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mario baroni

In copertina
Rembrandt, "Betsabea".
per la medicina contemporana il dipinto riveste
un elevato interesse storico clinico.
La macchia scura del seno sinistro di Betzabea
il primo esempio di rappresentazione pittorica
del carcinoma mammario.

mario baroni

Introduzione

Anche se vivi indietro nel tempo, molto lontano, da toglierti dalle


spalle il mantello degli anni e le rughe dalla tua pelle o nel futuro
infinito dove si perdono le dimensioni dello spazio e del tempo non
potrai dimenticare le emozioni vissute.
Non potrai non accarezzare quelle esperienze: bene prezioso che
non devi rivelare agli altri perch fanno parte della tua storia intima
e sono la sola compagnia nella tua solitudine.
Non potrai riviverle, gli Dei non lo concedono.
La storia non si ripete perch tutto scorre.
Dietro quellangolo che tu credi di conoscere esiste unaltra realt.
Il soffio della vita ti passa vicino pi di una volta ma mai allo stesso
modo.
Anche i colori e gli spazi si modificano nel tempo.
La loro realt cambia con il mutare della nostra percezione.
Il grande spazio e i colori vivaci di un tempo, necessit di vita del
bambino, si riducono e si attenuano con il ridursi della prospettiva
di vita.
Lassociazione delle idee e le circostanze della vita ti ricordano che le emozioni sono doni della vita che ti aiutano a ricordare.
Le emozioni non hanno necessit di supporto:
sono pure, incontaminate.
Sono sempre con te, per tutta la vita.

Prefazione

Sarebbe bello se in un futuro molto, molto lontano


nella casa di Giacomo e Chiara qualcuno, magari distrattamente,
sfogliasse questo manoscritto dallo strano titolo e con curiosit
domandasse: chi era Mario Baroni?
E che la risposta fosse: era un medico di questo mondo, era nostro nonno.
A loro dedico queste poche righe perch sia sempre chiaro che
non solo un dovere voler bene al mondo, anche una nostra
necessit: nel momento in cui noi doniamo miglioriamo noi stessi,
migliora la nostra statura morale, diventiamo artefici di un futuro
migliore per tutti.
Vorrei ricordare loro che molto gratificante vedere laltro che ti
sorride, che lieto di incontrarti. una gioia sapere che qualcuno
si preoccupa di te. Il mondo ci parla di felicit ma in realt noi abbiamo solo la speranza di essere felici.
Le certezze sono veramente poche: la famiglia, lo studio e il lavoro onesto. L amore leterno bilancio del donare e del ricevere.
Sarebbe bello se in un futuro molto, molto prossimo
Giacomo e Chiara avessero un mondo migliore.

Ricordi dinfanzia

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Quella di ieri stata uninfanzia molto triste. Molti vorrebbero rivivere la loro, io vorrei dimenticare per sempre la mia. Non perch
sia stata molto povera, ma perch quasi sempre vissuta senza
sorrisi, senza il conforto di un dialogo.
Se fossi stato in grado di chiedere il perch probabilmente la risposta sarebbe stata che il tempo era poco, che le necessit
erano molte e sicuramente pi importanti del dialogo.
Non cera il tempo.
Da piccolo avevo la sensazione che le brutte notizie non fossero
pi novit. Erano la regola. Ci si abituava.
Alcuni ricordi sono ancora molto precisi:
Detestavo andare allasilo; vivevo quellesperienza come una grave punizione.
Non cera giorno che non piangessi strada facendo.
Il massimo della mia contestazione fu quando decisi di nascondermi nel pollaio delle suore che gestivano lasilo; la Superiora mi
chiese il motivo di quel comportamento.
Le risposi che non volevo dormire a comando ad una certa ora
del pomeriggio: si perch, dopo il pranzo, tutti i bambini dovevano
sedersi vicino al proprio tavolino, appoggiarvi le braccia e chinare
su di esse il capo: era il momento del sonno che avrebbe fatto
bene al corpo ed allo spirito.
Il clima familiare era quello di Ortodossia Religiosa.
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Alla domenica, molto presto mamma e pap si recavano alla S.Messa;


alle 10 era il turno dei tre fratelli.
A sera si recitava il rosario.
Un giorno portai a casa dallasilo una palla rossa.
Non era mia.
Avevo giocato molto con quella palla durante il giorno.
Desideravo soltanto dormire una notte con quella palla rossa.
Lavrei restituita il giorno dopo. Qualcuno, e mi addolora molto
pensare chi fu, mi disse che avevo rubato e che, se fossi morto
in quella notte, sarei andato allinferno. Volevo solo dormire una
notte con quella palla rossa. Vivere realizzando un sogno.
I desideri diventavano sogni. Nel tempo anche i sogni perdevano i
loro contorni e lasciavano il posto ad altri desideri impossibili.
La memoria di un bimbo, ancorch vivace, era sempre cancellata
dal tempo, troppo lungo, sempre uguale. Anche un bimbo riusciva
a dimenticare. Mi confortava molto osservare laiuto che mio padre e mia madre si scambiavano.
Fino a tarda notte mio padre stirava le cose facili con ferri da
stiro che si scaldavano sul gas; mia madre, seduta vicino a lui,
attendeva il suo turno per quelle difficili.
Non ho mai chiesto di chi fossero quei panni stirati.
Ora non ho pi nessuno cui chiedere.
Ricordo un giorno di avere accompagnato Giorgio, mio fratello
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maggiore. Aveva undici anni pi di me. Avrebbe dovuto parlare


con una persona. Andammo in bicicletta.
Il mio compito era quello di curare la bicicletta quando lui si fosse
assentato. Cera molta neve. Salii in canna. Andammo verso la
periferia della citt. Arrivati a destinazione mi disse che sarebbe
tornato dopo pochi minuti. Trascorse pi di unora.
Limbrunire, il freddo, lisolamento, la paura: ero terrorizzato.
Una sola considerazione mi consolava: Non potevo essere stato
abbandonato: possedevo un suo patrimonio: custodivo la sua bicicletta. Erano smarrimenti fugaci che talvolta affioravano ma che
non lasciavano il segno perch nella povert cera comunque il
calore della famiglia.
Oggi, da vecchio, mi addolora pensare che un bimbo, qualunque
bimbo, futuro del mondo, abbia potuto considerarsi di cosi poco
valore. Il mondo non proprio migliorato. Oggi,da vecchio, vedo
immagini di bambini denutriti, dimenticati da tutti, moribondi per
malattia, per fame; agganciati al collo di una madre che a fatica
sbarca dopo aver tragicamente attraversato un mare. Se sopravviveranno che giudizio avranno di noi? E poi ci fu la guerra.
Quando scoppio avevo sette anni. Ricordo lurlo delle sirene che
squarciavano la notte. La cantina della casa era il nostro rifugio.
Mia madre aveva sempre con s una piccolissima valigetta, di

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color cuoio chiaro, che conteneva il nulla del nostro patrimonio


famigliare. Mio padre mor nel marzo del 42. In quegli anni non
esisteva la liquidazione al termine del rapporto di lavoro: esisteva
solo la retribuzione degli ultimi giorni di lavoro e il grande vuoto che
la persona lasciava.
Non esistevano pensioni, di nessun tipo. Esistevano langoscia
del domani e la fragilit del futuro.
In quegli anni mio fratello maggiore fu chiamato alle armi. Fu fatto
prigioniero e trasportato in un campo di concentramento in Germania; per molti mesi non ci furono sue notizie.
Laltro fratello, Uberto, detto Giugi, si ammal per una grave forma
di tifo addominale. Mia madre era veramente sola.
Ricordo che quando ci si sedeva a tavola mi diceva di non avere
appetito perch aveva gi mangiato e voleva che mangiassi anche la sua porzione. Tanto, tanto tempo dopo capii il perch.
Una zia materna, benestante, che viveva a Modena in una casa di
propriet, convinse mia madre al mio trasferimento da lei, in quella citt, dove avrei avuto la possibilit di una nutrizione migliore
lontano dalle paure della guerra.
Fu sicuramente un periodo di agiatezza ma struggente per la lontananza della mamma. Si comunicava per lettera perch a Milano
non avevamo il telefono. Quando mia madre veniva a trovarmi

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trascorrevo delle notti insonni. Stavo per ore seduto sul bordo del
suo letto: temevo che non respirasse, che morisse. Non le raccontai mai queste mie paure.
Il mio nucleo famigliare era composto da mio padre, da mia madre
e da due fratelli.

Mio padre.

Ho dei ricordi molto lontani. La mamma mi raccont che pap era


stato maestro elementare. Mi disse che fu un bravo cantante lirico. Era solito frequentare i salotti bene di Verona, sua citt natale.
Debutt allArena di Verona. Posseggo ancora una collezione di
ritagli di giornali che ricordano i suoi successi.
Dopo lesperienza lirica ebbe un buon lavoro di rappresentanza
presso una famosa pellicceria di Pavia. Fu un periodo di grande
benessere. In seguito da Pavia si trasfer a Milano, con residenza
di propriet, in una bella villa con giardino. I miei fratelli nacquero
in quel periodo felice.
Agli inizi degli anni 30 tutto fin perch mio padre si fece carico dei
debiti di un suo fratello. Avall le sue cambiali. La villa fu venduta; i
debiti degli altri furono pagati; trov un nuovo modesto, suo ultimo
lavoro. Questo accadde un anno prima della mia nascita.
Pi volte mi sono sforzato di cercare nella mia memoria cari ricor17

di, con scarsi risultati.


E tutto molto nebuloso. Ho solo tre immagini molto nitide. Sono
fotografie scolpite nel tempo. Momenti vissuti da solo con lui:
quello del termosifone, dellorologio, del tavolo della terrazza.
Il primo una fotografia a me molto cara: quella di un signore
molto alto, magro, di una eleganza sobria, bello nei lineamenti
pronunciati, dai capelli grigi, con una larga ciocca di capelli
bianchissimi che nasceva sopra la fronte, a sinistra, e rimaneva
intatta per tutta la lunghezza dei capelli.
Gli occhi di colore grigio chiaro, molto espressivi, illuminavano il
suo viso. Indossava un abito scuro.
Le mani, dalle lunghe dita, erano dietro la schiena, appoggiate
al calorifero. Si staccavano ritmicamente da esso quando erano
sature di calore. Il freddo, diceva mamma, sempre stato il suo
nemico. La vera della sua mano sinistra dava sul calorifero dei
rintocchi ritmici e molto lontani luno dallaltro.
Mi piace ricordarlo cos perch da quella posizione spesso mi
chiamava e mi raccontava tante cose. Mi rendeva partecipe.
Alla fine mi faceva delle domande. Ricordo, ero molto piccolo, che
una volta mi chiese se fosse pi pesante un quintale di ferro o un
quintale di fieno. Risposi che un quintale era un quintale.
Mi fece un grande sorriso. Se le risposte erano esatte il premio

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era lultimo numero del corriere dei piccoli. Questo accadde anche la sera prima di quel maledetto 17 marzo quando, al mattino,
lurlo lacerante di mia madre annunci la sua scomparsa.
Quel caro signore lo vedevo spesso, in piedi sopra una sedia,
a caricare un grande orologio a muro appeso sopra un arco di
una parete. Nella ricarica doveva recuperare i rintocchi perduti fin
quando il loro numero corrispondeva allora di quel momento.
I rintocchi erano solenni, percorrevano tutta la casa; di giorno non
creavano premura ma stimolavano alla vita laboriosa; di notte distribuivano serenit donavano pace e garantivano il giorno successivo. Niente come un tono musicale ci permette di riconoscere
noi stessi. E una catarsi necessaria.
Da un giorno di marzo del 42 tacque per sempre. Aveva ancora
un mondo di cose da raccontarmi.
Le cose importanti non sono cose, sono necessit senza le quali
sempre difficile proseguire. Nella vita mi mancato molto il padre.
ll fratello maggiore era pi anziano di me di molti anni, ma ancora
troppo giovane per svolgere funzioni di padre. La madre, laltro
pilastro della famiglia, in nessun modo avrebbe potuto sdoppiare
s stessa per ricoprire un ruolo non proprio.
E il gioco delle parti che si ripete da quando nato il mondo.
Per questo credo che il mondo vero sia sempre formato da coppie
dove luno diverso dallaltra.
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Un ricordo molto caro, forse il pi sereno, quello del tavolo della terrazza. Era un semplice tavolo di ferro, rotondo da giardino,
che mio padre compr ai tempi della villa in Milano.
Un ricordo per me molto caro perch fu acquistato da mio padre
forse nel periodo pi felice della sua vita; un ricordo per me molto
sereno perch mi ricorda il suo sorriso, espressione molto rara
nei pochi ricordi. Quel tavolo rotondo, non molto grande, aveva al
centro un foro per l'ombrellone.
La superficie, nella sua parte periferica, terminava con un bordo di
pochi centimetri, rivolto verso il basso.
Sulla superficie inferiore, in prossimit del foro, a circa una ventina
di centimetri da esso, nascevano le quattro gambe. Ricordo che
la loro era una struttura a "u", a concavit verso l'interno, tenute
insieme da due fascette, una in alto e l'altra in basso.
Subito al di sotto dalla fascetta inferiore le gambe si allontanavano
a "zampa di elefante".
All'estremit assumevano una struttura appiattita, a foglia, per definire un largo e sicuro poligono di appoggio.
La parte interna della fascetta inferiore aveva quattro raggi che
facevano da supporto ad un anello: il fermo dell'ombrellone.
Il tutto concedeva un risultato molto armonico di proporzioni e di
volumi. Sembrava che ogni parte della struttura si rallegrasse con

laltra per la collaborazione e per il risultato raggiunto.


Questo tavolo dinverno assumeva il ruolo del gioco dazzardo
tra me e mio padre.
Dopo le nevicate assumeva le sembianze di un enorme panettone
ombelicato al centro per il suo foro centrale.
Il gioco consisteva nellindovinare i centimetri della neve caduta.
Se sbagliavo, in eccesso o in difetto, cercavo sempre di giustificarmi prendendo in considerazione la minima inclinazione del
tavolo o la irregolarit del pavimento.
Quel tavolo fu anche spettatore di altri momenti molto, molto importanti.
Ricordo che una sera mio padre era seduto con entrambi i gomiti
appoggiati sul tavolo, con le mani reggeva il suo viso: guardava il cielo. Non chiesi quali considerazioni stesse facendo.
Forse guardava le stelle, forse premeditava il suo prossimo lungo
viaggio. Mi avvicinai, capii di avere interrotto un suo pensiero.
Mi sorrise, mi prese sulle sue ginocchia. Mi sentii molto sicuro e
quando ci si sente sicuri pi facile parlare, porre delle domande.
Gli chiesi se tutte quelle luci in cielo fossero tutte stelle. Mi rispose
che quelle tremolanti erano stelle e che, quelle che non lo erano,
pianeti. Alla mia domanda perch fossero tremolanti mi rispose
parlando di rotazione terrestre, di vortici, di gas. Non capivo bene
quello che mi stava dicendo ma adoravo ascoltarlo.
Mi fece vedere la stella polare. Mi disse che rappresentava un
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punto di riferimento importantissimo per chi naviga in mare perch


quella stella indica sempre il nord. Non capivo perch nelluniverso tutto fosse in movimento e solo quella stella fosse ferma. Mi
fece un esempio che mi convinse: immagina, mi disse di avere in
mano un ombrello aperto sulla tua testa.
La stoffa dellombrello il cielo stellato; la stella polare si trova sul
puntale dellombrello, la terra gira intorno al suo asse che nel caso
specifico il legno dellombrello: se tu guardi in alto vedrai tutte le
stelle che ruotano; quella polare sempre l, dove c il puntale.
Riuscii a capire.
Ricordo che feci lultima domanda sulla possibilit che qualche
stella potesse cadere. Mio padre mi tranquillizz. Mi disse che le
stelle avevano fra loro tanti fili di sostegno e che per questa ragione la mia preoccupazione non aveva motivo di esistere.
Molti, molti anni dopo sentii parlare di forza di gravit.
Per me quel tavolo non era pi un punto dincontro di persone, era
un grande occhio puntato verso il cielo.
Era un potente telescopio che scrutava luniverso.
Era un mezzo su cui salire; un trampolino di lancio per raggiungere quei fili; per aggrapparmi ad essi; per raggiungere, stella dopo
stella, quella giusta: il Paradiso che lui sognava. Per incontrarlo
ancora. Per parlare con ancora lui. Quei fili sono il pensiero.

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Il pensiero corre verso linfinito. Non so cosa sia il pensiero, quando nasca, dove nasca, quando finisce. Non so se il pensiero sia
legato allesperienza vissuta.
Se cos fosse il neonato non pensa e lo smemorato perderebbe
la facolt di pensare. Non so perch il pensiero nasca n dove
nasca, mi sembra istintivo e senza una morale: pu essere buono,
pu essere cattivo.
Forse quando si dorme si pensa.
Sono confuso. Non so dove finisca il pensiero e dove inizi lidea.
So che il pensiero condiziona il futuro. Per alcuni il pensiero la
vita. Cartesio: cogito ergo sum.
Una cosa assolutamente certa: il pensiero muore con noi.
Non ho pi quellorologio: mi rattrista pensare di non sapere dove
sia finito.
Non ho pi quel tavolo, quella base spaziale.
Ho solo pochi ricordi.

Mia madre

Conservo qualche fotografia dei primi anni del suo matrimonio.


Una bella signora.
La zia materna, di pochi anni pi giovane di mia madre, di tanto in
tanto mi raccontava della sua bellezza e della sua giovent.
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Mi confidava che spesso riceveva in dono cioccolatini perch


consegnasse a mia madre sospirose "lettere di presentazione". Ci
teneva anche precisare che le sgridate che di regola riceveva da
mia madre erano per lei meno importanti di quanto non fosse il
piacere della gola.
Moglie e madre dai principi estremamente rigidi.
Donna intelligente, di grande personalit, estremamente laboriosa,
fervente credente e praticante.
Di grande affidamento famigliare, finalizzata allo studio dei figli e
alla loro formazione religiosa.
Molto generosa, particolarmente permalosa, non dotata di grande
sensibilit. Una donna che ha sofferto molto per le preoccupazioni
che la vita le ha spesso riservato, per le fatiche vissute.
Nel 1923 nacque il suo secondo figlio. Pochi mesi dopo la nascita
si ammal di poliomielite.
Fece un Voto: se fosse guarito sarebbe andata tutti i giorni alla
messa e si sarebbe comunicata.
La malattia si concluse con un accorciamento e con una ipotrofia
muscolare di un arto inferiore.
Fece fede a quel Voto.
Molti, molti anni dopo, stavo preparando lesame di maturit liceale, mia madre per una caduta accidentale si procur una frattura

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alla gamba. Non disse nulla.


And alla messa, si comunic. Rifer: con grande fatica.
I miei fratelli, lavorando di giorno e studiando di notte si laurearono
in Scienze Economiche e Commerciali allUniversit Bocconi di Milalano. Alla mia laurea la mamma volle far stampare una Partecipazione di Laurea. Personalmente non ero daccordo ma accettai la
sua decisione. Lannuncio al mondo diceva:
Cesira Ferrari vedova Baroni, con i figli dottor Giorgio e dottor
Uberto, annuncia con grande gioia la Laurea in Medicina e Chirurgia del figlio Mario.
Cera tutto in quellannuncio: la sua fatica, la solitudine della vedova, le sue rinunce,il suo legittimo orgoglio.
Era lannuncio della sua vittoria sulle difficolt della vita, della sua
determinazione, della sua generosit, del suo coraggio.
Mor molto anziana per marasma senile.

I miei fratelli

Giorgio era il fratello maggiore. Quando il padre mor era militare.


Al suo rientro in famiglia sent molto il dovere del ruolo del capostipite. Per svolgerlo occorrono esperienze che lui non poteva
avere. Non sufficiente la rigorosa applicazione delle regole:

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estremamente importante capire, con molto buon senso, quale


tipo di soluzione dare a quel tipo di problema.
La non corretta soluzione delle problematiche familiari porta ad errori, per difetto o per eccesso, che vanno a scapito della coesione
famigliare. Quando non esiste la capacit di stabilire una sintonia,
per mancanza di esperienza o di sensibilit, si crea un corto circuito che costruisce distanze.
Credo che questa fosse la vera ragione per la quale tra me e Giorgio non mai esistita quella lunghezza donda necessaria per un
dialogo senza parole.
Laltro fratello, Uberto, era invece il fratello del cuore.
Vivace, con grande capacit comunicativa, di grandissima sensibilit, molto generoso, per certi versi un po trasgressivo; era
sufficiente uno sguardo per capire quello che laltro voleva sentirsi
dire. Quando mi disse che per ragioni di lavoro si sarebbe trasferito in Brasile piansi per lo sconforto.
Andai molte volte da lui, da solo, con mia moglie, con i figli. Sempre viaggi indimenticabili.
Con lui abbiamo conosciuto il vero Brasile.
Un giorno mi parl di un suo problema medico.
Gli chiesi di inviarmi tramite Alitalia un campione di urine.
Feci la diagnosi.

