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Parte II: Politica e vita democratica

lite e societ
Carlo Carboni
La partita a scacchi in cui sono impegnate la societ italiana e
le sue lite contro la crisi dovrebbe essere giocata con maggior
concentrazione e lucidit riguardo la strategia di attacco da
adottare. Larroccamento del re-sistema pu essere utile ad
arginare momentaneamente una situazione difficile nella quale
la crisi economico-finanziaria del vecchio mondo occidentale
si mescola con il malessere democratico, il declino relativo del
paese e la crisi morale-culturale della sua societ. Tuttavia,
questa tattica difensiva non aiuta a vincere la partita del
cambiamento e dello sviluppo, ma semmai a protrarre un
galleggiamento con il costante pericolo di finire fatalmente
sotto scacco. La speranza pu rinascere a patto che si diffonda
la consapevolezza che i meriti degli alfieri, giovani emergenti,
non vanno tenuti sottacqua, ma messi in valore, che le mosse
intraprendenti sui mercati internazionali dei nostri cavalli
imprenditoriali non restino isolate, ma affiancate e sostenute
dallazione corale dei pedoni-cittadini, da un software culturale
persuasivo delle torri mediali e soprattutto da una rinnovata
capacit di decisione della politica-regina. In sintesi, ad ogni
pezzo sulla scacchiera richiesto di mettere in valore le proprie
abilit potenziali con senso di responsabilit e spirito di
squadra.

Le crisi incombenti
Da quando deflagrata la crisi economico-finanziaria abbiamo
letto e ascoltato uno sterile ritornello consolatorio: lItalia andr
meglio di molti altri paesi europei, grazie alla sua robusta
economia manifatturiera, alla solidit dei bilanci familiari e, in
parte, delle imprese e delle banche. indubbio che le capacit
adattive degli italiani abbiano reso il paese capace di resistere ad
una crisi di natura internazionale che ha per messo in evidenza
soprattutto i limiti del vecchio mondo occidentale affacciato
sullo scenario globale. Tuttavia, restano i problemi interni che
rischiano di vanificare la pi o meno buona tenuta, fino ad oggi,
del nostro tessuto socioeconomico (ma si vedano anche le
riflessioni e critiche contenute nei due capitoli di questo libro
sul settore economico e bancario).
In primo luogo, riemerge, sintomatico, il declino economico: il
Paese non riesce a crescere a ritmi accettabili a livello
socioeconomico ormai da un decennio, durante il quale la
crescita stata complessivamente 1/3 di quella media Ue; nel
biennio 2008-9, la produttivit ulteriormente crollata del 2,7%;
siamo fanalini di coda in Europa per ripresa economica (nel
2010 attorno all''1% contro oltre il 3% della Germania). Il
rischio di un peggioramento dello scenario socioeconomico
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nazionale concreto se non si mette mano a quelle riforme


strutturali, di sistema, sulle quali il ceto politico continua a fare
orecchie da mercante. Pertanto hanno ragione quanti
denunciano da tempo i mali di immobilismo, di indecisionismo,
di scarso ricambio, di carenza di visione delle nostre lite
politiche, timorose che la realizzazione delle riforme possa
inceppare ben oleati meccanismi di consenso, tarati su un ciclo
elettorale di breve periodo (Ornaghi e Parsi 2001, Carboni
2007).
Il secondo problema interno, appunto la crisi politica. In un
libro del 2002 sottolineavo che, a insaputa dellopinione
pubblica, la crisi politica era di gran lunga quella pi percepita
dagli italiani a cavallo del millennio. Lo era allinizio degli anni
Novanta con Tangentopoli, lo anche oggi, quando agli occhi
degli italiani la politica, pi che un mezzo per risolvere i
problemi, costituisce essa stessa un problema. La crisi politica
stata compagna assidua della seconda Repubblica tanto da
ipotizzare che non ne siamo mai usciti dalla fine degli anni
Ottanta. La porta stretta che lItalia deve varcare rimane
dunque sempre la stessa: quella di un'azione istituzionale
deficitaria in trasparenza e carente di decisioni riformiste. In
breve, il ceto politico seguita ad essere arroccato nei propri
privilegi.
Se il merito e limparzialit latitano nella selezione della
leadership politica, se c assenza di competizione e tutto, in
politica, si risolve nella cooptazione di fedeli di bassa lega, se
ad un rapporto trasparente con cittadini e imprese si sostituisce
un rapporto collusivo e lobbistico tra politica ed economia,
allora il clientelismo, la corruzione e il mercato politico
rischiano di inghiottire parti sane della nostra PA e della nostra
economia. Non ci si pu meravigliare se poi il cinismo e le
condotte amorali si diffondono nella societ, avvitandola su
interessi atomizzati e particolaristici. Durante la seconda
Repubblica,
siamo
passati
dal
familismo
amorale
allindividualismo amorale. questo il terzo problema interno,
la crisi morale-culturale della societ, come specchio di quella
del ceto politico (e su questo punto si vedano anche le riflessioni
finali di Mammone).
Queste tre problematiche tematizzano il malessere democratico
italiano, dovuto alla mancanza di reali egemonie e a lite
autoreferenti che non svolgono una funzione di guida del paese,
come sarebbe richiesto ad una vera classe dirigente. Ogni
gruppo tira lacqua al suo mulino.
In questo capitolo, dopo aver precisato cosa intendiamo per
malessere democratico (Carboni 2008b), ci inoltreremo nel
campo di tensione che lo produce, quello esistente tra lite e
societ, rilevando i duri contrasti, ma anche le affinit
reciproche, essendo le prime specchio dell'altra.

