Brigatisti: Renato Curcio, Alberto Franceschini, Prospero Gallinari,Valerio
Morucci, Mario Moretti, Patrizio Peci a cura di Laura Arc, Olivia Fiorilli, Ilenia Rossini
Introduzione Il racconto retrospettivo in prosa che un individuo reale fa della propria esistenza, quando mette l'accento sulla sua vita individuale, in particolare sulla storia della propria personalit, con questa frase il critico francese Philippe Lejeune definisce lautobiografia in quanto genere letterario 1 . Le autobiografie di Renato Curcio, Alberto Franceschini, Valerio Morucci, Prospero Gallinari e Patrizio Peci corrispondono solamente in parte a questa definizione. Nonostante le differenze che intercorrono tra le opere dei sei brigatisti rossi, una caratteristica che unisce queste autobiografie lanelito ad eccedere il racconto dellesistenza individuale. Si pensi, ad esempio, al modo in cui Moretti, cercando di non chiamare per nome i propri compagni e le proprie compagne, rimarca lintento tutto politico della propria autobiografia, o allassenza quasi totale di riferimenti alla propria vita affettiva nellopera di Morucci. La parte principale, in tutte le autobiografie, giocata dallesperienza dellautore/intervistato allinterno di unorganizzazione che non solamente ha avuto un ruolo totalizzante nella vita dei suoi aderenti, ma stata al centro del dibattito politico su un momento storico che viene considerato, se non tra i pi oscuri, sicuramente tra i pi significativi della storia repubblicana. Ovviamente il racconto della propria vita nelle Brigate Rosse non pu prescindere da un giudizio politico complessivo su quellesperienza, giudizio che molto spesso la traccia fondamentale dellautobiografia stessa. I brigatisti considerati sono stati, nella vicenda delle Brigate Rosse, personaggi di primo piano, talora fondamentali come nel caso di Franceschini e Curcio, fondatori dellorganizzazione, o di Moretti, leader indiscusso della stessa per un periodo lungo e importante, ipotizzabile dunque che urga, alla base della propria decisione di scrivere, la necessit di rendere conto, spiegandola, di unesperienza fallimentare nei propri obiettivi ultimi, terminata nellopinione degli scriventi, ma soprattutto fermamente condannata o comunque criticata da gran parte della
1 P. Lejeune, Il patto autobiografico, Bologna, il Mulino, 1986, p. 12. 158 opinione pubblica. Ad analizzare politicamente la vicenda delle Brigate Rosse spinge anche la necessit di stabilire il proprio ruolo allinterno di quella storia, sottolineando responsabilit e linee politiche, instaurando talvolta un vero e proprio dialogo tra alcune delle autobiografie: come sostiene Lejeune, infatti, chi scrive unautobiografia intende fornire unimmagine precisa, completa e, in certo senso, emblematica di s. Franceschini, ad esempio, ripercorre le tappe politiche dellorganizzazione nel tentativo di separare la prima parte della storia delle Br da unipotetica seconda parte seguita allarresto suo e di Curcio ed alla morte di Cagol (tentativo intuibile gi a partire dal titolo della sua autobiografia) e spinto dalla necessit di motivare la propria dissociazione. La storia delle Brigate Rosse , per, quella di unorganizzazione che nasce allinterno di un contesto storico e politico che gli autori dei testi esaminati cercano, con maggiore o minore impegno e completezza, di esaminare nel suo complesso. Lanalisi complessiva di quel periodo motivata, tra le altre cose, dalla necessit di rendere conto di un fenomeno che stato spesso e da pi parti considerato semplice devianza. Solamente la ricostruzione di un momento storico che presentava, nellopinione degli autori, potenzialit rivoluzionarie pu restituire alla scelta della lotta armata un significato che vada al di l della lettura di questa esperienza come puro fenomeno criminale, leggibile pertanto con i soli strumenti della morale. Non questo, per ovvie ragioni, il caso dellautobiografia di Peci, il quale, con il probabile ausilio dellintervistatore, Giordano Bruno Guerri, d una lettura meno politica del fenomeno delle Brigate Rosse. Esplicito nellintento di dare una lettura complessiva della propria epoca Morucci, che iscrive la storia delle Brigate Rosse e della lotta armata in generale allinterno di quella pi complessiva di una generazione segnata dalla passione e dallideologia. Non a caso lautobiografia dellex brigatista , tra le sei, quella pi densa di riferimenti ad altre realt politiche del periodo e non solamente a causa della precedente militanza di Morucci in altre organizzazioni extraparlamentari e nel movimento del 68, condivisa anche da altri brigatisti nonch di giudizi storici sul periodo. Lopera di Morucci inoltre probabilmente influenzata dalla diversit culturale e antropologica del suo autore rispetto agli altri brigatisti: romano e quindi distante da quel Nord Italia in cui era prevalente il mito della Resistenza e la presenza della fabbrica come dimensione sociale, lex brigatista ha 159 avuto esperienza del movimento degli anni 70, per molti versi distante dalle posizioni delle Brigate Rosse. Pi in generale, per, le vite che queste autobiografie raccontano, i vissuti psicologici e le soggettivit che testimoniano, costituiscono una fonte per la comprensione del contesto storico di quellepoca, o almeno e forse pi correttamente da un punto di vista storiografico per la storia di un gruppo, quello che in vario modo stato attraversato e mosso dallideologia e dalla passione politica: in questo senso si tratta di autobiografie di un insieme di persone che condividono una certa identit collettiva. Non a caso Morucci scrive che non sta ripercorrendo un elenco di fatti, da tutti conosciuti, ma sta riattraversando un dolore collettivo. Nelle rispettive autobiografie, Moretti, Curcio, Gallinari e Franceschini si sforzano di ripercorrere le tappe delle proprie vite e degli eventi storici che si sono trovati a vivere anche alla luce della lettura (soprattutto politica) che di questi avevano dato nel momento in cui stavano accadendo. Pu essere di grande interesse per la storia di quegli anni osservare linterazione delle scelte politiche e dellideologia con la vita intima e psicologica dei protagonisti: in queste opere, infatti, viene mostrato il peso delle ideologie sulla realt mentre, nelle opere storiografiche, generalmente si trova spiegato solamente cosa unideologia, ma non lideologia stessa. Franceschini, ad esempio, descrive il passaggio alla clandestinit, dovuto alla scoperta nel 1972 di un covo delle Br a Milano, come un momento di svolta esistenziale: non solamente concretizzazione di unistanza ideologica, ma anche scelta di libert rispetto alle aspettative gravanti sulla sua vita. Anche Gallinari, con molta lucidit, descrive il percorso che lo porta ad essere un contadino comunista e poi ad abbracciare la lotta armata per il comunismo, come un percorso di ricerca identitaria e di riscatto, che lo porta ad uscire dalla vergogna per le proprie origini. Allo stesso modo la rottura tra Morucci ed il padre si sostanzia, nel racconto dellex-brigatista, delle parole del lessico rivoluzionario. Sia Franceschini sia Peci, non senza una studiata sottolineatura della svolta rappresentata dallabbandono delle corazza dellideologia, si soffermano a descrivere la novit dellincontro su un piano umano con la controparte, i rappresentanti delle istituzioni. Le autobiografie analizzate mettono anche in luce la dinamica delle appartenenze. Una dinamica mai del tutto lineare, che risente delle scelte di vita 160 successive allarresto, degli eventi e delle polemiche che hanno seguito luscita - forzata o meno dallorganizzazione, ma che non da questi completamente determinata. Paradigmatico il caso di Peci che scrive la propria autobiografia per screditare lesperienza delle Brigate Rosse in un momento in cui esse sono ancora operanti - il cui rancoroso distacco dallorganizzazione e dai suoi aderenti non sempre corrisponde, nella narrazione, ad una chiara presa di distanza emotiva dalla propria esperienza di brigatista. Dalle autobiografie traspare il forte valore identitario dellesperienza nelle Brigate Rosse, anche per chi, come Morucci, prende platealmente le distanze dallorganizzazione o per chi, come Curcio, dedica almeno una parte della propria opera alla nuova vita seguita a quella da brigatista. Questi testi sono dunque preziosi per lanalisi del fenomeno della lotta armata e di quegli anni in generale dal punto di vista della soggettivit dei suoi protagonisti. Tuttavia necessario fare alcune osservazioni per un miglior uso delle fonti. Ricordi personali scrive Gallinari analizzando i contenuti della propria autobiografia - che per si intrecciano, si mischiano e spesso si confondono con fatti e avvenimenti che hanno avuto un peso nella vita collettiva. Di qui un problema? Usare il senno di poi? Raccontare attingendo a critiche, autocritiche, scomuniche, valutazioni o giudizi maturati a posteriori? Ho scelto unaltra strada. Quella di far riemergere il filo dei pensieri e degli atti compiuti nel modo in cui, effettivamente questi hanno attraversato e poi portato ad agire di conseguenza 2 . bene tuttavia chiedersi se sia possibile per gli scriventi prescindere da critiche, autocritiche, scomuniche, valutazioni o giudizi. Il meccanismo della memoria sempre selettivo, e non solo per quanto riguarda la ricostruzione dei nudi fatti, ma anche se non soprattutto per quanto riguarda la ricostruzione delle percezione soggettiva degli eventi e la vita interiore. Secondo il critico Duccio Demetrio, lautobiografia ha un carattere terapeutico, come se chi scrive volesse ripercorrere attraverso la narrazione alcuni momenti della propria vita per motivi personali ed interiori e, in questo senso, non qualcosa di letterariamente compiuto, ma solo piuttosto il frutto di scelte soggettive 3 .
