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dal libro Il Segreto dell'Universo - Capitolo 3
Le scoperte della fisica quantistica
L'universo comincia a sembrare
pi simile ad un grande pensiero
che non a una grande macchina.
James Jeans, astronomo e fisico.
I - La meccanica quantistica.
Nel capitolo 2, nei paragrafi tra il XIII e il XVII, abbiamo visto che la meccanica quantistica delinea un quadro insolito della realt
fisica a livello microscopico, cio molecolare, atomico, e subatomico. Eppure, nonostante le sue stranezze, la teoria "funziona"
perfettamente ed ha permesso grandi progressi scientifici e tecnologici.
In questo capitolo esamineremo alcuni "paradossi" quantistici che sembrano mostrare i limiti della consueta concezione oggettiva
e materialistica dell'universo. Alle scale microscopiche la natura non si comporta in conformit alle leggi della fisica classica, che
descrive i fenomeni che coinvolgono i familiari oggetti della vita quotidiana.
Come abbiamo visto, il nome della teoria deriva dal concetto di "quanto", introdotto da Planck nel 1900 e ripreso da Einstein nel
1905. La teoria della meccanica quantistica fu sostanzialmente completata intorno al 1930, ma le ricerche sui suoi paradossi
vengono effettuate ancora oggi.
La lettura dei primi paragrafi di questo capitolo pu risultare difficile, ma si consiglia di proseguire pazientemente per poter
comprendere perfettamente i sorprendenti paradossi descritti nella parte finale. Per rendere chiari gli esperimenti, alcuni concetti
sono stati ripetuti pi volte. Chi trova particolarmente ostica la lettura dei primi paragrafi, pu saltare direttamente al paragrafo XI,
ma in tal caso non potr capire il significato di alcuni termini.
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II - Stati quantistici e misurazione fisica.
In fisica classica non vi sono limitazioni di principio alla misurazione delle caratteristiche di un sistema fisico: per esempio ad ogni
istante possiamo misurare la posizione di un certo oggetto in movimento, la sua velocit, la sua energia, eccetera. vero che
esistono delle limitazioni "tecniche" o "operative", dovute alla limitata precisione degli strumenti di misura che impieghiamo, ma
nulla ci impedisce di costruire strumenti pi precisi e sofisticati.
Per esempio, per misurare la velocit di un'automobile su una strada e rivelare eventuali eccessi di velocit, la Polizia Stradale
adopera dei dispositivi elettronici. Un dispositivo di questo tipo capace di misurare con buona precisione la velocit dell'auto
nell'istante in cui la macchina transita davanti all'apparecchiatura. Non vi nulla che ci impedisce di rendere ancora pi precisa
tale misurazione, impiegando dispositivi migliori.
Occorre sottolineare che tale dispositivo effettua anche una misura di posizione (perch ovviamente rivela che in quell'istante
l'automobile si trovava in quel punto). Con semplici calcoli, possibile stimare la posizione dell'automobile pochi istanti prima e
pochi istanti dopo il transito davanti al dispositivo (poich in quei pochissimi secondi, per inerzia, la velocit dell'automobile rimarr
approssimativamente la stessa). Vi sar una certa "approssimazione" o "errore" in questa stima, poich la velocit in quei pochi
secondi potr variare leggermente, per si tratter di un errore piuttosto piccolo.
Non cos nella meccanica quantistica: gli oggetti "quantistici" (atomi, elettroni, quanti di luce, ecc.) si trovano in certi "stati"
indefiniti, descritti da certe entit matematiche (come la "funzione d'onda" di Schrdinger).
Soltanto all'atto della misurazione fisica si pu ottenere un valore reale; ma finch la misura non viene effettuata, l'oggetto
quantistico rimane in uno stato che "oggettivamente indefinito", sebbene sia matematicamente definito: esso descrive solo una
"potenzialit" dell'oggetto o del sistema fisico in esame, ovvero contiene l'informazione relativa ad una "rosa" di valori possibili,
ciascuno con la sua probabilit di divenire reale ed oggettivo all'atto della misura.
Per fare un paragone con l'automobile di prima, quando essa viene rivelata dal nostro dispositivo possiamo dire che l'auto si trova
veramente in quel punto (misura di posizione). Ma in meccanica quantistica vi sarebbero delle forti limitazioni alle misure che
possiamo effettuare: per esempio non potremmo conoscere precisamente la velocit dell'oggetto in quell'istante (per il principio di
indeterminazione di Heisenberg). Inoltre, non potremmo prevedere la posizione dell'auto dopo due secondi: potremmo solo dare
una stima molto approssimativa, ovvero potremmo solo prevedere l'evoluzione della sua "funzione d'onda". La funzione d'onda per
ci dar solo una vasta "rosa" di posizioni possibili per l'automobile, e per sapere con certezza dove l'automobile si trover
realmente, dovremo effettuare una nuova misura.
La "rosa" di possibilit talvolta pu dare risultati sorprendenti o incredibili. il caso del cosiddetto effetto tunnel, che uno dei
tanti fenomeni quantistici "stravaganti". Esso impiegato anche nelle tecnologie dei semiconduttori ed responsabile anche della
emissione di particelle da parte dei materiali radioattivi. L'effetto tunnel permette alle particelle quantistiche di avere una probabilit
di trovarsi fuori dai confini imposti dalla fisica classica.
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Per fare un esempi o faci l mente comprensi bi l e, consi deri amo una pi sci na vuota, con una pal l a i n movi mento al suo i nterno. La pal l a si sposta da una parte
al l 'al tra del l a pi sci na ri mbal zando contro l e pareti e sul fondo, senza per avere l 'energi a necessari a per usci re. Ad esempi o, l a pi sci na profonda due metri ed
i ri mbal zi di sordi nati del l a pal l a arri vano al massi mo ad un metro di al tezza. Ammetti amo pure che non vi si a perdi ta di energi a per attri to, ci o l a pal l a si a
perfettamente el asti ca e l a resi stenza del l 'ari a si a del tutto trascurabi l e (i n real t l a di ssi pazi one di energi a per attri to tende a ri durre l a vel oci t del l a pal l a, che
dopo pochi ssi mi mi nuti si fermer del tutto). Anche i n tal e caso i deal e l a pal l a non potr usci re dal l a pi sci na, poi ch non potr comunque superare i l metro di
al tezza: si di ce che l e pareti del l a pi sci na rappresentano una "barri era di energi a potenzi al e".
Ebbene, i n ambi to quanti sti co, una parti cel l a i n una si tuazi one anal oga avrebbe comunque una certa probabi l i t (seppure mi ni ma) di trovarsi al di fuori del l e
barri ere di energi a potenzi al e, ci o di usci re dal l a pi sci na!
III - Stati ed autostati.
Questo il paragrafo pi difficile del capitolo e forse dell'intero libro.
Ogni particella o sistema fisico in ogni istante si trova in uno stato ben definito. Matematicamente gli stati quantistici sono
elementi di uno spazio di Hilbert, uno spazio astratto che alcuni fisici definiscono come uno "spazio delle potenzialit" o delle
"possibilit". Le grandezze fisiche che possono essere misurate (posizione, velocit, energia, momento magnetico, eccetera) sono
chiamate osservabili.
Per fissare le idee, immaginiamo che l'osservabile che vogliamo misurare sia l'energia di un elettrone. Nel linguaggio della
meccanica quantistica, si dice che all'atto della misura dell'osservabile energia lo stato collassa in uno dei tanti potenziali
autostati ammessi da quell'osservabile (l'energia). Che cosa significa? Che cosa sono gli autostati?
Gli autostati sono quei particolari stati che forniscono una misura oggettiva della nostra osservabile. Invece gli altri stati non
possono dare un valore definito della nostra osservabile, poich prevedono una rosa di risultati diversi (ciascuno con la propria
probabilit), e vengono detti stati di sovrapposizione. In termini estremi, possiamo dire che rispetto alla nostra osservabile solo gli
autostati danno un valore "oggettivo" nella realt fisica, mentre gli altri stati non possono dare valori "oggettivi", prevedibili e certi,
pur descrivendo perfettamente il sistema quantistico in esame.
Provi amo a vedere un sempl i ce esempi o. Consi deri amo un el ettrone che si trova i n un certo si stema fi si co e cerchi amo di mi surare l a sua energi a i n un dato
i stante. Pri ma del l a mi sura, esso non avr un'energi a defi ni ta, ma si trover i n uno stato potenzi al e che conti ene (ad esempi o):
- l 'autostato di energi a 850 eV, con probabi l i t del 20%;
- l 'autostato di energi a 860 eV, con probabi l i t del 35%;
- l 'autostato di energi a 870 eV, con probabi l i t del 45%.