Il malessere democratico: presidenzialismo di fatto e


parlamentarismo virtuale
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LItalia di oggi gi afflitta, come altri paesi europei, dalla


sfiducia verso le proprie classi dirigenti e dal disincanto
pessimista verso le prospettive future della democrazia politica.
Non questa la sede per analizzare l'evoluzione delle
democrazie liberali europee e occidentali che, negli ultimi trenta
anni, ha contribuito a creare questo disincanto tra i cittadini
europei (Hay 2007). Sar per sufficiente ricordare che la
democrazia, nelle societ complesse, si anch'essa evoluta dalla
concezione liberale rappresentativa, con sistemi tra loro in
competizione e che oggi concorrono a definirla. C' l'architettura
istituzionale della democrazia rappresentativa poliarchica (Dahl
2006) che appare sempre pi ridotta allo stato della democrazia
minima di cui scrive Crouch (2003). C' inoltre la rete mediale
dell'opinione pubblica democratica che si enormemente
rafforzata con la mediatizzazione dello spazio pubblico (Julliard
2009). Infine, lo spontaneismo della democrazia di piazza
appare rinvigorirsi con l'emergere delle minoranze attive.
La coesistenza di queste tre livelli della democrazia
caratterizzata da reciproche utili conversazioni, ma anche da
profondi e costosi urti tra di essi, ingenerando, come nel caso
italiano, un vero e proprio malessere democratico che tematizza
la crisi politica, economica e morale-culturale del paese. In altre
parole, ad esempio, il nostro declino economico e di sistema, la
difficolt a mettere a punto una strategia efficace di uscita dalla
crisi, che consista almeno in un minimo fatto bene - conti
pubblici sotto controllo e investimenti sulle forze produttive e
della crescita - non sono la causa della malattia. Sono piuttosto
la conseguenza di un malessere democratico, che nel caso
concreto italiano, definito da quattro indicatori. Innanzitutto,
esso segnalato da tre andamenti negativi negli ultimi 25 anni:
degli iscritti ai partiti politici; del tasso di fiducia verso le
principali istituzioni; della tendenziale caduta del tasso dei
votanti sugli aventi diritto ( Carboni 2008b).
La corruzione il quarto indicatore del malessere democratico.
Secondo Transparency International, lItalia, nel periodo che va
dal 2002 al 2009, ha registrato, in termini di corruzione nel
settore pubblico e nella politica, un peggioramento nel ranking
internazionale, passando dal 31 (su 133 Paesi) al 63 posto (su
180), con un trend negativo nel punteggio ( 5,2 del 2002 e 4,3
nel 2009). La preoccupante situazione era stata denunciata nel
2010 anche dalla Corte dei Conti: tra il 2008 e il 2009 le
denunce per corruzione sono cresciute del 229% e quelle per
concussione del 153%. Le perdite erariali dovute a tangenti,
corruzione e concussione erano salite a 69 milioni di euro nel
2009 (dall8,6% del 2008 all11% del 2009 sul totale delle
tipologie di danni riscontrati nelle citazioni in giudizi) e le frodi
a danno della Comunit Europea a 79 milioni di euro. Sono
perci arrivate copiose le inchieste della magistratura a causa di
una leadership politica che rischia di essere divorata dai suoi
stessi comportamenti antipolitici, che vedono linteresse
pubblico solo in funzione di un vantaggio personale ed
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egoistico, tuttal pi clanico. La cricca, come hanno chiamato i


giornali quella attorno al capo della Protezione civile Bertolaso,
ne costituisce un esempio efficace.
Forse non sar una nuova Tangentopoli perch molti italiani
hanno ormai metabolizzato comportamenti cinici e si rifugiano
nellindifferenza e nellapatia. Altri si sono assuefatti allo
sguardo corto e amorale del ceto politico. Altri ancora pensano
che si possa e si debba voltare le spalle alla politica,
continuando comunque a fare il proprio dovere, sostenendo gli
scenari impervi dei mercati globali, impegnandosi nei nostri
ospedali, nelle scuole e nelle universit e in tutti i quei luoghi
della vita pubblica, dove per spesso manca unazione corale di
sistema. In questi luoghi, pu rinascere la speranza: nelle
migliaia di imprenditori coraggiosi, tra i lavoratori che
continuano a fare il loro dovere con professionalit, tra i bravi
medici e insegnanti, tra gli intraprendenti commercianti di
memoria levantina dei quali il Belpaese ancora ricco.
Tuttavia, l'impegno da molti profuso e le eccellenze esistenti
non fanno tessuto e non vengono messi a sistema per la
mancanza di una guida efficace del paese. Pertanto, essi
difficilmente riusciranno a compensare il malessere connesso
alla reciproca sfiducia che intercorre tra la maggioranza della
popolazione e la minoranza delle lite politiche, tra governati e
governanti, una sfiducia in definitiva che la politica
personalizzata, mediatizzata, professionalizzata e finanziarizzata
ha difficolt ad interpretare come crisi della democrazia
istituzionale e sociale. Di conseguenza, il paese rimane triste e
sconsolato, immerso in un pleonastico pessimismo per dirla
con Flaiano.
La stessa democrazia rappresentativa appare imbottigliata
pericolosamente in uno scenario nei fatti anticostituzionale
poich ad uno sbandierato presidenzialismo di fatto (non si
vota per il premier, ma per lo schieramento) corrisponde un
parlamentarismo virtuale di fedeli (i parlamentari con il
porcellum sono di fatto nominati).

Sono al potere i migliori? Decisione, merito e senso della


responsabilit
Chi comanda e governa lItalia? Chi sono le lites italiane? Gli
studi empirici disponibili non sono molti, rari prima della nostra
indagine indicativa condotta, nel 2004, su oltre 5.500 personaggi
noti e potenti nel Paesei.
Da questo studio, in sintesi, emergeva che nostre lite sono di
fatto a sesso unico: quasi 9 su 10 sono uomini (in Francia 7,
in Inghilterra 6) (Carboni 2008c). Sono sempre pi
gerontocratiche: in un quindicennio infatti let media dei
personaggi celebri e potenti in Italia si innalzata di circa
quattro anni (da 56,8 anni nel 1990 a 58,8 nel 2004, per
raggiungere 60,8 anni nel 2004). Solo la Germania, nella Ue,

