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Di cosa parliamo quando parliamo

di scienze manageriali?
FEDERICO BRUNETTI*

Abstract
Gli studi di management in Italia stanno vivendo oggi una fase di passaggio da
impostazioni metodologiche tradizionali a impostazioni pi in linea con i modelli di ricerca
prevalenti a livello internazionale, soprattutto nel mondo anglosassone.
Nella consapevolezza della inevitabilit di tale passaggio, con questo lavoro ci si propone
di alimentare la discussione intorno alla sua validit e opportunit.
Basandoci sul pensiero di autorevoli Studiosi in tema di natura della conoscenza (nelle
scienze sociali, nello studio del comportamento umano e nel management) e di rigorrelevance gap, si argomenta a sostegno di una visione secondo cui nella ricerca in ambito
manageriale il metodo scientifico non debba necessariamente essere identico a quello
utilizzato in altri campi del sapere.
Da ultimo, viene preso in considerazione anche il tema delle conseguenze derivanti
dalladozione di certe impostazioni di ricerca, aggiungendo da questo punto di vista un
ulteriore elemento di criticit di natura etica a tali impostazioni.
Parole chiave: epistemologia; metodologia; scienze manageriali; discipline manageriali;
rigor-relevance gap; good vs. bad management theories
Studies in the field of management in Italy are experiencing nowadays a shift from
traditional methodologies to research strategies and models more aligned with those
prevailing in an international context, namely in the anglosaxon world.
Fully aware of such a shifts helplessness, this paper aims at bringing a contribution to
the debate about its validity and necessity.
Drawing on the writings of authoritative Scholars who worked on the nature of
knowledge (in social sciences, in the study of human behaviour, in management) and on the
rigor-relevance issue, it is argued that in management research the scientific method should
not necessarily be the same as that applicable in different knowledge domains.
Finally, the issue of the consequences coming from the adoption of the non-traditional
research strategies and models is considered. From this point of view, a further concern
ethical in nature - is emerging as a critical element.
Key words: epistemology; methodology; management science; management disciplines;
rigor-relevance gap; good vs. bad management theories

Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese - Universit degli Studi di Verona


e-mail: federico.brunetti@univr.it

sinergie n. 86/11

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DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO DI SCIENZE MANAGERIALI?

1. Note introduttive e non solo


Le scienze o discipline manageriali - lasciamo volutamente indeterminato per ora
quale tra i due termini scegliere - sono in questo momento in Italia al centro di una
corrente di cambiamento davvero importante.
Il cambiamento in corso investe dalle radici la disciplina, la cui identit sembra
oggi attraversare una fase di profonda mutazione. Qualsiasi fenomeno umano, a dire
il vero, soggetto ad una continua evoluzione: nulla rimane costantemente uguale a
s stesso.
In certe fasi, tuttavia, gli elementi in movimento si addensano e, combinandosi
tra loro, producono un salto evolutivo. Ecco, gli studi di management nel nostro
Paese sembrano ora prossimi ad un nuovo punto critico.
Non si tratta del resto di un fenomeno nuovo, essendo in passato gi avvenuto
qualcosa di simile con il passaggio dal Banco Modello alla Tecnica Mercantile e
Bancaria, prima, e alla Tecnica Industriale e Commerciale, poi (Giaretta, 2003).
Da una consolidata impostazione protrattasi quasi inalterata per decenni ci si sta
rapidamente - e talvolta confusamente - indirizzando verso assetti totalmente nuovi
relativamente al metodo, ai contenuti e alla forma degli output dellattivit di ricerca
(Verona, 2010).
Quanto al metodo, si tende a privilegiare oggi le impostazioni formali e
quantitative a scapito di quelle speculative e qualitative; dal punto di vista dei
contenuti, prevalgono studi su argomenti molto ristretti e specialistici piuttosto che
su temi di ampio respiro; sotto il profilo della forma degli output, in coerenza con il
tipo di contenuto e di metodo, predominano articoli destinati alle riviste preferibilmente internazionali - anzich opere di carattere monografico scritte in
lingua italiana.
Diverso, per tante ragioni limpatto di tale cambiamento. Tra esse a nostro
avviso rientra anche la condizione soggettiva del singolo ricercatore, con riguardo in
particolare al suo grado di anzianit ovvero alla maggiore o minore distanza dal
momento in cui ha preso avvio lattivit di studio e ricerca.
Una schematica suddivisione sulla base di tale criterio potrebbe portare a
distinguere - adottando un linguaggio preso a prestito dal mondo delle aziende - tra
ricercatori senior, medi ricercatori e ricercatori junior.
Chi si trova pi avanti lungo il percorso di ricerca - intrapreso oramai da qualche
tempo - registra ovviamente il cambiamento, ma tutto sommato ne toccato in
misura relativa, a meno che non scelga e decida per una espressa opzione di
adeguarsi alle nuove impostazioni o comunque di porsi il problema
dellatteggiamento da assumere di fronte ad esse.
Chi si accinge a imboccare il percorso o lo ha cominciato da poco tempo ha
conosciuto solo tramite lo studio limpostazione precedente, ma non ha mai
sviluppato direttamente la propria attivit di ricerca seguendone i dettami, e quindi si
trova inevitabilmente a fare gi parte del mondo nuovo. Per queste persone il
contesto gi quello post-rivoluzione, contesti alternativi sono difficili persino da
immaginare.

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La posizione pi delicata, a nostro avviso, quella dei medi ricercatori - come


forse ovvio, dato che chi scrive ne fa parte. Probabilmente leffetto di una sorta
di focusing illusion (Schkade e Kahneman, 1998),secondo cui ciascuno portato a
pensare che la propria posizione sia sempre quella pi critica. Come si vedr tra
breve, tuttavia, esiste anche qualche valido motivo - di carattere oggettivo verrebbe
paradossalmente da dire - a sostegno di tale giudizio.
Chi fa parte della generazione di mezzo, infatti, nato e cresciuto in un mondo
e per, non essendo ancora entrato nella fase conclusiva del proprio percorso di
ricerca, si trova a dover fare i conti con il deciso cambio di paradigma in discorso.
Il disagio della generazione di mezzo - o meglio, per non generalizzare
indebitamente, di alcuni suoi esponenti - non deriva dunque solo dalla complessit
degli attuali scenari di business, dalla velocit dellinnovazione tecnologica o dal
knowledge overload causato dalla numerosit e produttivit dei ricercatori, ma anche
dal mutamento dei criteri che definiscono come debba svolgersi e sulla base di cosa
si determini il valore dellattivit di ricerca.
su questi soggetti, dunque, che maggiormente si scaricano gli effetti del
cambiamento. I medi ricercatori, per di pi, non solo devono essi stessi cercare di
stare al passo, ma hanno l aggravante - per cos dire - della responsabilit della
crescita dei pi giovani. Il punto peraltro controverso, dato che la direzione verso
cui il sistema muove quella dellaffievolirsi del ruolo dei Maestri a favore di una
crescita che si ipotizza basata esclusivamente sul merito e sulla qualit della
produzione scientifica misurati oggettivamente secondo meccanismi automatici di
valutazione (Dalli, 2011).
La generazione di mezzo stata in gran parte sorpresa a met del guado, nella
necessit di praticare una conversione piuttosto decisa delle modalit di svolgimento
del proprio lavoro, pena leffetto di rimanere ai margini delle magnifiche sorti e
progressive che la comunit scientifica, trionfalmente in marcia verso la scoperta
della vera conoscenza e delle definitive leggi del management, promette di
raggiungere. anche da questa condizione soggettiva, dunque, che traggono origine
le considerazioni seguenti. Nonostante la separazione tra lattivit di ricerca oggettiva, vera, indipendente dalle condizioni al contorno - e lo status personale del
ricercatore sia considerata quasi un dogma, la situazione individuale conta eccome a nostro avviso - nel determinare orientamenti, preferenze e forse finanche risultati
dellattivit di ricerca.
Chiarito per onest intellettuale questo punto - che attiene essenzialmente al
background inconscio di chi scrive, e come tale imprescindibile - va per anche
detto che la posizione qui sostenuta soprattutto frutto di una profonda non meno
che travagliata riflessione sulle finalit ultime dellattivit del ricercare, sulloggetto
al centro dei nostri studi e sulle metodologie dindagine pi appropriate.
Prima di entrare nel vivo dei contenuti, sia consentito indugiare ancora un
momento formulando a mo di premessa un paio di considerazioni, che intendono
testimoniare la consapevolezza di chi scrive circa lineluttabilit dellesito del
confronto tra limpostazione tradizionale e quella nuova.

