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Giancorrado Barozzi

Considerazioni su una raccolta di preghiere popolari

0. Walter Benjamin nel suo saggio su Edward Fuchs, il collezionista e lo


storico ha osservato che:
Esistono molte specie di collezionisti e in ciascuno agiscono, inoltre,
numerosi impulsi.
Edward Fuchs, ci informa Benjamin, fu un collezionista dimpostazione
storico-materialistica, visse a cavallo tra il XIX e il XX secolo e raccolse con
pari dedizione sia le caricature politiche e di costume della sua epoca
realizzate da autori appartenenti al canone artistico ufficiale (come ad es.
Daumier) che quelle eseguite da anonimi illustratori o da incisori dinfima
fama, nellintento di fissare le tracce perenti, e in via di estinzione, di un
mondo che, giorno dopo giorno, egli vedeva mutare con incredibile
rapidit davanti ai suoi occhi.
1. Gli impulsi che muovono al gesto di collezionare non si discostano
granch da quello che, ai suoi tempi, anim anche Edward Fuchs. Le
differenze tra le molte specie di collezionisti riguardano largomento
della collezione, in genere ha osservato Benjamin i grandi
collezionisti sono caratterizzati dalloriginalit{ nella scelta delloggetto
della loro attivit{, ma la molla di fondo che scatena la passione
collezionistica rimane in sostanza sempre la stessa.
2. Collezionare rappresenta, gi di per s, unattivit{ artistica. In una nota
posta a margine del saggio su Fuchs, Benjamin ha segnalato che il suo
modus operandi era pi simile a quello di un artista che a quello di uno
storico. Il giudizio pu essere tranquillamente esteso alla maggior
parte dei suoi colleghi, indipendentemente da ci che essi raccolgono.
3. In quel piccolo capolavoro pubblicato da Bruce Chatwin nel 1988, poco
prima della sua morte, che narra la storia di Kaspar Utz, un grande
collezionista di porcellane di Meissen, troviamo che la febbre che
divora il protagonista viene descritta come lequivalente perfetto di una
vocazione artistica: Il collezionista - scrive Utz in una sua rara
pubblicazione citata da Chatwin - restituisce alloggetto il tocco
vivificante del suo artefice.
4. In unaltra delle sue massime Utz sostiene, inoltre, che: il nemico del
collezionista il conservatore del museo. In teoria - egli afferma - i
musei dovrebbero essere saccheggiati ogni cinquantanni e le loro
collezioni dovrebbero tornare in circolazione.... Scrostata la patina di
paradosso che riveste questo pensiero, non possiamo negare il fatto che
esso ci rivela una verit.

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5. Lo scopo ultimo del collezionista non quello di museificare i materiali


della propria collezione, quanto piuttosto di riuscire a farli ri-rivivere
mettendoli di nuovo in funzione e cogliendo ogni occasione per poterli
ripetutamente esibire agli altri. Le collezioni sono atti di sfida che si
oppongono allo scorrere del tempo, sono dei tentativi, talvolta
maldestri, ma quasi sempre geniali (e in tal senso artistici), di
ritardare quanto pi possibile la redazione, da parte di un burocrate,
del definitivo atto di morte di un qualcosa.
6. Il collezionista-artista non vuole affatto consegnare i propri reperti agli
archivi della Storia, ma cerca anzi con ogni mezzo di porli il pi
possibile al riparo da essi.
7. LUtz di Chatwin ci ha fornito degli ottimi ragguagli a questo proposito.
Si pensi, ad es., al netto contrasto tra lamorevole atteggiamento esibito
da Utz nei confronti dei suoi ninnoli, e il gelido zelo dei catalogatori
ufficiali, o la maldestra professionalit della fotografa, inviati dallo Stato
per schedare come beni patrimoniali gli oggetti che fanno parte della
sua collezione.
8. Lautentica aspirazione di ogni collezionista non la creazione di un
museo bene ordinato, ma la formazione di un bazar in cui, poco alla
volta, finiscano col perdersi di nuovo le cose che erano state un tempo
ritrovate, un magazzino dove i materiali accumulatisi nel corso degli
anni si stratifichino luno sullaltro producendo cumuli di reperti e di
oggetti daffezione che sfuggano a ogni genere di controllo e
trasgrediscano le ferree leggi della precisione.
9. Quel che resta dellopera del collezionista sempre un accumulo
quantitativo di frammenti prelevati dai contesti pi vari, restringendo il
campo delle preferenze a singoli dettagli, seguendo gusti e
orientamenti personali, dai quali poter liberamente attingere di nuovo,
alloccorrenza, per rimetterli in circolazione, sia pure con mutate
funzioni; in una parola, per cercare di non farli morire.
10. Per comprendere e apprezzare appieno le ermetiche scoperte dei
collezionisti occorrebbe mobilitare unintera schiera di esperti,
specializzati ciascuno in un distinto campo del sapere. Ma, in questo
caso, il prezzo da pagare, finirebbe col coincidere in una vivisezione e,
quindi, nella definitiva messa a morte di quelle cose alle quali i
collezionisti avevano saputo infondere per lo meno la parvenza di un
alito di vita.