Nota: eV si gni fi ca el ettron-Vol t ed un'uni t di energi a uti l i zzata i n fi si ca atomi ca, nucl eare e sub-nucl eare. Per i nci so, sono possi bi l i stati mol to pi compl essi
di questo.
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Al l 'atto del l a mi sura del val ore del l 'energi a, l a natura dovr "scegl i ere" uno dei tre possi bi l i "autostati " del l 'energi a, ci ascuno dei qual i ha i l suo val ore
(chi amato "autoval ore"): 850 o 860 o 870 eV. Essi sono val ori "quanti zzati ", ovvero di screti o di sconti nui (i n parol e povere non sono possi bi l i val ori i ntermedi ,
come 865 eV). Pertanto l o stato i ni zi al e oggetti vamente "i ndefi ni to" ri spetto al l 'osservabi l e energi a, poi ch una combi nazi one (o sovrapposi zi one) di tre
autostati di versi , ed al l 'atto del l a mi surazi one dovr "col l assare" i n uno dei tre possi bi l i "autostati ", che danno val ori val i di del l 'energi a nel l a real t fi si ca
oggetti va. Ogni vol ta i l ri sul tato potr essere di verso, e ci ascun "autoval ore" ha l a sua probabi l i t di usci re. La cosa strana che l o stato i n questi one, che non
ha un val ore oggetti vamente defi ni to ri spetto al l 'osservabi l e energi a, potrebbe essere un autostato ri spetto ad un'al tra osservabi l e, ci o potrebbe dare un val ore
oggetti vo, defi ni to e certo.
Un esempio molto importante quello dei noti orbitali atomici che si studiano in chimica. Gli orbitali atomici sono degli autostati o
delle autofunzioni d'onda dell'energia (e del momento angolare, ma non approfondiamo).
Consideriamo la distribuzione degli elettroni in un atomo di idrogeno. Chi ha studiato un po' di chimica sa che l'elettrone non
percorre traiettorie definite, cio non segue un'orbita determinata intorno al nucleo dell'atomo, ma si trova "sparpagliato" intorno al
nucleo, ovvero occupa un certo orbitale (per esempio l'orbitale chiamato 1s, oppure 2s, oppure 2p ecc.).
Alcuni testi divulgativi di chimica dicono (impropriamente) che "l'elettrone cos veloce che non pu essere localizzato in un punto
ma appare distribuito in una nuvola elettronica". Gli orbitali infatti assumono l'aspetto di una sorta di "nuvola", detta appunto nuvola
elettronica, con forme determinate: ad esempio una sfera sfumata (orbitale 1s) oppure degli ovali appuntiti e sfumati (orbitali 2p),
eccetera.
In realt tale descrizione pittoresca, data per necessit di esposizione, non scientificamente valida: non fisicamente corretto
dire che "l'elettrone cos veloce che non pu essere localizzato in un punto ma appare distribuito in una nuvola elettronica".
Sarebbe pi corretto dire che l'elettrone la nuvola elettronica stessa, ma anche questa descrizione sarebbe impropria.
L'unica descrizione veramente valida quella puramente matematica: l'orbitale 1s (o l'orbitale 2s o 2p, eccetera) un autostato
rispetto all'osservabile energia, ma non un autostato per l'osservabile posizione, rispetto alla quale risulta invece uno "stato di
sovrapposizione": perci l'elettrone in questo stato non pu avere una posizione definita ed appare sparpagliato nello spazio, ovvero
appare come una "nuvola elettronica".
La distribuzione spaziale di tale nuvola viene detta funzione d'onda. In realt descrivere in termini appropriati ci che la funzione
d'onda rappresenta richiederebbe una lunga trattazione matematica, ma per semplicit possiamo dare la seguente immagine,
sempre pittoresca ma meno imprecisa di quella data da molti testi divulgativi: la funzione d'onda in generale una specie di
un'onda distribuita nello spazio e variabile nel tempo, che in alcuni casi rappresenta una "densit di probabilit" di rivelare
l'elettrone in un certo punto, ed in altri casi si comporta come un'onda vera e propria (i fisici perdoneranno il fatto che per
semplificare la descrizione non si fatto riferimento al modulo quadro, cos come perdoneranno anche altre piccole
approssimazioni).
Nel caso specifico dell'orbitale atomico, l'onda "si ripiega" su se stessa a causa dell'attrazione del nucleo, ed invece di sfuggire e
propagarsi nello spazio, si manifesta come nuvola elettronica (ma si tenga sempre presente che anche questa una descrizione
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piuttosto pittoresca).
In fisica classica le onde hanno bisogno di un "supporto materiale" per esistere e propagarsi: per esempio le onde del mare si
propagano nell'acqua, le onde sonore (i suoni) si propagano nell'aria (o anche in altri materiali) e le onde che danno origine al
suono di una chitarra nascono nelle onde che percorrono le corde della chitarra stessa.
La funzione d'onda invece non ha un supporto materiale, poich essa stessa rappresenta e costituisce la cosiddetta materia, ed
una sorta di vibrazione nella struttura dello spazio-tempo, da cui noi possiamo ottenere delle previsioni in termini probabilistici.
IV - Il principio di indeterminazione.
Vediamo adesso un esempio simile a quello dell'automobile visto in precedenza. Si consideri la posizione di un elettrone nello
spazio (cosa che in fisica classica ovvia e perfettamente definita). In meccanica quantistica l'elettrone non avr una posizione
definita, come l'automobile, ma avr una "rosa" di posizioni possibili, descritta collettivamente da una "funzione d'onda".
All'atto della misura, l'elettrone verr rivelato solo in un punto tra quelli possibili, ovvero la "funzione d'onda" collasser in quel
singolo punto. La fisica non in grado di prevedere quale punto verr scelto, cio incapace di spiegare perch un punto venga
preferito ad un altro, e quindi sembra essere presente un elemento casuale, la famosa indeterminazione.
Per ragioni di principio, non possibile prevedere quale valore effettivo si avr all'atto della misura: a priori si ha soltanto una rosa di
probabilit su certi valori definiti, chiamati autovalori (i quali per sono definiti con grande precisione). Vi quindi una
"indeterminazione" sui valori della misura. In realt ci non altera l'utilit delle applicazioni della meccanica quantistica, che in certi
campi, come in spettroscopia, ottiene delle precisioni sbalorditive. In altre parole, la statistica permette risultati estremamente
precisi sul comportamento collettivo del sistema, ma indeterminati sulle singole particelle.
Questa strana propriet dei sistemi quantistici fu espressa da Heisenberg nel 1927 col celebre principio di indeterminazione. Per
esempio se misuriamo con grande precisione la posizione di una particella, avremo una certa indeterminazione sulla sua velocit,
e viceversa.
V - La realt in parte creata dall'osservatore?
In definitiva, gli oggetti quantistici si trovano in certi stati che non sono sempre dotati di valore definito delle osservabili prima della
misura: infatti l'osservatore che costringe la natura a rivelarsi in uno dei possibili valori, e questo determinato dall'osservazione
stessa, cio non esiste prima che avvenga la misurazione. Per introdurre una definizione apparentemente audace, ma che verr
giustificata in seguito (dal paragrafo XI in poi), le caratteristiche reali ed oggettive del sistema fisico sono definite solo quando
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vengono misurate, e quindi sono "create" in parte dall'atto dell'osservazione.
Questa affermazione pu sembrare bizzarra, ma ha una validit molto pi profonda di quanto si possa immaginare. Molti fisici (tra
cui Einstein, paragrafo VII), hanno inizialmente rifiutato questa insolita interpretazione, ma gli esperimenti hanno evidenziato che
questa l'unica soddisfacente. Ci verr esaurientemente dimostrato a partire dal paragrafo XI.
La meccanica quantistica quindi introduce due elementi nuovi ed inaspettati rispetto alla fisica classica: una appunto l'influenza
dell'osservatore, che costringe lo stato a diventare un autostato; l'altra la casualit nella scelta di uno tra i diversi possibili
autostati (ognuno con una propria probabilit).
Il primo elemento inaspettato la violazione dell'oggettivit. Il secondo l'indeterminazione, che rappresenta un'inaspettata
violazione della perfetta intelligibilit deterministica. Entrambi gli elementi sono estranei alla mentalit della fisica classica, cio
rispetto a quella concezione ideale (galileiana, newtoniana e perfino einsteiniana) che pretende che l'universo sia perfettamente
oggettivo ed intelligibile.
