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A cura di
Andrea Ranieri
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LED è l’acronimo di Light Emitting Diode (diodo ad emissione luminosa) ed è stato sviluppato nel 1962 da Nick
Holonyak Jr.
Un diodo è il più semplice tipo di semiconduttore esistente. Un semiconduttore è un materiale capace di far passare
o meno elettricità (la quantità è variabile e dipende ovviamente dal tipo di materiale con cui è composto). Molti
semiconduttori sono creati da materiale poco conduttori che però vengono modificati (dopati nel gergo elettronico)
per cambiare il bilanciamento interno tra le cariche positive e negative (da cui dipende la conduttività).
Nel caso dei LED, il materiale usato è un composto di alluminium-gallium-arsenide che ha un perfetto
bilanciamento tra cariche positive e negative e che quindi non lascia elettroni liberi in grado di far passare corrente
elettrica. Una parte di questo materiale viene modificato (dopato) aggiungendo carica positiva (ovvero dei buchi in
cui gli eletttroni di carica negativa cercano di inserirsi) da un lato e cariche negative dall’altro.
La regione con cariche positive aggiunte è detta P-region mentre l’altra N-region.
In un diodo, vengono usati materiali di tipo N e materiali di tipo P per creare il chip. Quando nel chip non è
applicato alcun voltaggio, gli elettroni di carica negativa trovano e riempiono i buchi (con carica positiva) nella zona
di contatto (al centro del chip), formando una giunzione detta anche depletion zone. In questa giunzione, tutti i buchi
risultano riempiti e quindi formano una barriera isolante in cui nessuna carica può circolare da una regione all’altra.
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Le cariche negative e quelle positive che vengono a contatto nella giunzione tra la P-region e la N-region e
formano una zona in cui nessun elettrone riesce più a passare
Per eliminare la giunzione, bisogna far si che le cariche negative passino dalla regione N alla regione P e le cariche
positive facciano l’inverso. Per ottenere questo è necessario connettere una batteria al diodo facendo attenzione che
il polo negativo sia connesso alla regione N.
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Una batteria collegata opportunamente ad un Led fa si che le cariche negative nella depletion zone si liberino e di
fatto annullano la barriera tra le due regioni
In questa maniera, gli elettroni liberi nella regione N, respinti dalle cariche negative si spostano verso la regione P. Allo
stesso modo, i buchi della regione P si muovono verso la regione N. Quando la carica tra gli elettrodi supera un certo
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voltaggio, gli elettroni negativi nella giunzione vengono espulsi dai buchi che occupavano e diventano nuovamente
liberi, di fatto eliminando la barriera che creavano in precedenza e facendo viaggiare la corrente tra i due elettrodi.
La luce è una forma di energia che viene rilasciata da un atomo. Questa è composta da piccolissime particelle chiamate fotoni
che rappresentano la singola unità di luce.
In un atomo, ci sono differenti elettroni che si muovo in un orbita intorno al nucleo. A seconda dell’orbita, un elettrone ha
una certa quantità di energia. Più l’orbita è larga, più esso è carico.
Quando un elettrone passa da un orbita larga ad una inferiore, esso perde un pò della sua energia e lo fa sotto forma di un
fotone. Più è alta l’energia rilasciata dall’elettrone , più il fotone è potente.
Nel nostro LED abbiamo visto come le cariche negative della regione N passano nella regione P per occupare i buchi con
carica positiva. Visto che i buchi hanno un quantitativo di energia inferiore alle cariche negative, esse devono consumare
della carica per poterli occupare e generano quindi fotoni (producendo la luce che vediamo).
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pensare che neanche 5 anni fa a stento si arrivava ai 50 lm/W) e per questo motivo è molto probabile che nei
prossimi 10 anni gli apparecchi stradali con questa tecnologia sorpassino come prestazioni gli apparecchi
tradizionali.
Questo articolo va pertanto letto unicamente alla luce dello stato attuale della tecnologia a LED e non come
negazione assoluta dell’applicazione di tale tecnologia all’illuminazione pubblica.
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4) Corrente di pilotaggio e flusso luminoso
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Grafico relativo al rapporto fra corrente di pilotaggio e flusso luminoso dei LED CREE XR-E
Dal graficorelativo al LED CREE XR-E si nota come aumentando la corrente di pilotaggio aumenta quasi
linearmente la percentuale di flusso luminoso emessa.