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11. In questo genere di cose rientrano non solo gli oggetti concreti
(quadri, tappeti, statue, porcellane, aratri, carri agricoli, attrezzi da
lavoro, giocattoli, e persino tappi di bottiglia, scatole di fiammiferi,
bustine di zucchero, o altre infinitesimali cianfrusaglie), ma anche i beni
cosiddetti immateriali, ossia linsieme delle espressioni corporee e
verbali, dei modi di dire, dei saperi tradizionali, dei rituali liturgici della
religione ufficiale o della devozione popolare, delle espressioni
musicali, delle tradizioni orali (formalizzate e non), e cos via
discorrendo. Insomma, tutte quelle manifestazioni dellingegno e dell
animo umano che non richiedono altro supporto che il gesto e la voce,
integrati, tuttal pi, da semplici protesi che ne esaltino le intrinseche
potenzialit (quali, ad es., gli strumenti musicali).
12. E allo sterminato insieme dei beni immateriali appartengono anche
le orazioni in dialetto de Al ben di nstar vc. La pubblicazione curata da
Quarenghi e Ferrari composta da testi, di varia lunghezza, ma nella
maggior parte dei casi assai brevi, raccolti nel Mantovano dai due
curatori spigolando altri libri sullargomento, oltre che interpellando dal vivo - anziani testimoni che avevano mandato a memoria, e ancora
le conservavano intatte nel loro bagaglio mentale, vecchie orazioni,
spesso apprese in tenera et. La tenacia dimostrata dai curatori di
questo corposo volume, che ha ora superato le 300 pagine, ci rende
partecipi di unampia raccolta di frammenti memoriali, provenienti da
pi voci, focalizzati tutti quanti sul tema della preghiera e dei rapporti
delluomo con la dimensione del sacro, anche se, come meglio si dir
pi avanti, non tutti i testi qui raccolti sembrano appartenere in modo
univoco al genere preghiera.
13. Le intenzioni dei curatori sono state esplicitate nella Presentazione
del volume firmata da Quarenghi. Lopera, egli scrive, si propone di
documentare le orazioni di anime semplici, lontane dalla sapienza
teologica e dalla dotta cultura di una chiesa, a volte distante.... Il
tentativo di colmare una duplice distanza sta dunque alla base della
ricerca. Il suo primo scopo quello di avvicinare a noi, lettori di oggi,
appartenenti a un mondo ormai del tutto alfabetizzato, le parole
semplici adoperate dai testimoni dialettofoni, interpellati dai due
curatori, per superare le loro angustie materiali ed elevarsi al di sopra
delle proprie miserie quotidiane, riuscendo ad affrontare, con i mezzi
linguistici messi a loro disposizione, un dialogo quasi sempre sincero e
spontaneo con le entit metafisiche del cosmo religioso. In secondo
luogo i curatori hanno provato a colmare loggettiva distanza esistente
tra i depositari di quel patrimonio orale di preghiera e la cultura