2 P. Gallinari, Un contadino nella metropoli. Ricordi di un militante delle Brigate Rosse, Milano, Bompiani, 2006, p. 9. 3 D. Demetrio, Raccontarsi. L'autobiografia come cura di s, Milano, Cortina, 1996, passim. 161 Scrive Curcio, con grande lucidit Questa lunga intervista, selezionando alcuni eventi della mia esistenza e la memoria attuale che ne ho, presenta una certa versione di me stesso: quella che venuta fuori durante numerose chiacchierate in una disadorna stanzetta di Rebibbia. Assai probabilmente, allombra di un grande faggio, i ricordi non sarebbero stati gli stessi. Daltra parte tracciando arbitrarie differenze nel flusso degli eventi, essi si tradiscono da soli poich si servono, per raccontarsi, del linguaggio volubile del mito: il mito di s e della propria vita 4 . In questo caso ad interferire con la memoria concorrono una serie di circostanze che vanno dalla reclusione, esperienza esistenziale totalizzante, alla constatazione della fine tragica di unesperienza e delle critiche e delle scomuniche che essa ha sollevato. Bisogna inoltre considerare che la pubblicit delle memorie affidate ad unopera destinata al mercato editoriale non pu non aver parzialmente influito, almeno inconsciamente, su quella che Curcio definisce la memoria attuale degli eventi. Se queste considerazioni possono valere per le fonti orali, esse varranno tanto pi per le autobiografie, che, pur essendo basate su interviste (eccetto lopera di Gallinari), sono state corrette ed elaborate in vista della pubblicazione. bene inoltre tener presente la tensione fondamentale verso la costruzione di una narrazione unitaria e coerente di s, che se agisce - quale fattore di selezione e rielaborazione - in ogni racconto autobiografico, sicuramente presente in queste opere. Non si vuole per sostenere lipotesi di una cosciente o semicosciente selezione o, peggio, falsificazione della memoria, quanto piuttosto suggerire una lettura pi complessa delle autobiografie considerate, che tenga conto della complessit creata dagli eventi politici, storici ed esistenziali intervenuti tra lepoca dei fatti e la stesura delle opere, nonch delle diverse motivazioni, dichiarate o meno, che hanno spinto gli ex-brigatisti a raccontare le proprie vite. Se queste considerazioni valgono per luso delle autobiografie quali fonti per una storia della soggettivit dei protagonisti della lotta armata allinterno della ricostruzione degli anni che furono attraversati da questo fenomeno e dalla contestazione, esse devono essere una premessa fondamentale allapproccio storiografico alla ricostruzione di quegli eventi che non sono in qualche modo verificabili attraverso lincrocio di pi fonti. Curcio, Franceschini, Gallinari, Peci
4 R. Curcio, A viso aperto: vita e memorie del fondatore delle BR, intervista di Mario Scialoja, Milano, Mondadori, 1993, p. VII. 162 e Morucci, nelle loro autobiografie, forniscono dettagli, informazioni, elaborano gerarchie di responsabilit forniscono motivazioni politiche e non. Questo senza dubbio uno stimolo di grande utilit per la ricostruzione della storia delle Brigate Rosse, ma nondimeno un terreno rischioso. Non un caso che molte delle valutazioni formulate dai vari autori divergano spesso sostanzialmente. Si pensi, ad esempio, alle considerazioni sul ruolo giocato dalla strage di Piazza Fontana e dalla strategia della tensione nella nascita della lotta armata, o alle divergenze presenti anche nel racconto di quelli che dovrebbero essere dei fatti incontrovertibili: Curcio e Franceschini, entrambi fondatori dellorganizzazione, danno due spiegazioni diverse dellorigine del simbolo delle Brigate Rosse, mentre Moretti ammette che su di essa circolano tre diverse versioni. Bisogna infine fare alcune considerazioni sulla forma delle autobiografie considerate. Si gi detto che solamente lautobiografia di Gallinari frutto di unelaborazione completamente autonoma. Le opere di Moretti e Curcio si presentano sotto forma di interviste, nelle quali le domande degli intervistatori sono visibili. Peci e Franceschini hanno rielaborato in forma unitaria le risposte ad interviste alle quali sono stati sottoposti, mentre Morucci ha scritto la propria autobiografia prendendo spunto da domande postegli da un interlocutore che talvolta emerge tra le righe del testo. Le diverse forme di queste autobiografie danno adito ad una serie di riflessioni che precedono lanalisi di queste ultime. In primo luogo lintervista una forma di selezione preliminare delle informazioni. Il soggetto intervistato, anche quando pu intervenire a posteriori sul testo, non si esprime a partire dalle proprie esigenze di comunicazione ed elabora un racconto che parte solo parzialmente dalle proprie priorit. In questo contesto linterazione dellintervistato con lintervistatore fondamentale ai fini dellanalisi dei contenuti. Intervistatori diversi fanno, com ovvio, domande diverse: si pensi in questo senso alla distanza che intercorre tra lintervista di Giordano Bruno Guerri a Peci e quella di Carla Mosca e Rossana Rossanda a Moretti. Ma anche linterazione umana tra intervistatore ed intervistato pu influire sui contenuti di unintervista. Nel caso delle autobiografie di Franceschini e Peci non ci neppure dato sapere quali sono state le domande poste agli ex-brigatisti. Nonostante dalle risposte di Moretti traspaia a volte uninterazione personale con le intervistatrici, nellautobiografia di questultimo non specificato se a formulare la singola 163 domanda sia Mosca o Rossanda. A dirci qualcosa sullintervistato concorrono comunque anche le scelte operate al momento delledizione del testo: decidere di mantenere visibili le domande dellintervistatore pu essere una forma di presa di distanza dal testo stesso, come lascia in qualche modo intendere il brano di Curcio che si sopra citato. Lintervista, comunque, esce dallo schema che Lejeune identifica come caratteristico dellautobiografia, ovvero lidentit tra io narrante, soggetto e oggetto dei fatti narrati: nelle interviste, infatti, c un io che narra dei fatti di cui soggetto e oggetto, ma che guidato nella sua narrazione da una persona completamente esterna agli eventi narrati.
Schede biografiche Alberto Franceschini nasce il 26 ottobre 1947 a Reggio Emilia. Fondatore delle Brigate Rosse insieme a Renato Curcio e Margherita Cagol. Franceschini viene arrestato nel 1974, si dissocia ufficialmente dalla lotta armata nel 1987 con una dichiarazione sottoscritta al carcere di Rebibbia. Lascia il carcere nel 1992. Oggi coordinatore nazionale dell'Arci e collabora al quotidiano Ore d'Aria. Renato Curcio nasce il 23 Settembre 1941 a Monterotondo (Roma). Fondatore delle Brigate Rosse insieme ad Alberto Franceschini e Margherita Cagol. Arrestato nel 1974. Evaso dal carcere nel febbraio 1975, viene arrestato di nuovo all'inizio del 1976. Nel 1987 con una lettera aperta, insieme a Mario Moretti ed altri dichiara chiusa lesperienza della lotta armata rilevandone linattualit. Scarcerato nel 1993, lavora come direttore editoriale nella cooperativa Sensibili alle foglie. Mario Moretti nasce il 16 gennaio 1946, a Porto San Giorgio nelle Marche. Entra nelle Brigate Rosse nel 1970 e, dopo gli arresti di Renato Curcio e di Alberto Franceschini ne il capo pi autorevole, lui a gestire il sequestro di Aldo Moro. Arrestato nel 1981. Condannato allergastolo. Nel 1987, insieme a Renato Curcio ed altri, con una lettera aperta dichiara chiusa lesperienza della lotta armata, rilevandone linattualit. Nel 1994 ottiene la libert vigilata. Esperto di informatica, ha collaborato alla fondazione della Cooperativa Spes composta da ex militanti dissociati. Patrizio Peci nasce nel 1953 a Ripatransone, nelle Marche. Dapprima militante di Lotta Continua, d vita al gruppo dei Proletari Armati per la Lotta ed 164 infine entra nelle Brigate Rosse nel 1977.Arrestato il 19 febbraio 1980, fu il primo pentito della BR a collaborare con lo Stato. Il fratello Roberto viene rapito per ritorsione dalle Brigate Rosse Partito Guerriglia il 10 giugno 1981 e il suo cadavere ritrovato il 4 agosto. Condannato ad 8 anni, stato scarcerato, ha cambiato nome e vive in localit segreta. Prospero Gallinari nasce il 1 gennaio 1951 a Reggio Emilia. Nel 1970 aderisce al gruppo di Corrado Simioni, detto dei Superclan, contrapposto a quello di Renato Curcio. Nel 1973 entra nelle Brigate Rosse. Arrestato nel 1974, nel 1977 evade dal carcere di Treviso. Partecipa al sequestro di Aldo Moro: tra gli inquilini dellappartamento di via Montalcini. Nuovamente arrestato nel 1979. Durante il conflitto a fuoco, le forze dell'ordine lo colpiscono alla testa. Nel 1999 ad una tavola rotonda organizzata dal Manifesto, dichiara che la lotta armata finita, non esistendone pi le condizioni, e nega ogni continuit con le Nuove Brigate Rosse. Condannato a tre ergastoli, si trova nella condizione di detenzione domiciliare per motivi di salute. Attualmente lavora part-time come operaio in unazienda tipografica di Reggio Emilia. Valerio Morucci nato a Roma il 22 luglio del 1949. Nel 1968 entra nel Movimento. Aderisce a Potere Operaio, poi tra il 1976 ed il 1977 uno dei dirigenti delle Formazioni Armate Comuniste, che partecipano alla fondazione della colonna romana delle Brigate Rosse. Partecipa al sequestro di Aldo Moro, svolgendo la funzione di postino. tenta di opporsi, insieme ad Adriana Faranda, all'uccisione del presidente della Dc. Nel 1979 con un documento critico si distacca dalla direzione dellorganizzazione. Arrestato nel 1979. Nel 1985, durante il processo d'appello in corso a Roma per il rapimento e l'omicidio di Aldo Moro, legge un documento di dissociazione dalla lotta armata firmato da 170 detenuti. Scarcerato nel 1994, oggi lavora come consulente informatico.
I brigatisti e leditoria Franceschini: Mara, Renato ed io. Storia dei fondatori delle Brigate Rosse, libro-intervista rilasciato a Pier Vittorio Buffa e Franco Giustalisi, del 1988 ed 165 stato pubblicato da Mondadori nella collana Frecce. Dal 1991 pubblicato nella collana Bestsellers della Mondadori: oggi siamo alla dodicesima ristampa. Franceschini, nel 1997, ha pubblicato per Ediesse La borsa del Presidente. Ritorno agli anni di piombo, un breve romanzo fanta-politico in cui sono chiari i riferimenti al sequestro di Aldo Moro. Nel 2004, infine, Rizzoli ha pubblicato Che cosa sono le Br, unintervista di Giovanni Fasanella a Franceschini che ha avuto molto successo. Peci: Io, linfame, libro-intervista raccolto da Giordano Bruno Guerri, stato pubblicato da Mondadori nel 1983 e ristampato nel 1984. Da allora, Peci non ha pi scritto nulla. Il libro, inoltre, non pi stato ristampato. Curcio: A viso aperto. Vita e memorie del fondatore delle BR, intervista rilasciata a Mario Scialoja, stato pubblicata per la prima volta nel 1993 da Mondadori e di nuovo nel 1995 nella collana Bestsellers. Dalla difficile reperibilit del saggio si pu dedurre che probabilmente non si trattato di un successo editoriale. Curcio, comunque, ha pubblicato molte altre opere, tutte per la Cooperativa Editoriale Sensibili alle Foglie, con cui collabora. Si tratta principalmente di saggi sulla condizione carceraria e sul mondo del lavoro. Gallinari: La sua autobiografia, Un contadino nella metropoli. Ricordi di un militante delle Brigate Rosse, uscita nel 2006 con la casa editrice Bompiani (appartenente al gruppo RCS). Non sembra aver avuto un grande successo. Gi nel 1995 aveva pubblicato, presso la casa editrice Feltrinelli, Dall'altra parte: l'odissea quotidiana delle donne dei detenuti politici. Moretti: Brigate Rosse. Una storia italiana, intervista di Carla Mosca e Rossana Rossanda, stato pubblicata nel 1994 dalla casa editrice Anabasi, che lo ha ristampato dopo solo un mese dalla prima edizione. Dal 1998 stato ripubblicato da Baldini & Castoldi, che lo ha ristampato fino al 2004. Moretti non ha scritto nessuna altra opera. Morucci: La peggio giovent. Una vita nella lotta armata stato pubblicato nel 2004 da Rizzoli e non sembra essere mai stato ristampato. Morucci, comunque, gi si era cimentato in unautobiografia incentrata sui primi anni della sua formazione politica, Ritratto di un terrorista da giovane, pubblicato da Piemme nel 1999 e ripresentato in edizione Pocket nel 2005, forse sullondata delle vendite dellautobiografia successiva. Inoltre ha anche scritto dei racconti 166 (alcuni sono contenuti in La peggio giovent), pubblicati nel 1994 da Manifestolibri con il titolo di A guerra finita, e due romanzi gialli, Klagenfurt 3021 (Fahrenheit 451) e Il caso e l'inganno: le indagini del commissario Amidei (Bevivino 2006).
