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All In!

Perch serve la Lip sul diritto allo studio


Un mini-dossier sulla situazione italiana e un confronto con l'Europa
Il Sistema Universitario in Italia: le macerie da cui ripartire.
Il Diritto allo Studio Universitario, sancito dalla nostra Costituzione allarticolo 34, svolge un ruolo
fondamentale per poter garantire pari opportunit a tutti gli studenti, indipendentemente dagli
ostacoli di ordine sociale ed economico. Il Paese vive una fase di fortissimo impoverimento, in cui
le disuguaglianze economiche e sociali, gi da tempo esistenti, si aggravano progressivamente.
Eppure, alcuni dati ci mostrano come non sia casuale la fase critica che stiamo vivendo, ma frutto
di precise scelte politiche dei Governi degli ultimi 10 anni. Capiamo insieme cos successo.
1. Universit piene di tagli, senza studenti.
Il primo dato drammatico che salta agli occhi il numero degli studenti persi dallanno accademico
2003/2004: da 336mila immatricolati allUniversit, nel 2014/15 sono 270 mila i ragazzi e le
ragazze che frequentano le aule. Abbiamo perso circa 463mila studenti e studentesse in 10
anni, con un andamento che decisamente negativo: si registra un calo di circa il 20% di
immatricolati nellultimo decennio (fonte: anagrafe MIUR) . LUniversit italiana, quindi,
concretamente espelle dal sistema formativo, e al contempo lattuale sistema di Diritto allo Studio
non fornisce gli strumenti e le garanzie per intraprendere in maniera libera la scelta di iscriversi a un
corso di studio universitario. Significa che 463mila persone che potenzialmente avrebbero
potuto formarsi e laurearsi, inevitabilmente non lhanno fatto.

Inoltre osservando levoluzione delle immatricolazioni per Regione si registra il calo della quota di
immatricolati di Calabria, Campania, Sardegna, e Sicilia per quanto riguarda il Mezzogiorno e la
crescita di Lombardia (16,4% del totale nel 2011/12) e Lazio (14,7%), che si confermano ai primi
due posti per numero di immatricolazioni (Fonte: fino al 2002/03 MIUR - Indagine sullIstruzione
Universitaria; dal 2003/04 Anagrafe Nazionale Studenti ). Il tasso degli immatricolati e dei laureati
in Italia in profondo ritardo rispetto al resto dei Paesi europei, e ci dipende soprattutto dalla
miopia politica degli ultimi Governi che non si sono adoperati per innalzare il livello di istruzione e
a consentire ad ampi segmenti della popolazione di accedere allistruzione terziaria.
Sempre pi studenti e studentesse nel corso degli ultimi 10 anni non hanno sentito lUniversit
come un luogo capace di fornire sostegno e veramente aperto a tutti; oggi potersi permettere
di studiare diventato un lusso, un privilegio di pochi a fronte di un diritto negato di

moltissimi. Inoltre negli ultimi 10 anni le tasse universitarie in Italia sono cresciute del 63%
parallelamente ad una significativa riduzione di numero di iscrizioni alluniversit (-17% nello
stesso decennio). Laumento della contribuzione studentesca si accompagnata alla progressiva
riduzione del Fondo di Finanziamento Ordinario (il fondo statale che ogni anno viene
assegnato ai vari Atenei, il quale diminuito di 63,5 milioni di euro per l'anno 2009, di 190
milioni di euro per l'anno 2010, di 316 milioni di euro per l'anno 2011, di 417 milioni di euro
per l'anno 2012 e di 455 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013) che in molti casi ha portato
gli Atenei a compensare la contrazione delle risorse statali con maggiori oneri a carico degli iscritti:
di conseguenza le tasse non rappresentano pi una fonte di finanziamento secondaria ma sono
divenute in molti casi unentrata vitale per i bilanci delle Universit italiane. Nella stessa direzione
va luso della contribuzione studentesca come strumento punitivo per penalizzare su un piano
economico gli studenti fuoricorso ed inattivi. Questultima forma di discriminazione, che purtroppo
un numero crescente di Universit sta scegliendo di adottare, si trova ad essere anchessa
incentivata dalle norme in materia di tasse studentesche che i governi degli ultimi 6 anni hanno
adottato.
II. Tutto deve cambiare affinch tutto rimanga com
Ma quali sono le cause reali di questa situazione? E molto semplice: lUniversit italiana stata
martoriata da numerosissimi tagli (lineari e non) nel corso degli ultimi anni. Parlare di
definanziamento al sistema universitario un eufemismo. A partire dalla Riforma Gelmini del
2010, con il combinato disposto della Finanziaria Tremonti, che ha dato lavvio al massacro
economico e strutturale (con i tagli lineari sui fondi per universit e ricerca, il blocco della
possibilit di assumere - cosiddetto blocco del turn-over- e laziendalizzazione della struttura
universitaria tutta), il Governo tecnico Monti non ha dato segnali in senso inverso. I pochi
interventi del Ministro Profumo sono andati nella stessa direzione degli anni precedenti. Parliamo,
ad esempio, della definizione del range della tassa regionale per il diritto allo studio, che viene
pagata tutti gli anni - al momento dellimmatricolazione - dagli studenti (Decreto Legge 68/2012).
Questo provvedimento si concretizzato, in alcune Regioni, nellimplemento a dismisura di quella
voce di spesa; in parole povere, stiamo assistendo al fenomeno per cui il Diritto allo Studio viene, di
fatto, finanziato dalle tasche degli studenti stessi. Allo stesso modo, la recentissima stangata del
Governo Renzi a proposito del cambiamento del calcolo dellISEE (Indicatore della Situazione
Economica Equivalente), usato nella definizione delle prestazioni sociali - e per questo criterio con
cui si accede o meno alla borsa di studio - ha impattato in maniera disastrosa sul settore
universitario: dallaumento delle tasse alla diminuizione della platea dei beneficiari di borsa di
studio, siamo di fronte allennesimo provvedimento che espelle dal mondo della formazione.

