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Leco dellimbecillit: analisi, diagnosi, terapia

di Vincenzo Romania
Il recente attacco di Umberto Eco ai social media ha scatenato numerose reazioni. E in effetti
un dito nella piaga stato messo: qual , infatti, il loro complessivo effetto sul processo di
costruzione del sapere? Cosa fare per impedire agli imbecilli di vincere.
Lo scorso 10 giugno, nella lectio magistralis tenuta alluniversit di Torino in occasione del
conferimento della laurea ad honorem in Comunicazione e Cultura dei Media, Umberto Eco ha
scatenato un ampio dibattito pubblico affermando: I social media danno diritto di parola a legioni
di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la
collettivit. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio
Nobel. linvasione degli imbecilli.
Laffermazione che ha scatenato le polemiche era inclusa in una lunga riflessione sulle teorie del
complotto e sulla scarsa verificabilit delle notizie su internet. Non si trattava quindi di una
posizione ingenuamente apocalittica, ma di un passaggio critico in un discorso pi ampio che
includeva anche valutazioni positive o integrate rispetto agli effetti dei new media, secondo la
celebre distinzione introdotta da Eco nel 1964 e di recente ripresa in un saggio collettaneo a cura di
Anna Maria Lorusso (DeriveApprodi, 2015).
Eco sosteneva soprattutto la necessit di una di una educazione e di una riflessione critica sulluso
dei nuovi media che dovrebbero coinvolgere tanto la scuola quanto la carta stampata. In effetti, a
livello scientifico dato per scontato il fatto che leducazione costituisca una componente
essenziale nella fruizione dei mezzi di comunicazione. La maggiore associazione europea di
studiosi della comunicazione, per portare un esempio, si chiama European Communication
Research and Education Association. Di contro, analizzando lofferta didattica e le recenti
polemiche sugli insegnamenti di genere, la scuola italiana non molto avanzata dai tempi
dellidealismo crociano e da quelle critiche che lo stesso Croce rivolgeva allintroduzione della
sociologia nel nostro sistema educativo loccasione fu la traduzione da parte di Franco Ferrarotti
di un volume di Veblen per i tipi di Comunit nel 1949.
Tornando alla affermazione di Eco, essa, come detto, ha suscitato diverse reazioni sulla stampa e sul
web. Le pi interessanti hanno ricondotto laffermazione a tematiche pi ampie quali: laccesso al
sapere dotto e la sua necessit di compararsi con il sapere popolare (Nicoletti su La Stampa); la
necessit di regolare luso della rete (Rodot per il Fatto Quotidiano); lindistinguibilit fra
imbecilli internauti e imbecilli tout-court, pre-esistenti a e indipendenti dallavvento della rete
(Munafo per i blog dautore dellEspresso). Se Nicoletti ha toccato implicitamente una questione
husserliana, ovvero il confronto fra sapere scientifico e sapere pratico o mondo della vita
(Lebenswelt), Rodot e in parte Munafo hanno toccato quello che a mio avviso il fulcro della
questione, ovvero: quanto siamo abituati ed educati al dialogo? Quanto le piattaforme social e in
particolar modo Facebook, favoriscano un deterioramento del dialogo stesso? Quale leffetto dei
SNS (social network sites) sulla qualit della informazione e sulla costruzione del sapere?
Queste domande distinguono in effetti fra chi gi imbecille, chi si comporta da imbecille quando
usa i social networks ad esempio alcuni politici e intellettuali e chi viene educato allimbecillit
dai SNS stessi. I tre fenomeni sono diversi e sicuramente non era intenzione di Eco enuclearne la
distinzione, quanto piuttosto comprendere come il mezzo informatico possa favorire il diffondersi
di credenze antiscientifiche e di conoscenze infondate e cospiratorie, e dar vita a forme di
contrapposizione non dialogiche perch non basate sul riconoscimento dellinterlocutore e sulla
dialettica delle reciproche posizioni.
