con la spada che con la lancia. Si
chiamavano l'un l'altro, qui: Chevalier Hante, Doleise e Nante!, l Karke e Arundel.
Allorch quelli della fortezza videro ingaggiata la battaglia, irruppero fuori delle porte da tutte le parti
contro le schiere, le sgominarono in una lotta accanita. In breve tempo le dispersero cavalcando in mezzo
a esse, menando colpi qua e l, come cinghiali in mezzo alle pecore. Tristano e il suo compagno Kaedin
miravano agli stendardi e alle insegne che distinguevano i capi dei nemici. Ruggero, Rigolin e Nautenis
furono fatti prigionieri e la loro compagnia ne ebbe grave danno. Tristano di Parmenia e i suoi uomini
procedevano a cavallo abbattendo i nemici, uccidendoli e facendoli prigionieri. Quando questi videro che il
combattimento si volgeva a loro sfavore cercarono, ognuno, di salvarsi e conservare la vita con la fuga o
con l'astuzia: questa fu la preoccupazione di tutti. La fuga, la resa o anche la morte decisero le sorti della
battaglia per una delle due parti.
Ora che la battaglia era stata vinta da una delle parti e che l'altra era stata sconfitta, e dopo che i
prigionieri furono presi e custoditi l dove devono esserlo, Tristano e Kaedin riunirono tutti i loro cavalieri e
tutte le loro forze e si diressero in primo luogo verso le terre dovunque si trovavano dei nemici o si
vedevano propriet loro; sia beni che citt o castelli, tutto veniva distrutto dove si trovava; le spoglie e il
bottino erano mandati a Karke. Sottomessa tutta la marca nemica, compiuta la loro vendetta e conquistato
tutto il paese, Tristano rimand in Parmenia la sua masnada, ringraziandola dell'onore e dell'aiuto che ne
aveva ricevuto. Partiti questi, Tristano, il saggio, dispose che i prigionieri venissero a fare omaggio al duca
e ricevessero da lui quanto dei loro beni egli volesse render loro e anche la parola del perdono, e che gli
dessero garanzia che non avrebbero mai pi fatto danno al paese con la loro inimicizia e per causa loro. E
tutti furono d'accordo, i capi e i loro uomini.
Tutto questo valse a Tristano grandi lodi e grande onore dalla corte e da tutto il paese. Paese e corte
celebravano il suo senno e il suo valore ed erano pronti a ogni suo volere.
La sorella di Kaedin, Isotta dalle bianche mani, il fiore della sua terra, era nobile e saggia e si era talmente
distinta per fama e per virt che tutto il paese le era devoto e non parlava che delle sue perfezioni.
Vedendola cos bella, nel cuore di Tristano si rinnovarono l'antico dolore e il rimpianto. Essa gli rammentava
tanto l'altra Isotta, la bella d'Irlanda, e poich anche questa si chiamava Isotta, ogni volta che il suo occhio

si posava su di lei, udendo quel nome diventava cos triste e disperato che si poteva leggergli negli occhi il
duolo del cuore. Pure, egli amava il suo dolore e lo conservava nell'intimo suo: lo trovava dolce, lo trovava
buono, diligeva questa sua tristezza; perci quando vedeva la fanciulla, la guardava volentieri, perch il
dolore che provava per la bionda gli era pi caro di qualsiasi gioia. Isotta era la sua felicit e il suo
tormento, Isotta il suo smarrimento, gli faceva bene, gli faceva male; quanto pi Isotta col suo nome gli
spezzava il cuore, tanto pi caro gli era rimirare Isotta.
Sovente diceva fra s:
"Ah! d bnie, come questo nome mi rende confuso; scambia ai miei occhi e nella mia mente il vero e il
falso, mi produce grande e strana pena: Isotta mi ride e mi scherza continuamente all'orecchio, eppure non
so dove Isotta sia: il mio occhio vede Isotta, eppure non vede Isotta. Isotta mi lontana e mi vicina; temo
di essere di nuovo ammaliato dalle Isotte. Mi pare che la Cornovaglia sia divenuta Arundel, che Tintajoel
sia diventato Karke e Isotta l'altra Isotta. Ogni volta che qualcuno parla di questa fanciulla dal nome di
Isotta mi pare di avere ritrovato Isotta; cos anche in questo resto deluso. Che strana cosa accade in me!