Il confronto su scala europea.


I. Il dibattito sulla conoscenza e listruzione terziaria in Europa.
La situazione italiana del diritto allo studio risulta ancora pi drammatica se proiettata su scala
internazionale. In particolare, opportuno prendere lUnione Europea come scala di comparazione,
anche alla luce della Strategia di Lisbona e degli obiettivi di Europa 2020.
Nel marzo del 2000 il Consiglio europeo straordinario riunitosi a Lisbona defin il quadro generale
per una serie di riforme economiche che dovevano interessare i singoli Stati e la dimensione
comunitaria, con lobiettivo esplicito di fare dellUnione la pi competitiva e dinamica economia
della conoscenza a livello globale. Per la prima volta i Capi di Stato e di Governo europei pongono
laccento sul ruolo dellistruzione e della conoscenza, alla luce delle trasformazioni del modello
produttivo, dentro una strategia su politiche economiche, innovazione, riforma del welfare e
inclusione sociale, capitale umano, uguali opportunit del lavoro femminile.
Al tempo stesso, la Strategia di Lisbona palesa come i saperi e la conoscenza non

rappresentano affatto uno spazio neutro e privo di attriti, al contrario sul nodo dellaccesso ai
saperi, soprattutto in riferimento alle implicazioni con il mondo della produzione, si
dispiegano interessi divergenti e conflittuali. La stessa categoria di Economia della conoscenza
ha un carattere ambivalente, ma si concretizzata presto in un disegno ben preciso: la spinta per
laumento del livello complessivo di istruzione e del tasso dei laureati parte dal riconoscimento
della conoscenza come fattore di produzione sempre pi importante per aprire nuovi mercati
e per emergere nella competizione su scala internazionale. A partire da queste dinamiche, la
promessa di una societ della conoscenza, ha lasciato spazio a un nuovo sistema economico con
nuove gerarchie: la conoscenza diventa bene mercificabile, fonte di profitto e, di conseguenza, la
distribuzione della ricchezza prodotta dal lavoro cognitivo e dalla cooperazione non segue affatto i
principi dellequit e della giustizia sociale.
Dentro questa complessit si inseriscono gli obiettivi quantitativi prioritari di Europa 2020 per la
crescita e loccupazione che lUnione Europea ha stabilito nel 2010. Anche in questo caso trovano
centralit i temi dellistruzione, della ricerca e dellinnovazione: in particolare, gli Stati europei
devono aumentare gli investimenti in Ricerca e Sviluppo fino 3% del Pil, abbattere la dispersione
scolastica al di sotto del 10% e raggiungere il 40% dei laureati nella fascia det fra i 30 e i 34 anni.
Sono tutti obiettivi ancora distanti nella media dei Paesi europei, ma soprattutto fortemente
disattesi dal nostro Paese. In particolare, lItalia allultimo posto nel tasso di laureati fra i
trentenni: a fronte di una media europea del 37,9%, il nostro Paese fermo al 24% e superato
da tutti i Paesi dellarea Ocse, anche da Turchia e Cile come certificato dallultimo rapporto
di Education at Glance. Questi dati sono oggetto di un dibattito che troppo spesso, a causa di
interessi di diversa natura, stato deformato verso prospettive che non affrontano i problemi
cruciali del nostro sistema universitario, ma che al contrario rischiano di aggravare la situazione.
