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di scienze manageriali?
FEDERICO BRUNETTI*
Abstract
Gli studi di management in Italia stanno vivendo oggi una fase di passaggio da
impostazioni metodologiche tradizionali a impostazioni pi in linea con i modelli di ricerca
prevalenti a livello internazionale, soprattutto nel mondo anglosassone.
Nella consapevolezza della inevitabilit di tale passaggio, con questo lavoro ci si propone
di alimentare la discussione intorno alla sua validit e opportunit.
Basandoci sul pensiero di autorevoli Studiosi in tema di natura della conoscenza (nelle
scienze sociali, nello studio del comportamento umano e nel management) e di rigorrelevance gap, si argomenta a sostegno di una visione secondo cui nella ricerca in ambito
manageriale il metodo scientifico non debba necessariamente essere identico a quello
utilizzato in altri campi del sapere.
Da ultimo, viene preso in considerazione anche il tema delle conseguenze derivanti
dalladozione di certe impostazioni di ricerca, aggiungendo da questo punto di vista un
ulteriore elemento di criticit di natura etica a tali impostazioni.
Parole chiave: epistemologia; metodologia; scienze manageriali; discipline manageriali;
rigor-relevance gap; good vs. bad management theories
Studies in the field of management in Italy are experiencing nowadays a shift from
traditional methodologies to research strategies and models more aligned with those
prevailing in an international context, namely in the anglosaxon world.
Fully aware of such a shifts helplessness, this paper aims at bringing a contribution to
the debate about its validity and necessity.
Drawing on the writings of authoritative Scholars who worked on the nature of
knowledge (in social sciences, in the study of human behaviour, in management) and on the
rigor-relevance issue, it is argued that in management research the scientific method should
not necessarily be the same as that applicable in different knowledge domains.
Finally, the issue of the consequences coming from the adoption of the non-traditional
research strategies and models is considered. From this point of view, a further concern
ethical in nature - is emerging as a critical element.
Key words: epistemology; methodology; management science; management disciplines;
rigor-relevance gap; good vs. bad management theories
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rilevare in molti dei lavori che le impiegano. In altre parole, spesso a creare disagio
piuttosto la modestia sostanziale dei risultati che vengono presentati, tanto pi a
fronte della estrema sofisticazione delle tecniche matematiche e statistiche utilizzate
(Monieson, 1988).
Comunque la si pensi sulla nostra maggiore o minore somiglianza con il furbo
predatore, ci si sente perci legittimati ad esprimere alcuni dubbi e perplessit in
merito alle nuove impostazioni destinate - come tutto induce a pensare - ad una
definitiva affermazione.
Esaurite finalmente le premesse, che per la loro pregnanza stavano per molto a
cuore, con questo lavoro ci si propone di contribuire al dibattito, dando voce ad una
posizione di pensiero critico circa la direzione dellevoluzione in corso. O, se non
radicalmente critico, sicuramente ispirato ad una certa prudenza, piuttosto che
intrappolato nella sterile tirannia di una scelta dicotomica tra i poli estremi di un
acritico entusiasmo o di una rassegnata accettazione.
Anche se piuttosto importanti, non ci si occuper invece qui dei riflessi di tale
cambiamento sui sistemi di valutazione della ricerca e di conseguenza sui concorsi e
sulle progressioni di carriera dei ricercatori, preferendo concentrare lattenzione
esclusivamente sugli aspetti sostanziali.
Ancora una volta vale pena di essere il pi possibile trasparenti: non si tratta di
rifiutare a priori e in blocco le nuove impostazioni, ma di esaminarle, valutarne
attentamente pro e contro ed esprimere gli argomenti a sostegno della propria
posizione. Niente di pi, niente di meno.
Naturalmente non si tratta nemmeno di una romantica ed eroica difesa del buon
tempo andato fine a s stessa. Sebbene a taluno possa senzaltro risultare tale, in
origine tutto parte da una autentica e sincera adesione a un approccio di ricerca
ritenuto pi coerente con il genere di fenomeni sotto indagine (e con la condizione
soggettiva sopra tratteggiata).
Tale approccio senza dubbio minoritario a livello internazionale, e lo sta
rapidamente diventando anche a livello nazionale, dato che la globalizzazione ha
inevitabilmente investito anche il campo della produzione e diffusione di
conoscenza.