presenta un effimero tasso di incidenza dei giovani tra le sue


lite all'incirca come quello italiano.
La nostra indagine mostrava inoltre che le lite italiane sono
provinciali (solo 1/3 hanno condotto studi o lavori allestero),
sono forti in consenso e deboli in competenza (bassa la presenza
di manager, tecnologi e ingegneri), sono centronordiste e
metropolitane (solo il 17,4% risiede nel Mezzogiorno, mentre
pi della met risiede tra Roma e Milano), sono allincirca
sempre le stesse (i due terzi dei personaggi potenti e celebri
presenti nella ricerca del 2004 lo erano anche nel 1998), sono
funzionalmente ubique (incarichi plurimi) (cfr. anche Gherardi
2011)
Ricerche pi recenti, a cui abbiamo preso parte, si sono
soprattutto incentrate sul profilo reputazionale delle lite presso
la popolazione e le stesse classi dirigenti italiane intervistate
(2010a). Da esse emergono alcuni risultati interessanti, come, ad
esempio, riguardo lo scarto esistente tra la classe dirigente che
gli italiani vorrebbero e quella che hanno. Secondo l'88.6%,
della popolazione italiana, la classe dirigente ideale dovrebbe
avere visione e capacit di decisione, essere selezionata in base
al merito e alle competenze (92.7%) e manifestare senso di
responsabilit e trasparenza (89,8%). Al contrario, la classe
dirigente italiana da tempo malata di indecisionismo,
selezionata in base alla ricchezza (secondo il 68% della
popolazione) e alle buone relazioni (54.2%), in barba al merito
(Carboni 2009, Floris 2007). A sua volta, il merito, per cui la
classe dirigente italiana non brilla, considerato un criterio
importante per il Paese, una buona medicina per i suoi mali. Ma
esso crea qualche imbarazzo quando applicato a se stessi:
allora iniziano i ragionamenti che il merito in fondo un
concetto astratto (56% della popolazione) e che ognuno segue i
propri interessi, a cominciare dalle classi dirigenti (80.6%). Il
disincanto finisce per prevalere poich non si convinti che se
ciascuno tenesse condotte meritorie, gli altri farebbero
altrettanto. Insomma, in Italia scarseggia la fiducia sociale e si
diffondono relazioni di bassa lega.
Tuttavia, gli italiani riconoscono merito e capacit innovativa al
mondo imprenditoriale e professionale (51.2%), al sistema
scolastico (in particolare, di istruzione primaria e secondaria
(49.6%), alla cultura. I maggiori responsabili dei mali italiani
sono i politici (78.5%), soprattutto a livello nazionale: questi
vengono visti, insieme all'alta burocrazia della PA, come un ceto
senza merito e privo di capacit di innovazione. Comunque
secondo l'84% della popolazione, i politici sono ritenuti
essenziali per traghettare il Paese verso una ripresa, soprattutto
ora che abbiamo registrato i fallimenti nei mercati finanziari.
Pi che diffusione dell'antipolitica, c dunque domanda di
buona politica, di una politica diversa di quella populista attuale.

lite e capitalismo politico

Una classe dirigente siffatta ha saputo assecondare, pi che


guidare e dirigere; come lite autoreferenziale, ha badato a
preservare i meccanismi di consenso sociale. Che non abbia
saputo guidare dimostrato dallo stato di incertezza in cui
versano le varie aspettative nel Paese. Si pensi alla scarsa
manutenzione del nostro capitale umano e sociale o
allincapacit di impostare una politica economica e industriale
a partire dalle particolarit della struttura produttiva italiana. Si
pensi inoltre alla protezione accordata alle rendite posizionali e
assistenziali o alla forza di un mercato politico che tesse
politiche clientelari piuttosto che politiche razionali.
Le lite politiche italiane faticano ad assimilare e a mettere in
pratica lidea che la globalizzazione richiederebbe innanzitutto
un azzeramento di queste posizioni di rendita e di privilegio. Si
pensi che, che fra spese dirette e indirette, il teatrino della
politica costa al paese 24,7 miliardi (il 2% del Pil e il 12,6%
dell'Irpef) (Angeletti 2011). A parte i compensi e i vitalizi d'oro,
occupa circa 180.000 tra parlamentari, amministratori regionali,
provinciali, locali, consiglieri circoscrizionali, ai quali vanno
aggiunte altre 25.000 unit di personale apicale, di nomina
politica, nelle authorities e nelle societ e nei consorzi a
partecipazione statale. Vanno inoltre sommati circa 300.000 tra
consulenti e incaricati dalla PA. Poi ci sarebbe la sterminata
prateria dell'alta burocrazia centrale e locale di nomina politica.
Solo le spese per il parco auto della PA supera i 4 miliardi
annui. Malgrado la crisi politica, mai come oggi il mondo
politico professionalizzato stato cos potente e numeroso. Se i
suoi privilegi e numerosit non vengono ridotti, per evitare di
toccare i complicati meccanismi di consenso clientelare sui quali
esso fondato. Cos prospera e si estende il mercato politico e
quello italiano resta in prevalenza un capitalismo politico
(Weber 1922), che coinvolge non solo ampi strati di grandi e
piccoli rentiers, ma anche una parte significativa della nostra
grande imprenditoria che vive all'ombra di licenze e concessioni
statali.
I ceti politici ristretti non decidono pur durare pi a lungo,
circondandosi e cooptando fedeli piuttosto che i pi meritevoli.
C dunque un problema di circolazione delle lite e di
persistenza dei tradizionali aggregati come sosteneva Vilfredo
Pareto (1916) Mancano, in molti casi, trasparenza, competizione
e merito, ingredienti fondamentali del e per il ricambio sociale e
soprattutto della classe dirigente.
vero che sembra che l'Italia veleggi verso il privato e
lindividualismo cinico ed altrettanto vero che c grande
disincanto verso la vita pubblica, gestita da un ceto politico tanto
professionale quanto evanescente nelle decisioni. Insomma, la
Seconda Repubblica stata il periodo delle false promesse e del
grande disincanto. cresciuta la sfiducia dei cittadini verso le
principali istituzioni, un fenomeno condiviso anche da altri
Paesi europei, ma pi marcato in Italia, per la cronica crisi
politica (Carboni 2008a).