Motivazioni alla scrittura autobiografica Le motivazioni nella stesura dellautobiografia risentono certamente delle diverse posizioni degli autori dopo la fine della loro esperienza da brigatisti. Lautobiografia di Patrizio Peci, Io lInfame, del 1982 ed la prima delle autobiografie dei brigatisti rossi. , quindi, unautobiografia scritta a caldo, in un momento in cui le Brigate Rosse, anche se ormai divise e allo sbando, ancora operano e fanno proseliti. Peci, primo pentito delle Br, vuole con la sua autobiografia stendere un atto di accusa contro lOrganizzazione alla quale appartenuto e che ha ucciso, per vendetta, suo fratello Roberto. Lex brigatista non nasconde i suoi risentimenti verso i responsabili della morte del fratello, che definisce bestie e che cerca di mostrare in tutte le loro piccolezze e in tutti i loro difetti: Vorrei raccontarla, questa vita quotidiana del povero brigatista, non per fare del colore n per suscitare pena o disprezzo, ma proprio per togliere qualsiasi alone mitico e leggendario allOrganizzazione: i ragazzi tentati di entrarci sappiano che non li attende una vita magica e fantastica, ma squallore e tristezze; anche i problemi militari e della clandestinit, i pi belli, finiscono per presentarsi sempre in forme ridicole o grottesche 5 . Lautobiografia di Gallinari, Un contadino nella metropoli ricordi di un militante delle Brigate Rosse, , al versante opposto, la pi recente ed il frutto di una riflessione lunga tutti i venticinque anni che lo separano dagli eventi. Lo scritto di Gallinari, quindi, pi mediato e ci riscontrabile anche nel fatto che, unico tra tutti i brigatisti che si sono cimentati nella stesura della loro autobiografia, usa delle fonti per dare maggiore valore alle sue parole (articoli di giornali, brani dalle autobiografie dei suoi ex-compagni, dati raccolti nel Progetto Memoria):
5 P. Peci, Io lInfame, a cura di Giordano Bruno Guerri, Milano, Mondadori, 1983, p. 75. 167 Unorigine, un percorso, una storia: quelli della mia vita. Superati i cinquantanni, un viaggio nel proprio passato anche un attraversamento di ricordi. Ricordi personali che per si intrecciano, si mischiano e spesso si confondono con fatti e avvenimenti che hanno avuto un peso nella vita collettiva. Di qui un problema? Usare il senno di poi? Raccontare attingendo a critiche, autocritiche, scomuniche, valutazioni o giudizi maturati a posteriori? Ho scelto unaltra strada. Quella di far riemergere il filo dei pensieri e degli atti compiuti nel modo in cui, effettivamente questi hanno attraversato e poi portato ad agire di conseguenza 6 . Tra tutte le autobiografie dei brigatisti, queste due sono forse quelle che meno hanno come intento quello di una giustificazione dellautore. Entrambi, a modo loro, si pongono per come modelli esemplari: Peci nella scelta del pentimento (arriva a dire che denunciando i suoi compagni, in realt, gli faceva un favore), Gallinari nella scelta del modo di mettere la parola fine sullesperienza della lotta armata attraverso la parola dordine dellamnistia. Al valore esemplare della propria figura, di fondatore e capo storico delle Br, fa riferimento anche Curcio che intende lintervista rilasciata a Mario Scialoja, A viso aperto vita e memorie del fondatore delle BR, come un atto dovuto da parte di un personaggio pubblico, verso coloro che chiedono chiarezza. Una chiarezza di cui, rispetto al fenomeno della lotta armata, avverte forte la necessit: Ho accettato la sollecitazione di Mario Scialoja per due ragioni. La prima: aprirmi alle molte domande che da pi parti mi vengono poste. In quanto figura pubblica credo che questo sia un dovuto al quale sarebbe ingeneroso sottrarmi. E poi questa la seconda perch in tanti anni di vita esposta nella vetrina dei giornali ho avuto modo di apprezzare in prima persona e molte volte le qualit professionali e la sensibilit umana dellintervistatore 7 . La stessa necessit di spiegare, di andare oltre la condanna morale, oltre la criminalizzazione della lotta armata, per riaffermare la specificit di un fenomeno che tutto politico, si avverte come spinta forte nellautobiografia di Moretti, Brigate Rosse - Una storia italiana. Anche in questo caso si tratta di unintervista, Moretti risponde alle domande di Carla Mosca e Rossana Rossanda.
6 Gallinari 2006, p. 9. 7 Curcio 1993, p. I. 168 A differenza delle altre biografie, quella di Moretti si configura gi dal titolo - lunico in cui non c riferimento allindividualit dellautore, ad un io - come unautobiografia politica, che sembra essere pi unautobiografia delle Brigate Rosse che di un brigatista rosso. E lesperienza delle Br rivendicata come specificamente italiana, con una doppia polemica, contro coloro che tentano di espellere il fenomeno dalla storia del paese come estraneo, non riconoscendone il radicamento nella situazione socio-politica dellItalia degli anni 70, e contro coloro che vogliono lorganizzazione infiltrata, o addirittura guidata da poteri esterni e servizi stranieri: Ma sugli anni 70 la sinistra non parla, perch dentro ci sta anche uninsorgenza armata, si voglia o non si voglia, e comunque la si giudichi. Le Brigate Rosse sono finite da anni, i compagni sono in carcere, e ancora siamo una spina che va di traverso, si tace o si cerca di esorcizzarci. E, peggio, c chi cerca di intorbidare una vicenda che stata piena di speranze, forse illusioni, tentativi, errori, dolore, morte ma non sozzure. Vorrei cercar di restituire questa storia alla possibilit di una critica 8 . Il punto che si deve fare una riflessione che renda laccaduto comprensibile a quanti nella societ hanno ragione di chiedercene conto. Questo mi ha spinto a fare questa ricostruzione con voi, e senza altri limiti che quelli di una memoria che, ahim invecchia come tutto il resto. Con lunica preoccupazione, che non pi neanche una riserva, di non mandare in galera altri 9 . Nella prefazione di Mara Renato e io, Pier Vittorio Buffa e Franco Giustalisi, i curatori dellopera, scrivono che Franceschini accetta di collaborare inizialmente senza entusiasmo, ma poi si appassiona al progetto: Avevo capito che stavo mettendo per iscritto la mia vicenda, che questo libro non era solo vostro ma anche mio e che non potevo quindi delegarne completamente a voi la fattura. Mi venuta voglia, una voglia intensa, di far
8 M. Moretti, Brigate Rosse. Una storia italiana, Intervista di Carla Mosca e Rossana Rossanda, Milano, Baldini&Castaldi, 1998, p. 2. 9 Ivi, p. 257 169 capire i nostri errori, di impedire, raccontandoli, che altri possano seguirci sulla strada della violenza 10 . Franceschini racconta solo le vicende di cui stato direttamente protagonista. Morucci afferma di essere stato spinto alla scrittura non dalla volont di ricostruire i fatti, ma da quella di cercare le ragioni di un fenomeno collettivo e doloroso. Ad essere coinvolta unintera generazione, non solamente quanti hanno militato nelle BR: Di album di figurine su questa storia ce n gi tanti. Inutile stare qui a faticare per farne un altro. Chi a quelli fosse interessato pu trovarne tanti da ubriacarsi. Il nostro, e quello gi da alcuni altri compiuto, un altro viaggio. Non stiamo ripercorrendo un risaputo elenco di fatti. Stiamo riattraversando un dolore collettivo. Che ha quelli come sfondo o come pozzo cui riattingere, a momenti placato, in altri pi convulso, per proseguire sulla sua strada. Il dolore poco interessato alla verit. Se non alla sua. Confusa, parziale, animosa e, a volte, sopra le righe. Perch altro la spinge alla ragione. Pi, semmai, una ricerca tormentosa delle ragioni, sbattendo la testa a destra e a manca alla ricerca di un appiglio 11 . Lobiettivo ancora una volta quello di capire gli errori del passato per evitare che si ripetano: Credo che possa essere utile una critica del passato per arrivare ad una definitiva sepoltura dei suoi errori 12 . Ma anche quello di evitare che sia buttato il bambino insieme allacqua sporca: Siamo qui per scavare fino al fondo degli errori. Per buttare via lacqua sporca fino allultima goccia. Ma il bambino va salvato. Non tanto per la consolazione di noi vecchi reduci. Ma per tirare via dalla cronaca e dalle carte giudiziarie il segno che ha lasciato 13 .