Come Eco, sono pienamente consapevole che ogni mezzo di comunicazione di massa, nel mediare
la realt e nel dar vita a una cultura di massa, possa produrre, al contempo, effetti sociali positivi e
negativi. La mia, quindi, come quella di Eco, non una posizione totalmente apocalittica. Cercher

per qui di evidenziare soprattutto gli aspetti problematici del rapporto internet\conoscenza e
tecnologia\sociale per dimostrare come esista in piattaforme come Facebook una tendenza implicita
a ridurre il dialogo fra utenti a un confronto fra imbecilli o quanto meno fra inconsapevoli.
Partir da una considerazione pi generale. La complessit del vivere sociale, gi in epoca moderna,
porta a un atteggiamento sempre meno riflessivo e sempre pi pratico rispetto agli oggetti e ai
fenomeni esterni, orientato cio a ridurre la complessit cognitiva degli stimoli esterni in un sapere
pratico, applicato per ricette di senso comune. La perdita di capacit critica del cittadino dipende
quindi, in et moderna, sia dallaumento degli stimoli esterni, sia da uno stile cognitivo influenzato
dal mondo del lavoro, orientato alla produttivit, che si oppone allozio speculativo e alla
comprensione approfondita. Sempre pi la nostra comprensione del mondo si limita a una
connotazione di superficie orientata ai nostri fini pratici e modellata sulletica del fare: efficace,
veloce, diretta. Non ci interessa, ad esempio, comprendere quali passaggi seguir una mail dal
momento della nostra digitazione sulla tastiera del computer, al momento della ricezione da parte
del destinatario: ci interessa soltanto che essa arrivi in un tempo ridotto e certo al nostro
interlocutore.
Laccelerazione del mutamento sociale degli ultimi decenni dalla fine del secolo breve, in poi - e
la rapida obsolescenza delle tecnologie comunicative tradizionali hanno prodotto un sempre pi
ampio divario fra sviluppo tecnologico e capacit individuale di auto-formazione. Ci la
conseguenza di processi che partono da lontano. Scriveva Georg Simmel nel 1900: Ogni giorno e
da ogni parte si accresce il patrimonio della cultura oggettiva, ma lo spirito individuale pu
accrescere le forme e i contenuti della sua formazione solo con grande ritardo poich procede con
unaccelerazione assai minore (Filosofia del denaro).
Il cittadino del ventunesimo secolo somiglia cos sempre pi a una fulminea lepre della tecnologia,
che si comporta e comunica come una tartaruga delletica, parafrasando una metafora proposta da
Alex Horowitz nel 2011. Abbiamo cio in mano strumenti avanzatissimi di cui comprendiamo
largamente le opportunit tecniche, disconoscendo o ignorando volontariamente le possibilit, i
limiti e i rischi etico-dialogici delle stesse e non migliorando, cos, la qualit di ci che ci
scambiamo. Assistiamo cio a una fondamentale sottovalutazione o meglio sottomissione della
moralit agli aspetti tecnologici, dovuta proprio da quella mancanza di educazione ai media e di
cultura tecno-etica a cui faceva riferimento Eco nella sua lectio magistralis. Le code chilometriche
ai supermarkets per aggiudicarsi per primi gli artefatti tecnologici pi innovativi non sono quasi mai
popolate da coloro che da quegli strumenti possono ricavare i pi grandi avanzamenti per il bene
dellumanit.
Questa considerazione non mira certo a proporre una moralizzazione del web, in senso
conservativo, n a stigmatizzare i technology-addicted. Al contrario, mira a descrivere una
distinzione necessaria fra mondi diversi, che si muovono con finalit diverse: le ICTs e le scienze
della comunicazione. Basti guardare, banalmente, ai programmi didattici dei corsi di laurea in
Ingegneria delle Telecomunicazioni e in Scienze della Comunicazione, per accorgersi come questi
due mondi, apparentemente omonimi, siano del tutto separati dal punto di vista conoscitivo. Non si
vuole qui certo proporre una ingegnerizzazione o sistematizzazione del comunicare: ci aveva gi
ampiamente provato e fallito Ludwig Wittgenstein. Piuttosto si vuol far notare come ad una crescita
tecnologica dei mezzi di comunicazione non sia seguita una crescita dialogica delle relazioni
umane, basata sulleducazione alla comprensione, al confronto, al dialogo con lalter.