La prima interpretazione della meccanica quantistica, che fu proposta da alcuni scienziati negli anni '20, includeva la figura
dell'osservatore come parte del sistema fisico osservato! Cos la figura dell'osservatore cosciente fece capolino in una scienza fino
ad allora considerata rigorosamente oggettiva (la fisica). Non a caso le grandezze fisiche misurabili in meccanica quantistica,
come la posizione, l'energia, la quantit di moto, eccetera, vengono chiamate osservabili. Infatti si sottintende che la loro
esistenza ha senso solo in funzione di una possibile osservazione.
Questo rivela la strana situazione in cui gli scienziati si trovano nell'analisi dei sistemi quantistici. Con la meccanica quantistica la
scienza sembra essere arrivata a rivelare quella misteriosa frontiera tra soggetto ed oggetto che in precedenza era stata del tutto
ignorata a causa del principio (nascosto e sottinteso) dell'oggettivazione: fino agli anni 20 la realt poteva essere considerata del
tutto "oggettiva" ed indipendente dall'osservazione di eventuali esseri coscienti. Ma con la formulazione della meccanica
quantistica sembr che si dovesse tener conto necessariamente della figura dell'osservatore cosciente!
VI - L'interpretazione di Copenaghen e le prime reazioni.
La concezione che abbiamo intravisto alla fine del paragrafo precedente la prima versione della cosiddetta interpretazione di
Copenaghen della meccanica quantistica. Copenaghen la citt di Bohr, in cui operavano anche altri importantissimi scienziati
come Heisenberg, Pauli, Born, Dirac. Tutti questi fisici sono considerati i fondatori della meccanica quantistica insieme a Planck,
allo stesso Einstein (che poi critic i fondamenti di tale teoria), a De Broglie e a Schrdinger.
Occorre precisare che la meccanica quantistica, pur segnando la fine del concetto di oggettivit classica, permette ancora di
parlare di "oggettivit degli stati quantistici". Infatti gli stati quantistici rimangono sempre esattamente definiti da un punto di vista
matematico. Il problema che si tratta di un tipo di "oggettivit" ben diversa e limitata rispetto a quella familiare e sottintesa nella
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fisica classica, ed per questo molti fisici preferiscono parlare espressamente di "non-oggettivit". Ma torniamo all'interpretazione
di Copenaghen.
Vi furono subito delle reazioni a tale concezione, poich in fisica era sottinteso da sempre che l'universo esiste oggettivamente,
indipendentemente dal fatto che noi lo osserviamo o meno. In effetti, la scienza ebbe il suo grandioso sviluppo fin dal 1600 proprio
grazie all'ipotesi dell'oggettivazione. Cos i fisici degli anni '20 e '30 cercarono delle soluzioni concettuali per sfuggire a tale insolita
situazione (che nella cornice dell'oggettivazione appare del tutto paradossale).
Le reazioni in questione furono numerose ed energiche, e misero a confronto le convinzioni di grandissimi scienziati, come
Einstein (che riteneva che la meccanica quantistica fosse incompleta o comunque inaccettabile in questa forma) e come Bohr
(che sosteneva invece la validit della teoria in questione).
Bohr volle subito eliminare la figura di un osservatore cosciente, troppo scomoda per una scienza ritenuta puramente oggettiva.
Cos l'interpretazione di Copenaghen fu presto modificata con degli artifici che sostituissero la figura dell'osservatore cosciente.
Tale iniziativa si rese necessaria anche per la critica rivolta da Schrdinger con il suo scherzoso "paradosso del gatto", che per
brevit qui non citeremo (per inciso, singolare che Schrdinger assumesse una posizione critica verso la necessit di un
"soggetto cosciente" nella teoria quantistica, mentre invece nelle sue considerazioni filosofiche egli considerava l'intero universo
come un "prodotto del pensiero"!).
In pochi anni cos fu messa a punto la versione definitiva della "interpretazione di Copenaghen" della meccanica quantistica.
Secondo la versione definitiva dell'interpretazione di Copenaghen, la realt quantistica resta in uno stato indefinito e "non-oggettivo"
(almeno rispetto ai canoni della fisica classica), ma non per questo necessaria la figura di un osservatore cosciente (anche se
nella prima versione essa sembrava indispensabile): sufficiente che avvenga una "reazione termodinamica irreversibile" affinch lo
stato non oggettivo diventi uno stato oggettivo.
Nel capitolo precedente abbiamo visto che molti fenomeni risultano irreversibili in fisica classica: se per esempio io vengo filmato
mentre frullo una mela e poi tale filmato viene proiettato a rovescio (cio col tempo invertito), tutti possono riconoscere che c'
qualcosa che non va, poich impossibile che il frullato possa ricomporre perfettamente la mela originaria. Un altro esempio di
fenomeno irreversibile quello che avviene su una pellicola quando viene scattata una fotografia: non possibile far ritornare la
pellicola allo stato iniziale.
Ebbene, quando un elettrone viene "visto" in un rivelatore, lascia dei segni irreversibili o sul rivelatore stesso oppure su un suo
supporto (carta fotografica o altro): ci comporta una "reazione termodinamica irreversibile" tra l'elettrone ed il rivelatore o la carta
fotografica, e ci sufficiente a rivelarlo nel "mondo oggettivo" della fisica classica senza la necessit di un soggetto cosciente
che testimoni tale evento.
Fu anche proposta un'interpretazione "operativa" del principio di indeterminazione: per poter misurare una caratteristica di un
oggetto fisico, occorre necessariamente interagire con esso, e questa interazione "perturba" inevitabilmente lo stato originario,
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creando appunto la piccola "indeterminazione". In questo modo, secondo gli scienziati di Copenaghen, si ottiene un'interpretazione
del tutto ragionevole ed accettabile dell'indeterminazione.
In realt tutto questo non spiega il "mistero" della non-oggettivit delle caratteristiche fisiche prima della misura (e vedremo pi
avanti che tale non-oggettivit strettamente necessaria per la coerenza della teoria con gli esperimenti e crea degli incredibili
paradossi).
Inoltre l'espediente di Copenaghen, nato al puro scopo di eliminare la figura del soggetto cosciente dalla teoria, si scontra con varie
difficolt. Anzitutto sembra impossibile che l'esistenza del mondo microscopico, cio subatomico, debba dipendere da eventi
termodinamici irreversibili, ovvero eventi "macroscopici" nell'ambito della fisica classica, mentre in realt il mondo macroscopico
ad essere costituito da un insieme di eventi microscopici!
La situazione chiaramente contraddittoria, poich il mondo macroscopico (dei nostri oggetti familiari) costituito di oggetti
microscopici (cio di atomi e dei suoi costituenti, cio elettroni ed altre particelle), e non chiaro come poi l'esistenza stessa di
tali oggetti microscopici possa a sua volta essere sancita solo da eventi termodinamici che sono propri ed esclusivi del mondo
macroscopico!
Nel capitolo precedente infatti avevamo visto che ovviamente la "termodinamica" osservata a livello macroscopico in realt era
prodotta dalla statistica sugli eventi microscopici. Qui viceversa si suppone che la "realt" del mondo quantistico (microscopico)
sia subordinata alla realt dei fenomeni termodinamici (macroscopici), il che lascia una profonda lacuna concettuale, se non una
chiara ed evidente contraddizione.
Per questo ed altri motivi, Wigner, Von Neumann ed altri fisici restarono fedeli alla prima versione dell'interpretazione di
Copenaghen, secondo la quale occorre la coscienza umana affinch uno stato possa "collassare" in un autostato!
Va infine sottolineato che negli anni '90 il gruppo di Chiao, dell'Universit di Berkeley, ha dimostrato che il "collasso della funzione
d'onda" pu essere reversibile, e non sempre irreversibile come credevano gli scienziati di Copenaghen (cosa che i fisici degli
anni '20 e '30 non potevano ancora sapere...). Questo confuta definitivamente la scappatoia basata sui fenomeni termodinamici
irreversibili, e ripropone in tutta la loro stranezza e stravaganza i paradossi quantistici. Ma questi argomenti verranno ripresi pi
avanti.
VII - La reazione di Einstein.
La critica di Einstein e di altri fisici fu molto pi radicale: essi sostennero che la meccanica quantistica era una teoria incompleta e
provvisoria, che avrebbe dovuto essere perfezionata col tempo per eliminare alcuni aspetti indesiderati, sebbene funzionasse
perfettamente sul piano sperimentale.
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Le obiezioni di Einstein appaiono molto "logiche" e "realistiche", ma erano errate. Col senno di poi, possiamo dire che questa fu
una delle poche intuizioni errate di Einstein: la sua "fedelt" alla concezione puramente oggettiva dell'universo fu cos forte da
indurlo a dubitare di una teoria - la meccanica quantistica - che lui stesso aveva contribuito a fondare!