Cosa fanno i cittadini italiani per la qualit della loro


democrazia?
Per apprezzare meglio la qualit della democrazia, sosteneva
Platone, occorre verificare se i migliori sono al potere, ma anche
se i cittadini riversano attenzione ed energie nella vita pubblica.
Cosa fanno gli italiani per la qualit della loro democrazia?
Come si trasformata la domanda sociale nei confronti delle
istituzioni politiche?
La societ italiana non si affatto liquefatta, n scomparsa. Si
sono indebolite le tradizionali strutture collettiviste, ma il loro
declino non ci lascia uno scenario sociale magmatico e
inafferrabile. Magari ci vede orfani di tradizionali
concettualizzazioni, soprattutto, chi fra noi, non vuol rassegnarsi
alle mutazioni in corso, rinunciando di fatto a progettare il
futuro.
Se molti dei concetti delle scienze sociali si sono consumati
lungo il percorso seguito dalla metamorfosi sociale, altri
mantengono intatta la loro capacit euristica, soprattutto se si
adotta un approccio multidimensionale che consente di
analizzare la societ sia nella sua morfologia socioeconomica
che nel suo senso civico sia, infine, nella sua dimensione
tecnologica.
In termini di morfologia socioeconomica o di stratificazione
sociale, le trasformazioni principali, oltre quelle verificatasi sul
mercato del lavoro (ad esempio, contratti flessibili di lavoro e
notevole incremento dei professionisti) sono la perdita
progressiva di reddito e ricchezza del 40% da parte delle
famiglie italiane meno agiate, a cui corrisponde un incremento
consistente di reddito e ricchezza posseduti dal 20% delle
famigli italiane pi agiate; la crisi del ceto medio, in sofferenza
per la verticalizzazione della stratificazione sociale; la centralit
assunta dal lavoro nel declino e nella crisi economica che
rendono prioritaria la crescita. Naturalmente, gli habitus, gli stili
di vita e di consumo rimangono essenziali per lo studio della
stratificazione sociale, soprattutto ora che la societ rischia sta
diventando accessoria al mercato (Polanyi 1944, Carboni
2008a).
Nella dimensione civica, i valori individuali non sempre si
accordano con quelli morali collettivi, sempre pi evanescenti
per il tramonto di un'etica pubblica prescrittiva. Anche la societ
italiana, dopo essere stata a lungo familista, sta di fatto
diventando una societ di individui. In Italia, questa
individuazione, per usare una terminologia durkhemiana viene
spesso vissuta con senso di colpa (verso la famiglia, il partito,
limpegno civile) che sollecita lindividuo, piuttosto che a un
percorso emancipatorio, a ripiegare, di fatto, sulle certezze
miopi dellindividualismo amorale e cinico e a delegare, con
disincanto e disinteresse, un corpo di politici professionalizzati
in intermediazione politica (e in scorciatoie clientelari).

Questa posizione di indifferenza verso la vita pubblica appare


fortemente imparentata con quella liberale, che postula una
crescente rilevanza dellindipendenza del privato: una comunit
di individui intenti e assorbiti dallesercizio della propria
singolare autonomia. Per molti aspetti, si tratta di una lettura
riduttiva della societ, in definitiva, funzionale a un concetto di
democrazia minima (Crouch 2003): le societ di mercato
sviluppate hanno rinunciato ormai allidea di una democrazia
reale, che preveda la partecipazione responsabile dei cittadini e
delle loro associazioni alla definizione delle scelte pubbliche.
Prevale la democrazia minima segnata dalla distanza tra politica
e cittadini, ma anche tra questi e il tessuto connettivo intermedio
della rappresentanza.
Si depotenziata la societ civile intesa in modo gramsciano:
per intenderci, quella delle organizzazioni, delle associazioni,
dei gruppi intermedi, tra societ ed istituzioni democratiche.
Gramsci li considerava una rete collettiva importante per la
democrazia industriale, mentre oggi sono un fardello per la
democrazia minima. Tra i gruppi intermedi prevalso il
profilo da gruppo di interesse o da institutional lobby. Di
conseguenza, anche i gruppi intermedi sono stati trasformati dai
fenomeni che hanno investito l'intera rappresentanza, come la
professionalizzazione, la personalizzazione, la mediatizzazione,
la finanziarizzazione. Non a caso il mondo della rappresentanza
sociale e neocorporativa in forte affanno.
Infine, la societ italiana ha assunto sempre pi una dimensione
tecnologica e, in quanto a consumi di nuove tecnologie, resta
tra i mercati pi interessanti e consistenti in Europa. Come in
altri Paesi, i consumi tecnologici cambiano la natura umana, ora
dotata di significativi ultrapoteri, grazie alle protesi
tecnologiche che amplificano i nostri sensi. Lopinione pubblica
divisa tra chi ritiene che il ricorso frequente nelle relazioni ad
una comunicazione mediata produca uno scadimento delle
relazioni sociali stesse, e coloro che, al contrario,
ottimisticamente sostengono che le possibilit di comunicazione
in tempo reale con uno o molti individui arricchiscano il
network delle relazioni. Insomma, c chi sostiene effetti
negativi sul capitale sociale e chi pensa che i rapporti di rete
sostituiranno la vecchia tematica individuo-collettivo. In ogni
caso, la maggioranza degli italiani vede la tecnologia come
fattore di progresso.

Societ ed lite meridionali nei meccanismi di consenso


In unItalia che cerca di ritrovare il suo senso di comunit
nazionale paradossalmente nel federalismo fiscale, la
dimensione territoriale decisiva. Anche se ad opinione di
molti il federalismo fiscale non mancher di evidenziare la
fragilit economico-finanziaria delle regioni meridionali, la
Lega di Bossi seguita imperterrita a puntare tutto sulla questa
prospettiva che istituzionalizzerebbe il suo ruolo cruciale al
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Nord del Paese (sul federalismo rimando al capitolo di Roux).


