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Il dilemma della responsabilit`a umana e della

causalit`a dei fenomeni naturali


Bianca Rizzo

Indice
1 Introduzione e definizioni
1.1 Mondo deterministico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2 Mondo arbitrariamente libero . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2 La responsabilit`
a umana - Il caso dellantica Grecia
2.1 Lepica omerica - Iliade . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.2 La vicenda di Oreste Le interpretazioni dei tragediografi
2.2.1 Eschilo - Orestea . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.2.2 Sofocle - Elettra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.2.3 Euripide - Elettra . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.3 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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4 Caso e meccanicismo nelle leggi fisiche


4.1 Lapproccio della scienza moderna . . . . . . . . . . . . . . . .
4.2 Verso un allontanamento dal meccanicismo . . . . . . . . . . .
4.3 La meccanica quantistica e laltra faccia della fisica . . . . . .

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Bibliografia

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3 La problematica filosofica
3.1 Il finalismo nella storia . . . . . . . . . . .
3.1.1 La Provvidenza cristiana . . . . . .
3.2 Linterpretazione kantiana . . . . . . . . .
3.3 La libert`a umana nelle filosofie ellenistiche
3.3.1 Stoicismo . . . . . . . . . . . . . .
3.3.2 Epicureismo . . . . . . . . . . . . .

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Introduzione e definizioni

Lipotesi `e che vi sono leggi di natura, come quelle che governano il moto
dei pianeti, che governano tutto quello che accade nel mondo, e che in conformit`a a quelle leggi le circostanze precedenti unazione determinano quello
che accadr`a ed escludono ogni altra possibilit`a 1 . Con questa definizione si
indica in maniera abbastanza chiara il concetto di determinismo.
In altre parole, secondo questa idea, tutto ci`o che accade sulla Terra, e pi`
u
generalmente, nellUniverso, `e appunto determinato da uninfinit`a di leggi,
alcune pi`
u palesi, se pensiamo alle leggi della fisica o alla scienza in generale,
altre invece pi`
u occulte e sfuggenti, che regolano e rendono inevitabile ogni
singola azione di tutti gli esseri viventi, in particolar modo di quelli dotati di
una coscienza.
Agli antipodi vi `e lidea di libero arbitrio, secondo la quale ogni azione di un
essere pensante `e assolutamente libera, ne determinata o imposta da qualche
legge intrinseca dellindividuo; perci`o nel fare una determinata scelta tra due
o pi`
u possibilit`a, le condizioni che portano a sceglierne una anziche unaltra
sono esattamente le stesse e non c`e nulla di prefissato nel soggetto che compie questazione che giustifica o determina la decisione presa.
Di conseguenza linterrogativo che si pone `e: siamo totalmente liberi, od ogni
nostra azione `e determinata da una serie infinita di leggi e cause precedenti?
Immaginiamo quindi in breve cosa pu`o succedere se si prende per vero ognuno
dei due postulati.

1.1

Mondo deterministico

Tutto `e stabilito in anticipo, nulla `e casuale, ma ogni cosa avviene per almeno
una causa precedente. Cos` `e il mondo della fisica classica, un concatenarsi
di cause ed effetti che diventano a loro volta cause. Proviamo ad estendere
questo principio anche agli esseri umani, anzi alla mente umana. Il nostro
organismo non agisce arbitrariamente nelle sue azioni fisiologiche, giacche il
nostro corpo stesso `e un sistema fisico, quindi perche ci`o non potrebbe valere anche per il pensiero e le conseguenti scelte? Quando noi formuliamo
i pensieri, non avviene per caso, ma questi sono preceduti da una serie di
eventi, sia allinterno del nostro corpo che nella nostra stessa vita, che hanno
fatto s` che un determinato pensiero dovesse inevitabilmente nascere in quel
preciso momento. A loro volta, tutti quegli eventi sopra elencati sono stati
ugualmente determinati ciascuno da una serie di cause precedenti, e cos` via,
si giunge cos` a tempi remotissimi, fino allorigine delluniverso. Ma questo
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T.Nagel Brevissima introduzione alla filosofia pag. 63

retrocedere avr`a mai fine? Se si arriva fino al Big Bang, scopriremo da cosa
`e causato? E questa causa sar`a incausata, o sar`a essa stessa effetto di qualcosa? Troveremo una causa incausata o il tempo si riveler`a infinito anche nel
passato? Per evitare questo intoppo dellinfinit`a del tempo, allora dovremmo
ipotizzarlo come circolare, riprendendo le teorie di alcuni dei presocratici, e
leterno ritorno di Nietzsche.
Tornando al pensiero di un individuo, lo abbiamo inserito in un sistema
intricato di eventi che si susseguono secondo il principio di causalit`a e si influenzano a vicenda. Stando a ci`o, noi non saremmo altri che ingranaggi di
unimmensa macchina deterministica. Ma a questo punto dovrebbe cambiare la concezione stessa di umanit`a. Perche in quel caso non saremmo pi`
u
esseri liberi, ma non ci sarebbe nessuna differenza tra gli uomini e gli animali;
ma non solo, non ci sarebbe nessuna differenza tra gli esseri viventi e delle
macchine. Scomparirebbe infatti il concetto di responsabilit`a, che implica di
per se una possibilit`a di scelta. Ma questa ci viene completamente negata, in
quanto ci`o che noi crediamo di scegliere `e gi`a di per se determinato, ergo non
abbiamo nessuna responsabilit`a, esattamente come una macchina, che non
pu`o agire di sua libera iniziativa. Si tratta quindi di un argomento rischioso,
che attacca lo stesso concetto di essere umano alle basi.

1.2

Mondo arbitrariamente libero

Questa volta non si ricercher`a pi`


u una causa ad ogni evento che si verifica,
in quanto ci si imbatter`a prima o poi in un evento che accade in maniera
assolutamente casuale. Abbiamo stabilito una condizione che implica quindi leventualit`a del caso, cio`e leventualit`a in cui unazione o evento non sia
assolutamente determinato, ma pu`o verificarsi come no, senza nessuna previsione attendibile. Luniverso risulter`a s` conforme a leggi fisiche, ma queste
descrivono la natura solo in maniera quantitativa, e per questo non vincolano
in maniera significativa i fenomeni che possono di conseguenza avere un margine di casualit`a. Possibile che tutto questo equilibrio sia nato assolutamente
per caso? E se `e governato dal caso, per quanto rester`a tale?
Vediamo per`o, se questa volta possiamo parlare di responsabilit`a e di scelta
per quanto riguarda gli esseri umani. Sicuramente non abbiamo pi`
u pensieri o azioni determinati, se non quelle fisiologiche. Possiamo allora dire che
facciamo una scelta completamente arbitraria e libera? Ma in base a cosa? Perche come possiamo scegliere, se non affidandoci ai nostri desideri o
predisposizioni? Ma un desiderio deve essere considerato come uninfluenza,
e allora in quel caso non si potrebbe parlare di libero arbitrio. E da cosa
nasce una scelta, se non pu`o essere determinata? In tal caso non si tratterebbe nemmeno di una scelta, anzi lazione sarebbe del tutto casuale. Infatti
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anche un computer, dovendo scegliere tra una serie di dati, ha dei canoni di
scelta che gli vengono imposti, quindi in questo modo la scelta non pu`o che
essere determinata: ma volendo evitare ci`o allora leviamo qualsiasi canone
dalla macchina e a questo punto la scelta non pu`o che essere assolutamente
casuale. Allo stesso modo allora la stragrande maggioranza delle azioni umane `e cos` dettata dal caso... Se cos` fosse varrebbe ancora la definizione di
esseri umani? Come potremmo controllare ci`o che costruiamo, se non siamo
in grado di controllare noi stessi?
Vediamo quindi che entrambe le concezioni, applicate ed esasperate alle
estreme conseguenze, portano allo stesso problema di fondo, cio`e mettono in
dubbio la definizione stessa di uomo come un essere dotato di libert`a di
pensiero e di autocontrollo.
Questa questione ha preso varie forme nel corso della storia, e, partendo dal
pensiero puramente filosofico si `e riflessa sul pensiero religioso e in quello
scientifico negli anni pi`
u tardi.
Eppure sembrerebbe che in ogni caso gli uomini si siano aggrappati allidea
di una determinazione nella natura, che ha assunto vari nomi e forme con lo
scorrere del tempo e dei pensieri: si parte dal Destino della cultura greca, denominato di volta in volta come Fato, Ananke, Moira, a seconda del contesto;
nel pensiero Ebraico/Cristiano si parla invece di Provvidenza, definita come
unentit`a (Dio), tra le altre cose, onnisciente e onnipotente e quindi padrone
e soprattutto fautore del presente, passato e futuro. Infine la scienza dalla
rivoluzione galileiana ha posto come base del pensiero scientifico il meccanicismo dei fenomeni fisici e naturali in genere. Lo stesso meccanicismo nella
fisica verr`a smentito per`o nel 21esimo secolo, con lavvento della teoria dei
quanti.
Non esiste perci`o una base solida nella realt`a che dia una direzione inequivocabile per la scelta di uno dei due sistemi: entrambi hanno il loro effetto
collaterale, e il difetto di uno `e il vantaggio dellaltro, ne uno riesce definitivamente a confutare quello opposto. La scelta in tal caso non sembra nemmeno
dettata da una ragione di tipo etico o razionale, perche in tal caso sarebbe
stato scontato che avrebbe vinto il libero arbitrio, nota la tendenza delluomo
verso la libert`a. Ma allora, se la preferenza non `e dettata dalla ragione, `e
sicuramente frutto di una paura. Quindi dobbiamo chiederci: cosa spaventa
di pi`
u gli uomini? Lineluttabilit`a e linevitabilit`a delle azioni future, e la
conseguente perdita totale di libert`a di scelta? Oppure lindeterminazione di
ogni sistema fisico e mentale che porta al caos? E la risposta `e senza dubbio
il caos.
Prendiamo la cosmogonia greca (ma andrebbe bene quella di qualsiasi altra

cultura), nella quale tutto nasce dal Caos, ma il mondo che ne `e figlio, `e
lesatto opposto, `e un mondo ordinato, equilibrato ed armonico: cos` il caos
si presenta come in ritorno alle origini, in senso per`o estremamente negativo.
E per questo esistono le divinit`a, tutrici dellordine, ognuna strettamente nel
suo campo e alle quali luomo greco era tenuto ad affidarsi completamente.