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ufficiale della Chiesa, che troppo spesso, fatte salve alcune lodevoli
eccezioni, ha per lo pi ignorato, trascurato o, addirittura, bollato come
eretici, i linguaggi e le elaborazioni concettuali che provenivano dal
mondo popolare.
14. Di Franco Ferrari, che ha dato il so apporto determinante a questa
pubblicazione, ma che oggi - purtroppo - non pi qui tra noi,
Quarenghi ha ricordato, nella Presentazione, il sodalizio che per circa
un anno lo aveva accumunato a lui nellimpegnativa realizzazione
dellopera. Con Ferrari ho avuto anchio una, sia pure pi episodica,
frequentazione, e ne rammento lestrema gentilezza danimo, la sua
fede religiosa che lo ha sostenuto, come costante ispirazione ideale,
tanto nelle accurate ricerche di carattere storico-archivistico da lui
condotte sulle vite dei santi del territorio mantovano che nelle
esplorazioni nel campo del folklore religioso e della devozionalit di
matrice popolare. Ferrari aveva inoltre una spiccata passione
collezionistica grazie alla quale, con laiuto di sua moglie, riusc a
mettere assieme una cospicua banca dimmagini di soggetto sacro.
Patrimonio che un pomeriggio, nella sua casa di Levata, egli volle
mostrarmi, commentando ogni pezzo da profondo conoscitore della
materia, qualera. Di quelle ore trascorse, ma sarebbe meglio dire
volate, in sua compagnia manterr per sempre un grato ricordo.
15. Quarenghi nella Presentazione del volume rivolge un pensiero
affettuoso anche a Enzo Lui, che io pure ho conosciuto e frequentato,
per un certo periodo. Enzo era lom da la vta da poc, il poeta e
affabulatore popolare dallenergia che pareva inesauribile. Quarenghi
mi ha confessato il ruolo di assoluto apripista svolto proprio da Enzo
nella riscoperta delle vecchie urasin poich, per primo, era stato Lui
(mi riferisco al cognome) a iniziare a raccogliere quel tipo di testi
popolari, interpellando gli anziani ospiti degli ospedali di Suzzara e di
Villafranca, dove esercitava la professione dinfermiere. Enzo, che era
anche in proprio un poeta dialettale, spesso amava replicare, al termine
dei suoi recital, alcune di queste vecchie urasin, incoraggiato, molto
probabilmente, dal modello del Mistero Buffo di Dario Fo, di cui allora
cercava di imitare, anche nella dizione, certe intonazioni espressive. Il
titolo del volume: Al ben di nstar vc, un palese omaggio reso dai
curatori alla memoria di Enzo Lui, che per primo lo aveva concepito e
glielo aveva trasmesso cos com.
16. Enzo Lui non si limitava a raccogliere le urasin popolari per tenerle
chiuse in un cassetto o per metterle in un libro, ma lo faceva col preciso
intento di restituirle alloralit{, recitandole nel corso delle sue

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performances teatrali. Lopera, nata per suo stimolo iniziale, contiene le