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Volai in Brasile, fui in sala operatoria.


Eseguito lintervento le condizioni generali miglioravano di giorno
in giorno.
Ritornai in Italia.
Pochi anni dopo i medici gli prospettarono un tumore del rene.
Gli esami che mi invi non mi convinsero.
Ritornai in Brasile.
Chiesi al chirurgo la possibilit di fare un esame istologico intraoperatorio prima di procedere alla demolizione chirurgica dellorgano: accett. Lesame estemporaneo non evidenzi presenza di
tumore.
Il rene non fu asportato.
Ci fu una grande festa in Brasile.
Non molti anni fa un nuovo grave problema tumorale lo costrinse
a venire in Italia per la chemioterapia. Alla fine lo accompagnai
allaeroporto per il suo ritorna a casa.
Sapevo che sarebbe stato il nostro ultimo abbraccio.
Nessuna parola. Solo uno sguardo. Pensai che se gli insegnamenti religiosi di nostra madre fossero stati veri quello sguardo
avrebbe avuto il significato di un arrivederci. Attesi in macchina
che il suo aereo partisse.
Mi vol sopra la testa.
Vol nel cielo.
Era la sua ultima prova generale.

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Pensai a quel tavolo del terrazzo, a quel potente telescopio che


scrutava luniverso, a quelle parole che nostro padre mi diceva, a
quei fili che sostengono le stelle, a quel mio disperato desiderio di
aggrapparmi ad essi.
Adesso, stella dopo stella, avrei raggiunto quella giusta.
In quella, in quel Paradiso, li avrei incontrati tutti: mio Padre, mia
Madre, i miei Fratelli.
Da quel tavolo della terrazza, da quei fili legati al pensiero, dopo
quella lunga scalata ci saremmo di nuovo tutti riuniti.
Ci saremmo riabbracciati.
Forse, come siamo abituati sulla terra, gli ultimi arrivati avrebbero
cercato di raccontare le ultime novt terrestri pensando che, i primi
arrivati non ne fossero stati a conoscenza.
Forse in quella stella, dall'Aldil, il tutto noto a tutti.
Nel momento in cui si arriva, in quella dimensione infinita, il nostro
codice genetico da particolare diventa universale; il finito diventa
infinito.
Tornato a casa qualcuno mi domand: come mai cosi tardi,
successo qualcosa?
Si era crollato un mondo.

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E poi ci fu la guerra.
SPAZIO
La guerra:
SPAZI O
Alle ore 18 del 10 giugno 1940 gli altoparlanti disseminati per la citt
trasmisero la dichiarazione di guerra dell'Italia all'Inghilterra e alla
Francia.
..."L'ora del destino era scoccata..."
Avevo otto anni.
La risposta degli aerei nemici non si fece attendere. Comparvero
nel cielo di Milano non molti giorni dopo la dichiarazione di guerra.
SPAZIO
La grande strage la seminarono nel 1942.
SPAZIO
Mio padre guardava il tutto dall'Alto.
Il fratello maggiore, Giorgio, era in guerra.
L'altro fratello, Giugi, per la sua infermit, era militare con "servizio
sedentario".
Alla sera era sempre con noi.
SPAZIO
I bombardamenti.
SPAZIO
L'urlo delle sirene squarciava la notte.
Erano tre, molto lunghi, separati l'uno dall'altro da un breve intervallo.
Annunciavano la morte.
Entravano nel nostro corpo e lo facevano tremare.

Gli uomini, che non si sono mai voluti bene, non si sa per quale
ragione avevano deciso di uccidere altri uomini.
La tolleranza, il dialogo, l'amore che i nostri vecchi avevano insegnato erano stati sovvertiti da altri concetti.
Era sufficiente che un codice genetico, un colore della pelle, una
razza di origine non fossero graditi al potere politico perch quella
incolpevole realt facesse precipitare un individuo in un percorso
di sterminio umano.
Il significato del futuro che faceva parte della nostra cultura era
scomparso.
SPAZIO
I miei ricordi da bambino sono scolpiti nella pietra.
SPAZIO
I grandi sterminatori arrivarono nell'autunno del 1942.
La mamma, con la sua valigetta di color cuoio chiaro che conteneva il nulla del nostro avere, organizzava l'emergenza.
SPAZIO
Quel giorno, il 24 ottobre 1942 di quell'anno, alle sei del pomeriggio,
Milano sub il pi grave bombardamento incendiario della sua storia.
Dur un'ora.
Furono sganciate solo bombe incendiarie.
Milano fu trasformata in un rogo.
Era illuminata a giorno.

A mezzanotte, vi fu un secondo bombardamento, questa volta dirompente, su una citt prfettamente illuminata.
Le case esplosero.
Le loro strutture si trasformarono in una pioggia di cemento.
Le finestre e i portoni sventrati delle case vomitavano sulla strada mattoni
e oggetti che caraterizzavano la vita di tutti i giorni di quei locali distrutti.
Molte persone non furono mai pi trovate.
Polverizzate come le loro case.
Talvolta era difficile distinguere un vivo da un morto.
Le montagne di macerie avevano trasformato la citt.
La retorica del fascismo si sgretolava sotto le bombe.
Qualche volta per la premura e per la paura non si chiudeva la porta di
casa.
Tutti scendevamo a piedi. Noi, dall'ultimo piano, il quinto, avevamo sempre davanti a noi una fiumana di persone.
Alcune di esse, per le loro difficolt fisiche, procedevano lentamente.
Il "capo fabbricato", il signor Bardone, cercava di aiutare le persone in
difficolt.
Si correva come topi, in fila indina, nei budelli delle cantine in cerca di
protezione.

Tutto era puntellato con lunghi pali; vicino alle pareti c'erano delle cassapanche di legno chiaro.
La portinaia, signora Letizia, ripeteva ritmicamente in dialetto milanese: "in
adre a bumbard Milan". Spesso attirava la nostra attenzione sui rumori che
provenivano dall'esterno.
Si sentiva il fragore delle bombe che da lontano lentamente si avvicinava.
Si avvicinava sempre di pi.
Adesso si sentiva anche il rombo dei motori degli aerei.
Quando il rombo era sopra di noi. Il silenzio era assoluto.
Tutti guardavano in alto.
Chi pregava o chi in coro recitava il Rosario in quel momento interrompeva
la preghiera.
Era il momento in cui tutto poteva improvvisamente finire.
Chi fosse morto nei minuti successivi non avrebbe nemmeno avuto la
possibilitdi salire in Paradiso.
Il cielo era sbarrato da quelle grandi ali dei draghi volanti che seminavano
morte.
L'enorme fragore che adesso faceva tremare i muri della nostra casa era
la realt di distruzioni molto vicine a noi, per pi in l di noi, secondo
quell'ipotetico percorso degli aerei costruito dalla nostra immaginazione.

La ripresa della recitazione del Rosario con voce pi chiara, con voce pi
alta, con voce pi sicura era un segnale di cessato pericolo.
Esistono tante "Ave Maria": quelle recitate con un filo di voce, legate alla
paura del dolore o della morte e quelle pronunciate con voce pi sicura,
ricche di riconoscenza, associate al fervore e al ringraziamento per lo
scampato pericolo.
Il marito della signora Letizia, il signor Amos, dava spesso prova di coraggio: usciva dal rifugio per vedere cosa fosse accaduto.
Al suo ritorno diceva sempre la stessa frase: "brusa tuscoss": tutto sta
bruciando.
Non capivo.
Ero molto confuso.
Guardavo la mamma. Quando vedeva il mio viso rigato di lacrime mi
ripeteva: "a noi non succeder mai nulla".
Quelle parole per me erano una garanzia.
Garanzia che derivava da cosa? Dalla sua fede in Dio? Dal fatto che
stavamo gi soffrendo molto e non avremmo potuto soffrire di pi oppure
dovuta a quella preveggenza che sole poche madri hanno e sanno
trasmettere una particolare serenit?
Mamma era sempre in preghiera. Mio fratello, sempre avvolto da una
coperta, tremava come tremano in autunno le foglie prima di cadere.

Eravamo in preda alla follia degli uomini.


In quella notte furono distrutte 440 case.
E' ipossibile immaginare la ferocia dell'uomo. Non ha limiti.
E' impossibile capire quanto l'uomo sia capace di subire.
SPAZIO
L'animale uccide per sopravvivere.
L'uomo per pura follia.
SPAZIO
Ricordo l'odore acre dell'aria polverosa che si respirava alla fine del
bombardamento.
Ricordo l'ansia di vedere i danni subiti dalle case.
Ricordo la consolazione che si viveva risalendo le rumorose scale.
Noi tre ancora insieme.
I "bollettini radio" trasmessi a sera, talvolta con toni trionfalistici, non
facevano dimenticare le angoscie della guerra.
Tutto fu razionato.
La tessera identificava la famiglia. I bambini e i vecchi avevano diritto
a qualche cosa in pi.
Il mio compito quotidiano era quello di fare code davanti ai negozi per
avere quel poco che veniva distribuito.
Molti, molti anni dopo capii perch mamma, all'ora dei pasti non aveva mai
fame; l'ultimo mescolo di minestra di verdure non era mai per lei.

Capii perch non aveva mai sete quando per varie ragioni l'acqua
scarseggiava.
Oggi mi domando quanto passa soffrire una madre quando ha poco da
offrire ai figli e quando non ha possibilit economiche per affrontare un
fiorente mercato nero.
Ricordo che qualcuno pag mille lire un chilogrammo di sale da cucina.
Non c'era carbone. Ci si riscaldava con stufette alimentate con palle di
carta bagnata, pressate e asciugate al sole.
Nel 1943, per fotunate circostanze, ci rifugiammo in un paesino nelle
vicinanze della citt .
Fu un anno tragico per Milano.
I dati ufficiali: nella notte fra il 13 e il 14 di agosto 1370 quadrimotori
alleati sganciarono sulla citt 4000 tonnellate di bombe e 400.000
spezzoni incendiari.
L'effetto fu devastante: 1600 morti, 3600 feriti, mezzo milione di persone senza tetto.
Anche la nostra casa fu colpita.
Per nostra fortuna una bomba rimase inesplosa tra la terrazza, che
era il tetto della casa, ed il nostro appartamento sottostante.
Ero presente quando informarono mia madre dell'accaduto; la sentii dire
sottovoce: grazie Carlo.

Mio padre si chiamava: Carlo Alberto Maria Baroni.


Rientrammo alla fine del 1943.
Milano era una citt fantasma.
Non c'era pi l'angoscia dei bombardamenti.
C'era il terrore della guerra civile.
I militari tedeschi erano allo sbando. I partigiani allo scoperto.
In viale Abruzzi, a poche centinaia di metri da casa mia, furono fucilati operai e prigionieri politici per rappresaglia ad un'attentato a un
camion di militari tedeschi.
La giustizia sommaria.
La confusione totale.
Le rivendicazioni personali trasformate in rivendicazioni politiche.
Una mattina mio fratello mi chiese di andare dal cartolaio, all'angolo
della nostra via per acquistare un rotolino di carta gommata.
Quando giunsi all'angolo della via, vidi fermarsi una macchina nera.
Scesero due persone che strattonavano una terza con le mani legate.
Raggiunsero l'aiuola della piazza che era a pochi passi.
Spararono alla nuca di quell'uomo dalle mani legate.
Rimasi impietrito.
Vidi, vicino a quell'uomo appena ucciso, altri cadaveri.

Raccolsi il residuo di forze che avevo e urlando corsi a casa.


Non si poteva andare sulla terrazza di casa. Sui tetti c'erano persone che
sparavano.
In quel periodo mio fratello, in casa, teneva l'amministrazione di una piccola
officina di via Clitumno: "la S.O.M.- Societ Officine Meccaniche".
Il proprietario ci permise, con nostra gioia, di andare tutti i giorni, a mezzogiorno, a prendere tre gavette di minestra.
Una vera fortuna: la mensa degli operai.
Anche noi avevamo il nostro pranzo.
Una domenica mattina, il 29 aprile del '45, ero in casa del mio amico
Angelo Binaghi.
Abitava al piano rialzato di un edificio di fronte al mio.
Mentre parlavamo sentimmo strani rumori che provenivano dalla strada.
Ci affacciammo alla finestra; sentimmo chiaramente delle persone
urlare: "hanno portato il cadavere del Duce in piazzale Loreto"!
Angelo ed io ci guardammo; fu uno sguardo d'intesa.
Sapevo che se avessi chiesto a mamma il permesso di andare
sicuramente non lo avrei ottenuto.
La curiosit ebbe il sopravvento.
Di corsa raggingemmo quella piazza

Non c'era ancora tantissima gente.


Ricordo che, piccolo com'ero, progredivo fra la gente facendomi spazio
fra le braccia delle persone.
Guadagnai la prima fila.
Era la prima volta in vita mia che vedevo un morto da vicino.
Il cadavere di Mussolini giaceva in terra.
Indossava una giubba e dei pantaloni militari.
Era scalzo.
Il suo viso era tumefatto.
Un occhio era aperto
Il destro.
Vitreo.
Vicino lui il corpo di Claretta Petacci con il capo adagiato sul torace
del Duce.
Indossava una camicia bianca e una gonna scura.
Intorno a loro altri cadaveri di gerarchi fucilati quel mattino a Milano.
Quella retorica fascista che gi si era sgretolata con le macerie delle
bombe nemiche ora mostrava tutta la sua vacuit.

La gente continuava ad arrivare.


La calca adesso era grande.
Ad un certo momento si sent un'esplosione.
La calca incominci ad ondeggiare come una enorme nuvola di storni
prima del volo migratorio.
Ondeggiava, si dilatava, si allontanava e si ricompattava nel punto di
partenza.
La massa si muoveva pericolosamente a piccoli passi.
Se qualcuno si fosse sentito male e fosse caduto, sarebbe stato
calpestato.
Improvvisamente la calca si apr, come si apr il mar Rosso davanti
alla mano di Mos, per permettere il passaggio ad una donna armata di
pistola.
Quella donna emise un urlo che lacer il cielo.
Si avvicin al cadavere del Duce.
Esplose su di lui cinque colpi di pistola urlando i nomi dei cinque figli
morti in guerra.
L'esasperazione, la disperazione umana non pi contenuta da gli
argini del pensiero.

Arrivarono i pompieri.
Con potenti getti d'acqua diradarono la folla.
Tutto quel mondo arretr, dalla periferia al centro, verso i confini
della piazza.
Poco pi tardi qualcuno pens malvagit.
Qualcuno url malvagit.
Qualcuno esegu con efferatezza, con ferocia disumana, con ferocia
barbarica quella malvagit.
I cadaveri furono appesi, a testa all'ingi, ad una trave del distributore
di carburante, La Standard Oil.
SPAZIO
Abbiamo dimostrato ai nostri figli e al mondo intero il nostro grado
di civilt.
SPAZIO
Mi consola pensare alla misericordia di un uomo, al suo pensiero
misericordioso:
si tolse la cintura dai pantaloni e con quella leg la gonna di
Claretta Petacci.
SPAZIO
La misericordia quella virt che inclina l'animo umano alla piet
e al perdono degli errori del mondo.
SPAZIO
Corsi a casa con il cuore gonfio di lacrime. Piansi fra le braccia
di mia madre.
Quando ebbi un po' di respiro le raccontai.
Mi disse consolandomi: "non era una cosa da fare"

Gli Americani erano vicini.


Entrarono a Milano il 3 Maggio 1945.
Furono costruite le prime baracche in legno per i sinistrati.
Camminando per Milano capitava di vedere case quasi completamente
distrutte con qualche angolo di casa ancora intatto, magari un tavolo e un
quadro appeso alla parete.
Incominci la rinascita.
DUE SPAZI
No, quella di ieri non stata una bella infanzia.
E' stata un'infanzia molto,molto triste.
Molti vorrebbero rivivere la loro.
Io vorrei dimenticare la mia.
Per sempre.

Una lunga storia

29

Chi scrive un medico pi che ottuagenario che da ragazzino


spesso sognava.
Anche lui, come tutti gli esseri che volano, aveva due grandi ali che
gli permettevano di vincere la propria gravit, di uscire da una
infanzia povera per la situazione economica, pericolosa per le
circostanze della guerra e molto triste per la morte prematura del
padre.
Le due ali gli permettevano di entrare nel mondo dei sogni.
Una di esse era il Calcio, laltra la Medicina.
Erano molto importanti. La prima stata subito gratificante.
Le caratteristiche del giovane e circostanze di fortuna lo portarono
a traguardi per lui molto vicini a quello dei sogni.
Conoscere grandi personaggi come Peppino Meazza, essere allenato da lui, vedere il proprio nome sui giornali sportivi, leggervi
un intervista del giorno prima, essere riconosciuti per strada, il
Torneo di Viareggio, giocare allestero, lInno Nazionale, passare
dai campi sassosi delloratorio a quello di San Siro, la Scala del
calcio erano gratificazioni per lui indimenticabili.
Ad un certo momento le due ali entrarono in conflitto tra loro: il
Calcio non lasciava pi spazio allo Studio.
Le ali non erano pi armoniosamente sincronizzate.
Vinse la forza di gravit. Decise allora di planare.
Il giovane non vol pi.
Si
30 leg ad una sedia. Divenne Medico.

Non fu un percorso facile, soprattutto per le difficolt economiche.


Nei primi anni di Universit lavor di notte come spedizioniere.
Successivamente diede lezioni di matematica e fisica presso una
scuola privata di via Torino a Milano.
Superati gli esami i libri venivano venduti al mercato dellusato
della Libreria Cortina di largo Richini e contemporaneamente
venivano acquistati, a rate, quelli necessari per lesame successivo.
A fine mese i fratelli Cortina venivano in via Catalani 57, quinto
piano, a riscuotere la rata mensile.
Furono venduti, con grande rammarico, i volumi di dell Atlante di
Anatomia Umana; immagini bellissime su carta patinata lucida.
Da laureato compr alcuni di quei libri.
Non erano pi quelli delle sudate carte.

Fu gratificato anche dalla seconda ala: molti, molti anni dopo, il


14 giugno 1986, La Gazzetta dello Sport gli dedic un articolo di
cinque colonne che incorniciavano la sua fotografia.
Il titolo dellarticolo era:
Storia di un portiere mancato ma campione nella vita.
Per indossare il camice bianco rinunci alla maglia di titolare.
Il sottotitolo: Si tratta del dottor Mario Baroni che ricorda i suoi
trascorsi giovanili di estremo difensore della Pro Patria ai tempi

31

della serie A. Sarebbe dovuto subentrare a Uboldi ma scelse di


studiare medicina.
Il suo grande impegno nella lotta a favore dei malati di tumore.

Larticolo:
Milano - Meazza aveva conservato da allenatore tutte le caratteristiche che lo avevano reso celebre da attaccante.
Era particolarmente esigente con noi portieri, esasperante addirittura nellallenamento sui calci di rigore.
Piazzava la palla sul dischetto e anticipava il tiro indicando, con
lindice teso, la direzione, a destra o a sinistra, esclamando: a
dieci centimetri dal palo!
E invariabilmente la palla sinsaccava con quella angolazione.
Era una cosa impressionante, una vera lezione di fisica applicata
che aveva per componenti precisione e velocit della palla.
Meazza cercava in questo modo di farci capire perch il rigore
parato andasse attribuito allerrore del tiratore.
A rievocare questi particolari il dottor Mario Baroni, specialista in
Medicina Generale, Oncologia Clinica e Patologia Professionale
della divisione di Medicina Generale degli Istituti Clinici di Perfezionamento di Milano.
Il ricordo riemerge, fra una pausa e laltra della assistenza ai de-

32

genti della Clinica del Lavoro presso la Mangiagalli, facendosi


strada fra le nebbie di un passato che si diradano improvvisamente.
Pro Patria anni Cinquanta, serie A.
Mario Baroni portiere di belle speranze del settore giovanile
biancobl, fa la spola in treno tre volte alla settimana Milano - Busto Arsizio.
Succede - racconta - che Uboldi, il grande Uboldi, viene squalificato a vita e che Danelutti, il portiere di riserva, sinfortuna.
Fra i candidati alla sostituzione ci sono anchio un ragazzotto che nellimpostazione fa pensare a Sentimenti IV si era gi
scritto di me. La prova generale per il gran salto fissata in unamichevole a Gallarate.
Dovetti superarla se la societ mi prese in considerazione per
farmi esordire (Campionato 1955-56 ultimo in A della Pro Patria
n.d.r.) a condizione che decidessi: calcio o studio.
Posto di fronte a questa drammatica alternativa, fui costretto a fare
una scelta: per intraprendere gli studi di medicina e indossare un
giorno il camice bianco rinunciai a indossare la maglia di Uboldi.
Pi che questa rievocazione, il suo mancato passato di portiere,
il dottor Baroni ci tiene ad evidenziare un fatto del quale stato
testimone e protagonista nella sua professione di medico.