La responsabilit`
a umana - Il caso dellantica Grecia

Ma i greci si consideravano liberi? La risposta `e abbastanza controversa. Il


mondo greco aveva una struttura complessa, di conseguenza la responsabilit`a
delluomo non era ben definita. Possiamo suddividere il mondo greco in tre
piani principali: Uomini, Divinit`a, Fato; ma non `e nemmeno un sistema
stabile.
I protagonisti principali non sono gli uomini, bens` gli dei: essi giocano con
gli uomini, come bambini con le bambole. Intervengono spesso e volentieri
nelle vicende umane, con il semplice scopo di soddisfare un risentimento,
un capriccio o un desiderio amoroso. E questi interventi non rimanevano
isolati, ma scatenavano una serie di conseguenze, per lo pi`
u disastrose, che
permettevano agli dei di continuare il loro gioco, parteggiando per gli uomini
o per le citt`a che preferivano, approfittandone per sfogare i risentimenti e le
antipatie tra loro. Ovviamente non sono onnipotenti: al di sopra di loro vi
`e il Fato, il destino al quale sono sottoposte anche tutte le divinit`a, persino
Zeus, anche se non `e chiaro in che misura agisca su di esse.

2.1

Lepica omerica - Iliade

Prendiamo i poemi omerici: questi hanno tramandato una minuziosa descrizione della religiosit`a greca e delle sue contraddizioni. Nel libro VIII dellIliade, Zeus pesa le Chere (i destini) dei Greci e dei Troiani e il verdetto risulta
favorevole a questi ultimi. Da l` parte lordine del re agli dei di non intervenire pi`
u nella guerra e nelle vicende umane: nei momenti in cui questordine
`e stato rispettato vediamo che effettivamente la guerra prende una piega a
favore dei Troiani, mentre sappiamo che i vincitori saranno i Greci, proprio
a seguito della resa di Zeus nel concedere agli dei il permesso di intervenire
nelle battaglie. Come vediamo, pare che il destino non ci abbia azzeccato:
gli dei agiscono come delle interferenze rispetto al normale svolgersi degli
eventi e soprattutto sembrerebbero in grado di opporsi al Fato, invertendolo.
In altri casi si figurano invece come a prima vista sottoposti ad esso: nel libro
XVI il figlio di Zeus, Sarpedonte, `e in procinto di battersi contro Patroclo
travestito da Achille. Ovviamente a Zeus sta a cuore il destino del figlio:
anche in questo caso si ha il peso delle Chere, che sanciscono il destino di
morte di Sarpedonte. Zeus allora accetta impotente la morte del figlio, come privato da ogni possibilit`a di aiuto da unentit`a superiore ed occulta. Si
ricorre nuovamente allutilizzo delle Chere nel duello tra Achille ed Ettore:
la morte delleroe troiano `e segnata e Apollo, suo protettore, lo abbandona
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insieme ad ogni speranza di vincere contro leroe greco aiutato da Atena. I


casi di Sarpedonte ed Ettore sono simili: entrambi, una volta definito il loro
destino, vengono abbandonati dai loro protettori. Ma questo atteggiamento non `e razionale, o meglio umano, soprattutto nel caso di Zeus, infatti si
tratta pur sempre di suo figlio, e un genitore di norma `e pronto a rischiare
e ad andare contro lineluttabilit`a, pur di tentare di salvare la prole. Invece
sia Zeus che Apollo agiscono in maniera quasi automatica, a discapito dei
loro protetti, facendo in modo che la profezia non si avveri, ma si autoavveri:
con la protezione divina infatti la sconfitta dei due errori troiani non sarebbe
stata cos` scontata. La posizione del Fato `e quindi abbastanza ambigua: non
`e scontato porlo al di sopra di tutto, in quanto gli dei sembrerebbero in grado
di raggirarlo o di favorirlo a loro piacimento.
Gli uomini sono invece quasi privi di libert`a. Dietro ad ogni loro azione c`e
una divinit`a, o comunque qualcuno di superiore che la influenza (ad esempio Ate, che fa perdere il senno, o Atena che invece aiuta lingegno): eppure,
quando si tratta di colpe, gli uomini vengono ugualmente puniti, come detentori della responsabilit`a delle loro azioni, anche se questa `e in buona parte
a carico degli dei. In rari casi gli uomini sono perfettamente fautori delle
proprie scelte, come ad esempio Achille nella scelta del suo destino, se breve
e glorioso o lungo e anonimo.
In sostanza gli uomini non hanno una vita del tutto determinata, ma lo `e solo
in pochi, salienti fatti: sono come degli attori di teatro, con un copione molto
vago, con alcune azioni prefissate, come sicuramente la morte, e nei limiti di
questo copione gli attori sono liberi di recitare; il pubblico (gli dei) per`o ha
possibilit`a di intervento, per modellare la commedia a proprio piacimento,
aiutare od ostacolare un certo personaggio, il tutto per soddisfare il proprio
divertimento e rendersi partecipi nella storia. Gli uomini non hanno un effettiva responsabilit`a in ci`o che fanno, ma essa sopraggiunge nel caso di una
colpa grave, cio`e di . La descrive un comportamento tracotante,
che supera i limiti che ogni uomo ha nei confronti degli altri e degli dei: non
`e un semplice peccato, ma `e qualcosa di pi`
u grave, `e come una presunzione
di poter fare ci`o che agli uomini non `e consentito. E questa viene punita in
ogni caso, anche se luomo `e spinto a peccare da un dio o perche si trova ad
un bivio, nel quale qualsiasi strada prende, commette comunque una colpa.

2.2

La vicenda di Oreste Le interpretazioni dei tragediografi

Questo `e il caso, tra molti, di Oreste. Figlio di Agamennone, si ritrova invischiato in una rete di delitti e vendette, frutto di una lontana maledizione

che ha colpito la stirpe degli Atridi, attraverso quel processo che i Greci
indicavano come , con il quale una colpa particolarmente grave si propaga attraverso le generazioni senza che nessuno possa sfuggirle. E gi`a qui
si avverte una sorta di determinismo, nel senso che Oreste era destinato a
compiere la sua colpa, sapeva di non poterle sfuggire, proprio in quanto figlio
di Agamennone. E sempre perche figlio maschio del re di Micene, non poteva
lasciare che la sua morte rimanesse impunita: era obbligato dal forte vincolo
familiare e dallaffetto che provava per il padre, proporzionale allodio nei
confronti invece della madre Clitemnestra, colpevole di aver tradito, ucciso
e infangato la memoria stessa di Agamennone, portando vergogna alla casa.
Si tratta anche di una questione di onore, di un dovere nei confronti del padre; e come se ci`o non bastasse lo stesso Apollo, attraverso loracolo di Delfi,
gli ordina di vendicare il padre uccidendo la madre. Nella cultura greca, la
colpa pi`
u grave era proprio quella di usare la forza e la violenza contro la
propria madre, fosse essa la pi`
u crudele e spietata degli assassini: lomicidio
di Oreste quindi non fa eccezione e deve essere punito con la disperazione del
ragazzo, grazie alle Erinni che lo porteranno alla follia. Oreste si trova quindi
di fronte al suddetto bivio: disobbedire agli ordini di Apollo, lasciare che la
memoria del padre rimanga invendicata e infangata salvando la madre oppure ucciderla commettendo il delitto pi`
u atroce che poteva essere concepito?
In ogni caso si tratta di , quindi in ogni caso Oreste avrebbe subito una
punizione. E cos` infatti sar`a, dopo lomicidio di Clitemnestra, Oreste verr`a
perseguitato dalle Erinni materne, che lo porteranno fino alla follia. Questo
mito descrive una problematica non indifferente, in quanto vediamo un uomo
che compie il suo dovere nei confronti di un genitore e di un dio allo stesso
tempo, ma sul quale la punizione si scaglia ugualmente: la vicenda di per
se lascia quindi un grande sconforto sullo stato delluomo, che si prefigura
proprio come una marionetta in preda al destino, al , ai voleri/capricci
degli dei, dei quali ne deve subire le conseguenze.
Questa vicenda venne narrata dai tre maggiori tragediografi, ovvero Eschilo,
Sofocle ed Euripide, ed ognuno di essi ne d`a una sua interpretazione, in base al loro ottimismo/pessimismo, alla centralit`a che attribuiscono al volere
umano e alla funzione e al potere degli dei.
2.2.1

