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Il significato del termine idea nella tradizione filosofica occidentale prima di

Locke
Due significati fondamentali del termine idea: l'idea come fondamento ontologico (1) e l'idea come
contenuto di pensiero (2).
1) questo significato ha origine in Platone e indica l'unit che scorgiamo nella molteplicit, la quale
ha un carattere privilegiato e primario rispetto alla molteplicit tanto da essere considerata l'essenza
o la sostanza del molteplice fenomenico e quindi anche il modello (archetipo) delle copie
fenomeniche. In questo senso la parola fu adoperata da Platone, da Aristotele, dagli scolastici e, anche
in epoca moderna, da Kant, Hegel, Schopenhauer. 2.) Una rappresentazione mentale di qualunque
tipo, ossia un oggetto del pensiero umano. Questo secondo significato ha origine in Descartes, poi
diventa comune negli empiristi inglesi e finisce per essere adottato da gran parte dei filosofi moderni
oltre a diventare di uso comune nelle lingue moderne.

La dottrina platonica delle idee


L'idea come eidos, ossia forma intelligible (in latino species). Etimologia di eidos da idein, 'vedere'.
La vista non quella dei sensi, ma la visione intellettuale.
Platone, Sofista, 246a-c
OSPITE
Sembra dunque che fra di loro ci sia come una sorta di gigantomachia per la disputa tra di loro circa
l'essenza.
TEETETO
E come?
OSPITE
Gli uni dal cielo e dall'invisibile trascinano tutto verso terra, come afferrando realmente con le mani
grosse pietre e querce. E stando bene attaccati a tutte queste cose sostengono fermamente che
soltanto quello che provoca un contraccolpo e un contatto, definendo il corpo e l'essenza (ousa) come
la stessa cosa, e se delle altre cose qualcuno afferma che un qualche cosa, pur non avendo il corpo,
, lo disprezzano senza riserve e non vogliono udire altro.
TEETETO
Tu parli di individui ben difficili: anch'io ne ho gi incontrati parecchi.
OSPITE
Pertanto quelli che si trovano in polemica con loro con molta circospezione si difendono dall'alto, da
qualche parte dell'invisibile, costringendoli ad ammettere che certe sostanze intellegibili e incorporee
(noet ka asmata eide) sono la vera essenza (alethinn ousan). E proclamano che i loro ben noti
corpi e la loro tanto decantata verit, frantumandola con i ragionamenti, un mutevole divenire
(ghenesin) invece che essenza (ousan). Su questi problemi tra gli uni e agli altri, esiste da sempre,
Teeteto, una battaglia che non ha sosta.
Il dialogo pi importante per la teoria delle idee il Parmenide:
L'idea come specie unitaria:
"Io credo che tu sia indotto a concepire ciascun genere delle cose come una unit da questo: ogni qual
volta tu ritieni di trovarti di fronte ad un certo numero di cose grandi, ti pare, direi, che ci sia un certo
aspetto caratteristico, unico e proprio lo stesso visibile a chi getta il suo sguardo su tutte e cos tu
ritieni che la grandezza sia come tale una unit" (Parm. 132 a).
Come unit, l'idea modello delle cose naturali:
1

"Questi generi di cui parliamo sono nella natura come modelli e le altre cose assomigliano ad essi, ne
sono copie somiglianti, e la partecipazione di queste altre cose ai generi non consiste in altro che
nell'essere immagini di quelli" (ivi, 132 d).
Dal Parmenide si ricava anche che per Platone esistono tre classi di oggetti: 1. oggetti di cui si pu
affermare con certezza che esistono idee, quali gli oggetti matematici (ad es. uno, molti, uguaglianza,
grandezza ecc.) e i valori (bello, giusto, bene). 2 Oggetti di cui dubbio che esistano quali le specie
naturali ('uomo', 'cavallo', 'acqua', 'fuoco' ecc.). 3) Oggetti di cui certo che non esistono, quali le
cose prive di valore o le cose quotidiane disprezzabili ("capello", "fango", "sudiciume").
Inoltre si deve precisare che ontologicamente le idee hanno per Platone una esistenza separata dalle
cose: chorisms, metssi e mimesis. Le idee sono oggetti intelligibili e il 'luogo' della loro esistenza
l'iperuranio: con ci si intende che sono realt metafisiche.
Qual per la natura delle idee come 'oggetti intelligibili'? Alcuni interpreti negano che esse siano
'supercose' o 'oggetti trascendenti' e ritengono che siano 'norme', 'regole', 'leggi'. E' indubbio che per
Platone le idee sono a) criteri di giudizio delle cose sensibili: per sapere se due cose sono belle e
perch lo sono, dobbiamo possedere l'idea unitaria del bello; per sapere se due cose sono uguali,
dobbiamo possedere l'idea dell'eguaglianza. b) le idee sono 'cause' delle cose ossia sono le ragioni per
le quali le cose "si generano, si distruggono ed esistono", in quanto le idee costituiscono "il modo
migliore di esistere o di modificarsi o di agire" (Fedone 97c.) Nel primo senso facile capire che le
idee siano norme; ma nel secondo senso, pare piuttosto che esse siano 'oggetti trascendenti.
Si deve inoltre tenere conto di Timeo 27c-29d, dove esposta la cosmogonia demiurgica. Dopo aver
distinto le essenze ideali dagli oggetti fenomenici - le prime non nascono n muoiono n si
trasformano, ma esistono sempre, mentre i secondi nascono, muoiono e non esistono mai veramente;
le prime sono apprese dall'intelligenza, laddove i secondi sono conosciuti mediante la sensazione
irrazionale - Platone afferma che il demiurgo ha creato il cosmo "guardando sempre a quello che
nello stesso modo e giovandosi di cos fatto modello": "il mondo stato fatto secondo modello, che
si pu apprendere con la ragione e con l'intelletto e che sempre nello stesso modo". Secondo la
interpretazione pi consolidata si intende che i modelli ideali non sono pensieri nella mente del
demiurgo, ma sono realt ideali che il demiurgo contempla nel plasmare la materia e creare il mondo.

Ricaviamo da J.N. Findlay, The written and unwritten doctrines, London, Routledge & Kegan Paul,
1974, una illustrazione precisa del significato platonico di idea:
Che cos per Platone leidos?
Per Platone un eidos un aspetto o marchio, o carattere comune che un numero di casi, visti o pensati,
manifesta alla intelligenza contemplante, aspetto che viene percepito come uno e identico in tutti quei
casi: la nostra esperienza di un eidos lesperienza di unit nella molteplicit, di una identit o unit
illustrata in molteplici esempi o per lo meno capace di una esemplificazione molteplice. Questo
aspetto, marchio o carattere comune ci che di solito esprimiamo con una singola parola descrittiva
come ad esempio pio, uguale, umano, ma Platone consapevole che non ogni parola ha sempre
come suo significato esattamente lo stesso carattere e Platone dubita persino, a proposito di certe
parole o combinazioni verbali dotate di un significato descrittivo, che esse esprimano un qualche
autentico eidos. Se un eidos sia o non sia presente deve essere deciso dalla intellezione diretta ossia
da una apprensione mentale (nous): noi dobbiamo incontrare direttamente lunit, lidentit che
permea un insieme di particolari, e devessere in effetti leidos ci che rende le cose che esso permea
di quel carattere o di quel tipo di cui diciamo che esse siano, cio pie, uguali, umane, ecc., e ci che
ci autorizza a definirle in quel modo. (p. 30)

