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Impresa, Management e Potere: Lectio Magistralis del Prof.

Marco Vitale per i 10 anni di Considi


Vogliamo iniziare il nuovo anno riportando la trascrizione della Lectio Magistralis tenuta dal Prof.
Marco Vitale svolta il 5 Dicembre 2014 presso lOrto Botanico di Padova per i 10 anni di Considi:
"Grazie dellinvito e un grazie particolare a Considi e allUniversit che ci ha offerto questa bella
opportunit.
In verit ho avuto una giornata notevolmente interessante oggi a Padova perch ho visitato gli
Scrovegni con una guida molto preparata e intelligente, nel pomeriggio ho ri-visitato la comunit
Civitas Vitae che resta una grande realizzazione. E stasera abbiamo avuto questa bella sorpresa,
la scoperta di questo bellissimo Orto Botanico che ci aiuta a capire i legami tra il passato e il futuro
attraverso il presente, e quindi a migliorare il nostro presente. Io far alcune riflessioni, sullimpresa
e il momento economico generale e italiano. Prender le mosse da unosservazione che ha fatto
recentemente Leonardo Becchetti , un economista universitario molto bravo che non solo un
economista ma lanimatore di un movimento che si chiama Next e che impegnato per cercare
di fare evolvere il pensiero economico verso nuovi modelli di pensiero e di comportamenti, che ci
aiutino a uscire dal vicolo cieco nel quale ci siamo tutti cacciati. Lui vede lorigine delle nostre
difficolt in tre riduzionismi che mi sono piaciuti molto, perch riassumono con grande sinteticit
ed efficacia alcuni passaggi critici fondamentali riassunti in 3 eguaglianze: il primo persona, homo
economicus (come insegna la teoria economica), il secondo valore economico =, PIL. Il terzo
impresa = produttrice di profitto solo per gli azionisti .
Questi tre riduzionismi che possiamo chiamare il primo antropologico, il secondo riduzionismo del
valore e il terzo riduzionismo dellimpresa, sintetizzano il modo asfittico con il quale la teoria
economica, non solo italiana, ha portato il mondo in un vicolo cieco di una crisi di cui non si vede
luscita, se non riusciamo a fare dei salti importanti in termine di reale innovazione. Se non
cambiano i paradigmi.
Il primo riduzionismo antropologico un pilastro del pensiero economico. Il pensiero economico, la
teoria economica tutta basata sullhomo economicus. Chi lhomo economicus? E un uomo che
si comporta in ogni momento della vita solo sulla base di calcoli economici e quindi annulla
qualunque profilo di relazione, di umanit, di comportamenti dettati da qualcosa di diverso dal puro
calcolo economico. Questo uomo in realt un fantasma inesistente o, come lo chiama il premio
Nobel Amartya Sen, un folle razionale nel senso che presumibilmente ragiona come un computer
ma folle per i presupposti e per lindirizzo nel quale dirige la sua capacit di calcolo. Un altro
grande premio Nobel delleconomia dice che un uomo cos la vergogna della famiglia umana.
Becchetti invece dice che uno psicologo potrebbe dire che gli economisti sono bene strani, perch il
modello di uomo che propongono e sul quale basano le loro teorie, se esistesse davvero dovrebbe
essere messo subito in terapia. Chiunque di noi che si comportasse solo in chiave economicista
dovrebbe essere messo in terapia perch sarebbe un uomo pericolosissimo per tanti. Quindi lhomo
economicus un idiota sociale cos come questo concetto veniva usato nellAtene di Pericle.
Eppure gran parte del pensiero economico e delle decisioni si basano su questo uomo folle. Bisogna
dire che leconomia dazienda che pi realistica e pi vicina alla realt di quanto lo sia leconomia
generale, meno colpita da questo riduzionismo perch noi ci interessiamo della leadership, ci
interessiamo del lavoro di squadra, delle alleanze strategiche e tutto questo non pu esistere
nellambito dellhomo economicus ma nellambito delluomo normale.