10 A. Franceschini, Mara Renato e io. Storia dei fondatori delle Br, Milano, Mondadori., 1988, p. XI. 11 V. Morucci, La peggio giovent. Una vita nella lotta armata, Milano, Rizzoli, 2004, p. 159. 12 Ivi, p. 50. 13 Ivi, p. 287. 170
Aspirazioni letterarie Alla disposizione danimo differente con cui ciascuno si accosta alla scrittura, corrisponde anche un differente stile. Lopera di Peci, che la sistemazione di una lunga intervista di Giordano Bruno Guerri, basata su un linguaggio teso e diretto, privo di ambizioni letterarie. Gallinari, invece, che pu aver riflettuto a lungo sulle sue parole e che ha certamente una capacit letteraria superiore, si lascia andare a parti pi poetiche. Le opere di Curcio e di Moretti si presentano in forma di intervista, con uno stile dunque diretto e non letterario. Il linguaggio del primo, comunque, pi spontaneo e immediato, mentre nel secondo, per la natura differente dellopera, prevale un linguaggio politico, chiaro ma articolato. molto importante riflettere sul fatto che, delle sei opere esaminate, solo quella di Gallinari unautobiografia nel vero e proprio senso della parola. Quelle di Moretti, Curcio, Franceschini e Peci, infatti, sono tutte il frutto di interviste rilasciate ad altre persone (anche se certamente lette e riviste dai protagonisti). Nellanalisi del contenuto delle autobiografie necessario riflettere sulle implicazioni della scelta, da parte dei protagonisti, tra lasciare il testo sotto forma di intervista (senza eliminare le domande dellintervistatore) o rielaborarlo in prima persona. Limpressione che si ricava laddove sono state lasciate le domande (Curcio e Moretti), infatti, che lintervistato non abbia potuto dire liberamente quello che voleva, ma che sia stato costretto dai limiti delle domande postegli: gli intervistati, quindi, sembrano prendere le distanze dal testo, esplicitando il fatto che esso non frutto di una spontanea selezione dei contenuti raccontati. In questa ottica appare anomalo constatare che lintervista a Moretti, al contrario di quella a Curcio (e dellautobiografia di Franceschini), non abbia un indice dei nomi alla fine, nonostante si presenti come uno scritto pi politico e meno personale. Singolare anche il fatto che non sia esplicitato se a porre ogni domanda a Moretti sia Rossana Rossanda o Carla Mosca. Dove invece il discorso ha assunto una forma organica (Franceschini e Peci), il lettore indotto a credere di leggere direttamente ci che il protagonista ha scelto di raccontare e tende a dimenticare la mediazione dellintervistatore nella selezione dei contenuti: in 171 questo modo viene coinvolto maggiormente sul piano emotivo. Lautobiografia di Morucci, infine, stata scritta dallex-brigatista, ma comunque sulla base di interrogativi venuti fuori in alcune discussioni con Pino Casamassima, a cui ogni tanto si rivolge mentre scrive. Un altro elemento di cui bisogna tenere conto lidentit dei curatori- intervistatori delle opere. Molti dei curatori sono dei giornalisti professionisti. Lautobiografia di Franceschini stata curata da Pier Vittorio Buffa, giornalista che ha lavorato a lungo per il settimanale LEspresso e per altri periodici dello stesso gruppo editoriale, e da Franco Giustolisi, inviato speciale che ha lavorato per Paese Sera, Il Giorno, la Rai (Tv Sette) e attualmente scrive per L'Espresso. Nel 2003 Giustolisi ha partecipato al volume collettivo Tra storia e memoria. 12 agosto 1944: la strage di Sant'Anna di Stazzema, edito da Carocci. Dal 1996 conduce la sua battaglia per far luce sull'Armadio della vergogna. In questi anni stato uno dei pi attivi promotori delle diverse iniziative a favore della costituzione della Commissione parlamentare d'inchiesta sulle stragi nazifasciste. Renato Curcio, invece, stato intervistato da Mario Scialoja, uno dei maggiori giornalisti dinchiesta italiani, anche lui inviato dellEspresso. Mario Moretti stato intervistato da Rossana Rossanda, tra i fondatori de Il manifesto, e da Carla Mosca, giornalista della Rai (del Giornale Radio) che si occupata a lungo di cronaca giudiziaria. Si distaccano da questo scenario Pino Casamassima e Giordano Bruno Guerri. Pino Casamassima, quasi invisibile interlocutore di Morucci, un giornalista che ha a lungo lavorato per Il giornale di Brescia e per LIndipendente ed autore di una ventina di libri riguardanti l'automobilismo, la musica, la cronaca politica. Il curatore dellautobiografia di Peci Giordano Bruno Guerri, al momento dellintervista direttore editoriale della Mondadori e discusso autore di opere sul regime fascista che, rievocando fatti personali dei personaggi analizzati, propongono una lettura sentimentale del fascismo.
Coincidenze lessicali rilevante il fatto che tutti i brigatisti considerati, eccetto Morucci chiamino le Br lorganizzazione e parlino di compagni: lo fa anche Peci, che pure ha rotto con essi nel modo pi tragico. 172 Molto forte limpatto della parola assassini, usata da Morucci: Cio, per chiamare le cose con il loro nome, come ho fatto a diventare un assassino, un reprobo 14 . Lo stesso termine assassini usato anche, a pi riprese, da Peci, anche se in questo caso difficile dire se il termine comporti un giudizio morale sullintero operato delle Brigate Rosse o solamente sullassassinio del fratello. Questa coincidenza lessicale tra Morucci e Peci mostra come siano proprio loro due, tra gli autori considerati, quelli che pi hanno preso le distanze dalle Brigate Rosse e dalla loro esperienza passata in questa organizzazione. A questo proposito utile evidenziare come Franceschini, riferendo dellimbarazzo nellusare il verbo giustiziare per definire luccisione di un prigioniero Sossi con cui i brigatisti hanno raggiunto un certo grado di intimit, non prenda mai neanche in considerazione la possibilit di usare il termine assassinare, termine che fa perdere allatto di togliere la vita tutte le valenze politiche, lasciando solo quelle puramente criminali: Prima di avere Sossi con noi dicevamo che, se le cose non fossero andate nel modo giusto, lo avremmo giustiziato. Ma usavamo questa parola come fosse scritta su un libro, in modo impersonale, riferendo di un atto formale come , ai fini della storia, una fucilazione. Vivendo con lui, provvedendo ai suoi bisogni elementari, vedendolo piangere, non ci commuovevamo certo, ma la frase lo giustiziamo Spar dai nostri discorsi. Quando non ne potevamo fare a meno la sostituivamo con alcune circonlocuzioni, senza mai entrare nei dettagli 15 .
Formazione scolastica Nessuno dei brigatisti considerati sembra attribuire molta importanza alla formazione scolastica, che passa in secondo piano rispetto a quella extra- scolastica. Tra loro non c nessun laureato: non si laureano nemmeno coloro che frequentano luniversit, cio Curcio (Sociologia), Franceschini (Ingegneria) e Moretti (Economia e Commercio). Gallinari ha solo la licenza elementare. Questo dato, per, non deve essere considerato come una tendenza generale delle Brigate Rosse, in quanto, secondo i dati raccolti dal Progetto Memoria, il 21,7 % degli
14 Morucci 2004, p. 28. 15 Franceschini 1988, passim. 173 inquisiti per la loro appartenenza alle Brigate Rosse laureato 16 . Nessuno dei brigatisti considerati ha una formazione scolastica umanistica: nessuno, infatti, ha frequentato un liceo e quelli che hanno il diploma di maturit hanno studiato in un istituto tecnico (anche Morucci, dopo aver provato ad andare al liceo artistico e a quello linguistico, si iscritto ad una scuola alberghiera). Leggendo le autobiografie, che mostrano una capacit dialettica sicuramente superiore alla media, si pu dedurre, quindi, che la vera formazione della loro vita avvenuta in un contesto extra-scolastico. N Gallinari n Peci hanno il diploma superiore. Gallinari abbandona la scuola allet di 12 anni, dopo un anno di scuole medie, e comincia a lavorare nei campi. Peci, invece, frequenta lIstituto Tecnico industriale a Fermo, la stessa scuola che frequenta Mario Moretti (anche se a quei tempi non si conoscono perch Moretti pi grande). Lanno prima del diploma abbandona la scuola ed entra nelle Brigate Rosse. La vita interna alla scuola, comunque, garantisce ad entrambi un rapporto, pi o meno consapevole, con la politica, o almeno con la ribellione contro unistituzione. Questa politicizzazione giunge al punto che proprio per le azioni compiute contro presidi e professori Peci viene avvicinato da alcuni emissari delle Br: Era un istituto tecnico, con parecchie specializzazioni, e ho scelto di fare il tecnico industriale perch mi piaceva quel lavoro. Soprattutto mi piaciuto in terza e in quarta, quando ho preso la specializzazione in informatica. Ho cominciato ad imparare il linguaggio del calcolatore, a fare programmi, ma per il resto lo studio mi annoiava come prima e mi trovavo a disagio in classe perch essendo stato bocciato due volte ero sempre con i ragazzini. Era lepoca in cui a scuola si poteva fare quasi tutto quel che ti pareva: fumare, dare del tu ai professori, scrivere sui muri, fare cortei interni, e poi cera la possibilit di aggregazione, perch durante le ore di laboratorio ci si riuniva tra classi diverse. Insomma, a scuola abbiamo fatto le prime azioni 17 .