Va sottolineato che la dimensione locale e municipale e le sue
classi dirigenti continuano a giocare un ruolo decisivo da molti
secoli. Anche nellItalia degli ultimi 50 anni, lo sviluppo
economico locale dei distretti industriali e turistici, in specie nel
Centro-Nord-Est Italia, risultato decisivo per il benessere
dellintero Paese. Anche la raccolta del consenso politico
avviene attraverso il sistema circolatorio locale.
Il locale talmente importante che riuscito a sedimentare
nella penisola due societ molto diverse tra loro per sistemi
regolativi. Il Nord vive ormai nellintegrazione glocale a livello
economico e sociale, conosce i vantaggi e le sofferenze del
mercato globale, ha redditi medio-alti rispetto a quelli europei.
Per alcuni aspetti, ci avviene anche per il Centro Italia. Il
nostro Mezzogiorno invece in prevalenza regolato dal mercato
politico clientelare da sempre incentrato sul familismo e il
localismo (e si veda anche il saggio degli Allum in questo libro);
lintegrazione alla dimensione internazionale avviene pi sul
mercato internazionale del crimine o di attivit illegali che su
quello istituzionalmente riconosciuto. Il reddito procapite dei
meridionali inferiore a quello medio portoghese.
D'altra parte, il tradizionale immobilismo delle nostre classi
dirigenti nazionali rispetto al Mezzogiorno riflette un loro
secolare pessimismo sulle reali possibilit che a questa parte del
Paese riesca il salto di qualit. I poteri al Sud seguono unaltra
geografia rispetto al resto dItalia. C innanzitutto la geografia
tradizionale, disegnata dalla dipendenza tra centro e periferia.
Da secoli essa continua sia a riprodurre distanza dal potere
centrale (e quindi basso senso dello Stato) sia ad esaltare i
poteri locali. Succedeva ai tempi dei poteri locali baronali e poi
del notabilato e, ora, accade anche con il neonotabilato politico
locale. Sono le lite locali a controllare i dispositivi del potere
attivi nei territori meridionali.
In secondo luogo, c la geografia politica, dei mercati politici
locali, i principali regolatori della vita meridionale. Le clientele
hanno svuotato e occupato i partiti-etichetta. In questo modo
la politica sopravvive e, anzi, resta centrale per il Sud. Urne
piene e sezioni vuote. Il sindaco o lassessore non sono solo
amministratori, ma anche datori di lavoro e addirittura i
principali protagonisti dello sviluppo. La politica diventa cos
occasione per ottenere sussidi e privilegi, lavoro e carriera, il
mercato politico unopportunit di ascesa sociale. Le clientele
organizzate su base politica hanno bisogno non solo di
verticalit (accesso al governo) ma anche di orizzontalit.
Hanno perci necessit di stare con il vincente a Roma e
soprattutto con i vincenti a livello locale.
Infine, c' anche la geografia delle clientele mafiose,
tradizionalmente dislocate nei punti chiave della vita politicoistituzionale e sociale del Mezzogiorno (su questo rimando
alcuno al capitolo degli Allum, e a quello di Parini sulla
ndrangheta). In sintesi, tra i meridionali il basso senso dello
Stato centrale si accoppia con una pi forte appartenenza alle
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lite locali, in particolare politiche perch gestiscono la vera


moneta del potere al Sud, il consenso. Nasce da qui il
pessimismo delle lite politiche nazionali, in debito di consenso
verso quelle
locali meridionali.
Proporre riforme e
cambiamenti potrebbe mettere a rischio oleati meccanismi
politici clientelari a proprio favore. Per questo il ceto politico di
governo non propenso ad assumere decisioni sul Sud: pur di
durare, quieta non movere.
Dando per note le debolezze del mercato e della cultura
dimpresa, sembra difficile individuare la leadership per un
salto di qualit del Mezzogiorno. Del resto, anche la societ
civile meridionale quello che . Il cinismo anomico delle lite
locali si coniuga con il civismo anemico tra i cittadini. Gli ismi
prevalgono rispetto anche ad un Centro-nord non certo esente da
pecche al riguardo: il corporativismo, il localismo, il familismo,
lindividualismo e, soprattutto, il clientelismo, simbolo di un
capitalismo relazionale degradato e avverso al mercato. Meglio
la quiete del porto alle sfide del mare aperto. Chi non la pensa
cos prende la strada dellemigrazione. cos mancato al Sud
un ceto medio imprenditoriale. Doppiamente: avrebbe
rimpinguato un ceto medio che, nella percezione della
popolazione, di oltre 15 punti sotto quello nazionale (54%) e
che costituisce una condizione indispensabile per la
modernizzazione; sarebbe inoltre stato in grado di mettere in
valore risorse e abilit di cui il nostro Mezzogiorno dispone.
Non a caso, operando dallalto - come tentato con le cattedrali
nel deserto dellindustria pubblica - successo ben poco. Dal
basso pi difficile, ma si pu operare su aree vaste
territoriali. Ci ha provato in parte
la programmazione
negoziata (Socci 2009), alla fine dei Novanta, ma aveva
presentato vistose debolezze. Tuttavia, cercare di rafforzare la
societ intermedia, costruendo una rete di competenze politiche,
professionali, economiche e finanziarie sul territorio, resta
uninterpretazione corretta. Per il Sud, in effetti, occorrono
grandi progetti su cui forgiare un ceto medio imprenditoriale e
una nuova classe dirigente locale, meno paludata nelle clientele
e pi capace di legalit e trasformazione.

Cinica o civica?
Quando i grandi movimenti sociali si sono rarefatti, la stessa
societ di massa, nel benessere, rifluita nell'atomizzazione,
confidando nella rappresentanza legittima democratica e nella
sua rappresentazione mediale, trasfuse in opinione pubblica. Tra
le macerie dei vecchi collettivismi, si sono fatti largo due
fenomeni sociali correlati: sia una frammentazione e
unatomizzazione sociale (la societ degli individui) che una
separazione pi netta tra pubblico e privato. Questa separazione
si fatta distanza fra governati e governanti tra libert e
autorit ed stata colmata, meglio, surrogata dallopinione
pubblica, la quale mette in scena, sui suoi canali informativi, la
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vita e le attivit del ceto politico e delle lite ad alta esposizione