E allora sorge spontaneo chiedersi: per quali motivi impegnarsi in quella che si
sa gi essere una battaglia persa? In primo luogo, perch perdere una tradizione
culturale e di ricerca difficilmente rappresenta un arricchimento, e poi per evitare
legemonia del pensiero unico e assicurare un livello minimo di dialettica al
confronto tra i diversi approcci. E infine, ed questa la ragione determinante, perch
si fermamente convinti della sua validit.
2. Cenni metodologici
Questo lavoro non ha pretese di sistematicit n di esaustivit. Piuttosto, intende
offrire al dibattito alcuni spunti di riflessione in una logica di second opinion, ovvero
di pensiero alternativo rispetto alla corrente di pensiero principale. La second
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naturali? ben vero che limpresa e la gestione dimpresa sono entit terze rispetto
agli esseri umani, governate da logiche prevalentemente economiche, ma si pu
serenamente sostenere che siano fenomeni avulsi dalle persone?
Il secondo passaggio del nostro ragionamento tocca non le scienze sociali in
senso ampio, ma il comportamento umano, considerato nella fattispecie dal punto di
vista dello studioso di marketing che si occupa delle scelte e delle azioni delle
persone nella loro veste di consumatori.
Ebbene, Youngme Moon nella parte finale di un recente lavoro sul tema della
differenziazione propone le seguenti affermazioni: nello studio del comportamento
umano, la verit non elusiva, bens liquida. () Per lo studioso accademico,
dunque, il rischio non confondere il vero con il falso, lasciarsi sedurre dallidea
che sia possibile dire qualcosa di risolutivo riguardo a qualunque tema. Perch
quando si tratta del comportamento umano, la verit pi ampia di cos. Quando si
tratta del comportamento umano, la verit un oceano (Moon, 2010, p. 200).
Il management come attivit ha inevitabilmente a che fare con il comportamento
di persone, siano esse dipendenti dellimpresa, fornitori o clienti: su questo non
possono esserci dubbi. Se ci vero, il management come campo di ricerca
scientifica pu sensatamente ignorare la natura elusiva del comportamento delle
persone, vale a dire limpossibilit di modellizzarlo e di definirlo in termini esatti?
Del resto, quante volte una scoperta relativa al comportamento del consumatore
viene contestualizzata, limitata nella sua generalizzabilit, a motivo della sua
ineliminabile specificit?
Ancora pi vicina ai temi qui in discussione la prospettiva di Sumantra
Ghoshal, che ci consente di sviluppare il terzo passaggio sulla natura della
conoscenza arrivando a toccare lambito del management. In un famoso articolo
dedicato agli effetti negativi derivanti dallapplicazione di certe teorie manageriali,
egli sviluppa una disamina piuttosto approfondita dei fondamenti scientifici del
management (Ghoshal, 2005).
In particolare, con riferimento al tema di nostro interesse, egli stigmatizza la
cosiddetta pretesa di conoscenza ovvero leccessiva rivendicazione di verit
basata su analisi parziali e ipotesi irrealistiche e distorte. Respingendo quello che
consideravamo il romanticismo dellanalisi dei comportamenti organizzativi in
termini di scelte, azioni e risultati degli individui, abbiamo adottato lapproccio
scientifico della scoperta di schemi e leggi e abbiamo sostituito tutti i concetti di
intenzionalit umana con una fede incrollabile nel determinismo causale per
spiegare tutti gli aspetti della performance organizzativa. In effetti, abbiamo
insegnato che il business riducibile a un tipo di fisica in cui anche se un singolo
manager vi svolge un ruolo, esso pu facilmente essere considerato come
determinato dalle leggi economiche, sociali e psicologiche che inevitabilmente
plasmano le azioni delle persone (Ghoshal, 2005, p. 53).
Nel management cio impossibile pensare di pervenire ad una conoscenza
oggettiva, alla stessa stregua di quanto avviene in altri campi del sapere. Senza
considerare, peraltro, che anche in questi si stanno sempre pi frequentemente
affacciando dei dubbi sulloggettivit della realt e sulla possibilit da parte della
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Sia consentito infine raccogliere alcuni pensieri riferiti non tanto alloggetto
dellattivit di studio e ricerca, ma al suo soggetto, a chi la conduce.
In altre parole, a prescindere da quello che si pensa con riguardo alla materia,
anche il ricercatore affetto - almeno secondo la visione cui aderiamo - da alcune
debolezze, che lo allontanano dalla rappresentazione che normalmente si d dello
scienziato come figura perfettamente razionale, che si attiene esclusivamente ai
fatti e alla realt oggettiva, privo di sentimenti ed emozioni o comunque di
condizionamenti psicologici o di preferenze valoriali.