16 M. R. Prette, La mappa perduta, Sensibili alle foglie, 1994, p. 61. 17 Peci 1983, p. 37. 174 C da dire anche che non ne potevo pi della scuola. Mi mancava solo un anno a finire, avrei potuto benissimo finire, trovare un lavoro, la ragazza ce lavevo, eccetera, ma quella vita l per me non aveva pi molto interesse 18 . Durante il primo inverno della nuova esperienza scolastica i termosifoni presero a non funzionare. Faceva un freddo cane e part il primo sciopero degli studenti. Uno sciopero che ovviamente influ molto su di me. [] La vergogna del palt non mi imped di sentirmi coinvolto, appena partirono, nelle lotte per il riscaldamento che non funzionava. Ma anche in quelle successive, contro i provvedimenti disciplinari assunti dalla scuola, nella funzione del professore facente funzione di preside in quella succursale. [] Dopo alcuni giorni fummo sospesi con lavvertimento che saremmo stati espulsi se avessimo continuato. Alla fine del trimestre trovammo chi un cinque, chi un quattro in condotta (politica della differenziazione). A conclusione dellanno scolastico fummo tutti equiparati, con un sei come voto massimo per tutti coloro i quali avevano partecipato alla seconda parte della lotta [] un sei politico appunto. Del resto, almeno per me, le insufficienze accumulate erano parecchie e la voglia di continuare la scuola ben poca. Col nuovo anno ripresi le frequenze, ma riuscii a resistere solo per pochi mesi. Gli interessi che mi attiravano ormai erano altri. Ma quellanno di scuola mi insegn tanto 19 . Franceschini non parla della sua formazione scolastica dice solo di essersi iscritto alla facolt di Ingegneria, senza per laurearsi: Studiai a Bologna per uno, due, tre anni, ma odiavo gli ingegneri, votati ad un mestiere fatto di schemi, numeri, cifre 20 . Moretti lunico tra i coetanei che frequenta, quasi tutti operai, a continuare gli studi dopo le medie: si diploma allistituto tecnico industriale: Io sono stato, credo, lunico che ha continuato a studiare dopo le medie, allistituto tecnico industriale. Mi sono diplomato a Fermo 21 . Curcio dopo le elementari viene mandato in un collegio di preti a Centocelle dove viene bocciato. Mandato ad Imperia, riesce con difficolt a finire
18 Ivi, p. 42. 19 Gallinari 2006, p. 23. 20 Franceschini 1988, p. 13. 21 Moretti 1998, p. 3. 175 gli studi dellobbligo e inizia a lavorare. La madre, dopo aver rilevato una pensione a San Remo che comincia a funzionare, insiste perch il figlio prosegua gli studi: Dissi che avrei voluto iscrivermi al liceo artistico: mi piaceva dipingere anche se facevo degli scarabocchi. Ma tutti mi sconsigliarono: cosa combinerai dopo con quella scuola? Diventerai un disoccupato cronico!. Allora mi ribellai di nuovo: se proprio volete che faccia unaltra scuola sceglier a caso. E scelsi aprendo lelenco telefonico. Capit un istituto per periti chimici di Albenga 22 . Dopo il diploma, preso con voti molto alti, Curcio decide di non continuare gli studi e si trasferisce a Genova, dove per un anno vive in modo precario grazie piccoli espedienti. Poi, nellautunno 63, si trasferisce alla neonata Universit di Trento per studiare Sociologia, tappa fondamentale per la sua maturazione culturale e politica: Mi rimasto un bel ricordo del corso di economia due tenuto da Nino Andreatta e dal suo assistente Romano Prodi: eravamo solo in cinque a frequentarlo perch il programma di studio era solido e loro venivano considerati molto rigorosi ed esigenti 23 . Dopo aver tentato il liceo artistico e quello linguistico, Morucci si iscrive alla scuola alberghiera: Anche se a scuola andavo male, o meglio, non ci andavo proprio, mio padre non mi diceva granch. Forse aspettava pazientemente che maturassi. Oppure stava l a chiedersi che cosa avesse sbagliato lui. Nel 1966, dopo un anno perso al liceo artistico e un altro al linguistico, pens che forse non ero portato per lo studio e mi iscrisse alla scuola alberghiera 24 . Qui Morucci organizza uno sciopero contro le condizioni di lavoro nellalbergo nel quale impiegato insieme ai compagni di studi: Cos anche l dopo un mesetto mi incazzai per come ci trattavano. Esternammo il nostro malcontento, ma picche. Allora misi su quasi al completo gli altri del mio turno e li portai fuori dallalbergo, sulla litoranea. Tutti in pantaloni neri e
22 Curcio 1993, p. 20. 23 Ivi, p. 32. 24 Morucci 2004, p. 59. 176 giacchetta di servizio a righine. Non avevano mai visto una roba del genere e si preoccuparono. Cedettero. Un po 25 .
Formazione culturale Peci e Gallinari mettono in evidenza un rapporto stretto con la lettura, che potrebbe sembrare anomalo in persone che hanno abbandonato molto presto gli studi. Parlano di letture giovanili che possono essere collegate alla tradizione comunista: Il primo libro politico che ho letto stato Il Manifesto di Marx e mi piaciuto abbastanza. Poi ho letto alcuni opuscoli di Potere Operaio che mi portava un conoscente, alcuni opuscoli di Lotta Continua, e i Pensieri di Mao, che mi piacevano particolarmente per il loro contenuto filosofico. Ho letto anche qualche cosa di Stalin, che mi piaceva moltissimo, allepoca era un po il mio eroe (ero orgoglioso di essere nato lo stesso anno che morto lui, scherzavo sulla trasmigrazione delle anime; ma poi ho saputo che sono nato lo stesso giorno di Mussolini, il 29 luglio, e ci sono rimasto male). A mano a mano che mi avvicinavo alla lotta armata leggevo sempre pi spesso cose sui tupamaros, lIRA eccetera. Una volta entrato nellOrganizzazione, leggevo soprattutto i documenti dellOrganizzazione, anche quelli vecchi 26 . Ma la vera fascia di tempo penalizzata quella dedicata al sonno. Riunioni e scritte sui muri si mangiano buona parte della notte anticipata del contadino. Quando poi non sono impegnato in attivit pratiche, le ultime ore del giorno si allungano immancabilmente nella lettura. Il Marx del Manifesto del partito comunista, il London del Tallone di ferro, il Lenin del Che fare?, il Gorkij della Madre, si abbinano a scritti sulla Resistenza come Il Monte Rosa sceso a Milano di Pietro Secchia, o come I miei figli di pap Cervi 27 . Per comprendere la formazione culturale di Gallinari, cresciuto a Reggio Emilia, bisogna tenere conto del ruolo del contesto sociale e regionale in cui cresciuto, cio lEmilia rossa tanto legata al PCI e alla Resistenza:
25 Ivi, p. 60. 26 Peci 1983, p. 38. 27 Gallinari 2006, p. 41-42. 177 Infatti, laltro grande elemento di formazione della mia adolescenza legato alla relazione intrattenuta con quei vecchi comunisti che ho avuto la fortuna di incontrare e conoscere. Tutte persone, vicini di casa o parenti che, nella maggior parte dei casi, erano ex combattenti partigiani. [] E da l, da queste relazioni e da questi rapporti, che ho conosciuto e avvicinato la politica. [] Era al termine delle elementari, allorch iniziai a frequentare i compagni, non solo in qualit di amici o di vicini di casa, ma in quanto persone che incontravo alla sezione, o alla Casa del Popolo. [] Avvicinarsi alla politica tra gli undici e i dodici anni stato perci (e penso lo sarebbe stato per chiunque a quellet) quasi un gioco, un modo divertente per guadagnare unidentit e contrapporsi allaltra realt qui da noi comunque viva e fulgida: quella della chiesa, della religione 28 . Nel 1960, allet di nove anni, Gallinari partecipa al funerale dei morti di Reggio Emilia. Capivo il dolore per quei morti, ma ero troppo giovane per cogliere nellinterezza la profondit e la miscela di quella rabbia e di quel dolore. Una rabbia e un dolore che, invece, finiranno per essere un mio bagaglio, insieme alla Resistenza, ai suoi simboli epici, come la vita e la morte dei sette fratelli Cervi. Il tempo vi avrebbe aggiunto le lotte dei popoli, il Vietnam, e cos via: tutti patrimoni e beni delluomo che ho voluto ereditare nel percorso della mia crescita umana e politica 29 . Franceschini, che come Gallinari vive a Reggio Emilia, evidenzia un filo rosso tra la Resistenza e la sua esperienza nella lotta armata: non a caso, inizia la sua autobiografia con il racconto di un partigiano che gli consegna unarma: Non fu solo una consegna di armi: mi stava affidando i suoi ideali, la sua giovinezza e la sua forza che non cerano pi. Non ci furono abbracci quando lo lasciai 30 . Franceschini parla anche di un avvenimento accaduto quando gi sono state fondate le BR: alcuni partigiani li invitano a festeggiare il 25 aprile con loro. Vanno con lui Mara, Curcio, Alfredo Bonavita
28 Ivi, p. 13-14. 29 Ivi, p. 29-30. 30 Franceschini 1988, p. 4 178 Sia Franceschini che Gallinari ricordano il loro comune interesse per Che Guevara: Il nostro mito era il Che, con il suo rifiuto del potere ufficiale, la sua forza di non fermarsi mai. Prospero ne era un veneratore. Arrivava ogni sera in motorino, alle otto, appena finito il lavoro nei campi. Partecipava attento alle riunioni per poi ritirarsi nella stanza dei letti con in mano le Opere Scelte del Che. Voleva leggerlo tutto, studiarlo, mandarlo a memoria. Ma dopo una decina di minuti, regolarmente, si addormentava, con il volume a riparargli gli occhi dalla luce. Noi lo coprivamo e lo lasciavamo dormire perch la mattina doveva partire alle cinque, per tornare al lavoro nei campi. Credo non sia mai riuscito ad andare oltre le prime pagine del libro 31 . Lincontro con la politica avviene, per Moretti piuttosto tardi: Per tutti gli anni che sono rimasto a Porto San Giorgio non ho conosciuto realmente la politica, semplicemente perch nessuno la faceva. Quasi tutti i miei amici erano operai che lavoravano sui pescherecci, nelle fabbriche di calzoleria o di meccanica che si andavano diffondendo nella zona. Quando si andava a votare in generale si votava comunista, ma tutto finiva li 32 . la fabbrica, la Sit-Siemens, dove lavora in un reparto di tecnici, che Moretti rivendica come principale palestra della sua formazione: Vengo dalla Siemens, l ho imparato una professione, l ho visto le regole che fanno girare il meccanismo del capitale e ho conosciuto la lotta di classe. Vengo di l. E non tanto singolare. Le BR vengono in gran parte dalla fabbrica 33 . Curcio, come gi detto, terminati gli studi superiori, trascorre un periodo a Genova, vivendo di espedienti. Periodo che, tra le altre cose, dedica alla lettura e alla scrittura, attraverso la quale registra e riflette sulle sue esperienze: Mi guardavano come un essere di un mondo diverso: uno strano tipo che scriveva e passava ore sui libri. Perch io in quel periodo oltre a riempire i miei
31 Ivi, p. 30. 32 Moretti 1998, p. 3. 33 Ivi, p. 7 179 quaderni, leggevo di tutto, da Koestler a Kerouac, da Baudelaire al Diario minimo di Eco 34 . Seguendo il consiglio di un conoscente, Curcio, nel giugno 62, lascia Genova per Trento dove si iscrive alla nuova facolt di sociologia. Curcio descrive gli anni passati nelluniversit trentina come i pi importanti per la sua formazione culturale, e non soltanto a livello accademico. Qui, in un clima culturale aperto e aggiornato, inizia un intenso confronto intellettuale con altri studenti come Mauro Rostagno, Marco Boato, Marianella Sclavi: Direi comunque che, dal punto di vista formativo, quello stato il periodo pi importante della mia vita. Nel senso che quellambiente stimol una straordinaria sfida con me stesso. La sfida di riuscire a tenere il passo in una competizione intellettuale dalla quale si poteva emergere in serie A o essere relegati sullo sfondo 35 . Riprendemmo a studiare la scuola di Francoforte, Adorno, Horkheimer, Benjamin, Marcuse, ma anche Reich: non il Reich della rivoluzione sessuale, che noi nel 67 avevamo gi vissuto anche se con qualche timidezza provinciale ma quello dellanalisi della psicologia di massa del fascismo 36 . Morucci ripercorre per diversi capitoli le tappe della propria formazione culturale e politica. Il racconto degli anni precedenti linizio della militanza politica in senso stretto li riattraversa alla ricerca dei molteplici e inafferrabili segni che lasciano presagire il suo futuro nelle Br e dei passaggi fondamentali che lo hanno condotto alla scelta della lotta armata: Anche oggi, a ricostruire i passaggi della mia formazione, culturale, sociale o politica che dir si voglia, sarebbe un arbitrio dire il punto qui. Questo arbitrio meglio lasciarlo agli storici dAccademia, e a quelli di partito. Bianco o rosso che sia. Quando lo fanno puoi stare certo per costruire una menzogna utile alla causa del momento. come un gioco di prestigio. Fissare lattenzione su un punto focale per nascondere limbroglio 37 .