mediale. Con lavvento di tecnologie mediali di informazione e
comunicazione, i processi di integrazione e di controllo sociale
si riposizionano sugli individui, su processi mediatizzati di
differenziazione individuale. Non c solo una politica
mediatizzata, ma anche una societ mediatizzata e acculturata,
per la quale tutto ci che reale virtuale e tutto ci che
virtuale reale. Nei labirinti controversi dei media (la
televisione come mente collettiva) e nei sistemi di istruzione (a
corto di manutenzione) passa la formazione del Paese, la quale
ha rilasciato, nel corso degli anni pi recenti, una massa a
maggioranza acculturata, accessoria al mercato, intrappolata
nellautonomia del privato, dove sono cresciuti, nella
disillusione, comportamenti cinici. In breve, una societpoltiglia, come l'ha definita De Rita (2009).
sufficiente sfogliare un qualsiasi quotidiano italiano di un
qualsiasi giorno per leggere che c unItalia in cui alberga un
individualismo disilluso e amorale: quello che non fa conversare
i valori individuali con i valori morali e che vede linteresse
pubblico in funzione del riconoscimento di un vantaggio
individuale. lItalia in cerca di scorciatoie, che tenta di rifare il
verso dei furbetti del quartierino, che cerca di emergere a
qualsiasi costo e possibilmente in un colpo solo. lItalia del
particulare, quella vischiosa che, pur di durare a lungo, non
decide e fa ostruzione, che cinicamente si copre nelle protezioni
clientelari, che predilige la rendita e i privilegi derivanti dalle
nicchie protettive del mercato politico. Almeno prima della crisi
finanziaria, era anche visibile unItalia che se la stava
godendo, attratta da consumi esclusivi e lussuosi, mentre met
Paese era in bolletta e stringeva la cinghia. la stessa Italia
cinica che forte con i deboli e debole con i forti e a farne le
spese sono innanzitutto gli immigrati ai quali di fatto negato il
diritto di rappresentanza, malgrado il loro lavoro produca gettito
fiscale e circa il 10% del Pil. Ma anche i nostri giovani talenti ne
fanno le spese prendendo, a loro volta, la via dell'emigrazione.
C anche una parte sterminata di consumatori, molti preda della
trappola del credito al consumo, ma molti preda di se stessi,
intruppati e narcotizzati nel sentirsi in cuor loro realizzati
quando acquistano un prodotto esclusivo. C appunto unestesa
societ italiana la cui formazione non scorre nelle tradizionali
vene familiari e nelle arterie scolastiche, ma nei media ormai
divenuti rete capillare, nei labirinti delle televisioni commerciali
da cui estrarre habitus e comportamenti da riproporre nel
quotidiano. Lelenco dellItalia cinica si allunga con gli evasori
fiscali, con gli ultras, con lItalia che non rispetta le regole e
prende vantaggio dallinefficienza della giustizia. E purtroppo,
c anche lItalia la cui modernit rimasta cinicamente
dimezzata: quella del grande degrado che, con mondezza e
cementificazioni abusive, sfigura le citt e ferisce per sempre la
natura che la ospita. LItalia che vede crescere la violenza contro
le donne e la famiglia, lItalia che alimenta organizzazioni
criminose e mafiose. quindi inevitabile aprire gli occhi sul lato
12

indolente, cinico, persino torbido e illegale del nostro tessuto


sociale.
Tuttavia, non esiste solo questa Italia, preda delle ansie da
emergenze continue, demotivata e cinica. La qualit del sociale
enormemente migliorata negli ultimi 50 anni. Istruzione,
informazione e welfare hanno forgiato una cittadinanza
competente (Carboni 2008a) che ha un grado d'istruzione
superiore e si informa utilizzando una tastiera assortita che va
dai tg ai quotidiani, da internet ai libri, ai dibattiti culturali e
politici. una cittadinanza attenta e interessata ad una nuova
buona politica, desiderosa di influenzare le decisioni che
riguardano la propria vita. Tenta insomma di spezzare
lisolamento tecnologico dellindividuo dalla vita in comune, di
creare una coscienza della comunicazione pubblica. Come
vedremo (8), attualmente poco pi di un terzo della
popolazione e pu fungere da incubatore di una societ futura
migliore e, in potenza, costituire un baricentro competente,
plurale, multiculturale per una mutazione positiva del nostro
senso sociale e civico. questa componente che pu garantire
dinamicit alla democrazia ed entrare in sintonia con spezzoni
innovatori delle classi dirigenti, ma anche, allopposto, rifluire,
per risentimento, verso larea del non voto o del voto a partiti di
protesta (come la Lega di Bossi e LItalia dei Valori di Di
Pietro).
In tutte le sfere riemerge il dualismo italiano: nel carattere, si va
dallitaliano talentuoso e creativo allo stereotipo dellitaliano
furbo e cinico; nel territorio, il Nord e il Mezzogiorno; nella
dimensione socioeconomica, vincenti e perdenti; sul piano
civico tra cittadinanza competente e societ di massa, gelatinosa
e accessoria, per non parlare di insider e outsider.
Da tutto ci deriva il malessere democratico e non solo dal
declino e dalla crisi economica. La qualit della democrazia, del
resto, dipende fino ad un certo punto dal pil procapite: oltre una
certa soglia di benessere, scattano altri fattori a qualificare la
democrazia. Le problematiche morali e civiche possono spiegare
in gran parte sia il malessere democratico che la paradossale
coesistenza nella societ, da un lato, del declino dell'interesse
pubblico e, dallaltro, di una parte della cittadinanza
emotivamente coinvolta dalla politica intesa come bene
pubblico. Questa cittadinanza attenta e competente esprime una
nuova sensibilit proprio sui temi del civismo e dei valori.
Spesso si manifesta con movimenti di cittadinanza radicali,
come nel caso dei Girotondi nel periodo 2002-3 o, pi
recentemente, dei meet-up di Beppe Grillo e del cosidetto
Popolo Viola.