Lidealismo oggettivo di Platone


Per Platone leidos non un distillato soggettivo della riflessione umana, che cambi da uomo a
uomo e che non possegga in se stesso una autentica realt. Gli eide sono le cose in se stesse, che,
come leggiamo in Cratilo 356d, hanno una loro essenza stabile, non relativa a noi e non prodotta dalla
nostra immaginazione. Il pensiero che apprende e gode della contemplazione di un eidos, s
correlato a esso in maniera intima e necessaria (perch gli eide si rivelano solo al pensiero il quale
per natura affine a tali oggetti di intellezione), ma non si identifica con esso, n lo costituisce o
produce. Leidos si rivela negli atti del pensiero, i quali sono conformi alla struttura delleidos, ma la
rivelazione al pensiero si distingue dalla cosa che si rivela (ossia dalleidos come realt intelligibile
indipendente dalla mente che la pensa). Allo stesso modo, vero che noi esprimiamo gli eide
mediante le definizioni verbali e dunque non sbagliato riferirsi a essi come a significati ideali;
tuttavia gli eide sono realt che eccedono il senso delle parole o delle espressioni, sono nature costanti,
che vengono evocate alla mente quando applichiamo le parole ai casi determinati in cui quelle nature
sono esemplificate. Gli eide sono in Platone leredit dellessere eleatico: sono le vere realt costanti
per loro propria essenza, che rendono possibile il discorso e il giudizio e in mancanza delle quali non
avremmo nulla di definito di cui parlare o che potremmo pensare, e quindi neppure la possibilit di
compiere un atto linguistico o riflessivo e conoscitivo (p. 31).
Gli eide per Platone sono le sole entit veramente reali, essi soli sono in senso assolutamente
primario e diretto, mentre le altre cose [le loro esemplificazioni sensibili] sono soltanto in un senso
che derivano dal loro essere primario e che interamente parassitario rispetto a esso (p. 32). Con
questa espressione (parassitario), Findlay intende dire che le apparenze sensibili o mutevoli in tanto
esistono in quanto esemplificano le realt stabili e permanenti degli eide, che sono le uniche strutture
costanti.
Limpulso principale del platonismo, la sua riforma delleleatismo e la sua opposizione alla teoria del
flusso eraclitea e cratilea, consiste nel negare che vi sia alcunch di genuinamente afferrabile e
conoscibile, o alcunch di veramente causativo ed esplicativo, nel regno fluente delle cose e dei dati
di fatto particolari in quanto tali: ci che afferrabile, ci che conoscibile, ci che veramente pu
imprimere la propria impronta e mantenersi costante nel flusso, e offrire cos il punto di riferimento
alla nostra conoscenza, sempre un eidos, una natura o modello costitutivo; e solo perch le nostre
menti riconoscono e tengono fermo un corrispondente modello cognitivo che noi possiamo
comprendere o conoscere qualunque cosa, anche in rapporto alla sfera del flusso. E leidos ha sempre
la stabilit, la immunit dal cambiamento, che le sue esemplificazioni corporee non possono mai
avere, e perci sono gli eide e soltanto gli eide che possono essere identificati in molteplici occasioni
e da molti diversi individui pensanti, identificati in atti di intellezione i quali rappresentano essi stessi
modelli immutabili e ripetibili di comprensione e di intuizione (p. 33).
Il platonismo comporta una revisione integrale della nostra ontologia ordinaria: invece di considerare
i caratteri o le nature ideali come mere appendici dei casi concreti, esso considera i casi concreti come
mere appendici dei caratteri o delle nature ideali. Questo rovesciamento dellontologia del senso
comune richiede una totale revisione del linguaggio: dobbiamo smettere di parlare come se vi fossero
cose diverse dagli eide, poich gli eide sono le sole cose vere e tutto il resto non che una loro
precisazione e specificazione (vedi p. 218).
Rammentare la critica immanentistica di Aristotele alla teoria platonica delle idee: l'idea non pi
concepita da Aristotele come sostanza separata dal mondo sensibile, ma diventa forma di una sostanza
individuale. La sostanza individuale (ossia gli oggetti del mondo ordinario) il sinolo ossia la
congiunzione di una forma ideale e di una materia che viene determinata da quella forma. Per
Aristotele le cose individuali sono le uniche realt esistenti; pertanto le essenze ideali esistono solo
in quanto parte delle sostanze individuali come loro forma determinante. Le idee platoniche diventano
predicati delle sostanze individuali cio propriet che definiscono gli oggetti singoli: non esiste la
bianchezza in s o il coraggio in s, come realt ideale separata; esistono soltanto gli oggetti bianchi
e gli uomini coraggiosi. Le idee platoniche entrano a far parte della definizione degli enti singoli
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perdendo la loro essenza separata. Aristotele scrive a titolo di esempio: Non ci pu essere un animale
al di l degli animali singoli; lanimalit esiste come componente della forma essenziale di Socrate,
di Platone, di Aristotele e cos via e non esiste in s separatamente dai singoli esseri animati.
Fortuna della teoria platonica delle idee nella tradizione antica e tardo-antica:
1. Filone di Alessandria: 20 a.C. - 50 d.C. filosofo ebraico di orientamento neoplatonico. Per Filone
nel De opificio mundi le idee sono diventate le 'potenze incorporee' di cui si serve Dio per formare la
materia. Inizia cos la trasformazione delle idee platoniche in pensieri nella mente divina. Per essere
pi esatti, secondo Filone prima di creare il mondo Dione cre un modello perfetto, incorporeo e
simile a s, il Logos o sapienza divina. Servendosi di esso, cre il mondo, dopo aver creato altres la
materia priva di qualit e di forme, nella quale Dio introdusse l'ordine formale che appartiene alle
idee della sua sapienza. "Il Logos divino la sede delle idee per il tramite delle quali Dio ordina e
plasma le cose materiali" (Abbagnano). Il creazionismo ebraico si fonde cos con la cosmogonia
platonica.
2. Plotino (205-270 d.C.) esponente del neoplatonismo, pone come prima ipostasi dell'Uno l'intelletto.
Sorge pertanto la questione se le idee platoniche siano prima dell'intelletto divino e se l'intelletto
divino le pensi in quanto sono realt in s indipendenti da esso. A questo problema egli risponde che
idee e intelletto sono la stessa cosa e vengono distinti solo dal pensiero: "Niente impedisce che
l'Intelligibile [ossia le idee] sia l'Intelligenza stessa [l'Intelletto o Nous prima ipostasi] in riposo, in
unit, in quiete" e che nell'Intelligibile l'Intelligenza contempli se stessa, cosicch nella autocontemplazione del Nous divino atto e contenuto di pensiero restano indivisi (Enneadi, III 9 1). L'idea
platonica dunque anche in Plotino oggetto interno dell'intelligenza divina.
3. Nel passaggio della dottrina delle idee entro la tradizione cristiana giuoca un ruolo essenziale il
Vangelo di Giovanni ossia la dottrina del Logos (in latino il Verbum) che il principio creatore della
divinit, dottrina espressa anche da Filone di Alessandria. Si ricordi l'incipit del Vangelo di Giovanni.
"In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. Hoc erat in principio
apud Deum. Omnia per ipsum facta sunt, et sine ipso factum est nihil; quod factum est".
La unificazione della dottrina delle idee con la teologia del logos di Giovanni si deve ad Agostino. Il
Logos o Figlio di Dio ha in s le idee ossia le forme o ragioni immutabili delle cose, eterne come
eterno il Logos e Dio. In conformit a tali ragioni eterne sono formate tutte le cose che nascono e
muoiono

Agostino (354-430), De Libero Arbitrio II 8 (20-22)