33

E la storia commovente di una ragazza trentina morta di tumore


nel 1983, Loredana Dallavalle, alla quale intitolata la Sezione
Milanese dellAssociazione Nazionale per lo studio e cura dei Tumori Solidi che ha la sede centrale a Bologna presso lospedale
Policlinico M. Malpighi.
Nel settembre del 1980, la madre di Loredana viene a Milano per
consegnare al medico che ha in cura sua figlia, il dottor Baroni
appunto, una donazione da destinare a favore di pazienti affetti
da tumore. Il gesto e la circostanza dolorosa convincono il dottor
Baroni della necessit di progettare e promuovere la creazione di
un centro per attuare iniziative benefiche di assistenza ai colpiti da
un male che diventa inesorabile solo nei suoi ultimi stadi, ma che
scoperto in tempo porta gi oggi a guarigioni in una percentuale
che supera le pi ottimistiche previsioni.
Nasce cos la sezione milanese anti tumori Loredana Dallavalle.
Lo statuto dellassociazione che costituisce la Sezione Loredana
Dallavalle, ha lo scopo di sensibilizzare la generosit dei cittadini
di Milano per raccogliere fondi da destinare al finanziamento di
programmi volti alla salvezza di vite umane.
A tale fine non bastano i contributi dei soci che hanno fondato la
sezione milanese di cui presidente lingegnere Loris Giorgi, amministratore delegato della societ Kodak.

34

Una risposta a questo fine altamente umanitario venuta nellottobre scorso dalla Scaladi Milano che ha dedicato la serata di
una prima alla Sezione milanese Loredana Dallavalle.
Gli spettatori che prendevano posto trovarono sulla poltrona una
busta con la scritta: c bisogno di tanta solidariet per aiutare chi
soffre.
Le offerte fioccarono.
Per sconfiggere il male del secolo sono necessarie Borse di studio
per medici ricercatori, istituzioni di visite periodiche gratuite per
fasce di popolazioni a rischio neoplastico, raccolte di fondi per
dotare i centri antitumorali pi sprovvisti di attrezzature adeguate.
< So - dice il dottor Baroni dopo aver sottolineato questa sua sensibilit altruistica a mo di un personaggio dei film di Frank Capra
- che anche il mondo del calcio, quel mondo che io ho vissuto di
scorcio da giovane e che continua ad affascinarmi come spettatore, si muove spesso in questa direzione prendendo iniziative
benefiche.
Rivolgo pertanto un appello alle societ perch si rendano interpreti di questo sentimento nella maniera ad esse pi congeniale >

Mario Laudano

35

36

37

La fotografia ha un commento:
il dottore Mario Baroni, come specialista in Oncologia, vive quotidianamente le sofferenze e le speranze dei malati di tumore alla
cui causa s dedicato anche dal punto di vista della promozione
di raccolta di fondi da quando la madre di una sua paziente di
Trento, Loredana Dallavalle, gli consegn una personale donazione, prima catena di solidariet che impegn il dottor Baroni nella fondazione della sezione milanese dellAssociazione Nazionale
per lo studio e la cura dei tumori solidi.
anno 90 - N138 - sabato 14 giugno 1986

Leggere quellarticolo fu come salutare un vecchio amico senza


avvertire il minimo rimpianto.
Una parentesi felice. Un gradito riconoscimento.
In verit non si mai sentito un campione, solo una persona di
buona volont.
Con grande sacrificio recuper il tempo che lo sport aveva rubato
allo studio. Si present privatista allesame di maturit liceale.
Si iscrisse alla facolt di Medicina e Chirurgia dellUniversit di Milano. Dal quarto anno di Universit sempre vissuto in ospedale.
Professionalmente nasce come Anatomo Patologo perch gli fu
detto che quella sarebbe stata unesperienza indispensabile per
38

divenire uno buon specialista in Medicina Interna.


Ebbe la fortuna di avere grandi maestri.
Suo compagno di studio e di lavoro quotidiano era Sandro Pellegrini.
Dopo sei anni di duro lavoro si salutarono.
Sandro si dedic alla Chirurgia Toracica.
Divenne il grande cardiochirurgo che tutto il mondo scientifico ricorda. Chi scrive segui la carriera Ospedaliera.
Si specializz in Medicina Interna.
Per molti anni stato Consulente Internista presso la Clinica
Mangiagalli dellUniversit di Milano per la valutazione del Rischio
Operatorio delle pazienti operate in quella Clinica.
Successivamente consegu le specializzazioni in Patologia Professinale, in Oncologia Clinica e nella Scuola Europea del Tumore
della Mammella.
Ha ottenuto a Roma lIdoneit a Primario Oncologo.
Una strana legge degli anni 80, che prevedeva la separazione
delle carriere universitarie da quelle ospedaliere, gli imped la libera docenza.
Nel 1985 lUniversit degli Studi di Milano gli confer il Titolo Accademico di Professore a Contratto Per lo svolgimento di un Corso
di Oncologia Medica nei Tumori dellapparato digerente integrativo del Corso di Clinica e Terapia Chirurgica (3e 5anno) presso la

39

scuola di Specializzazione in Chirurgia dellapparato digerente ed


Endoscopia Digestiva. Ha diretto una Struttura Oncologica presso
gli Istituti Clinici di Perfezionamento di Milano.
Da molti anni in pensione.
Soffre ancora per due profonde nostalgie:
Quella del letto del malato e la mancanza dellinsegnamento.

La prima corrisponde a quel momento magico che si vive quando,


parlando con un paziente, ci si rende conto che il suo sguardo
come un pianto senza lacrime che parla di paure, di preoccupazioni, di sensazioni che forse non hanno un nome ma esprimono
mille cose e si traducono nella necessit di parlare del proprio problema.
Era quello il momento di sedersi vicino al letto per capire al
mattino cosa fosse successo nella notte nel pensiero del malato.
Occhi da ascoltare.
In quel momento ci si rende conto che la cosa migliore che possiamo per noi stessi proprio quella di fare qualcosa per gli altri.
E il dialogo diventa una medicina ricca, dai grandi benefici, non
citata nei sacri testi, che inevitabilmente ti porta a fare tuoi i problemi degli altri. In quel momento i dubbi ti assalgono: corretta
quella valutazione che stata fatta sulle caratteristiche psicologiche del paziente? Esiste il pericolo dellautolesionismo?
40

Ricordi di tragiche esperienze vissute: quel sorriso che sembrava naturale non era di serenit ma di dramma profondo.
Problema nel problema: come dire la verit nellassoluto rispetto
dellinterlocutore?
Quando si parla con un paziente il momento in cui si capisce
se abbiamo ottenuto la sua fiducia. Se gli sforzi delloncologo
hanno ottenuto dei risultati.
Loncologo deve vivere con il paziente i successi della terapia.
Il paziente oncologico ha pi bisogno degli altri: importante condividere un p di serenit; parlare con lui del suo futuro.
Linguaggio universale.

Unaltra nostalgia ricorre frequentemente: la mancanza dellinsegnamento. Non c pi quella meravigliosa sensazione di travasare nella mente degli altri quelle faticose, sudate conquiste che
consentono, a chi le riceve, di raggiungere pi velocemente i traguardi successivi. Una lezione ricordo in particolare con tanto affetto. Non fu unesibizione di cultura, anzi fu quasi unammisione
di colpe, una revisione introspettiva di errori commessi dal mondo
medico. Il suo titolo era: analisi delle cause degli insuccessi del
trattamento antitumorale. Ebbe molti consensi.
Ricordo lultima lezione, quella di commiato. Cera unatmosfera
del tutto particolare. Il silenzio dellambiente era assoluto. Le parole costruivano concetti che rappresentavano unesperienza

41

vissuta con molto interesse e con tanto amore.


Nelle mie parole non cera lorgoglio per la conquistata verit,
cera lamore per la disperata ricerca della verit.
Quella fede, quella speranza che danno significato alla vita.
Fui colpito dagli sguardi dei presenti. Erano sguardi dinteresse, di
stima, forse di ringraziamento, sicuramente di consenso, di affettuoso saluto. Al termine ci fu un breve applauso.
Fu il loro ringraziamento.
Ricordo anche una sessione di esame, particolare per lepisodio
vissuto. Feci una domanda che non mi sembrava complicata.
Il medico specializzando che stavo esaminando mi sembrava preparato. Lo vidi in difficolt. Gli dissi che la circostanza dellesame
anche un momento per imparare.
Discutemmo insieme il problema.
Capii che i dubbi erano completamente spariti.
Fu promosso con nostra comune soddisfazione.
Evidenziare i propri meriti non aiuta nessuno, non ci porta lontano.
Cercare di capire i nostri errori non gratificante ma costruisce un
futuro.
Il tempo non si fermato.
Il tempo scaduto.
Queste realt non esistono pi.

42

Una grande scelta

43

La decisione di studiare Medicina non pu essere casuale.


Le caratteristiche di chi sceglie questo studio devono essere
ben definite.
Non pu iniziare questa avventura chi non ha amore, chi non
in grado di riconoscere i propri limiti, chi non conosce lumilt,
chi non ha il desiderio di aiutare il prossimo.
Il prossimo tutto il mondo umano che ci circonda.
Cosi variegato per estrazione sociale, per cultura, per storia, per
origine geografica, per tradizioni.
Cosi vicino e cosi lontano, cosi prodigo e cosi avaro, cosi altruista
e cosi egoista, cosi amico e cosi ostile.
Forse il prossimo siamo anche noi con i nostri sogni, con le nostre
aspirazioni, con le nostre identificazioni.
Certamente il prossimo siamo noi quando decidiamo di essere
spettatori di noi stessi per valutarci, per giustificarci, per giudicarci.
Il prossimo cosi diverso, cosi eterogeneo.
In quella eterogeneit spesso si osservano delle aggregazioni.
Cicerone disse al mondo: similes cum similibus congregantur:
i simili si uniscono fra di loro per estrazione sociale, per cultura, per
storia, per religione, per origine geografica, per tradizioni, per attrazioni semplici della vita di tutti i giorni.
Lo stesso prossimo non sempre uguale.
Si modifica nel tempo. E' mutevole.
44

All'inizio dell'800 Goethe nella sua opera "Affinit Elettive" affronta


l'argomento partendo da una realt di chimica-fisica.
La teoria elettronica della valenza applicata al sociale.
Le attrazioni e le repulsioni che caratterizzano il legame chimico non
modificano solo quella realt, ma anche quella sociale.
Tutti noi subiamo questo tipo di attrazione e repulsione che sovverte la
nostra vita.
I legami pi deboli sono sostituiti da quelli pi forti.
In un mondo cosi variegato esiste, come per magia nera, un unico eterno
comune denominatore: la caducit, la malattia.
La realt del residuo di vita pu essere diversa a seconda delle
circostanze; la morte la conclusione biologica che colpisce tutti.
SPAZIO
Secondo alcuni il medico non deve avere certe caratteristi-

che. Un caro, carissimo amico: Carlo Amodio, illustre Primario


Radiologo, amava ripetere ai suoi pazienti di diffidare dal medico
molto elegante e dal medico sempre puntuale. Il primo, diceva,
un narciso, pensa solo a se stesso; il secondo puntuale perch
pensa solo al lucro, al cliente successivo.

Il grande traguardo la diagnosi e la guarigione del paziente.


La diagnosi deve sempre nascere dal confronto.
La presunzione sempre bandita.
Lo studio di per s non sufficiente; deve sempre essere accompagnata dal dono dellintuizione, dalla capacit di analisi e dalla concretezza della sintesi; caratteristiche queste che non sono
scritte, che non vengono tramandate: sono doni che non tutti hanno. E ancora: La realt dei problemi deve sempre essere coordinata dal buon senso.
I grandi maestri mi chiesero cosa avrei voluto fare da grande.
La mia risposta fu: Medicina Interna.
La mia decisione fu molto apprezzata.
Il loro consiglio fu allora quello di iniziare la mia formazione professionale dalla Anatomia Patologica perch senza quelle basi non
avrei mai potuto costruire la casa del Medico.
E questo fu il mio percorso. Difficile, ricco di rinunce, spesso de-

46

moralizzante perch dovevo quotidianamente confrontarmi con i


miei limiti.
Il cadavere aveva perso la sacralit della vita ma aveva assunto
quella del sacro testo che ti evidenzia la realt, gli errori e le grandi
speranze del futuro.
Solo allora capii che la Medicina una donna bellissima che tutti
i giorni ti lusinga.
Ti fa innamorare perdutamente per tutta la vita.
Non ti concede nulla.
Non ti permette la minima distrazione.

47

Perch lOncologia

49

Loncologia ha un fascino ancestrale.


Tra i documenti oncologici scritti il pi antico forse il Susruta
Sambita trattato chirurgico indiano databile intorno al 2000 a.C.
in cui si legge che la causticazione del tumore mammario
migliore dellasportazione col coltello; mentre nel papiro di Ebers,
nome dellegittologo che lo port alla luce da una tomba di Luxor,
XVIII dinastia, si consiglia di trattare malattia prima col coltello e
poi col fuoco: affinch non sanguini troppo e brucino le radici.
Nel 600 Rembrandt dipinge Betsabea.
Per la medicina il dipinto riveste un elevato interesse storico - clinico: stato utilizzato per una campagna del Medical Benefits
Fund of Australia a favore della diagnosi precoce del cancro della
mammella.
La macchia scura del seno sinistro di Betsabea il primo esempio
di rappresentazione pittorica del carcinoma mammario.
Percival Pott, nel 1700, aveva notato lalta frequenza del tumore
dello scroto negli spazzacamini londinesi e aveva ipotizzato che
linsorgenza del tumore fosse dovuta al contatto della cute con gli
indumenti impregnati di fuliggine.
Fu definito il primo tumore professionale: Teoria Irritativa.
Da giovane mi fu detto che per diventare un buon internista sarebbe stato necessario essere prima un buon anatomo-patologo.

50

Da adulto mi dissero che non sempre un buon internista pu essere un buon Oncologo.
Questa seconda parte del discorso stata per anni per me incomprensibile. Oggi le idee sono pi chiare: penso che essere un
buon Internista una condizione necessaria ma non sufficiente.
Loncologia figlia della Medicina Interna ed madre della sensibilit, della disponibilit, dellintuizione, del sacrificio, della tolleranza, del dialogo, dellamore.
La pratica oncologica richiede caratteristiche che non si studiano.
Forse si ricevono come donazione genetica e, in parte, con la
modulazione del proprio carattere.
Forse esiste un gene che ci permette di avere quella sensibilit
necessaria per entrare in lunghezza con il nostro prossimo e quindi di capire quello stato danimo, quellespressione, quella voce,
quel sorriso, quello sguardo.
Lo sguardo.
Se la malattia progredisce lo sguardo del paziente diverso.
Diventa una domanda che attende una risposta.
Il malato non capace di nascondere.
La paura e la speranza si consumano a vicenda, lottimismo e il
pessimismo si confondono fra loro, perdono i loro confini, travolgono lindividuo e lo trasformano in unaltra persona.
Il malato si allontana dai propri interessi, dalle proprie relazioni,
51

dai propri affetti. Se questi prima erano un grande conforto, un


rifugio di speranza con il progredire della malattia perdono dimportanza si riducono ad un accenno di sorriso.
I centri inibitori che hanno strutturato la persona, che hanno conferito allindividuo quella particolare immagine, non sono pi attivi,
non sono pi i modulatori di comportamento, sono sorgenti di ulteriori scomposizioni della persona.
La progressione di malattia condiziona domande tragiche che necessitano risposte di realt e di amore.
Se le risposte non sono corrette si perde la fiducia del paziente, si
illumina la strada a un cieco che cammina da solo.
In alcune circostanze bisogna avere il coraggio di parlare di verit
perch tutti, hanno il diritto di sapere.
Con il progredire della malattia la speranza si trasforma in illusione, lillusione in silenzio.
Il rapporto con il malato terminale che non manifesta uno stato
crepuscolare richiede al medico capacit eccezionali.
L'Oncologo deve essere sempre preparato a questo tipo di incontro.
Non esistono discorsi preparati. Esistono solo le parole che
l'anima in quel momento ti suggerisce. Non mi sono mai chiesto
cosa dir; mi sono sempre detto: lo aiuter.
Spesso, quando il malato in fase avanzata non pi giovane, ho
ricevuto aiuto da quello che sono solito definire: meccanismo
ancestrale di difesa che spesso il paziente mette in atto.
52

E difficile da definire: come se il paziente non pensasse; le sue


priorit sono la non sofferenza e il desiderio di dormire.
La sensazione che ho sempre avuto non quella di un malato
che non vuole pensare ma quella di un paziente che in quel momento non pensa. Molte volte mi sono avvicinato al loro letto preparato ad affrontare argomenti difficili ma comunque prevedibili:
quasi sempre mi sono allontanato da loro senza aver affrontato
particolari argomenti. Se queste considerazioni, che tante volte
ho verificato, fossero vere potrebbero rappresentare un prezioso
meccanismo di difesa terminale.
Il paziente oncologico un malato particolare.
Ha pi bisogno degli altri.
Muore e per fortuna risorge pi volte.
Euno spettatore interessato alla partita a scacchi che si sta giocando con la malattia tumore perch il risultato di quella partita
rappresenta la sua sopravvivenza o, se la malattia progredisce, la
sua qualit di vita.
Il suo sguardo come un pianto senza lacrime.
Il vissuto delloncologo non ha fine.
Non si pu essere amati se non si dona.
Nel momento della verit loncologo, come dono, deve vivere i
problemi del paziente, deve sentirli sulla propria pelle, farseli propri. Solo cosi pu entrare in quel mondo di sofferenza e confortare.
53

E come rendersi conto che la cosa migliore che puoi fare a te


stesso proprio quella di fare qualcosa per gli altri.
L oncologo deve ascoltare quello sguardo, deve capire quello che
il paziente vuole sentirsi dire e, cosa estremamente importante,
deve sapere se dire e come dire la verit nellassoluto rispetto
dellinterlocutore.
Loncologo deve sapere valutare leffetto devastante della mutilazione chirurgica e considerare le reazioni psicologiche della
paziente. Loncologo non pu dimenticare che gli effetti di una
mortificazione estetica possono condizionare anche gravi conseguenze famigliari.
Loncologo non pu dimenticare la storia degli errori, delle incurie,
delle dimenticanze, delle distrazioni, della presunzioni di altri.
La storia negativa che si dimentica si ripropone ogni giorno.
Ho sempre interpretato come una grave ingiustizia la sofferenza del dolore fisico.
Mi difficile accettare il dolore che porta alla vita, mi dispera il
dolore che precede la morte.
E difficile capire fino a quando accettabile la sofferenza.
Forse sbagliando, ho sempre interpretato la perdita di un paziente
come una sconfitta personale, con la sensazione che una piccola
parte di me stesso si stesse allontanando da me.

54

L'oncologo non pu essere malato perch lui rappresenta il traguardo


del paziente.
L'oncologo non pu non essere sincero perch perderebbe la fiducia
del malato.
L'oncologo non pu non essere sereno perch la preoccupazione che
il paziente legge viene interpretata come una problematica della sua
malattia.
L'oncologo non pu essere incerto perch l'incertezza interpretata
come difficolt, come pericolo.
L'oncologo deve essere felice dei buoni risultati della terapia perch
cosi d serenit al paziente.
SPAZIO
Esistono altre considerazioni che rendono l'oncologia una
specializzazione particolarmente interessante.
Come noto le malattie si suddividono in acute e croniche.
Le prime evolvono verso la guarigione, verso la cronicizzazione
oppure sono causa del decesso del paziente.
Le seconde sono malattie di accompagnamento per tutta la vita.
La malattia tumorale l'unica malattia che pu guarire.
E ancora: spesso, curando la malattia tumorale, ho avuto la
sensazione di avere a che fare con un Demone che ragiona in
negativo.
Se l'arte medica annulla quel metabolita necessario per lo svilup-

po della cellula tumorale, con il passare del tempo, la cellula tumorale assume percorsi metabolici diversi senza lutilizzo di quel
metabolita precedentemente bloccato.
E ancora: Il tessuto tumorale produce autonomamente strutture
vascolari necessarie per la propria sopravvivenza.
Il tumore costruisce il proprio futuro.
La cellula tumorale ha un metabolismo e un tempo di duplicazione
diverso da quello di una cellula normale.