Eschilo - Orestea

Partendo da Eschilo, il suo teatro viene definito come teatro delle idee: ci`o
vuol dire che risaltano le motivazioni ideologiche che spingono i personaggi,
fino a diventare esse stesse protagoniste. In Eschilo vediamo un tentativo di
conciliare la giustizia umana con quella divina: ha una concezione positiva e
fiduciosa della condizione umana, ritenendo che gli uomini, nonostante siano
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sottoposti agli dei, possono comunque rivendicare una volont`a propria, indipendente.
Guardando pi`
u da vicino la tragedia dellOrestea, limpalcatura `e quella classica, e, soprattutto il delitto `e gi`a scontato dallinizio: Oreste ha ricevuto
lordine da Apollo e dal canto suo la stessa Clitemnestra sa che dovr`a morire
per mano del figlio, come le viene profetizzato nel sogno, nel quale rivive il
parto di Oreste, che nasce con le spoglie di un serpente e che le morde il seno
da lei offertogli: scena terribile che riprende drammaticamente il momento
dellomicidio dove il figlio uccide la madre che si era scoperta il seno per
muoverlo a piet`a, ricordandogli il legame forte ed intimo che la natura ha tra
loro instaurato. Ed `e proprio su questo legame che il tragediografo insiste,
in quanto si presenta come un forte incentivo per Oreste a non compiere il
delitto. Qui si vede come Eschilo d`a importanza alla volont`a umana: Oreste
fa suo lordine di Apollo, e si prende la piena responsabilit`a della morte della
madre, per questo nel prologo chiede aiuto agli dei Ermes e Zeus. Si tratta di
un gesto molto umano, che rivela sia determinazione e affetto verso il padre,
ma anche paura, data la grandezza del delitto e della conseguente pena.
Ancora pi`
u umano si dimostra nel terzo episodio, nel momento culminante
nel quale sta per uccidere la madre. Eschilo crea un dialogo tra madre e
figlio altamente struggente, nel quale lei fa appello allamore che lega i due,
alla tenerezza e allintimit`a. Il momento pi`
u alto e pi`
u drammatico (come
accennato sopra) avviene nel momento in cui Clitemnestra si scopre il seno
davanti al figlio, simbolo della maternit`a, ricordandogli di come lei fosse stata
per Oreste fonte di vita, di nutrimento e protezione. A questo punto ancora
una volta Eschilo sottolinea lumanit`a delleroe: Oreste esita, si rivolge a Pilade, lamico, perche gli ricordi la giustizia e la sacralit`a del delitto. E questa
esitazione si dimostra come una grandissima trovata che restituisce dignit`a
alla figura umana, rendendola in qualche modo indipendente dai capricci
divini e restituendole una volont`a propria, a dispetto dellapparenza che poteva figurare luomo come un mero strumento volto a compiere un destino gi`a
scritto; verrebbe da chiedersi se, in assenza di Pilade che infonde coraggio e
determinazione ad Oreste rimarcando le motivazioni e gli ordini divini, leroe
avrebbe ugualmente ucciso la madre. Lumanit`a del personaggio continua
fino alla fine della tragedia, nella confusione e nella paura che prova Oreste
dopo il delitto: nellesodo si lamenta: [. . . ] Io sono come un auriga che si
sforzi di guidare i cavalli ormai fuori strada. Con questa espressione Oreste
rivendica la presenza di una coscienza propria, che si sforza di non perdere il
controllo della persona, e di mantenere il senno.
Eschilo delinea quindi una religiosit`a ottimista: nel suo universo luomo ha
una dignit`a, a dispetto del potere degli dei, ma in questo modo, come fa Oreste che interiorizza il comando di Apollo e pu`o assumersi ogni responsabilit`a
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e le eventuali e conseguenti punizioni sono del tutto giustificate. Nel caso


di Oreste, mantenendo un atteggiamento ottimista, fa in modo che gli dei
ne riconoscano la legittimit`a del gesto, pur nella sua gravit`a: nella tragedia
seguente, le Eumenidi, Apollo non abbandona il suo protetto e Atena lo
salva, anche se viene rimarcata la controversia nellaccettare il delitto dalla parit`a dei voti dellAeropago, che aveva il compito di decidere se Oreste
avrebbe dovuto o meno essere punito.
2.2.2

Sofocle - Elettra

Del tutto diversa e assolutamente meno ottimista `e linterpretazione della


tragedia Elettra di Sofocle. Mentre il teatro di Eschilo `e un teatro di idee,
quello sofocleo `e un teatro di protagonisti solitari e infelici, ai quali viene
attribuito il ruolo di eroi proprio perche sono coloro che subiscono il male,
ma che, sfruttando il margine limitato di azione che il tragediografo consente
loro, cercano disperatamente di resistere e di risolvere questo male, provocando cos` una reazione di solidariet`a del pubblico nei loro confronti, che assise
alla loro inevitabile rovina.
Coerentemente con ci`o, gli dei di Sofocle non sono necessariamente giusti
e pietosi come li descrive Eschilo, ma si disinteressano completamente alle
sorti umane e alle conseguenze dei loro stessi comportamenti; per contro, gli
uomini sono caratterizzati da un tormentato scetticismo nei confronti della
religione, degli oracoli e della loro esattezza, anche se poi sono costretti ad
affermarla man mano che si svolgono gli eventi.
Gli eroi sofoclei non sono padroni del loro destino, ma non sono consapevoli nemmeno di questo: cercano di affrontare le disgrazie, lottano per uscirne
vincitori, ma in realt`a sono completamente abbandonati dagli dei e per quanto si sforzino, non otterranno mai la pace e la salvezza.
Nell Elettra, come si capisce dal titolo, la vera protagonista, leroina, `e
proprio la sorella di Oreste: a lei si attribuisce il forte desiderio di vendetta, che nellOrestea apparteneva invece al fratello. Elettra non trova pace,
agognando la vendetta, mentre colui che la compier`a, Oreste, non far`a altro
che obbedire a degli ordini, senza una motivazione interiore. Lomicidio si
compier`a perche cos` `e deciso, la volont`a dei personaggi non ha importanza:
tanto che persino il coro sminuisce i desideri di Elettra di rendere giustizia al
padre e il sentimento di odio verso la madre. Cos`, di fronte allineluttabilit`a,
la volont`a degli uomini risulta irrilevante, anzi anche pericolosa. Ecco cosa
il coro risponde nel prologo al desiderio e alla rabbia di Elettra:
Ma dallAde non tirerai,
dal comune lago, quass`
u,
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con le preci e con i lagni, il padre tuo.


[. . . ]
E poi, pi`
u avanti:
Coraggio, su, figlia mia!
In cielo `e potente Zeus,
che guarda quaggi`
u tutto, e tutto regge:
rimettila a lui lira tua dolente;
niente eccessi con chi detesti ne veli doblio.
[. . . ]
Con questi discorsi il coro sottolinea linutilit`a di unazione spontanea
umana: Elettra potr`a lamentarsi in eterno, potr`a tentare continui agguati
alla madre, anche cercando di corrompere la sorella Crisotemi. Ma queste
intenzioni non sono contemplate nel disegno divino, quindi non possono essere compiute senza il rischio di una punizione certa, come ricorda Crisotemi
nel secondo episodio: Chi agisce pu`o finire male, `e logico. Per questo il coro, nel passi sopra riportati consiglia di rimettersi a Zeus: egli rimane sempre
come garante dellordine, anche se non `e pi`
u celebrato ne visto ottimisticamente come una sicurezza; viene descritta la sua potenza ma come se fosse
un dato di fatto che luomo non pu`o capire, non ne comprende lordine che
spesso e volentieri non va a suo favore e quindi manca quella fiducia serena
dei personaggi eschilei.
Tutti i personaggi sono rassegnati al destino e al disegno di Zeus e cos` si riescono a superare le disgrazie (Mortale fu tuo padre, Elettra, pensaci, mortale
Oreste: non piangere troppo. Questa `e una sorte riservata a tutti . Cos` il
coro consola Elettra dopo la falsa notizia della morte di Oreste), tutti i personaggi accettano la sorte e vanno avanti, adattandosi alle nuove situazioni,
per quanto spiacevoli. Oreste, `e vero, fa ci`o che aveva pianificato Elettra, ma
solo perche gli `e stato ordinato, quindi era prevista dal Fato la sua azione,
quindi in sostanza agisce solo come pedina del fato. Tutti hanno questo comportamento, tranne i protagonisti, gli eroi, che continuano a lottare, negando
caparbiamente linesorabilit`a e levidenza di ci`o che subiscono, cercando di
affrontarlo, ma non facendo altro che agire e peggiorare lintrigo, avanzando
una lotta contro dei mulini a vento, nella quale sono destinati a soccombe` il caso di Elettra quando le viene annunciata la morte di Oreste, ma,
re. E
come vuole il mito, il destino le si rivela favorevole; ma in ogni caso il finale
della tragedia non descrive una reazione liberatoria per i protagonisti: da
Oreste vengono pronunciate parole di odio, ma comunque un odio freddo e
distaccato verso Egisto, mentre il coro che conclude, non celebra la vendetta,
ma persiste latteggiamento di accettazione verso una conclusione che appare quasi scontata. Proprio per questa continua accettazione il coro appare
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camaleontico: si adegua alla realt`a che cambia, traendone vantaggio, come


tutti i personaggi secondari delle tragedie sofoclee.
Si pu`o concludere identificando luomo sofocleo nelleroe della tragedia, mentre il resto dei personaggi `e solo un contorno predisposto dal Fato, contro il
quale leroe lotta fino alla rovina smaniando per una propria libert`a di agire
e di pensare.
2.2.3