34 Curcio 1993, p. 25. 35 Ivi, p. 28 36 Ivi, p. 37 37 Morucci 2004, p. 36 180 La musica (soprattutto De Andr, in particolare Il testamento, ma anche ) ed il cinema (I pugni in tasca di Bellocchio ed i film proiettati al liceo Mameli) sono elementi importanti della formazione di Morucci. Ma ancora prima vengono linfanzia trascorsa per le strade di San Saba e le letture solitarie: Anchio ho studiato per strada. Anchio a rubare frutta e farmi rincorrere da tutti i portieri del vicinato. Coi figli dei salumieri e coi figli di medici e architetti. Era interclassista la strada allora. Per, spesso, sfuggivo al richiamo della banda e me ne stavo ore a leggere. Tutto, voracemente e disordinatamente. Li ricordo quei titoli, li ricordo tutti. Di libri divertenti come Missili in girdino e di libri drammatici come Cioccolato a colazione, passando per La luna tramontata e la saga di Steinbeck sui reietti di Monterey. E andando a scavare l potrebbero saltare fuori altri punti, altri momenti di un accumulo inconsapevole di sensazioni e disagi che poi, dopo, sarebbero stati la base di assorbimento di tutto il resto 38 . Morucci si definisce pi volte un uomo dazione, piuttosto che un teorico: Forse perch venivo da una famiglia di artigiani. Forse perch mio padre sapeva aggiustare qualsiasi cosa con le mani e me lha insegnato. Forse perch ho strascorso tanto tempo nella bottega di mio nonno a costruirmi spade e pugnali coi pezzi di legno, ho sempre privilegiato il fare, lazione. E questo pu essere un segno. Credo 39 .
Formazione scolastica Nessuno dei brigatisti considerati sembra attribuire molta importanza alla formazione scolastica, che passa in secondo piano rispetto a quella extra- scolastica. Tra loro non c nessun laureato: non si laureano nemmeno coloro che frequentano luniversit, cio Curcio (Sociologia), Franceschini (Ingegneria) e Moretti (Economia e Commercio). Gallinari ha solo la licenza elementare. Questo dato, per, non deve essere considerato come una tendenza generale delle Brigate Rosse, in quanto, secondo i dati raccolti dal Progetto Memoria, il 21,7 % degli inquisiti per la loro appartenenza alle Brigate Rosse laureato 40 . Nessuno dei
38 Ivi, p. 57. 39 Ivi, p. 60. 40 La Mappa Perduta, Sensibili alle Foglie, 1994, p. 61. 181 brigatisti considerati ha una formazione scolastica umanistica: nessuno, infatti, ha frequentato un liceo e quelli che hanno il diploma di maturit hanno studiato in un istituto tecnico (anche Morucci, dopo aver provato ad andare al liceo artistico e a quello linguistico, si iscritto ad una scuola alberghiera). Leggendo le autobiografie, che mostrano una capacit dialettica sicuramente superiore alla media, si pu dedurre, quindi, che la vera formazione della loro vita avvenuta in un contesto extra-scolastico. N Gallinari n Peci hanno il diploma superiore. Gallinari abbandona la scuola allet di 12 anni, dopo un anno di scuole medie, e comincia a lavorare nei campi. Peci, invece, frequenta lIstituto Tecnico industriale a Fermo, la stessa scuola che frequenta Mario Moretti (anche se a quei tempi non si conoscono perch Moretti pi grande). Lanno prima del diploma abbandona la scuola ed entra nelle Brigate Rosse. La vita interna alla scuola, comunque, garantisce ad entrambi un rapporto, pi o meno consapevole, con la politica, o almeno con la ribellione contro unistituzione. Questa politicizzazione giunge al punto che proprio per le azioni compiute contro presidi e professori Peci viene avvicinato da alcuni emissari delle Br: Era un istituto tecnico, con parecchie specializzazioni, e ho scelto di fare il tecnico industriale perch mi piaceva quel lavoro. Soprattutto mi piaciuto in terza e in quarta, quando ho preso la specializzazione in informatica. Ho cominciato ad imparare il linguaggio del calcolatore, a fare programmi, ma per il resto lo studio mi annoiava come prima e mi trovavo a disagio in classe perch essendo stato bocciato due volte ero sempre con i ragazzini. Era lepoca in cui a scuola si poteva fare quasi tutto quel che ti pareva: fumare, dare del tu ai professori, scrivere sui muri, fare cortei interni, e poi cera la possibilit di aggregazione, perch durante le ore di laboratorio ci si riuniva tra classi diverse. Insomma, a scuola abbiamo fatto le prime azioni 41 . C da dire anche che non ne potevo pi della scuola. Mi mancava solo un anno a finire, avrei potuto benissimo finire, trovare un lavoro, la ragazza ce lavevo, eccetera, ma quella vita l per me non aveva pi molto interesse 42 .
41 Peci 1983, p. 37. 42 Ivi, p. 42. 182 Durante il primo inverno della nuova esperienza scolastica i termosifoni presero a non funzionare. Faceva un freddo cane e part il primo sciopero degli studenti. Uno sciopero che ovviamente influ molto su di me. [] La vergogna del palt non mi imped di sentirmi coinvolto, appena partirono, nelle lotte per il riscaldamento che non funzionava. Ma anche in quelle successive, contro i provvedimenti disciplinari assunti dalla scuola, nella funzione del professore facente funzione di preside in quella succursale. [] Dopo alcuni giorni fummo sospesi con lavvertimento che saremmo stati espulsi se avessimo continuato. Alla fine del trimestre trovammo chi un cinque, chi un quattro in condotta (politica della differenziazione). A conclusione dellanno scolastico fummo tutti equiparati, con un sei come voto massimo per tutti coloro i quali avevano partecipato alla seconda parte della lotta un sei politico appunto. Del resto, almeno per me, le insufficienze accumulate erano parecchie e la voglia di continuare la scuola ben poca. Col nuovo anno ripresi le frequenze, ma riuscii a resistere solo per pochi mesi. Gli interessi che mi attiravano ormai erano altri. Ma quellanno di scuola mi insegn tanto 43 . Franceschini non parla della sua formazione scolastica dice solo di essersi iscritto alla facolt di Ingegneria, senza per laurearsi: Studiai a Bologna per uno, due, tre anni, ma odiavo gli ingegneri, votati ad un mestiere fatto di schemi, numeri, cifre 44 . Moretti lunico tra i coetanei che frequenta, quasi tutti operai, a continuare gli studi dopo le medie: si diploma allistituto tecnico industriale: Io sono stato, credo, lunico che ha continuato a studiare dopo le medie, allistituto tecnico industriale. Mi sono diplomato a Fermo 45 . Curcio dopo le elementari viene mandato in un collegio di preti a Centocelle dove viene bocciato. Mandato ad Imperia, riesce con difficolt a finire gli studi dellobbligo e inizia a lavorare. La madre, dopo aver rilevato una pensione a San Remo che comincia a funzionare, insiste perch il figlio prosegua gli studi:
43 Gallinari 2006, p. 23. 44 Franceschini 1988, p. 13. 45 Moretti 1998, p. 3. 183 Dissi che avrei voluto iscrivermi al liceo artistico: mi piaceva dipingere anche se facevo degli scarabocchi. Ma tutti mi sconsigliarono: cosa combinerai dopo con quella scuola? Diventerai un disoccupato cronico!. Allora mi ribellai di nuovo: se proprio volete che faccia unaltra scuola sceglier a caso. E scelsi aprendo lelenco telefonico. Capit un istituto per periti chimici di Albenga 46 . Dopo il diploma, preso con voti molto alti, Curcio decide di non continuare gli studi e si trasferisce a Genova, dove per un anno vive in modo precario grazie piccoli espedienti. Poi, nellautunno 63, si trasferisce alla neonata Universit di Trento per studiare Sociologia, tappa fondamentale per la sua maturazione culturale e politica: Mi rimasto un bel ricordo del corso di economia due tenuto da Nino Andreatta e dal suo assistente Romano Prodi: eravamo solo in cinque a frequentarlo perch il programma di studio era solido e loro venivano considerati molto rigorosi ed esigenti 47 . Dopo aver tentato il liceo artistico e quello linguistico, Morucci si iscrive alla scuola alberghiera: Anche se a scuola andavo male, o meglio, non ci andavo proprio, mio padre non mi diceva granch. Forse aspettava pazientemente che maturassi. Oppure stava l a chiedersi che cosa avesse sbagliato lui. Nel 1966, dopo un anno perso al liceo artistico e un altro al linguistico, pens che forse non ero portato per lo studio e mi iscrisse alla scuola alberghiera 48 . Qui Morucci organizza uno sciopero contro le condizioni di lavoro nellalbergo nel quale impiegato insieme ai compagni di studi: Cos anche l dopo un mesetto mi incazzai per come ci trattavano. Esternammo il nostro malcontento, ma picche. Allora misi su quasi al completo gli altri del mio turno e li portai fuori dallalbergo, sulla litoranea. Tutti in pantaloni neri e giacchetta di servizio a righine. Non avevano mai visto una roba del genere e si preoccuparono. Cedettero. Un po 49 .