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DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO DI SCIENZE MANAGERIALI?

A maggior ragione perci le valutazioni successive potranno essere tenute in una


qualche considerazione, nel senso che non vogliono porsi come argomenti a favore
di una delle posizioni nel dibattito, ma solo fungere - come si usa dire - da spunto di
riflessione.
In primo luogo, si ben consapevoli che la posizione qui sostenuta destinata a
soccombere dato che - come sempre - levoluzione segue il suo corso e non
arrestabile.
In qualsiasi ambito il nuovo, pi o meno velocemente, avanza ed inevitabile
che soppianti il vecchio. Se non fosse unaffermazione troppo ambiziosa, si potrebbe
dire che questa una delle leggi fondamentali della trasformazione delle societ
umane. Ci irrimediabilmente avviene nel campo delle idee, della cultura, della
tecnologia, dei prodotti. La democrazia si sostituisce - o tende a sostituirsi - alla
tirannia, i generi musicali si rinnovano e si succedono uno dopo laltro, la luce
elettrica scalza lilluminazione a gas, il trattore rimpiazza laratro trainato dai buoi.
Questo non significa che il vecchio venga sempre completamente espulso.
Levoluzione procede piuttosto per stratificazione: basti pensare ai mezzi di
comunicazione (segnali di fumo, piccioni viaggiatori, posta, telegrafo, telefono, fax,
e-mail e via dicendo) o di trasporto (locomozione umana, animale, bicicletta,
motocicletta, treno, auto, aereo eccetera) le cui forme successive vengono ad
aggiungersi alle precedenti. I nuovi mezzi di fatto coesistono con quelli passati
senza che questi ultimi, a parte rari casi, scompaiano del tutto.
per evidente che tra antico e moderno cambiano le proporzioni e cos
idee, cultura, tecnologia, prodotti vecchi sono man mano costretti ad occupare uno
spazio sempre pi ridotto. Ogni nuova tendenza, se si parla di idee e di cultura,
appare via via pi attuale e adeguata allo spirito del tempo. La musica lirica un
genere importante, ma oggi una passione coltivata dalla ristretta cerchia dei
melomani: nuovi generi si affacciano e catturano le preferenze del pubblico. Ciascun
bisogno, se si parla di tecnologia e prodotti, viene soddisfatto attraverso modalit
sempre pi specifiche e sofisticate. Lo spazio per le modalit precedenti si
comprime quindi sempre pi. Il telegramma oggi sopravvive solamente nella nicchia
delle comunicazioni formali e a distanza, in occasione di eventi solenni come
nascite, matrimoni, funerali e pochi altri.
Si ben consapevoli, in secondo luogo, che tale posizione potrebbe essere da
taluno assimilata a quella della volpe del famoso apologo, che disprezzava luva
solamente perch non era in grado di raggiungerla. naturalmente molto pi facile
essere critici nei confronti di qualcosa che non si padroneggia appieno piuttosto che
di qualcosa in cui si eccelle. Si tratta di un riflesso involontario che non ci si sente
assolutamente di escludere, essendo sin dai tempi antichi un tratto tipico del
comportamento umano. Non vi disagio perci nel dichiarare una condizione di
relativa conoscenza riguardo a molte delle metodologie quantitative oggi dominanti.
Va precisato per che lignoranza che si disposti a confessare relativa
solamente alle technicalities insite nellapplicazione di tali raffinate metodologie.
Ben chiara invece la comprensione dellobiettivo che tramite esse ci si propone di
conseguire e soprattutto dellesito cui esse conducono, come si pu facilmente

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rilevare in molti dei lavori che le impiegano. In altre parole, spesso a creare disagio
piuttosto la modestia sostanziale dei risultati che vengono presentati, tanto pi a
fronte della estrema sofisticazione delle tecniche matematiche e statistiche utilizzate
(Monieson, 1988).
Comunque la si pensi sulla nostra maggiore o minore somiglianza con il furbo
predatore, ci si sente perci legittimati ad esprimere alcuni dubbi e perplessit in
merito alle nuove impostazioni destinate - come tutto induce a pensare - ad una
definitiva affermazione.
Esaurite finalmente le premesse, che per la loro pregnanza stavano per molto a
cuore, con questo lavoro ci si propone di contribuire al dibattito, dando voce ad una
posizione di pensiero critico circa la direzione dellevoluzione in corso. O, se non
radicalmente critico, sicuramente ispirato ad una certa prudenza, piuttosto che
intrappolato nella sterile tirannia di una scelta dicotomica tra i poli estremi di un
acritico entusiasmo o di una rassegnata accettazione.
Anche se piuttosto importanti, non ci si occuper invece qui dei riflessi di tale
cambiamento sui sistemi di valutazione della ricerca e di conseguenza sui concorsi e
sulle progressioni di carriera dei ricercatori, preferendo concentrare lattenzione
esclusivamente sugli aspetti sostanziali.
Ancora una volta vale pena di essere il pi possibile trasparenti: non si tratta di
rifiutare a priori e in blocco le nuove impostazioni, ma di esaminarle, valutarne
attentamente pro e contro ed esprimere gli argomenti a sostegno della propria
posizione. Niente di pi, niente di meno.
Naturalmente non si tratta nemmeno di una romantica ed eroica difesa del buon
tempo andato fine a s stessa. Sebbene a taluno possa senzaltro risultare tale, in
origine tutto parte da una autentica e sincera adesione a un approccio di ricerca
ritenuto pi coerente con il genere di fenomeni sotto indagine (e con la condizione
soggettiva sopra tratteggiata).
Tale approccio senza dubbio minoritario a livello internazionale, e lo sta
rapidamente diventando anche a livello nazionale, dato che la globalizzazione ha
inevitabilmente investito anche il campo della produzione e diffusione di
conoscenza.
E allora sorge spontaneo chiedersi: per quali motivi impegnarsi in quella che si
sa gi essere una battaglia persa? In primo luogo, perch perdere una tradizione
culturale e di ricerca difficilmente rappresenta un arricchimento, e poi per evitare
legemonia del pensiero unico e assicurare un livello minimo di dialettica al
confronto tra i diversi approcci. E infine, ed questa la ragione determinante, perch
si fermamente convinti della sua validit.
2. Cenni metodologici
Questo lavoro non ha pretese di sistematicit n di esaustivit. Piuttosto, intende
offrire al dibattito alcuni spunti di riflessione in una logica di second opinion, ovvero
di pensiero alternativo rispetto alla corrente di pensiero principale. La second