Agostino: Ed ora sta attento. Dimmi se si d un oggetto che tutti i soggetti pensanti universalmente
[communiter] vedano con l'atto puro del proprio pensiero [dic mihi utrum inveniatur aliquid quod
omnes ratiocinantes sua quisque ratione atque mente communiter videant]. L'oggetto visto sarebbe
rappresentabile a tutti, non si trasforma in possesso di coloro che se lo rappresentano, come il cibo e
la bevanda, ma rimane totalmente inalterato [incorruptum integrumque permaneat], tanto se i
pensanti lo vedono come se non lo vedono. Ma forse tu ritieni che non v' un tale oggetto?
Evodio: Anzi vedo che ve ne sono molti. Basta ricordarne uno. L'ideale verit del numero [ratio et
veritas numeri] cos rappresentabile a tutti i soggetti pensanti che ogni studioso di matematica tenta
di raggiungerla con un proprio atto di puro pensiero [sua ratione et intellegentia]. Ma uno lo pu pi
facilmente, un altro pi difficilmente e un altro non lo pu affatto, sebbene essa si offre ugualmente
a tutti coloro che hanno la capacit di comprenderla. E quando qualcuno la conosce nella sua verit,
essa non si trasforma divenendo un quasi cibo di chi la conosce, e quando qualcuno la esprime
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erroneamente, essa non viene a mancare, ma rimanendo vera e indefettibile [vera et integra
permanente], quegli tanto pi in errore quanto meno la comprende.
A. - Bene. Osservo per che hai trovato subito la risposta come competente in materia. Ma se ti si
dicesse che i numeri non in virt della loro propriet ma degli oggetti sensibili [non ex aliqua sua
natura, sed ex iis rebus quas sensu corporis attingimus] impressi nel nostro animo come immagini
determinate di cose visibili, che risponderesti? La pensi anche tu cos?
E. - Non potrei certamente pensarlo. Se ho conosciuto secondo verit i numeri con un senso, mi
sarebbe stato possibile conoscere col senso anche le regole della divisione o addizione. Infatti con la
luce dell'intelligenza disapprovo colui che mentre fa i calcoli nell'addizionare o sottrarre ottiene un
risultato erroneo. E non so per quanto tempo rimangano ancora gli oggetti che tocco col senso, come
questa atmosfera e questa terra e gli altri corpi che percepisco esistenti in essi. Ma sette e tre fanno
dieci, e non solo ora ma sempre, e non v' mai stato un tempo in cui non abbiano fatto dieci e mai vi
sar tempo in cui sette e tre non faranno dieci. E ho gi detto che l'indefettibile verit del numero
universale per me e per ogni soggetto pensante [Hanc ergo incorruptibilem numeri veritatem, dixi
mihi et cuilibet ratiocinanti esse communem].
A. - Non ti faccio obiezioni perch affermi nella risposta verit innegabili. Ma potrai anche facilmente
notare che i numeri stessi non sono derivati dalla esperienza sensibile [non per corporis sensus] se
penserai che ogni numero varia il nome ogni volta che aumenta dell'uno. Ad esempio, se si ha due
volte l'uno, il numero si chiama due; se tre, tre; e se si ha l'uno dieci volte, si denomina dieci ed ogni
numero in genere si considera di tanto di quante volte ha l'uno. Ora se si ha la vera nozione dell'uno,
si trova certamente che non pu essere percepito dai sensi. Si ha certezza infatti che qualunque oggetto
sensibile non uno ma molteplice perch corpo ed ha quindi innumerevoli parti. Un corpuscolo,
per non parlare delle sue parti ridottissime e meno differenziate, ha per lo meno una parte a destra e
una a sinistra, una di sopra e una di sotto, oppure una di qua e una di l o anche alcune alla periferia
e una al centro. Dobbiamo di necessit riconoscere che esse sono presenti in ogni particella del corpo
per quanto piccola. Pertanto non si ammette che alcun corpo sia uno da un punto di vista ideale [vere
pureque]. Ma soltanto mediante la distinta conoscenza dell'uno ideale si possono in esso suddividere
tante parti. Quando dunque cerco l'uno nel corpo e non dubito di non trovarvelo, so ci che cerco, ci
che non vi trovo e che non potr trovarvi, anzi che non v' affatto. Se dunque so che il corpo non
uno, so che cos' l'uno. Se infatti non conoscessi l'uno non potrei distinguere i molti nel corpo. In tutti
gli esseri infatti in cui apprender l'uno, non lo apprendo mediante il senso. Mediante il senso conosco
soltanto il corpo che, ne siamo certi, da un punto di vista ideale [vere pureque] non uno. Inoltre se
non si ha pura conoscenza dell'uno col senso, non si ha col senso conoscenza di alcun numero,
ovviamente di quelli intelligibili.

Agostino: De ideis (De diversis quaestionibus Octoginta tribus , 46).


1. Si dice che Platone sia stato il primo a nominare le idee; non gi nel senso che, prima di averlo
introdotto, non esistesse il nome o non esistessero le stesse realt, che egli ha chiamato idee, o non
fossero intuite da alcuno; ma probabilmente alcuni le chiamavano con un nome e altri con un altro.
[...]
2. Noi latini possiamo chiamare le idee o forme o specie, per mostrare che traduciamo parola per
parola. Se invece le chiamiamo ragioni ci scostiamo sicuramente dallinterpretazione rigorosa, perch
in greco le "ragioni" [rationes] si dicono logoi non idee. Ma se uno vuole usare questo termine, non
si discoster dalla realt stessa. Le idee sono infatti forme primarie o ragioni stabili e immutabili delle
cose: non essendo state formate, sono perci eterne e sempre uguali a se stesse e sono contenute
nellintelligenza divina [Sunt namque ideae principales quaedam formae vel rationes rerum stabiles
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atque incommutabiles, quae ipsae formatae non sunt ac per hoc aeternae ac semper eodem modo
sese habentes, quae divina intellegentia continentur]. Non hanno n origine n fine: anzi si dice che
tutto ci che pu nascere e morire e tutto ci che nasce e muore viene formato sul loro modello.
Nessunanima, eccetto la razionale, pu contemplarle [intueri], mediante la sua parte pi eccellente,
cio con la mente stessa e la ragione, come se le vedesse con la faccia o con il suo sguardo interiore
e intelligibile. Non si deve tuttavia ritenere idonea a questa visione ogni e qualsiasi anima, ma solo
quella che santa e pura, quella cio che ha locchio integro, sincero, sereno e assimilato alle realt
che desidera vedere, e con il quale le vede. Ora chi religioso e formato alla vera religione, ancorch
non possa ancora capire tali cose, oser negare, anzi non confesser piuttosto che tutte le cose esistenti,
vale a dire che per esistere sono racchiuse nel loro genere da una propria natura, non siano state create
da Dio? E che tutti i viventi vivano grazie a lui e che la conservazione universale delle cose e lordine
stesso per cui le cose soggette a mutamento eseguono i loro cicli regolati dal tempo con precisa
regolarit, non siano contenute e governate dalle leggi del sommo Dio? Ammesso e concesso tale
principio, chi oser affermare che Dio abbia tutto creato senza una ragione [irrationabiliter omnia
condidisse]? Se questo non si pu legittimamente affermare n credere, certo allora che tutto stato
creato secondo ragione; non per allo stesso modo luomo e il cavallo: pensarlo sicuramente
unassurdit. Ogni cosa stata dunque creata secondo proprie ragioni. Ma dove crediamo che si
trovino queste ragioni ideali se non nella mente stessa del Creatore? Egli infatti non vedeva qualcosa
esistente fuori di s, da costituire il modello di ci che creava: pensare questo infatti sacrilego. Se
dunque queste ragioni di tutte le cose da creare o create esistono nella mente divina, e se nella mente
divina non pu esistere nulla che non sia eterno ed immutabile - Platone chiama idee proprio queste
ragioni fondamentali delle cose [rationes rerum principales] -, le idee non solo esistono, ma sono
anche vere, perch sono eterne e rimangono per sempre eterne e immutabili. Partecipando di esse
esiste tutto ci che esiste, qualunque sia il modo di essere. Ma lanima razionale supera tutte le cose
create da Dio. Quando pura, vicina a Dio e nella misura in cui aderisce a lui per mezzo della carit,
pervasa e illuminata da lui di quella luce intelligibile, contempla, non con gli occhi del corpo, ma con
lelemento specifico del suo essere per cui eccelle, cio con la sua intelligenza, queste ragioni ideali,
la cui visione la rende pienamente felice. Queste ragioni si possono chiamare, come si detto, "idee,
forme, specie, ragioni"; a molti concesso di chiamarle a piacimento, a pochissimi per di
comprenderne la vera realt.