Affidiamoci ancora una volta al pensiero di eminenti Studiosi: Le persone
riescono a credere ci che vogliono credere, ci che asseconda gli scopi del
compromesso valutativo che sotteso (Myrdal, 1973, p. 15). E, in modo ancora pi
penetrante, riprendendo Nietzsche Le conclusioni di un pensiero lucido e razionale
non sono altro che riformulazioni dei nostri desideri pi profondi, travestite da frutti
di un ragionamento logico (Edmonds e Warburton, 2009).
Senza entrare nel terreno, alquanto scosceso, della discussione sulla natura
oggettiva o soggettiva della realt, innegabile come qualsiasi ricercatore si avvicini
al proprio campo di interesse con un bagaglio che inevitabilmente lo influenza e lo
porta a vedere e a dare peso ad aspetti diversi in funzione del suo modo di essere e
del percorso di studi compiuto. In sostanza, sembra scarsamente realistico pensare
ad un ricercatore totalmente privo di qualsiasi pattern di lettura della realt e avulso
da influenze di qualsivoglia genere.
E, scendendo al livello ancora pi profondo dei processi cerebrali, tale visione
addirittura confermata dalle pi recenti scoperte. Si leggano al riguardo le
affermazioni di due tra i pi importanti studiosi del funzionamento del cervello. I
sentimenti e le emozioni possono non essere affatto degli intrusi entro le mura della
ragione (); le strategie della ragione umana probabilmente non si sono sviluppate
senza la forza guida di meccanismi di regolazione biologica dei quali emozione e
sentimento sono espressioni notevoli (Damasio, 2005, p. 18). Le emozioni possono
essere considerate vere e proprie funzioni cerebrali e non semplici stati psicologici
(LeDoux, 1998).
Arrivati a questo punto, sembra insomma ci sia sufficiente materiale e sufficienti
evidenze per sostenere con qualche fondamento che lambito di ricerca di quelle che
si possono ora pi correttamente definire discipline manageriali non possa essere
trattato alla stessa stregua di altri campi fenomenici dalle caratteristiche ben diverse
(Rebora, 2007). Certo che le parole sono importanti e che - almeno nella
percezione comune - il temine scienza pesi di pi e valga di pi del termine
disciplina. Usare i termini appropriati, tuttavia, non solo pi corretto, ma
probabilmente anche pi produttivo, dato che evita il vano inseguimento di
irraggiungibili modelli di produzione della conoscenza.
In conclusione, il management e lo studioso di management hanno a nostro
modesto avviso pi a che fare con il dominio delle social sciences e delle humanities
che con quello delle scienze fisiche e naturali. Ci non significa che la produzione di
conoscenza non debba seguire criteri seri e cercare il pi possibile di portare a
risultati affidabili, replicabili, generalizzabili, ma semplicemente che il metodo
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scientifico valido per gli studi di management non possa essere identico a quello
delle scienze hard e soprattutto che non necessariamente tutto ci che non segue
quel canone sia privo di valore e non abbia alcuna dignit di esistere.
4. Il problema rigor - relevance
Con lespressione rigor - relevance gap si intende la distanza che viene ad
esserci tra la correttezza e la validit di una certa teoria sotto il profilo scientifico e
la sua utilizzabilit ed utilit sotto il profilo della pratica manageriale (Starkey e
Madan, 2001).
Anche se una parte degli studiosi di management sostiene che il gap si stia
riducendo (Hodgkinson e Rousseau, 2009), altri sono dellavviso opposto, e anzi
ritengono che esso non possa venire strutturalmente colmato, a causa della
ineliminabile diversit tra i sistemi della scienza e del business (Kieser e Leiner,
2009).
In via di superamento o insuperabile che sia, una certa distanza al momento
comunque permane. Lidea che esista un trade-off tra (elevato) rigore scientifico, da
una parte, e (elevata) rilevanza per la pratica, dallaltra, dunque ancora attuale. O si
in presenza di una buona teoria o si in presenza di buone strategie di azione.
Luna esclude laltra, perch ciascuna di esse risponde a criteri di validit differenti.
La produzione di conoscenza deve soddisfare il requisito della verit, la gestione
delle imprese deve rispondere al requisito dellefficacia.
Gli studiosi formulano le teorie, che sono valide sulla base dei criteri condivisi
allinterno della comunit accademica, non di rado affette - come da pi parti
insistentemente si sostiene - da una innegabile auto-referenzialit. Il risultato che
esse di frequente nullo o scarso impatto esercitano sul lavoro quotidiano dei
manager, i quali agiscono sulla base delle loro conoscenze, credenze e esperienze, in
gran parte ignari del, e disinteressati al, patrimonio di conoscenza accumulato nei
centri di ricerca.