Anzitutto Einstein non accettava che esistesse un'indeterminazione sulle misure quantistiche, ovvero che i risultati non fossero
pienamente determinabili in anticipo: ci, secondo Einstein, introduceva nella fisica l'influenza del "caso cieco", per lui
assolutamente inaccettabile. A questo proposito rimasta celebre la sua frase: "Dio non gioca a dadi con il mondo". Meno famosa
la risposta di Bohr: "Non compito degli scienziati dire a Dio come funziona il mondo, ma solo scoprirlo".
Inoltre Einstein non credeva alla possibilit di caratteristiche fisiche "non-oggettive", ma riteneva che i valori delle osservabili
esistessero oggettivamente anche prima della misura, indipendentemente dal fatto che venissero misurati o meno. Insomma,
secondo Einstein (come probabilmente secondo il lettore o qualsiasi persona che non abbia ancora accettato il nuovo messaggio
implicito nella meccanica quantistica) l'universo deve esistere oggettivamente, sia che noi l'osserviamo o meno! Per questo egli
considerava la meccanica quantistica "incompatibile con ogni concezione ragionevole e realistica dell'universo".
VIII - Il libero arbitrio.
Riallacciandoci alla frase di Einstein sulla presunta casualit insista nella meccanica quantistica, occorre precisare quanto segue.
Nel libro Ipotesi sulla realt viene ripresa un'ipotesi gi formulata da vari fisici fin dagli anni '20 (per esempio Jordan ed Eddington):
il libero arbitrio dell'uomo e degli animali riconducibile all'indeterminazione quantistica. In particolare, in Ipotesi sulla realt si
propone che la scelta dei differenti autovalori non sia casuale ma sia una "scelta cosciente" dovuta ad una piccola "volont della
natura", che ha un piccolo margine per deviare il corso degli eventi dal determinismo assoluto (in cui la fisica credeva fino al 1927,
cio prima del principio di indeterminazione).
In altre parole, l'indeterminazione quantistica permette un piccolo margine per un "libero arbitrio" della natura, che poi viene
"amplificato" e "valorizzato" negli organismi biologici e quindi nell'uomo. Questo punto assume un'importanza filosofica colossale,
perch solo in questa ipotesi l'uomo viene ad assumere una vera libert nelle sue azioni. Altrimenti egli solo un burattino in balia
delle leggi meccaniche della fisica. Questo argomento verr sviluppato nel capitolo 9.
IX - Realismo e localit di Einstein.
Secondo il "realismo" di Einstein, gli stati quantistici devono esistere oggettivamente, indipendentemente da tutte le limitazioni
imposte dalla teoria quantistica, che perci secondo Einstein incompleta e provvisoria. Esisterebbero quindi delle "variabili
nascoste" che descrivono la realt oggettiva dei sistemi quantistici, ma non sono ancora riconosciute dall'attuale teoria.
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Per fare un paragone banale, immaginiamo che in una partita di carte il vostro avversario abbia in mano una certa carta. Noi
deduciamo che tale carta pu essere l'asso di denari o il re di cuori, ma siccome non possiamo vederla, non sappiamo quale delle
due sia realmente. Questa, secondo Einstein la "conoscenza incompleta" che ci pu dare la meccanica quantistica. Comunque,
dice Einstein, la carta in questione di fatto una delle due carte, ad esempio l'asso di denari (variabile nascosta), anche se noi
non sappiamo ancora per certo se sia l'una o l'altra (indeterminazione). All'atto della misura noi possiamo finalmente constatare di
quale carta si tratta, ma secondo Einstein la carta era quella gi prima della misura.
Secondo la meccanica quantistica invece non cos! La carta in precedenza era in uno stato indefinito: "50% asso di denari e
50% re di cuori", e solo all'atto della misura la carta "diventata" (per esempio) l'asso di denari. Se si ritorna a quello stesso
identico stato fisico e si rieffettua la misura, stavolta la carta potrebbe diventare un re di cuori!
Secondo Einstein questi "giochi di prestigio" quantistici erano del tutto inaccettabili, e per dimostrare questo negli anni '30 egli
inizi a formulare vari paradossi concettuali, che per Bohr risolveva ogni volta, salvando cos la validit della meccanica
quantistica.
Rimase insoluto solo un paradosso, il cosiddetto paradosso E.P.R., cos chiamato perch Einstein lo svilupp insieme agli altri
due fisici Podolski e Rosen. Esso non sar qui descritto poich piuttosto difficile, ma in sostanza il suo significato questo: se
la meccanica quantistica valida, essa implica che in certi esperimenti specifici esistano necessariamente influenze istantanee
("non-locali") tra particelle lontane, in barba al fatto che la velocit della luce sia la velocit massima consentita nell'universo. Le
influenze in questione si propagherebbero con velocit praticamente infinita e questo veniva considerato "inaccettabile" da Einstein,
Podolski e Rosen.
In termini tecnici, si avrebbe avuto una violazione del cosiddetto "principio di localit", che Einstein considerava intoccabile: perci
secondo lui la teoria quantistica era "inquietante" ed insensata, e pertanto doveva essere considerata incompleta e incoerente.
Bohr rispose che questa non era un argomento sufficientemente valido per dimostrare l'insensatezza della meccanica quantistica,
e la controversia rimase sospesa poich a quei tempi non era ancora possibile realizzare in pratica un esperimento cruciale per
stabilire chi avesse ragione e chi torto a riguardo di questa specifica obiezione di Einstein, Podolski e Rosen (sebbene la
meccanica quantistica continuasse a dimostrarsi validissima nelle sue applicazioni e a permettere grandi innovazioni
tecnologiche).
Negli anni '60 il fisico Bell propose un certo esperimento, leggermente diverso dall'esperimento EPR originario, ma che poteva
essere effettivamente compiuto in laboratorio. In base al cosiddetto "teorema di Bell", se tale esperimento desse certi risultati (che
qui per semplicit non esporremo), l'obiezione di Einstein verrebbe respinta, e verrebbe confermata la validit della meccanica
quantistica con tutti i suoi "giochi di prestigio".
Negli anni '70 l'esperimento di Bell fu realizzato da vari ricercatori, che finalmente verificarono la validit della meccanica
quantistica con i suoi paradossi e la sua non-oggettivit! Alcuni fisici per obiettarono che gli esperimenti non erano stati condotti
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in maniera rigorosa, adducendo varie critiche. Cos furono effettuati esperimenti sempre pi sofisticati e precisi, fino all'esperimento
condotto da Aspect et al. nel 1982, che viene considerato decisivo per la validit della meccanica quantistica nella forma non
gradita ad Einstein.
Il principio di "localit" di Einstein pu essere violato in certi casi che si riscontrano in particolari sistemi quantistici, anche se le
influenze "istantanee" sono soggette a molte limitazioni e non intaccano la validit della teoria della relativit: in parole povere, non
possibile accelerare una particella fino a farle raggiungere la velocit della luce o velocit superiori. Per possono esistere delle
strane influenze non-locali tra particelle quantistiche che in origine erano connesse e che poi sono state allontanate. Un articolo
interessante sulle tematiche trattate fino a questo punto si trovano in un articolo su Le Scienze n.235, 1988.
Molti esperimenti condotti recentemente hanno dimostrato pienamente l'esistenza dei "giochi di prestigio" quantistici. Negli anni
'90 Rarity e Tapster del Royal Signals and Radar Establishment hanno finalmente condotto un'esperimento reale che risulta molto
simile al paradosso EPR nella sua forma originaria. In estrema sintesi, in questo esperimento un laser emette un fotone, cio un
quanto di luce, il quale viene diviso in due fotoni di energia dimezzata da un dispositivo chiamato convertitore verso le basse
frequenze. I due fotoni gemelli vengono allontanati tra di loro: ebbene, l'esperimento ha evidenziato che resta una correlazione tra i
due fotoni, sebbene possano essere lontanissimi tra di loro, cosicch una misura effettuata su uno dei due fotoni pu alterare lo
stato dell'altro! Avviene cio proprio ci che Einstein aveva definito assurdo e impossibile quando aveva proposto l'esperimento
EPR.
X - Pregiudizi ancora diffusi.
Data la stranezza della questione, alcuni fisici, nonostante il risultato degli esperimenti citati, sono rimasti convinti della validit del
realismo e della localit di Einstein. Per comprendere quanto sia grande l'influenza di certi pregiudizi, anche tra gli scienziati, si
pu considerare un sondaggio effettuato nel 1985 (quindi ben tre anni dopo l'esperienza di Aspect) tra un campione di fisici
(riportato da A.Masani: La fisica e la realt, L'Astronomia n.73, 1988).
La "localit di Einstein" veniva accettata ancora dal 57% degli intervistati; solo il 30% non l'accettava pi; il 13% era indeciso.