Il Settimo Sigillo

Allora il Guerriero giocava a Scacchi con la Morte, e sapeva che la


Morte non giocava a d armi pari. Allora cera il buio del Medio Evo.
Da sempre sappiamo che dimenticare la realt una sconfitta.
Oggi chi ha gli occhi per il passato pu guardare con serenit il
futuro.
I successi sono sotto gli occhi di tutti.
Ho sempre creduto che se una cosa sognata da una persona
sola la cosa rimane un sogno; se sognata da molti essa diventer realt.
La ricerca continua.

56

Un profilo

57

Anchio come tutti gli esseri di questo mondo sono nato con un
codice genetico e sono cresciuto con le influenze del mondo famigliare e dellambiente esterno.
Il risultato stato quello di un essere sempre motivato, dal carattere particolarmente spigoloso, con una buona dose di intolleranza
e con una caratteristica che ritengo molto importante: Il rispetto
per il prossimo.
Molte volte mi sono chiesto quale sarebbe stata la mia risposta se
mi avessero chiesto il consenso di venire al mondo.
Se avessi potuto conoscere in precedenza il mio codice molto probabilmente la mia risposta non sarebbe stata entusiastica.
Dalla genetica avrei desiderato qualcosa di pi.
Capire sempre stato uno dei grandi traguardi delluomo.
Avrei desiderato una maggiore vivacit nella capacit di apprendere, non perch mi riconosca una pigrizia mentale ma solo per
un pi facile arricchimento culturale.
Ho sempre avuto particolare ammirazione per le persone che reputavo molto intelligenti.
A Los Angeles, durante un congresso, in una sala dove si discuteva un problema oncologico; un signore, dopo un intervallo occup
per errore la mia poltrona. Si scus con me per laccaduto.
Rimasi senza parole. Era il premio Nobel Dulbecco.

58

Ho conosciuto molto bene Gianni Bonadonna, figlio di tanto padre.


Ho condiviso con lui una serie di lezioni televisive sul tumore della
mammella.
Il suo carattere era molto spigoloso; le sue doti di analisi e di sintesi erano impressionanti.
Un giorno a Parigi avrebbe dovuto comunicare al mondo che conta importanti risultati di una sua ricerca.
I risultati furono letti da una sua collaboratrice; il giorno prima aveva avuto gravi problemi di salute. Eravamo in lacrime.
Rita Levi Montalcini fu moderatrice di una tavola rotonda dove feci
una relazione sul tumore della mammella.
A sera, a cena, ebbi la fortuna di essere seduto di fronte al premio
Nobel. Si compliment con me per la relazione.
Mi disse che con piacere mi avrebbe spedito lultimo suo libro che
era uscito pochi giorni prima.
Mi chiese lindirizzo. Glielo dissi. Era complicato perch allora non
abitavo a Milano ma in una frazione di un paese vicino alla citt.
Non prese nota.
Pochi giorni dopo arriv il libro con dedica.
Ricordo che, salutandola, le chiesi il permesso di baciarle la mano.
Acconsent.
Penso che sarei disposto a pagare un prezzo alto per modificare
un poco il mio codice genetico; forse anche quello del parziale
59

isolamento dovuto alle conseguenti difficolt di comunicare con


la gente comune.

Da sempre sono stato terrorizzato dalla profondit del mare.


Da piccolo avevo paura di entrare da solo per pochi metri nellacqua perch ero angosciato dallidea scivolare nelle profondit.
Ho cercato con il ragionamento di superare nel tempo questa
aberrazione. Quasi violentando me stesso, da adulto, accompagnato da un amico esperto, ho provato qualche modesta esplorazione subacquea.
Ero abbastanza soddisfatto di queste nuove esperienze.
Un giorno il mio accompagnatore con dei gesti mi invit a guardare lo scenario che si presentava sotto di noi. Lacqua era cosi
trasparente da permettermi di vedere sotto di me la cima di una
roccia e, vicino a quella, altre cime a profondit diverse.
Fu un dramma. Accusai una profonda sensazione di vertigine;
avevo inconsciamente il timore che improvvisamente tutta lacqua
sparisse e che per mia gravit dovessi precipitare nel vuoto.
Ricordo di essere salito in superficie, di avere guardato dove fosse la spiaggia e, ad occhi chiusi, di aver nuotato con tutte le mie
forze fin quando la mia mano destra non tocc la sabbia.
Quella fu la mia ultima esperienza subacquea.
Di un altro terrore sono sempre stato prigioniero; un terrore lega6

to allannullamento concetto di tempo e spazio: linfinito.


Linfinito non un concetto umano.
Ognuno di noi ha bisogno di un termine di riferimento.
Non pu esistere unalba di domani se non c il tramonto delloggi. Non riesco immaginare uno spazio senza la vedere la sua fine.
Un campo di grano, una citt, una nazione: tutto deve avere un
termine. Ho sempre avuto la necessit del concetto della scadenza del tempo, del finito.
Ogni cosa, anche la pi bella, deve avere una fine.
Sono terrorizzato dal fatto che io oggi possa percepire una luce
che nata un miliardo di anni fa.
Magari la sorgente di quella luce non esiste pi.
La luce in viaggio.
E il concetto del tempo che gestisce la velocit della vita.
Dante condann si Ulisse perch convinse Diomede alla guerra
contro i Troiani, ma anche perch super le Colonne dErcole
sulle quali gli Dei avevano scritto Non Plus Ultra.
Nessuno mai avrebbe dovuto superare quel limite imposto dagli dei.
La grande frase figurativa: de remi facemmo ali al folle volo oggi,
in termini moderni, avrebbe la configurazione di un volo spaziale
nellinfinito. La paura dellinfinito non mi porta ad escluderlo.
La sua presenza mi crea terrore .

61

Anche il concetto religioso di condanna eterna mi spaventa; proprio perch non ha una fine.
Difficile immaginare una condanna eterna senza la libert della
morte. Se vero che per un suicida, tra il ponte e lacqua pu esistere Il tempo del pentimento, la Misericordia di Dio, pu essere
anche vero che la condanna eterna sia unespressione di terrorismo spirituale costruita dalluomo.

62

Istituti Clinici di Perfezionamento

63

La maggior parte della mia attivit ospedaliera si svolta agli Istituti Clinici di Perfezionamento, struttura che da qualche anno
stata unificata allOspedale Policlinico di Milano.
Gli Istituti Clinici di Perfezionamento, nacquero nel centro di Milano, agli inizi del 900 ed ebbero sempre la caratteristica di essere
composti da strutture, in parte ospedaliere e in parte universitarie,
di alto livello specialistico; vere punte di diamante nel loro settore.
Esempi di questa caratteristiche sono: la Clinica del Lavoro,
la pi antica e famosa in Italia,la Clinica Ostetrico Ginecologica Mangiagalli, tra le prime in europa, la Clinica Pediatrica De
Marchi, la Clinica Odonto Stomatologica, la Chirurgia Plastica
e Ricostruttiva, la Chirugia Vascolare, il Centro Taumatologico
Ortopedico e molte altre, tuttora presenti.
La struttura meno specialistica era la Medicina Generale, nata forse per concretizzare una consulenza Internistica da sempre presente negli anni precedenti in tutte le strutture specialistiche.
Tra gli anni 70 e linizio degli anni 80 nacquero per gemmazione spontanea altre attivit, complementari a quelle gi esistenti:
Dalla radiologia nacque La Senologia per lo studio e la prevenzione del tumore della mammella; dalla Chirurgia: La Chirurgia
della Mammella"; Dalla Chirurgia Plastica: La Chirurgia Plastica
per la Ricostruzione della Mammella; dalla Medicina Generale:

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Il Day Hospital Oncologico per lo Studio e Cura dei Tumori Solidi.


LAmministrazione degli Istituti Clinici di Perfezionamento con delibra: n 665 / C.R. in data 1luglio 1994 riconosce e mi ha affidato la Responsabilit del Modulo Organizzativo e Funzionale del
Day-Hospital e degli Ambulatori Oncologici a decorrere dal
1 Dicembre 1990.
La Specializzazione in Medicina Interna, la Specializzazione in
Oncologia Clinica e la Idoneit a Primario Oncologo, conseguita
a Roma, furono premesse necessarie per il conseguimento di
tale Responsabilit.
Lattivit della struttura era prevalentemente rivolta al Tumore della Mammella; in misura minore alle Neoplasie gastro-intestinali,
polmonari e scheletriche.
Abbiamo sempre collaborato con grandi Centri Oncologici; in particolare con quello di Pavia diretto da Robustelli della Cuna; con
quello di Bologna diretto da Franco Pannuti e con il reparto di
Gianni Bonadonna dellIstituto dei Tumori di Milano.
Ci si incontrava spesso in Italia, in Europa, negli Stati Uniti.
I pazienti oncologici provenivano da tutta Italia.
Ancora oggi ho il piacere di vedere qualche paziente di allora.
E sempre una grande emozione.
Ho diretto questa Struttura Oncologica fin quando la dura legge
dello Stato mi ha Imposto la pensione.
65

Il Day Hospital

67

Il Day Hospital Oncologico

Il day hospital oncologico un moderno modello di ricovero ospedaliero con caratteristiche particolarmente interessanti:

Ha come massimo la durata di un giorno.


Ha funzioni altamente specialistiche.
Ha funzioni diagnostiche.
Ha funzioni terapeutiche.
Ha funzioni di follow up.
Ha funzioni ambulatoriali.
Ha caratteristiche organizzative per unattivit multidisciplinare.

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YHGLSDJKDIXQ]LRQL

Ha come massimo la durata di un giorno

TITOLO:
CARATTERE DA
CAMBIARE

Quando il paziente esce di casa al mattino per recarsi in ospedale


sa che affronter una giornata difficile: il timore della diagnosi,
le problematiche legate a quel tipo di accertamento, i disagi di
quella terapia sono fantasmi che si rincorrono e accrescono in lui
quellansia che spesso origina nella notte insonne che precede il
ricovero. Spesso quel paziente non ha la forza di chiedere quale
sar il suo futuro.

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Per futuro intende la propria sopravvivenza, non una possibile sofferenza. La vita che si spegne spaventa pi del dolore fisico.
E il trionfo della vita sulla morte.
Si giustificher con se stesso e con i propri familiari dicendo di non
avere avuto lopportunit per quella domanda.
Sembra quasi che il malato sacrifichi se stesso sullaltare del destino.
I sogni, che sono poi i sogni di tutti: la famiglia, i figli, i nipoti
perdono il significato del traguardo per assumere quello del ricordo. Non sono pi sorgenti di vita: sono immagini di accompagnamento. Si allontanano con una crudelt feroce.
Le immagini sbiadiscono, si sovrappongono, si confondono fra di
loro, diventano indistinguibili; perdono quel ruolo nobile del conforto, che una delle ragioni di vita, per assumere quello falso
dellindifferenza: costruito dalla depressione del malato.
Il paziente sa che non avr lunghe attese, degenze inutili, che
sar accolto da persone che lo conoscono.
Essere accolti con un sorriso importante. Il personale medico
e paramedico altamente specializzato.
Conosce i particolari di quel paziente perch quando si sono conosciuti hanno parlato con i famigliari anche di argomenti cari al
malato. Questo modo di comunicare avvicina gli animi, facilita la
lunghezza donda, non ti fa sentire estraneo.
70

La fiducia si conquister col passare del tempo. Per linizio la


simpatia che fa da saluto. La simpatia non mai un ostacolo nelle
situazioni difficili.
Il Day-hospital deve essere anche un punto dincontro, di aggregazione, di profonda conoscenza, di partecipazione e di fiducia.
Nella struttura i pazienti devono essere sempre capiti, difesi, giustificati. Perch un Day Hospital sia efficiente necessario che tutto
il personale, medico e paramedico, abbia in s radicato l'importanza
del proprio ruolo e che questo venga svolto nell'assoluto rispetto di
tutti. I pazienti devono sentirsi tutti uguali.
Non devono pensare che esiste un Paradiso dei ricchi e un Paradiso
dei poveri. Devono credere che esiste un solo Paradiso.
La validit del rapporto tra paziente e personale sanitario, medico
e paramedico, anche dimostrato dal reciproco interesse per problemi extraprofessionali, spesso famigliari. Capita che luno entri
nella vita dellaltro. Capita che il sanitario chieda notizie di quel
nipotino del paziente che nel precedente incontro era un importante motivo di preoccupazione o che il malato si informi sullesito
di quella relazione che quel medico aveva fatto a quel congresso.
Avere attenzione significa anche avere amore.
Avere amore significa anche soffrire se un altro soffre.
Avere amore significa anche gioire delle capacit dellaltro.
Avere amore significa anche camminare insieme.
Le mani che si uniscono di due persone che parlano, che cammi71
nano, sono un corto circuito di affetto, di serenit, di conforto, di

speranza, di sicurezza. Se qualcosa ti succede ci sar qualcuno


che ti sosterr.
Le mani parlano un linguaggio universale; linfa assorbita da tutti
i popoli del mondo che traduce nel silenzio, senza parole, lo stesso significato: quello che si vuole dire.

Conservo con estrema cura un biglietto di una mia paziente, tuttora vivente e in buona salute, conosciuta nel 1997 per un grave
problema tumorale. E scritto: grazie per avermi portato nel 2000.
Oggi, nel 2014, una cara amica.

Superate le difficolt del giorno il malato sa che a sera torna a


casa.
Entrare. Chiudere la porta.
Rivedere i propri quotidiani angoli di vita come scrollarsi di dosso il vissuto negativo della giornata. E' aria rigeneratrice.
E un profumo che le preoccupazioni gli avevano allontanato; che
temeva di aver perduto. E una protezione maggiore che d sicurezza; un calore che gli permette di tenere vicine sulla propria
pelle tutte quelle parole di sicurezza che gli hanno appena detto;
una speranza che lo conforta, che gli d la forza di continuare
a vivere in quellambiente, con quelle immagini, con quelle luci,
con quei rumori, con quei disagi, con tutto quel mondo che viene
definito:
la vita di tutti i giorni.
72

E rientrato nella normalit. Quella normalit tanto spesso criticata


perch cosi ripetitiva, cosi noiosa, apparentemente con pochi interessi, da sempre ignorata e mai considerata, diventa un sicuro
rifugio; assume una caratteristica di garanzia.
Tutto quel mondo che per quella persona era un nulla, che non
aveva pi sapori diventato una ricchezza, un conforto.
Ha ritrovato un Bene che non sapeva pi di avere.
Il desiderio di essere semplici, di essere normali, desideri che tutti
dimentichiamo quando viviamo lo stress della vita, si concretizza
quando decidiamo di fuggire dalla morte.
Da quel momento tutto assume aspetti pi sicuri, pi gradevoli.
La nostra sensibilit si affina, la nostra disponibilit per gli altri
aumenta, la nostra spigolosit si ridimensiona, migliora il nostro
rapporto col mondo.
La paura ha ristrutturato il nostro pensiero.
Non siamo tornati alla mediocrit: siamo migliorati.
Abbiamo ritrovato noi stessi.
Questo comporta una maggior fiducia in noi stessi e negli altri.
E un inconscio meccanismo di difesa che ci consente di sperare,
di guarire, di vivere.
Il paziente attende con pi serenit il prossimo appuntamento del
Day Hospital.

73

Ha funzioni altamente specialistiche (stesso carattere di pag.86)


SPAZIO
Dopo la laurea in Medicina e Chirurgia il medico ha la possibilit
di iniziare corsi di specializzazione. I due pi prestigiosi sono "La
Medicina Interna" e "La Chirurgia generale".
Non ho dubbi nel pensare che, oltre ad essere corsi prestigiosi,
sono anche specializzazioni a mio avviso "presuntuose".
Sono cinque anni di studio faticoso, difficile, con esami annuali che
talvolta, stato il mio caso personale, hanno avuto la durata di
un giorno. Certamente creano nel medico una conoscenza panoramica molto vasta ed una impostazione mentale estremamente
importante ma non tale da essere definita specializzazione in tutti
i settori della Medicina Interna o della Chirurgia Generale.
Questa considerazione non vuole essere una valutazione riduttiva
delle Specializzazioni; vuole solo definire una corretta attribuzione
del loro valore.
Non credo sia un caso: in molti Atenei europei la specializzazione
in Medicina Interna propedeutica all'iscrizione in Oncologia Clinica. I grandi risultati della ricerca scientifica di fatto determinano
settori ultra specialistici nel campo della stessa "Specialit Oncologica. E' una conquista sempre pi capillare della conoscenza che
migliora notevolmente il potenziale diagnostico.
Penso ai risultati dell'Oncologia genetica, ai test predittivi dei tu-

mori del colon-retto, alla scoperta delle cellule dormienti allinterno della massa tumorale solida; cellule che sono resistenti ai
trattamenti antitumorali e che, in particolari circostanze, riprendono attivit e riaccendono la malattia.
Penso alla scoperta, credo svedese, di una nuova molecola in
grado di ostacolare la respirazione della cellula neoplastica, determinandone la morte, per blocco del polmone cellulare.
Questa molecola rappresenta una terapia assolutamente selettiva
a livello delle strutture mitocondriali della cellula tumorale; quindi
una terapia completamente diversa da quella indiscriminata della
chemioterapia tradizionale.
Ho sempre pensato, anzi sperato, che chi ha la fortuna di entrare
nelle segrete cose di un mondo che esiste, ma che a noi ancora
sconosciuto, debba avere un consenso speciale, non so bene
dato da chi, che gli consenta di togliere quel velo, che gli permette
di trasformare la fantascienza in realt.
Prima di scoprire con la microscopia elettronica quel polmone
della cellula nel suo intimo sistema respiratorio mitocondriale, prima di realizzare una manipolazione genetica, prima di guardare
quella galassia per quel volo spaziale, prima di viaggiare nellinfinito il ricercatore deve avere unetica. Chi fa ricerca deve essere
anche garante: ha lobbligo di costruire un futuro migliore.

75

Tutto deve essere finalizzato al benessere collettivo. Non temo i


risultati; le grandi scoperte mi riempiono di gioia. Talvolta mi preoccupa il loro utilizzo.

Loncologia medica
fondamentalmente divisa in due grandi capitoli:

I tumori solidi
Le emolinfopatie

Il Day Hospital oncologico degli Istituti Clinici di Perfezionamento


che ho diretto si dedicato allo studio e cura dei tumori solidi.
E' nato tra gli anni 70 e 80.
Le circostanze spesso condizionano la storia.
In quegli anni per gemmazione spontanea la Radiologia dellospedale aveva sviluppato un centro di Senologia e si era attivata per
la Radioterapia del tumore della mammella.
I reparti di Chirurgia e di Chirurgia Plastica Ricostruttiva si erano
dedicati molto alla chirurgia mammaria.
La Medicina Generale, divisione dalla quale provenivo, aveva dato
la disponibilit per eventuali ricoveri per accertamenti e cure.

76

Per quanto mi riguarda avevo conseguito il Diploma di Specialista in


Oncologia Clinica col massimo dei voti.
Non mi fu data la Lode. Chiesi la motivazione. Mi fu risposto che
per ottenerla avrebbe dovuto essere presente in tutti gli esami supe
rati. Era vero in uno mancava.
Poco tempo dopo ottenni a Roma la Idoneit a Primario Oncologo.

Con queste premesse fui ammesso alla Scuola Europea del Tumore della Mammella, aperta ad un numero ristretto di oncologi
europei. Agli esami ogni oncologo disponeva di un computer che
simulava i pi complessi problemi oncologici.
I tempi per le risposte erano strettissimi.
I risultati degli esami erano immediati.
Fu unesperienza molto interessante di alto livello scientifico.

Esistevano quindi tutte le premesse perch nascesse un Day Hospital oncologico.


Il temi di grande studio, di cura e di ricerca furono: Il tumore della
mammella, le neoplasie gastrointestinali e quelle polmonari.
Riconosco di avere avuto grandi Maestri Oncologi che nel tempo
sono diventati amici:
Un grazie particolare a Gianni Bonadonna dellIstituto dei Tumori
di Milano, mente enciclopedica da me stimato come il pi grande
77

oncologo italiano; a Franco Pannuti del Malpighi di Bologna, Padre universale dellOrmonoterapia e Gioacchino Robustelli della
Cuna direttore della Fondazione Oncologica di Pavia.
La quantit e la qualit del lavoro svolto si misura dai risultati ottenuti e dal numero di pubblicazioni segnalate su riviste oncologiche
di prestigio.
Abbiamo pubblicato molto. In Italia, in Europa e negli Stati Uniti.
Con un po di orgoglio, ricordo, in particolare una pubblicazione
su Cancer, la Bibbia delloncologia mondiale:

Breast Carcinoma and Plasma 17-beta-Estradiol Binding Vol .63,


n2, January 15, 1989, by the American Cancer Society - Printed
in U.S.A.

Ricordo anche unaltra pubblicazione, per me molto importante.


Condussi personalmente una ricerca sulle Antracicline: antibiotici
che hanno una importante azione anti tumorale.