Per calcolare l’efficienza luminosa, occorre conoscere la potenza, calcolata a sua volta tramite la legge di Ohm come P =
Vf * If.
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Grafico relativo al rapporto fra corrente di pilotaggio e voltaggio dei LED CREE XR-E
Ad esempio, per una corrente 350 mA abbiamo un flusso luminoso di 100 lm e una tensione di 3,3 V e quindi una
potenza impiegata di 1,12 W. Per una corrente di 700 mA abbiamo una flusso luminoso di 150 lm tensione di 3,5V e
quindi una potenza impiegata di 2,80 W.
Si vede subito come nel primo caso abbiamo un’efficienza di 89,3 lm/W mentre nel secondo caso abbiamo un’efficienza di
53,6 lm/W.
Per questo motivo è generalmente controindicato aumentare la corrente di pilotaggio al fine di aumentare il flusso luminoso
(oltre alla perdita di efficienza si somma anche un aumento della temperatura di giunzione, che provoca un ulteriore
decadimento del flusso luminoso nel tempo).
Al contrario si può osservare come la diminuzione della corrente di pilotaggio porti ad una riduzione del flusso luminoso, che
può essere utilizzata in ambito di risparmio energetico.
Grafico relativo al rapporto fra temperatura di giunzione e vita media dei LED CREE XR-E
Il grafico mostra come la vita media stimata di 50000h corrisponde alla temperatura di giunzione di 90°C, che è quella che
normalmente viene mantenuta in tutti gli apparecchi a LED di buona fattura.
Molti produttori però non garantiscono una temperatura di giunzione così bassa: in questi casi si può vedere come a 105°C ad
esempio la durata media venga ridotta già a circa 35000h.
Anche Philips, per i LED Luxeon indica una durata media di 60000h per temperature di giunzione inferiori a 130 °C.
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Grafico che mette in relazione la temperatura di giunzione e la vita media di una sorgente a LED Philips Luxeon (con
percentuale di fallimento pari al 50%)
Il grafico di Philips si presenta più completo, in quanto all’indicazione riguardante la vita utile affianca l’indicazione
concernente la corrente di pilotaggio dei LED: si vede come aumentando la corrente di pilotaggio diminuisca
generalmente la vita utile dei LED.
Inoltre il grafico di Philips indica la percentuale di LED che ha fallito la prova (indicata a fianco della lettera B): in questo
caso significa che solo nella prova solo il 50% dei LED ha raggiunto la vita utile indicata nel grafico
(ovviamente l’altro 50% non l’ha raggiunta).
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Indicazione del rapporto fra percentuale di fallimento ed attesa di vita nei prodotti industriali
Dal grafico sovrastante si può notare come una percentuale di fallimento del 10% comporti valori notevolmenti ridotti della
vita utile di un prodotto.
Ad esempio, il grafico relativo ai Luxeon di Philips, visto sopra considerando una percentuale di fallimento del
10%, diviene:
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Grafico che mette in relazione la temperatura di giunzione e la vita media di una sorgente a LED Philips Luxeon (con
percentuale di fallimento pari al 10%)
Si può osservare come i risultati sono notevolmente ridimensionati: la temperatura massima passa da 130°C a 120°C per 1A.
Questo significa che, in un ottica di affidabilità dell’impianto, se viene mantenuta una temperatura di giunzione
inferiore ai 120°C, il 90% dei LED giunge alle 60000h di vita.
Come indicato in un esauriente White Paper pubblicato da Philips Lumileds, i grafici presentati dai vari produttori sono
estrapolazioni fatte sulla base di prove limitate nel tempo (generalmente 5000h – 6000h) applicando la variabile
casuale di Weibull: questa funzione viene utilizzata per il calcolo della vita media di numerosi componenti
industriali e si è dimostrata affidabile anche per il calcolo della durata di vita dei LED.