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DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO DI SCIENZE MANAGERIALI?

opinion un approccio diffuso soprattutto in ambito medico, che prevede


lacquisizione di una valutazione ulteriore rispetto a quelle di cui si fosse gi in
possesso. Essa peraltro sta estendendosi anche in altri contesti, nel business e
segnatamente nel marketing, come si pu ad esempio vedere nel sito web
brandautopsy.com, curato da John Moore, gi responsabile Marketing di Starbucks.
Il metodo seguito potrebbe essere assimilato a quello del laddering, che consiste
nel formulare una sequenza logica di interrogativi, volti ad andare sempre pi a
fondo nella scoperta delle vere determinanti di un qualsiasi comportamento, sino a
giungere ai valori e convincimenti ultimi. Sono questi, infatti, inconsapevolmente e
involontariamente generati, a decretare tutte le scelte successive, che spesso sono
ritenute pi coscienti ed auto-determinate di quanto non siano in realt. Tale tecnica,
applicata tipicamente nellanalisi del comportamento del consumatore, ma
trasferibile anche in contesti diversi, molto utile, in quanto permette di salire lungo
la scala che lega i mezzi con i fini.
Ecco dunque che, a partire dal tema contingente della valutazione della ricerca,
sar necessario definire i pi opportuni criteri, i quali per non potranno prescindere
dagli scopi assegnati allattivit di ricerca stessa, i quali a loro volta non potranno
che fare riferimento ai valori e convincimenti di fondo che si ritiene debbano ispirare
lattivit di produzione della conoscenza.
In concreto, il percorso si rovescia e la prima questione da affrontare diventa
quella di esplicitare gli assunti di base che plasmano e informano il modo con cui ci
si avvicina al processo di produzione della conoscenza. Anche se per essere
qualificato scientifico tale processo dovrebbe seguire in modo abbastanza rigido dei
passi ben definiti, non necessariamente vi assoluta identit di vedute intorno a
questo sia pur basilare aspetto.
Le considerazioni che si svolgeranno verteranno cos intorno alla natura della
conoscenza (nelle scienze sociali, nello studio del comportamento umano, nel
management), al rapporto tra rigore nella produzione di conoscenza e sua
utilizzabilit nella pratica, alle conseguenze derivanti dallapplicazione di certi
approcci di management.
In relazione ai punti chiave evidenziati, ci si affider prioritariamente al pensiero
di alcuni autorevoli Autori, di cui si raccoglieranno una serie di proposizioni rispetto
alle quali ci si limiter ad un commento che - a onor del vero - non far altro che
sottolineare quanto ripreso.
Tale modo di procedere, se pu essere criticato per la carenza di originalit, nel
senso che si ricorre alle formulazioni di altri Studiosi, ha se non altro il pregio
dellumilt e della semplicit, evitando di aggiungere inutili complicazioni e
confusioni, spesso generate dallaspirazione ad esprimere con parole proprie concetti
in realt gi enunciati, da altri, non di rado anche in modo migliore.
Questo contributo finisce cos per assomigliare ad una sorta di antologia, magari
non perfettamente organica, ma certo di intensa pregnanza nella sua brevit, che
quantomeno dovrebbe seminare qualche dubbio sulla unilaterale validit della natura
di hard science del management e delle impostazioni quantitative nei relativi studi.

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Va da s, infatti, che nella nostra prospettiva le proposizioni richiamate


sembrano essere di carattere decisivo, nel senso che si ritiene definiscano in modo
molto preciso natura, contenuti, modalit della ricerca in campo manageriale. In
altre parole, qualora le si consideri fondate e corrette, non sembra si possa evitare di
seguire percorsi di ricerca coerenti con esse. In definitiva, ci a nostro avviso
significa che limpostazione pi corretta nella ricerca di management non quella
verso cui si sta andando o quantomeno che essa non la sola possibile, ancorch
presenti esteriormente caratteri di maggiore scientificit.
3. La natura della conoscenza dalle scienze sociali allambito
manageriale
Nel percorso alla ricerca dei caratteri della conoscenza nei diversi ambiti di
nostro interesse incontreremo quattro Autori, un economista svedese premio Nobel
(Gunnar Myrdal), una docente di Business Administration presso la Harvard
Business School (Youngme Moon), uno degli studiosi di management pi influenti
degli ultimi anni (Sumantra Ghoshal) e infine uno psicologo sociale di origine
olandese (Geert Hofstede).
Procedendo dal generale al particolare, nella nostra galleria di Autori di
riferimento ci si imbatte per primo in Gunnar Myrdal - la cui carriera, accademica
prima e politica poi, si sviluppa a cavallo tra gli anni Trenta e Settanta del secolo
scorso - fortemente impegnato a ri-definire lo statuto epistemologico delle scienze
sociali e della scienza economica.
In un agile volume eloquentemente intitolato Lobiettivit nelle scienze sociali.
Lillusione della neutralit della scienza, originariamente pubblicato nel 1969 e
tradotto in italiano nel 1973, egli scrive: La scienza sociale non altro che buon
senso ad un alto grado di elaborazione (Myrdal, 1973, p. 40).
Anche se si comprende come non tutti possano essere daccordo con tale
affermazione, data la sua notevole carica polemica, per anche vero che spesso un
linguaggio specialistico ed una certa formalizzazione dei concetti sono elementi
importanti ai fini della qualificazione come scientifici dei ragionamenti.
Ancora, una scienza sociale disinteressata non mai esistita, e logicamente
non potr mai esistere (Myrdal, 1973, p. 44) e nessuna scienza sociale e nessun
ramo particolare della scienza sociale pu pretendere di qualificarsi come amorale
o apolitica. Nessuna scienza sociale pu mai essere neutrale o semplicemente
fattuale vale a dire oggettiva nel senso tradizionale del termine (Myrdal, 1973,
p. 60).
Ebbene, possibile pensare qualcosa di diverso in relazione alle scienze sociali?
A nostro parere la risposta a questo interrogativo non pu che essere negativa, dato
che esse per definizione non solo - come ovvio - sono portate avanti da persone,
ma si occupano di persone a livello individuale e collettivo.
ragionevole includere le scienze-discipline manageriali tra le scienze sociali o
si ritiene pi corretto inserirle in un dominio diverso, segnatamente tra le scienze

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DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO DI SCIENZE MANAGERIALI?