Sul secondo riduzionismo, c ormai una letteratura che dice che non possiamo interpretare
leconomia solo col PIL. Questo non vuol dire che il PIL sia uno strumento inutile; stato ed uno
strumento utile ma ridurre leconomia solo alla lettura dellandamento del PIL una follia.
Facciamo un esempio semplice. Noi abbiamo in Italia circa 1 milione di dipendenti nella pubblica
amministrazione in eccedenza. Quindi dovremmo studiare come alleggerire questa eccedenza (che
risulta anche dal confronto con altri paesi pi efficienti) come rientrare in una situazione pi
equilibrata senza creare drammi a nessuno, come ridurre tale eccedenza attraverso incrementi di
produttivit, attraverso semplificazioni, attraverso tante cose. Se invece decidessimo di assumere di

colpo un altro milione di amministratori pubblici il nostro PIL contabile aumenterebbe perch nella
conta del PIL vanno gli stipendi di tutti i dipendenti pubblici, per una convenzione contabile. Se
facessimo costruire in piazza del Duomo a Milano o vicino agli Scrovegni una serie di villette a
schiera, il PIL aumenterebbe ma la nostra ricchezza vera diminuirebbe in modo drammatico. Questi
esempi vi danno unidea di come questo strumento sia rozzo, come stato dimostrato anche sul
piano teorico, sin da quando Robert Kennedy nel 1968, allUniversit del Kansas, afferm, con
parole piene di passione, il PIL ci pu dire tutto meno quello che necessario per sentirci
orgogliosi di essere americani. Da allora si sono sviluppati degli strumenti che introducono altri
indici, altri modi di valutare le cose. Ultimamente lo ha fatto anche il nostro Istat che a marzo del
2014 ha introdotto un indice interessante. Per nonostante questi sforzi, noi vediamo che nella
realt del dibattito pubblico, delle decisioni di governo, del fare o non fare, continuiamo ad essere
inchiodati su questo PIL per cui lo 0,5 pi del PIL o lo 0,5 in meno del PIL determina effetti
enormi, paure catastrofali o entusiasmi fuori posto. Ed il modo di pensare della teoria economica
cos insufficiente su questo strumento diventato il modo di pensare di tutti noi, dei nostri giornali,
dei nostri governanti e continuiamo a ragionare in modo molto inadeguato.
Il riduzionismo dellimpresa si basa su un concetto, su una teoria, su un principio che si sviluppato
soprattutto negli ultimi trentanni e cio che il management dellimpresa deve pensare solo a
produrre il massimo profitto per gli azionisti. Punto. E non deve interessarsi di altro, degli effetti del
suo comportamento sulla citt, sullambiente, sul lavoro, sulla civilt, sullumanit. Quindi uno che
si mette il timbro di manager pu dire: io di queste cose non so niente, non mi interessa niente, la
mia etica esclude questo e quindi pensa solo a fare il massimo profitto per gli azionisti. Questo
contrario a qualunque esperienza vera che noi abbiamo nelle imprese, contrario alletica
dellimprenditore come lo conosciamo nella storia, dellimprenditore sano e responsabile, ed
lorigine di enormi danni creati negli ultimi trentanni perch su questo concetto che si sono fatte
e disfatte operazioni societarie gigantesche errate, che si sono concentrati i poteri economici in
modo enorme, che si sono fatte acquisizioni che non si dovevano fare, che si sono fatte fusioni che
non si dovevano fare e che si sono sviluppati modi di pensare assai pericolosi che chiamiamo
finanziarizzazione delleconomia. Noi pian piano siamo diventati tutti capaci di pensare solo in