Il "realismo di Einstein", ovvero la convinzione che l'universo sia comunque "oggettivo", veniva accettato ben dall'86% degli
intervistati, non veniva pi accettato solo dal 2%, mentre il 12% trovavano ambigua la domanda.
Eppure l'esperimento di Aspect avrebbe dovuto modificare le convinzioni sul "realismo" e la "localit" di Einstein!
Negli anni seguenti furono condotto molti altri esperimenti sui fondamenti della realt quantistica. Diversi esperimenti condotti negli
anni '90 risultano ancora pi sconcertanti e ormai riducono a zero la possibilit che la localit ed il realismo di Einstein siano validi
(quindi oggi lo stesso sondaggio dovrebbe ottenere risultati ben diversi da quelli del 1985). Sorprendentemente tali esperimenti
riportano decisamente alla ribalta la figura del soggetto cosciente, nonostante il provvisorio rimedio che negli anni '20 Bohr pose a
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tale "problema".
Resta il fatto che questi incredibili esperimenti (che esamineremo nei prossimi paragrafi) restano sconosciuti ai profani, ed anche
alla maggior parte degli scienziati (cio i non fisici), che continuano ingenuamente a credere all'oggettivit della fisica.
Ma il fisico Pagels avverte (Il codice cosmico, Bollati Boringhieri, cap.9 pag.134/137): "La vecchia idea che il mondo esista
effettivamente in uno stato definito non pi sostenibile. La teoria quantistica svela un messaggio interamente nuovo: la realt in
parte creata dall'osservatore". Ed inoltre: "La situazione si presenta paradossale al nostro intuito, perch stiamo cercando di
applicare al mondo reale un'idea dell'oggettivit che sta solo nelle nostre teste, una fantasia".
XI - Interferenza quantistica.
Iniziamo ad analizzare alcuni esperimenti quantistici davvero incredibili. Molti dei seguenti esperimenti sono descritti in un ottimo
articolo pubblicato su Le Scienze n.289 del 1992, La filosofia dei quanti di J.Horgan. Seguiamo attentamente.
Partiamo da un esperimento di importanza fondamentale. Consideriamo una sorgente di particelle "classiche" che vengono inviate
su un bersaglio: per esempio una mitragliatrice che spara verso di un muro distante 10 metri (non in una direzione fissa, ma in
modo da coprire tutto il muro). Quindi frapponiamo una "maschera" tra la sorgente ed il bersaglio, ovvero uno schermo forato, a
circa 2 metri dal bersaglio: la maschera pu essere una lastra di metallo con due fori rettangolari stretti e lunghi (che chiameremo
"fenditure"), disposte come in figura 1.
Fig.1 - La maschera con le due fenditure
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evidente che sul bersaglio (sul muro) giungeranno solo i proiettili in corrispondenza dei due fori, mentre gli altri verranno fermati
dalla maschera. In definitiva, i proiettili che colpiranno il bersaglio formeranno due rettangoli stretti e lunghi che saranno la
"proiezione" sul bersaglio dei due fori della maschera (figura 2).
Fig. 2 - La maschera ed il bersaglio nel caso dei proiettili
Siamo nell'ambito della fisica classica ed tutto chiaro e comprensibile.
Ora ripetiamo l'esperimento con delle onde al posto dei proiettili, per esempio delle onde sonore. In tal caso le onde colpiranno il
bersaglio non soltanto in corrispondenza dei due fori, ma anche in altre parti del muro; se si potessero visualizzare le parti colpite
con maggiore e minore intensit, vedremmo una tipica figura a frange detta figura di interferenza, che si estende ben oltre la
proiezione delle fenditure. Ci dovuto ad un fenomeno ondulatorio detto interferenza: grazie a tale fenomeno, le onde possono
colpire regioni del bersaglio che sarebbero irraggiungibili per i proiettili.
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Fig. 3 - La figura di interferenza nel caso delle onde
Va aggiunto che se si tappa una delle due fenditure, l'interferenza non pu pi avere luogo, e la distribuzione delle onde sul
bersaglio diventer simile a quella dei proiettili, ovvero sullo schermo si vedr la proiezione dell'altra fenditura, quella aperta (in
realt apparir un po' dispersa a causa di un fenomeno ondulatorio chiamato diffrazione, ma questo non cambia il nocciolo della
questione). Si usa dire che in tal caso la figura di interferenza viene "distrutta". Anche questo perfettamente comprensibile in
termini di fisica classica.
Passiamo adesso al caso quantistico: consideriamo degli elettroni e ripetiamo un esperimento simile, ovviamente su scale molto
pi piccole.
La sorgente emette elettroni distinti, cio particelle e non onde, e quindi ci aspettiamo di avere la stessa situazione che si
presentava nel caso dei proiettili: gli elettroni dovrebbero colpire solo due zone rettangolari in corrispondenza delle fenditure. Invece
otteniamo una figura di interferenza come nel caso delle onde! Eppure non si tratta di onde, ma di particelle distinte.
Proviamo a rallentare il processo ed inviare un singolo elettrone alla volta: ovvero aspettiamo che un elettrone giunga sul bersaglio
prima di far partire il successivo. Esso viene emesso come una particella singola; supera la maschera; e raggiunge il bersaglio
come particella singola. Esso per pu colpire zone del bersaglio irraggiungibili ad una particella, come se fosse un'onda!
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Continuando ad inviare singoli elettroni, uno alla volta, alla fine essi ricostruiscono la figura di interferenza tipica delle onde!
Sebbene si tratti di particelle singole, nell'attraversare la maschera ciascuna di esse si comporta come un'onda estesa che
produce interferenza.
Fig. 4 - Gli elettroni formano la figura di interferenza!
Ma com' possibile che un singolo elettrone si comporti come un'onda e faccia interferenza con se stesso?! E da quale dei due fori
passa il singolo elettrone? Per poter produrre l'interferenza, esso deve essere un'onda e passare contemporaneamente dai due fori,
il che secondo noi non possibile per una particella singola. In questo ragionamento chiaramente applichiamo all'elettrone il
concetto di "particella classica", ma esso non pi valido in meccanica quantistica.
In realt, finch l'elettrone non viene rivelato sul bersaglio, esso non si trova mai in un punto preciso dello spazio (cio in un
autostato della posizione), ma esiste in uno stato potenziale astratto descritto da una funzione d'onda, che si propaga appunto
come un'onda e non secondo una traiettoria definita.
De Broglie e Schrdinger tentarono di descrivere tutto il mondo quantistico in termini di onde, abolendo il concetto di particella.
Bohr ed altri fisici per obiettarono che all'atto della rivelazione l'elettrone si comporta come una particella e non un'onda (la
funzione d'onda collassa in un punto) e fecero notare altri aspetti tecnici che rendono vana la spiegazione puramente ondulatoria.
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A questo punto possiamo immaginare di "smascherare il trucco" andando a vedere che cosa fa realmente l'elettrone nell'attimo in
cui attraversa la maschera. Nella nostra convinzione infatti l'elettrone deve oggettivamente passare da uno dei due fori e non
dall'altro (questo il cosiddetto "realismo" di Einstein), e noi vogliamo "coglierlo" in quell'attimo per scoprire il suo segreto: sarebbe
come osservare attentamente un prestigiatore e riuscire a scoprire l'attimo in cui effettua il suo trucco.
Ma per cogliere l'elettrone sul fatto, dobbiamo rivelarlo. Per far ci, possiamo inviare sull'elettrone una debole luce e verificare se
viene riflessa da esso. Quindi poniamo una debole sorgente luminosa dietro uno dei due fori, e vediamo se riusciamo a cogliere
l'elettrone. Questo sperimentalmente possibile, ma cos facendo la figura di interferenza scompare! Infatti: o l'elettrone passa dal
nostro foro, quindi viene individuato dal nostro rivelatore, e in quell'attimo diventa "particella reale"; oppure passa dall'altro foro, ma
quando passa da un foro solo - sia esso onda o particella - non pu produrre interferenza!
La meccanica quantistica non ci permette di avere contemporaneamente la figura di interferenza e la conoscenza del singolo foro
da cui l'elettrone passato. O l'uno o l'altro: o l'elettrone viene rivelato come particella oggettiva, e quindi non produce interferenza,
o un'onda estesa, ed in tal caso non passa da un solo foro, bens da tutte e due (ma anche quest'ultima affermazione ha delle
limitazioni e dovremmo dire: " come se fosse passata da tutte e due").
XII - La spiegazione 'operativa' non esauriente.