Euripide - Elettra

Se sia in Eschilo che in Sofocle, pur con gradi diversi di accettazione, vi `e comunque presente unautorit`a superiore garante dellordine e della giustizia,
in Euripide manca anche ci`o, infondendo un radicato pessimismo nei suoi
personaggi che si trovano nel mezzo di un incomprensibile disordine metafisico. Euripide non agisce da una posizione di ateismo, anzi, i suoi personaggi
sono nella continua ricerca di una giustizia assoluta, ma vengono continuamente delusi, e perci`o si assumono piena responsabilit`a delle loro azioni che
compiono intenzionalmente e indipendentemente dai responsi divini, ma che
si affermano comunque a loro insaputa.
Euripide celebra cos` la figura umana, la sua capacit`a di azione e di pensiero:
non a caso nelle sue tragedie vi sono sfoggi di razionalit`a retorica, richiami
alla filosofia e alle sue massime e descrizioni di fenomeni naturali o fisiologici
con precisione scientifica; non `e trascurata nessuna classe sociale, anzi spesso
e volentieri sono i pi`
u umili che esaltano con i loro comportamenti e discorsi,
la razionalit`a e la saggezza umana. Per contro, gli dei appaiono come meschini, che agiscono senza alcuna o giustizia di fondo, ai quali luomo,
deluso, cerca di ribellarsi, invano.
LElettra euripidea ha una trama diversa e pi`
u romanzata rispetto alla versione classica tramandata dal mito e dai tragediografi precedenti. Permangono
gli elementi base, cio`e il vaticinio di Apollo, il riconoscimento di Oreste, gli
omicidi e la conseguente punizione per il figlio di Agamennone che verr`a poi
salvato da Atena. Sorprende subito, nel secondo episodio, lo scetticismo nei
confronti dellaffidabilit`a di Apollo che esprime Oreste, che a tal proposito
instaura un vivace dialogo con la sorella, ed entrambi esprimono la loro idea
sulla legittimit`a dellassassinio della madre (Egisto, pur essendo loro parente, era considerato un uomo meschino e colpevole, che aveva disonorato la
casa ed era stato usato dalla madre, quindi la sua morte era giusta e scontata). In questa discussione si contrappongono due punti di vista diversi, ma
entrambi personalissimi e estremamente razionali: Oreste `e mosso da piet`a
nei confronti della madre (e qui ricorda molto lOreste di Eschilo) mentre
Elettra `e determinata nella vendetta dallodio e dalla rabbia. Ma non `e una
rabbia istintiva, ne cerca troppo di giustificarsi con il verdetto delloracolo:
13

scopriamo la terribile lucidit`a con la quale Elettra ha covato, per molti anni,
risentimenti verso la madre: poco dopo il dibattito con il fratello, la ragazza
si ritrova a faccia a faccia con la madre e, senza lasciarsi impietosire dai ripensamenti e dai sensi di colpa di lei, le rinfaccia ogni comportamento meschino
e tracotante che lei, in silenzio, ha osservato nella madre; Elettra non si figura
quindi accecata dal dolore e dallodio, come la dipingeva Sofocle, ma `e estremamente lucida, consapevole di ci`o che fa e razionale. Una folle razionalit`a,
come quella che spinse Medea ad uccidere i figli: le due protagoniste compiono delitti opposti ma altrettanto gravi, ed ugualmente consapevoli dellodio
da cui sono animate e consce della propria responsabilit`a. Per questo riescono
ad evitare la punizione, per la piena consapevolezza della loro colpa. Questa,
nei due fratelli giunge alla fine, poco prima lintervento dei Dioscuri, Castore
e Polluce, divinit`a e fratelli di Clitemnestra ed Elena. Chi parla tra i due,
Castore, dimostra di biasimare senza dubbio il gesto, ma allo stesso tempo
approva il comportamento dei due fratelli, che sono stati comunque corretti e
sensati, pur nella colpa. Ma la vera colpa viene attribuita dagli stessi Dioscuri ad Apollo stesso, alla Necessit`a, che, se prima era comunque inconfutabile
e rispettata, per quanto oscura, adesso nuovamente viene definita ingiusta e
Apollo addirittura non saggio. Scopriamo da Castore addirittura unassurda
verit`a: Questa [Elena] viene dallEgitto: era in casa di Proteo e non and`o
a Troia mai; soltanto un suo fantasma fu mandato laggi`
u da Zeus, perche
discordia e morte nascesse fra gli uomini . Ecco che Euripide tocca lapice
della sfiducia verso gli dei: proprio Zeus che era sempre stato garante assoluto
di ordine e giustizia, rivela un comportamento quasi meschino e capriccioso,
` del tutto giustificato quindi lo scetticismo
mosso da una crudelt`a gratuita. E
dei personaggi, che sono continuamente delusi dal destino, che appare come
ingiusto e ci`o che si presenta davanti ai loro occhi `e tuttaltro che ordinato.
Abbiamo unimmagine in Euripide, anche molto verosimile, di uomini complessi, con tutti i pregi e difetti e soprattutto approfonditi psicologicamente
e mai scontati, che lottano contro un destino che non `e ritenuto giusto ma `e
una , `e il caso, che regna a dispetto dellordine e della giustizia. Gli dei
non sono pi`
u rispettati, perche sembrano collocarsi moralmente ancora pi`
u in
basso degli uomini, i quali invece possono permettersi senza conseguenze di
giudicarli e di biasimarli. Ma ci`o non cambia la potenza degli dei, o meglio,
lassurdit`a del caso: luomo ne sar`a sempre sottoposto, per quanto onorevole
sia il suo comportamento; nel caso di Elettra, `e vero che i due fratelli non
vengono puniti se non con la separazione, ma nei loro atteggiamenti alla fine
c`e ancora angoscia e non sollievo o liberazione, ne tantomeno soddisfazione
per la vendetta compiuta.

14

2.3

Conclusioni

In sintesi, si `e visto che nessuno dei tre tragediografi si distacca in maniera


significativa dalla concezione classica omerica della responsabilit`a e del rapporto uomo-divinit`a-destino; cambia per`o latteggiamento degli uomini verso
chi `e loro superiore, la loro fiducia, il loro ottimismo. Infatti partendo da
Omero si registra una climax discendente di questi sentimenti: nei poemi
epici non vi `e alcuna consapevolezza di un destino o della propria libert`a; in
Eschilo i personaggi sono liberi vivendo allo stesso tempo in un mondo determinato, partecipando emotivamente alle decisioni divine e facendole proprie,
fino a motivarle con idee e ragioni estremamente personali; tutto ci`o crolla in
Sofocle, nel quale le ragioni divine sono spesso e volentieri incomprese e leroe lotta, inconsapevole della propria inevitabile rovina, per salvarsi; questo
pessimismo cresce in Euripide, insieme con la consapevolezza delle capacit`a
umane, che porta i personaggi a giudicare impunemente le azioni degli dei e
ad elevarsi moralmente al di sopra di essi, ma vedendosi in ogni caso preclusa
una possibilit`a di salvezza, in quanto il loro destino dipende comunque dalle
divinit`a, per quanto basse e capricciose. Ognuno di questi autori si identifica
perfettamente nel periodo storico in cui vive, fino alla diffusione della sofistica e nellopposta fazione della filosofia, delle quali Euripide ne `e un perfetto
allievo, ma allo stesso tempo sembra farsi profeta, con il suo pessimismo, della decadenza e della crisi che attraverser`a il pensiero e la cultura tipicamente
greca della polis a partire dalla guerra del Peloponneso fino alla conquista
macedone.

15

La problematica filosofica

Finora `e stata analizzata la libert`a delluomo e la sua conseguente responsabilit`a, in un contesto religioso, nel quale cio`e la natura non agisce indipendentemente, ma vi `e unentit`a (o pi`
u di una) dalla quale dipende tutto ci`o
che accade, comprese le singole azioni umane. Tale entit`a `e descritta come
pensante e non meccanica, di conseguenza ci`o che prevede e progetta `e sempre finalizzato ad uno scopo. Per precisare meglio, proviamo a identificare
questa entit`a con un qualsiasi essere umano: una persona normalmente si
prefigge dei traguardi, degli obbiettivi e tutte le azioni che seguono questa
decisione sono finalizzate al raggiungimento di questi scopi.
Allo stesso modo lentit`a (che pu`o essere il Dio cristiano o il Fato greco) determina degli avvenimenti, delle sorti e tutto ci`o che li precede ne `e finalizzato.
Infatti, riprendendo la metafora sulla libert`a delluomo greco del teatro, nel
capitolo precedente, ci`o si vede molto chiaramente: il copione che d`a solo alcune direttive `e il Fato e tutte le azioni degli attori sono finalizzate a rientrare
nelle indicazioni del copione. Questo modo di pensare, denominato appunto
finalismo, `e una forma diversa di determinismo da quella descritta allinizio:
nellintroduzione si parlava di un determinismo meccanico (o meccanicismo)
in cui le azioni venivano determinate in precedenza da corrispettive cause.
Finalismo e meccanicismo prevedono entrambi un mondo determinato e privano luomo di una libert`a di scelta, con la differenza che nel primo caso
tutto `e predisposto per un fine (causa finale), mentre nel secondo caso tutto
`e determinato da una causa (causa efficiente).

3.1

Il finalismo nella storia

Il finalismo nasce ufficialmente nella filosofia greca, in contrasto con il fisicismo dei presocratici, ai quali si oppongono in particolare Platone e Aristotele.
Platone bas`o il suo pensiero sulla filosofia delle idee: lidea viene definita come un significato universale di un certo ente, un oggetto qualsiasi che ne `e
la manifestazione; le idee sono pensate, quindi solo intelligibili, mentre i corrispondenti oggetti sono sensibili, tangibili, ma possono essere solo in base e
in virt`
u di quellidea. Lidea non `e solo un effimero pensiero, ma `e lessere,
nel senso di immutabile e divino, mentre loggetto `e qualcosa di cangiante
e instabile: questa differenza viene semplificata ponendo le idee in un mondo nelliperuranio (oltre il cielo), che sovrasta il mondo sensibile. Ma se
lidea `e quindi la causa delloggetto, nel senso che esso `e tale grazie allidea
che ne determina lessenza, vuol dire che in qualche modo lidea, oltre ad
esistere nelliperuranio, `e in qualche modo intrinseca in ogni oggetto: come
avviene allora questo collegamento tra idea e oggetto, che esistono in due
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mondi diversi ed hanno cio`e caratteristiche che li rendono incomunicabili fra