Da tanto tempo bramo di rivedere Isotta; ora sono venuto in un luogo dove Isotta c', eppure non la
bionda che mi fa cos dolcemente soffrire. E' Isotta che ha volto il mio spirito verso questi pensieri che mi
occupano il cuore; quella di Arundel e non Isotta la bella, che i miei occhi purtroppo non scorgono. Per
tutto quello che il mio occhio vede e che porta il suo nome io avr sempre affetto e cuore amoroso e sar
grato al caro nome che cos sovente mi ha dato gioia e gaudiosa vita".
Tali discorsi faceva Tristano spesso fra s quando mirava la sua dolce pena, Isotta as blansche mains. Essa
gli riaccendeva nell'anima il fuoco che giorno e notte gli covava nel cuore; egli non pensava pi a imprese
serie o cavalleresche: cuore e sensi erano solo rivolti alla Minne e al piacere. Solo il piacere cercava e lo
perseguiva in strano modo, voleva avere amore e insieme illusione di amore per la fanciulla Isotta, voleva
piegare l'animo suo all'amore per lei nella speranza che il fardello della sua nostalgia ne potesse essere
alleggerito.
Volgeva spesso verso di lei i suoi teneri sguardi e gliene indirizzava tanti che essa per forza si dovette
accorgere che il cuore di lui nutriva per lei affetto. Gi in principio lei lo aveva molto avuto nel pensiero,
vedendo quale fosse la sua fama presso la corte e il popolo; da allora il suo cuore era a lui rivolto e quando
a caso lo sguardo di Tristano si posava su di lei, glielo rendeva cos amorosamente, che egli cominci a
pensare in qual modo potesse procurare che tutto il suo duolo ne venisse blandito e sempre pi vi
rifletteva; la rimirava sera e mattina e ogni volta che gli era possibile.
Ben presto accadde che Kaedin si avvide di questi loro sguardi e allora condusse Tristano con s pi spesso
di prima, poich nutriva la speranza che il suo cuore si attaccasse a lei e allora l'avrebbe sposata e sarebbe
rimasto con loro e avrebbe anche portato a buon termine con lui la loro guerra in tutto il ducato. Quindi
raccomand caldamente a sua sorella Isotta che parlando con Tristano gli si mostrasse benevola, ma solo
in quanto egli stesso (suo fratello) glielo suggeriva, ma che non facesse atto alcuno senza il consiglio del
loro padre o di lui stesso. Isotta ader alla sua richiesta, tanto pi che anche lei vi era propensa e cos fece
con Tristano. Cominci a rivolgerglisi con discorsi, atteggiamenti e tutto ci che pu attrarre il pensiero e
risvegliare nel cuore la Minne, in mille guise e in tutti i modi, finch lo infiamm e il nome di lei prese a
suonargli dolce all'orecchio, mentre prima gli suonava aspro. Vedeva e udiva Isotta con piacere maggiore
di quanto volesse; lo stesso accadeva a Isotta con lui. Essa ne era attratta e godeva nel vederlo; egli
pensava a lei ed essa a lui; cos si promisero fra loro affetto e amicizia e lo attuarono con grande impegno
quando potevano farlo opportunamente.
Un giorno Tristano stava seduto riandando col pensiero al suo antico dolore e considerava nel suo cuore le
molte e svariate pene che Isotta, l'altra sua vita, la bionda regina, la chiave della sua Minne, aveva sofferto
per lui, restando cos costante in tutte le prove. Molto si rattrist e si dolse ripensando che, all'infuori di
Isotta, egli mai prima di allora aveva provato inclinazione amorosa verso donna alcuna, n mai ad alcuna
aveva pensato. Con dolore disse a se stesso:
"Infedele! che cosa faccio? io so bene, e ne sono sicuro come della morte, che Isotta, mio cuore e vita
mia, verso la quale io cos stoltamente mi conduco, non ama n pensa ad alcuna creatura sulla terra, n
alcuna pu esserle cara se non io solo. Ed ecco che io amo e penso a una vita che non la sua. Non so che
cosa mi abbia cambiato; che cosa mi avvenuto, infedele Tristano? amo due Isotte e voglio bene a tutte e
due, e invece l'altra mia vita, Isotta, non vuole bene che a un solo Tristano. Essa non vuole altro Tristano
che me e io corteggio un'altra Isotta. Guai a te, o uomo dissennato, sconsigliato Tristano! abbandona
questa cieca stoltezza, lascia questa ingratitudine".