Alcuni fisici in passato tendevano a sottovalutare tale fenomeno e preferivano dare una spiegazione "operativa" di quello che
succede: per vedere l'elettrone mentre passa da un foro, dobbiamo osservarlo, quindi inevitabilmente dobbiamo perturbare il
sistema e la figura di interferenza scompare. I fisici "realisti" quindi non si meravigliavano pi di tanto: abbiamo perturbato il
sistema con una misura "invasiva", ed esso si adeguato: che cosa c' di tanto strano?
In realt questa spiegazione, pur essendo parzialmente valida, ignora alcune implicazioni molto pi profonde, rivelabili solo con altri
esperimenti. Infatti possibile fare scomparire la figura di interferenza con un'azione molto pi "evanescente" di quella considerata
finora, ovvero senza una misura invasiva. In pratica basta solo la "minaccia" di una misura a far cambiare stato al sistema! A tal
proposito analizzeremo poco pi avanti gli strabilianti esperimenti del gruppo di L.Mandel e di altri gruppi.
Prima per rimaniamo sull'esperimento dei due fori per notare un aspetto incredibile previsto dal fisico Wheeler, che smentisce
l'apparente "ragionevolezza" della spiegazione "operativa" dell'esperimento (basata sul fatto che la misura "invasiva").
Gli esperimenti in questione possono essere effettuati indifferentemente su elettroni o su "fotoni"; i fotoni sono "quanti di luce".
Infatti a livello quantistico le particelle che noi chiamiamo "materiali" si comportano in un modo che per molti versi simile a quello
in cui si comportano i "campi di forze", come per esempio i campi elettromagnetici (la luce appunto un campo elettromagnetico
che si propaga come un'onda).
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Ovviamente vi sono varie differenze tra cosiddette "particelle materiali" e "campi di forze" (per esempio i primi sono "fermioni" e i
secondi "bosoni", il che crea delle differenza nel loro comportamento collettivo): tali differenze per non sono determinanti negli
esperimenti che stiamo analizzando. In definitiva l'esperienza dei due fori si pu effettuare anche con dei fotoni (quanti di luce), ed
anzi risulta molto pi semplice che con gli elettroni ( sufficiente utilizzare un laser).
Ed ora analizziamo l'esperimento proposto da Wheeler.
XIII - L'esperimento 'a scelta ritardata' di Wheeler.
Immaginiamo un fotone che passa attraverso i due fori, come un'onda, e fa interferenza con se stesso. Come abbiamo visto, per
distruggere la figura di interferenza, sufficiente osservarlo "subito dopo" che passato da un foro: in tal caso esso non pi
un'onda ma una particella e quindi non pu passare anche dall'altro foro. E poich non pu passare dall'altro foro la figura di
interferenza scompare.
Perci noi possiamo "decidere" se osservare il fotone come particella o se permettergli di fare la figura di interferenza come
un'onda. Benissimo.
Abbiamo detto che riveliamo il fotone "subito dopo" che transitato dal primo foro. "Subito dopo" significa che passato
pochissimo tempo dal transito nel foro. Ma per quanto piccolo sia il tempo trascorso, il fotone comunque ha gi oltrepassato il
foro; inoltre fino a questo momento esso rimasto un'onda perch non l'abbiamo ancora rivelato. Perci nel frattempo l'onda ha gi
imboccato anche l'altro foro e lo ha oltrepassato. E allora come fa il fotone ad essere rivelato "tutto intero" vicino al primo foro? Che
fine fa il fronte d'onda che aveva appena oltrepassato il secondo foro? Scompare nel nulla? Sembra proprio di s, ma com'
possibile?
Per chiarire questo punto, Wheeler propose di fare cos: lasciamo che il fotone passi attraverso la maschera, come un'onda,
passando da entrambi i fori. A questo punto, dopo che il fronte d'onda ha superato la maschera, inseriamo un rivelatore non
lontano dal primo foro, ma neanche tanto vicino (cio quanto basta per essere sicuri che nel frattempo tutto il fronte d'onda sia gi
sicuramente transitato dalla maschera). In pratica vogliamo effettuare la scelta di osservare il fotone come particella, per dopo che
esso transitato da entrambi i fori come un'onda. Infatti l'esperimento chiamato "a scelta ritardata".
L'esperimento stato realmente effettuato da alcuni scienziati dell'Universit del Maryland. Ebbene, inserendo il rivelatore dopo
che l'onda transitata dalla maschera, esso individua il fotone come particella e perci la figura di interferenza non si crea. Ma
allora che fine fa la parte dell'onda gi transitata dal secondo foro?!
Scompare nel nulla, poich il fotone viene rivelato interamente vicino al primo foro! Eppure, diciamo noi, l'onda era transitata
sicuramente anche dal secondo foro: infatti, se non si inserisce il rivelatore (lasciando inalterato tutto il resto), si forma la figura di
interferenza (che pu formarsi solo se l'onda transita da entrambi i fori). E allora com' possibile?!
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La realt che anche stavolta cerchiamo di fornire un'immagine oggettiva di ci che accade: ma un'immagine oggettiva non
adeguata. Non ha senso dire che "l'onda gi passata", perch solo all'atto della misura possiamo dire che qualcosa avvenuto:
prima della misura il fotone rimane in uno stato indefinito di potenzialit o di non-oggettivit (qualcuno preferisce dire perfino di
irrealt). Quando poi inseriamo il rivelatore, allora possiamo dire con certezza che il fotone era passato solo dal primo foro e non
dal secondo foro, e infatti non c' interferenza. Quando invece non inseriamo il rivelatore, e riveliamo dei fotoni sul bersaglio (con
figura di interferenza), allora possiamo dire che ciascun fotone ha fatto interferenza come se fosse un'onda transitata da entrambi i
fori; ma questo lo possiamo dire solo dopo che il fotone viene rivelato sul bersaglio (in un punto raggiungibile solo da un'onda ma
non da una particella), cio dopo la misura.
La cosa che a noi appare incredibile che ci che il fotone ha deciso di fare sulla maschera (passare da un foro solo o entrambi)
dipende da una scelta successiva al transito stesso! Infatti il rivelatore viene inserito dopo che il fronte d'onda transitato dalla
maschera. Come dice Wheeler, la "scelta" di far passare il fotone da un solo foro o da entrambi "ritardata", cio avviene dopo
che il fotone passato!
Affinch la cosa non risulti incredibile, dobbiamo ammettere che ci che successo prima non definito. Occorre specificare che
l'esperimento condotto nell'Universit del Maryland non stato impiegato uno schermo con due fori ma un'apparecchiatura
concettualmente equivalente: un fascio laser stato diviso in due fasci separati, uno dei quali attraversava un rivelatore (che poteva
essere "acceso" o "spento"), ed infine i due fasci venivano fatti convergere nel rivelatore finale, dove si poteva verificare l'eventuale
interferenza.
XIV - Un incredibile paradosso astronomico.
Come sottolinea Wheeler, l'esperimento sopra analizzato fornisce un risultato assurdo se continuiamo a considerare "oggettivo"
l'universo. Per rendere ancora pi strabiliante questa assurdit, Wheeler fa notare che l'esperimento in questione, se considerato
su scala astronomica, pu produrre risultati sbalorditivi. Ecco un esempio.
Oggi conosciamo alcuni oggetti astronomici lontanissimi, chiamati quasar. Per giungere fino a noi, la luce di un quasar impiega
miliardi di anni. Se nel percorso incontra una galassia di grande massa, che in base alla relativit generale di Einstein pu
funzionare da "lente gravitazionale", il fascio di luce si divide in due fasci che aggirano la galassia da due parti opposte (infatti noi
dalla Terra otteniamo delle immagini sdoppiate di alcuni quasar).
Immaginiamo che il quasar si trovi a dieci miliardi di anni luce di distanza e la galassia-lente a otto miliardi. Se noi sulla Terra
vogliamo osservare il quasar, possiamo scegliere di far produrre interferenza ai due fasci, oppure di rivelare i singoli fotoni di
ciascun fascio. Il concetto identico a quello dell'esperimento precedente.
Proviamo a chiederci se otto miliardi di anni fa il singolo fotone passato da entrambi i lati rispetto alla lontana galassia (come
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un'onda) oppure da un lato solo (come una particella). Ebbene, se continuiamo a mantenere una concezione oggettiva
dell'universo, la risposta dipende da come decidiamo di osservarlo noi oggi!
Se oggi noi scegliamo di rivelare la figura di interferenza, allora otto miliardi di anni fa il fotone ha deciso di percorrere entrambi i
cammini. Viceversa, se noi scegliamo di vedere il singolo fotone su un singolo cammino, allora otto miliardi di anni fa il fotone ha
scelto di comportarsi come una particella!
Nel momento in cui noi cambiamo idea e lo osserviamo in un modo invece che nell'altro, il fotone che sta arrivando gi preparato
alla nostra scelta!