46 Curcio 1993, p. 20. 47 Ivi, p. 32. 48 Morucci 2004, p. 59. 49 Ivi, p. 60. 184
Formazione culturale Peci e Gallinari mettono in evidenza un rapporto stretto con la lettura, che potrebbe sembrare anomalo in persone che hanno abbandonato molto presto gli studi. Parlano di letture giovanili che possono essere collegate alla tradizione comunista: Il primo libro politico che ho letto stato Il Manifesto di Marx e mi piaciuto abbastanza. Poi ho letto alcuni opuscoli di Potere Operaio che mi portava un conoscente, alcuni opuscoli di Lotta Continua, e i Pensieri di Mao, che mi piacevano particolarmente per il loro contenuto filosofico. Ho letto anche qualche cosa di Stalin, che mi piaceva moltissimo, allepoca era un po il mio eroe (ero orgoglioso di essere nato lo stesso anno che morto lui, scherzavo sulla trasmigrazione delle anime; ma poi ho saputo che sono nato lo stesso giorno di Mussolini, il 29 luglio, e ci sono rimasto male). A mano a mano che mi avvicinavo alla lotta armata leggevo sempre pi spesso cose sui tupamaros, lIRA eccetera. Una volta entrato nellOrganizzazione, leggevo soprattutto i documenti dellOrganizzazione, anche quelli vecchi 50 . Ma la vera fascia di tempo penalizzata quella dedicata al sonno. Riunioni e scritte sui muri si mangiano buona parte della notte anticipata del contadino. Quando poi non sono impegnato in attivit pratiche, le ultime ore del giorno si allungano immancabilmente nella lettura. Il Marx del Manifesto del partito comunista, il London del Tallone di ferro, il Lenin del Che fare?, il Gorkij della Madre, si abbinano a scritti sulla Resistenza come Il Monte Rosa sceso a Milano di Pietro Secchia, o come I miei figli di pap Cervi 51 . Per comprendere la formazione culturale di Gallinari, cresciuto a Reggio Emilia, bisogna tenere conto del ruolo del contesto sociale e regionale in cui cresciuto, cio lEmilia rossa tanto legata al PCI e alla Resistenza: Infatti, laltro grande elemento di formazione della mia adolescenza legato alla relazione intrattenuta con quei vecchi comunisti che ho avuto la fortuna di incontrare e conoscere. Tutte persone, vicini di casa o parenti che, nella maggior parte dei casi, erano ex combattenti partigiani. [] E da l, da queste
50 Peci 1983, p. 38. 51 Gallinari 2006, p. 41-42. 185 relazioni e da questi rapporti, che ho conosciuto e avvicinato la politica. [] Era al termine delle elementari, allorch iniziai a frequentare i compagni, non solo in qualit di amici o di vicini di casa, ma in quanto persone che incontravo alla sezione, o alla Casa del Popolo. [] Avvicinarsi alla politica tra gli undici e i dodici anni stato perci (e penso lo sarebbe stato per chiunque a quellet) quasi un gioco, un modo divertente per guadagnare unidentit e contrapporsi allaltra realt qui da noi comunque viva e fulgida: quella della chiesa, della religione 52 . Nel 1960, allet di nove anni, Gallinari partecipa al funerale dei morti di Reggio Emilia. Capivo il dolore per quei morti, ma ero troppo giovane per cogliere nellinterezza la profondit e la miscela di quella rabbia e di quel dolore. Una rabbia e un dolore che, invece, finiranno per essere un mio bagaglio, insieme alla Resistenza, ai suoi simboli epici, come la vita e la morte dei sette fratelli Cervi. Il tempo vi avrebbe aggiunto le lotte dei popoli, il Vietnam, e cos via: tutti patrimoni e beni delluomo che ho voluto ereditare nel percorso della mia crescita umana e politica 53 . Franceschini, che come Gallinari vive a Reggio Emilia, evidenzia un filo rosso tra la Resistenza e la sua esperienza nella lotta armata: non a caso, inizia la sua autobiografia con il racconto di un partigiano che gli consegna unarma: Non fu solo una consegna di armi: mi stava affidando i suoi ideali, la sua giovinezza e la sua forza che non cerano pi. Non ci furono abbracci quando lo lasciai 54 . Franceschini parla anche di un avvenimento accaduto quando gi sono state fondate le BR: alcuni partigiani li invitano a festeggiare il 25 aprile con loro. Vanno con lui Mara, Curcio, Alfredo Bonavita Sia Franceschini che Gallinari ricordano il loro comune interesse per Che Guevara: Il nostro mito era il Che, con il suo rifiuto del potere ufficiale, la sua forza di non fermarsi mai. Prospero ne era un veneratore. Arrivava ogni sera in motorino, alle otto, appena finito il lavoro nei campi. Partecipava attento alle
52 Ivi, p. 13-14. 53 Ivi, p. 29-30. 54 Franceschini 1988, p. 4 186 riunioni per poi ritirarsi nella stanza dei letti con in mano le Opere Scelte del Che. Voleva leggerlo tutto, studiarlo, mandarlo a memoria. Ma dopo una decina di minuti, regolarmente, si addormentava, con il volume a riparargli gli occhi dalla luce. Noi lo coprivamo e lo lasciavamo dormire perch la mattina doveva partire alle cinque, per tornare al lavoro nei campi. Credo non sia mai riuscito ad andare oltre le prime pagine del libro 55 . Lincontro con la politica avviene, per Moretti piuttosto tardi: Per tutti gli anni che sono rimasto a Porto San Giorgio non ho conosciuto realmente la politica, semplicemente perch nessuno la faceva. Quasi tutti i miei amici erano operai che lavoravano sui pescherecci, nelle fabbriche di calzoleria o di meccanica che si andavano diffondendo nella zona. Quando si andava a votare in generale si votava comunista, ma tutto finiva li 56 . la fabbrica, la Sit-Siemens, dove lavora in un reparto di tecnici, che Moretti rivendica come principale palestra della sua formazione: Vengo dalla Siemens, l ho imparato una professione, l ho visto le regole che fanno girare il meccanismo del capitale e ho conosciuto la lotta di classe. Vengo di l. E non tanto singolare. Le BR vengono in gran parte dalla fabbrica 57 . Curcio, come gi detto, terminati gli studi superiori, trascorre un periodo a Genova, vivendo di espedienti. Periodo che, tra le altre cose, dedica alla lettura e alla scrittura, attraverso la quale registra e riflette sulle sue esperienze: Mi guardavano come un essere di un mondo diverso: uno strano tipo che scriveva e passava ore sui libri. Perch io in quel periodo oltre a riempire i miei quaderni, leggevo di tutto, da Koestler a Kerouac, da Baudelaire al Diario minimo di Eco 58 . Seguendo il consiglio di un conoscente, Curcio, nel giugno 62, lascia Genova per Trento dove si iscrive alla nuova facolt di sociologia. Curcio descrive gli anni passati nelluniversit trentina come i pi importanti per la sua formazione culturale, e non soltanto a livello accademico. Qui, in un clima culturale aperto e
55 Ivi, p. 30. 56 Moretti 1998, p. 3. 57 Ivi, p. 7 58 Curcio 1993, p. 25. 187 aggiornato, inizia un intenso confronto intellettuale con altri studenti come Mauro Rostagno, Marco Boato, Marianella Sclavi: Direi comunque che, dal punto di vista formativo, quello stato il periodo pi importante della mia vita. Nel senso che quellambiente stimol una straordinaria sfida con me stesso. La sfida di riuscire a tenere il passo in una competizione intellettuale dalla quale si poteva emergere in serie A o essere relegati sullo sfondo 59 . Riprendemmo a studiare la scuola di Francoforte, Adorno, Horkheimer, Benjamin, Marcuse, ma anche Reich: non il Reich della rivoluzione sessuale, che noi nel 67 avevamo gi vissuto anche se con qualche timidezza provinciale ma quello dellanalisi della psicologia di massa del fascismo 60 . Morucci ripercorre per diversi capitoli le tappe della propria formazione culturale e politica. Il racconto degli anni precedenti linizio della militanza politica in senso stretto li riattraversa alla ricerca dei molteplici e inafferrabili segni che lasciano presagire il suo futuro nelle Br e dei passaggi fondamentali che lo hanno condotto alla scelta della lotta armata: Anche oggi, a ricostruire i passaggi della mia formazione, culturale, sociale o politica che dir si voglia, sarebbe un arbitrio dire il punto qui. Questo arbitrio meglio lasciarlo agli storici dAccademia, e a quelli di partito. Bianco o rosso che sia. Quando lo fanno puoi stare certo per costruire una menzogna utile alla causa del momento. come un gioco di prestigio. Fissare lattenzione su un punto focale per nascondere limbroglio 61 . La musica (soprattutto De Andr, in particolare Il testamento, ma anche ) ed il cinema (I pugni in tasca di Bellocchio ed i film proiettati al liceo Mameli) sono elementi importanti della formazione di Morucci. Ma ancora prima vengono linfanzia trascorsa per le strade di San Saba e le letture solitarie: Anchio ho studiato per strada. Anchio a rubare frutta e farmi rincorrere da tutti i portieri del vicinato. Coi figli dei salumieri e coi figli di medici e architetti. Era interclassista la strada allora. Per, spesso, sfuggivo al richiamo della banda e me ne stavo ore a leggere. Tutto, voracemente e disordinatamente. Li ricordo quei
59 Ivi, p. 28 60 Ivi, p. 37 61 Morucci 2004, p. 36 188 titoli, li ricordo tutti. Di libri divertenti come Missili in girdino e di libri drammatici come Cioccolato a colazione, passando per La luna tramontata e la saga di Steinbeck sui reietti di Monterey. E andando a scavare l potrebbero saltare fuori altri punti, altri momenti di un accumulo inconsapevole di sensazioni e disagi che poi, dopo, sarebbero stati la base di assorbimento di tutto il resto 62 . Morucci si definisce pi volte un uomo dazione, piuttosto che un teorico: Forse perch venivo da una famiglia di artigiani. Forse perch mio padre sapeva aggiustare qualsiasi cosa con le mani e me lha insegnato. Forse perch ho strascorso tanto tempo nella bottega di mio nonno a costruirmi spade e pugnali coi pezzi di legno, ho sempre privilegiato il fare, lazione. E questo pu essere un segno. Credo 63 .