termini finanziari a breve termine. Un grande studioso aziendale americano che morto negli anni
60 diceva: bisogna andare behind the figures, al di l delle cifre, sapere cosa c dietro le cifre,
quali sono i valori veri, quali gli effetti che il nostro comportamento come imprenditori o come
manager determina. Non fermarci solo alle cifre. Noi stiamo tutti ragionando sempre di pi
fermandoci alle cifre, siamo diventati tutti neocontabili, neoliberisti, neofinanziari e non pensiamo
pi ad altro e pensiamo sempre meno allinnovazione e pensiamo sempre meno allo sviluppo, e
pensiamo sempre meno al futuro. La teoria di impresa invece, lungo la sua storia, ci racconta che
limpresa stata uno dei pi potenti strumenti di sviluppo. Se andiamo a vedere i nostri grandi
imprenditori che sono stati i creatori di quello che chiamiamo capitalismo nel senso di sviluppo del
mercato e della produzione guidata da criteri di mercato; se andiamo a vedere Siena, se andiamo a
vedere Firenze e se andiamo a vedere Venezia, troviamo che si sempre coniugata lefficienza
economica, gli obiettivi economici, con lincivilimento, che era la parola magica con la quale i
nostri grandi pensatori dello sviluppo italiano, i grandi illuministi lombardi, ma anche i grandi
illuministi napoletani intendevano lo sviluppo. Limpresa sempre stato un docile strumento per
uno sviluppo che non fosse disgiunto dallincivilimento. Chi ha progettato e finanziato la maggior
parte delle opere che oggi arricchiscono Firenze, sono stati gli imprenditori, che allepoca erano
prevalentemente mercanti e imprenditori tessili o i grandi mercanti come a Siena. Chi ha fatto il
Palazzo del Popolo, chi ha finanziato la cupola del Brunelleschi? Chi ha finanziato lOspedale degli
Innocenti di Firenze che c ancora oggi e che ancora funziona: un certo signor Datini, mercante
tessile di Prato. Questi imprenditori erano convinti che se la loro citt era bella, che se la loro citt
era civile, che se loro contribuivano allo sviluppo della citt questo rafforzava anche il loro ruolo
economico, la loro forza negoziale, la loro impresa. Quando venivano i concorrenti tessili da Lione
a Firenze quelli della societ della lana di Firenze dicevano: questo lo abbiamo fatto noi, la nostra

citt forte. Come Coluccio Salutati (1303-1406), uno dei grandi cantori di questa epopea, diceva
della sua Firenze: Nos popularis civitates, soli dedita mercatura.
Questo un mondo ed un pensiero che dobbiamo recuperare perch fa parte delle radici vere
dellimprenditoria italiana che negli ultimi trentanni abbiamo buttato via. Prima di tutto labbiamo
buttata via come professori universitari, quando abbiamo pedissequamente assimilato i modelli
americani e li abbiamo divulgati come se fossero la verit assoluta e la vita. Dobbiamo molto agli
americani come tecniche aziendali, ma dobbiamo molto agli americani anche perch ci hanno
portato nel vicolo cieco iniziato nel 2008, che non finito e ci hanno fatto capire che se non
cambieremo modo di pensare non finir per lungo tempo. Perch questo processo di
finanziarizzazione delleconomia legato ad un altro fenomeno impressionante ed il fenomeno
della concentrazione della ricchezza. C un curva impressionante che la curva della
concentrazione della ricchezza in America (ci rifacciamo allAmerica perch l questo fenomeno
pi forte ma anche perch l abbiamo i dati sempre pi affidabili).