La dottrina delle idee nella teologia medievale: Tommaso dAquino


Tommaso (1221-1274), Summa Contra Gentiles, lib. I, capitoli LI-LIV
Tommaso esamina la questione della presenza delle idee nella mente divina e come la molteplicit
delle idee sia compatibile con la semplicit dell'essenza divina. "Affinch la molteplicit dei dati
intellettivi non porti ad ammettere una composizione nell'intelletto divino, si deve ricercare in che
modo queste nozioni possano essere molteplici. Tale molteplicit infatti non pu spiegarsi nel senso
che codesti concetti hanno in Dio un loro essere distinto. Perch, o essi verrebbero a identificarsi con
l'essenza divina, e allora l'essenza di Dio verrebbe ad essere molteplice, contro quello che pi volte
sopra abbiamo escluso; oppure sarebbero delle aggiunte all'essenza divina, e allora verrebbero ad
esserci in Dio degli accidenti, cosa egualmente impossibile, come sopra abbiamo visto. D'altra parte
non si pu ammettere che codeste forme intelligibili siano per se sussistenti, come sembra aver fatto
Platone [...] ricorrendo alle idee. Infatti le forme degli esseri corporei non possono sussistere senza
materia, non essendo anzi neppure pensabili senza di essa" (capp. LI-LII). Qui Tommaso ripropone
la critica di Aristotele alla realt separata delle idee. In ogni caso, teologicamente, le forme intelligibili
non potrebbero esistere fuori dell'essenza di Dio, perch Dio dovrebbe comunque averle conosciute
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prima nel proprio intelletto per produrle come realt separata. Pertanto le forme intelligibili si trovano
nell'intelletto divino (ivi).
La soluzione al problema della compatibilit di forme intelligibili con la semplicit dell'essenza
divina si ottiene in base a queste considerazioni: a) Dio conosce mediante la sua essenza; b) la sua
essenza " puro specchio e modello di tutte le cose"; c) "il concetto dell'intelletto di Dio in quanto
conosce se stesso, ossia il Verbo divino, immagine non solo di Dio, ma anche di tutte le cose di cui
l'essenza divina modello". In questo modo la ragione divina (il Verbo divino o logo giovanneo)
conoscendo se stessa nell'essenza divina, intende anche tutte le cose nella loro molteplicit, in quanto
tutte le cose derivano la loro realt dall'essenza divina (cap. LIII)
Ci si pu domandare come possa essere che "una realt unica e semplice come l'essenza divina, possa
essere prototipo o immagine appropriata di cose diverse". La risposta che "l'essenza divina abbraccia
in s la perfezione di tutti gli esseri, non gi per via di composizione, ma di perfezione, come sopra
abbiamo visto. Ogni forma, [...] in quello che ha di positivo, una data perfezione: infatti essa non
implica imperfezione, se non in quanto segna una mancanza rispetto al vero essere. L'intelletto di Dio
quindi pu abbracciare nella sua essenza quanto proprio di ciascun essere, conoscendo in che cosa
esso imiti l'essenza divina, e in che cosa ogni essere si allontani dalla perfezione di essa. Conoscendo,
per es., la propria essenza come imitabile sotto forma di vita, priva per di conoscenza, comprende la
forma propria della pianta; conoscendola invece come imitabile sotto forma di conoscenza, ma non
di intelligenza, comprende la forma propria dell'animale; e cos via. E' evidente quindi che l'essenza
divina, perch assolutamente perfetta, pu essere considerata come ragione propria di ogni singola
cosa. Dunque mediante la propria essenza Dio pu avere la conoscenza appropriata di tutte le cose"
(cap. LIV). Poich nell'intelletto divino " contenuta a ragione propria di ciascuna cosa", dunque in
esso "bisogna considerare una certa distinzione e pluralit di forme intellettive". Questa pluralit si
manifesta nella conoscenza divina, in quanto Dio "conosce il rapporto di somiglianza che ogni
creatura ha con lui". La pluralit delle forme non dunque un dato oggettivo separabile dalla
conoscenza divina del rapporto tra la propria essenza e la molteplicit delle cose create che da quella
essenza derivano e dipendono: "le ragioni delle cose non sono molteplici e distinte nell'intelletto
divino, se non in quanto Dio conosce che le cose possono somigliare a lui in diverse maniere" (ivi).
Solo in questo senso Tommaso riprende la tesi di Agostino il quale affermava che "nella mente di Dio
sono molteplici 'le ragioni delle cose'. E in tal modo si salva in qualche maniera l'opinione di Platone,
il quale ammetteva le idee, secondo le quali sarebbero stati formati tutti gli esseri esistenti nel mondo
corporeo" (ivi).

La questione degli universali nella filosofia medievale e moderna


Le idee platoniche sono realt universali perch, restando invariate, si manifestano in una molteplicit
illimitata da casi individuali. Vediamo ora di comprendere meglio cosa sono gli universali:
1. Comprensione teorica preliminare di come sorge il problema
Per capire come sorge il problema degli universali si pu seguire lefficace esposizione di Paul
Vincent Spade:
Considerate queste due lettere maiuscole: A A. Ignorate ogni altra loro caratteristica e per il
momento osservate soltanto che sono lettere dello stesso colore: sono entrambe nere.
Quando guardate queste due lettere, quanti colori vedete? Due risposte differenti sono plausibili.
Voi potete dire che qui vedete solo un colore, il nero. Lo vedete due volte, una volta in ciascuna
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delle due lettere maiuscole, ma in entrambi i casi lo stesso colore. Dopo tutto non ho forse detto
poco fa che sono due lettere dello stesso colore? Non risulta ovvio soltanto a guardarle? Questo
singolo nero un tipo di entit che ripetibile, che si trova intatta in entrambe le lettere nello stesso
tempo; quello che i filosofi chiamano un universale. Se questa la vostra risposta, allora credete
nella realt di almeno un universale e in questo senso siete realisti in merito alla questione degli
universali.
Ma ora cancellate tutto, riportate al punto iniziale il vostro apparato mentale e guardate di nuovo a
queste due lettere. A un secondo sguardo non forse ovvio che vedete due colori, due neri: il nero
della prima A, questo nero, e poi il nero della seconda A, questaltro nero? I due colori sono
esattamente simili, ma non sono forse visivamente distinti come lo sono le due lettere? Se questa
la vostra risposta, allora non credete nella realt degli universali (per lo meno non in questo caso) e
siete nominalisti in merito alla questione degli universali.
Il problema degli universali a tutti gli effetti il problema di decidere tra queste due risposte.1

2. Punti di debolezza e punti di forza delle due soluzioni principali (realismo e nominalismo)
Il punto debole e il punto di forza della posizione realista inverso rispetto a quella nominalista. Il
punto debole dei realisti metafisico, mentre il loro punto di forza epistemologico; viceversa per i
nominalisti. Se gli universali esistono, come sostiene il realista, si tratta di entit che hanno un
comportamento ontologico davvero particolare perch mantengono la loro identit moltiplicandosi
(per capire meglio questo aspetto vedi sotto con riferimento a Boezio). Al contrario, lontologia del
nominalista molto semplice ed empiricamente plausibile: esistono soltanto entit individuali.
Tuttavia il nominalista deve affrontare un grave problema epistemologico, perch tutta la nostra
conoscenza, salvo poche proposizioni che usano solo termini singolari o sostituti di termini
singolari, si costituisce attraverso luso di termini e concetti generali. Noi diciamo tutti gli uomini
sono mortali, i mammiferi sono animali, le pietre sono minerali e cos via, ossia raggruppiamo
singoli individui chiamandoli con uno stesso nome e poi tracciamo relazioni tra i nomi e i concetti
generali cos costituiti. Se non ci sono universali, su che base facciamo questi raggruppamenti? Che
legittimazione hanno i nostri concetti con i quali classifichiamo gli oggetti del mondo? Si potrebbe
rispondere che i nostri concetti classificatori sono dovuti soltanto a ragioni di utilit pragmatica o a
condizionamenti culturali, storicamente variabili, ma questo significherebbe che in ultima istanza
essi non rispecchiano le cose cos come esse sono, ma sono soltanto un nostro modo di ordinare il
mondo. Il nominalista possiede dunque unontologia semplice, ma fatica a spiegare come sia
possibile la conoscenza generale che poi la scienza tout court. Il realista pu invece rendere conto
della conoscenza generale proprio perch dispone di entit universali reali ai quali fanno riferimento
i nostri termini e concetti generali. Il problema del realista spiegare come sia possibile che nel
mondo ci siano, oltre agli enti individuali, anche quei peculiari enti che sono gli universali.

3. Origine storica del problema


3.1 Porfirio

P. V. Spade, Introduction a Five Texts on the Mediaeval Problem of Universals, transl., and ed. by P.V. Spade, Hackett Publish. Company, Indianapolis Cambridge 1994, p. VII.