78

Fui docente al corso Nuovi farmaci e nuove modalit terapeutiche


in oncologia della Scuola Superiore di Scienze Farmacologiche.
Lo studio, da me presentato come una monografia, aveva il titolo:

Carditossicit da Antracicline: Incidenza, monitoraggio, possibilit


di prevenzione.
Edito: Nuovi farmaci e nuove modalit terapeutiche in oncologia.
Progressi in oncologia Clinica: 4, 245 - 266, 1988

Il lavoro sempre stato di grande soddisfazione e sempre molto


intenso.
Ci si incontrava spesso, sempre con premura, in qualche angolo
angolo del mondo per presentare e confrontare le conclusioni delle nostre ricerche. Una fuga dietro laltra.
Da sempre una volta allanno negli Stati Uniti nel mese di maggio allA.S.C.O. (american society clinical oncology) per le grandi
conclusioni. Abbiamo avuto anche unattivit didattica collegiale:

79

Con Gianni Bonadonna, Chino Robustelli e il caro Leonardo Mo


sca, titolare della cattedra di Anatomia Patologica di Milano, nelle
ore pi impensate registravamo per la televisione le lezioni di
prevenzione del tumore della mammella .
Quando le trasmissioni erano in diretta erano sempre tragedie
perch nessuno aveva il tempo di fermarsi per rispondere alle domande dei telespettatori.
Insomma una vita intensa ma molto gratificante.

Ha funzioni diagnostiche

La struttura oncologica composta da personale medico:


il Responsabile e i suoi Collaboratori, e dal personale paramedico: Capo Sala, Infermiere Professionali e Ausiliarie.
Nella mia struttura stato presente anche uno specialista Psicologo. Il Responsabile della struttura oncologica deve conoscere
tutte le problematiche cliniche dei pazienti che afferiscono al Day
Hospital. Ogni paziente ha una cartella clinica dove viene definito
il percorso oncologico. La casistica del Day Hospital composta
da pazienti che provengono:
Dagli ambulatori del Day Hospital.
Dalla Chirurgia Generale.
Dalla Senologia.
Dalla
Clinica Mangiagalli.
80

Tutti i pazienti vengono sottoposti a Stadiazione Clinica


SPAZIO
La stadiazione clinica rappresenta una sorta di fotografia
panoramica di quella malattia tumorale.
Vengono definite le caratteristiche del tumore:
l'estensione,
la genetica,
l'aggressivit biologica,
il possibile coinvolgimento di altri organi e apparati,
il coinvolgimento del sistema linfoghiandolare.
Le conclusioni di queste analisi vengono sintetizzate, in tutto
il mondo oncologico, con pochissime lettere dell'alfabeto e con
pochissimi numeri.
Sulla base di queste premesse i pi importanti centri oncologici,
nazionali ed europei, collaborano fra di loro, organizzano studi
policentrici, trattano quel tipo di tumore, con quelle caratteristiche,
con quella determinata terapia, e valutano i risultati ottenuti nel
tempo.
Nei congressi continentali e mondiali si confrontano i dati e si
stabiliscono le "linee guida"per quel tipo di tumore.

Il gruppo omogeneo di pazienti la premessa fondamentale


della ricerca scientifica.
Nasce cosi la legge dei grandi numeri che tutto il mondo scientifico rispetta.
Conclusa la Stadiazione il paziente inizia il suo percorso post-chi
rurgico che pu essere quello del controllo clinico, del tratta
mento chemioterapico o del trattamento multidisciplinare".
Tra le funzioni diagnostiche del Day Hospital va anche ricordata
quella di valutare la risposta sia soggettiva che oggettiva del padel paziente a quel tipo di trattamento.
Quella soggettiva viene definita valutando la qualit di vita del
paziente; quella oggettiva dalla variazione dei parametri valutabili
come riferimento: dimensioni del tumore, numero dei secondarismi.

82

Ha funzioni Terapeutiche

E sempre stato un piacere ascoltare Gianni Bonadonna.


I suoi argomenti svariavano dai problemi che Cristoforo Colombo
incontr con la regina Isabella di Spagna a quelli delle Isole Galapagos.
Spesso parlava di terapia antitumorale.
A questo proposito amava ricordare un antico aforisma francese:
curare spesso, guarire qualche volta, consolare sempre.
Il concetto estrapolato era anche che Il medico non solo colui
che guarisce ma anche, ed altrettanto bravo, chi soccorre il
malato, chi previene o ritarda quella morte prematura.
Se ben ricordo laforisma voleva anche significare che il medico
che chiamato a curare quel paziente deve dare la propria disponibilit ma non deve garantire la guarigione.
Sono assolutamente daccordo che nelle scienze mediche impossibile formulare garanzie ma, nellassoluto rispetto dellinterlocutore, penso sia molto importante introdurre un po di luce di speranza. Ascoltavo sempre con molto interesse quelle parole, come
se in quel momento stessi ricevendo una grande consolazione.
Ho sempre considerato la morte di un paziente come una sconfitta
personale, una manifestazione di insufficienza. Ho ottenuto dei
buoni risultati; questo vero, per, se fossi stato pi bravo, avrei
avuto risultati ancora migliori.

83

Il dovere delloncologo quello di dare il meglio di se stesso, del


suo sapere e del suo saper fare; di agire secondo i principi di
scienza e coscienza.

Tutte le chemioterapie si praticano in Day Hospital.


Le ormonoterapie per gran parte il paziente le assume al proprio
domicilio. Il trattamento chemioterapico presuppone per il personale paramedico un importante corso di formazione.
Vivere la gravit della malattia, conoscere la sua possibile evoluzione in malattia cronica, capire i numerosi effetti collaterali dei
farmaci, far proprie le sempre pi nuove modalit di somministrazione delle terapie, il riconoscere precocemente linsorgenza di
quel grave effetto collaterale, sapere come procedere in quella
circostanza, avere lumanit del rapporto con il malato sono premesse indispensabili per una perfetta collaborazione del personale paramedico. Le difficolt sono cos grandi da creare un continuo dialogo tra i vari componenti della struttura, da non lasciare il
minimo spazio al protagonismo individuale. Tutti, ognuno con un
proprio ruolo, sono finalizzati al successo del trattamento.

84

Le terapie possono essere:

Precauzionali,
Neoadiuvanti,
Della Fase Avanzata.

85

Si definisce intervallo libero da malattia la durata della remissione completa. Si parler di Guarigione quando la Remissione
Completa si manterr per molti anni.
Questa probabilit aumenta quanto pi ci si allontana nel tempo
dal momento della diagnosi.

Ha funzioni di Follow Up
Follow Up: monitoraggio del paziente, valutazione della risposta
terapeutica, diagnosi precoce di una eventuale progressione.
E un percorso di controlli clinico - strumentali che, nel caso di progressione di malattia ci consente una diagnosi precoce e il conseguente trattamento tempestivo. S P A Z I O PRIMA DI UNA NOTA

Una nota:
Il Day Hospital annoverava anche tumori della mammella maschile.
Ricordo un caso particolare.
Un giorno venne da me un signore molto anziano per una piccola
tumefazione in regione mammaria. Nella sua vita aveva svolto attivit
di ricercatore presso il C.N.R. (Centro Nazionale di Ricerca).
Durante l'ultima guerra mondiale, l'industria farmaceutica, per ragione di
costi, estraeva gli estrogeni dalle urine di cavalle gravide.
Una fase del processo di estrazione prevedeva l'essicazione del
composto chimico in una stufetta elettrica.
Quando il ricercatore, al termine del processo di essicazione, apriva la
porta della stufetta, per poi procedere alla lavorazione del prodotto, di
fatto subiva un aerosol di estrogeni. Vera causa del tumore mammario.
Fu sottoposto ad intervento di mastectomia. Non fu necessario un trattamento chemioterapico.
86

Ebbi l'idea di chiedergli se per caso quella lavorazione fosse stata


condivisa da qualche suo collaboratore: trovai un secondo "tumore
mammario professionale".

Ha funzioni di controllo periodico


Dopo un certo numero di anni, in caso di negativit del follow up,
si passa ai controlli periodici nel tempo.
Si eseguono controllo clinici ed eventualmente, se emergono
dubbi diagnostici, si eseguono esami strumentali.

Ha funzioni ambulatoriali
Gli ambulatori hanno funzione selettiva. Il paziente con dubbio interpretativo viene automaticamente inserito nel circuito diagnostico del Day Hospital per la definizione della diagnosi.

Ha funzioni multidisciplinariCredo che nessunaltra specialit medica richieda la necessaria


collaborazione di di tanti altri specialisti:
Loncologo deve essere Clinico Medico, necessita della collaborazione del Chirurgo Oncologo, del Chirurgo Plastico Ricostruttivo,
del Radiologo in tutte le sue espressioni, da quelle tradizionali a
quelle pi sofisticate ad alta tecnologia, della Cardiologia avanzata per la valutazione di sofisticate attivit cardiache, dellImmunologo, della Genetica, dello Psicologo.

88

L attivit multidisciplinare ha un solo scopo: La Sopravvivenza.

Una doverosa precisazione:

Tutto quanto stato scritto sul Day Hospital oncologico corrisponde ad una struttura tuttora esistente e ben funzionante.
Agli inizi degli anni 80 tutto questo non esisteva.
Esistevano solo le mie specializzazioni in Oncologia, in Medicina
Interna, in Patologia Professionale, e, poco tempo dopo, la mia
Idoneit a Primario Oncologo.
Esisteva tanta volont di fare.
Quando giunse dallUniversit la mia nomina a Professore a contratto con la definizione del corso di insegnamento oncologico che
mi era stato assegnato, quella nomina fu tenuta nascosta da chi
avrebbe dovuto divulgarla.
Personalmente ho sempre pensato che se un mio collaboratore ha successo il suo merito anche mio. Chi non brilla di luce
propria teme molto la luce riflessa degli altri. Non dissi niente a
nessuno, avrei creato maggiori rivalit. Il silenzio un metallo che
va bene per tutti gli amalgami. Non gradito uscire dalla media.
Perch la media spesso il mondo che ci circonda. Talvolta
quello che ci comanda. Solo i risultati dicono la verit. La mediocrit non pu accettare una riduzione del proprio potere.
89

Gli equilibri, quando sono molto instabili, si modificano per raggiungere una maggiore stabilit.
Homo Homini Lupus.

Non esistevano i locali. Non cera personale medico e paramedico


con formazione professionale. Non era disponibile alcun supporto tecnologico: non esisteva la possibilit di ottenere dallAmministrazione un computer.
I Primari vivevano il terrore di essere privati di qualche spazio
vitale. Bisognava discutere per intere giornate per ottenere un
armadio dove conservare le cartelle dei futuri pazienti. Non mi fu
possibile ottenere una lavagna da appendere al muro su cui annotare le cose da non dimenticare.
Il clima non era quello della conoscenza o amicizia, esistevano
solo fugaci alleanze.
A me, che allora ero primo aiuto primario in medicina generale,
fu subito chiaramente detto che questo futuro programma oncologico non mi avrebbe esentato dal dovere delle guardie diurne e
notturne. Questo significava che dopo una notte, magari insonne,
avrei potuto avere la libert di dedicarmi al programma oncologico. Dopo lunghe discussioni si arriv alla conclusione di dividere
i locali grandi in altri pi piccoli, senza modificare la disposizione

90

dei caloriferi. Questo voleva dire che i locali creati erano estremamente caldi durante linverno e forni crematori in estate per la
scarsa aerazione. L amministrazione non forniva condizionatori.
Esistevano i malati; ma loro non conoscevano il programma e le
possibilit di questa struttura. Bisognava farsi conoscere.
Iniziarono allora i miei contatti personali con i chirurghi degli ospedali dellinterland. Potevo solo garantire molta seriet e, se le cose
fossero andate bene, delle pubblicazioni scientifiche.
Furono momenti molto difficili.
Qualche malato arrivava al nostro day hospital dai circuiti interni
del nostro ospedale. In quel periodo dalla Clinica del Lavoro degli
Istituti Clinici furono segnalati pazienti con tumori professionali.
La specialit in quella branca di medicina mi fu di grande aiuto. Mi
chiesero la disponibilit di praticare terapie nel loro reparto.
Accettai. Non era un prestigio lavorare in casa daltri ma nei momenti di difficolt si accetta di tutto, pur di sopravvivere.
Avevo la sensazione di dover sfondare il muro del suono. I pazienti che provenivano dallinterland erano quasi tutti in fase clinica avanzata, con nessuna possibilit di miglioramento.
Aumentarono i ricoveri in Medicina Generale. Spesso si trasformarono in lunga degenza con giustificato risentimento di tutta la
struttura. Purtroppo la storia dei nostri ospedali non mai stata

91

favorevole ad accettare di buon grado il ricovero del malato tumorale perch spesso il paziente diventa lungodegente, perch un
degenza pi impegnativa, pi faticosa per il personale paramedico e perch riduce lindice statistico annuale dei ricoveri di quella
struttura.
Al momento della dimissione spesso i famigliari pongono resistenze con richieste di trasferimento in luoghi di lunga degenza che
condizionano sempre ritardi burocratici.
Con il trascorrere dei giorni si faceva sempre pi evidente limpossibilit di un successo; lattivit del Day Hospital non decollava.
Le coefore che da tempo erano presenti aumentavano il pianto.
La sua esistenza era ad alto rischio e la sua fine sarebbe stata
molto vicina se non si fosse verificato il miracolo:
Una grande lezione di vita ha cambiato il mio mondo e le prospettive del Day Hospital.
Unesperienza da fiaba, da film di altri tempi, che se non fosse capitata alla mia persona avrei molte difficolt a considerarla vera.
Ne parleremo pi avanti.
Questa grandissima esperienza fu taumaturgica.
Arrivarono i primi riconoscimenti. Molto lentamente il Day Hospital
oncologico incominci ad assumere una sua connotazione.
La casistica incominci ad essere rappresentata da patologie
oncologiche della mammella, del polmone, del tratto gastrointe92

stinale. Pensai che sarebbe stato estremamente importante non


essere policentrici come altri ospedali affermati ma di concentrare
tutti gli sforzi su questi tre importanti filoni delloncologia. Segnalavo i casi oncologici che non erano di nostra appartenenza ad altri
centri specialistici che studiavano e curavano quel tipo di tumore.

Una specializzazione nella specializzazione.

Questo era un corretto comportamento nei confronti del paziente che si rivolgeva al medico esperto della sua patologia; era un
modo onesto di esprimere la nostra competenza, era la speranza
di ricevere in cambio un riconoscimento di questo tipo.
E cosi fu.
Le coefore erano praticamente estinte.
Adesso i problemi esterni erano altri: Il mondo non ti perdona il
successo. Nel momento in cui sembra che diminuisca quella gravit, che ostacolava il tuo volo, il mondo diventa improvvisamente
ostile. Sulle rive del fiume aumentava il numero degli spettatori,
apparentemente affaccendati, in realt erano tutti in attesa di vedere galleggiare un fallimento.

Quando nasce un Day Hospital oncologico occorre unesperienza


che noi non potevamo avere: La conoscenza della legge dei
grandi numeri. Non un capitolo da studiare: la voce della ve93

rit; la storia del mondo oncologico che ci circonda; una realt


in continuo divenire. La legge dei grandi numeri codifica le conclusioni di studi mondiali su un determinato problema oncologico.
Ci dice quali sono le percentuali di sopravvivenza a 5 -10 anni di
quel paziente affetto da quel tipo di tumore, di quelle dimensioni,
con quelle caratteristiche di aggressivit, ottenuto con quella determinata terapia. Ci segnala che quel tumore con quelle particolari caratteristiche deve essere trattato con un percorso terapeutico A+ B+ C, multidisciplinare, dove la lettera dellalfabeto pu
rappresentare chemioterapia piuttosto che radioterapia, ormonoterapia o chirurgia.
Questi risultati scientifici sono le conclusioni di congressi europei
o mondiali che si esprimono una volta allanno e vengono pubblicati da riviste autorevoli.
Leggere i risultati di una ricerca scientifica significa arricchire il
proprio bagaglio culturale; una conoscenza che ti da sicurezza
ma non risolve i dubbi che spesso ti assalgono e che possono
essere risolti solo con la discussione personale del problema.
Per questo importante essere presenti e partecipare alla vita del
congresso. Larricchimento culturale e lesperienza consentono il
salto di qualit professionale.
Il salto di qualit significa essere conosciuti, significa essere attori

94

e non spettatori di quel congresso, significa essere invitati, con il


completo sgravio dei costi, significa soprattutto avere la possibilit
di dialogare con estrema facilit con Medici che stanno facendo la
storia della Medicina e di risolvere le perplessit di ogni giorno.
Non avrei mai immaginato, e se allinizio me lo avessero predetto
non avrei mai creduto, che sarei stato invitato ogni anno, per tutto
il tempo della mia attivit ospedaliera, negli Stati Uniti
allA.S.C.O. (American Society Clinical Oncology) o che, nel breve spazio di due mesi, avrei anche personalmente presentato dei
nostri dati a NewYork, a Cancun in Messico e a Rio de Janeiro
in Brasile.
La stessa cosa accadde in Africa, a Nairobi, e in Europa.
Ricordo il rimpianto per aver rinunciato al congresso di Nuova
Delhi: la causa fu una grave epidemia di colera.
Fughe di pochissimi giorni, di grande tensione, ricche di soddisfazioni: indimenticabili.

95

Considerazioni generali e Incontri

97

Allalba tutti i sogni sono destinati a morire.


Al risveglio la realt molto diversa da quella sognata.
Fugge lontano dai sogni, quasi offesa per essere stata confrontata
con qualcosa che non esiste.
La realt non accettazione inconscia, sacrificio, faticosa conquista, , per gran parte, ci che siamo riusciti ad ottenere dalla
vita. In quel momento capita che loncologo, spettatore di se stesso, si analizzi, si confronti con altri colleghi e giunga a particolari
conclusioni:
spesso le attivit mediche sono prodighe di gratificazioni; quella
delloncologo, al contrario, certamente matrigna.
Capita che nel lavoro di tutti i giorni non esista nemmeno il sorriso
del paziente perch lui, il malato, non ha mai saputo di avere un
cancro.
Talvolta portiamo dentro di noi il rimpianto per coloro che
aiutano gli altri a nascere proprio perch noi, sovrastati dalla realt e dalla insufficienza, troppo spesso dobbiamo aiutare gli altri a
morire. In questa ingiustizia di emozioni procediamo ogni giorno
coscienti che fra tante angosce molto importante sapere di essere sulla strada giusta.
Senza passato non si ha futuro. Costruire un passato significa
costruire le nostre basi con volont, con lo studio, con sacrificio
senza nessun delirio di onnipotenza.
Costruire
il futuro significa continuare a studiare e costruire quo98

tidianamente il nostro percorso. Tutti dobbiamo preoccuparci del


futuro. Rappresenta il resto della nostra vita.
Non si pu navigare a vista in un mare di nebbia e di provvisoriet.
Non si costruisce con limprovvisazione.
Ogni oncologo ha una propria capacit di analisi e una velocit
di sintesi. La diagnosi deve essere sempre precoce e la terapia
sempre tempestiva nella consapevolezza che la rapidit, che
una virt, non deve generare un vizio: la premura, spesso causa
di errori. Da questo equilibrio nasce il corretto confronto con la
malattia. A queste premesse di metodo deve essere sempre complementare la disponibilit delloncologo per il malato.
Loncologo deve anche sempre sapere che gli occhi sono sempre
la finestra attraverso la quale luno entra nellaltro.
Non ci si deve nemmeno accontentare di diventare una copia,
magari sbiadita, di qualcuno che riteniamo migliore di noi.
Noi dobbiamo essere i migliori. Gli errori sono inevitabili. Luomo
che non fa errori di solito non fa niente.
Quando si conquista un traguardo si vive una grande emozione.
Lemozione che ci raggiunge non pu essere definita o descritta.
Deve essere solo vissuta. Arriva in noi quando tocchiamo con
mano unesperienza.
Se abbiamo la fortuna di viverla intensamente diventiamo ricchi,

99

acquistiamo maggior forza per pensare. Lemozione diventa vita.