Nel 1928 appena prima della grande crisi degli anni 30, l1% della popolazione controllava il
23,9% del reddito nazionale, quindi cera una concentrazione di ricchezza fortissima. Scoppia la
grande crisi, entra il New Deal di Roosevelt, c un grande cambio politico e concettuale che si
prolunga e che d vita a quelli che chiamiamo i magnifici trenta. I magnifici trentanni nei quali
la ricchezza si distribuita su vasti strati della popolazione. Nel 1975 sempre quell1% che nel 28
controllava il 23,9% della ricchezza, nel 75 controllava solo l8,9%. Vedete come la ricchezza si
distribuita in questo trentennio e ha dato vita a quello che chiamiamo capitalismo democratico,
sviluppo del ceto medio, sviluppo dei consumi, questa societ equilibrata e sostenibile. Nel 75 la
curva gira verso lalto per una serie di fenomeni, che purtroppo non si possono analizzare qui;
riparte il processo di concentrazione. Nel 2007, prima dello scoppio della grande crisi del 2008,
ritorniamo esattamente allo stesso punto dove eravamo nel 1928: l1% della popolazione controlla il
23,5% della ricchezza. Questo fenomeno di concentrazione contrario a uno sviluppo economico
diffuso, sostenibile e con oscillazioni contenute. E questo fenomeno americano, non solo
americano. In Europa seguito nellordine dallInghilterra, dalla Spagna e dallItalia, i paesi dove
negli ultimi ventanni c stata la maggiore concentrazione di ricchezza. La settimana scorsa il
Credit Suisse, che da 7 anni fa dei rapporti molto completi sulla concentrazione della ricchezza, ha
pubblicato il rapporto 2014 sui dati del 2013. E sono dati impressionanti. A livello mondiale lo
0,7% pi ricco della popolazione controlla il 44% del reddito mondiale. La quota detenuta dal 70%
della popolazione mondiale il 3%. Vedete che questo processo di concentrazione ha raggiunto
livelli tremendi che storicamente sono sempre stati accompagnati e causa di crisi gravissime sia
economiche che sociali che militari. Ecco perch pensare che noi siamo usciti dalla crisi
unillusione. Noi siamo in un processo di trasformazione tremendo e che non viene affrontato nelle
sue autentiche radici, che sono questi gravi fenomeni della finanziarizzazione e della
concentrazione della ricchezza. Si continua a cercare di affrontarlo con interventi palliativi,
togliamo un po qui un po l. Mentre noi dobbiamo fare un grande sforzo per respingere sul piano
intellettuale la finanziarizzazione delleconomia che ha portato a d un modo di ragionare che spinge
leconomia reale, leconomia dellinnovazione, leconomia della responsabilit, sempre pi in un
angolo e si sviluppa sempre di pi quella impresa irresponsabile di cui parlavo prima. E questo ha
effetti molto negativi anche sul processo dellinnovazione. Noi siamo in un momento di
cambiamenti importantissimi di tutti i tipi e questi processi sono dei processi che chiamano ad uno
sforzo di innovazione molto grosso. Noi dobbiamo creare lavoro ma non possiamo pensare di
crearlo continuando a fare le cose di cui i mercati sono saturi o di cui non c bisogno. Diceva
Einaudi: il mercato risponde alla domanda non risponde ai bisogni. Linnovazione consiste
nellandare a capire i nuovi bisogni e dare le risposte nuove ai nuovi bisogni. Da l verr fuori il
nuovo sviluppo, da l verr fuori la nuova occupazione. Se noi non ci dirigiamo verso questo modo
di pensare, di agire e di unire le forze continueremo a declinare silenziosamente. E per far questo
abbiamo bisogno di ripensare veramente i rapporti tra impresa e lavoro. Io sono stato
amministratore di societ tedesche per molti anni e mi sono reso conto che la distanza, in termini di

civilt del lavoro, tra la Germania e noi si misura in 70-80 anni, nel senso che i passaggi che noi
non abbiamo ancora fatto loro li hanno fatti 70 anni fa. Quali passaggi? Quello fondamentale di
interiorizzare nel modello culturale di tutti che non c solo il datore di lavoro e il lavoratore ma c
un soggetto che non si identifica n con uno n con laltro e che limpresa come soggetto
autonomo di sviluppo, che risponde ad una molteplicit di interessi perch nellimpresa
confluiscono linteresse dellazionista, linteresse degli amministratori ma anche linteresse del