Distacco, competenza e attivismo

13

Nello scenario politico allestito dai media, le stesse forme di


partecipazione si incamminano ad avere sempre pi i connotati
di quella partecipazione invisibile che di fatto linformazione
politica dei media. Come detto, fa poco il ceto politico, sempre
prodigo di riformismo a parole e avaro di decisioni. Poco fanno
anche i cittadini per sforzarsi di occupare direttamente quegli
spazi pubblici che la democrazia offre.
Nellarco di tempo della Seconda Repubblica, se vero che si
parlato sempre di pi tra i cittadini di politica e ci si via via
informati di pi, tuttavia, si partecipato meno a dibattiti
politici, comizi, cortei, vita di partito (ISTAT, Aspetti della vita
quotidiana 2010). quindi andata in soffitta la vecchia
partecipazione diretta. Negli ultimi venti anni -ma il processo
era cominciato negli anni Ottanta - la partecipazione ha
conosciuto una metamorfosi profonda. Un tempo, ad esempio, ci
si informava presso le sezioni dei partiti di massa, nelle riunioni
sindacali, dei lavoratori o datoriali. ma oggi in prevalenza con
TV (93%), quotidiani (49%) e fonti multimediali. I grandi
aggregati socio-politici della rappresentanza sono stati
incorporati istituzionalmente e la loro azione ha perso di
credibilit ed efficacia nella societ civile. La tradizionale
rappresentanza stata sempre pi surrogata dai nuovi demiurghi
mediatici dellinformazione politica che processano, selezionano
e metabolizzano dati e notizie, opinioni ed idee.
Da questa fotografia della partecipazione possibile mettere
meglio a fuoco la societ civile, distinguendola in tre aree. La
prima area, del distacco, non si informa di politica: incide poco
meno del 30% sulla nostra popolazione con pi di 14 anni. In
questa area prevale lexit sul voice, lapatia (il 60% circa non ha
interesse per la politica) sul disincanto sfiduciato (meno del
30%, ma spesso buon conduttore di protesta). Tuttavia, va
osservato che questa seconda
componente sfiduciata
raddoppiata nel corso della Seconda Repubblica e inoltre si
associa di frequente con unistruzione superiore. Aumenta
dunque lincidenza di quanti hanno chiuso con la politica in
modo risentito.
La seconda area sociale partecipa alla formazione dellopinione
pubblica in forma diretta/reticolare (discute di politica spesso
con amici, colleghi di lavoro, vicini e parenti) e/o
indiretta/artificiale (si informa con frequenza con i media). la
maggioranza del Paese, i due terzi: in crescita, ma solo una
parte essa discute e si informa con una certa competenza. Si
tratta appunto di quella cittadinanza competente che non si
limita ad informarsi di politica, ma ne parla con frequenza.
circa met di questa grande maggioranza alfabetizzata alla
politica, un 30% dellintera popolazione italiana da cui dipende
sempre pi lumore dellopinione pubblica, cio se lago della
bilancia inclinato verso lapatia o verso la critica in odore di
protesta.
Vi poi una terza area, la cittadinanza attiva in politica, che nel
paesaggio pre-media incarnava la vera partecipazione: ai dibatti
politici, ai comizi, alla vita di partito, ecc.. Tutto questo per
14

in costante declino nella seconda Repubblica e, di conseguenza,


la cittadinanza attiva ci appare popolata da minoranze in
estinzione, almeno nei numeri. La partecipazione tradizionale
dunque in crisi e prova ne quel milione, all'incirca, di cittadini
che partecipa alla vita dei partiti: sembra una cifra irrilevante in
un grande Paese, ma comprende quel battagliero esercito di
oltre mezzo milione di individui che vivono professionalmente
di politica ( 4).
Questa metamorfosi della partecipazione gravida di
conseguenze per la politica odierna. Ci limiteremo a citarne due,
sulle quali, pi spesso, il senso comune male intende. La prima
che si scambia per antipolitica la critica competente proveniente
soprattutto dai mezzi dellinformazione, gli unici ad avere
protesi sensoriali sociali in grado di metabolizzare gli umori
dellarea di maggioranza che concorre alla formazione
dellopinione pubblica. Lantipolitica in senso stretto alberga
piuttosto nella minoranza, seppur in crescita, del distacco
sfiduciato (1 su 10), con ogni probabilit, collegato a movimenti
di protesta e di voice. La maggioranza della popolazione (oltre 6
su 10) ha unopinione che non ha pi intense relazioni dirette
con i tradizionali mezzi, luoghi e aggregati della rappresentanza,
ma si forma sul campo della domus televisiva e multimediale.
La seconda conseguenza che lumore sconsolato della
maggioranza nei confronti della politica non provocato tanto
dal declino della partecipazione attiva dei cittadini, ma dalla
carente performance di quella che Dorso chiamava classe
dirigente di governo (1946). La soluzione va ricercata nella
realizzazione efficiente di una moderna democrazia di mercato,
piuttosto che in nuove improbabili nomenclature di
partecipazione democratica.

Una cura da cavallo


Oggi, gli individui sono sempre pi liberi di scegliere nel loro
quotidiano. Questa libert individuale la spia di quanto
prodotto dalla democratizzazione del sociale, cio dalla degerarchizzazione di alcuni istituti collettivi come la famiglia, il
partito, ecc. e da quel lento approssimarsi delle societ
allobiettivo di democrazia di eguali, di cittadini con pari diritti,
doveri e opportunit. Questo processo, contraddittorio, di
autonomia individuale e di democrazia sociale ottenuta mediante
istituzionalizzazione delle sfere quotidiane di vita (la scuola, il
posto di lavoro, i pubblici servizi, il consumo), appare sempre
pi disconnesso dalla democrazia collettiva e pi associato alla
frammentariet delle esperienze individuali di vita, spesso
disincantate, a volte insensibili al bene pubblico e, infine,
eterodirette grazie ai meccanismi di mediatizzazione della vita
quotidiana e pubblica. Tutto ci per lo pi interpretato come
una degenerazione, una liquefazione del sociale. Ma questa
disconnessione tra individuo e collettivo, nel lungo periodo, va
intesa, sulla scia dei classici del pensiero sociologico, in senso
15