In pratica, come dice l'articolo di J.Horgan (Le Scienze n.289), "i fotoni devono aver avuto una sorta di premonizione, per sapere
come comportarsi in modo da soddisfare una scelta che sarebbe stata fatta da esseri non ancora nati su un pianeta ancora
inesistente"!
Ci che risolve il paradosso che l'universo non si trova in uno stato pienamente oggettivo, ma le sue caratteristiche fisiche sono
in parte determinate dall'osservatore cosciente (anche se solo a livelli quantistici si riesce a rivelare chiaramente tale piccola
influenza).
XV - La 'conoscenza' di un sistema ne altera lo stato.
All'inizio degli anni '90 Mandel dell'Universit di Rochester ed i suoi collaboratori hanno compiuto un esperimento straordinario, che
potremo analizzare in un certo dettaglio.
Nel paragrafo XII avevamo visto che alcuni fisici in passato davano una banale interpretazione "operativa" dell'esperimento con le
due fenditure: poich la misurazione necessariamente "invasiva", inevitabile che il sistema fisico alteri il suo stato.
Ma l'esperimento di Mandel ed altri di ottica quantistica a cui accenneremo pi avanti hanno dimostrato che sufficiente qualcosa
di molto pi evanescente di una misurazione per far cambiare lo stato fisico di un sistema: sufficiente la conoscenza potenziale
che possiamo avere di tale sistema! Magia? No, fisica contemporanea.
Horgan, nel suo articolo su Le Scienze n.289, riporta il commento scherzoso dei fisici Jaynes e Scully, che hanno parlato
addirittura di "negromanzia medievale" a proposito di questi esperimenti. Lo stesso Horgan parla di "fotoni psichici" e si ricollega
alla filosofia del celebre vescovo Berkeley (secolo XVIII), che pu essere definita un "empirismo idealistico". Berkeley afferm Esse
est percipi, ovvero "esistere essere percepito". Berkeley intendeva dire che l'esistenza di una qualsiasi entit in natura pu
essere solo testimoniata da una percezione cosciente, per cui tutta la realt pu essere ridotta ad atti di consapevolezza, ovvero a
idee, senza che sia necessario che la materia esista oggettivamente! Ma torniamo agli aspetti pratici e vediamo l'esperimento di
Mandel.
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Anzitutto ricreiamo una situazione simile a quella del fotone che transita attraverso le due fenditure, ma per mezzo di un
dispositivo diverso, cio uno specchio semi-riflettente (detto anche divisore di fascio): esso trasmette la luce al 50%, ovvero solo
met dell'intensit luminosa riuscir ad attraversare lo specchio, mentre l'altra met sar riflessa.
Analizzando i singoli fotoni, in una descrizione tradizionale diremmo che la probabilit che un fotone attraversi lo specchio (invece
di essere riflesso) del 50%. Se consideriamo 100 fotoni, secondo la logica convenzionale ci aspettiamo statisticamente che
circa 50 fotoni attraversino lo specchio, mentre gli altri 50 vengano riflessi: il fascio iniziale di 100 fotoni quindi sar diviso in due
fasci diversi che percorrono cammini diversi. Questo per vero solo se abbiamo modo di rivelare esplicitamente i singoli fotoni,
altrimenti dobbiamo ammettere che ciascun fotone si trover in uno strano "stato di sovrapposizione", cio al 50% attraverser lo
specchio ed al 50% sar riflesso. In altre parole, il percorso di ciascun fotone sar indefinito, poich "per met" passer attraverso
lo specchio e "per l'altra met" verr riflesso, sebbene esso sia indivisibile!
Se noi non misuriamo esplicitamente il percorso seguito dal fotone e facciamo incidere i due percorsi potenziali su uno schermo,
otterremo la solita figura di interferenza: ovvero il fotone (pur rimanendo una particella singola) passer da entrambi i percorsi e alla
fine produrr interferenza con se stesso. Fin qui avviene ci che abbiamo descritto nel paragrafo XI, anche se stavolta il misterioso
sdoppiamento del singolo fotone non causato dalle due fenditure bens dallo specchio semi-riflettente.
Come si vede nella figura 5, il laser (1) emette un fotone, lo specchio semi-riflettente (2) "divide" il fotone in due parti fantasma, e
ciascuno delle due parti fantasma percorre un percorso diverso (3 e 4). Gli specchi nei punti 3 e 4 sono "normali" (non semi-
riflettenti) e servono solo a indirizzare in maniera opportuna i due percorsi.
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Fig. 5 - Schema dell'incredibile esperimento di Mandel
Su ciascun percorso vi un "convertitore verso le basse frequenze", di cui abbiamo parlato nel paragrafo IX. Ciascun convertitore (5
e 6) divide il proprio fotone fantasma in due fotoni gemelli di energia dimezzata. Uno viene chiamato "fotone segnale" ed indicato
con S, mentre l'altro viene chiamato "fotone ausiliario" ed indicato con A. Infine, i due percorsi S vengono rivelati sullo schermo
(9), mentre i due percorsi A vengono indirizzati sul rivelatore ausiliario (8). In realt, per ragioni tecniche, il sistema realmente usato
dall'equipe di Mandel leggermente pi complicato, ma concettualmente equivalente a quello appena descritto.
Vediamo allora come funziona l'intero sistema: il laser (1) spara un singolo fotone alla volta che incide sullo specchio semi-
riflettente (2). Poich noi non misuriamo quale percorso viene effettuato dal fotone, esso fantomaticamente passa da entrambi i
percorsi (3 e 4), e nei convertitori 5 e 6 il fotone fantasma viene diviso in due fotoni gemelli di energia dimezzata. Alla fine, i due
percorsi "segnale" (indicati con S) incidono sullo schermo (9) dove il fotone S far interferenza con se stesso (cio con l'altra parte
di se stesso passato dall'altro percorso). In seguito dal laser spareremo altri fotoni, uno alla volta, ed alla fine come risultato
vedremo una chiara figura di interferenza sullo schermo (9).
La situazione simile a quella dell'esperimento con le due fenditure (paragrafo XI) e l'unica differenza che qui la situazione
"raddoppiata" (grazie ai convertitori 5 e 6), cio abbiamo anche i due percorsi "ausiliari" (indicati con A), per cui, ogni volta che un
fotone colpir lo schermo (9), contemporaneamente riscontreremo l'arrivo di un fotone anche sul rivelatore ausiliario (8), ovvero
registreremo una cosiddetta "coincidenza". In quest'analisi abbiamo presupposto che non vi sia ancora un ostacolo nel punto 7,
che si trova sul percorso di uno dei fasci ausiliari.
Benissimo: ora viene il bello. Vediamo che cosa succede se si inserisce appunto un ostacolo nel punto 7. Una volta che i percorsi
sono stati divisi, ci aspettiamo che essi siano indipendenti: perci l'ostacolo nel punto 7 non dovrebbe alterare la figura di
interferenza nello schermo (9) poich il punto 7 si trova su un altro percorso, che porta al rivelatore ausiliario (8) e non allo schermo
(9).
Ma se inseriamo l'ostacolo nel punto 7, interrompendo cos il percorso di un fascio ausiliario, la figura di interferenza dei fasci
segnale nello schermo (9) scompare! Eppure non abbiamo effettuato misure sui fasci segnale (che finiscono sullo schermo, 9), ma
solo su un fascio ausiliario (che finisce nel rivelatore, 8)! Anche se allontaniamo moltissimo i due fasci (A e S) tra di loro, quando
operiamo sui fasci A incredibilmente produciamo un'influenza sui fasci S, che contraddice la localit di Einstein.
Com' possibile? Che cos' cambiato rispetto al caso precedente quando non vi era un ostacolo nel punto 7? cambiata la
"conoscenza potenziale" che abbiamo sui fasci segnale: poich il percorso che passa dall'ostacolo 7 interrotto, quando riveliamo
un fotone sul rivelatore degli ausiliari (8) esso deve provenire necessariamente dal percorso che passa per lo specchio 3 (non pu
provenire dal percorso dello specchio 4 appunto perch interrotto nel punto 7). Perci, misurando la sua coincidenza col fotone
segnale sullo schermo (9) noi saremmo in grado di dire con certezza che quel fotone segnale proveniva dal percorso dello
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specchio 3, cio sapremmo che il fotone passato "interamente" da questo percorso e conseguentemente non pu essere
passato dal percorso dello specchio 4: per questo non pu fare interferenza (come nel caso delle due fenditure).