Troppo spesso, infatti, gran parte della classe politica e imprenditoriale ha puntato il dito contro lo
spreco di risorse da parte degli atenei italiani e linsufficiente sviluppo di un sistema di istruzione
terziaria professionalizzante non accademica. I dati dicono, per, che la spesa media per laureato
negli atenei italiani ben al di sotto di altre esperienze europee: la spesa tedesca e quella svedese
sono pi del doppio di quella italiana, ma anche in Spagna e in Franca la spesa pi alta del 70%
rispetto a quella del nostro Paese. Si torna al punto di partenza. Il confronto del sistema
universitario e dellalta formazione italiano sul piano internazionale fa emergere con
drammaticit linsufficienza di investimenti pubblici nel settore e, in particolare, nel diritto
allo studio e nel welfare studentesco.
II. Finanziamenti sul diritto allo studio e welfare studentesco in Europa
LUniversit italiana sconta nei confronti degli atenei degli altri Paesi europei un pesante
sottofinanziamento. Ancora una volta, il rapporto Education at Glance 2015 a darci la cifra di
questo ritardo: la spesa complessiva per listruzione universitaria in Italia ferma allo 0.9%
del Pil, penultima fra gli Stati dellarea Ocse e contro una media UE pari all1,5%. Negli
ultimi anni, prima e dentro la crisi economica, su scala europea si sono registrati processi divergenti.
Siamo di fronte a unEuropa a due velocit: mentre i Paesi del Nord e dellEuropa centrale
hanno aumentato la spesa in istruzione, i cosiddetti PIGS (Paesi con alto debito pubblico come
Portogallo, Italia, Grecia e Spagna) e molti Paesi dellest Europa hanno seguito o subito lindirizzo
del taglio lineare dei servizi pubblici e degli investimenti nelle infrastrutture sociali, a partire da
scuola e universit.
In questo quadro differenziato e che fa emergere una divergenza netta fra (almeno) due modelli di
spesa sul diritto allo Studio, lItalia risulta in una posizione ancora pi drammatica da pi punti
di vista. In primo luogo, sono da evidenziare i dati in termini assoluti dei beneficiari di borsa di
studio sia alla luce dei numeri attuali sia del trend in atto: dal 2006 al 2013 Francia, Germania e
Spagna hanno aumentato nonostante la crisi il numero di studenti borsisti, mentre negli anni
la gi limitata platea di aventi diritto si ulteriormente contratta. Non solo, quindi, nellEuropa

settentrionale e centrale, ma anche in un Paese come la Spagna, coinvolto in questi anni nella crisi
del debito e colpito dai diktat sulle politiche delle austerit, ha aumentato gli investimenti nel diritto
allo studio. Inoltre, questi dati ci consentono di mettere sotto la lente una vergogna tutta italiana: la
figura dellidoneo non beneficiario di borsa di studio, ovvero uno studente avente diritto a un
sostegno economico da parte dello Stato per proseguire gli studi universitari ma che non lo
riceve a causa della mancanza di risorse investite. Nellanno accademico 2014/2015 gli idonei
vincitori sono leggermente scesi rispetto agli anni passati, ma restano alla clamorosa cifra di 40.000
studenti a cui viene negato un diritto fondamentale.
Tabella 1. Beneficiari di borsa di studio a.a. 2012-2013 e variazione con a.a. 2006-2007
Beneficiari di borsa (a.a. 2012- Variazione con a.a. 20062013)
2007
Germania