emancipatorio per lindividuo, come un vero rafforzamento


progressivo delle libert e delle responsabilit personali. Quel
che occorrerebbe, abbiamo visto, non esattamente una nuova
partecipazione politica. Ci vorrebbe piuttosto un ceto politico
responsabile del suo ruolo, capace di pilotare
i valori
democratici nel Paese, le pari opportunit e il merito nella
scuola, nelle istituzioni, nei servizi, nei posti di lavoro: una
politica che sappia migliorare la nostra democrazia sociale, la
cui qualit apprezzata come tra le ultime in Europa
(Skidmore e Bound 2008), e la nostra giovane democrazia
politica.
Si consideri, al contrario, che nel nostro caso nazionale, c
purtroppo un potere opaco: la scarsa trasparenza una prova
della debolezza dei criteri di merito e della responsabilit
sociale. Questa modernizzazione dimezzata del nostro Stato ha
favorito poteri occulti massonici e la degenerazione della
prosperit delle casematte dei contropoteri mafiosi in un
Mezzogiorno in profonda difficolt. Anche se difficile
stimarne limpatto reale, questi poteri occulti e illegali fondati
sul segreto sono spesso in grado di condizionare i comitati
elettorali dei partiti e, in tal modo, di influenzare il potere
politico. Soprattutto nel Mezzogiorno. Perci la guida morale e
responsabile del Paese, come suggerisce Mammone in queste
stesse pagine, appare una chiave importante ai fini di un
cambiamento.
Per ora sembra che il ceto politico non sia in grado di offrire di
meglio del populismo di Berlusconi, contrastato, ma nettamente
il leader vincente di questa Seconda Repubblica. Il Partito
democratico non apparso in grado di proporre una piattaforma
convincente e condivisa innanzitutto dalla parte di cittadinanza
pi competente e attiva: la sua linea politica appare troppo
incentrata sull'antiberlusconismo e poco sulla metamorfosi
sociale in atto. Berlusconi non la causa della malattia, anche se
ne il sintomo pi evidente.
Il pessimismo della ragione, suscitato dalle attuali condizioni del
paese e dallignavia cinica delle sue lite, divenuto un modo
per inibire non solo lottimismo della volont, ma la stessa
speranza di un possibile cambiamento dello stato delle cose.
Come per il paese, anche per le nostre classi dirigenti una cura,
o meglio, una serie di prescrizioni sarebbero possibili, come, ad
esempio, nei casi di merito e formazione. Qualche anno fa,
segnalai a conclusione di una ricerca che in Italia il merito sul
campo prevale nettamente su quello educativo, come avviene
del resto anche in parte in Germania. Non a caso, entrambi
questi paesi hanno una classe imprenditoriale (manifatturiera)
importante i cui meriti sul campo sono riconosciuti dalla
popolazione. Tuttavia, mentre in Germania le grandi
organizzazioni economico-industriali esercitano unindubbia
egemonia sul complesso delle classi dirigenti, il quarto
capitalismo delle medie imprese italiane non apparso in grado
finora di farlo. La centralit del merito sul campo nei due paesi
citati confermata dallimportanza, come detto (3), dei top
16

leaders pi anziani. Al contrario, nei paesi nei quali il merito


educativo (un complesso di capacit cognitive e specialistiche
sviluppate mediante sapere codificato) ormai prevale, la
presenza di giovani adulti tra i top leaders appare significativa.
Cos accade in Inghilterra, ma anche in Francia e nel Nord
Europa. Nella modernit della societ dei saperi e della
conoscenza, lesperienza non pi la sola fonte di merito, ma
piuttosto costituisce un corroborante a una formazione
professionale e culturale ormai necessaria per affacciarsi a ruoli
apicali che richiedono predisposizione allefficienza, capacit e
voglia di competere e raccogliere le sfide che il nuovo mondo
globale propone.
Appare perci improcrastinabile una profonda rivoluzione
culturale degli italiani e delle loro lite per apprezzare il nuovo
ruolo oggi ricoperto dalle istituzioni di formazione superiore, in
particolare universitaria e postuniversitaria. Questo dovrebbe
comportare che, seppur in presenza di un debito pubblico che
impone tagli dolorosi, come accade nei maggiori Paesi europei,
gli investimenti in istruzione siano intensificati e non ridotti e
che le risorse siano dedicate ad un vero e proprio piano di
modernizzazione del nostro sistema d'istruzione secondaria e
terziaria. Riformare il sistema di apprendimento e di ricerca a
costo zero semplice velleitarismo: anzi, occorre
lindustrializzazione e la finanziarizzazione del sapere,
altrimenti proseguir la fuga all'estero dei giovani talenti (come
alcuni degli autori di questo libro), sull'istruzione dei quali
abbiamo investito.
Dopo circa venti anni di Seconda Repubblica, sono in molti a
pensare che in Italia occorrerebbe una rivoluzione culturale in
grado, se non di premiare il merito, almeno di penalizzare il
demerito intenzionale e il furbetto che si annida ai vertici e
nella societ. Tuttavia, l'impressione che per cambiare occorre
questa volta partire dall'alto, dalle nostre lite e non solo
guardando alla loro formazione/selezione. Quel che
occorrerebbe una cura da cavallo per le nostre lite. Sappiamo
bene che la realt dei contropoteri mafiosi al Sud attende da
decenni di essere sgominata; che le clientele e le parentopoli
devono trovare precisi sbarramenti regolativi nelle arene
concorsuali; che i privilegi legati a facili rendite di posizione
devono essere limitate al pari dellimportanza dellanzianit
intesa come risorsa automatica nelle carriere; che necessario
che manager e banchieri non seguano solo gli interessi
autoreferenziali e azionari, gli intrecci relazionali nei consigli di
amministrazione, ma soprattutto riflettano su come possono
contribuire a sbloccare e dinamicizzare l'economia reale del
paese.
Quanto alle classi dirigenti rappresentative, occorrerebbe
innanzitutto un codice etico della rappresentanza, oltre che una
legge efficace che regoli con norme il lobbismo istituzionale e
penalizzi quello nascosto. Solo cos possiamo tarpare le ali a una
corruzione che da molti percepita come dirompente. I partiti
politici, ormai ridotti a etichette che celano solo comitati
17

elettorali personali, devono tornare a selezionare classe dirigente


meritevole mediante partecipazione democratica degli iscritti
nella loro vita interna. Per questo dovremmo regolare la loro vita
interna (come era previsto dai padri costituenti) cos come i
cittadini dovrebbero poter tornare a scegliere i loro parlamentari.
Le primarie per la designazione dei candidati a cariche
istituzionali dovrebbero essere rese obbligatorie a tutti i partiti,
cos come andrebbe introdotta per legge la possibilit solo di un
secondo mandato per gli incarichi istituzionali. I doppi e i tripli
incarichi andrebbero banditi e i compensi delle cariche elettive
collegati a parametri europei. Il complesso delle cariche elettive
andrebbe significativamente ridotto, tenendo in mente che il
futuro della politica si gioca da un lato in Europa e, dallaltro,
nel decentramento territoriale, nelle citt globali e glocali del
paese.

Note
i Cfr. Carboni 2007. La prima indagine sulle lite stata da me condotta nel
1990 e poi ripetuta nel 1998 (Carboni 2000).

18

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