Cos controll di nuovo la sua volont, rinunci alla Minne e all'inclinazione che sentiva per la fanciulla
Isotta. Usava tuttavia con lei cos dolci modi che essa credeva di vedervi la prova del suo amore; ma la
realt era un'altra e le cose andarono come dovevano andare. Isotta aveva portato via ad Isotta parte
dell'animo di Tristano; ma Tristano era nuovamente rivolto all'antico amore; il suo cuore e i suoi sensi
coltivavano soltanto il loro antico dolore. Pure egli continuava sempre nella sua cortesia; vedendo nella
fanciulla la nostalgica inquietudine che in lei cominciava a manifestarsi, mise ogni impegno a farle piacere:
le raccontava belle novelle, cantava, scriveva per lei, leggeva e pensava a tutto quello che potesse
divagarla, le teneva compagnia, le abbreviava le ore ora con la parola, ora con la mano; per ogni sorta di
strumenti Tristano sapeva e trovava lai e belle canzoni che fino adesso sono ancora in voga, e in quel
tempo compose anche il nobile Laio di Tristano, che sar dappertutto amato e apprezzato finch durer il
mondo. Sovente accadeva che quando erano radunati i famigliari, Isotta e Kaedin, il duca e la duchessa, le
dame e i baroni, egli componesse delle canzoni, dei rond e delle ariette cortesi e cantasse questo
ritornello:
Ist ma dre, Ist m'mie
en vs ma mort, en vs ma vie.
E poich tanto gli piaceva cantarlo, tutti pensavano e credevano che intendesse la loro Isotta e se ne
rallegravano assai - nessuno tuttavia pi del suo amico Kaedin: questi gli era sempre dappresso in casa e
fuori e gli metteva sempre la sorella vicino. Essa ne era ben lieta, lo prendeva per mano e gli dedicava
tutta la sua attenzione; i suoi chiari occhi e il suo pensiero erano a lui rivolti; qualche volta la debole
fanciulla gettava via la modestia e la verecondia e metteva apertamente la mano nella sua, come se lo
facesse solamente per compiacere Kaedin, ma comunque egli ve la incitasse, essa stessa ne traeva gioia.
Si fece cos amabile verso Tristano, cos vezzosa e ridente, cos loquace e vezzosa, scherzosa e suadente,
finch di nuovo lo riaccese ed egli ricominci ancora a tentennare nel suo amore con l'animo e col
pensiero: era in dubbio riguardo a Isotta, se voleva o non voleva. Gli faceva anche veramente pena che lei
gli dimostrasse tanto affetto.
Spesso pensava tra s:
"Voglio o non voglio? mi pare di no, mi pare di s".
Ma allora sopravveniva la costanza:
"No - diceva - ser Tristano, pensa alla tua fedelt verso Isotta, ricordati della fedele Isotta che non si
allontan mai un passo da te".
Cos egli era ripreso da questo pensiero e in tale tormento per l'amore di Isotta, la regina del suo cuore,
che mut modi e costume e non trov ovunque se non tristezza. Anche quando andava da Isotta e
conversava con lei, dimenticava se stesso e le stava accanto sospirando: la sua segreta pena divenne cos
palese che tutti credevano che la sua inquietudine e la sua tristezza fossero per causa di Isotta. E in verit
avevano ragione: la tristezza e il duolo di Tristano erano, s, per Isotta, Isotta era il suo tormento, ma non la
Isotta che essi avevano in mente, non quella dalle bianche mani: era Isotta la bele, non questa di Arundel,
come invece tutti credevano. E lo credeva la stessa Isotta, ma in ci si ingannava poich essa aveva per
Tristano desiderio ancor maggiore di quanto egli non ne avesse mai avuto per alcuna sua Isotta.