Il traguardo pu essere un sorriso per un vissuto miglioramento
clinico. Pu essere aver capito che cure miracolose non esistono.
Pu essere aver capito che le cure miracolose sono solo il santuario dellassurdo dove tragicamente la disperazione si trasforma
in speranza. Traguardo pu voler dire far capire al giovane medico
che se non ha disponibilit verso un malato, se non capisce la sua
sofferenza, corre il rischio di essere oppresso dal proprio isolamento, corre il rischio di dimenticare se stesso.
Giustamente i canali ufficiali dellinformazione riferiscono talvolta di importanti scoperte, ci propongono immagini di personaggi
famosi restituiti guariti alle platee ma non parlano delle necessit
degli ospedali.
Traguardo pu essere anche dare ai pazienti ci che i servizi
pubblici non danno o tardano a dare.
Infine il traguardo pu essere: riconoscere i propri limiti, essere
insieme nel percorso della vita, sapere che chi fa del bene merita
solo del bene.
Nella mia lunga esperienza ospedaliera ho incontrato di tutto:

Da medico giovane
Ospedale di Niguarda. Le prime notti di guardia.
Lemozione che ti stringe il cuore. Lesperienza che non mai
100

sufficiente. Lincognita di quello che ti pu accadere. Il problema


nuovo che ti pu capitare. Il timore di potere involontariamente
danneggiare qualcuno. Non avere la possibilit di chiedere un
consiglio perch lemergenza non ti avrebbe dato il tempo.
Sei solo in un mondo dinsidie.
Avevo uno schema quasi liturgico: appena varcata la soglia dellospedale mi fermavo pochi secondi, volgevo lo sguardo verso le
finestre illuminate e mi ripetevo: sono solo, sono preoccupato ma
sono sereno.
Era un Codice Segreto che mi aiutava molto.
In quei tempi i medici frequentatori pi accreditati del reparto
di Medicina Generale nei quattro mesi estivi venivano temporaneaneamente assunti dallAmministrazione ospedaliera per le guardie
notturne. Questa procedura permetteva di acquisire punteggi, nel
caso fossero stati banditi concorsi, per lassunzione definitiva.
Di notte, allora, il medico internista era unico.
LOspedale di Niguarda aveva circa 2000 letti.
In quel tempo non esistevano i laboratori durgenza.
La guardia notturna iniziava alle ore 20 e terminava alle ore 8 del
giorno successivo.
Quella sera mi fu detto dal collega che terminava il turno che nel
padiglione "Malattie Polmonari" un paziente diabetico nel pomeriggio era entrato in coma diabetico. Erano state praticate le cure ne101

cessarie. Uscito dal coma era in terapia insulinica monitorata da


periodici controlli della glicosuria, presenza di glucosio nelle urine.
Il personale paramedico, dalle ore 17 controllava ogni quattro ore
le urine del paziente: se con gli esami del laboratorio del reparto
fosse stata dimostrata la presenza glucosio nelle urine sarebbe stata
somministrata la prevista dose di insulina.
Alle 5 del mattino fui chiamato con estrema urgenza perch il malato
era rientrato in coma diabetico.
Non immaginabile che un paziente, uscito da un coma diabetico,
in trattamento insulinico, rientri nello stesso coma.
Arrivai al letto del paziente. Era in coma profondo. Chiesi un campione di urina. Le analizzai in laboratorio. Il glucosio era presente.
Per guadagnare tempo ordinai tutta la terapia, Insulina e soluzione
fisiologica da somministrare per via venosa subito dopo aver visitato il paziente.
Visitai il paziente.
Notai un riflesso agli arti inferiori che sempre presente quando i valori del glucosio nel sangue molto basso.
Riprovai la manovra. Ne ebbi la conferma.
Chiesi un catetere, lho inserii.
Usc molta urina.
Raccolsi un primo campione. Quasi al termine dellemissione: un secondo.
Li esaminai: sul primo il glucosio era presente, sul secondo assente.
Momenti
di grande tensione con elevato rischio di errore. Il coma pro102

fondo non era diabetico ma ipoglicemico. Il glucosio era troppo


basso. Una minima dose di insulina avrebbe creato danni irreparabili.
Annullai la terapia programmata.
Somministrai glucosio in vena. Il paziente si riprese in pochi minuti.
Il malato, molto anziano, era portatore di un disturbo urinario: una
ipertrofia prostatica condizionava un residuo vescicale che rallentava
l'emissione del glucosio accumulato nel coma diabetico del pomeriggio precedente.
Per residuo vescicale si intende quella quantit di urina che per
ragioni meccaniche rimane in vescica al termine della minzione e
che viene rilasciato molto lentamente nel tempo.
Lesame delle urine praticato dal personale paramedico evidenziava la presenza di glucosio, ma quella presenza non corrispondeva
alla reale condizione diabetica del paziente: era lespressione di
quella lentissima eliminazione del residuo vescicale.
La continua somministrazione di insulina, praticata dopo il "falso"
risultato dellesame urine aveva condizionato il coma opposto,
quello ipoglicemico.
Ricordo le prime parole dette dal paziente: cosa successo?
Niente, risposi. Adesso cerchi di riposare.
Eroe per caso, per una notte.
Quando il paziente fu dimesso venne a salutarmi.
103

Qualche mese dopo, sempre di notte un giovane paziente diabetico in terapia insulinica tent il suicidio praticandosi ulteriori dosi
di insulina. Il suo vicino di letto fu svegliato dal rumore dei suoi tremori. La grande difficolt fu quella di trovare una vena di accesso
in un giovane con tremore scuotente.
La trovai in un piede.
Quando riprese la capacit di deglutire approfittai della mancanza
di un dente premolare per iniettare attraverso quel pertugio del
glucosio; il trisma, le mascelle serrate, non mi davano altre possibilit. Uscito dal coma mi parl dei suoi problemi.
Era stato un tossicodipendente. Era solo.
Lo affidai ad una assistente sociale.

Unamara precisazione: allOspedale di Niguarda per molti anni


non furono banditi concorsi.
Alla Divisione a cui io appartenevo fu assegnato un nuovo assistente con assunzione temporanea, divenuta in breve tempo
definitiva con un concorso interno sconosciuto a noi medici frequentatori. Non ho mai dubitato sulle capacit di quel medico. Fui
particolarmente colpito dalla lunghezza del suo cognome e dal
fatto che in quel cognome contenesse il nome di un importante
paese del Nord Italia.
Questa fu la vera ragione per la quale lasciai lOspedale di Niguar104

da ed iniziai una nuova carriera ospedaliera agli Istituti Clinici di


Perfezionamento.

Ho conosciuto persone che simulavano la malattia. La loro patofobia, nota ai colleghi psichiatri, era tale da sapere elencare una
serie di sintomi perfettamente correlabili con quella patologia.
Solo con unattenta raccolta dei dati anamnestici si poteva intuire
che la successione o la localizzazione dei sintomi elencati presentava al medico esperto delle contraddizioni che permettevano di
dubitare della veridicit della malattia.
Ho conosciuto persone che involontariamente rifiutavano la realt
della malattia.
Ricordo con tristezza di avere incontrato nel centro di Milano un
mio primo cugino che da molto tempo non vedevo. Dopo i saluti di
circostanza mi accorsi che sulla punta del suo naso era presente
unalterazione cutanea molto sospetta per fase iniziale di tumore
cutaneo. Gli raccomandai di venire in Day Hospital per i dovuti
accertamenti. Non venne. Parlai con i famigliari. Anche loro cercarono di convincerlo. Senza successo. Non molti mesi dopo una telefonata dallospedale di Niguarda mi inform che un mio parente
era stato sottoposto ad intervento chirurgico: gli fu asportata la piramide nasale.
Fu dimesso con una protesi di naso in parte mascherata da un
paio di occhiali che certamente non miglioravano la sua cecit
105

mentale. Fu sottoposto a radioterapia. Mor pochi mesi dopo.


Luncus rodens un maledetto trapano che raggiunge la profondit dei visceri: in questo caso: la base del cervello.

Da medico vecchio

Ho parlato con una donna molto anziana, era chiusa nella sua
depressione e avvolta dalla sua solitudine.
Depressione e solitudine: tristi compagne di vita. Con occhi spenti
e guardando nel vuoto, mi disse che aveva accettato lintervento
chirurgico solo per amore di madre verso un figlio che tanto aveva
insistito perche lei si sottoponesse a quella operazione. Non voleva lasciare di s un brutto ricordo.
Era stata recentemente sottoposta ad intervento di mastectomia
per tumore della mammella. Il decorso operatorio era stato soddisfacente. La stadiazione postoperatoria segnalava la necessit di
un trattamento ormonale.
Ricordo di avere spiegato alla paziente che avrebbe tollerato molto bene quella terapia e che soprattutto non avrebbe avuto effetti
collaterali.
Avevo anche cercato di sottolineare che certamente avrebbe
avuto importanti vantaggi.
Segu con scarsa attenzione le mie parole.
106

Mentre parlavo avevo la netta sensazione di una persona disinteressata, che ascoltava solo per educata cortesia.
Al termine delle mie parole mi disse che non si sarebbe sottoposta a nessuna terapia.
Cerc anche di convincermi che il domani sempre peggio delloggi e che solo per questa ragione la vita del momento va conservata cosi com senza modificazioni e senza programmi di terapia.
Temeva solo il dolore. Mi chiese solo questo aiuto.
Non ero daccordo sulle sue conclusioni. Capii che era inutile insistere.
Pi volte nella vita mi sono chiesto chi dei due avesse avuto ragione. Forse a quel dialogo erano presenti lenergia della vita e il
tramonto del sole. Forse la verit era in tutti e due. Forse la verit
stava nel sapere quanto fosse alto il sole.
Ricordo che quel dialogo si concluse con un rispettoso abbraccio.
Non vidi mai pi quella paziente. Ricordo il suo nome.

Ho parlato con un uomo vecchio

Era solo al mondo, circondato da nessuno. Non era depresso; era


stanco di vivere. Si augurava solo di morire. Parlava della sua vita
e piangeva. In genere le lacrime sono le prime consolazioni dei
grandi dolori.
107

Le sue erano lacrime di stanchezza infinita. Aveva lottato tutta la


vita e adesso diceva di non essere in grado di affrontare la malattia. Ricordo di avergli detto che il cancro non una malattia incurabile ma , al limite, una malattia inguaribile; che noi oncologi
abbiamo il dovere di concedere una qualita di vita accettabile e
di restituire al paziente quella dignit di vita che troppo spesso
questa malattia toglie.
Gli dissi anche che dopo aver raggiunto questi traguardi, sarebbe
stato bello svegliarsi al mattino e vedere i colori del mondo, guardare lazzurro del cielo e forse vedere che qualcuno ci sorride.
Stavo svolgendo il mio ruolo e mi rendevo sempre pi conto di
essere fuori lunghezza donda.
Dicevo delle verit ma sentivo che la sua mente, cosi satura di
negativit, non era pi permeabile allaiuto.
Mi resi conto che mi guardava con particolare attenzione. Alla fine
delle mie parole mi ringrazi stringendomi una mano. Mi chiese un
aiuto che non potevo concedere: quello non era il mio ruolo.

Ho parlato con un giovane di nome Ivano

Un giorno fui chiamato per un consulto al Centro Traumatologico


Ortopedico di Via Bignami di Milano per visitare un ragazzo di do-

108

dici anni affetto da Sarcoma di Ewing ad una gamba. La diagnosi


era gi stata accertata.
Il parere che mi veniva richiesto sarebbe stato quello di valutare
lindicazione dellamputazione dellarto.
Prima di vedere il paziente ho parlato a lungo con i genitori.
La madre, che conosceva tutti i dettagli della storia clinica del figlio, mi parl a lungo di Ivano sottolineando anche certe sue caratteristiche caratteriali. Ascoltavo con molto interesse quelle notizie
perch mi avrebbero facilitato lapproccio con il giovane malato.
Quando mi presentai al giovane paziente fu come se ci fossimo
gi in precedenza conosciuti.
Mi parl della sua malattia con dettagli molto precisi. Ci fu subito
tra noi una buona sintonia. Il collega ortopedico entr subito nei
dettagli tecnici. Let del paziente era tale da essere ricoverato nel
reparto adulti.
Vedere quel giovane essere, sicuramente piccolo di statura, in un
letto cosi lungo era per me una scena straziante. Chi non avrebbe
visto in quel letto il proprio figlio o il proprio nipote.
Non so se definire pregio o difetto la mia incapacit di rimanere
spettatore indifferente difronte alla sofferenza degli altri. Lo spettatore indifferente pu esprimere subito il massimo della razionalit; il medico coinvolto dallemozione per dare il meglio di s deve

109

esercitare una violenza su se stesso. Personalmente non sono


mai riuscito ad abituarmi alla sofferenza del paziente.

Visitai il giovane malato.


Al termine gli dissi che avrei avuto la necessit di qualche altro
esame e che lui sarebbe stata la prima persona in assoluto a conoscere le mie conclusioni. Apprezz molto.
Le mie giornate, successive a quella visita, terminavano sempre
con una telefonata alla mamma di Ivano.
Erano telefonate che in qualche modo preparavano la famiglia al
dramma dellintervento chirurgico. Espletati gli esami clinici, la mia
conclusione fu: amputazione dellarto, e stadiazione postchirurgica per una corretta valutazione terapeutica.
Arrivai in ospedale, il giovane paziente stava riposando; parlai con
i genitori. Fu una notizia angosciante per tutti.
In quella circostanza mi fu detto che io sarei stata lunica persona
in grado di annunciare al paziente quella decisione.
Rimasi senza parole. Non attesi la risposta alla domanda che mi
feci per sapere se anche questa sofferenza fosse un dovere del
medico. Annuii col capo. Li salutai.
Pensai che il medico termina di essere medico solo quando chiude gli occhi, per sempre.
Il dialogo fu molto lungo e difficile. Ebbi la sensazione di parlare
110

con un adulto che mi faceva domande da adulto e, logicamente,


da ragazzino. Quando sar lintervento, quanto durer , dove avverr lamputazione, per quanto tempo dovr rimanere in ospedale, la protesi, potr ancora partecipare alle gite scolastiche, potr
andare in bicicletta, il gioco del calcio.
Cercai di dare precise risposte a tutte queste domande.
Consolare non significa mentire.
Eravamo in inverno. Gli dissi che durante lestate successiva
sarebbe venuto a trovarmi al mare e avrebbe nuotato con miei
amici pescatori.
E al mare venne.
Il giorno dopo convocai i genitori.
Volevo fare loro un discorso molto difficile da capire, apparentemente contraddittorio, che per sarebbe stato sicuramente uno
scudo di protezione per i genitori del giovane malato.
Volevo ancora una volta sottolineare di non avere il minimo dubbio
sulle mie conclusioni cliniche; desideravo solo chiedere loro se
per caso, in tutta serenit, avessero intenzione di chiedere un
secondo consulto. La mia esperienza ospedaliera prevedeva
i successivi momenti di paure e di sconforto e sapeva anche che
in quei momenti, nelle pieghe dei pensieri, avrebbe potuto trovare
spazio il dubbio di una mancata verifica sulla decisione chirurgica.
Nel caso avessero avuto quel desiderio avrei dato loro dei precisi
riferimenti per evitare un inutile oncoturismo.

111

Allo sbigottimento iniziale a poco a poco prese spazio il ragionamento e, alla fine, il ringraziamento.
Era un discorso di un medico che era anche padre. Il giorno dopo
la madre di Ivano mi telefon per dirmi che sua sorella le aveva
suggerito un altro parere. Feci il nome di un illustre oncologo milanese. Gli scrissi una breve relazione; precisai di non avere dubbi,
di essere convinto delle mie conclusioni e di avere unicamente il
grande desiderio di proteggere in tutti i modi due genitori disperati.
La sua risposta fu: un abbraccio in silenzio.
Ivano fu operato.
Lestate successiva venne da me al mare, a Fano.
Andammo anche a Urbino. Fu molto bello.
Era sereno. Per la prima volta vidi sua madre sorridere.
Ivano mi regal una penna stilografica. Il bigliettino da lui scritto
diceva: perche lei sia sempre piu preciso. Non ho mai capito
quale fosse il significato di quella frase. Nemmeno sua mamma
seppe dare una interpretazione.

Ho parlato con un giovane di nome Ivano


Stava morendo. Mi faceva domande alle quali non sapevo pi rispondere.
Ci stringemmo la mano.
Le mani quando sincontrano aggiungono alla loro caratteristica
112

sensoriale del tatto quella pi prestigiosa della comunicazione.


E vero, possono essere arroganti, vendicative, ma quando le dita
si incontrano con altre dita si vive uno scambio di emozioni, di
affetto, di riconoscenza, di amore.
Anche questo un linguaggio.
Non universale. Omologato per poche persone, fortunate per avere questo dono naturale.
Bisogna ascoltarle in silenzio.
Solo allora si ottengono risposte alle domande che luno ha fatto allaltro. Mi dicevano che non voleva uscire da quella stanza.
Che anche lui avrebbe desiderato diventare grande per essere un
anello della catena del mondo.
La realt non lasciava spazio alle illusioni. Le dita, almeno loro,
non sanno fingere; per se si abbracciano in un certo modo sanno
consolarti. Nellabbraccio alcune di esse perdevano calore.
Erano le sue.
Ho pianto con lui.
Volevo anchio fuggire dal mondo per essergli ancora vicino.
Volevo ringraziarlo per quanto mi avesse arricchito.
Questo fu il mio saluto. Mi salut in punta di piedi.
Le lacrime adesso non erano pi le prime consolazioni dei grandi
dolori, erano espressione di dolore profondo.

Ho parlato con una giovane donna: il suo nome era Gianna.

113

Gianna da sempre stata una cara compagna di vita di mia moglie; per me una cara amica acquisita. Donna con personalit fragile, insicura, colma di generosit e di affetto per tutto il mondo.
Aveva sempre bisogno di riferimenti sicuri e teneva conto dei consigli di persone fidate.
Aveva sempre desiderato un figlio che non era mai nato. Aveva riversato sui nipoti, figli di una sorella, tutto quellaffetto che solo una
madre sa dare.
Gianna nella vita di tutti i giorni era una persona gradevolissima.
Subiva il fascino delle persone che avevano un contenuto; per la
sua bont era portata ad enfatizzare il valore degli altri al punto
dei miti; spesso inesistenti.
Errori di valutazione che talvolta si sono trasformati in errori di vita,
con gravi conseguenze per sua fragile struttura psicologica.
Aveva il culto dellestetica. Per una banale gibbosit del naso ricorse allaiuto del chirurgo estetico; il risultato fu che il profilo greco ottenuto era cosi insolito da fa capire al mondo che era stato
tolto un difetto. Non ebbi mai il coraggio entrare nellargomento.
Gianna aveva delle mani molto belle.
Quando era in difficolt parlando spesso le volteggiava con molta
disinvoltura vicino al naso, come se avesse voluto polarizzare lattenzione degli altri sulla loro bellezza.
Personalmente ho dei flash indimenticabili di questa amica. Per
114

un certo periodo della mia vita sono vissuto fuori Milano, a pochi
chilometri dal centro della citt, in una villa con un grande giardino.
Di tanto in tanto Gianna e suo marito venivano a trascorrere il weekend da noi. Una volta volle improvvisare un pranzo in giardino.
Mi inform sui dettagli. Ebbe la mia approvazione.
La vidi camminare un poincerta sulle beole al bordo della piscina.
Inciamp e cadde a terra con una pila di piatti in mano.
Fu una frantumazione generale. Ricordo bene lespressione del
suo sguardo. La sorpresa, la vergogna, lincredulit la facevano
da padroni. Per fortuna non fini in acqua, non sapeva nuotare.
Eravamo a Fano per festeggiare il Carnevale.
I soliti amici. La solita compagnia.
Gianna mi si avvicin per riferirmi una sua preoccupazione. La
visitai subito in casa mia. Programmai telefonicamente una serie
di controlli a Milano. Fu accertato il tumore della mammella.

Ho parlato con Gianna

Eravamo in una stanza di una Clinica di Milano. Prima di entrare


non sapevo cosa avrei detto: sapevo per che attraverso gli occhi
si arriva allanima.
Gli accertamenti avevano sentenziato la diagnosi.

115

Lintervento di mastectomia sarebbe stato inevitabile.