naturali? ben vero che limpresa e la gestione dimpresa sono entit terze rispetto
agli esseri umani, governate da logiche prevalentemente economiche, ma si pu
serenamente sostenere che siano fenomeni avulsi dalle persone?
Il secondo passaggio del nostro ragionamento tocca non le scienze sociali in
senso ampio, ma il comportamento umano, considerato nella fattispecie dal punto di
vista dello studioso di marketing che si occupa delle scelte e delle azioni delle
persone nella loro veste di consumatori.
Ebbene, Youngme Moon nella parte finale di un recente lavoro sul tema della
differenziazione propone le seguenti affermazioni: nello studio del comportamento
umano, la verit non elusiva, bens liquida. () Per lo studioso accademico,
dunque, il rischio non confondere il vero con il falso, lasciarsi sedurre dallidea
che sia possibile dire qualcosa di risolutivo riguardo a qualunque tema. Perch
quando si tratta del comportamento umano, la verit pi ampia di cos. Quando si
tratta del comportamento umano, la verit un oceano (Moon, 2010, p. 200).
Il management come attivit ha inevitabilmente a che fare con il comportamento
di persone, siano esse dipendenti dellimpresa, fornitori o clienti: su questo non
possono esserci dubbi. Se ci vero, il management come campo di ricerca
scientifica pu sensatamente ignorare la natura elusiva del comportamento delle
persone, vale a dire limpossibilit di modellizzarlo e di definirlo in termini esatti?
Del resto, quante volte una scoperta relativa al comportamento del consumatore
viene contestualizzata, limitata nella sua generalizzabilit, a motivo della sua
ineliminabile specificit?
Ancora pi vicina ai temi qui in discussione la prospettiva di Sumantra
Ghoshal, che ci consente di sviluppare il terzo passaggio sulla natura della
conoscenza arrivando a toccare lambito del management. In un famoso articolo
dedicato agli effetti negativi derivanti dallapplicazione di certe teorie manageriali,
egli sviluppa una disamina piuttosto approfondita dei fondamenti scientifici del
management (Ghoshal, 2005).
In particolare, con riferimento al tema di nostro interesse, egli stigmatizza la
cosiddetta pretesa di conoscenza ovvero leccessiva rivendicazione di verit
basata su analisi parziali e ipotesi irrealistiche e distorte. Respingendo quello che
consideravamo il romanticismo dellanalisi dei comportamenti organizzativi in
termini di scelte, azioni e risultati degli individui, abbiamo adottato lapproccio
scientifico della scoperta di schemi e leggi e abbiamo sostituito tutti i concetti di
intenzionalit umana con una fede incrollabile nel determinismo causale per
spiegare tutti gli aspetti della performance organizzativa. In effetti, abbiamo
insegnato che il business riducibile a un tipo di fisica in cui anche se un singolo
manager vi svolge un ruolo, esso pu facilmente essere considerato come
determinato dalle leggi economiche, sociali e psicologiche che inevitabilmente
plasmano le azioni delle persone (Ghoshal, 2005, p. 53).
Nel management cio impossibile pensare di pervenire ad una conoscenza
oggettiva, alla stessa stregua di quanto avviene in altri campi del sapere. Senza
considerare, peraltro, che anche in questi si stanno sempre pi frequentemente
affacciando dei dubbi sulloggettivit della realt e sulla possibilit da parte della

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scienza di descrivere compiutamente e acquisire una conoscenza esaustiva di tale


realt (Bocchi e Ceruti, 1990).
Ancora una volta, non si vede come si possa non concordare con tale
rappresentazione e come non si debbano trarre le logiche conseguenze sotto il
profilo dei pi opportuni metodi da impiegare nelle ricerche di management.
Da ultimo, Geert Hofstede focalizza in particolare lattenzione sul background
culturale degli studi di management, arrivando per questa via a sottolineare come il
management, lungi dallessere una scienza con i caratteri della generalit e
delluniversalit, sia piuttosto una materia saldamente ancorata allo specifico
contesto di riferimento (Hofstede, 1994).
Rimandando alla versione integrale dellarticolo per una lettura pi completa, ci
si limita qui a riprodurre i titoli di un paio di paragrafi nonch a riportare una
eloquente frase: Cultural relativity of management theories, The influence of
researchers national cultures on research outcomes sono i titoli in questione,
mentre la frase recita: The search for a universal, timeless, worldwide management
science is futile (Hofstede, 1994, p. 12).
Hofstede, come noto, non propone un discorso sul management in astratto, ma
concentra la sua attenzione sulla relazione tra contesto culturale di appartenenza tanto del ricercatore quanto delle aziende oggetto di investigazione - e principi di
management.
Da questo punto di vista, egli (di)mostra ancora una volta limpossibilit di una
scienza manageriale che possieda i requisiti ed i canoni richiesti o pretese di
universalit, generalit, assoluta oggettivit.
In definitiva, le scienze sociali (alle quali il management appartiene) non
possono essere oggettive, lo studio del comportamento delle persone (di cui il
management si occupa) non pu portare alla formulazione di Leggi, il sapere di
management di per s non pu configurarsi come una scienza esatta.
Ma non basta: fosse anche scientifica nel senso stretto del concetto, la
conoscenza in campo manageriale per affetta da un paradosso, che rende meno
lineare e levigato il procedere dei ragionamenti che in materia si possono sviluppare.
Gli studi manageriali - perlomeno quando operano in chiave normativa - cercano
infatti di mettere a punto le conoscenze, le tecniche e le procedure utili per guidare
con efficacia unimpresa. Sistematizzando ci che ha dimostrato di funzionare, esse
cercano di individuare se non delle leggi perlomeno delle ricette.
Siccome per il successo pi solido e duraturo - anche se mai definitivo - va a
chi fa qualcosa di veramente innovativo, sapere ci che ha funzionato in passato s
di aiuto, ma in misura relativa. Su quello che potr avere successo in futuro le
discipline manageriali non sono pertanto in grado di dire nulla di sicuro.
Spesso i risultati migliori sono stati ottenuti proprio quando limpresa andata
contro lo stato dellarte delle conoscenze manageriali e contro ci che lordinaria
logica del business suggeriva. Il segreto del successo, in altri termini, sempre
inafferrabile, almeno finch ci si muove ex ante, che la condizione tipica delle
ricerche di management.

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DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO DI SCIENZE MANAGERIALI?