lavoro, linteresse della citt, linteresse dei fornitori, linteresse delle piccole imprese che intorno
allimpresa vivono. E se ignoriamo tutti questi collegamenti abbiamo la rissa continua. Abbiamo
lIlva. LIlva limpresa irresponsabile per definizione e ne acquisiamo certezza sapendo che ci
sono imprese siderurgiche che invece hanno risultati umani, ambientali e sociali ben diversi. Vi cito
una sentenza del 6 novembre 2014, pochi giorni fa, della Corte di Cassazione. Questa sentenza della
Cassazione, di fronte ad una comprovata truffa che un dirigente di una filiale di una banca ha fatto
contro la sua banca con il coinvolgimento di un certo numero di dipendenti della filiale, stato
giustamente licenziato dalla banca. Arrivato in cassazione ha vinto la causa. La cassazione ha
stabilito che se un dipendente truffa il suo datore di lavoro e questa truffa non continuativa e
comprovata come ripetuta ma abbastanza occasionale, allora questo dipendente deve essere
reintegrato e risarcito. Siamo su una concezione giuridica, non parlando da giurista ma parlando da
economista, da sociologo, da cittadino, folle! E perch cos? Perch questi giudici non hanno la
visione dellimpresa non si rendono conto che se uno truffa limpresa, sta truffando gli altri
lavoratori di quella impresa sta danneggiando qualcuno che non il datore di lavoro limpresa
stessa e quindi tutti i suoi lavoratori. Se non traghettiamo questo passaggio nella cultura giuridica,
giornalistica, economica non ne veniamo fuori, Job Act o non Job Act. Siamo inchiodati su temi di
grande retroguardia. Quando si parla di queste cose in paesi avanzati come la Germania ma credo
anche in Giappone, ci rendiamo conto che noi andiamo male in tanti campi perch siamo molto
arretrati, molto arretrati in passaggi culturali fondamentali. Prima di chiudere volevo leggervi un
passaggio di Peter Drucker che, secondo me, il pi grande studioso di management degli ultimi
settantanni. Tedesco trapiantato in America, fuggito dal nazismo, uomo di grande cultura europea,
chiude il suo libro pi importante, che quello che ha avuto pi influenza , un libro del 1954, con
queste parole: listruzione intellettuale non sar sufficiente da sola a fornire ad un dirigente i mezzi
necessari per far fronte ai compiti che lo attendono nel futuro. Il successo del dirigente di domani
sar sempre pi strettamente connesso con la sua integrit morale. Infatti con lavvento
dellautomazione, linfluenza e la portata temporale delle sue decisioni sullazienda nel suo
complesso e rischi connessi saranno talmente gravi da esigere che il dirigente anteponga il bene
comune ai sui stessi interessi. La sua influenza su coloro che lavoreranno con lui in unazienda sar
cos decisiva che il dirigente dovr basare la sua condotta su rigidi principi morali anzich sulle
esperienze. Questo messaggio non stato colto. La classe dirigenziale non si comportata cos,
come classe. E naturalmente non parlo solo dell'Italia. Noi sappiamo che ci sono tantissimi
dirigenti, tantissimi imprenditori e so che alcuni di questi sono rappresentati in questa sala, che
invece hanno realizzato nella loro quotidianit questo modo di agire e di guidare le imprese. Ma se
pensiamo al management, come classe, dobbiamo dire che ha fallito. E questa una delle concause
forti del perch siamo entrati nella crisi del 2008 e perch lItalia in maggiore difficolt rispetto ad
altri paesi. Dobbiamo dare una risposta su questo punto. La risposta che noi continuiamo ad
attribuire alla crisi mondiale fenomeni che con la crisi non hanno niente a che fare. LItalia
travolta da due tsunami. Uno tsunami che viene dalla crisi, dalle sfide e dalla competizione legata
alla crisi, dalle sfide dellinnovazione eccetera; ma un altro tsunami cosa nostra e deriva da tutti i
mali sociali che non abbiamo voluto affrontare e curare negli ultimi trentanni. Se abbiamo un
livello di corruzione pi alto di tutti i paesi sviluppati ci non centra niente con la crisi. Se abbiamo
intere regioni controllate dalle mafie non centra niente con la crisi. Se abbiamo il comune della
capitale, come abbiamo letto in questi giorni, in preda di bande allucinanti non centra niente con la
crisi. Con le cause della nostra crisi si, ma non centra con la crisi internazionale.