Abbiamo parlato per ore.
Abbiamo parlato di mutilazioni.
Abbiamo parlato di mortificazioni estetiche.
Abbiamo parlato di malattie oncologiche ancora pi gravi.
Abbiamo parlato dei santuari oncologici che difficilmente sono
raggiunti dalla terapia.
Abbiamo parlato anche dei tumori orfani.
Alla fine fu lei a dire ai parenti che sarebbe stata operata e che
tutto sarebbe andato bene.
Mi sorrise. Le sorrisi. Era come compiaciuta di s stessa.
Non avevo guarito la fragilit di una paziente; avevo ottenuto il
suo consenso a camminare insieme. Mi ha dato serenit.
Ho ripensato molto a quelle ore di colloquio.
Ci furono anche molte pause.
Le pause tra una parola e laltra non sono volute. Non sono studiate come insegna la dialettica di Cicerone.
Le pause non sono mai una speranza perch la speranza nasce
dalle parole non dal silenzio.
La pausa:
E il cuore che si ferma; che non sa proseguire; che chiede aiuto
al cervello per cercare fra mille parole quella giusta, quel termine
che definisce il problema e che spaventa meno.
116

E un tentativo disperato di ricerca di quel vocabolo giusto per


completare un discorso iniziato e difficile da finire.
E il timore di non dire bene la verit che fondamentale per chi ti
ascolta. E la disperata ricerca di far sempre trionfare la vita sulla
morte, di dare un futuro al mondo, dignit di vita.
La pausa la ricerca della salvezza a tutti i costi.
La pausa pu anche nascondere una condanna definitiva che non
sai come esprimere:
Si conclude quando gli occhi si guardano.
Il paziente ha capito che stai entrando in lui.
Adesso il suo animo non ti riceve come un amico saluta un amico.
Non pi un discorso fra persone che vogliono sapere.
E unaccettazione di una realt che non diventa parola ma riesce
a farsi capire.
Non un momento di debolezza.
E unesasperazione della sensibilit.
E unaccettazione di una situazione che non ha il coraggio della
parola. Che non consente di esprimere il dolore della conclusione.
Io non posso fuggire.
E un mio dovere parlare.
Non mio desiderio trasferire ad altra persona questa mia sofferenza interiore.
E molto difficile che questo non avvenga.
117

La pausa il tramonto di progetti, di speranze, di rincorse verso Il


futuro lontano che diventa molto prossimo che diventa improvvisamente limmediato e che comunque non si pu pi raggiungere.
Perch sparisce. Si annulla. Lindividuo sente il nulla.
Oggi suo, domani sar il mio.
Questo delirio di sensazioni, che coinvolge la mia realt e la sua
fine, dovrebbe avvenire ad occhi chiusi per non scoprire quello
che le parole non dicono ma che la nostra sensibilit ad occhi
aperti traduce.
E lincontro della vita con la morte, delle parole con il silenzio,
della ribellione con laccettazione crudele del destino. E una resa
allimpossibile.
Incondizionata.
E la vera risposta ai miei limiti.
Il mio codice genetico non pu pi sorrergermi. Il grande desiderio
delle grandi capacit non ha per finalit il protagonismo: ha solo
quella di vivere facendo sopravvivere.
Perch il massimo delle gratificazioni che il mondo mi voglia
bene. E la perdita di un mondo che ha un grande senso.
Non si sa chi ha deciso questa perdita.
Chi lha programmata. Chi lha voluta.
Lindividuo coinvolto chiude le sue ali e avvolge se stesso.
E come se non volesse pi vedere quello che sta accadendo.
118

E' la paura che ha preso il sopravvento sulla ragione.


Non voler pi. E solo. Per sempre.
Quando una vita si spegne nasce sempre la speranza che altre
pause, sempre meno drammatiche, possano verificarsi.
La vita il risultato di tante soluzioni che le pause fanno nascere.

Anche il malato ha delle pause nel suo parlare.


Pu esprimere il rifiuto della diagnosi formulata.
Pu nascondere sfiducia sulla validit del parere specialistico.
Pu esprimere una profonda rassegnazione
Pu essere una sua maturata decisione.
Gianna fu sottoposta ad intervento chirurgico. Il decorso postoperatorio fu molto buono. Non fu necessario un trattamento chemioterapico. Per molto tempo segui i previsti follow-up. Sempre
negativi. Dopo un lungo intervallo libero da malattia ci fu una progressione. Fu sottoposta ad adeguati trattamenti terapeutici.
Ebbe una grave complicazione respiratoria. Le fu letale.
Poco prima di morire mi disse che senza il mio aiuto non avrebbe
avuto la forza di affrontare quella realt.
Mi manca molto.
Quando, in una giornata di pioggia, le nubi diradano e fra esse
fa capolino un po di luce si ha la speranza che il sereno ritorni.
Questa la sensazione che si vive quando, dopo una sconfitta, si
119

pensa alle persone che abbiamo aiutato.

Il prof. Costantino Mangioni, Ginecologo oncologo, Cattedratico


dellUniversita di Milano, caro amico da sempre, ai tempi del mio
Day Hospital dirigeva il reparto oncologico suor Giovanna della
Clinica Mangiagalli.
Una domenica mattina, sapendo di trovarmi, mi telefon in reparto
per chiedermi quale sarebbe stato il mio programma del giorno.
Risposi che, terminate le problematiche della mattinata, sarei stato felice spettatore del derby di calcio in programma a San Siro.
Sorrise al telefono: mi chiese la cortesia di andare da lui in reparto perch mi avrebbe sottoposto un caso clinico, una giovane
paziente appena arrivata dal Sud, che mi avrebbe interessato sia
come Internista che come Oncologo. Era vero.
Visitai una giovane ragazza con gravi problemi cardiorespiratori
determinati da unenorme massa addominale: un cistoma ovarico
dal volume impressionante.
Il volume delladdome della paziente ricordava quello globoso di
una partoriente. Discussi con gli Anestesisti i gravi rischi del collasso intraoperatorio. Ci fu, tra me e Costantino Mangioni, un rapido sguardo dintesa. Furono ore frenetiche in sala Operatoria.
Ore di grande tensione e di grande preoccupazione. I dosaggi

120

dellidrocortisone usati furono stratosferici. Uscii dalla sala Operatoria alle sei del pomeriggio. Mi gratificava pensare di aver speso
bene il pomeriggio di una domenica.
Dopo lintervento la paziente rimase in Rianimazione per alcuni
giorni. Il decorso postoperatorio fu buono.
Quando fu dimessa il personale paramedico organizz una piccola festa. Fu molto commovente.
Anni dopo, ricevetti ancora una particolare telefonata di Costantino Mangioni: questa volta il tono della voce era molto allegro:
quella giovane paziente era tornata spontaneamente: voleva salutarci e farci vedere sua figlia nata pochi mesi prima.
Eroi.
Solo per un giorno.
Un gravoso problema delloncologo anche quello di definire, nel
corso di un trattamento chemioterapico, quella linea al di l della
quale inizia laccanimento terapeutico.
Laccanimento terapeutico disumano. E sempre da proscrivere.
Loncologo ha il difficile compito di capire quando il paziente non
pi in grado di subire gli effetti collaterali di un trattamento.
Il dialogo corretto crea sempre un senso di protezione.
Il senso di protezione migliora la speranza.
Vivere con il malato i piccoli successi di una terapia un obbligo
del medico che cura. Quando la terapia viene interrotta deve subito
121

essere sostituita da altre, che per il paziente devono essere


propedeutiche ad un trattamento pi blando.
Il malato non deve mai vivere labbandono terapeutico; sorgente
di grave sofferenza depressiva terminale.

Mi caro chiudere questo capitolo descrivendo due esperienze,


vissute con grande drammaticit, opposte nella loro impostazione, diverse nella loro conclusione.

Ho parlato con una giovane donna: il suo nome era Grazia


Ho parlato con un uomo: il suo nome Giulio

Grazia

Parente di vecchi amici di Fano. Conosciuta tanti anni fa. Rivista


in occasione di una festa: una ricorrenza di un anniversario di un
matrimonio. In questa circostanza, mi chiese un consiglio.
Il riferito poteva essere una premessa di una malattia tumorale
della mammella. Proposi una visita. Gli accertamenti eseguiti nel
mio Day Hospital confermarono i sospetti.

122

Ebbe un percorso oncologico molto travagliato per la malattia


ad alta aggressivit. Fu sottoposta a trattamento precauzionale
e successivamente a trattamento della fase avanzata per i gravi
secondarismi scheletrici. Si evidenziarono metastasi scheletriche
alla colonna cervicale. Il collasso di una di quelle vertebre coinvolte dalla malattia avrebbe potuto determinare tetraplegia, paralisi
degli arti superiori ed inferiori. Per questo motivo fu sottoposta ad
intervento chirurgico ortopedico per consolidare le strutture scheletriche coinvolte dalla malattia tumorale.
Le condizioni generali peggiorarono nellarco di breve tempo.
Parlai a lungo con i famigliari.
Fu deciso il trasferimento della paziente al suo domicilio di Fano.
Parlai personalmente con loncologo di quella citt per le terapie di
supporto. Il programma terapeutico fu completamente disatteso.
I Mercanti del Tempio.
Con il consenso del marito furono praticati trattamenti assurdi che
prevedevano anche numerose trasfusioni di sangue.
Un giorno un familiare chiese un mio parere su quel tipo di trattamento.
Dissi che, cosi facendo, stavano alimentando il tumore.
Mor poco tempo dopo.
Con molte sofferenze.
Un accanimento terapeutico.
123

Giulio

Giulio Aliprandi vivente. Oggi un amico. Vive in Brianza.


Ha una piccola azienda di serramenti.
Un primo di gennaio di circa trenta anni fa fu operato al Pronto
Soccorso del Policlinico di Milano per un tumore allo stomaco.
Il caso clinico era molto grave. I risultati anatomopatologici postoperatori evidenziarono una malattia localmente avanzata.
I colleghi di quel reparto mi segnalarono il paziente per valutare
eventuali possibilit terapeutiche.
La stadiazione postchirurgica dimostr un coinvolgimento linfoghiandolare. Fu sottoposto a trattamento polichemioterapico.
Gli effetti collaterali furono molto importanti.
C'erano alcuni segnali di risposta alla terapia, ma la loro dimostrazione strumentale tard ad evidenziarsi.
Per questa ragione fu molto difficile convincere il paziente a proseguire il trattamento. Il malato mi riferiva qualche modesto miglioramento soggettivo. Questi ricordi per erano completamente annullati quando usciva da casa per recarsi in ospedale: quando saliva quei
pochi gradini che precedono l'ingresso veniva sempre colto da vomito incoercibile.
Dedicai tantissimo tempo a Giulio per convincerlo a non desistere.
Sua moglie mi fu di grande aiuto.
124

Oggi, dopo un intervallo libero da malattia di quasi trenta anni,


considerato guarito.
Non ci fu accanimento terapeutico.
Solo discorsi costruttivi.
Oggi alleva fringuelli. Partecipa a gare regionali del loro canto.
E' bello vedere negli altri il proprio percorso.
Lasciare un segno.
Ringrazio il Cielo di avere avuto l'opportunit di vivere una vita
ospedaliera di prima linea, senza la routine della ripetitivit, sempre a confronto con gravi realt che hanno sempre richiesto il massimo impegno, la necessit del dialogo, sempre il rispetto della vita.

Ho conosciuto malati che provenivano da molto lontano.


La gravit della patologia trattata, il pericolo della vita, il terrore della mutilazione, la paura della sofferenza, la lotta contro il tempo, la
sfiducia nelle strutture sanitarie vicine, la consapevolezza di ricorrere a determinati ospedali per risolvere il proprio problema fanno saltare gli schemi tradizionali della nostra societ.
I pazienti si allontanano dalle loro case, si sradicano dalle loro terre,
consapevoli di non avere vicino la soluzione del loro problema.
I malati incominciano il loro lungo viaggio della speranza.
Ho conosciuto i mercanti del Tempio.
Ho conosciuto i falsi profeti.
La profezia non esiste.

125

Esiste solo la cruda realt della scienza.


Solo la legge dei grandi numeri ci dice se siamo sulla strada giusta.
Quando l'Oncologo parla con un paziente deve perdere i parametri del
tempo, deve cercare con il malato la serenit perduta, deve ravvivare la
speranza.
La sacralit della vita chiede la ricerca della sopravvivenza.
SPAZIO
Ho conosciuto malati che provenivano dall'altra parte del mondo.
Senza cercarli ho conosciuto clandestini, senza famiglia, senza
documenti o con documenti incomprensibili.
Erano avvolti dal terrore della clandestinit, terrorizzati dalla malattia,
con occhi questuanti aiuto, con un'espressione di linguaggio che doveva
essere intuito piuttosto che capito.
Domiciliati chiss dove.
Chiss con chi.
Quei volti non li rivedr mai pi; forse li incontrer ancora nel regno dei
morti.
Quei volti sono scolpiti nella mia memoria.
Mi sono reso conto di un'altra grave ingiustizia sociale: non siamo tutti
uguali nemmeno di fronte alla stessa malattia.
Esistono i figli di un "Dio minore".
Forse sarebbe bene ricordare quando ci lamentiamo della nostra vita
che la nostra sorte, talvolta criticata, non poi stata cos amara, cos
matrigna.
Non abbiamo mai sfidato la morte per conservare la vita.
Non siamo mai ricorsi alle barche per cercare la vita.
Abbiamo sempre avuto una vita con un futuro.
SPAZIO
Nel porto di un ospedale non approdano imbarcazioni di lusso; quelle
sono ancorate alle Cliniche Private.
Da noi arrivavano persone che conoscevano solo la sofferenza.

Ho visto un vecchio, ricco di caducit e malattia, ricurvo su s stesso,


incapace di guardare il cielo, fragile nel suo fisico, instabile nel suo equilibrio,
offrire la propria mano a una donna, forse sua moglie, in gravi difficolt.
Era la dichiarata offerta di aiuto di chi soffre a chi soffre di pi.
Immagini che si sono perse nel tempo e con loro si perso il nostro futuro.
Chi ha la capacit di aiuto e non aiuta muore dentro, muore prima.
L'atto di amore non mai a senso unico.
Credo agli Dei quando dicono che tutto sar restituito.
SPAZIO
Ho conosciuto il fondamentalismo religioso.
Ho portato sulla mia pelle il rifiuto di trasfusioni di sangue per motivi religiosi.
Ho conosciuto la disperazione di una giovane donna alla quale avevo
proposto l'interruzione della sua prima gravidanza.
Le terapie che avrebbe dovuto affrontare avrebbero sicuramente procurato
effetti malformativi sul nascituro.
L'argomento che la convinse fu che l'amore deve sempre generare amore
e mai tragedie.
SPAZ IO
Le pratiche da inoltrare all'Amministrazione dell'Ospedale per ottenere
l'autorizzazione a curare pazienti clandestini, garantedo loro assoluta protezione, erano complicate ma non impossibili.
Oggi, per motivi di et, non avendo pi a disposizione una Struttura
Oncologica, mi sono proposto per consulenze gratuite all'Opera San
Francesco di Milano.

Una grande lezione di vita

127

Nel linguaggio comune il miracolo definito come un evento straordinario che si verifica.
E questo si verificato.
Riconosco di avere vissuto unesperienza che ha cambiato non
solo la mia vita, ma anche quella del Day Hospital Oncologico e dei
miei pazienti.
Non sono stato spettatore, ma attore di un episodio sconvolgente.

I fatti in ordine cronologico:

Un giorno Il Direttore della Clinica Ostetrica Ginecologica Mangiagalli, mi segnal il caso di una giovane paziente, infermiera
dellospedale di Trento, ricoverata in quella clinica per sospetta
neoplasia ovarica.
Gli accertamenti, da loro eseguiti, avevano dimostrato che non si
trattava di una neoplasia primitiva dellovaio ma di metastasi ovariche a primitivit sconosciuta.
Mi invi la paziente per competenza.
Era un tumore gastrico di Krukemberg che, come spesso accade,
aveva indotto secondarismi ovarici.
E un tumore particolare per le sue caratteristiche. Le sue cellule presentano una immagine microscopica a castone perch la
mucina prodotta dal citoplasma comprime il nucleo alla periferia
128

e fa assumere alla cellula unimmagine di anello. Si diffonde per


via linfoematogena ma anche per insemenzamento con impianto
tumorale su altri organi: lovaio il bersaglio pi frequente.
E come se il tumore entrasse in ebollizione e che quel cambiamento di stato fisico facesse tracimare il contenuto dal suo contenitore. Le cellule tumorali, per gravit, sono in caduta libera nella
cavit addominale e insemenzano altri organi.
E un tumore di particolare aggressivit. La diagnosi non mai
precoce; in genere avviene per evidenza delle metastasi.

La paziente era una infermiera dellOspedale Civile di Trento.


Si chiamava Loredana Dallavalle.

Chiesi un consulto con il prof. Staudacher direttore della Chirurgia


dUrgenza, grande esperto di chirurgia generale ed in particolare
di quella addominale.
Fu deciso lintervento chirurgico.
Poco prima che iniziasse leffetto della anestesia generale sussurrai allorecchio di Loredana qualche parola: le dissi che tutto
sarebbe andato bene e che in autunno, eravamo in primavera, mi
sarei recato nel trentino e saremmo andati a insieme a raccogliere
funghi. Ebbe una reazione molto vivace.

129

Raramente avevo visto in precedenza un sorriso cos gioioso.


Non so il perch dissi quella frase.
Volevo stabilire una sintonia immediata.
Volevo stabilire un lunghissimo ponte fra lei e il suo futuro.
Volevo crearle sicurezza.
Volevo darle garanzie di vita.

Mi sono chiesto tante volte come mai in quel momento avessi pensato ai funghi, argomento che non aveva alcuna ragione di essere
presente nella mia mente in quella circostanza, anche perch non
sapevo che Loredana fosse davvero interessata a quel particolare
passatempo.

Lintervento, particolarmente demolitivo, fu ben tollerato.


Era accompagnata dalla mamma; parlai a lungo con lei. Le feci
presente la gravit della situazione senza nascondere le mie speranze. Fu dimessa dallospedale.
La rividi dopo circa quaranta giorni per i previsti controlli e per la
programmazione della chemioterapia che le sarebbe stata praticata allospedale di Trento. Periodicamente mi sentivo al telefono
con la paziente. Mi sembrava tranquilla.
Di tanto in tanto telefonavo a sua madre per avere delle conferme
sulla veridicit delle buone notizie che la paziente mi dava.
Ebbe,
quasi al termine dei cicli di terapia previsti, problemi di tos130

sicit midollare. Loredana chiese la mia presenza.


Andai a Trento. Fu molto felice.
Anchio ero stato molto gratificato dal suo desiderio di sentire un
mio parere. Seguirono mesi di discreto benessere. Venne pi volte a trovarmi a Milano.

Nellinverno successivo si ripropose il problema della tossicit midollare con grave riduzione delle sue difese immunitarie.
Era inverno inoltrato. Un focolaio di broncopolmonite le fu letale.

La Clinica Mangiagalli dellUniversit di Milano un porto di


mare.
In alcune ore della giornata, e in particolare al mattino, le lettighe in arrivo, le code per le prenotazioni delle prestazioni
specialistiche, i vari Day Hospital specialistici, i donatori di sangue
afferenti al centro trasfusionale, i famigliari dei pazienti ricoverati,
i medici in transito e la premura di tutti conferiscono alla clinica un
clima di vitalit intenso.
In una mattina di quelle mentre cercavo di camminare frettolosamente per raggiungere un padiglione esterno, accettando o offrendo la precedenza a seconda delle circostanze, sentii un voce
femminile. Quella voce, con tono insolito, disse: scusi. Non era
vicina. Guardai nella direzione della voce.
131

Era una ricerca di dialogo rivolta a me. Mi ricordava una voce


conosciuta.
Mi fermai.
La signora si avvicin.
Quando fu davanti a me con uno sguardo un po assente mi chiese:
dove posso incontrare il professor Baroni?
Scusi lei chi ? Sono Bruna Dellavalle.
Non lavevo riconosciuta.
Il dolore di una madre che perde una figlia.
La metamorfosi della disperazione.

Era una signora molto anziana, magra, non molto alta, vestita di
nero, dagli occhi scavati, in parte nascosti da occhiali scuri.
Gli occhiali non la proteggevano dalla luce, la difendevano da quel
mondo che non voleva pi considerare, che non voleva pi rivedere; erano uno scudo contro quellambiente ospedaliero che non
voleva pi ricordare.
Per una madre, quando la vita di una giovane figlia tace per sempre, inizia la morte quotidiana. Che si ripete allinfinito senza pause.
Credo che la sofferenza di una madre sia diversa da quella di un
padre. E la patologia del funicolo ombelicale attraverso il quale la
madre una volta nutriva e veniva a sua volta nutrita di gioie, di
speranze, di amore, di voglia di vivere, di serenit, di futuro.
132

Il futuro non solo rappresentato dagli anni a venire, soprattutto


concretizzato dal vissuto dei nostri figli.
Da quella serie infinita di anelli, uniti luno allaltro, che anche i figli
costruiranno e faranno la storia del mondo.
Non c ricchezza pi grande.
Non vero che il tempo sia quel gran medico che risana le ferite:
quel personaggio crudele che non ti permette di scegliere tra la
vita e la morte.
Quel personaggio che vive con te per tutta la vita.
Lo sguardo di quella madre adesso vuoto. Niente lo potr riempire. Perch quella madre non vuole altri contenuti. Vorrebbe solo
possedere ancora quello che per suo diritto aveva in s.

Signora, mi scusi, non lavevo riconosciuta.


Si accomodi nel mio studio. La pregai di accomodarsi.
Volle stare in piedi. Inutili furono le mie insistenze.
Sono partita questa mattina da Trento per... fece una lunga pausa.
Questa volta la pausa voleva arginare le lacrime.
Ammesso che ce ne fossero ancora.
...Per portarle questi funghi che Loredana ha raccolto per lei.
E li pose sulla mia scrivania.
Fu grande la mia commozione; tanto grande da non permettermi di
proferire parola.