loro? Qui entra in gioco lentit`a platonica, cio`e il Demiurgo. Chiamato da
Platone anche Dio, esso non `e che una forza, che realizza la partecipazione
del sensibile (loggetto) allintelligibile (lidea). Non `e certo una forza cieca,
ma essa conosce perfettamente il mondo delle idee, per poterlo rendere modello del mondo sensibile. Il Demiurgo `e quindi unentit`a pensante, sapiente
e potente che non crea, ma modella la realt`a seguendo lesempio delle idee,
che si presentano come il fine per cui ogni oggetto assume la propria forma.
Anche Aristotele ipotizza lesistenza di un Dio, ma molto diverso da quello platonico. Per Platone `e Dio quella forza che costruisce e modella il mondo
sensibile; per Aristotele si tratta invece di qualcosa che causa il movimento
del mondo, e per causarlo deve essere di per se incausato, quindi immobile:
`e unentit`a immutabile ed incorporea, un pensiero che pensa solamente a se
stesso, un pensiero di pensiero. Questo Motore Immobile `e posto al di l`a delle
sfere celesti, al di l`a del Primo Mobile che si muove lungo una circonferenza
per imitazione del Motore Immobile. Questo infatti muove il primo cielo
come lamato muove lamante, il Primo Mobile cerca di identificarsi Motore
Immobile ed `e mosso dallAmore verso di esso e con lui lintero universo. Il
Motore Immobile non `e per`o causa efficiente ma finale, in quanto esso `e loggetto damore verso cui tendono tutti i corpi, che si muovono per imitazione;
lentit`a si figura cos` come lo scopo delluniverso. Questo movimento sulla
Terra si traduce come divenire, che a sua volta Aristotele lo analizza come
passaggio dalla potenza allatto. Loggetto in se `e sempre ci`o che era prima,
la sua forma originaria, in potenza, oppure `e se stesso in atto: il filosofo fa lesempio del blocco di marmo, che `e statua in potenza, mentre questa `e statua
in atto. Si pu`o dire che il finalismo di Aristotele viene concretizzato in una
realt`a che si muove continuamente, che si prospetta sempre in qualcosa che
deve diventare e che realizza la sua esistenza nella sua forma finale: questa
si interpreta infatti come la causa stessa (appunto finale) di ogni realt`a.
Con lavvento del cristianesimo il finalismo assume la sua forma pi`
u classica e trova la sua base nella provvidenza divina.
Dio `e lentit`a pensante creatrice, che ha creato il mondo per luomo, ovvero
la natura `e fine ad esso ed `e nata per servirlo e soddisfare i suoi bisogni.
Questo perche luomo, proprio in quanto fine del creato, `e lessere in assoluto
superiore a tutta la natura che gli `e sottoposta; oltre luomo poi, Dio ha
creato innumerevoli esseri viventi e non, e tutti insieme fanno parte di una
sorta di scala gerarchica in cui gli esseri inferiori sono stati creati in funzione
di ci`o che `e loro superiore (e ovviamente gli esseri umani sono allapice di
questa scala). Secondo questa logica Dio non agisce mai a caso, ma ogni sua
azione, seppur apparentemente dolorosa ha una finalit`a che `e, in generale, la

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felicit`a degli uomini.

3.1.1

La Provvidenza cristiana

Chi ne celebr`o la giustizia e la grandezza della provvidenza divina fu sicuramente Alessandro Manzoni ne I promessi sposi.
I protagonisti del romanzo sono persone semplici e spesso ignoranti, ma
si fanno ambasciatori di una fede forte e profonda che d`a loro una forza quasi
stoica di affrontare ogni genere di sventura a cui vanno incontro. Infatti la
forza della provvidenza divina in Manzoni agisce per volgere i fatti al giusto
e al bene, esprimendo la posizione di Dio: questo non pu`o tollerare a lungo
il trionfo del male e del meschino, e agisce nel corso della storia per dare
sollievo a chi ne `e oppresso.
Nel romanzo un fatto interessante `e che la provvidenza si manifesta e agisce
sempre attraverso i personaggi pi`
u umili e inaspettati ad esempio il vecchio
servitore di Don Rodrigo che si ribella di nascosto al padrone o le disperate parole di Lucia che riescono a smuovere un animo malvagio come quello
dellInnominato; sembra quasi una rivendicazione degli umili che rimettono
a Dio le loro limitate possibilit`a per la loro salvezza e in quanto puri di cuore
riescono ad essere salvati. Infatti lottica della provvidenza di Manzoni riesce
a non escludere il libero arbitrio; ma non come mera illusione secondo la filosofia di SantAgostino, il quale prevedeva un Dio onnisciente, che conosce il
futuro gi`a da lui predisposto, mentre gli uomini, ignari dei suoi piani, possono
considerarsi liberi con il beneficio dellignoranza. Lo scrittore ottocentesco
riesce invece a conciliare il pensiero finalista con la libert`a delluomo: infatti
pare che il Dio manzoniano non abbia predisposto a priori il futuro, ma la
storia sembra una sorta di prova per gli uomini, onde a mettere in pratica la
loro bont`a.
Vediamo nel romanzo personaggi come Lucia, che rimane sempre immacolata e buona nellanimo; Renzo, che, partendo da scapestrato e irresponsabile,
grazie al giusto obbiettivo delle sue azioni, riesce a trovare la retta via; lInnominato, che, per quanto la sua indole sia malvagia, nasconde un animo
nobile e grazie a questo riesce a imboccare finalmente la via della giustizia:
questi e altri personaggi sono liberi di agire e scelgono spontaneamente di
avere o mantenere un comportamento impeccabile seguendo i dettami della
religione cristiana e per questo vengono premiati e ricompensati dalla provvidenza della loro fede. Chi rimane meschino e malvagio, cio`e Don Rodrigo e il
suo bravo Griso, vengono puniti senza riserbo: il primo, che precedentemente
aveva mostrato un attimo di paura e ripensamenti sulle sue azioni (quando
Fra Cristoforo gli lanci`o la maledizione), `e come se nel delirio della peste
18

avesse improvvisamente compreso i suoi errori e il concetto vero di giustizia;


il secondo invece, rimanendo meschino, e tradendo, in un momento grave e
disperato, la fiducia del suo capo che invece lo stimava e ne aveva affetto
(sentimenti comunque che ne affievoliscono la sua cattiveria), viene ucciso
immediatamente, come se un tale individuo che lascia morire per brama di
ricchezze chi si fida di lui e ne chiede intimamente laiuto, non meritasse di
vivere troppo a lungo.
Nel mondo creato da Manzoni (che comunque corrisponde al credo cristiano) gli uomini sono comunque liberi di agire come meglio credono, ma
vengono giudicati da Dio che provvede a premiare e punire anche sulla Terra
e non sono nellaldil`a, chi segue rettamente i dettami della religione cristiana
e chi non. In questo modo anche i pi`
u umili si scoprono saggi: prendiamo
il personaggio di Lucia, che `e la classica ragazza di campagna, ignorante e
anche ingenua per let`a, ma proprio questa mancanza di esperienza la porta
ad affidarsi completamente alla fede, che ne tira fuori la sua purezza di cuore
e la sua saggezza. Ne `e testimone il suo discorso interiore, noto come laddio
ai monti nel capitolo VIII, nel quale lei riflette mentre `e costretta a lasciare
la sua casa e il suo paese; nel momento in cui i suoi pensieri volgono alla
chiesetta del paese, dalla quale lanimo torn`o tante volte sereno, l` Lucia
riesce a trovare la forza per affrontare ci`o che le si prospetta proprio grazie
alla provvidenza, della quale ne descrive la magnanimit`a e la giustizia in una
frase ormai celebre: Chi [Dio] dava a voi tanta giocondit`a `e per tutto; e non
turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne loro una pi`
u certa e
pi`
u grande.

3.2

Linterpretazione kantiana

Questo processo di pensiero che si `e descritto finora, viene definito, facendo


un passo indietro fino al VIII secolo, da Kant come finalismo esterno. Con
tale definizione il filosofo indica esattamente latteggiamento cristiano, di una
fede in un Dio che agisce con lintenzione di un obbiettivo esterno appunto ai
singoli processi e microcosmi, che in questo caso `e, come gi`a detto, luomo.
Questa riflessione viene esposta da Kant nella terza e ultima Critica della
facolt`a di Giudizio.
Il giudizio teleologico (dal greco fine, compimento) `e una nostra intrinseca legge che regola la nostra considerazione della natura, in modo da
poterne ottenere unesperienza coerente nel suo complesso attribuendole un
principio regolativo. Luomo pu`o anche limitarsi a descrivere i fenomeni in
maniera oggettiva e causalistica, ma in questo modo, riprendendo le parole dello stesso Kant, non riuscir`a mai a descrivere alla perfezione neppure
19

i processi che portano alla creazione di un filo derba2 . Per una pi`
u completa comprensione quindi gli uomini hanno la predisposizione a considerare
ogni realt`a naturale come un prodotto organizzato secondo una finalit`a, in
questo caso interna, volta cio`e a garantire la funzionalit`a e la persistenza
della realt`a stessa. Da qui spontaneamente si passa al sopra citato finalismo
esterno, cio`e nella considerazione dellintera natura come un sistema regolato nella logica dei fini.
Questo discorso si colloca in un ragionamento molto pi`
u ampio della filosofia
kantiana: innanzitutto il giudizio teleologico segue il giudizio estetico, insieme al quale costituisce lintera facolt`a di giudizio. Questa nasce come una
necessit`a sistematica della stessa filosofia di Kant: la capacit`a di giudizio `e
infatti una facolt`a umana che viene interposta tra lintelletto e la ragione in
modo da costituirne ununione non oggettiva, ma soggettiva e propria di un
individuo. Infatti il giudizio non `e un modo di conoscere il mondo esterno,
ma di pensarlo per renderlo conforme allindole della ragione.
Kant individua nelle due precedenti critiche, due mondi diversi, ma entrambi reali, cio`e il mondo fenomenico e il mondo morale.
La prima critica (Critica della ragion pura) sappiamo che descrive in particolare le due facolt`a attraverso le quali si pu`o conoscere il mondo esterno,
non attraverso la cosa in se, cio`e la realt`a com`e in se indipendentemente
dal nostro pensiero, ma attraverso il fenomeno che la sensibilit`a (la prima
facolt`a) ne percepisce, o meglio noi percepiamo come loggetto si presenta ai
nostri sensi e, attraverso lintelletto (la seconda facolt`a) e le sue forme a priori, cio`e le categorie, lindividuo, che Kant chiama io-penso, pu`o arrivare alla
conoscenza delloggetto. In questo modo, ipotizzando lesistenza di una cosa
in se che prescinde dal nostro intelletto, si afferma lesistenza di una realt`a
indipendente e meccanica, che `e regolata da una concatenazione causale dei
fatti, realt`a che corrisponde appunto al mondo fenomenico.
Dopo aver descritto il processo conoscitivo delluomo verso la realt`a esterna,
Kant esamina, nella Critica della ragion pratica, la morale, cio`e ci`o che regola
il comportamento delluomo. In sintesi, la ragione umana determina le azioni
attraverso non delle massime, cio`e delle regole specifiche per ogni situazione,
ma tramite degli imperativi categorici: questi hanno la caratteristica di essere assolutamente formali, cio`e vuoti di contenuti. In questo modo luomo
cerca di adeguare il suo agire modellandolo sullimpalcatura degli imperativi
categorici, cosicche da essere libero di sbagliare, ma la sua ragione impeccabilmente lo riconosce. Cos` nessuno ha una serie di obbligazioni e legislazioni
esterne che gli determinano il proprio comportamento, ma il mondo della
2