tracce di testi nati e trasmessi in ambito orale, durante i filos nelle
stalle, quando, durante le sere dinverno, la gente di campagna si
radunava a trascorrere in compagnia le ultime ore della giornata
scaldandosi al fiato dei bovini e scambiandosi un patrimonio fatto di
aneddoti, modi di dire, proverbi, fole e, appunto, urasin; o quando le
mamme cullavano, per farli addormentare, i loro bambini recitando, a
scopo di protezione da ogni male e di edificazione religiosa, delle preci
spontanee come quelle che ora contenute nel Capitolo Terzo della
Seconda Parte del libro (Preghiere di Natale), dove limmagine di Ges
Bambino rifletteva, per ogni mamma, quella del proprio figliolo.
17. Il libro suddiviso in quattro parti. La Prima include le parole
(ovviamente in dialetto) che venivano recitate facendosi il segno della
croce o accompagnando la mano del bambino per insegnargli il gesto di
segnarsi, gesto che veniva concluso portando sempre le mani a
congiungersi: il cosiddetto giin. Seguono poi, in questa stessa sezione,
che suddivisa in 9 capitoli, le preghiere della sera e quelle del mattino,
le preghiere rivolte alla santissima trinit (Padre, Figlio e Spirito Santo),
quelle rivolte alla Madonna, agli angeli e ai Santi (in primis SantAntonio
abate, protettore degli animali della stalla, e poi gli altri santi
protettori).
18. La Seconda parte del libro, ripartita in 5 capitoli, raccoglie le
preghiere appropriate alle varie occasioni della settimana o del ciclo
dellanno, quelle ad es. contro il maltempo, quelle da recitarsi durante
la messa o la confessione, quelle da pronunciare al tempo del Natale o
della Pasqua.
19. La Terza parte, divisa in due soli capitoli, include le orazioniscongiuro e le cante, ossia le canzoni extraliturgiche che narrano la vita
dei santi o la passione di Cristo. La Quarta e ultima parte contiene,
infine, tutto un repertorio di ispirazione quanto meno laica, quando
non scopertamente irreligiosa, formato da preghiere alla rovescia e
da preghiere profane. E va sicuramente a merito dei curatori il non
avere escluso anche queste espressioni dirreligiosit{ popolare
allinterno dellopera. Poich, come recita il proverbio, ogni medaglia ha
sempre il suo rovescio, il che vale anche nel caso della preghiera
popolare, e Quarenghi e Ferrari sono qui riusciti a dimostrarlo con
dovizia di esempi.
20. Roman Jacobson, in uno dei suoi studi di storia letteraria slava, ha
segnalato che il ricorso alla parodia di temi sacri, quali ad es. la Nativit

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o la Resurrezione di Cristo, fu ampiamente diffuso, in et medievale,


nella cultura ecclesiastica dellintera Europa. Ed erano i monaci stessi a
declamare in chiesa versi scurrili o a mettere in scena pantomime
parodiche delle liturgie sacre, per Natale o per Pasqua, o in occasione di
altre feste, come quella cosiddetta dellAsino Folle, che veniva celebrata
dai suddiaconi o dal clero secolare degli ordini inferiori (...)
specialmente per la festa della circoncisione, in cui si commemora la
circoncisione di Ges, presentato al Tempio a 8 giorni dalla sua nascita.
La festa, celebrata a Capodanno, e che fin con linglobare i rituali
pagani di inversione delle Kalendae Ianuarii, si tramut, nel corso del
Medioevo, in un pretesto per farsi gioco di tutto quanto aveva a che fare
col sacro e con la religione ufficiale, per rovesciarne temporaneamente i
dogmi, i valori e le credenze.
21. Le preghiere alla rovescia che si trovano nella parte conclusiva di
Al ben di nstar vc sono le ultime tracce di quel capovolgimento, solo
in apparenza anti-religioso, che la cultura ecclesiastica nel Medioevo
tollerava, o addirittura favoriva, pur confinandolo a ununica data fissa,
a un solo giorno del Santorale, quello, come s detto, della ricorrenza
della circoncisione di Ges Bambino, come valvola di sfogo concessa al
basso clero per fare esplodere tutta la sua irriverenza. Dopo di che, a
esplosione avvenuta, per tutto il resto dellanno, ogni cosa sarebbe
docilmente dovuta rientrare nei ranghi, facendosi di nuovo rispettosa
del disciplinamento imposto dalle gerarchie ecclesiastiche.
22. I testi della quarta, e ultima, sezione non costituiscono dunque
unappendice incongrua o stravagante, ma formano piuttosto la
necessaria integrazione di quel dialogo col divino che percorre tutta
quanta lopera. Un dialogo che, pur servendosi di un mezzo linguistico,
il dialetto, giudicato basso e volgare, vediamo invece raggiungere,
talora, dei livelli espressivi assolutamente sublimi.
23. Nella sua introduzione al volume, intitolata: La preghiera popolare
tra quotidianit e domanda di salvezza, il sociologo della religione Carlo
Prandi segnala come particolarmente rilevante questo aspetto delle
urasin, gi patrimonio del popolo, cogliendone i tratti pi significativi,
sia dal punto di vista dottrinale che da quello estetico.
24. Per quanto riguarda la dottrina, Prandi osserva come in alcune di
queste preghiere lorante tenda a bypassare listituzione ecclesiastica e
la sua gerarchia, per rivolgersi direttamente a Ges, alla Madonna e ai
santi. Tanto che, almeno in una urasin, che egli cita (a p. 17), si
potrebbe parlare di una forma di protestantesimo implicito, o, quanto