Google ha avuto successo perch ha fatto esattamente lopposto di quel che


facevano i competitor allepoca del suo ingresso nel settore dei motori di ricerca
online, Le Cirque du Soleil ha avuto successo perch ha completamente ridefinito le
regole dello spettacolo circense, A Bathing Ape ha avuto successo perch non ha
fatto niente per agevolare ed attirare il potenziale acquirente dei propri capi di
abbigliamento (Moon, 2010).
Lessenza della capacit competitiva sta proprio in questo: per riuscire a
conquistare le preferenze e la fiducia dei clienti indispensabile proporre qualcosa
di nuovo e di diverso da quello che fanno le altre imprese, purch ovviamente tale
innovazione incontri o susciti un bisogno espresso o latente nel mercato.
Se dunque la chiave della competitivit dellimpresa sta nel fare qualcosa di
nuovo, per definizione impossibile stabilire a priori quale forma dovr assumere
questo qualcosa di nuovo, che altrimenti non sarebbe tale. Si pu solo affermare che
dovr essere diverso da tutto quello che gi esiste. Si pu quindi dire che cosa non
debba essere, ma non si pu riuscire a pervenire in positivo alla sua univoca
individuazione.
In definitiva, si pu - ed senza dubbio corretto - sottolineare con forza
limportanza per limpresa dellinnovazione; anche possibile dimostrare ex post la
sua efficacia. Ma quando si tratta di indicare in modo pi concreto cosa e come fare
per tradurla nella pratica non si pu fare a meno di rimanere in termini molto
generali.
E in effetti quello che fanno molti approcci teorici che hanno di recente riscosso
un grande consenso proprio evidenziare - di norma con dovizia di esempi - la
necessit di creare arene competitive nuove, beni o servizi in precedenza non
esistenti, forme inedite di costruzione della catena del valore. Quello che per non
riescono certo a fare indicare con sufficiente grado di specificit le linee di azione
da intraprendere.
Le discipline manageriali sono perci costrette a inseguire s stesse perch, una
volta individuati - per via deduttiva o induttiva - comportamenti efficaci, scoprendoli
e codificandoli, in un certo senso ne azzerano o comunque ne riducono il
potenziale.
Si tratta in sostanza di una condizione appunto paradossale: nel momento in cui
si afferma la validit di una certa condotta o di un certo modo di procedere, essa
viene al contempo negata o perlomeno non ne viene assicurata la validit futura.
Certo, la ricerca ed il processo di produzione di conoscenza manageriale possono
aiutare a trovare uniformit e regolarit nei fenomeni economico-aziendali, a
individuare analogie tra situazioni competitive diverse nel tempo e/o nello spazio, a
interpretare le strategie dimpresa, comprendendone antecedenti e conseguenze.
Esse offrono insomma contributi importanti.
La riflessione sul management, quindi, non affatto inutile, tuttaltro.
Quello che inutile - o forse, pi correttamente, poco ragionevole - la pretesa
di pervenire alla formulazione di precise relazioni di causa-effetto tra le variabili, e
di conseguenza alla definizione di una vera e propria scienza del management,
applicando la quale si ritenga possibile ottenere i risultati desiderati.

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Sia consentito infine raccogliere alcuni pensieri riferiti non tanto alloggetto
dellattivit di studio e ricerca, ma al suo soggetto, a chi la conduce.
In altre parole, a prescindere da quello che si pensa con riguardo alla materia,
anche il ricercatore affetto - almeno secondo la visione cui aderiamo - da alcune
debolezze, che lo allontanano dalla rappresentazione che normalmente si d dello
scienziato come figura perfettamente razionale, che si attiene esclusivamente ai
fatti e alla realt oggettiva, privo di sentimenti ed emozioni o comunque di
condizionamenti psicologici o di preferenze valoriali.
Affidiamoci ancora una volta al pensiero di eminenti Studiosi: Le persone
riescono a credere ci che vogliono credere, ci che asseconda gli scopi del
compromesso valutativo che sotteso (Myrdal, 1973, p. 15). E, in modo ancora pi
penetrante, riprendendo Nietzsche Le conclusioni di un pensiero lucido e razionale
non sono altro che riformulazioni dei nostri desideri pi profondi, travestite da frutti
di un ragionamento logico (Edmonds e Warburton, 2009).
Senza entrare nel terreno, alquanto scosceso, della discussione sulla natura
oggettiva o soggettiva della realt, innegabile come qualsiasi ricercatore si avvicini
al proprio campo di interesse con un bagaglio che inevitabilmente lo influenza e lo
porta a vedere e a dare peso ad aspetti diversi in funzione del suo modo di essere e
del percorso di studi compiuto. In sostanza, sembra scarsamente realistico pensare
ad un ricercatore totalmente privo di qualsiasi pattern di lettura della realt e avulso
da influenze di qualsivoglia genere.
E, scendendo al livello ancora pi profondo dei processi cerebrali, tale visione
addirittura confermata dalle pi recenti scoperte. Si leggano al riguardo le
affermazioni di due tra i pi importanti studiosi del funzionamento del cervello. I
sentimenti e le emozioni possono non essere affatto degli intrusi entro le mura della
ragione (); le strategie della ragione umana probabilmente non si sono sviluppate
senza la forza guida di meccanismi di regolazione biologica dei quali emozione e
sentimento sono espressioni notevoli (Damasio, 2005, p. 18). Le emozioni possono
essere considerate vere e proprie funzioni cerebrali e non semplici stati psicologici
(LeDoux, 1998).
Arrivati a questo punto, sembra insomma ci sia sufficiente materiale e sufficienti
evidenze per sostenere con qualche fondamento che lambito di ricerca di quelle che
si possono ora pi correttamente definire discipline manageriali non possa essere
trattato alla stessa stregua di altri campi fenomenici dalle caratteristiche ben diverse
(Rebora, 2007). Certo che le parole sono importanti e che - almeno nella
percezione comune - il temine scienza pesi di pi e valga di pi del termine
disciplina. Usare i termini appropriati, tuttavia, non solo pi corretto, ma
probabilmente anche pi produttivo, dato che evita il vano inseguimento di
irraggiungibili modelli di produzione della conoscenza.
In conclusione, il management e lo studioso di management hanno a nostro
modesto avviso pi a che fare con il dominio delle social sciences e delle humanities
che con quello delle scienze fisiche e naturali. Ci non significa che la produzione di
conoscenza non debba seguire criteri seri e cercare il pi possibile di portare a
risultati affidabili, replicabili, generalizzabili, ma semplicemente che il metodo

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DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO DI SCIENZE MANAGERIALI?

scientifico valido per gli studi di management non possa essere identico a quello
delle scienze hard e soprattutto che non necessariamente tutto ci che non segue
quel canone sia privo di valore e non abbia alcuna dignit di esistere.
4. Il problema rigor - relevance
Con lespressione rigor - relevance gap si intende la distanza che viene ad
esserci tra la correttezza e la validit di una certa teoria sotto il profilo scientifico e
la sua utilizzabilit ed utilit sotto il profilo della pratica manageriale (Starkey e
Madan, 2001).
Anche se una parte degli studiosi di management sostiene che il gap si stia
riducendo (Hodgkinson e Rousseau, 2009), altri sono dellavviso opposto, e anzi
ritengono che esso non possa venire strutturalmente colmato, a causa della
ineliminabile diversit tra i sistemi della scienza e del business (Kieser e Leiner,
2009).
In via di superamento o insuperabile che sia, una certa distanza al momento
comunque permane. Lidea che esista un trade-off tra (elevato) rigore scientifico, da
una parte, e (elevata) rilevanza per la pratica, dallaltra, dunque ancora attuale. O si
in presenza di una buona teoria o si in presenza di buone strategie di azione.
Luna esclude laltra, perch ciascuna di esse risponde a criteri di validit differenti.
La produzione di conoscenza deve soddisfare il requisito della verit, la gestione
delle imprese deve rispondere al requisito dellefficacia.
Gli studiosi formulano le teorie, che sono valide sulla base dei criteri condivisi
allinterno della comunit accademica, non di rado affette - come da pi parti
insistentemente si sostiene - da una innegabile auto-referenzialit. Il risultato che
esse di frequente nullo o scarso impatto esercitano sul lavoro quotidiano dei
manager, i quali agiscono sulla base delle loro conoscenze, credenze e esperienze, in
gran parte ignari del, e disinteressati al, patrimonio di conoscenza accumulato nei
centri di ricerca.
Con riferimento specifico allambito del marketing, ad esempio, vi chi rileva
come paradossalmente la letteratura scientifica sia pi production-oriented che
marketing-oriented, vale a dire pi interessata a produrre una conoscenza utile per
gli scopi accademici che per gli operatori aziendali (November, 2008).
Si tratta di un problema oggi pi che mai attuale, nonostante i lodevoli e talvolta
efficaci tentativi di ridurre la divaricazione e la scarsa comunicazione tra il mondo
della ricerca (accademica) e il mondo delle imprese reali. Spesso sembra che
studiosi e manager, pur operando sulla medesima realt e di tanto in tanto
utilizzando anche linguaggi simili, quando ritornano nei rispettivi domini riprendano
ad agire in una condizione di reciproca ignoranza. Teoria e pratica sembrano alla
fine essere due mondi diversi, in viaggio su binari paralleli.
La divisione del lavoro e la conseguente specializzazione, la
professionalizzazione, lorgoglio e la rispettabilit accademica sono forze potenti,
che agiscono nel senso di rendere pi difficile - in tutti i campi, a dire il vero, non