Cos ambedue passavano le ore con diverso duolo. Tutti e due soffrivano dolore e desiderio, sebbene in
modo differente; la loro Minne e il loro intento non si accordavano; n Tristano n la fanciulla Isotta
camminavano sulla via del reciproco amore. Tristano desiderava con forza un'altra Isotta, e Isotta non
voleva alcun altro Tristano, essa dalle bianche mani amava e voleva lui solo; a lui erano attaccati il suo
cuore e il suo pensiero, la tristezza di lui formava la sua inquietudine e quando talvolta lo vedeva
impallidire in volto e lo udiva sospirare cos profondamente, allora lo guardava teneramente e sospirava
con lui. Come uso di buona compagna, portava insieme a lui la sua pena, sebbene questa non la
riguardasse. Il dolore di lui la desolava tanto che ne pativa per Tristano pi che lui stesso.
L'amore e la bont che essa gli dimostrava cos costantemente lo rattristavano molto; sentiva
compassione di lei che gli aveva donato inutilmente tanto del suo amore e messo il cuore in una speranza
cos vana. Pure, continuava il suo viver cortese e vi si applicava a tutte le ore quanto pi dolcemente
poteva con gli atteggiamenti e le novelle e avrebbe con tutto il cuore voluto liberarla da quella pena. Ma
ormai essa ne era troppo e troppo profondamente presa e quanto pi egli vi si sforzava e affaticava, tanto
pi la fanciulla di ora in ora si infiammava di lui, sin quando finalmente la Minne la vinse ed essa gli rivolse

sguardi, parole e gesti cos soavi che egli per la terza volta ricadde nel suo stato penoso di dubbio e di
nuovo la navicella del suo cuore ricominci a ondeggiare incerta fra pensieri contraddittori. E questo non
deve destare meraviglia, poich sa Iddio come il piacere che sta a tutte le ore e a ogni tempo sorridente
davanti agli occhi dell'uomo, abbagli lo sguardo e la mente di lui e trascini anche il cuore.
Da questa storia gli amanti possono conoscere che si sopporta molto meglio un lontano dolore per un
amore lontano, piuttosto che essere accanto alla Minne senza amore vicino. Infatti, se il mio ragionamento
giusto, pi facile rinunciare alla Minne lontana e da lontano desiderarla, che desiderarla e rinunciarvi
da vicino; e rinunciare alla Minne lontana pi agevole che sottrarsi a quella vicina. In questo si smarr
Tristano: egli bramava una Minne lontana e pativa grande dolore per quella che non vedeva n udiva e
intanto si sottraeva a questa vicina che i suoi occhi miravano sovente. Desiderava sempre la chiara, la
bionda Isotta d'Irlanda e sfuggiva la fiera fanciulla di Karke dalle bianche mani. Si tormentava tanto per
quella e si ritraeva qui da questa; cos veniva a perderle ambedue. Voleva e non voleva l'una e l'altra
Isotta; sfuggiva questa e cercava quella.
Pure la fanciulla Isotta aveva ingenuamente riposto in lui ogni suo desiderio, la sua fiducia e la sua
costanza; desiderava colui che l'abbandonava e inseguiva colui che la sfuggiva; e ci perch si ingannava.
Tristano le aveva tanto mentito con quel suo doppio agire, con gli occhi e con la bocca, che essa si credeva
sicura del cuore e dell'intenzione di lui, e fra le seduzioni di Tristano quella che pi a lui la teneva avvinta
era l'udirlo sovente cantare:
Ist ma dre, Ist m'mie, en vs ma mort, en vs ma vie;
Questo le rapiva il cuore e faceva nascere in lei l'amore.
Ella prendeva queste parole tutte per s inseguendolo da vicino cos dolcemente che per la quarta volta la
Minne lo raggiunse mentre fuggiva da lei e lo trasse nuovamente a s, in modo che egli fu di nuovo ripreso
e di nuovo giorno e notte pensava e meditava angosciosamente sulla vita sua e su di s.