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meno, riudire leco di un anticlericalismo che ha trovato modo di


esprimersi persino in forma di preghiera. Prandi non tralascia di citare,
a questo proposito, la presenza di quel retroterra anticlericale che, tra
Otto e Novecento, ha serpeggiato diffusamente tra le classi subalterne
del Mantovano, indotto dalla propaganda dei socialisti della prima ora,
della quale il territorio Mantovano, specialmente nella Bassa, stato
una culla.
25. A proposito del protestantesimo implicito segnalato da Prandi, vi
sarebbe da notare quanto esso abbia inciso in profondit sulla
mentalit del popolo mantovano, specialmente nelle zone di bonifica,
divenute terreno di predicazione di apostoli valdesi che, prima ancora
dellavvento del socialismo, avevano gi provveduto a convertire larghe
masse di proletari agricoli, e soprattutto di terrazzieri impegnati nei
lavori di arginatura e scavo dei canali di bonifica realizzati nellagro
Mantovano-Reggiano. Intervento che contribu a mutare la mentalit
dei ceti popolari di unarea ben precisa, incuneata tra Lombardia
orientale ed Emilia, tema di notevole rilevanza storica che stato
approfondito, tra gli altri, da Marco Fincardi in alcuni suoi studi recenti.
Va ricordato, sempre a questo proposito, che la prima Lega contadina
del Mantovano, fondata a Santa Lucia di Quistello, dove ora sorge il
monumento al capolega creato dallo scultore Giuseppe Gorni, e che
diede la propria adesione alla nascita del Partito Socialista, era nata
inizialmente come fratellanza evangelica nella quale gli aderenti,
convertiti alla religione valdese, praticavano lun laltro i principi
dellegualitarismo comunitario. Le tracce di quellintensa opera di
proselitismo evangelico nel Basso Mantovano rimangono confinate
pressoch esclusivamente a Felonica, ove, accanto alla comunit
cattolica, prospera tuttoggi anche quella valdese, con il proprio tempio
e il proprio pastore, non pi residente per in loco, ma pendolare da
Ferrara, altra terra di bonifica che aveva conosciuto, tra lOtto e il
Novecento, unintensa predicazione evangelica.

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26. Il gran numero dinvocazioni mariane, o rivolte ai santi, presente in


questa raccolta documenta per la prevalenza di una forte egemonia di
matrice cattolica radicata nel contesto ambientale mantovano. Tant
che, fatte le debite eccezioni, la gran parte del corpus costituito dai testi
qui pubblicati pu valere anche come attestazione quantitativa di
unadesione sicuramente maggioritaria, anche se non omogenea, del
popolo mantovano ai dogmi catechistici di un cattolicesimo dialogico,
immediato e un tantino naf. Una religiosit popolare, insomma, che,
rifuggendo da ogni parvenza di complicazione teologica, trovava
conforto e fonte dispirazione nellessenzialit{ di un dialogo dellanima
con la divinit superiore (le persone della Trinit), o con le figure dei
suoi intercessori (la Madonna e i santi).
27. Giustamente Prandi, nella propria introduzione, ha fatto notare
come linsieme di queste preghiere in dialetto contenga solo in una
minima parte dei testi orali finalizzati a procurare benefici immediati
per gli oranti. Segno che, qui nel Mantovano, egli scrive, la religione del
mondo contadino di un tempo non era affatto appiattita su una
dimensione esclusivamente antropocentrica e utilitaria, diretta a
risolvere la negativit{ del quotidiano, cos come aveva invece suggerito
negli anni Cinquanta, lantropologo Ernesto De Martino come frutto
delle proprie ricerche condotte sul campo nellItalia del Sud. Certo
anche qui da noi nel Mantovano, come nel Mezzogiorno, non
mancarono, e in questa raccolta non vengono sottaciuti, gli scongiuri
volti a propiziare il buon andamento dellannata agraria o ad
allontanare dai campi, quasi per effetto di un magico sortilegio, i tanto
temuti temporali e le tempeste che avrebbero potuto compromettere i