FEDERICO BRUNETTI

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solo in quello manageriale - leclettismo, la transdisciplinarit, il dilettantismo (nel


senso di diletto). questa unepoca in cui tendono a prevalere il pensiero verticale,
lisolamento reciproco, lipertecnicismo.
Con le parole di un celebre studioso di management, So, the field our
generation grew up with and inherited had the goal of developing knowledge about
organizations and their members, which would improve the practice of management.
() This view about the importance of practical knowledge () has been replaced
by a new paradigm that contrasts starkly with the earlier one. Instead of focusing on
the development of useful knowledge (), the new paradigm places the emphasis
on the goal of developing general theory for its own sake and without concern for its
relevance. Instead of encouraging multidisciplinary research, the new paradigm
encourages an emphasis on single disciplines. Rather than encouraging pluralistic
research methods, the new paradigm glorifies research methodology, which can be
analyzed using the latest and most powerful mathematical and statistical tools, and
of course, the computer (Lorsch, 2009, p. 109-110).
In realt, quella di management dovrebbe essere una ricerca che produce
conoscenza utile a fini pratici (Rullani, 1989) o che comunque funge da stimolo alla
creativit imprenditoriale. Gli studi di management, in altre parole, hanno senso solo
in quanto spiegano le ragioni che portano le imprese a posizioni di vantaggio
competitivo e aiutano i decisori aziendali a formulare scelte pi efficaci o aprono
nuove prospettive di pensiero che portano - magari dopo un certo periodo di tempo ad innovazioni nellofferta.
Nel tempo, si invece creata una dissociazione, che osservata con un minimo di
distacco appare sorprendente. Cercando di superare un complesso di inferiorit di
secondo grado - quello della scienza economica nei confronti delle scienze naturali e
quello della s-dicente scienza manageriale nei confronti della scienza economica gli studi manageriali hanno finito per isolarsi dalla realt delle aziende, che difatti si
muovono e agiscono ignorando nei fatti la sia pure enorme mole di conoscenza
contenuta nelle migliaia di articoli pubblicati ogni anno nelle centinaia di riviste di
argomento manageriale (Dholakia, 1988).
A titolo di testimonianza aneddotica di quanto detto, si provi a sottoporre alla
lettura di un qualsiasi imprenditore o manager i titoli di alcuni lavori pubblicati nelle
pi accreditate riviste di management. Noi abbiamo scelto An Exact Algorithm for
Finding Extreme Supported Nondominated Points of Multiobjective Mixed Integer
Programs (zpeynirci e Kksalan, 2010) o The effect of within-industry
diversification on firm performance: synergy creation, multi-market contact and
market structuration (Li e Greenwood, 2004).
Pochissimi decisori aziendali del mondo reale possono sensatamente ricavare da
tali lavori indicazioni utili per la gestione del proprio business. Le critiche di
autoreferenzialit, spesso mosse alla produzione di conoscenza in ambito
universitario, non sembrano alla luce di queste sia pur modeste prove del tutto prive
di fondamento.
vero naturalmente che esistono diversi tipi di ricerca, e che gli articoli di cui
sopra probabilmente si avvicinano di pi a quella che si pu definire ricerca di base

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DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO DI SCIENZE MANAGERIALI?

piuttosto che applicata. Come pure vero che esistono diverse impostazioni e anche
diverse riviste, che si avvicinano di pi al mondo degli operatori, come ad esempio
Harvard Business Review o Business Horizons.
Tuttavia la sensazione che, specialmente allinterno della comunit accademica,
la conoscenza vera sia ritenuta solamente quella che risponde ai canoni della
formalizzazione matematica e che ci si possa disinteressare della sua valenza
applicativa ben fondata e risulta difficile da scalfire (November, 2008).
A nostro modo di vedere, invece, la complessit e lambiguit del mondo di oggi
rendono sempre pi necessaria lintelligenza, ovvero la capacit di leggere dentro
(intus legere) i fenomeni (Baccarani, 2010), e altre capacit soft come lintuizione
(Gigerenzer, 2009), il pensiero complesso (Martinet, 1993) e lempatia (Goleman,
2001).
A questa, che laccezione comunemente intesa della questione rigor relevance, se ne pu a nostro avviso aggiungere unaltra. Relevance, infatti, pu
significare utilizzabilit da parte dei practitioner, ma anche importanza sotto il
profilo del peso degli argomenti trattati (Bartunek et al., 2006). In questo senso, il
gap tra rigor e relevance ha a che vedere pi con la pregnanza delle questioni di cui
i ricercatori si occupano che con la correttezza della metodologia seguita.
Questo gap si osserva anche nella ricerca manageriale, che spesso soffre di un
eccesso di focalizzazione e di specializzazione su temi molto ristretti, secondo un
approccio riduzionistico che porta talvolta a perdere la visione e il senso dinsieme
dei fenomeni oggetto di indagine.
Soccorre, al riguardo, lennesima citazione, che bene esprime la sostanza del
nostro pensiero: approximate answers to important problems or issues are just as
useful (if not more useful) than precise answers to wrong, well-defined, narrow
problems (Raju, 2005, p. 18) o comunque anche a problemi non necessariamente
errati ma scarsamente significativi.
In altri termini, vero che la misurazione, la quantificazione, la precisione sono
importanti, ma altrettanto vero che la ricerca in campo manageriale dovrebbe
occuparsi di questioni di un qualche significato, sia a livello aziendale che a livello
delle relazioni tra impresa e mercato e tra impresa e comunit.
Da questo punto di vista, un problema pu essere ravvisato in quella che si pu
definire la tirannia del numero. Questo significa che il fascino esercitato dal
numero, ed il senso di (apparente) sicurezza che il ricorso ad esso d, possono
portare a dare meno valore allinterpretazione ed alla comprensione dei fenomeni
(Baccarani, 2005; Martin, 2011).
Infatti, se prestiamo attenzione soltanto alle cose che possiamo misurare,
presteremo attenzione soltanto a quelle facilmente misurabili. E nel frattempo, ce ne
perderemo molte altre (Moon, 2010, p. 213), che come dire - ricorrendo ad un
celebre aforisma di Albert Einstein - Not everything that counts can be counted,
and not everything that can be counted counts.
Una variante del rigor - relevance gap e della tirannia del numero pu essere
qualificata come dimostrazione dellovvio. Spesso infatti capita di leggere
contributi molto ben costruiti e metodologicamente ineccepibili, il cui preponderante