I. Kant Critica del Giudizio par. 77

20

morale `e assolutamente libero, in quanto gli imperativi categorici che ognuno


ha in se non costituiscono un impedimento ne un obbligo, ma sono una scelta
arbitraria.
Come si vede, i due mondi, fenomenico e morale, essendo rispettivamente
meccanicistico e libero, sono privi di punti in comune, pur appartenendo
entrambi alla realt`a: il procedimento del giudizio, designando un pensiero e
non una conoscenza della realt`a, si presenta come una prospettiva soggettiva,
ma universale, e Kant ne attribuisce una funzione regolativa, cio`e `e il processo con il quale la legislazione dellintelletto e quella pratica della ragione
si conciliano nelluomo.
Vorrei notare, a proposito del mondo morale, come in realt`a Kant non
sia riuscito a liberare del tutto il comportamento umano: ha eliminato gli
schemi imposti dallesterno dellindividuo, ma non ha considerato tutte le
cause precedenti che potrebbero aver determinato unazione o un pensiero.
Questo `e stato il punto forte di molti filosofi precedenti a Kant, come Spinoza,
Hobbes, Herzen, i quali avevano una visione deterministica anche del pensiero
umano; questo appare spontaneo come pu`o apparire un bravo musicista che
suona un brano molto complesso: in entrambi casi `e unillusione in quanto vi
`e rispettivamente una concatenazione infinita di eventi che ha causato quel
pensiero e un enorme studio che ha consentito la performance perfetta del
musicista. Un comportamento davvero libero da condizionamenti pu`o essere
solo uno che non pu`o che essere definito folle, mentre per essere sano deve
per forza essere determinato da cause intrinseche od esterne.

3.3

La libert`
a umana nelle filosofie ellenistiche

Tornando indietro nel tempo, vorrei approdare in un periodo nel quale la


filosofia si ritrova a dover svolgere la funzione di medicina per lanima, per
ridare una speranza e una dignit`a alla figura umana, nel quale quindi si ricerca lattuazione della libert`a umana, molti secoli prima di Kant. Sto parlando
dellet`a ellenistica, che `e unet`a ambigua, caratterizzata sia da un grande
declino da una parte, ma anche da un grande progresso dallaltra.
Sappiamo che, dopo la conquista dellOriente da parte di Alessandro Magno,
le poleis greche perdono la loro indipendenza ed entrano a far parte di un
impero. I cittadini greci si ritrovano da un momento allaltro privati della
loro libert`a e anche della loro importanza come individui. Abituati ad una
politica democratica, nella quale quasi chiunque poteva intervenire nelle decisioni della citt`a-stato e di conseguenza la politica era parte integrante nella
vita quotidiana, ne vengono improvvisamente esclusi e sbattuti improvvisamente in una realt`a molto pi`
u vasta e molto meno intima, ma nella quale,

21

non essendo pi`


u cittadini ma sudditi, hanno perso il loro valore di singoli
individui. I Greci perdono la loro stessa esclusivit`a, il loro sapere si dilaga
e viene coltivato in tutto il Mediterraneo, e persino la loro stessa lingua si
diffonde, perdendo la sua raffinatezza nel diventare comune e volgare.
Esclusi dalla politica, i Greci `e come se avessero perso parte della loro stessa
quotidianit`a e dignit`a della loro persona: la filosofia, da ricerca del sapere
diventa filosofia di vita, si interiorizza per riempire il vuoto lasciato dalla
politica negli ex cittadini e dirigerli verso una felicit`a psicologica e spirituale.
Le due scuole pi`
u note furono ovviamente lo stoicismo e lepicureismo, delle
quali la prima `e un modello di filosofia quasi completamente etica, caratteristica che le ha permesso di essere ampiamente coltivata tra i romani e
che, grazie ai suoi dettami, la rende affine al cristianesimo; la seconda invece
conserva ancora lo spirito puramente scientifico della filosofia presocratica
sul quale `e costruita lintera etica, ma ci`o ne ha osteggiato la diffusione e la
popolarit`a. Per non soffermarmi su tutti i loro diversi aspetti, voglio focalizzare solo sullargomento che mi interessa, cio`e la condizione delluomo e la
sua libert`a. La felicit`a umana `e lo scopo di entrambe le scuole, e si raggiunge
proprio attraverso la libert`a delluomo, ma le differenze stanno proprio nel
concetto stesso che stoici ed epicurei hanno di libert`a.
3.3.1

Stoicismo

La Sto`a assunse libert`a come stessa parola dordine, ma senza avere nessuna aspirazione liberale o populista: la libert`a stoica `e una forma di sentimento puramente interiore, che pu`o raggiungere chiunque, anche lultimo degli
schiavi, per questo un concetto stoico che ne deriva, ben espresso da Seneca,
`e quello di cosmopolitismo, cio`e gli stoici si sentono, adeguandosi alla nuova
condizione della Grecia, non pi`
u cittadini di una polis ma cittadini del mondo
intero. Ci`o non equivale ad affermare un principio di uguaglianza esteriore:
lo schiavo e il ricco magnate restano tali, ci`o che conta `e una dinamica accettazione del proprio dovere: in sostanza per essere liberi bisogna vivere in
accordo con se stessi, e ancora prima in accordo con la natura; questo `e un
concetto che ricorda molto lo stato dei personaggi di Eschilo, del quale si `e
parlato nella seconda sezione.
Un tale comportamento implica innanzitutto unindipendenza nei confronti della fisicit`a del proprio corpo, dei propri istinti e dei propri sentimenti:
per questo spesso si parla di calma stoica, che descrive un atteggiamento
impassibile e controllato nellaffrontare le pi`
u drammatiche o esaltanti situazioni. Una pratica tipicamente stoica `e quella del suicidio, che non `e una
prova di vigliaccheria ma non `e altro che un modo di affermare la propria
libert`a: il suicidio `e una libera decisione che lo stoico prende nel momento
22

in cui le circostanze lo obbligano a fare ci`o che `e contrario alla sua morale e
il togliersi la vita `e lunico modo per ribadire libert`a, coerenza e fedelt`a nei
propri, interiori doveri. Ma anche nel suicidio la libert`a non cessa di essere
ribadita: non lo `e se la morte `e istantanea, infatti il tipico suicidio stoico `e la
morte per inedia o per dissanguamento (es. Seneca), situazioni nelle quali in
qualunque momento ci si pu`o prendere la libert`a di ritornare indietro nella
decisione e continuare a vivere.
3.3.2

Epicureismo

Se nello stoicismo la libert`a `e una disposizione interiore, secondo Epicuro


invece `e legata alla fisica e al caso dal quale `e dominata la natura: si tratta
di unaffermazione molto coraggiosa, dire, a quei tempi, che lintero cosmo,
apparentemente ordinato e perfetto, sia stato puro frutto del caso, convinzione che ha reso lepicureismo largamente impopolare, eppure sembra che
abbia in qualche modo anticipato la moderna fisica quantistica, ma di questo
se ne parler`a a breve. Questo caos `e frutto di un non determinismo nei fenomeni naturali, che nasce con lintroduzione del clinamen, una deviazione nel
moto degli atomi assolutamente imprevedibile, che comporta sia laggregazione della materia, sia lannullamento della necessit`a, professata invece da
Democrito, dal quale Epicuro ne riprende in parte la teoria atomica.
Come pu`o, secondo Epicuro, un fenomeno strettamente fisico, incidere anche
sulla sfera etica? La spiegazione `e banale: tutti gli esseri viventi agiscono e
pensano in prenda ad impulsi che vengono, in accordo con le credenze del
tempo, dallanimo; ma, anche secondo lo stesso Democrito, lanimo `e fatto
anchesso di atomi, soggetti essi stessi al clinamen, che giustifica in maniera
scientifica la libert`a non solo umana, ma anche di tutti gli animali, in quanto
dotati di un animo.
Non essendoci una necessit`a puramente fisica, ne viene eliminata anche una
seconda eventuale di carattere divino: la filosofia epicurea ammette lesistenza degli dei, ma questi vivono al di l`a del mondo, senza assolutamente
interferire nelle vicende umane.
Con questultima sentenza Epicuro si dimostra un perfetto anello di collegamento tra lantico spirito greco e la novit`a ellenistica: infatti riprende
la vecchia abitudine di studiare la natura rendendola funzionale alle necessit`a morali dei Greci dellet`a ellenistica, e lo stesso fa con la religione, non
rinnegandola, ma conservandola e allo stesso tempo la rende inoffensiva
annullando le preoccupazioni che suscitava; adatta quindi elementi familiari
ad una realt`a nuova e sconfortante.