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raccolti. Ma rispetto a queste concessioni al mondo magico aventi


finalit puramente utilitaristiche, la parte maggiore del corpus di testi
raccolti da Quarenghi e Ferrari riguarda invece, come annota Prandi,
quellapertura alla Trascendenza che caratterizza, per sua natura,
lesperienza religiosa.
28. Vediamo dunque, ha osservato Prandi, che i Novissimi (Morte,
Giudizio, Inferno, Paradiso) occupano la gran parte della domanda
religiosa presente in queste orazioni, e che in esse la componente
antropologica del vissuto quotidiano non si manifesta affatto a scapito
di quella escatologica.
29. Fatte le debite proporzioni, le orazioni dei contadini del Mantovano
[e anche di quelli che provenivano da aree rurali limitrofe, come ad es.
il Veneto, a seguito di consistenti migrazioni interne della popolazione
verificatesi nel corso del secondo dopoguerra] che toccano temi
escatologici sono state confrontate dal nostro sociologo della
religione con le preghiere dautore composte dal filosofo danese Sren
Kierkegaard servendosi, scrive Prandi, di un linguaggio a un tempo
intenso e di facile lettura.
30. Tale comparazione nobilita indubbiamente i testi popolari ai quali
stata riferita, e, in tal senso, potr giovare a una loro pi attenta
ricezione da parte dei lettori di oggi, oltre che a una positiva riconsiderazione sul piano tematico di questi frammenti dialettali
dargomento sacro. Ma tra le preghiere composte da Kirkegaard e
quelle de Al ben di nstar vc vi tuttavia una differenza sostanziale,
che non pu essere trascurata.
31. Mentre quelle di Kirkegaard furono preghiere composte a tavolino
dal loro autore, frutto delle sue riflessioni individuali, queste - raccolte
da Quarenghi e Ferrari - appartengono invece a un genere di testi
concepiti e trasmessi oralmente e, solo in un secondo tempo, trasferiti
in scrittura. Non si tratta di una pura e semplice diversit per quanto
concerne unicamente i media utilizzati: la scrittura vs loralit{, ma
piuttosto di modalit in contrasto tra loro nelle stesse procedure
generative oltre che nei canali di trasmissione.
32. Nel 1929 due linguisti russi, Roman Jakobson e Ptr Bogatyrv, il
secondo dei due era inoltre anche un valente folclorista, determinarono
in un saggio scritto in collaborazione (Il folclore come forma specifica di
creazione) quali fossero le caratteristiche peculiari che
contraddistinguono i testi folklorici tramandati oralmente da quelli

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appartenenti alla letteratura scritta. Unopera orale, a qualsiasi genere


