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Autocoscienza, libri di scienze e il senso della vita

Milano – Casa della Cultura- Tempio degli intellettuali milanesi. In un tardo


pomeriggio di un lunedì di gennaio viene presentato Donne senza guscio, il
libro dell’amica Luisa Pogliana. Una lucida analisi sulle difficoltà che le donne
vivono all’interno delle organizzazioni, sui conflitti con il potere, sulle ataviche
difficoltà delle donne per farsi valere all’interno delle organizzazioni. Luisa mi
chiede di moderare il dibattito di presentazione. Onorata, accetto l’incarico
anche se, da donna quale sono, dare la parola a donne che hanno scritto la
storia del femminismo italiano un po’ mi intimidisce. Come dire, mi pare di non
avere argomenti. Ma tant’è, io modero, devono parlare loro. E quindi arriviamo
e prendiamo posto.
Poiché l’evento si tiene tra le 18 e le 20 devono scendere in campo forze di
babysitteraggio straordinarie. E quindi chiamo la mamma –perché nel
frattempo la partita di basket è stata spostata dalla palestra sottocasa a circolo
sportivo tal del tali, lontanissimo, ovviamente, e domani c’è anche la verifica di
grammatica. Nella dimensione parallela dell’universo domestico-familiare mia
mamma gentilmente dà il cambio alla tata che, come un orologio svizzero,
all’ora X se ne va.
Per meglio controllare il tempo che ho dato a disposizione alle relatrici tengo
sul tavolo il mio Blackberry che, puntualmente, mentre si discetta di
femminismo e autocoscienza, comincia a illuminarsi con la più inquietante delle
scritte: MAMMA. Ignoro la richiesta di aiuto. Mia mamma è in casa, i figli spero
anche. Alla sesta chiamata comincio a inquietarmi. Perché mia mamma sa cosa
sto facendo, ha passato tutta la vita anche lei nei convegni, mi dico che forse si
è dimenticata, forse pensa che sono tra il pubblico e che mi sarà facile uscire
un attimo dalla sala per darle retta.
Mentre si affollano questi pensieri devo anche cercare di non perdere il filo
della discussione; le signore femministe richiedono, ve l’assicuro, la massima
attenzione. Ma all’ennesima telefonata non resisto e invio alla mamma un sms
perentorio: SCRIVI.
Passa qualche minuto e il telefono si illumina di nuovo, è la mamma che
risponde con la seguente richiesta: “hai il numero di telefono di Andrea
Bianchi?”. Bé, l’emergenza mi pare decisamente rientrata. Da scenari
apocalittici tipo tuo figlio si è rotto il braccio a basket, quell’altro tuo figlio è
finito sotto una macchina (sono un tipo ansioso, per chi non mi conosce), la
richiesta mi pare si possa allegramente sottovalutare. Passa qualche minuto, il
dibattito è sempre acceso, ogni tanto devo persino intervenire con qualche
considerazione pertinente ed ecco il messaggio successivo: “Giovanni ha perso
libro di scienze. Domani verifica di punizione. Hai il numero del compagno che
forse l’ha preso per sbaglio?”. Riportiamo le cose alla giusta dimensione. Sono
quasi le otto di sera. Il pargolo è a casa, non si è rotto il braccio a basket, non
studierà scienze. Chissenefrega. Qui c’è il dibattito sul lavoro delle donne da
portare avanti. Come dire, lasciatemi lavorare!
La presentazione finisce, mi fanno persino i complimenti, qualcuno mi chiede il
biglietto da visita. Soddisfatta saluto e, appena varcata la porta, chiamo a casa.
“Mamma –ansima lo scellerato– Andrea mi ha fregato il libro di scienze, non
riesco a chiamarlo, per domani dobbiamo preparare 20 pagine da studiare per
la verifica che ci hanno dato per punizione e io non ho libro”. “Arrangiati tesoro
–replico, che le femministe mi avranno insegnato qualcosa… - adesso vengo a
casa, mangiamo e andiamo a dormire”.
Detto fatto. Da bravo esemplare di mamma-mozzarella, prima di tornare a casa
suono al portone di un compagno che abita vicino, chiedo in prestito il libro e
torno con il mio libro-trofeo. Meno male che la mia di mamma (esanime, perché
allergica al mio gatto) sta scolando la pasta e cominciamo a mangiare.
Ingurgitiamo i fusilli e via, pronti per la maratona scientifica. Cioè, pronta la
nonna, che è la biologa di famiglia, scienze è roba sua. Il fratello dello
scienziato mancato pretenderebbe che l’aiutassi a fare la parafrasi dell’Iliade,
ma è troppo anche per una mozzarella in avanzato stadio di decomposizione.
Lo spedisco nella sua camera e richiamo un’amica che mi aveva cercato poco
prima della presentazione del libro. “Venite a cena venerdì sera?” “Veramente
io e il Luca ci siamo lasciati…dopo un po’ di anni passati senza prendere
decisioni rischiavamo di non andare da nessuna parte…”.
Ripenso alla giornata, cominciata alle 6,30 del mattino, l’ufficio, la preparazione
della presentazione del libro –che di lunedì non ci sono nemmeno i parrucchieri
aperti– l’ansia di gestire gli universi paralleli, e mi domando: “Siamo sicure di
sapere davvero dove vogliamo andare?”.

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