Philips Lumileds ci tiene ad evidenziare che nei 30 anni di sviluppo sui LED l’azienda ha accumulato un numero
molto elevato di prove sulla durata, che riducono la soglia di errore a circa il 10% nelle previsioni effettuate
(ovviamente le sperimentazioni sui LED vengono condotte con un numero di ore notevolmente ridotto rispetto
alle reali potenzialità della sorgente e quindi occorre andare molto cauti nella presentazione dei risultati a lungo
termine).
Alla luce delle attuali conoscenze e basandosi sulla quantità di dati accumulati, Philips Lumileds prevede una
durata massima dei LED di 60000h: per questo motivo, pur essendo possibile in base alla curva di Weibull
prevedere una durata maggiore per temperature di giunzione più basse (ad esempio come nella curva indicata da
CREE), tutti i risultati vengono “tagliati” alle 60000h.
Questo atteggiamento di Philips mi sembra molto più responsabile rispetto a quello di CREE, che fornisce dati sulla cui
attendibilità si potrebbe discutere a lungo (soprattutto a basse temperature di giunzione); inoltre sarebbe gradito
che la CREE indicasse anche la percentuale di fallimento nelle tabelle riportate per i propri prodotti.
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6) Affidabilità del driver
Poiché le sorgenti a LED hanno una vita media molto lunga, occorre che anche i driver siano garantiti per almeno 50000h ore
di funzionamento. Molti produttori invece producono driver che non rispettano tali requisiti (ed infatti
garantiscono gli apparecchi solo per la parte LED e non per la parte elettronica di corredo).
Inoltre va valutata anche la mortalità dei driver durante le 50000h garantite: Philips, uno dei principali fornitori di driver,
prevede una mortalità di circa il 5% sulle 60000h. Questo significa che alla fine delle 60000h, 1 apparecchio su
20 avrà dovuto subire lavori di manutenzione straordinaria per il rimpiazzo della parte elettrica.
Altri produttori di apparecchi a LED, come RUUD, affermano che la mortalità sui loro driver è dello 0,5% a 150000h.
Questi dati dimostrano come esistano ancora notevoli differenze fra le tecnologie applicate ai LED (che inoltre andranno
verificate sul campo) e che la deperibilità della parte elettrica incide in maniera rilevante sui costi di gestione di
un impianto a LED.
7) Temperatura di colore
Ad oggi solo LED con alte temperature di colore, chiamati cool white (6000°K o più – nell’immagine la sorgente in basso),
consentono di ottenere alte efficienze luminose.
Questa temperatura determina una luce cosiddetta “fredda” (la stessa che possiamo vedere ad esempio nell’illuminazione
notturna delle vetrine dei negozi o nell’illuminazione dei banchi frigo dei supermercati): questo tipo di luce non
è molto indicata per l’illuminazione esterna, non solo per questioni di gusto, ma anche per probabili interferenze
con la produzione di melatonina e quindi col ritmo circadiano dell’uomo.
I LED con temperature di colore minori, chiamati warm white (4000°K o meno – nell’immagine la sorgente in alto),
garantiscono efficienze luminose molto più basse (circa il 30% in meno). Questa temperatura di colore
corrisponde al colore delle tradizionali lampade ad incandescenza.
Philips ha da poco presentato un LED a luce calda che sembra fornisca prestazioni paragonabili a quelli a luce fredda.
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LED a luce calda (in alto) e LED a luce fredda (in basso)
Va poi ricordato che, con l’invecchiare dell’occhio, si ha un progressivo ingiallimento del cristallino e della corned un in Va
poi ricordato che, con l’invecchiare dell’occhio, si ha un progressivo ingiallimento del cristallino e della cornea
ed un intorbidirsi dell’umor vitreo: per questi motivi la luce che maggiormente viene diffusa all’interno
dell’occhio è quella di lunghezza d’onda minore (blu). Perciò, per la popolazione anziana, la luce più efficace per
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produrre abbagliamento è proprio quella con una forte componente blu, che andrebbe quindi evitata nelle
installazioni stradali.
8 ) Resa cromatica
La resa cromatica (Ra) è una valutazione qualitativa sull’aspetto cromatico degli oggetti illuminati e non va confusa con la
temperatura di colore: due sorgenti con temperatura di colore identica possono avere un Ra diverso.