essa appartenga, per potersi affermare in seno a una comunit
tradizionale e acquisire la possibilit di essere replicata, passando di
bocca in bocca, sino alle generazioni future, sfruttando lunico canale di
trasmissione consentito (la catena orale), deve venire accettata dal
proprio uditorio. Se questa accettazione, tutta o in parte, non avviene,
lopera non sar memorizzata da nessuno e verr, di conseguenza,
irreparabilmente condannata a scomparire per sempre nel nulla, come
se neppure fosse mai stata composta.
33. La salvezza di un testo folclorico orale dipende dunque dal suo
coefficiente di riproducibilit. Pi elevato questo quoziente, pi il
testo in questione, sia esso una fiaba, un indovinello, una canzone
popolare o, come nel nostro caso, una preghiera, verr replicato a voce
dai propri ascoltatori che, cos facendo, prenderanno a diffonderlo,
magari riadattandolo alle nuove esigenze, presso un nuovo uditorio, e
cos, virtualmente, allinfinito, almeno sino a che la catena delle sue
riattualizzazioni, che in certi casi potranno consistere anche in
riadattamenti o rifacimenti pi o meno integrali, non verr a spezzarsi,
e il testo orale finir per sempre nelloblio.
34. Il punteggio che consente a un testo folclorico di raggiungere
lambito quoziente che gliene pu garantire la riproducibilit dipende
da una complessa serie di fattori. Bogatyrv e Jakobson hanno provato
a individuarne i principali: innanzi tutto i testi folclorici orali devono
privilegiare la tradizione sullinnovazione, essi si basano sempre su
elementi costitutivi gi noti e ampiamente collaudati in precedenza in
seno alla comunit, quali ad es. certe formule poetiche ricorrenti, o certi
schemi narrativi (historiole) facilmente memorizzabili, adoperati come
mattoncini belle pronti per luso, prelevati - secondo loccorrenza - da
un preesistente repertorio di topos.
35. Altro fattore tipico della tradizione folclorica, strettamente connesso
a quello precedentemente individuato e finalizzato a facilitare al
massimo la riproducibilit di ogni forma di manifestazione artistica
popolare, sia essa iconica che verbale, uno spiccato gusto per il
dettaglio. Secondo Jan Mukarovskij, uno studioso di estetica
cecoslovacco che collabor con i due filologi russi citati in precedenza,
il dettaglio costituirebbe addirittura lunit{ semantica fondamentale
di ogni espressione di arte popolare, qualsiasi sia il medium utilizzato.
Tappeti tessuti a mano, piatti decorati, testi orali (formalizzati o non) si
focalizzano quasi sempre, in ambito popolare, su alcuni singoli dettagli

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ricorrenti, che migrano da unopera allaltra e che vengono quasi


ossessivamente replicati come cifra stilistica di una cultura etnica. In
questo corpus di preghiere dialettali si rincorrono, da un testo allaltro,
numerosissimi di questi piccoli dettagli. Di uno di essi, ad es.,
limmagine della goccia dacqua santa che cade dal becco duna
colomba, ho rintracciato almeno una dozzina di occorrenze o, se si
preferisce chiamarle cos, varianti.
36. In realt quello di variante non sembra essere per un concetto
realmente appropriato alle tradizioni orali, in quanto esse, pi che a un
processo di variazione, cercano di adeguarsi a procedure di
conservazione, tentando di replicare il pi fedelmente possibile
quanto gi era stato detto (da altri) o si era sentito dire (sempre da
altri), fatti salvi ovviamente gli inevitabili errori e omissioni, che senza
volere si insinuano nella comunicazione ogniqualvolta essa si fatta
dipendere da meccanismi puramente orali e mnemonici.
37. Le preghiere in dialetto che fanno parte integrante del folklore di un
popolo, cos come pure altre espressioni culturali, o sub-culturali, di
ampia diffusione e altamente socializzate (quali ad es. i proverbi, gli
indovinelli, i modi di dire idiomatici, le barzellette, e persino le
canzonette di musica leggera o gli slogan pubblicitari), non essendo
altro che delle replicazioni di moduli fissi, appresi (quelli di origine
popolare, durante linfanzia; oppure propagati attraverso letere dalla
radio e dalla TV per quelli che appartengono alla cultura di massa ) e
comunque memorizzati per poter venire riprodotti e passati ad altri, in
modo che la loro catena vitale non venga ad interrompersi o non
subisca alterazioni significative, somigliano (ovviamente in senso
metaforico) ai geni del DNA: le unit minime dalle quali risulta
formato il patrimonio costitutivo degli esseri viventi, anchesse
riproducentesi per successive replicazioni e impegnate a garantirsi una
perenne trasmigrazione, detta appunto genetica, da individuo a
individuo, rinnovandosi impercettibilmente ad ogni passaggio, pur
mantenendosi tendenzialmente inalterate.
38. In virt di questa sorprendente analogia di comportamento tra i
geni e le singole unit informative tipiche del folklore o dellattuale
cultura di massa, il biologo inglese Richard Dawkins ha coniato per tali
unit la definizione di MEME. Un neologismo di sua invenzione che
proviene dalla fusione delliniziale della parola memoria (memory)
con la parte finale del termine scientifico GENE. I memi, dice
Dawkins, lottano accanitamente ogni giorno al fine di garantirsi la
sopravvivenza, riproducendosi di continuo ovunque trovino terreno