440.217

+33%

Francia

629.115

+34%

Spagna

305.454

+59%

Italia (idonei) 175.993

-4%

Italia (borsisti) 141.310

-8%

Inoltre, il diritto allo studio in Italia si caratterizza sempre pi come forma di welfare assistenziale
residuale, limitato a offrire un sostegno economico, troppo spesso insufficiente, ai redditi bassi e
alle famiglie povere per iscrivere i propri figli alluniversit. Questa dimensione emerge con
chiarezza dai dati sulla percentuale di studenti che ricevono una borsa di studio sul totale della
popolazione studentesca del Paese. Anche in questo caso, lItalia risulta il fanalino di coda in
Europa con una percentuale inferiore al 10%, mentre Paesi come la Germania e la Francia
viaggiano rispettivamente al 21% e al 27% (con un numero assoluto di studenti molto pi alto e
quindi con investimenti pubblici sul diritto allo studio molto pi elevati). Da notare come nei Paesi
del Nord Europa, guardando in particolare al modello scandinavo, il diritto allo studio rientra
allinterno della visione universalistica del welfare, come opportunit di tutta la cittadinanza di
emancipazione sociale e autoderminazione, anche rispetto alla famiglia di provenienza: le
percentuali di studenti che ricevono la borsa di studio in questi Paesi si attestano fra il 75% e il 90%.
Tabella 2. Percentuale di beneficiari di sostegno agli studi sul totale della popolazione studentesca
Paese

Percentuale beneficiari su totale studenti

Italia

9% (idonei)

Spagna

19,5%

Francia

27%

Belgio

20%

Germania

21%

Svezia

77%

Danimarca

80%

Olanda

95%

La palese carenza di investimenti, in termini assoluti e relativi, sul diritto allo studio nel nostro
Paese accompagnata da situazioni territoriali molto diverse fra loro. La costante incertezza sulle
risorse a disposizione e la disparit di trattamento e nellaccesso ai diritti che si vive nelle diverse
regioni imputabile sicuramente a una mancanza di volont politica chiara e allassenza di
Livelli Essenziali delle Prestazioni in grado di determinare il reale fabbisogno, ma anche da
un frammentazione senza uguali delle fonti di finanziamento.
Il confronto con il modello francese risulta particolarmente significativo: in Italia il sistema del
diritto allo studio poggia sul Fondo Integrativo Statale, su risorse proprie delle Regioni e sulle
entrate provenienti dalla tassa regionale per il diritto allo studio a carico degli studenti e delle
loro famiglie.
La Francia, anche alla luce di una tradizione politica e amministrativa nettamente diversa dalla
nostra, ha assunto un modello praticamente opposto: la gestione del diritto allo studio fortemente
centralizzata, con un finanziamento interamente statale a bilancio del Ministre de lEducation
Nationale e che viene gestito attraverso il CNOUS (Centre National des uvres Universitaires et
Scolaires) con una struttura centrale e una rete di strutture locali deputate allerogazione di borse di
studio, alloggi, servizi di ristorazione, ecc. Pi che la presenza o meno di pi istituzioni competenti
in materia che concorrono alla realizzazione degli obiettivi, il punto decisivo risiede nella chiarezza
delle responsabilit sulla materia, aspetto che in Francia fissato in modo puntuale.
III. Modelli alternativi: prestiti studenteschi e universalismo
Lo scenario internazionale ci consegna, infine, strade alternative al diritto allo studio inteso come
strumento di sostegno per i redditi pi poveri. In parte ci siamo gi soffermati su alcuni esempi e in
questa sezione prendere brevemente in esame due modelli radicalmente contrapposti: il sistema
anglo-sassone dei prestiti studenteschi e lapproccio universalistico dei Paesi scandinavi.
In Gran Bretagna il sostegno agli studi viene affrontato con un approccio e una filosofia molto
distanti dalla nostra. Non solo negli ultimi anni le rette per liscrizione universitaria sono triplicate,
fino a raggiungere le 9.000 sterline allanno, ma il principale strumento per coloro che non possono
permettersi tali cifre rappresentato dal prestito donore o prestito studentesco. In sostanza, lo
studente si indebita con una banca o una societ finanziaria che copre il pagamento della retta
universitaria e, una volta conseguito il titolo di studi e avviata la propria carriera lavorativa,
restituisce il denaro prestato e gli interesse maturati. Questo sistema ha una palese criticit politica:
anzich investire, anche a fondo perduto, risorse pubbliche per consentire a tutti di proseguire gli
studi indipendentemente dalle condizioni economiche di partenza, inserisce logiche di mercato e
di finanziarizzazione nellaccesso alluniversit e mette gli studenti e i neo-laureati sotto il
macigno di un debito elevatissimo da restituire. Inoltre, le cifre dellindebitamento e i casi
sempre pi numerosi di insolvenza degli ex-studenti dimostrano come il modello non sia
sostenibile e pi rivolto a garantire profitti privati che un diritto allo studio accessibile per
tutti.
Il modello anglosassone, anche alla luce della bolla dei prestiti studenteschi negli Stati Uniti che
supera ormai i 1.100 miliardi di dollari (+361% in 10 anni), non pu rappresentare unalternativa,
anzi seguire questa strada significa dal nostro punto di vista aggravare la manomissione del diritto
allo studio, aprendo la questione dellaccesso ai pi alti gradi della formazione a dinamiche di
liberalizzazione e di mercato anzich a un impegno preciso dello Stato.
Per questo motivo, ci indirizziamo verso laltra strada da approfondire, quella del sostegno
universalistico. I Paesi scandinavi e del Nord Europa, in particolare Svezia, Danimarca,
Finlandia e Olanda, hanno sviluppato unintegrazione profonda tra i benefici per laccesso
allistruzione e una visione universale del welfare: in questi contesti esiste un reddito di