Il problema degli universali consegnato al Medioevo dallIsagoge (Introduzione) dal


neoplatonico Porfirio, lallievo di Plotino, vissuto nel III secolo d.C., al quale si deve anche la
partizione degli scritti plotiniani nelle Enneadi. LIsagoge un testo introduttivo alla dottrina
aristotelica delle categorie e fu tradotto in latino da Boezio. Il testo tratta dei cosiddetti cinque
predicabili che sono il genere, la specie, la differenza, la propriet e laccidente. Ma ci che ha
segnato limportanza storica dellIsagoge non tanto quello che Porfirio scrive sui predicabili,
quanto ci che non dice sul problema degli universali, un problema che Porfirio formula,
lasciandolo per insoluto:
Non dir, riguardo ai generi e alle specie, se siano sostanze esistenti per s, o se siano semplici
pensieri; se siano realt corporee o incorporee; se siano separate dai sensibili ovvero poste in essi.
Poich questa impresa molto ardua, che ha bisogno di pi vaste indagini (Grande Antologia
Filosofica, Marzorati, Milano 1977, v. I, p. 766).
Sollecitati da questo problema aperto, i medievali disputarono sulla questione con una sottigliezza e
un rigore ineguagliati.

3.2 Boezio
Boezio (480-524 d.C.) tradusse lIsagoge e la comment. Nel Secondo Commentario allIsagoge
troviamo una definizione quanto mai precisa di cosa sia un universale e questa definizione rende
chiaro in che cosa consista la peculiarit ontologica delle entit universali. Boezio si riferisce al
genere, ma la sua definizione estensibile a ogni universale. Luniversale dice Boezio
qualcosa di comune a pi cose ed da esse condiviso. La comunanza delluniversale alle cose
singole ha tre caratteristiche: a) luniversale partecipato dalle cose singole nella sua interezza e
non in maniera parziale (non al modo in cui una torta divisa tra i commensali ciascuno dei quali
ne prende una porzione); b) luniversale partecipato dalle cose singole in maniera simultanea e
non in successione (non al modo in cui un cavallo posseduto in tempi diversi da diversi
proprietari, i quali lo possiedono per intero e non parzialmente, ma mai nello stesso tempo); c)
luniversale partecipato dalle cose singole in maniera tale da essere un costituente ontologico
della loro struttura e non in maniera ad esse esterna (come sarebbe ad esempio il rapporto che hanno
gli spettatori con uno spettacolo, che condiviso da tutti per intero e nello stesso tempo, ma che non
entra a far parte della loro natura costitutiva). Come vedete, si tratta di tre requisiti stringenti, e
soprattutto lultimo piuttosto difficile da elaborare.

3.3 Aristotele
I medievali partono dalla trattazione di Boezio, ma hanno a disposizione anche un altro testo
fondamentale, il De Interpretatione di Aristotele che appartiene alla cosiddetta Logica Vetus, ossia
ai testi aristotelici noti nellalto Medioevo prima delle versioni dellOrganon dallarabo e dal greco
che si avranno solo nel 1100 e 1200. Alla Logica Vetus appartenevano le traduzioni delle Categorie
e del De Interpretatione, e le rielaborazioni di varie opere sulla logica e la retorica compiute da
Boezio. Nel De Interpretatione Aristotele scrive:
Poich delle cose alcune sono universali (kathlou), altre individuali (kathkaston) chiamo
universale ci che per natura si predica (kategoresthai) di pi cose, individuale ci che non vi si
predica: per esempio, uomo tra le cose universali, Callia tra quelle individuali , necessario
9

enunciare (apophanesthai) che qualcosa appartiene (hyprchei) o no talvolta a qualcuna delle cose
universali, talvolta a qualcuna di quelle individuali. (17a 38 17b 2)
In questa formulazione aristotelica il problema degli universali presentato in termini di
predicazione, ossia riguarda il rapporto tra termini predicabili luno dellaltro (e, ovviamente, tra i
concetti ai quali i termini si riferiscono).
Ma il problema degli universali, cos come viene affrontato nel Medioevo, non un problema
soltanto logico, bens un problema ontologico, perch si tratta di decidere se i rapporti linguistici
di predicazione tra i termini rispecchino oppure no il rapporto metafisico tra le entit
extralinguistiche e se la verit della predicazione linguistica sia stabilita proprio in virt della sua
capacit di rispecchiare i rapporti reali tra gli enti. Per i realisti la relazione di predicazione (un
termine predicato di molti: il nome comune albero predicato di tanti singoli alberi; laggettivo
verde predicato di tante singole cose verdi) rivela dunque la presenza di universali comuni a molte
cose individuali.
Come osserva Russell (History of Western Philosophy, p. 463) il risultato delleredit che Porfirio e
Boezio lasciano alla filosofia medievale la dipendenza di logica e gnoseologia dalla metafisica e
dallontologia. I medievali hanno a disposizione due impostazioni del problema: sulla base della
definizione di Boezio il problema capire se esista una entit che corrisponde a quei requisiti; sulla
base della definizione di Aristotele il problema capire se il rapporto di predicazione riguarda
soltanto i termini o anche entit reali. Se si d una risposta affermativa a entrambe le questioni si
realisti, se si d una risposta negativa si nominalisti.

4. Schemi di classificazione del problema degli universali


Possiamo usare due possibili schemi di classificazione della disputa sugli universali:
4.1 primo schema
Questo schema risale a Tommaso dAquino e si fonda sulla tripartizione: universale ante rem, in re
e post rem (dove res = la cosa particolare). Le prime due posizioni (ante rem e in re) rientrano nel
realismo, in quanto ammettono lesistenza oggettiva delluniversale; la terza posizione
nominalista, in quanto nega lesistenza oggettiva (extramentale) delluniversale. Il realismo ante
rem lidealismo platonico, ossia la tesi che esistano essenze intelligibili in una dimensione
metaempirica, separate dagli oggetti sensibili; il realismo in re la concezione di Aristotele, che
critica la teoria platonica della separatezza delle idee e ammette lesistenza delluniversale solo nel
particolare ossia come forma che, congiunta alla materia, d luogo alla sostanza. La concezione
nominalistica (post rem), per la quale luniversale non esiste al di fuori del pensiero umano, gi
espressa nel mondo antico dagli stoici. Quando il problema degli universali verr dibattuto nel
Medio Evo, quando cio la teologia cristiana avr integrato la metafisica greca, Tommaso proporr
una soluzione conciliante, affermando che luniversale pu esistere in tutte e tre le dimensioni: ante
rem, come idea nella mente divina, in re, come forma nelle creature, e post rem, come concetto
mentale grazie al quale la mente umana ha scienza delluniversale. Questa tesi conciliativa resa
possibile dallinserzione dellesemplarismo platonico entro la concezione teologica cristiana (le idee
platoniche diventano modelli della creazione nella mente divina). Per Aristotele luniversale era s
in re, ma poteva essere anche post rem (ossia era forma della sostanza individuale ed era concetto
colto dalla mente per astrazione), ma non poteva essere ante rem, avendo Aristotele negato la
separatezza del cosmo ideale platonico.
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4.2 Secondo schema


Nel secondo schema la concezione nominalistica viene specificata meglio; di contro, nel primo
schema la posizione realistica era meglio illustrata, mentre quella nominalistica era descritta in
forma generica. Secondo questo schema lUniversale o res, o conceptus o nomen (dove res non
significa pi la cosa particolare, ma in generale la realt oggettiva). La prima posizione quella
realistica, descritta nel primo schema; la seconda e la terza posizione sono nominalistiche e si
distinguono in concettualismo (universale come concetto) e nominalismo in senso stretto e radicale
(universale come puro nome). Nel concettualismo si ritiene che luniversale sussista almeno come
concetto, ossia come idea astratta nella mente umana; nel nominalismo stretto si nega che possano
esserci anche idee generali astratte e si sostiene che soltanto i nomi abbiano caratteristica
universale, potendo riferirsi a una molteplicit di oggetti singoli. La posizione nominalistica estrema
sostenuta nel Medioevo da Roscellino, mentre quella concettualistica attribuita ad Abelardo.
Non sempre la distinzione tra concettualismo e nominalismo chiara negli autori medievali, mentre
lo diviene, ad esempio, nellempirismo britannico con la critica di Berkeley alla nozione lockiana
delle idee astratte. Una definizione di nominalismo risale a Leibniz che scriveva: Sono nominalisti
coloro che credono che, oltre le sostanze singolari, non ci sono che i puri nomi e quindi eliminano la
realt delle cose astratte e universali. La definizione rigorosa di nominalismo non per quella che
proviene da Leibniz, ma quella che troviamo ad es. in Berkeley: nominalista colui che sostiene
che tutte le cose esistenti sono singolari, quindi anche i nomi sono singolari, perch, come oggetti
fisici (fonemi o grafemi) non possono che avere una esistenza singolare. Tuttavia i nomi e soltanto i
nomi hanno un uso universale.
Il problema chiave del nominalismo che compare in tutti i suoi esponenti classici (ad es. Occam,
Berkeley) quello della somiglianza alla quale il nominalista deve pur ricorrere per spiegare
perch lo stesso termine venga impiegato in funzione universale. Come ha notato Russell:
Se vogliamo evitare gli universali bianchezza e triangolarit, sceglieremo una particolare striscia di
bianco o qualche triangolo particolare e diremo che bianco o che un triangolo tutto ci che
presenta il corretto tipo di somiglianza verso il particolare prescelto. Ma in tal caso la somiglianza
richiesta dovr essere un universale2.