L’indice di resa cromatica ci dice in che modo una sorgente è in grado di mantenere inalterato il colore di un oggetto da essa
illuminato: esso varia in una scala da 0 a 100, dove 0 rappresenta il minimo e 100 indica il massimo di resa
cromatica.
Questo indice in realtà dice poco o nulla dell’effettiva validità di una lampada, in quanto basato solo sulla resa di particolari
tipi di colore (la maggior parte dei quali penso non siano mai stati usati in natura…): questo significa che la resa
cromatica rimane comunque un valore arbitrario e non oggettivo.
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9) Coefficiente di manutenzione
Il coefficiente di manutenzione per le installazioni stradali viene determinato generalmente tramite la formula U = LLMF x
LSF x LMF, in cui:
LLMF (Lamp Lumen Maintenance Factor) è la riduzione del flusso luminoso della lampada presente nell’apparecchio ed è
espressa come rapporto fra la luminosità prodotta dopo un certo periodo e la luminosità inizale della stessa.
LSF (Lamp Survival Factor) è la percentuale che esprime il numero di lampade non bruciate dopo un certo periodo
dall’installazione.
LMF (Luminaire Maintenance Factor) è la riduzione del flusso luminoso dell’apparecchio (dovuta soprattutto all’accumularsi
dello sporco sulle ottiche) e dipende dal tipo di apparecchio, dalle condizioni atmosferiche e dall’intervallo di
manutenzione; viene espressa come rapporto fra la luminosità iniziale dell’apparecchio e la luminosità dello
stesso dopo un certo periodo, a certe condizioni ambientali e a determinati intervalli di manutenzione
Per una lampada tradizionale SAP (durata media 14000h) le tabelle CIE 97 del 2005 indicano LLMF=0,96 ma nella realtà (in
base all’esperienza sul campo) è più corretto utilizzare un fattore LLMF=0,90 (dopo 14000h le lampade SAP
perdono circa il 10% di flusso luminoso); per le applicazioni stradali inoltre è possibile considerare LSF=1,00
poichè, una volta esaurite o spente, queste possono venire cambiate senza interferire con la funzionalità
dell’apparecchio. Inoltre sia lo IESNA che il British Standard indicano per strade con inquinamento basso senza
pulizia delle lampade un fattore LMF=0,87; considerando l’installazione ad altezze medie di 8m ed utilizzando
apparecchi cut-off è possibile aumentare il valore fino a LMF=0,90 circa.
Grazie a questi dati siamo quindi in grado di calcolare il coefficiente di manutenzione per un apparecchio
stradale che monta una lampada al sodio alta pressione e che viene pulito ogni tre anni: U=0,90×1,00×0,90 =
0,81. Questo valore, approssimato a 0,80, è quello comunemente usato nei calcoli illuminotecnici per apparecchi
che montano lampade tradizionali.
Vorrei far notare che, utilizzando i valori “standard” si otterrebbe comunque lo stesso risultato: U=0,96×0,87 = 0,84.
Secondo i dati forniti dalla maggior parte dei produttori (e lo stesso standard su cui si basa il calcolo della vita utile dei LED),
una lampada a LED riduce il suo flusso luminoso del 30% a fine vita; inoltre, come abbiamo visto dalle tabelle
precedenti, la base su cui vengono stimati i dati fornisce una mortalità di circa il 10% delle lampade.
In questo modo abbiamo LLMF=0,70 e LSF=0,90 (in questo caso non possiamo porre LSF=1,00 poichè anche in
caso di spegnimento di 1 LEDsui 60-70 che compongono l’intero corpo lampade dell’apparecchio non è
possibile sostituirlo singolarmente: poichè occorrerebbe sostituire integralmente l’intero corpo lampada appare
molto più probabile che l’apparecchio rimanga nello stato in cui si trova, con alcuni LED spenti).
Considerando un valore LMF=0,90 come prima abbiamo allora per un apparecchio a LED:
U=0,70×0,90×0,90=0,57. E’ un coefficiente molto basso, che si allontana pericolosamente dai coefficienti
U=0,90 proposti da diversi produttori di LED.
Anche considerando i valori L90, come mi ha proposto Lorenza Bergamaschi di RUUD, avremo comunque:
U=0,90×0,90×0,90=0,73. Questo coefficiente è appropriato; ad esempio Philips Lightning per il calcolo
illuminotecnico con i propri apparecchi a LED consiglia U = 0,75 (forse Philips aveva già previsto questo?).