FEDERICO BRUNETTI

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apporto consiste nel dare dimostrazione quantitativa di relazioni causali gi


ampiamente sostenute dal senso comune.
Ora, vero che il senso comune una categoria logica che non dovrebbe trovare
molto spazio nei ragionamenti di metodologia della ricerca, ma altrettanto vero che
un reale progresso di conoscenza e di comprensione non si ottiene semplicemente
fornendo una misurazione di relazioni tra variabili gi dettate dalla logica.
In un recente articolo, ad esempio, si sostiene con dovizia di cifre come
lavversione degli individui allincertezza porti a preferire le marche pi consolidate:
ambiguity aversion, as introduced in the literature on decision making under
uncertainty, drives a preference for established brand in multiattribute choices
among branded alternatives (Muthukrishnan, et al., 2009, p. 1933). Senza togliere
valore allanalisi condotta, sia concesso osservare come sembri abbastanza evidente
che, preferendo non correre rischi, le persone scelgano la marca pi consolidata, che
oltretutto, altrimenti, non sarebbe tale. Quale , in tutta onest, il beneficio che si
pu ricavare da una conoscenza di tal fatta?
Ancora, in un articolo anchesso recente sul sabotaggio del servizio da parte dei
dipendenti si propone la verifica di ipotesi quali The greater employees
perceptions of surveillance during service, the lower is the likelihood of service
sabotage o The greater employees perceptions of cultural control over frontline
employees, the lower is the likelihood of service sabotage (Harris e Ogbonna,
2006). Anche in questo caso si pu osservare come il valore della positiva verifica
di tali ipotesi non possa che stare nella loro esatta determinazione dato che, sul piano
della significativit, non possono che essere gi largamente condivisibili.
Azzardiamo, in conclusione di paragrafo, una lettura che dia conto della quasi
irresistibile attrazione da parte dei cultori delle materie manageriali - rintracciabili
tanto tra gli studiosi quanto tra gli operatori secondo una proporzione che non siamo
per in grado di indicare - per il mondo delle quantit, dei numeri, delle misurazioni
esatte.
Tale attrazione forse dettata dal fatto che, indiscutibilmente, nelleconomia e
nelleconomia dellimpresa i numeri ci sono e pesano molto. Basti pensare a come
una variazione di un mezzo punto percentuale del tasso dei titoli di stato o del valore
a preventivo o a consuntivo della redditivit trimestrale di una corporation quotata
in borsa producano effetti rilevanti o comunque siano ritenuti la ragione che
giustifica una serie di eventi successivi anche piuttosto considerevoli.
Il numero e la misurabilit, peraltro sempre relativa, fanno per scattare un
meccanismo mentale - una sorta di riflesso automatico, quasi una specie di trappola
cognitiva - che porta a ritenere di dover inserire leconomia e leconomia
dellimpresa nel dominio delle scienze esatte. Siccome, cio, si ha a che fare con
numeri, si indotti a pensare che le logiche da applicare siano quelle delle scienze
esatte. Purtroppo (o per fortuna), per, cos non - almeno per leconomia dimpresa
- dato che non basta la presenza dei numeri e della misurabilit di certe grandezze
economiche, o di azienda, per ridurre la gestione dellimpresa ad una questione
meramente quantitativa.

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DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO DI SCIENZE MANAGERIALI?

5. Teorie manageriali buone vs. teorie manageriali cattive


Volendo spingersi ancora pi oltre, esiste un ulteriore aspetto che sinora non
stato qui considerato, ma che certo non meno rilevante, anzi. Si tratta delle
implicazioni, etiche ma anche pratiche, derivanti dalle diverse concezioni della
ricerca in campo manageriale.
Parlare di teorie manageriali buone in contrapposizione a teorie manageriali
cattive introduce, in un discorso centrato prevalentemente sullepistemologia e
sulla metodologia degli studi manageriali, criteri di natura diversa.
In questo caso la questione diventa non tanto quella della natura della
conoscenza in ambito manageriale e del grado di verit delle relative teorie, ma
piuttosto quella degli effetti che esse sono in grado di produrre. Il modo di fare
ricerca in campo manageriale, e le teorie manageriali che ne derivano, trasmettono
infatti ai decisori aziendali idee, concezioni e credenze, e queste a loro volta
evidentemente si traducono, sia pure attraverso diversi passaggi successivi, in
conseguenze nei comportamenti sul campo delle imprese.
Ora, ben vero che in precedenza si rilevata lesistenza di una netta
separazione tra teoria e pratica in campo manageriale. Ma toccare questo punto torna
forse utile proprio per introdurre la distinzione tra studi manageriali pi teorici e
astratti e una letteratura manageriale - poco interessata magari al rispetto dei criteri
di scientificit o anche di coerenza - che comunque influenza la business community.
Quello degli effetti delle teorie manageriali non un tema che si pu e vuole
sviscerare a fondo nel presente lavoro, dato che tale compito porterebbe troppo
lontano. Nello stesso tempo, per, riteniamo giusto fare almeno un accenno, proprio
per limpatto che tali concezioni hanno mostrato di esercitare.
Da questo punto di vista, vi sono alcuni dati di fatto che non si possono
trascurare. Capitalismo, impresa, management sono oggi come oggi istituzioni
pesantemente sotto accusa. Il ventaglio dei riferimenti disponibili a sostegno di tale
affermazione davvero ampio e lunico problema casomai dato dallimbarazzo
della scelta.
Ricorrendo per lennesima volta alle parole di una significativa Autrice, gi
docente di Business Administration presso la Harvard Business School, si possono
leggere frasi come: I have come to believe that much of what my colleagues and I
taught has caused real suffering, suppressed wealth creation, destabilized the world
economy, and accelerated the demise of the 20th century capitalism in which the
U.S. played the leading role. () We managed to produce a generation of
managers and business professionals that is deeply mistrusted and despised by a
majority of people in our society and around the world. This is a terrible failure
(Zuboff, 2009).
Dello stesso tenore, anche se venate da un minore senso di autocritica, sono le
parole di Sumantra Ghoshal, secondo il quale si verificata una incorporazione a
livello mondiale di un corpo di idee e assunzioni che sono arrivate a dominare la
ricerca manageriale. Pi specificamente, avanzo lipotesi che diffondendo teorie
ispirate ideologicamente a teorie amorali, le business school hanno liberato

FEDERICO BRUNETTI

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direttamente i loro studenti da qualsiasi senso di responsabilit morale (Ghoshal,