Con riferimento specifico allambito del marketing, ad esempio, vi chi rileva
come paradossalmente la letteratura scientifica sia pi production-oriented che
marketing-oriented, vale a dire pi interessata a produrre una conoscenza utile per
gli scopi accademici che per gli operatori aziendali (November, 2008).
Si tratta di un problema oggi pi che mai attuale, nonostante i lodevoli e talvolta
efficaci tentativi di ridurre la divaricazione e la scarsa comunicazione tra il mondo
della ricerca (accademica) e il mondo delle imprese reali. Spesso sembra che
studiosi e manager, pur operando sulla medesima realt e di tanto in tanto
utilizzando anche linguaggi simili, quando ritornano nei rispettivi domini riprendano
ad agire in una condizione di reciproca ignoranza. Teoria e pratica sembrano alla
fine essere due mondi diversi, in viaggio su binari paralleli.
La divisione del lavoro e la conseguente specializzazione, la
professionalizzazione, lorgoglio e la rispettabilit accademica sono forze potenti,
che agiscono nel senso di rendere pi difficile - in tutti i campi, a dire il vero, non
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piuttosto che applicata. Come pure vero che esistono diverse impostazioni e anche
diverse riviste, che si avvicinano di pi al mondo degli operatori, come ad esempio
Harvard Business Review o Business Horizons.
Tuttavia la sensazione che, specialmente allinterno della comunit accademica,
la conoscenza vera sia ritenuta solamente quella che risponde ai canoni della
formalizzazione matematica e che ci si possa disinteressare della sua valenza
applicativa ben fondata e risulta difficile da scalfire (November, 2008).
A nostro modo di vedere, invece, la complessit e lambiguit del mondo di oggi
rendono sempre pi necessaria lintelligenza, ovvero la capacit di leggere dentro
(intus legere) i fenomeni (Baccarani, 2010), e altre capacit soft come lintuizione
(Gigerenzer, 2009), il pensiero complesso (Martinet, 1993) e lempatia (Goleman,
2001).
A questa, che laccezione comunemente intesa della questione rigor relevance, se ne pu a nostro avviso aggiungere unaltra. Relevance, infatti, pu
significare utilizzabilit da parte dei practitioner, ma anche importanza sotto il
profilo del peso degli argomenti trattati (Bartunek et al., 2006). In questo senso, il
gap tra rigor e relevance ha a che vedere pi con la pregnanza delle questioni di cui
i ricercatori si occupano che con la correttezza della metodologia seguita.
Questo gap si osserva anche nella ricerca manageriale, che spesso soffre di un
eccesso di focalizzazione e di specializzazione su temi molto ristretti, secondo un
approccio riduzionistico che porta talvolta a perdere la visione e il senso dinsieme
dei fenomeni oggetto di indagine.
Soccorre, al riguardo, lennesima citazione, che bene esprime la sostanza del
nostro pensiero: approximate answers to important problems or issues are just as
useful (if not more useful) than precise answers to wrong, well-defined, narrow
problems (Raju, 2005, p. 18) o comunque anche a problemi non necessariamente
errati ma scarsamente significativi.
In altri termini, vero che la misurazione, la quantificazione, la precisione sono
importanti, ma altrettanto vero che la ricerca in campo manageriale dovrebbe
occuparsi di questioni di un qualche significato, sia a livello aziendale che a livello
delle relazioni tra impresa e mercato e tra impresa e comunit.
Da questo punto di vista, un problema pu essere ravvisato in quella che si pu
definire la tirannia del numero. Questo significa che il fascino esercitato dal
numero, ed il senso di (apparente) sicurezza che il ricorso ad esso d, possono
portare a dare meno valore allinterpretazione ed alla comprensione dei fenomeni
(Baccarani, 2005; Martin, 2011).
Infatti, se prestiamo attenzione soltanto alle cose che possiamo misurare,
presteremo attenzione soltanto a quelle facilmente misurabili. E nel frattempo, ce ne
perderemo molte altre (Moon, 2010, p. 213), che come dire - ricorrendo ad un
celebre aforisma di Albert Einstein - Not everything that counts can be counted,
and not everything that can be counted counts.
Una variante del rigor - relevance gap e della tirannia del numero pu essere
qualificata come dimostrazione dellovvio. Spesso infatti capita di leggere
contributi molto ben costruiti e metodologicamente ineccepibili, il cui preponderante
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