Questo spiega perch la figura di interferenza nello schermo (9) viene distrutta se inseriamo un ostacolo (7) sul fascio ausiliario. Il
fatto notevole che si tratta di una sconcertante "azione fantomatica a distanza": agendo sul punto 7 alteriamo lo stato fisico in un
luogo diverso, cio sullo schermo (9), dove la figura di interferenza viene distrutta, e questo dovuto al fatto che ora noi sappiamo
o possiamo dedurre quale percorso avr seguito il fotone che incider sullo schermo (9): dovuto cio a una conoscenza, ad
un'informazione, ad un atto di consapevolezza, e non ad un intervento materiale diretto. Questa "conoscenza potenziale"
sufficiente ad alterare lo stato fisico sul rivelatore dei segnali, distruggendo la figura di interferenza.
Nota: al cune persone, potrebbero obi ettare che vi pu essere una qual che azi one fi si ca retroatti va sul fasci o di l uce: tal e presunta azi one tornerebbe i ndi etro
dal punto 7 fi no al punto 6 o addi ri ttura al punto 2, ed i nfl uenzerebbe i l ri sul tato sul l o schermo 9 senza bi sogno di "azi oni fantasma". Ma tal e spi egazi one non
ha al cun senso fi si co: non vi nul l a che torna i ndi etro, i fotoni si muovono i n avanti , e per gi unta non costi tui scono un fasci o conti nuo poi ch i fotoni sono
quanti zzati , e vi ene emesso sol o un fotone al l a vol ta.
XVI - Altri esperimenti.
Non c' possibilit di spiegazione "tradizionale" in un mondo oggettivo nel senso classico del termine. Sembra che si debba
ammettere che il nostro mondo "oggettivo" tridimensionale sia una sorta di "proiezione" di una realt pi profonda, o uno spazio
psico-fisico astratto composta da stati quantistici che tengono conto della conoscenza dell'osservatore cosciente!
Il gruppo di R.Chiao, dell'Universit di Berkeley, ha condotto altri esperimenti straordinari, i quali dimostrano che il "collasso della
funzione d'onda" reversibile (mentre Bohr e gli altri fisici di Copenaghen pensavano che fosse irreversibile, tant' vero che su
questo fatto, oggi inaccettabile, essi basarono la loro interpretazione, in modo da aggirare la scomoda figura dell'osservatore
cosciente). Il fenomeno in questione stato chiamato "cancellazione quantistica" (ci che si pu cancellare appunto il collasso
della funzione d'onda, che negli anni '20 veniva considerato irreversibile).
Sfruttando "giochi di prestigio quantistici" di questo genere, i fisici P.Kwiat, H.Weinfurter e A.Zeilinger hanno dimostrato che sono
possibili delle "misure senza interazione", ovvero ci si pu accorgere della presenza di un oggetto macroscopico (cio "classico" e
non quantistico) utilizzando le caratteristiche quantistiche dei fotoni e la loro non-oggettivit (nota: nel caso di un oggetto
macroscopico la sua posizione "oggettiva" probabilisticamente elevatissima, cio praticamente certa; per l'esperimento sfrutta
le qualit di non-oggettivit quantistica del fotone rivelatore, che cos rivela l'oggetto senza interagire con esso!).
Misure senza interazione potrebbero avere applicazioni importantissime in campo medico, per ridurre fortemente l'intensit delle
radiazioni nell'osservazione specialistica di tessuti organici. Si immagini per esempio di poter fare una radiografia a tutti gli effetti,
ma riducendo drasticamente l'esposizione ai raggi X. Un'articolo su questo tema stato pubblicato su Le Scienze n.342 del 1997.
Per capi re come ci si a possi bi l e, ci si pu ri col l egare al l 'esperi mento di Mandel descri tto sopra. Immagi ni amo che l 'oggetto da ri vel are si a l 'ostacol o i nseri to
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nel punto 7: ebbene, noi possi amo ri vel are l a presenza del l 'oggetto veri fi cando se sul l o schermo (9) si forma o meno l a mi sura di i nterferenza! Si tratta qui ndi di
una mi sura i ndi retta che non coi nvol ge espl i ci tamente l 'oggetto.
Purtroppo l 'oggetto verr comunque col pi to da un fotone nel 50% dei casi (poi ch stati sti camente nel 50% dei casi l o specchi o semi -ri fl ettente 2 l ascer
passare un fotone che attraverso i l percorso 4 col pi r effetti vamente l 'oggetto nel punto 7). L'esposi zi one al l a radi azi one per pu essere ri dotta a pi acere
sfruttando un metodo i ngegnosi ssi mo detto "Effetto Zenone quanti sti co": Kwi at, Wei nfurter e Zei l i nger sono gi ri usci ti a ri durre del l '85% l a radi azi one
necessari a, l asci ando un'esposi zi one sol o del 15%.
Inoltre vi sono altre applicazioni pratiche di questi "giochi di prestigio quantistici". Per esempio il teorema di Bell permette
l'esistenza di una "crittografia quantistica" assolutamente sicura, poich decifrabile solo da chi possiede la chiave originale. Ma
non basta. Sono gi allo studio dei "computer quantistici" basati sui qubit, ovvero su "bit quantistici" che possono sfruttare gli stati
di sovrapposizione quantistica.
Infine, grazie alle caratteristiche paradossali della realt quantistica, sono stati condotti perfino esperimenti di "teletrasporto", cio
di trasporto a distanza! Il sogno fantascientifico di trasmettere gli oggetti a distanza (si pensi al film Star Trek) in linea di
principio realizzabile, almeno per le particelle quantistiche, ed i primi esperimenti sono gi stati effettuati con successo (si veda
l'articolo di Zeilinger su Le Scienze n.382, Giugno 2000).
Chi desidera approfondire gli argomenti trattati in questo capitolo, pu leggere il libro di Ghirardi, Un'occhiata alle carte di Dio (Il
Saggiatore), o il libro di Gilmore, Alice nel paese dei quanti, Cortina.
XVII - Conclusioni.
I paradossi quantistici che abbiamo brevemente descritto sembrano evidenziare che la "consapevolezza" dell'osservatore gioca un
ruolo decisivo ai livelli fondamentali della realt. Come abbiamo gi visto, Horgan sostiene che questi esperimenti si accordano con
la concezione di George Berkeley, filosofo del secolo XVIII, secondo il quale "Esse est percipi" (esistere significa essere
percepito): si tratterebbe di una concezione immateriale dell'universo, che in filosofia viene detta "empirismo idealistico".
In effetti sembra che la meccanica quantistica dia un messaggio nuovo sulla struttura della realt, e che sancisca la fine del
"realismo" oggettivo e materialistico a favore di una concezione "idealistica", in cui gli oggetti esistono in uno stato "astratto" e
"ideale" che rimane teorico finch la percezione di un soggetto conoscente non lo rende reale. Oppure, senza farla tanto grossa,
possiamo limitarci a notare che il classico modello materialistico inadeguato a descrivere la realt quantistica ed occorre
rivolgersi a modelli che concepiscono l'universo in termini di "informazione" piuttosto che di "materia".
Sono state proposte anche altre vie d'uscita da questa strana situazione. Per esempio, per aggirare la difficolt filosofica dovuta
all'apparente "casualit" insita nell'indeterminazione quantistica, il fisico Everett propose l'esistenza di infiniti universi. Secondo
Everett, ogni qual volta viene effettuata una "scelta" quantistica, l'universo si divide in due, uno che prosegue la sua storia con una
delle due scelte, e l'altro che prosegue la sua storia con l'altra scelta!
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In realt la teoria di Everett un po' pi completa di come stata brevemente descritta sopra, e si basa su stati di sovrapposizione
quantistici tra universi diversi. Essa molto apprezzata da alcuni fisici, ma a me personalmente sembra perfino pi folle
dell'accettare un principio mentale alla base della realt fisica. Inoltre essa risulta difficilmente verificabile, poich non chiaro
come sarebbe possibile effettuare un esperimento che confermi o confuti la tesi proposta (nota: il filosofo Popper preferisce parlare
di falsificabilit invece di verificabilit, perch ogni teoria scientifica deve permettere almeno un esperimento che sia in grado di
evidenziare l'eventuale erroneit della teoria).
Comunque sia, non possiamo accettare cos di punto in bianco una nuova visione della realt: siamo consapevoli che si
tratterebbe di una rivoluzione concettuale di portata colossale. La questione molto delicata e non vogliamo trarre conclusioni
affrettate: perci terremo conto dell'esistenza di questi sconcertanti paradossi quantistici ma nei prossimi capitoli proseguiremo la
nostra ricerca con prudenza attraverso i territori della scienza e della filosofia.
Quindi venuto il momento di rivisitare l'intera storia della filosofia per vedere se vi qualche idea o qualche concezione che riesca
a inquadrare adeguatamente i risultati che emergono della meccanica quantistica.
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