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fertile alla loro proliferazione, tentando senza sosta, pena la loro


distruzione, di passare da una mente umana allaltra, radicandosi, per
un tempo pi o meno lungo, nelle abitudini mentali e comportamentali
dintere popolazioni. Le preghiere orali, dallAve Maria o il Padre Nostro
a quelle composte in dialetto, costituiscono una specie particolare di
Memi. Oggigiorno, con i progressi dellalfabetismo, il conseguente
regresso nelluso linguistico del vernacolo, la secolarizzazione della
societ, da un lato, e il pressoch totale disciplinamento da parte delle
autorit ecclesiastiche delle pratiche religiose condotte dai credenti,
dallaltro, il meme delle urasin popolari sembra avere ormai
interrotto la propria replicazione mediante loralit{. Esso ha trovato i
suoi ultimi cultori tra i folkloristi e i collezionisti di reperti culturallinguistici che versano in una condizione di generale abbandono, poich
i vecchi memi sono stati rimpiazzati dallondata dei nuovi, sempre pi
invadenti, e darwinianamente ritenuti pi adatti alla replicazione nel
mondo odierno.
39. Per fortuna c ancora chi raccoglie, mette da parte ed etichetta con
cura i memi (semivivi, cio non ancora museificati) che provengono
dal folclore, distinguendoli per generi, e cercando di restituirli
alloralit{ ogni volta che se ne presenti loccasione. Ma oramai tutte
queste creazioni orali fondate sulla replicazione non possono fare altro
che vivere di una vita artificiale, resa possibile solo grazie alla sua
concorrente: scrittura, n esse sono pi in grado di assolvere alle
originarie, complesse funzioni che un tempo le avevano tenute
saldamente legate alle attivit quotidiane del mondo contadino. In
questa mutazione che le ha colpite, le vecchie urasin conservano
ununica funzione - che in origine, tra laltro, non era stata neppure la
pi importante per loro la funzione estetica.
40.A dimostrazione di quanto detto basterebbe citarne una, tra le tante, di
queste vecchie urasin:
A lt, a lt am an v/ la me nima latach an ci/ gnes cham la
scurd/ an vres che i suragh/ i am la rughe!
41. Salvato in extremis dalla sua estinzione, questo meme popolare ha
perso ogni contatto con il suo contesto dorigine, proveniente dal
mondo contadino, e non assolve neanche pi alla sua primitiva
funzione protettiva. Quel che rimane viva e vegeta oggi, per noi,
unicamente la suggestione poetica della dialettica astratto-concreto che
mette su uno stesso piano 1) la dimensione immateriale, sublime e

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metafisica, dellanima umana che si stacca durante il sonno dal corpo


dellorante e 2) le immagini, al contrario, basse, concrete, miserande e
corporee, del chiodo infisso nel muro, al quale va appesa, come un capo
di vestiario, lanima prima di andare a letto, rischiando poi - al risveglio
- di dimenticarsela l, e di lasciarla in preda alla voracit dei topi che
potrebbero andare a rosicchiarla, approfittando della distrazione
delluomo.
Dimostrazione palese di una visione onirica e quasi sciamanica della
preghiera, che un anonimo poeta popolare ci ha lasciato in eredit, da
contemplare.
Testo letto a Mantova, l 11 aprile 2014,
presso lAccademia Nazionale Virgiliana

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