La nostra crisi cos tremenda e cos dura e fatichiamo tanto a correggere e ad emergere perch
questi mali, queste piaghe bibliche del nostro paese non le vogliamo affrontare. Innocenzo
Cipolletta ha detto una cosa molto giusta: Gli italiani sono innovatori, lItalia non innovatrice.
Noi ci rifiutiamo di affrontare i nostri veri problemi. I veri problemi non sono quelli che leggiamo
sui giornali ogni giorno. Sono molto diversi e ne ho schizzati alcuni poco fa. La situazione tale per
cui lappello di Drucker del 1954 non pi sufficiente. Non ne usciamo pi solo con la morale
personale. Se pure riusciamo a diventare tutti noi singolarmente migliori, oramai il male troppo
diffuso per farne un discorso solo di morale individuale e personale. Dobbiamo trovare le vie per
riproporre una morale pubblica, una morale civica, un impegno collettivo.
Limpegno individuale non basta pi. E necessario un impegno collettivo, non solo per le nostre
aziende o per le nostre famiglie ma per le nostre citt, per il nostro paese, per la nostra convivenza,
per il nostro stare assieme. Dobbiamo ritornare a credere quello che credevano i grandi pensatori
italiani che la crescita economica si fa attraverso lincivilimento e solo attraverso lincivilimento.
Marco Vitale, economista d'impresa. Ha svolto intensa attivit professionale e didattica presso le
Universit di Pavia (citt dove ha anche studiato presso il celebre Collegio Ghislieri), Bocconi,
Libera Universit Carlo Cattaneo (della quale stato uno dei fondatori e vice-presidente) e presso le
scuole di management Istao e Istud (Fondazione per la cultura d'impresa e di gestione) della quale
stato presidente fino a giugno 2008, contribuendo al suo rilancio. stato presidente dal 1984 al
2003 di AIFI, associazione nazionale delle merchant bank e cofondatore e primo presidente del
gruppo Arca. stato vicepresidente della Banca Popolare di Milano dal 2001 ad aprile 2009 e
presidente di Bipiemme Gestioni SGR fino al 2008. E' presidente della Rino Snaidero Scientific
Foundation;gi presidente del comitato scientifico di AIdAF (Associazione Italiana delle Aziende
Familiari); membro del comitato direttivo della Fondazione Olivetti; membro del consiglio della
Fondazione FAI (Fondo per l'Ambiente Italiano). stato attivo sostenitore dei processi di
integrazione europea e membro del Movimento Federalista Europeo dal 1955. socio dell'UCID di
Brescia. Da marzo 2010 al 2013 stato presidente del Fondo Italiano d'Investimento nelle Piccole e
Medie Imprese, costituito da Tesoro, Confindustria, ABI, Cassa Deposito e Prestiti e le tre maggiori
banche italiane. Ha rivestito significativi incarichi pubblici (assessore all'economia nel Comune di
Milano, Presidente delle Ferrovie Nord Milano, Commissario dell'Ospedale Maggiore Policlinico di
Milano, Commissario per la Gestione dei fondi privati per l'assistenza ai profughi del Kosovo).
autore di numerosi libri tra i quali: La lunga marcia verso il capitalismo democratico (Ed. Il Sole-24
Ore); Liberare l'economia: le privatizzazioni come terapia alla crisi italiana (Ed. Marsilio); Le
Encicliche sociali, il rapporto fra la Chiesa e l'economia (Ed. Il Sole-24 ore); Sviluppo e Spirito
d'Impresa (Ed. Il Veltro); America. Punto e a capo (Scheiwiller); Il Mito Alfa (Egea editore,
Bocconi); Lezioni di impresa, da tempi e luoghi diversi (Piccola Biblioteca d'Impresa Inaz, 2008); I
proverbi di Calatafimi (Piccola Biblioteca d'Impresa, Inaz, 2008; Nuova Edizione ESD Bologna
2009); Gli Angeli nella citt (Edizione ESD 2009); Passaggio al futuro. Oltre la crisi, attraverso la
crisi (Egea 2010). Collabora a importanti quotidiani e riviste.

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