La dottrina delle idee in Descartes e il mutamento semantico della nozione di


'idea'.
Con Descartes il termine 'idea' abbandona la sua accezione platonica e assume il significato di 'oggetto
interno' del pensiero in generale. Troviamo una definizione nella Risposta alle II Obiezioni dove D.
scrive: "Col nome di idea intendo quella forma di ogni pensiero, per la immediata percezione della
quale ho consapevolezza di questo stesso pensiero; in modo che non posso esprimere nulla con le
parole, se intendo ci che dico, senza che per ci stesso io sia certo che in me c' l'idea della cosa
significata con quelle parole. E cos non chiamo idee le immagini raffigurate soltanto nella fantasia;
anzi, qui senz'altro non le chiamo idee, in quanto sono nella fantasia corporea, cio raffigurate in una
parte del cervello, ma soltanto in quanto informano lo spirito stesso che si rivolge a quella parte del
cervello".
Una distinzione essenziale in Descartes quella tra 'realt formale' e 'realt oggettiva' dell'idea. La
'realt formale' designa la natura di tutte le idee per quanto riguarda il loro stesso essere nell'insieme
2

B. Russell, The Problems of Philosophy, H. Holt, New York 1912, chap. IX, p. 150.

11

degli enti esistenti. Il termine 'realt formale' assume il significato scolastico di 'formale', secondo il
quale la forma di un essere il principio che ne definisce l'essenza. Che cos' un'idea quanto al suo
essere 'idea'? Nell'ontologia di Descartes, nella quale vi sono solo due tipi di sostanza (quella pensante
e quella estesa) l'idea un modo della sostanza pensante, ossia una modificazione del pensiero. La
'realt formale' di un'idea la stessa per tutte le idee, le quali si differenziano invece quanto alla loro
'realt oggettiva'. "Per realt oggettiva dell'idea", scrive D. sempre nelle Risposte alle Seconde
Obiezioni, "intendo l'entit della cosa rappresentata mediante l'idea, in quanto l'entit nell'idea. [...]
Poich percepiamo ogni cosa come se fosse negli oggetti delle idee, le cose sono oggettivamente in
queste idee stesse". La 'realt oggettiva' perci il contenuto rappresentativo dell'idea che perci
distingue ogni idea dall'altra. Dunque, esemplificando: l'idea di cavallo e l'idea di triangolo hanno
diversa realt oggettiva, perch l'una rappresenta un cavallo e l'altra un triangolo, ma posseggono la
stessa realt formale perch sono entrambe atti del pensiero. Nella III Meditazione Metafisica, come
preambolo alla dimostrazione dell'esistenza di Dio a partire dalla presenza in noi dell'idea di Dio,
Descartes propone questa distinzione:
"Se considero le idee unicamente come modi di pensare, non riconosco tra di esse nessuna differenza
o ineguaglianza, e tutte sembrano procedere da me allo stesso modo; ma considerandole come
immagini, delle quali alcune rappresentano una cosa e altre un'altra, evidente che sono tra loro molto
differenti. Quelle, infatti, che mi rappresentano sostanze sono, senza dubbio, qualcosa di pi e
contengono in s, per cos dire, maggiore realt obbiettiva, partecipano, cio, per rappresentazione a
pi gradi d'essere o di perfezione che non quelle che mi rappresentano soltanto modi o accidenti. Per
di pi, quella idea mediante la quale conosco un Dio sovrano, eterno, infinito, immutabile, onnisciente,
onnipotente e creatore universale di tutte le cose che sono fuori di Lui, quell'idea, dico, ha certamente
in s maggiore realt obbiettiva che non quelle che mi rappresentano sostanze finite".
Una seconda fondamentale distinzione cartesiana riguarda l'origine delle idee: sempre nella Terza
Meditazione D. distingue "idee che mi sembrano nate con me, altre estranee e pervenute dal di fuori,
altre inventate da me stesso". E' la distinzione tra idee innate, avventizie e fittizie. Descartes
esemplifica i tre tipi in questo modo: "Infatti, la facolt di concepire una cosa, una verit, o un pensiero,
sembra non venirmi da altro che dalla mia natura [l'idea stessa del pensiero dunque una idea innata,
connaturata alla mente]; ma se odo adesso qualche rumore, se vedo il sole, se sento caldo, fino ad ora
ho giudicato che queste sensazioni provenissero da cose esistenti fuori di me [sono queste le idee
avventizie che appaiono provenire dal mondo esterno]; ed infine mi sembra che le sirene, gl'ippogrifi
e tutte le altre simili chimere siano finzioni ed invenzioni dello spirito [sono queste le idee fittizie
ossia create dall'immaginazione]".
Approfondiamo ora meglio il caso delle idee innate in Descartes.

Descartes, Meditazioni Metafisiche, Quinta Meditazione (le idee innate e l'eredit della
tradizione platonica)
"Prima di esaminare se [le cose materiali] esistono fuori di me, devo considerare le loro idee in quanto
sono nel mio pensiero, per vedere quali sono quelle distinte e quali quelle confuse. In primo luogo,
immagino distintamente quella qualit chiamata ordinariamente dai filosofi quantit continua, ossia
l'estensione in lunghezza, larghezza e profondit, presenti in questa quantit, o meglio nella cosa a
cui viene attribuita. Posso inoltre enumerare in essa molte altre parti ed attribuire a ciascuna ogni
sorta di grandezze, figure, situazioni e movimenti, ed infine posso attribuire a ciascuno di questi
movimenti qualsiasi genere di durata. E non conosco queste cose con distinzione solo quando le
considero in generale, ma conosco anche, per poco che applichi la mia attenzione, infinite particolarit
concernenti i numeri, le figure, i movimenti, ed altre cose simili la cui verit appare con tanta evidenza
e si accorda cos bene con la mia natura che, quando comincio a scoprirle, mi sembra di non imparare
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nulla di nuovo, ma di ricordare cose gi conosciute in precedenza; mi sembra cio di percepire cose
gi presenti nel mio spirito, sebbene non abbia ancora rivolto il mio pensiero ad esse.
Ma la cosa pi notevole che trovo in me un'infinit di idee di cose che non possono essere
ritenute un puro niente, anche se forse non abbiano esistenza fuori di me, e che non sono costruite da
me, anche se sono libero di pensarle o non pensarle; esse hanno cio una natura vera ed immutabile.
Ad esempio, quando immagino un triangolo, anche se questa figura non esiste e non mai esistita in
nessun luogo all'infuori del mio pensiero, non cessa, tuttavia di esistere in questa figura una
determinata natura, forma od essenza, immutabile ed eterna, che non ho inventato io e che non
dipende in alcun modo dal mio spirito; ci reso evidente dalla possibilit di dimostrare diverse
propriet del triangolo, come, ad esempio, che la somma dei suoi tre angoli uguale a due retti, che
l'angolo maggiore sotteso dal lato maggiore e altre simili; ma queste propriet, adesso, che io lo
voglia o no, devo riconoscere con estrema chiarezza ed evidenza che sono in esso, anche se, quando
mi sono immaginato un triangolo la prima volta, non mi sia mai venuto in mente di pensarci. E questa
considerazione mi fa concludere che non posso averlo n costruito n inventato.
E non nemmeno possibile obiettare che, forse, l'idea del triangolo l'ho ricevuta dai miei sensi,
dato che qualche volta ho osservato figure triangolari; posso, infatti, formarmi mentalmente
un'infinit di altre figure di cui non si pu avere il minimo sospetto che mi siano mai capitate sotto i
sensi, e non viene meno, tuttavia, la possibilit di dimostrare diverse propriet concernenti la loro
natura, come faccio per il triangolo."
Per Descartes sono idee innate non solo quelle della matematica, ma anche gli assiomi generali della
filosofia e della logica, come ad esempio il principio di non contraddizione o l'assioma ex nihilo nihil,
dal quale dipende il principio di causa.
Appresa la natura delle idee innate possiamo tracciare uno schema conclusivo circa la tripartizione
delle idee in innate - avventizie - e fattizie.
Idee avventizie