formazione erogato su base individuale, composto da contributo monetario ed erogazione di


servizi, che non si basa soltanto sul sostegno a chi non pu permettersi gli studi, ma si pone
lobiettivo di garantire unopportunit di emancipazione e autodeterminazione a tutti gli
studenti e le studentesse.
Il modello danese rappresenta uno dei casi pi avanzati: tutti gli studenti ricevono circa 900$ per
mese (comprensivi dei servizi di trasporto e di housing) a partire dai 18 anni e per un massimo di 6
anni. Gli studenti non devono restituire questi soldi, nemmeno in caso di interruzione degli studi o
di ritiro dal College. Questo sistema universale di welfare studentesco si combina in molti casi con
la gratuit dellistruzione universitaria, prevedendo un forte investimento pubblico attraverso la
fiscalit generale: una dimensione distante da quella del nostro Paese, dove le tasse universitarie
sono in costante crescita da anni, mentre le croniche criticit del diritto allo studio restano in campo
e contribuiscono alla vertginosa caduta del numero di immatricolati negli atenei italiani.

Diritto allo Studio: ieri, oggi, domani.


I.Ieri: cos successo.
Il sistema di diritto allo studio in Italia normato soltanto dalla legge 390 del 1991 e dal Dpcm del
2001, che definiscono l'entit delle borse di studio, i servizi offerti e i criteri di accessibilit per
entrambi.
La legge Gelmini all'articolo 5 conteneva alcuni nebulosi passaggi sul diritto allo studio che si
sarebbero dovuti chiarire successivamente alla pubblicazione della legge, il nuovo sistema si
sarebbe dovuto basare sull'identificazione di alcuni livelli essenziali delle prestazioni (Lep) a cui
avrebbe dovuto aver accesso ogni studente in possesso dei requisiti di eleggibilit (cio, la
possibilit di accedere o meno ai benefici del Diritto allo Studio).
In seguito alla pubblicazione delle legge 240 del 2010, il precedente governo costitui un tavolo
tecnico con rappresentanti del Miur e delle regioni per definire la nuova normativa per il diritto allo
studio universitario, il tavolo subi numerose interruzioni dovuta ad una serie di contrasti tra il Miur
e le regioni sul finanziamento del sistema di diritto allo studio e sulla definizione dei Lep.
Ad una settimana dalla dimissioni del governo Berlusconi, il ministro Gelmini fece approvare
un decreto sul diritto allo studio, molto scarno e che non conteneva alcun dato sul
finanziamento ne i criteri di definizione per le borse.
Il Decreto 68/2012, emanato dal Ministro Profumo, prov a fornire un quadro normativo sui
Livelli Essenziali delle Prestazioni, con risultati pessimi: ci che si evidenziava era
l'inasprimento dei requisiti di merito per accedere alla borsa di studio e la totale discrezione del
Ministero dell'Economia nella definizione dell'importo della borsa di studio. Inoltre, l'aumento
dell'importo della tassa regionale per il Diritto allo Studio elemento normato dal decreto 68 stesso
- ha provocato in alcune Regioni (come ad esempio la Campania) automaticamente la copertura
economica del DSU da parte degli studenti stessi. A nostro avviso, inaccettabile che venga
esplicitamente coperto in prima istanza con gli introiti della tassa regionale per il diritto allo
studio pagata dagli studenti. Le risorse statali e regionali intervengono soltanto nei casi in cui il
fabbisogno finanziario per soddisfare i livelli essenziali delle prestazioni a chi ne ha diritto. Viene
avallata la logica per cui il diritto allo studio venga sostenuto sulle spalle degli studenti, mentre lo
Stato compie un passo indietro rinunciando ad investimenti in uno dei settori che al contrario
dovrebbe essere considerato una priorit per il futuro dellintera societ.
II. Oggi: cosa sta succedendo.
Il Governo Renzi si inserisce in questo quadro con una serie di interventi che rischiano di
distruggere totalmente il Diritto allo Studio Universitario.
Come sappiamo il Diritto allo Studio Universitario ha tre fonti di finanziamento: i contributi statali