"Ah, Signore! - pensava - come mi ha smagato l'amore! questo amore che mi fa smarrire il senno e mi
prende anima e corpo e tanto mi opprime, se in qualche modo potr calmarlo ci non potr avvenire che
per mezzo di un amore estraneo: ho letto e ne sono convinto, che una passione toglie forza all'altra. Il letto
del Reno e il suo corso, per grande che sia, non lo mai tanto, in nessun punto, che non possa farne
scorrere in singoli rivi tanta acqua da indebolirlo e limitarne la forza. Cos il poderoso Reno diviene un
piccolo Renino. Nessun fuoco ha tanta forza, se ci si pensa bene, che non arderebbe pi debolmente se si
sottraessero molti singoli tizzoni. Lo stesso accade a colui che ama: questi pure pu fare lo stesso gioco:
egli pu tanto e tanto spesso far defluire l'animo suo in singoli rivi, pu in tanti modi dividerlo e distrarlo
fino a che diventi tanto debole che poco danno provochi. Questo pu accadere anche a me, se vorr
dividere e spartire il mio amore e il mio affetto fra molte invece di darlo a una sola. Se rivolgessi il mio
pensiero a pi di una Minne forse diverrei un Tristano senza tristezza.
Ora devo tentare la prova: se la mia buona ventura lo permette, ora di cominciare, poich la fedelt e
l'amore per la mia dama non mi portano alcun vantaggio; io spreco per lei corpo e anima, vita e salute e
non trovo alcun conforto n per la salute n per la vita. Soffro quindi invano questa tristezza e questo
duolo. Ah, dolce "mie", cara Isotta, troppa la separazione della nostra vita. E' ben diverso da una volta
quando portavamo insieme il bene e il male, avevamo un unico amore, un unico soffrire; ora purtroppo non
pi cos. Ora io sono triste e voi gaia, tutti i miei sensi sono tesi verso la vostra dolce Minne e i vostri
invece mi pare che poco tendano a me. Il piacere che io mi rifiuto in voi, voi lo concedete, ahim, ogni
volta che vi piace. Voi avete gi il vostro compagno, Marco, il vostro sposo e siete sempre uniti; io sono
straniero e solo. Credo che non sar mai pi confortato da voi, eppure non posso distogliere da voi il mio
cuore. Perch mi avete rapito a me stesso se tanto poco mi desiderate e cos facilmente rinunciate a me?
O dolce regina Isotta, come scorre angosciosa la mia vita per causa vostra, mentre di me tanto poco vi
cale, che non mi avete da allora mandato un messaggio, n fatto inchiesta sulla mia vita, o mandato per
me!
Lei mandare per me? ah, che dico? dove dovrebbe mandare per me e come informarsi della mia vita? da
tanto tempo io sono in bala dei venti incostanti, come potrebbe trovarmi? non posso neppure figurarmi
come: se mi si cerca qui io sono l, se mi si cerca l io sono qui: come trovarmi e dove? Come trovarmi?
dove sono: ma i paesi non fuggono in altri luoghi e io sono pur nel paese: l si troverebbe anche Tristano.
Colui che ci si mettesse con impegno cercherebbe finch non mi trova, poich a chi vuol cercare un
pellegrino non assegnata meta sicura per la sua indagine ed egli deve bene o male impiegarvi tutte le

sue forze se vuol concludere qualche cosa. La mia dama, dalla quale la mia vita intera dipende, avrebbe,
Dio lo sa, in tutto questo tempo dovuto mandare segretamente per me in tutta la Cornovaglia e
l'Inghilterra, la Francia e la Normandia, nella mia terra di Parmenia o dovunque corresse rumore che vi
fosse il suo amico Tristano; avrebbe dovuto indagare dappertutto se le fosse importato di me: ma invece
essa non si occupa di me, che pure a lei penso e la amo pi che il corpo e l'anima mia. Per lei sfuggo
qualsiasi altra donna e devo essere privo anche di lei stessa. Io non posso richiedere da lei nulla di quello
che in questo mondo mi dovrebbe procurare gioia e gaudiosa vita".

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