133

Se il mio pensiero si fosse trasformato in suoni sarebbe stato accompagnato da lacrime.


Sarebbe stato ingiusto indurre al pianto laltra persona che per
sua dignit non voleva manifestare. Ci furono molti secondi di profondo silenzio.
In quel momento il silenzio non era lontananza, era comunione
di spiriti, era quellunione che solo i grandi dolori e le grandi gioie
generano.
Gli animi in silenzio parlano fra loro.
Quando questo succede tutti si vogliono bene.
Tutti si augurano il proprio fine: per me la consolazione e la serenit di avere agito bene; per lei la speranza di finire presto quella
sofferenza. Un sole che sorge; un sole che tramonta.
Scorgevo in lei una grande premura.
Era molto agitata.
Sembrava volesse iniziare un discorso difficile da fare, o, vista la
sua premura, finire un discorso mai iniziato.Con le due braccia
teneva stretta al petto una sua borsetta sdrucita.
Si avvicin.
Apri la borsetta.
La rovesci sulla mia scrivania.
Uscirono rotoli e rotoli di denaro tenuti insieme da elastici. Loredana ed io abbiamo deciso insieme di donarli a lei perch possa
cosi
far fronte alle difficolt che tutti i giorni incontra.
134

E continu: Limportante che lei continui a studiare.


Mi sembrava di essere stato colpito da una potente scarica elettrica.
Dopo quelle parole la signora Bruna sembrava aver acquisito una
certa tranquillit.
Pochi attimi dopo inizi un discorso molto pi sereno. Ho ancora
un compito da svolgere mi disse: vorrei ringraziarla per tutto quello
che lei ha fatto per noi. Quel denaro non suo; per la ricerca sul
cancro; non una ricompensa per lei. Quindi mi sono permessa
di fare questo presente alla sua signora e pos sulla scrivania
un oggetto doro di famiglia.
Detto questo si diresse verso la porta e sarebbe sicuramente uscita
se non glielo avessi impedito con tutte le mie forze.
Signora, le dissi, come medico non posso gestire una lira che mi
viene donata in ospedale.
La prego di sedersi, di darmi i suoi riferimenti, di dirmi lammontare della somma del denaro perch fra pochi minuti il tutto sar
custodito in una cassaforte degli Istituti Clinici di Perfezionamento
Era unimportante somma di denaro.
Ci salutammo.
Lei mi sembrava pi serena. Io ero estremamente confuso.
Dove pu arrivare lAmore.
Non esistono confini.

135

Pochi minuti dopo ero dal Segretario Generale Dott.ssa Angela


Matacchini. Le raccontai laccaduto. Aveva gli occhi lucidi.
Mi disse: E tutto a sua disposizione.
Uscendo da quellufficio incontrai un mio collaboratore. Mi pose
delle domande che non ricordo.
Non risposi a quelle.
Gli dissi solo Noi lavorando molto bene stiamo facendo solo il
nostro dovere, niente di pi, perch abbiamo doti e le capacit.
Da oggi dobbiamo fare molto di pi.
Mi guard stupito.
Era veramente nato il Day Hospital Oncologico degli Istituti Clinici
di Perfezionamento.
Da quel momento tutto si trasform.
Per qualche giorno ebbi una strana sensazione: quella di vivere
negli anni 40 come un personaggio protagonista di un film di Frank
Capra.
Di vivere una fiaba moderna e di identificarmi in una di quelle.
Le difficolt si presentavano ma venivano rovesciate con un improvviso capovolgimento di situazione.
Un eroe per caso.
Avevo anchio trovato la vecchietta che mi aveva dato la mela rossa che mi avrebbe protetto dalle insidie e difeso dai nemici.
Dopo questa sensazione, molto fugace, unaltra pi importante,
giorno
dopo giorno, prese spazio nei miei pensieri.
136

Tanti episodi importanti si verificarono con una tale puntualit da


farmi pensare ad un Disegno da Altri programmato: pochi giorni
dopo la Grande Lezione di Vita fui invitato a Bologna ad una tavola rotonda sul Tumore della Mammella. Feci la conoscenza con
il prof. Franco Pannuti direttore dellIstituto Malpighi di Bologna.
A termine delle nostre discussioni scientifiche gli raccontai la mia
esperienza di pochi giorni prima. Mi ascolt con molta attenzione.
Mi disse che anni prima aveva fondato lA.N.T.: Associazione Nazionale dei Tumori Solidi con sede centrale a Bologna e con altre
sedi sparse in tutta Italia.
Non a Milano.
Se avessi fondato la sede di Milano avrei avuto la possibilit di
gestire quella donazione in borse di studio per lattivit del Day
Hospital e per la ricerca.
Pochi giorni dopo ebbi dal Cardinale Poma una lettera di presentazione per il Cardinale Martini di Milano. Fui presentato al Monsignor Angelo Majo, Arciprete del Duomo di Milano.
Nellanno 1986, nel Museo del Duomo di Milano nacque la Sezione
Milanese Loredana Dallavalle dellAssociazione Nazionale per
lo Studio e Cura dei Tumori Solidi.
E nata cosi una associazione benefica che si proposta di agire
come strumento di riferimento, di stimolo, di coordinamento per
indirizzare i contributi che nascono dalla umana solidariet di pri137

vati verso la soluzione dei problemi riguardanti i pazienti affetti


da tumore solido. La sezione ha avuto lo scopo di promuovere la
ricerca oncologica e sviluppare i servizi di assistenza.
Un giornale scrisse: Nella situazione tanto problematica del mondo in cui viviamo c un grande bisogno di solidariet fortunatamente molti sono disposti ad offrirla.
La sezione Loredana Dallavalle stata una risposta alla domanda di mediazione tra benefattore e paziente.
La sua storia stata una prova di generosit e di amore per il
prossimo.

Quella grande lezione di vita ha completamente rivoluzionato il


Day Hospital.
Furono aperti bandi di concorso per il nuovo personale medico.
Fu assunto un esperto di informatica per codificare i vari programmi relativi alle attivit della struttura.
Fu bandita una borsa di studio per un esperto del C.N.R., Centro
Nazionale di Ricerche, per la ricerca scientifica. Fu presente una
psicologa per lassistenza ai pazienti.
Tutto fu computerizzato.
Le cartelle di tutti i pazienti afferenti al Day Hospital furono inseriti nella banca dati; al termine di ogni visita ogni cartella veniva
aggiornata. Sono state praticate visite specialistiche a domicilio
138

gratuite. Un parente del paziente che arrivava dal profondo sud


per sottoporsi alla programmata chemioterapia era ospitato gratuitamente, per i giorni della durata della terapia, presso un albergo,
gestito da frati, nelle vicinanze dellospedale.
Personalmente ho contattato una compagnia di taxi per il trasporto dallospedale al domicilio del paziente anziano bisognoso di
assistenza.
Erano operative espressioni molto moderne di assistenza civile.

Fu detto: da oggi dobbiamo fare molto di pi


Stavamo facendo.
A nessuno era proibito di sognare.
La libert del sogno stato lo stimolo della nostra vita ospedaliera.

Linsegnamento che emergeva:

Il successo di una donazione: La successione miracolosa dei risultati ottenuti.


La signora Bruna disse: perch lei possa far fronte alle grandi
difficolt che incontra tutti i giorni. Alla signora Bruna nessuno
aveva mai parlato delle problematiche del Day Hospital.
E sempre vissuta nel suo eremo di Trento. E venuta, vero, varie
volte a Milano quando Loredana era ricoverata in Clinica
139

Mangiagalli ma non aveva mai messo piede nella mia struttura.


Non sapeva nemmeno che esistesse. Erano parole profetiche.
Un Miracolo nel miracolo.
Nessuno avrebbe immaginato leffetto dirompente di quella donazione. Quellespressione di generosit ha prodotto una serie di
reazione a catena di fatti, di avvenimenti.
Ha creato delle coscienze. Ha cambiato la vita di una struttura
ospedaliera che sicuramente sarebbe implosa per mancanza di
persone, di tecnologia, di supporti di ogni tipo.
Ha cambiato il modo di pensare e di agire delle persone coinvolte
che a loro volta sono diventate sorgente di stimoli e di fiducia per
altre persone.
Ha creato nelle coscienze un nuovo spazio dove ha trovato vita il
desiderio di fare del bene
Improvvisamente le persone si sono trasformate: a loro volta davano vita ad iniziative per ottenere qualcosa di nuovo, qualcosa
per gli altri. Mi riferisco alle numerose persone che sono venute
da me con proposte di iniziative che avrebbero raccolto fondi di
solidariet. Penso a quel noto cantante della mala milanese che
si offr per serate di beneficenza dicendomi: El me gatt porter
ancora fortuna. Penso a mia moglie, alle sue amiche, ai miei figli,
ai loro amici, agli amici degli amici.

140

Cosi sono nate, a favore dellassociazione, le gare nazionali di Bridge, le serate di beneficenza alla famiglia Meneghina di Milano,
le cene di beneficenza, numerosi spettacoli teatrali nei migliori teatri della citt. Parlai dei nostri programmi con il Sovraintendente
del Teatro alla Scala di Milano. Al termine del colloquio assegn
allAssociazione La Prima di un Balletto.
Fu una serata indimenticabile. Giovanissime ballerine in tu tu
posero, prima dello spettacolo, su tutte le poltrone un fiore ed una
busta che conteneva il nostro messaggio: quello di Loredana.
Al termine del loro spettacolo ritornarono alle poltrone per incontrare la solidariet dei milanesi. Fu una serata molto suggestiva.
Sulle Locandine del Teatro cera scritto: Serata a favore della
Sezione Milanese Loredana Dallavalle per lo studio e cura dei
tumori solidi.
Con il grande aiuto di Monsignor Angelo Majo sono nati i grandi
concerti alla Basilica San Marco di Milano.
Alcuni artisti vennero dallestero. Quelle serate ebbero un grande
successo di pubblico e di solidariet.
Analoghe iniziative nacquero in Piemonte; molte nel trentino.
A sua volta la signora Bruna organizzava incontri nei salotti buoni
della sua citt per pubblicizzare

le iniziative milanesi. Era un

mio dovere essere sempre presente.

141

Insomma una lunga catena di miracoli, di aiuti economici per il


Day Hospital Oncologico.
Credo che ognuno di noi, se volesse, potrebbe rinunciare ad una
infinitesima parte del proprio avere per donarlo agli altri. Noi rimarremmo sempre noi stessi. Altri sopravviverebbero.
Non verrebbe richiesta la grande privazione che San Francesco
amava ripetere: Quod superest date pauperibus.
La frase evangelica, ricca di significati, oggi sarebbe impossibile
da definire per la soggettivit del concetto del superfluo o del concetto del di pi, dellinutile, come alcuni studiosi hanno interpretato scomponendo la parola superest nelle due: super est.
Verrebbe solo richiesta un po generosit e un po di fiducia negli
altri. Personalmente credo che generosit e fiducia siano premesse necessarie per ricostruire un mondo perduto, per ritrovare noi
stessi, per avere speranza di futuro.
Senza generosit e fiducia il tempo si fermato.
La donazione di Loredana e di sua madre ad una struttura che
loro stessi pochi giorni prima non sapevano che esistesse; la motivazione della donazione che era vera, reale, ma che loro non
potevano conoscere; il fatto che la signora Bruna sia venuta a
Milano, e che in quella marea di persone venisse a chiedere a me
dove avrebbe potuto trovare me; il mio primo invito alla tavola ro-

142

tonda di Bologna, dove non conoscevo nessuno, dove apprezzai


gli interlocutori e fui apprezzato; il fatto che fra tante sedi periferiche dellA.N.T. non ne esistesse una a Milano; il Cardinale Poma;
la sua lettera di presentazione; il cardinale Martini; il Monsignore
Angelo Majo; lAssociazione che nasce nel cuore di Milano, nel
Museo del Duomo; il Teatro alla Scala; aver dato ospitalit a Milano ai familiari dei malati che arrivavano dal profondo sud per
la durata della terapia del malato, lesplosione del Day Hospital
oncologico sono tutti episodi che non passano inosservati.
Mi difficile dare una interpretazione.
La cronologia di tanti importanti avvenimenti, la loro successione,
la complementarit di ognuno di loro rispetto a quello precedente
mi hanno indotto a particolari considerazioni. Non so se tutto questo sia avvenuto per caso.
Non credo nella Predestinazione anche se mi avrebbe fatto piacere pensare di essere stato un protagonista predestinato. Se la
Predestinazione esistesse sarebbe di fatto annullato il libero arbitrio. Senza libero arbitrio luomo sarebbe con tanta Fede e con
pochi meriti. Diseguaglianze abissali.
Ingiustizie profonde.
Senza entrare nel rigore di SantAgostino, o nelle divergenze di
pensiero che Lutero, Calvino ed altri pensatori hanno espresso a

143

questo proposito negli anni successivi, devo ammettere che qualche volta, soprattutto nei rari momenti di ottimismo, ho accarezzato lidea di trovarmi su una piccola barca, nel corso di un fiume.
Il mio libero arbitrio era rappresentato dalla possibilit di approdare alla sponda di destra o di sinistra del fiume; il mio destino era
per rappresentato dalla direzione del corso delle acque.
Era forse una soluzione opportunistica che in certi momenti fa
bene al cuore.

Anche fuori dalle mura ospedaliere ho vissuto molti momenti magici:


Ne ricordo uno in particolare che, da quando nato, mi accompagna tutti i giorni; sento che mi protegge: E unaltra mela rossa di
Frank Capra; la vecchietta centenaria che me lha regalata: una
mia paziente, veramente centenaria, che abitava al porto di Fano.
Una brevissima storia:
Fano una deliziosa cittadina delle Marche dove trascorro giorni
della mia vita. La vita del porto una vita particolare con espressioni di vita, di comportamento, di dialetto, di riconoscenza, di tradizioni che ricordano, dicono i pescatori, quelle di cento anni fa.
Queste caratteristiche sono ancora attuali. Altre, quelle che feci in
tempo a conoscere e che ricordo con tanta nostalgia, sono state
per sempre risucchiate dalla risacca del mare.
I144
vecchi pescatori avevano tutti un soprannome che sempre ricor-

dava un loro atteggiamento, una loro abitudine, una loro caratteristica, un loro difetto. Spesso quel soprannome veniva detto
anche al femminile per identificare la moglie di quel pescatore.
Il porto aveva la sua storia costruita da leggende, da tragedie del
mare, da episodi di grande generosit.
La gerarchia dei pescatori era costruita dalla loro storia.
Dalla storia del porto.
Con i Grandi Vecchi si parlava con molto rispetto.
Con loro si parlava con il cappello in mano.
La fischiona era la moglie di fischion, Il Grande Vecchio del
Porto di Fano. I fischioni sono un tipo di pasta che il pescatore
prediligeva. Erano analfabeti. Durante lultima guerra sub delle
punizioni perch, non sapendo leggere lorario di partenza di un
treno, arriv con molto ritardo a un raduno militare.
Non calz mai un paio di scarpe, nemmeno in occasione dei matrimoni dei figli. Provenivano da uninfanzia poverissima. La signora Pina, questo era il vero nome della moglie, non nascondeva di
avere vissuto di carit.
Ebbero dei figli che fecero una buona e stimata carriera nel porto
di Fano; divennero proprietari di numerose imbarcazioni.
I due Grandi Vecchi furono miei pazienti.
Fischion mor per un tumore del polmone. La signora Pina pur

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non sapendo leggere ne scrivere tutti i giorni con il suo baracchino, come lei lo amava definire, era di fatto un radiotelefono,
rimaneva in contatto con le imbarcazioni di Fano in mare aperto.
A lei si rivolgevano gli uomini in mare perch provvedesse
ad allertare gli specialisti di cui i marinai avrebbero avuto immediatamente bisogno al loro rientro. Potevano essere problemi di
reti, problemi meccanici o problemi elettrici. Era quasi centenaria
quando ebbe una serie di problemi cardiaci.
Era estate. Mi trovavo a Fano.
La mia casa era a muro a muro con la sua. Quel giorno ebbe una
crisi pi grave del solito. Tutti erano presenti, in lacrime: i figli, le
nuore, i nipoti, uno stuolo. Sembrava che fosse alla fine.
Misi in pratica disperati interventi terapeutici.
Fummo fortunati. Ad un certo punto apr gli occhi.
Si guard a fatica intorno.
Mi ero allontanato per lasciare spazio ai parenti.
Incroci il mio sguardo.
Con un gesto della mano mi fece segno di avvicinarmi.
Capii che voleva sussurrarmi qualcosa allorecchio:
Ho ricevuto il pi bel augurio della mia vita: "sei stat te?"
Dissi di si con il capo."te hai da camp cent'ann e mur se hai voia!"
"sei stato tu? tu devi campare cento anni e morire solo se hai
voglia!"
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Molto commosso risposi: E solo la storia che non muore mai.


Questo augurio lo sento ancora sulla mia pelle.
La figlia, Siria, vedova da molti anni, visse la sua ultima parte di
esistenza in quella casa.
Da quel giorno su quel muretto, che separava la casa mia dalla
sua, per tutti i giorni di mia presenza a Fano, estate o inverno
che fosse, per tanti anni, sempre a mezzogiorno, cera sempre un
piatto caldo, di inestimabile valore:
il mio pranzo.
Uguale al suo.
Gli amici mi dicevano: il tuo miracolo.

ciao Siria, grazie.

Alla fine delle scale c una porta che non ho mai aperto.
Apro quella porta.
Sto per varcare quella soglia.
Vedo davanti a me una moltidudine di persone.
C molto fragore. Non riesco a capire le loro parole.
Le guardo con attenzione, le riconosco: rivedo il volto di quella
donna anziana, depressa, che voleva convincermi a non credere
nel domani; rivedo quelluomo vecchio, circondato da nessuno;
rivedo Ivano: sorridente; rivedo Gianna dal profilo greco indimenticabile. Ad un tratto, come per incanto, ho la sensazione che
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comunichino fra di loro.


Improvvisamente tutti, proprio tutti, si rivolgono verso di me,
mi sorridono, mi salutano.
Mentre con la mano rispondo al loro saluto, vedo una figura
che si allontana da loro e s'incammina verso di me.
Non la conosco.
Incuriosito la guardo con attenzione.
E' luminosa.
E' come se riflettesse una luce che riceve.
Il risultato quello di non permettermi la definizione dell'immagine
e di dover accettare solo il suo profilo, i suoi contorni.
Non vedo i dettagli.
Vivo comunque attimi di grande serenit.
Quando mi fu vicina, incuriosito le chiesi chi fosse.
SPAZIO
Sono la tua coscienza mi rispose.
SPAZIO
Allora tu sei il custode della mia vita, delle mie ansie, dei miei
dubbi, delle mie tribulazioni, dei miei risultati, dei miei percorsi,
delle mie emozioni. La mia consapevolezza, la mia percezione.
Tu sei il mio dovere, le mie rinunce, i miei ripensamenti, tu sei
la necessit del perdono, il rimpianto, la sensazione di colpa per
gli errori commessi, il desiderio di migliorare.
Tu sei il futuro.
SPAZIO
Qualcuno mi chiama Angelo Custode, mi rispose.
SPAZIO
Fui molto sorpreso da questa risposta.
Allora, dissi, se provieni da luoghi a me sconosciuti e sai cose che
io non conosco forse saprai anche dirmi perch in quella
moltitudine vedo solo miei pazienti e non vedo nessuno dei miei
cari.
Da tempo al tempo, mi rispose.

Tutti vedranno tutti.


Sar come se guardassi in un caleidocopio.
Si potranno vivere le immagini preferite.
SPAZIO
Tutti saranno presenti.
SPAZIO
Ognuno con le sembianze all'altro preferite.
SPAZIO
La sublimazione della pace
Con serenit perpetua.
SPAZIO
Mentre sono assorto nei miei pensieri sento una voce alle mie spalle.
Proveniva dal basso.
Laggi, di molti gradini pi giovane di me, c'era un uomo seduto.
Alza il capo mi guarda, mi domanda: cosa vedi, nuove esperienze?
No, rispondo:
SPAZIO
EMOZIONI (in grassetto)
S P A Z I O DI QUALCHE RIGA
E' bello svegliarsi al mattino e sentire di volere bene al mondo che
soffre.
E' un conforto addormentarsi una sera sapendo di aver voluto bene
a quel mondo.

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Indice

Introduzione

pag.

Prefazione

pag.

Ricordi dinfanzia

pag. 11

Una lunga storia

pag. 29

Una grande scelta

pag. 43

Perch loncologia

pag. 49

Un profilo

pag. 57

Istituti Clinici di Perfezionamento

pag. 63

Il Day Hospital Oncologico

pag. 67

Considerazioni generali e incontri

pag. 97

Una grande lezione di vita

pag. 127

151

152

153

mario baroni
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