23

Ci`o che pi`


u mi interessa per`o `e il conflitto a cui la teoria atomistica
epicurea ha dato inizio, cio`e, rispetto a Democrito, ha introdotto lelemento
del caso a dispetto del rigoroso meccanicismo su cui il filosofo di Abdera
aveva basato la sua teoria; questo conflitto continua ancora nei secoli pi`
u
recenti: dopo la rivoluzione scientifica di Galileo e Copernico, nella quale
la fisica assume quasi definitivamente un carattere meccanicistico, ci`o viene
nuovamente messo in dubbio nellultimo secolo, con gli studi sulla meccanica
quantistica e i suoi paradossi.

24

Caso e meccanicismo nelle leggi fisiche

Nulla accade per nulla, tutto ha unorigine e si compie per necessit`a : si


tratta di una presunta frase di Leucippo, maestro di Democrito, che riassume
il carattere della loro teoria fisica, cio`e appunto deterministico: rifiutavano
il caso e davano pieni poteri alle leggi della natura. Anche se, considerando
la loro fisica atomistica, `e lecito presupporre un inizio, un incipit incausato
e perci`o dettato dal caso, ma una volta iniziati tutti i processi, gli sviluppi
ulteriori sono inalterabilmente fissati da leggi meccaniche: ci`o per evitare di
ammettere un creatore dotato di pensiero e una spiegazione finalista, partendo preferibilmente da una causa incausata di stampo casuale, teoria di
gran lunga pi`
u scientifica. Ma una necessit`a meccanicistica non `e una buona
notizia per gli esseri umani; Epicuro non a caso scrive: era meglio seguire i
miti sugli dei piuttosto che essere schiavi del destino dei fisici: quelli infatti
lasciano almeno la speranza di placare gli dei mediante onori, ma il destino
comporta una necessit`a implacabile e come abbiamo visto, riesce a risolvere entrambi i problemi. Vediamo pi`
u in dettaglio il fenomeno del clinamen
come descritto da Lucrezio, degno allievo latino di Democrito ed Epicuro:
Occorre a questo proposito conoscere un fatto importante:
queste parti primarie che vanno cadendo nel vuoto
spinte dal proprio peso mutano leggermente
in tempi e luoghi imprecisi il naturale cammino
per quanto basta a sviare di poco il loro percorso.
Se questo non accadesse, ogni elemento cadrebbe
per il vuoto infinito come le gocce di pioggia
che non si incontrano mai, senza produrre quegli urti
tra gli elementi primari da cui le cose hanno origine.3
Il clinamen `e quindi un evento assolutamente casuale, senza alcuna prevedibilit`a nel quando e nel dove: considerando che poi la dinamica della nascita
delluniverso `e simile a quella ipotizzata da Democrito, gli epicurei ammettono di conseguenza che lintero ordine cosmico `e un prodotto del caso,
sprovvisto di scopo (antifinalismo) e di senso (antimeccanicismo).
Dalle parole di Lucrezio per`o notiamo anche un altro particolare: gli epicurei
interpretano il movimento degli atomi di Democrito come rettilineo, dallalto
verso il basso, in perpetua caduta, e con una velocit`a proporzionale al peso;
in realt`a si pensa che Democrito abbia immaginato il loro moto come caotico e vorticoso (ma ci`o non intacca linderogabilit`a delle leggi fisiche), molto
simile a quello delle molecole di un fluido, secondo la pi`
u recente teoria cinetica dei gas: ultimamente sappiamo che gli atomi in generale sono sempre
3

Lucrezio, De rerum natura, II,216-224

25

in continuo movimento, prova che la teoria atomistica, a dispetto della sua


impopolarit`a, si `e dimostrata molto pi`
u vicina agli studi moderni di quanto
ci si aspettasse.
Anche lo stesso conflitto tra casualit`a e determinismo si ripropone ancora
negli studi pi`
u moderni.

4.1

Lapproccio della scienza moderna

Dopo secoli di repressione religiosa, che aveva imposto Aristotele e Platone come garanti della verit`a, imponendo lipse dixit, fino a storpiare la loro
stessa concezione filosofica, la scienza rivendica la sua necessit`a di rinnovarsi.
Ci`o accadde nel XVII secolo con, tra i pi`
u importanti e incisivi, Copernico, Keplero, Galileo e Newton, grazie ai quali nasce ufficialmente la scienza
moderna, con tanto di un nuovo metodo scientifico costruito da Galileo che
permette di smentire diversi dogmi sulla concezione e costituzione del mondo.
La ricerca scientifica cambia di pelle in quanto le viene attribuito un obbiettivo e uno scopo del tutto diverso: fino ad allora le spiegazioni dei fenomeni
fisici erano di tipo qualitativo, cio`e cercavano di inserirli in un contesto metafisico, alla ricerca di un ente primario, della sostanza facendo assumere al
tutto, come si `e visto, un carattere finalistico, che si rivela affine al mondo religioso ma poco scientifico; la nuova scienza invece si prefigge una descrizione
quantitativa dei fenomeni, cio`e che si basa su caratteristiche assolutamente
oggettive, misurabili: ecco che la fisica e la matematica danno vita ad un
legame rivelatosi indissolubile.
Con questo metodo, tramite continue misurazioni ed esperimenti diventa possibile stabilire dei legami causa-effetto tra gli eventi, favorendo previsioni via
via pi`
u precise. Ecco che si riafferma il carattere meccanicista della scienza
in maniera pi`
u concreta, in quanto le leggi naturali delle quali Democrito
parlava, vengono man mano rivelate sempre pi`
u dettagliatamente, tanto che
Galileo viene definito da Evangelista Torricelli (in una sua lettera destinata
allo stesso Galileo) come oracolo della natura.
Prospettandosi una simile potenzialit`a, con il passare degli anni e delle
scoperte si arriva ad una totale fiducia nella scienza, accompagnata dal dominio dellideale deterministico fino allestremo. Leggiamo cosa scrive Laplace
nellintroduzione della sua opera Essai philosophique sur les probabilies:
Una Intelligenza che, per un dato istante, conoscesse tutte le
forze da cui `e animata la natura e la situazione reciproca degli
esseri che la compongono, se per di pi`
u fosse abbastanza profonda
per sottoporre questi dati allanalisi, potrebbe abbracciare nella
stessa formula i moti dei pi`
u grandi corpi delluniverso e degli
26

atomi pi`
u leggeri, nulla sarebbe incerto per essa e lavvenire, come
il passato, sarebbe presente ai suoi occhi.
Pierre Simon de Laplace, contemporaneo di Kant, fu un fisico e filosofo della
scienza, incarnan`o la figura del perfetto scienziato grazie alla sua idea cosmologica basata appunto sul determinismo e sulla non necessit`a di ricorrere
allipotesi di unEntit`a creatrice e ordinatrice.
Ci`o si traduce nel concepimento di uno stato presente come allo stesso tempo
leffetto di una causa precedente e la causa a sua volta di uno stato futuro e
questo legame implica che niente pu`o essere senza una causa che lo produca
(principio della ragion sufficiente).
Dallaltro canto Laplace fu anche il fondatore del moderno calcolo probabilistico, elemento che provoca una sorta di paradosso: in realt`a il calcolo probabilistico nasce come un mezzo per colmare linevitabile ignoranza umana e
nel contempo la sua scarsit`a di mezzi, destinate per`o entrambe a decrescere
progressivamente, ma allo stesso tempo mai ad annullarsi, per cui luomo,
per quanto avesse potuto progredire, non sarebbe mai arrivato al livello della
super Intelligenza ipotizzata dal fisico. Infatti, pi`
u avanti del pezzo citato,
il fisico paragona le orbite planetarie e il moto di una molecola di un gas:
tra di essi non v`e alcuna differenza di precisione se non quella che impone
appunto lignoranza umana. Ma dimostra comunque una grande fiducia nel
progredire della scienza, citando una profezia di Spinoza (anchegli fervido
determinista) che non ha mai smesso di avverarsi e sempre con pi`
u frequenza:
Verr`a un giorno in cui, dopo uno studio di parecchi secoli, le cose attualmente incomprensibili saranno evidenziate, e la posteriorit`a si meraviglier`a
che verit`a cos` tanto chiare ci siano sfuggite.
Per questo Laplace fornisce uno strumento universalmente valido per tracciare il percorso di una strada che ci si aspetta che verr`a saldamente costruita
grazie alle teorie fisiche.

4.2

Verso un allontanamento dal meccanicismo

Ovviamente il meccanicismo della scienza non `e stato sempre universalmente accettato, soprattutto da un punto di vista filosofico; in campo scientifico
prima del XX secolo `e ancora troppo presto per porsi il problema, in quanto
tale modello funziona ancora e non c`e motivo per metterlo in dubbio.
In effetti la scienza moderna che deriva da Galileo si basa completamente
sul principio di causa-effetto, che permette di riordinare gli eventi e di prevederli: provarne linaffidabilit`a o la non veridicit`a significava distruggere le
fondamenta di una maestosa costruzione.
Chi ci prov`o fu il giovane Hume che quasi con un gioco sofistico distrusse
27