La distinzione fra tecnologia e sociale era gi presente in Kant e pi tardi in Weber: sono mondi che
si muovono con logiche che si incrociano solo parzialmente e con velocit differenti. Negli ultimi
20 anni, sempre pi spesso si cercato di comprendere laspetto di incrocio fra i due mondi, tramite
lintroduzione di un campo di studi, la Sociologia della Tecnica e della Scienza (STS), che analizza
le controversie scientifiche, lincorporamento delle tecnologie nella vita quotidiana, gli script o
copioni duso impliciti che ogni innovazione tecnologica apporta al vivere sociale, gli usi non
previsti che nascono poi dallincontro fra tecnologia e sociale, nella vita quotidiana. Questi ed altri
campi di applicazione degli STS segnalano come il rapporto tecnologia\sociale sia molto complesso
e, punto fondamentale della questione, come leducazione alle tecnologie comunicative e in senso

stretto dialogiche sia fondamentale per bilanciare il rapporto fra oggettivazione della conoscenza e
consapevolezza soggettiva. Dove hanno fallito i web-entusiasti pi ingenui, ad esempio, nel
presumere che lintroduzione tecnologica di mezzi che favoriscono laccesso aperto e la democrazia
digitale dovesse comportare, automaticamente, una accresciuta democratizzazione della vita sociale.
Gli esiti negativi della cosiddetta primavera araba sono un esempio lampante.
Un secondo punto critico nellutilizzo di piattaforme globali come Facebook sta, in particolare, nel
rapporto fra comunicazione, identit e autostima e, pi in generale, nel rapporto fra comunicazione
e formazione del role-set. Diventare utenti di Facebook vuol dire infatti partecipare a un processo
globale di messa in vetrina del s, attraverso strumenti tecnologici che mettono in comunicazione
identit online ed identit offline, al punto da rendere questa distinzione quasi del tutto astratta.
Lauto-rappresentazione del s infatti un processo di continuit: si fa esperienza per potere narrare,
si narra per poter far esperienza del s. un processo, ancora una volta, che esaspera tratti della vita
moderna non del tutto nuovi, basati sulla dipendenza fra consumo delle cose e del tempo e
felicit. Scriveva ad esempio Italo Calvino nel 1955: Con la primavera, a centinaia di migliaia, i
cittadini escono la domenica con lastuccio a tracolla. E si fotografano. Tornano contenti come
cacciatori dal carniere ricolmo, passano i giorni aspettando con dolce ansia di vedere le foto
sviluppate... e solo quando hanno le foto sotto gli occhi sembrano prendere tangibile possesso della
giornata trascorsa (Avventura di un fotografo). Tale aspetto, unito alla misurabilit del successo
socio-virtuale dei nostri post, delle nostre fotografie, della nostra immagine pubblica, ci porta
inevitabilmente ad una omologazione del s a quella che viene percepita come lidentit dominante.
Mettiamo cio in atto energie fisiche, sociali ed economiche per dimostrare di essere,
continuamente, costantemente, riconoscibilmente delle persone eccezionali, rappresentando noi
stessi, prevalentemente, nelle attivit del tempo libero, il tempo del consumo. E finiamo cos per
apparire niente pi e niente meno che delle persone normali, simili allutente medio della
piattaforma. Fare le persone normali del resto un grande sforzo, come spiegava Harvey Sacks in
un saggio scritto negli anni 60.
Adattiamo quindi la nostra narrazione del s, e conseguentemente la nostra concezione di noi stessi,
a una narrazione collettiva dellidentit, che : imperialistica, individualista, giovanilistica,
consumistica, sostanzialmente decalcata sul cosmopolitismo di mercato allamericana. Assistiamo,
cio, a una versione radicalizzata della simmeliana tragedia della cultura: il s, costretto allinterno
di gabbie di significato collettive sempre pi opprimenti, perde progressivamente la capacit di
auto-definizione e di creativit.
Ci crea rapporti di dipendenza dalla piattaforma, in alcuni casi, ma, in molti casi unacritica
accettazione del fatto che questo strumento di controllo sociale esteso costituisca la prima fonte di
autostima. Facebook, in particolare, costituisce, a mio avviso, la prima reale realizzazione del
villaggio globale presupposto da Marshall McLuhan: non la contrazione percettiva delle distanze
fisiche, ma lestensione su scala globale dei sistemi di controllo sociale tipici del piccolo villaggio.