Idee fattizie

Idee innate

Presentarsi di unidea alla mente


La mente

passiva

attiva

attiva

Contenuto dellidea
La mente

passiva

attiva

passiva

Nel presentarsi di unidea alla mente, ossia nella sua genesi, la mente attiva nel caso delle idee della
immaginazione e lo anche nel caso delle idee innate, perch decido io se pensare ad esempio lidea
di triangolo piuttosto che lidea del cerchio (idee innate) oppure se pensare a Pegaso o a Paperino
(idee fattizie di immaginazione). Nel caso delle idee avventizie, la mente invece passiva, perch
non posso decidere io di mutare a piacimento il contenuto delle idee sensibili che provengono
dallambiente esterno. Se c il sole e io apro gli occhi sono costretto a vedere la luce. Ovviamente
anche rispetto alle idee avventizie c un grado di attivit del soggetto, che consiste nel rivolgere la
propria attenzione a certi gruppi di idee, invece che ad altri gruppi di idee; se sento freddo, perch
laria fresca, decido di spostarmi in una stanza riscaldata; ma siccome le idee avventizie provengono
dallesterno, la mente non pu mai suscitarle a suo piacimento; tutto quello che possiamo fare
cercare condizioni in cui si presenteranno a noi certe idee invece che certe altre, senza che la mente
possa evocarle da s.
Per quanto riguarda il contenuto delle idee, la mente attiva soltanto nel caso delle idee di
immaginazione, che vengono inventate dalla mente stessa; invece passiva negli altri due gruppi di
idee. La passivit delle idee avventizie ovvia perch il mondo esterno che le imprime in noi.
Occorre invece spiegare la passivit della mente rispetto alle idee innate, perch proprio questo
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aspetto che ci fa comprendere perch questo gruppo di idee venga considerato innato e non fattizio.
La mente passiva, perch non la mente a decidere quali caratteristiche appartengano a una idea
innata; posso decidere di rivolgere la mia attenzione mentale a un cerchio o a un triangolo, ma una
volta che ho in mente luna o laltra di queste figure, le sue propriet geometriche dipendono dalla
natura dellidea e non sono attribuite ad essa a mio piacimento, come invece avviene quando creo una
idea della immaginazione. Anche se nel caso delle idee innate manca qualcosa di esistente che si
imponga alla mente (come nel caso delle idee avventizie), il contenuto di pensiero delle idee innate
resiste alla attivit della mente, ossia non passibile di modificazione arbitraria, non manipolabile
a mio piacimento. Ci si deve al fatto che le propriet dellente descritto da una idea innata sono
logicamente implicate luna nellaltra e non possibile affermarne una e negarne unaltra, perch ci
implicherebbe contraddizione: se penso una figura piana delimitata da tre lati, il triangolo, devo anche
pensare per necessit logica che la somma degli angoli interni di quella figura di 180 gradi, che i
triangoli saranno o rettangoli o non rettangoli, che i triangoli non rettangoli saranno o isosceli o
scaleni e cos via. In sintesi nelle idee innate vige la logia della scoperta e questo fa s che esse siano
sistemi aperti ossia che si possano scoprire connessioni derivanti logicamente dalle loro propriet
che non sono immediatamente note allinizio; nelle idee fattizie vige invece la logica della invenzione
ed esse sono perci sistemi chiusi perch posso ritrovarci soltanto quello che vi ho posto inizialmente.
Le idee innate sono dunque contenuti che si impongono alla mente e ci inducono a ipotizzare che le
entit da esse descritte esistano indipendentemente dal nostro pensarle.
La tradizione platonica delle idee come realt immutabili oggettive esterne alla mente umana
prosegue anche dopo la svolta impressa da Descartes. La ritroviamo nella teologia filosofica di

Malebranche.
Malebranche, La ricerca della verit (1674-75) libro III, parte II, cap. I)
Gli uomini, essendo inclini naturalmente a credere che esistano soltanto gli oggetti corporei,
giudicano della realt e dellesistenza delle cose ben diversamente da come dovrebbero; perch
appena sentono un oggetto, ritengono che sia certissimo che quelloggetto esiste, bench spesso
accada che allesterno non ci sia nulla. Oltre a ci, ritengono che quelloggetto sia esattamente uguale
a come lo vedono, cosa che non capita mai. Ma quanto allidea, che esiste necessariamente e che non
pu essere altra da come la si vede, di solito giudicano senza riflettere che non esiste; come se le idee
non avessero un gran numero di propriet, come se, per esempio, lidea di un quadrato non fosse ben
diversa da quella di qualche numero, e non rappresentasse cose tuttaffatto differenti: e una cosa
simile non pu mai essere ridotta al nulla, poich il nulla non ha propriet. E dunque indubitabile che
le idee hanno unesistenza molto reale."
Malebranche, La ricerca della verit (Eclaircissement X - 1678)
"Speravo che quanto ho detto sulla natura delle idee fosse sufficiente a far capire che Dio che ci
illumina; ma ho conosciuto per esperienza che ci sono molte persone che non sono capaci di una
attenzione cos forte da concepire le ragioni che ho dato per questo principio. Ci che astratto
incomprensibile alla maggior parte degli uomini; il sensibile che li risveglia e che fissa e cattura la
vista del loro spirito. Non riescono a considerare e, per conseguenza, neppure a comprendere ci che
non cade sotto i sensi n sotto limmaginazione. [...]
Ci sono tuttavia alcune persone la cui ragione salda e ferma si eleva fino alle verit pi astratte: le
contemplano con attenzione e resistono alle impressioni dei sensi e dellimmaginazione con molto
coraggio. Ma poco a poco il corpo appesantisce lo spirito ed essi ricadono. Quelle idee si dissipano e
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avendone limmaginazione suscitate di pi vive e sensibili, quelle prime idee non assomigliano ad
altro che a spettri di cui si diffida e di cui si apprende lillusione.[...]
Non c' chi non convenga che tutti gli uomini sono capaci di conoscere la verit; e i filosofi anche
meno illuminati sono concordi nel ritenere che l'uomo partecipa a una certa ragione che essi non
determinano. Per questo lo definiscono animal rationis particeps; perch non c' nessuno che non
sappia almeno confusamente che la differenza essenziale dell'uomo sta nella sua unione necessaria
con la ragione universale, bench di solito non si sappia chi sia colui che possiede questa ragione e
non ci si dia gran pena di scoprirlo. Vedo per esempio che 2 per 2 fa 4 e che bisogna preferire un
amico al proprio cane, e sono certo che al mondo non c' uomo che non possa vederlo altrettanto bene
quanto me. [] Sono certo che le idee delle cose sono immutabili e che le verit e le leggi eterne
sono necessarie: impossibile che non siano tali quali sono. Ora in me stesso non scorgo nulla di
immutabile n di necessario; io potrei non essere affatto o non essere tale quale sono; possono esserci
degli spiriti che non mi rassomigliano; e tuttavia sono certo che non possono esserci spiriti che vedono
delle verit e delle leggi diverse da quelle che io vedo; perch ogni spirito vede necessariamente che
2 per 2 fa 4 e che bisogna preferire l'amico al cane. Bisogna dunque concludere che la ragione che
tutti gli spiriti consultano una ragione immutabile e necessaria.
Inoltre evidente che questa stessa ragione infinita. Lo spirito dell'uomo concepisce
chiaramente che c' o che pu esserci un numero infinito di triangoli, di quadrangoli, di pentagoni
intelligibili e di altre figure simili. Non solo egli concepisce che le idee di quelle figure non gli
verranno mai meno e che ne scoprir sempre di nuove, quand'anche si applicasse soltanto a studiare
quelle specie di idee per tutta l'eternit; egli percepisce anche l'infinito nell'estensione, perch non
pu dubitare che l'idea che ha dello spazio sia inesauribile. Lo spirito vede chiaramente che il numero
che moltiplicato se stesso d 5 [] una grandezza i cui termini hanno pi cifre di quante possano
essercene tra un polo e l'altro del mondo. Egli vede chiaramente che un rapporto tale che non c'
che Dio che possa comprenderlo e che impossibile esprimerlo esattamente perch, per farlo, occorre
una frazione i cui termini sono infiniti. Potrei portare molti esempi simili dai quali si pu concludere
non solo che lo spirito dell'uomo limitato, ma che la ragione che consulta infinita. []
Ma se vero che la ragione alla quale tutti gli uomini partecipano universale; se vero che
infinita; se vero che immutabile e necessaria, certo che non affatto diversa da quella di Dio
stesso; perch non c' che l'essere universale e infinito che possieda una ragione universale e infinita.
Tutte le creature sono esseri particolari: la ragione universale non dunque creata. Tutte le creature
non sono affatto infinite; la ragione infinita non dunque una creatura. Ma la ragione che noi
consultiamo non soltanto universale e infinita, anche necessaria e indipendente, noi la concepiamo
in certo modo come pi indipendente di Dio stesso; perch Dio non pu agire che secondo questa
ragione, egli in un certo senso dipende da essa, bisogna che la consulti e che la segua. Ora Dio non
consulta altro che se stesso; egli non dipende da nulla. Questa ragione non dunque distinta da lui
stesso: essa gli dunque coeterna e consustanziale."
Malebranche sostiene la dottrina della 'visione delle idee in Dio'. Cerchiamo di fissare i tratti
essenziali di questa dottrina:
a) Malebranche condivide con Descartes la concezione che l'oggetto primo e diretto del nostro
pensiero non sono gli oggetti esterni, ma le loro idee; questo significa che l'uomo non conosce
direttamente le cose esterne se non per il tramite delle sue rappresentazioni mentali o idee
(rappresentazionalismo)
b) le idee per M., come si visto, sono 'esseri reali' e insieme 'esseri spirituali' appartenenti a un
mondo intelligibile nella mente divina che superiore al mondo materiale dei corpi.
c) Per M. le idee non possono mai essere prodotte n dall'anima n dai corpi nell'anima perch
produrre qualcosa, anche un'idea, significa 'creare'. Secondi M. la potenza creativa non spetta mai alle
creature, ma solo a Dio.
15