il concetto base della fisica e anche quello della filosofia (la sostanza): questazione venne considerata eclatante da Kant tanto che si sent` costretto a
porvi rimedio, oltre che a sentirsi debitore di Hume per averlo risvegliato da
sonno dogmatico e aver dato uno slancio alla sua filosofia.
Il ragionamento di Hume `e tanto semplice quanto efficace: mette in chiaro
che non c`e nessun legame, oltre a quello temporale, tra due eventi, tale che
possa essere fuori da ogni dubbio che uno causi il secondo; in realt`a la mente
umana `e talmente abituata a vedere questi due o pi`
u eventi in una precisa
successione nel tempo, che per convenzione ammette che tra questi vi sia un
legame causale. Insomma, per esemplificare, non `e detto che se ci avviciniamo al fuoco dobbiamo per forza bruciarci: pensiamo questo perche `e una
scena che abbiamo in qualche modo vissuto tante volte e per abitudine siamo
convinti che debba essere per forza sempre cos`, finche, un giorno, potrebbe
accadere qualcosa che smentisca questa abitudine. In effetti non c`e nulla che
provi una relazione solida di tipo causale fra due eventi, ma non c`e nemmeno
niente che ne provi la non esistenza di questa relazione; si rimane sempre nel
dubbio, anche se sembrerebbe che lesperienza (o labitudine) finora non ci
abbia mai ingannati.
Questa stessa conclusione viene utilizzata da Boutroux almeno un secolo pi`
u
tardi in Della contingenza delle leggi della natura. Costui non riconosce la
validit`a del meccanicismo, se non come pura convenzione e strumento della
ricerca scientifica. In realt`a riesce a smontarlo dal punto di vista logico: parte
dal presupposto che un fenomeno non abbia una sola causa, ma che esistano
innumerevoli variabili che determino quellevento con quelle caratteristiche;
ovviamente ognuna di queste variabili ha una sua graduazione di influenza
sullevento che causa. Senza esporre particolari, un processo causale non pu`o
essere ne analizzato ne sintetizzato completamente: ci`o vuol dire che non
possiamo ne in piccolo trovare ununica causa che generi un solo puro effetto,
ne in grande riunire tutte le leggi fino ad averne una che racchiuda sinteticamente tutti i processi di causa-effetto delluniverso. Il meccanicismo quindi
si rivela inadeguato ad essere adottato come assoluta legge di natura e pu`o
funzionare solo come schema mentale; la maggior parte dei fenomeni, specialmente il pensiero umano, eccedono nellaccadere rispetto alla somma delle
cause dalle quali sono provocati: ad esempio, appunto, il pensiero umano,
secondo Boutroux, non `e spiegabile semplicemente mettendo insieme tutte le
azioni e gli stimoli nervosi, ma `e qualcosa di pi`
u complesso. Stando a ci`o, le
leggi naturali diventano precarie rispetto agli eventi che descrivono, i quali
ne sono indipendenti e vanno al di l`a delle previsioni: si dice in questo caso
che le leggi sono contingenti rispetto ai fatti che vorrebbero descrivere e non
necessarie, cio`e precarie e mutevoli rispetto alla natura che evolve in maniera
imprevedibile. Se si applica questo concetto al pensiero, Boutroux lo libera
28

da ogni necessit`a, ma senza affermare nessun libero arbitrio. La contingenza


delle leggi `e una sorta di via di mezzo che si instaura tra il determinismo e la
libert`a, ma che d`a comunque la possibilit`a di sfuggire al rigido meccanicismo
imposto dalla scienza.

4.3

La meccanica quantistica e laltra faccia della fisica

Alla fine del XIX secolo, in Germania, un problema fisico che persisteva era
quello del cosiddetto corpo nero: sapendo che un corpo qualsiasi, a contatto
con una fonte di calore, man mano che la temperatura sale cambia colore,
passando dal rosso, giallo, fino al bianco-azzurro; il problema stava nel stabilire unesatta relazione tra la gamma e lintensit`a del colori e la quantit`a
di energia irraggiata ad una determinata temperatura da un corpo nero. Nel
1900 questo problema venne risolto dal fisico Max Planck, al prezzo per`o,
nonostante il suo carattere conservatore, di uscire fuori dalla fisica classica,
abbandonare definitivamente lidea della continuit`a della materia e riprendere una volta per tutte la teoria atomica, a causa di quello che il fisico defin`
come un atto di disperazione, cio`e la constatazione che lenergia fluisce
non continua, come un flusso dacqua dal rubinetto, ma `e corpuscolare, o
meglio, quantizzata, cio`e `e composta da unit`a minime dette appunto quanti. Lintroduzione del quanto nella fisica determin`o la creazione di una nuova
meccanica, appunto quantistica, costruita per descrivere un mondo microscopico assolutamente in conflitto non solo con la meccanica classica ma anche
con le stesse basilari regole della logica.
Un assioma della fisica classica stabilisce che qualsiasi grandezza deve essere
suscettibile ad una legge che la determina, o meglio questa `e sempre tale
da poter essere misurata e inserita mediante una formula nel contesto dei
fenomeni a cui appartiene. Sono concessi degli scarti di errore o imprecisioni
convenientemente attribuite o allazione e ai riflessi umani, oppure ai limiti di
capacit`a degli strumenti di misura. Ma nella meccanica quantistica nemmeno
questo principio cos` basilare `e valido, ed `e quello che rivel`o il giovane fisico
Werner Heisenberg nel 1927, con il famoso principio di indeterminazione che
porta il suo nome.
Due grandezze elementari e anche facilmente determinabili in fisica sono la
posizione e la velocit`a (o meglio la quantit`a di moto) di un qualsiasi punto
materiale: possiamo farlo perche abbiamo la possibilit`a di effettuare la misura senza provocare nessun tipo di influenza sulla grandezza stessa. Ma questo
ci `e permesso solo a livello macroscopico: `e facile isolare ci`o che abbiamo a
portata di mano da fattori esterni, e ci`o che non riusciamo a tenere lontano
lo possiamo considerare trascurabile.
Nella meccanica quantistica siamo fuori dalla portata di qualsiasi microsco29

pio: questo perche noi vediamo attraverso la luce, che si sa avere una doppia
natura, ondulatoria e corpuscolare. A livello dellatomo, o pi`
u gi`
u di l`, ad
esempio di un elettrone, se esposto ad una fonte di luce questo viene influenzato dai fotoni che la compongono o dalla sua lunghezza donda: parliamo
infatti di ordini di grandezza estremamente piccoli in quel caso. Per questo
Heisenberg defin` come indeterminabile la posizione o la quantit`a di moto di
un elettrone: per poter misurare queste grandezze bisogna osservare in qualche modo lelettrone, per osservarlo bisogna colpirlo in modo da definirlo,
ma lunico mezzo a nostra disposizione `e la luce, che a causa delle dimensioni simili ne perturba il percorso e la velocit`a (in modo lontanamente simile
a due biglie che si scontrano. La misura dello stato dellelettrone a questo
punto perde di senso, in quanto `e perturbata dai mezzi stessi che si usano
per definirla; ergo, se conoscere vuol dire misurare, in meccanica quantistica
misurare vuol dire modificare, influenzare, allora la conoscenza stessa `e impossibilitata.
In linguaggio matematico Heisenberg esprime questa indeterminazione con
la seguente formula:
h
:
xp '
2
il significato dellequazione si traduce nellimpossibilit`a di misurare contemporaneamente e con la stessa precisione la posizione x e la quantit`a di moto
p. I simboli x e p indicano lo scarto di errore e il loro prodotto `e pi`
uo
meno uguale alla costante di Planck: ovvero sono inversamente proporzionali
e se una misura `e pi`
u precisa (ovvero il corrispettivo decresce), la seconda `e meno accurata (sale il corrispettivo ). Vi `e una seconda equazione
di indeterminazione, che riguarda stavolta la misura di unenergia E in un
determinato intervallo di tempo t:
tE '

h
;
2

la logica `e sempre la stessa: pi`


u grande `e lintervallo di tempo, pi`
u lenergia
`e misurata precisamente, mentre se si riduce lintervallo di tempo si `e obbligati a ricorrere a energie pi`
u grandi.(??) Per la prima volta in fisica viene
smentita la sua veggenza, perche si ammette che esistono sistemi che risultano assolutamente imprevedibili e non determinabili con precisione da leggi
matematiche. La cosa pi`
u eclatante `e che non si tratta di sistemi esterni o
estranei, anzi: lenergia e gli elettroni sono ci`o che costituisce la materia, la
natura e noi stessi: daltronde, com`e possibile che, se il mondo macroscopico
si era rivelato assolutamente determinato, facilmente riportabile in termini
matematici e ubbidiente alla legge di causa-effetto, quello microscopico, che

30

lo determina a sua volta, sia invece lesatto opposto? Losannato meccanicismo della fisica non poteva quindi essere attaccato in maniera peggiore, tanto
che questa idea venne rifiutata da tantissimi grandi fisici dellepoca: lo stesso
Einstein non volle credere ad un Dio che gioca ai dadi, e riteneva che la
meccanica quantistica fosse incompatibile con la fisica stessa in quanto non
rappresentava una realt`a nel tempo e nello spazio.
Eppure davvero certi corpuscoli hanno rivelato un comportamento imprevedibile allocchio umano: ma rester`a tale per sempre oppure, restando fedeli
alle parole di Laplace, il principio di indeterminazione `e solo frutto di una
carenza umana? Allinizio questa posizione venne difesa, finche il calcolo
probabilistico, ovviamente largamente utilizzato in meccanica quantistica,
non divent`o uno strumento assolutamente oggettivo, come anche la stessa
indeterminazione. Cambiano per`o le idee sulla causalit`a, in quanto, alla luce
delle nuove scoperte, afferma il fisico Dirac4 , questa `e applicabile solo ad un
sistema che pu`o essere lasciato indisturbato, e un sistema atomico non pu`o
essere certo tale, per questo `e impossibile trovare connessioni logiche tra le
osservazioni.
I fisici hanno in ogni caso accettato lindeterminazione, ma rester`a sempre
il dubbio sulla sua universalit`a: la fisica quantistica `e indeterminata nel momento in cui implica un osservatore che inevitabilmente perturba gli eventi,
quindi molto probabilmente questa incertezza sar`a sempre inevitabile per gli
uomini; ma proprio in quanto `e unincertezza, non sapremo mai se potrebbe
essere tale anche per lIntelligenza onnisciente ipotizzata da Laplace, quindi davvero le particelle subatomiche assumono comportamenti imprevedibili,
oppure no e allora lentit`a laplaciana potrebbe essere perfettamente in grado
di determinare le leggi della natura partendo dal singolo quanto di energia.
Con questo dilemma si ritorna a quello tra determinismo e libero arbitrio
(o caos), che, per lo meno per ora, pare che si sia rivelato assolutamente
insolvibile.

P. Dirac The principles of quantum mechanics

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Riferimenti bibliografici
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[29] Karl Popper, La teoria dei quanti e lo scisma della fisica, 1984
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