2005, p. 52).
Addirittura Michael Porter, gi paladino della ricerca del vantaggio competitivo,
in chiave profit, sembra essersi di recente convertito, sostenendo la necessit di un
deciso cambio di rotta del sistema capitalistico. La direzione indicata da Porter
quella dello shared value ovvero di una connessione tra progresso economico e
progresso sociale, non pi passi distinti - e spesso distanti - del cammino delle
imprese, ma nuovo modo di procedere che combina intimamente le due prospettive
(Porter e Kramer, 2011). Per scrupolo di precisione, opportuno segnalare che si
inteso fare riferimento a questo contributo non tanto per la sua novit o per la
pregnanza delle argomentazioni da esso addotte, quanto per lo scalpore suscitato dal
fatto che proprio un autore come Porter mostri un cambio di posizione tanto netto.
Anche nel contesto italiano non mancano le voci critiche. Tra le tante, si scelto
di riprendere quella di Francesco Varanini, ribadendo peraltro la numerosit e
variet dei contributi in materia (Gallino, 2005, 2011; Rossi, 2008; Ruffolo, 2008).
In un recente volume, eloquentemente intitolato Contro il management, egli si
scaglia in particolare contro legemonia della finanza speculativa alle cui logiche
limpresa, la sua gestione e le sue persone vengono piegate con conseguenze
estremamente nocive (Varanini, 2010).
Per non contravvenire alle intenzioni poco pi sopra dichiarate, assolutamente
necessario fermarci qui, non senza in conclusione avere ricordato che il filone critico
nei confronti di capitalismo, impresa e management assai pi ricco e vasto,
sopravanzando senza dubbio - ma logico che sia cos - il numero di coloro che si
esprimono con accenti favorevoli alle attuali modalit di funzionamento dei mercati,
delle organizzazioni produttive, delle strategie dimpresa.
Ci che in definitiva interessa esplicitare il dubbio che, dietro ai comportamenti
manageriali pi spregiudicati, vi siano le concezioni di management pi vicine a
quelle che stanno prendendo il sopravvento ora. In altre parole, il parallelo che si
vuole adombrare quella tra management come scienza, oggettiva, rigorosa,
misurabile ed esatta e management come modello di gestione che prescinde dalle
persone coinvolte, basato sulla meccanica applicazione di precise regole di
condotta, guidato esclusivamente da criteri e valori economico-finanziari.
Lidea che le imprese si siano spinte troppo in l e che abbiano potuto fare
questo sostenute anche da teorie manageriali eccessivamente riduzioniste (incapaci
di vedere il quadro complessivo), tecniche (comprensibili solo da esperti) e
quantitative (tali da apprezzare solo ci che misurabile) non sembra peregrina e, in
ultima analisi, aggiunge un ulteriore elemento di criticit - di carattere diverso, come
detto - alladozione delle nuove concezioni nella ricerca manageriale.
Limpostazione tradizionale degli studi di management, invece, sembra
racchiudere rischi minori di portare a quegli esiti oggi cos intensamente
stigmatizzati. Se infatti il management viene considerato una disciplina e non una
scienza, meno oggettiva, assoluta e generale ma pi soggettiva, contestuale e
contingente, in cui si cerca pi di capire e spiegare che di misurare e calcolare,
probabile che i manager stessi si sentano meno legittimati nelladozione di certi

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DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO DI SCIENZE MANAGERIALI?

comportamenti e anche meno sicuri dellottenimento di certi risultati. Tutto ci


chiama evidentemente in causa lanello di congiunzione tra la dimensione della
ricerca e della pratica aziendale, ovvero la didattica delle discipline manageriali,
cos come si svolge nelle facolt universitarie e soprattutto nelle business schools
(Bennis e OToole, 2005). Nella misura in cui linsegnamento segue limpostazione
vigente nella sfera della ricerca, naturale infatti che i manager escano da questi
istituti di formazione con unimpronta ben definita.
Su basi del genere, non illogico pensare che i manager siano eccessivamente
deterministici, quantitativi, affetti da una visione tunnel (Seabright, 2005)
focalizzata quasi esclusivamente sui risultati economico-finanziari.
Se questo modo di vedere fosse confermato, ci significherebbe che le nuove
impostazioni nella ricerca manageriale non solo possono essere messe in discussione
sotto il profilo epistemologico, ma anche - elemento forse ancora pi negativo - che
possono essere in grado di pregiudicare gli esiti derivanti dal funzionamento di
quella straordinaria forza propulsiva per il progresso dellumanit che limpresa.
Da sempre, peraltro, parallelamente allaffermazione della scienza e alla sua
progressiva separazione come sfera di attivit che deve rispondere solo a s stessa ci che ha consentito enormi avanzamenti in tutti gli ambiti dellesistenza umana
individuale e collettiva - si registra la presenza di una corrente che cerca invece di
vedere lesperienza umana secondo una prospettiva maggiormente unitaria e
integrata (Panati, 1998). Oggi, accanto alla logica di separazione che non cessa di
persistere, la spinta verso una riconciliazione tra cultura scientifica e cultura
umanistica si va facendo pi forte. Ne sono testimonianza, tra gli altri, intellettuali
come John Brockman, con il suo approccio della Third Culture, come Hans Magnus
Enzensberger o come Edgar Morin, autori rispettivamente degli stimolanti Gli elisir
della scienza e I sette saperi necessari alleducazione del futuro. Anche il mondo
delle business school mostra segnali in questa direzione, due tra tutte la
Management School dellErasmus University di Rotterdam e la Sloan School of
Management del M.I.T., che contaminano le materie tecniche con corsi o seminari
sulla filosofia, larte, la letteratura, il cinema, la musica. Semplificando un quadro
che evidentemente molto pi variegato, tutte queste evidenze avvalorano la
necessit di una maggiore convergenza tra le technicalities e le humanities e, nello
stesso tempo, provano la bont dellidea.
In questo processo di confluenza - o, in modo meno impegnativo, di coesistenza
tra visione hard e visione soft delle scienze-discipline manageriali - alcune parole
che pare opportuno non smarrire allora diventano: intelligenza, profondit,
interpretazione, riflessivit, approccio critico, non conformismo, ecletticit.
Anzich perci cercare di misurare con esattezza relazioni causali pi o meno
ovvie, rincorrere la conoscenza totale di una porzione insignificante di realt,
provare a fabbricare pillole di scienza perfette ma inservibili, a nostro modo di
vedere senzaltro pi utile fornire materiali per aiutare la comprensione profonda
dei fenomeni, plasmare la conventional wisdom manageriale, alimentare i
managerial beliefs pi corretti che poi gli executive in carne ed ossa applicheranno
nel proprio lavoro.

FEDERICO BRUNETTI

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In conclusione, speriamo vivamente di essere riusciti a motivare a sufficienza le


ragioni per preferire negli studi di management limpostazione che per comodit
definiamo tradizionale o, pi correttamente, per non sbarazzarsene del tutto, in modo
sbrigativo e superficiale.
Se non siamo riusciti nel nostro intento, come di prammatica, la responsabilit
da addebitare unicamente allAutore di queste pagine. Ma se labbracciare le nuove
impostazioni dettato solamente dalla paura di non apparire abbastanza up to date o
dallacritico appiattirsi a quello che sembra un inevitabile destino, accettiamo - sia
pure a malincuore - di venire bollati come conservatori o sorpassati.
Del resto, il concetto di virt dellarretratezza era gi stato introdotto qualche
tempo fa da Enzo Rullani, sia pure con riferimento al sistema produttivo italiano.
Che cosa significa questo curioso ossimoro? Significa che non sempre il ritardo
nelladeguarsi ad un cambiamento negativo. In primo luogo, perch i cicli di
cambiamento sono cos rapidi e si susseguono cos velocemente che il traguardo si
sposta continuamente in avanti. In secondo luogo, soprattutto perch non sempre
detto che il cambiamento porti ad un miglioramento delle condizioni in essere
nellambito in cui esso si manifesta. Alle volte, quindi, restare indietro pu voler
dire non avanzare sulla strada sbagliata.
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DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO DI SCIENZE MANAGERIALI?

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