d) Sulla base del presupposto occasionalistico appena enunciato, per il quale la potenza causale risiede
tutta in Dio, M. conclude che quando l'uomo conosce le idee, non le produce nella propria mente, ma
vede direttamente in Dio le idee ossia le cause di tutte le cose. Infatti le idee sono eterne, immutabili
e necessarie e non possono trovarsi altro che nella mente di Dio. Dio ha in s l'idea di tutti gli esseri
che ha creato, altrimenti non avrebbe potuto crearli.
e) La visione da parte dell'uomo delle idee in Dio (in particolare della estensione intelligibile) implica
che Dio rivela all'uomo queste verit grazie alla presenza di Dio stesso nell'anima di ciascun uomo.
Dio il luogo degli spiriti, cos come diciamo che lo spazio il luogo dei corpi. I nostri spiriti abitano
nella ragione universale divina e per questo possono scorgere in essa la verit. Pertanto la 'visione in
Dio' anche una 'rivelazione' della verit da parte di Dio all'uomo. In tal modo Malebranche riprende
la tesi agostiniana della conoscenza della verit come illuminazione dell'intelletto umano da parte
della sapienza divina.

Arnauld, critico di Malebranche


La ripresa della tradizione platonico-agostiniana da parte di Malebranche non cancella l'innovazione
cartesiana. Un altro cartesiano, Antoine Arnauld, polemizza con Malebranche nello scritto Sulle vere
e false idee (1683) dove afferma una teoria rappresentazionalista diretta, laddove per Malebranche
non potevamo mai conoscere direttamente gli oggetti esterni, ma solo avere nozione chiara e distinta
della idea di estensione che di volta in volta pu rappresentare gli oggetti. Per Arnauld la conoscenza
non affatto visione delle idee in Dio, ma percezione diretta di un oggetto. L'idea dunque percezione.
In tal modo la concezione rappresentativa viene rimossa, perch per Arnauld l'idea non una
immagine dell'oggetto al modo in cui un quadro raffigura l'originale, ma l'oggetto stesso presente
nello spirito nella forma rappresentativa che propria dello spirito allorch apprende direttamente
l'oggetto. Per chiarire questo punto occorre tenere conto del fatto che Arnauld da un lato accetta la
tesi che gli oggetti esterni sono presenti nella mente sotto forma di percezione e in questo senso noi
non conosciamo gli oggetti 'immediatamente', "perch chiarissimo che noi non possiamo vederli,
avvertirli, conoscerli se non attraverso le percezioni che ne abbiamo". Tuttavia, questa impossibilit
di apprensione immediata degli oggetti (dovuta al fatto che gli oggetti non possono essere presenti in
se stessi nel nostro pensiero) non significa che noi li conosciamo mediante "esseri rappresentativi
distinti dalle percezioni". Se si introduce un ente intermedio di questo tipo tra la nostra mente e gli
oggetti (ossia una copia somigliante), allora Arnauld nega che esista quella conoscenza 'mediata' e
sostiene che la nostra conoscenza invece immediata. Il rapporto cognitivo dunque percezioneoggetto e non percezione - essere rappresentativo - oggetto. Questa teoria della conoscenza si applica
a tutti gli oggetti di conoscenza siano essi i corpi o la nostra anima o Dio (Sulle vere e false idee cap.
VI).
Ripetendo una tesi gi cartesiana, anche per Arnauld lo spirito, allorch percepisce un oggetto
percepisce anche se stesso, ossia coscienza della propria percezione: la percezione sia diretta sia
riflessa. Arnauld afferma che "io conosco me stesso nel conoscere le altre cose" (Sulle vere e false
idee, 6). Questa posizione era stata proposta anche nella celebre Logica di Port-Royale o Arte di
pensare che Arnauld aveva scritto insieme a Pierre Nicole e che era stata pubblicata nel 1662. In
questo testo, che ebbe larghissima diffusione, gli autori esordiscono affermando che "il termine 'idea'
nel novero di quei termini che sono cos chiari che non si possono spiegare mediante altri, perch
non ce ne sono di pi chiari e di pi semplici". Questa affermazione attesta che l'uso cartesiano
ormai invalso. Tuttavia si tratta di una affermazione da prendere con cautela, perch subito dopo
averla pronunciata gli autori si affannano a chiarire che sarebbe una concezione falsa perch restrittiva
quella di identifica l'idea con i prodotti della nostra immaginazione, ossia con le immagini dei corpi
che il nostro spirito dipinge nel cervello. Oltre alla immaginazione esiste anche l'intellezione pura e
noi pensiamo molti contenuti mentali senza averne l'immagine. Ad esempio abbiamo conoscenze
geometriche chiare e distinte di figure assai complesse (un poligono di mille angoli) delle quali non
abbiamo alcuna immagine; inoltre sappiamo che cosa sia in generale un pensiero e l'attivit del
pensare senza che per possiamo formarcene alcuna immagine. Un altro esempio dato dalla
16

affermazione e dalla negazione: "colui che giudica che la terra rotonda e colui che giudica che la
terra non rotonda, hanno entrambi le stesse cose dipinte nel loro cervello, ossia la terra e la rotondit,
ma l'uno vi aggiunge una affermazione, che una azione del suo spirito, che egli concepisce senza
alcuna immagine corporea, e l'altro vi aggiunge una azione contraria, che la negazione, della quale
ancor meno pu possedere l'immagine". Rimosso il pregiudizio che le idee siano solo immagini
mentali, Arnauld e Nicole propongono una definizione di 'idea' molto ampia, e questa accezione sar
ripresa da Locke: "Dunque quando parliamo di idee, con questa parola non designiamo le immagini
dipinte nella fantasia, ma tutto ci che nel nostro spirito quando possiamo dire con verit che
concepiamo una cosa, in qualunque maniera noi la concepiamo" (Logique, parte I, chap. I).

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