(il cosiddetto Fondo Integrativo Statale), la tassa regionale pagata da studenti e studentesse e infine i
contributi delle Regioni.
Il decreto Sblocca Italia, in mezzo a un calderone di manovre, all'art. 42 co.1 interviene sull'art 46
del cd "decreto Irpef" che imponeva alle regioni di contribuire alla finanza pubblica per 500 milioni
di euro, sospendendo l'esonero dal patto di stabilit interno di una serie di voci tra cui quella del
diritto allo studio universitario. Questa norma aveva dato attuazione all'intesa sancita in sede di
Conferenza permanente Stato-Regioni il 29 Maggio 2014. Il decreto Sblocca Italia elimina questo
esonero reinserendo all'interno del patto di stabilit una serie di voci legate per lo pi al mondo
dell'istruzione tra cui troviamo i 150 milioni di euro destinati alle borse di studio, facendo crollare
cos uno dei pilastri su cui si sostenuto fino ad oggi il sistema del finanziamento del diritto allo
studio.
Oltre a questo, si aggiunto il cambiamento del calcolo dei parametri per la definizione
dellISEE. L'Isee lo strumento tramite cui si regola l'accesso alle prestazioni di natura sociale tra
cui la borsa di studio; Per l'accesso ai servizi di DSU assieme all'Isee viene valutato il parametro
Ispe relativo alla condizione patrimoniale. Il DPCM 59/2013, entrato in vigore il 1 Gennaio 2015
(a cui non seguita nessuna sperimentazione da parte del Ministero dellEconomia), ha impattato in
maniera disastrosa sul sistema del Diritto allo Studio. Infatti moltissimi studenti e studentesse si
sono improvvisamente ritrovati pi ricchi senza in realt esserlo, a causa della introduzione di
tutti i redditi esenti Irpef (quindi anche la borsa di studio stessa) e valutazione degli immobili non
pi ai fini ICI bens IMU ( pi 66% del valore precedente) . Il risultato stato una diminuizione di
circa il 30 % della platea dei beneficiari di borsa di studio, e al contempo il disinteresse del MIUR
nei confronti dellemergenza espulsione stato enorme. Soltanto poche Regioni, su spinta delle
organizzazioni studentesche, hanno trovato misure tampone per far fronte allemergenza in corso,
ed solo di inizio marzo 2016 la notizia che il MIUR ha messo mano alle soglie ISEE e ISPEP per
laccesso alle prestazioni del Diritto allo Studio, innalzandole fino a 23.000 (ISEE) e 50.000
(ISPEP).
III. Domani: le nostre battaglie per una proposta di tutti.
Siamo profondamente convinti che lattacco al mondo universitario si collochi in un pi ben ampio
scenario di smantellamento dei diritti sociali. La stagione referendaria sta aprendo uno squarcio in
questo contesto. Le lotte ambientali, le lotte per una scuola pubblica, di massa, laica e di qualit, in
netta opposizione al modello proposto dalla Buona Scuola, le battaglie sul mondo del lavoro, la
partita sul referendum costituzionale, per una democrazia reale e rappresentativa, sono battaglie che
stanno allinterno della visione di un diverso modello di sviluppo di Paese. Siamo profondamente
convinti che oggi parlare di Diritto allo Studio e di un nuovo modello di accesso alla formazione
vuol dire immaginarsi un diverso sistema-Paese, condurre una battaglia contro le disuguaglianze
sociali, investire pienamente nella formazione e nella ricerca di base come questione di interesse
generale, Con queste premesse abbiamo scritto e messo a disposizione la proposta di Legge
dIniziativa Popolare sul Diritto allo Studio: abbiamo lanciato un percorso, un cammino comune,
che intende inserirsi nella stagione referendaria e sottoporre alla politica una visione nuova dei
diritti sociali. Vogliamo costruire insieme un orizzonte diverso, facendo coalizione con chiunque
abbia la volont di giocarsi questa partita storica per il futuro del Paese. Vogliamo costruire un
futuro di tutti, senza esclusioni, disuguaglianze, che sia davvero fruibile e accessibile agli studenti e
alle studentesse.

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