Ci fa s che la presentazione del s si adatti difensivamente ai rischi del gossip, della riprovazione
sociale, della perdita di fiducia e di reputazione. Lindividuo reagisce a ci passivamente, subendo
gli altrui giudizi e adattandovisi (Cooley) o, positivamente, influenzando gli altri tramite artefizi
drammaturgici (Goffman) e costruendosi ambienti-specchio che rimandino limmagine del s
desiderata (Burke & Stets).
Cosa resta sotto la maschera? Preoccupati dalla difesa di un s pi vulnerabile che virtuale, gli
utenti finiscono per intraprendere scambi comunicativi orientati non a una crescita collettiva della
conoscenza e della consapevolezza, quanto a un guadagno soggettivo in termini di autostima e di
consenso. Non si tratta quindi di partecipazione, ma di auto-affermazione. Pi che a un dialogo
platonico si assiste a un confronto fra narcisi, a una guerra fra specchi, che rimanda ununica, triste
e spesso inconsapevole immagine: quella della cultura commerciale che ha oggettivato in maniera
sensibile anche i rapporti sociali e di cui ogni utente si fatto veicolo.
Chiaramente, nella katoptromachia (Guerra degli Specchi) facebookiana ad essere favorito non
colui che possiede gli argomenti pi forti (lautorevole), ma colui che veicola il pi alto senso del s
o la forma pi aggressiva di auto-affermazione (lautoritario). Vince chi possiede le migliori

capacit di stimolazione dellaspetto fatico del linguaggio, cio la componente emotiva (smuovere il
rimorso, laggressivit, il risentimento, le paure, le ansie di chi legge) e chi riesce a parlare a tutti,
anche agli imbecilli qualsiasi cosa essi siano o dicano. Per fare ci bisogna toccare dei punti
nevralgici della condizione contemporanea: la sfiducia sistemica nelle istituzioni e nei mass-media
(da ci laffermazione delle bufale e delle teorie del complotto), la solitudine del cittadino globale,
il rifiuto di gerarchie intellettuali e politiche da cui ci si sente sempre pi estranei. Cos come la
comunicazione fumettistica per vignette ha favorito nel secondo dopoguerra un passato esempio di
populismo, come quello dellUomo Qualunque di Giannini, limmediatezza dei post su Twitter o
Facebook favorisce nuove forme di populismo, di tipo politico (da Grillo a Salvini, passando per
Renzi) e intellettuale. Cos come gli operatori di una celebre app (Uber) guidano le proprie vetture
senza essere in possesso di alcuna licenza, allo stesso modo i leader di opinione su internet
esercitano il loro redditizio ruolo, senza alcuna licenza culturale, giornalistica o semplicemente
morale.
Gli imbecilli quindi rischiano effettivamente di vincere, se non vengono assunti i giusti anticorpi,
perch il mezzo che rende imbecille il dialogo, per una serie di fattori: lansia di prendere
posizione su tutto (come novelli GPS della moralit), lutilit di creare sempre nuovi nemici (i
profughi, i vegani, le donne emancipate, il cosiddetto gender) per rafforzare i legami del gruppo,
la perdita di un fine sociale dietro lo stordimento globale del narcisismo virtuale. Non ci si
preoccupa di far avanzare la comprensione del presente, ma di bloccare tutti quegli utenti che con le
proprie prese di posizione possano far fallire le argomentazioni e la connessa autostima
dellemittente. Se c un arte che lutente medio di Facebook e Twitter posseggono ben poco
quella della maieutica e della dialettica.
Non c bisogno di risorse astratte per evitare tutto ci: pi che di una educazione ai media come
tecnologie, abbiamo bisogno di una educazione ai media come strumenti dialogici, un po come
fanno gli olandesi quando insegnano ai loro giovani che cos stato, storicamente, il cosiddetto
modello del Dutch Dialogue. Ed in questa chiave di lettura che va compresa la presa di posizione
di Eco: non si tratta di unaccusa o di una snoberie intellettuale, ma un ammonimento. da
imbecilli non comprenderlo.
Vincenzo Romania Professore associato di Sociologia e insegna Sociologia della Comunicazione
presso lUniversit degli Studi di Padova.

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