Per correttezza inserisco anche i valori nel caso in cui l’apparecchio LED venga sostituito completamente nel caso in cui
qualche parte sia malfunzionante (in questo caso avremo LSF=1,00): U=0,90×0,90=0,81. Questo potrebbe
confermare il coefficiente di manutenzione “standard” di 0,80 anche per i LED. Vorrei comunque far notare che
in questo caso i costi di manutenzione sarebbero molto più elevati di quelli di una soluzione tradizionale
(dovendo sostituire in toto un apparecchio illuminante, anzichè la singola sorgente luminosa
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Lampada ad Incandescenza 10 W ~48 lm
Lampada ad Incandescenza 15 W ~90 lm
Lampada ad Incandescenza 25 W ~230 lm
Lampada ad Incandescenza 40 W ~430 lm
Lampada ad Incandescenza 60 W ~730 lm
Lampada ad Incandescenza 75 W ~960 lm
Lampada Alogena 15 W ~155 lm
Lampada Alogena 20 W ~350 lm
Lampada a risparmio energetico 7 W ~350 lm
Lampada a risparmio energetico 10 W ~500 lm
Lampada a risparmio energetico 11 W ~600 lm
Lampada a risparmio energetico 14 W ~900 lm
Lampada Fluorescente 20 W ~1250 lm
Lampada Fluorescente 40 W ~3000 lm
Lampada Neon 10 W ~485 lm
Lampada Neon 15 W ~780 lm
Cree XLamp XR-E Q5 Bianco Freddo 1 W ~107 lm
Cree XLamp XR-E Q3 Bianco Neutro 1 W ~93.9 lm
Cree XLamp XR-E P4 Bianco Caldo 1 W ~87.4 lm
Confronto tra lamapade alogene dicroiche Dichroic Halogen Spotlight Power LED Spotlight
e lampade a Led
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La tabella permette di confrontare i risparmi conseguibili per un analogo livello di luce prodotta (calcolato sulla base
di un costo/kilowattora di 0.15 euro e 4100 ore di accensione all'anno):
Potenza Luce prodotta Costo annuo
Tipo di lampada in Watt In lumen in euro
Vapori di mercurio 250 12700 153,75 (100%)
Vapori di sodio ad alta
pressione 150 14500 92,25 (60%)
La vita utile dei sistemi a LED e' stimata in 50.000-100.000 ore (10-20 anni, 12 ore al giorno) contro le 4000-5000
ore (11-14 mesi) delle lamapade al sodio ad alta pressione. Secondo stime, dopo 50.000-100.000 ore la luminosità
dei sistemi a LED scende al 70% rispetto al valore iniziale e questo puo' essere considerato il termine della vita utile
del LED. L'indice di caduta del flusso luminoso dei LED e' nullo dopo 3000 ore di funzionamento, anzi nelle prime
5000 ore aumenta leggermente.
I fari al sodio, invece, dopo 3000 ore presentano una riduzione del flusso fino al 40%.
Conclusioni
Dai dati raccolti ed esposti sopra si evince che il nostro comune potrebbe risparmiare molta energia in quanto l’
illuminazione pubblica stradale è composta per il 95 % circa di plafoniere con lampade ai vapori di mercurio ,che
hanno un rendimento molto basso consumando tanta energia e allo stesso tempo non rispettando le ultime norme in
tema di illuminazione stradale.
Valutare la sostituzione dei corpi illuminanti e il rifacimento di linee di alimentazione credo sia un intervento da
effettuare, in quanto si farebbe coincidere la messa in sicurezza e l’ adeguameno degli impianti con il risparmio
energetico ed economico di conseguenza .
Passare dagli attuali vapori di mercurio a lampade ai vapori di sodio produrrebbe un risparmio di energia del 40%
circa con un rientro di 2 –3 anni dell’ investimento ;per i led va fatto un discorso a parte dato che le plafoniere che
soddisfano le norme di illuminazione stradali sono poche e ad oggi ancora costose, in ogni casoè una tecnologia in
continua e veloce evoluzione che deve essere valutata.
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