Dinamiche familiari e valori precostituiti I militanti delle Brigate Rosse provengono da contesti anche molto lontani tra loro. Si tratta, tuttavia, sempre di un contesto abbastanza umile: nessuno di loro proviene da classi superiori alla piccola borghesia. Patrizio Peci nasce nelle Marche, in un paese di quattro mila abitanti. Il padre un muratore che, pur votando socialista, non mai stato partigiano (come invece i giornali avevano scritto). Sul rapporto tra la sua famiglia e la sua iniziazione politica scrive: Ma chiunque a San Benedetto potrebbe testimoniare che ero quello che si dice un bravo ragazzo e che la mia era una famiglia normale, normalissima. [] Il padre di mia madre ha avuto delle noie con i fascisti e fatto il partigiano, per il poco tempo che ci fu da farlo nelle Marche, e mia madre ci raccontava sempre di come erano cattivi i fascisti, ma parlava di individui, di fascisti del luogo, senza farne una questione politica. Laltro nonno era spazzino. Lantifascismo furioso che poi ho vissuto a 18-20 anni, allepoca della mia iniziazione politica, era uno dei miti della mia generazione, mica uneducazione familiare. In casa mia di
62 Ivi, p. 57. 63 Ivi, p. 60. 189 politica era proibito parlare. Letteralmente. Mia madre, soprattutto, e proprio per quel che aveva sofferto suo padre, pensava che la politica fosse una cosa sporca 64
Peci ha uneducazione di forte impronta cattolica: La mamma sempre stata religiosissima, forse anche perch una sua cugina senta, quasi; insomma, beata, per ora. [] Noi fratelli sempre a messa, regolare, con tutto il resto: cresima, comunione, oratorio, preti. Finch un giorno, avr avuto 15 anni, mi capitata la crisi religiosa, come a tutti 65 . I genitori di Peci gestiscono un pianobar-pizzeria-ristorante, in cui lavorano anche i figli: Non ci mai mancato niente. Ma accidenti se abbiamo lavorato 66 . Quella di Gallinari, come si evince dal titolo stesso della sua opera, una famiglia contadina e il brigatista ritiene molto importanti queste origini nella formazione del suo sistema di valori. Nella mia vita, come in quella di tutti i ragazzi del mio tempo e della mia terra, non c stata una presenza femminile interamente assorbita dallallevamento, dal gioco e dalla cura dei figli. Mia madre non poteva permetterselo. Doveva lavorare dallalba al tramonto. Lunico modo di stare con me era quello di caricarmi sulle spalle, portandomi nei campi dove andava a lavorare. Mi scaricava a terra e di l iniziavo a muovermi nella vita 67 . Ritengo che le origini contadine siano state un fattore fondamentale del mio modo di affrontare la vita, non solo per via di una genetica e primigenia appartenenza alla terra in quanto tale, ma anche perch si tratta di quella terra: la terra emiliana. [] La cultura di quel mondo contadino, da una parte, una cultura resistente, costretta da sempre a fronteggiare la natura, le stagioni e le intemperie, con i raccolti incerti fino allultimo momento; dallaltra, proprio per queste condizioni, una cultura anche temperata e tollerante 68 . Particolarmente importante il rapporto di Gallinari con il nonno, che egli ritiene una figura fondamentale nella propria formazione:
64 Peci 1983, p. 22. 65 Ivi, p. 23. 66 Ivi, p. 32 67 Gallinari 2006, p .11. 68 Ivi, p. 10. 190 E certamente la persona alla quale sono stato pi legato, a cui ho voluto pi bene e del quale ho i ricordi pi belli. stato dai suoi racconti, che ho iniziato a sentir parlare di antifascismo, di ribellione, di rigetto del comando imposto con la violenza, di rifiuto di farsi mettere i piedi in testa. stata una delle vie attraverso le quali, per sentieri e percorsi famigliari, ho iniziato ad avvicinarmi alla politica 69 . Moretti nasce nel 1946 da una famiglia povera, il clima politico che respira quello di un antifascismo fatto soprattutto di rabbia e rancore: [parlando dellinfanzia] La ricordo come un periodo felice, i miei erano poveri, a casa si mangiava soprattutto pane e mortadella ma ci andava benissimo cos. Mio padre votava comunista, come gli amici che da bambino vedevo per casa, ma in quel periodo e da quelle parti la gente si sentiva soprattutto antifascista, contro quello che il fascismo aveva lasciato in eredit e non era mutato. Non capivo bene, lo percepivo come un rancore sordo che serpeggiava nei discorsi, ma soprattutto nei silenzi tra le persone che conoscevo. Tra mio padre e un mio zio materno; tra due miei zii, entrambi reduci da una lunga prigionia in Africa, in un campo di concentramento degli alleati; uno di loro aveva imparato insieme allinglese anche le idee liberal-democratiche, laltro era tornato pi fascista di prima 70 . Curcio, nato da una diciottenne pugliese immigrata a Roma che non pu prendersi cura di lui, viene cresciuto da una famiglia di Torre Pellice, sui monti piemontesi, dove abitano anche i suoi zii. Sono soprattutto questi monti e la loro natura, a segnare la sua infanzia: A lui potrei dire che i simboli forti della mia infanzia sono tutti legati allambiente naturale in cui sono cresciuto: la montagna, le sue valli, le sue sorgenti e tutto ci che rappresentano 71 . Anche della morte dello zio Armando, partigiano ucciso dai nazisti, Curcio non coglie subito il significato politico.
69 Ivi, p. 21. 70 Moretti 1998, p. 3. 71 Curcio 1993, p. 15. 191 [rispondendo alla domanda: Lo zio partigiano ammazzato dai nazisti unimmagine che poi ha contato per te?] Moltissimo dal punto di vista umano e affettivo. Sul piano politico non direi. Per tanti anni non ho attribuito nessuna valenza politica al dolore di quel ricordo. Solo molto pi tardi quando ero gi a Trento, ho scoperto il significato della morte di zio Armando 72 . Franceschini figlio di un operaio metalmeccanico delle Reggiane, iscritto al Pci: Ero comunista dalla nascita. Mio padre era stato membro della cellula del Pci alle Reggiane []. Mio padre e mia madre, sposatisi nel 1945, andarono ad abitare, come tanti altri, nella federazione del Partito. E io fui concepito in quella loro prima casa, una stanza ricavata dalla soffitta di un palazzo da cui sventolava la bandiera rossa. []. Non ho mai letto n ascoltato favole. Per me lo diventavano i racconti del nonno, il padre di mio padre, uno dei primi, a Reggio, uscito dal Partito socialista nel 21 per fondare il Pci. Mi diceva dei suoi anni di galera e confino insieme ai leader del partito, a Pajetta, Secchia, Amendola, del suo accorrere in montagna, bench non pi giovane, per combattere la guerra partigiana. [] Il suo nemico era diventato Kruscev, il destalinizzatore. Sembrava odiarlo pi di quanto non avesse odiato Mussolini, tanto da dirmi, se aveva in corpo pi rabbia del solito, che in fondo il capo del fascismo, quando non aveva ancora preso il potere, era un rivoluzionario. Secondo mio nonno Kruscev era un revisionista. [] Poi veniva da me, ero diventato una specie di suo confessore, e mi parlava per ore. Io non volevo interromperlo, anche per paura di dargli ragione, di andare quindi contro mio padre. Ma il mio cuore era con lui 73 . Franceschini non si sofferma a parlare della madre, il padre, invece, citato in pi punti. Raccontando il momento del suo passaggio alla clandestinit inizialmente tenuta nascosta a familiari e conoscenti Franceschini ricorda il modo in cui il padre considera la sua scelta di intraprendere la lotta armata: Non mi chiese dovero n cosa facessi. E immaginai un padre che aveva capito. Cinque anni dopo, durante un colloquio nel carcere di Saluzzo, mi conferm che aveva veramente capito. Aveva letto delle prime azioni firmate
72 Ivi, p. 17. 73 Franceschini 1988, pp. 25-26. 192 Brigate rosse e scommise con se steso che io non ero andato a Milano per studiare ingegneria. Era sempre stato sicuro di vincerla, quella scommessa. Condannai la tua scelta, mi disse, ma decisi anche che eri e restavi mio figlio. Non ti avrei mai appoggiato ma nemmeno osteggiato 74 . La scelta della lotta armata infatti interpretata da Franceschini anche come una fuga dalla vita che il padre immaginava per lui: Capii che la scelta della lotta armata non era per me soltanto politica, ideologica. In quel momento, almeno, non mi apparve tale. Con quel piccolo fal (dei documenti di identit, n.d.R.) avevo preso in mano la mia vita, fino in fondo. Quante volte avevo pensato al mio futuro di ingegnere, perch questo avrei dovuto fare nella mia vita. Me lo aveva consigliato mio padre al quale era rimasta ben impressa una frase di Togliatti: Fate studiare i vostri figli. Sin da quandero ragazzino mi diceva di diventare ingegnere cos nella vita, sosteneva, nessuno mi avrebbe dato degli ordini. Per lui, operaio metalmeccanico, lingegnere era il comando, la persona che dava ordini. Alla fine degli anni cinquanta, dopo la destalinizzazione, quando aveva perso fiducia nel socialismo e nella possibilit della rivoluzione, aveva cambiato versione: voleva che diventassi ingegnere per star bene e costruire il socialismo per me. Io studiavo ma la tesi del socialismo per me non mi convinceva e riuscii a trovare una mediazione tra mio padre, il mio futuro e la rivoluzione: avrei scelto lindirizzo minerario per andare a Cuba 75 . La difesa orgogliosa delle proprie scelte, spesso disapprovate dal padre, ricordata da Franceschini tra i motivi del pervicace attaccamento al progetto delle Brigate Rosse: Ma io non volevo tornare a Reggio Emilia, non volevo, con la mia resa, dare ragione ai compagni del Pci che mi avevano criticato, a mio padre che mi avrebbe voluto veder rimanere nel partito [dal quale era uscito dopo la manifestazione contro la Nato davanti alla base di Miramare nel 1969, n.d.R] 76 .
74 Ivi, p. 13. 75 Ivi, pp. 14-15. 76 Ivi. p. 44. 193 Anche Morucci parla del padre e del nonno, ma nomina la madre una sola volta, di sfuggita. Anche la famiglia del postino delle Br di tradizione comunista, il padre stato partigiano e fa lartigiano. Di questi Morucci scrive: Era comunista, come tutti in famiglia, da una parte e dallaltra. Un comunista non militante, disilluso. Incazzato ma disilluso. Aveva studiato per le strade di San Saba, andando a rubare la frutta nel giardino dei preti e, a proposito di questi, imprecando quando vedeva ogni ben di Dio, e cera la fame, scaricato nella villa dei parenti di papa Pacelli che era l dietro. Poi cacciando rane negli acquitrini delle terme di Caracolla e facendo il bagno nelle marrane di periferia. Come Alberto Sordi che ci faceva Tarzan col pezzo di legno in mezzo ai denti. Per ho ancora fissato negli occhi il ricordo di due libri sul suo comodino. Solo quei due, gli altri non li ricordo. Erano Herzog e Il tropico del cancro. Mi chiedo ancora come ci fossero finiti. E ci aveva riempito casa di libri 77 . Un episodio dellinfanzia segna un passaggio importante nella crescita di Morucci. Cercando di far funzionare un registratore questi rischia di danneggiare lapparecchio, ma, per paura, sostiene davanti al padre di non essere responsabile dellaccaduto. Il padre gli d uno schiaffo: Non mi picchi per il presunto danno poi riusc a fermare il nastro ma perch ero sfuggito alle mie responsabilit. Una lezione non da poco se ancora me la ricordo. Me la sono ricordata sempre 78 . Lo scontro politico e generazionale con il padre indicato da Morucci come passaggio importante nella sua formazione. Nel 68 lex brigatista prende parte alla contestazione. Il padre non lo ostacola ma non approva. Lepisodio che simboleggia la rottura apparentemente futile: una lite sulla sistemazione di una libreria, arrangiata dal giovane Morucci nel salotto appena rimesso a posto dalla famiglia: Lui a urlare e io a urlargli contro. Con le nuove parole del lessico rivoluzionario. Era un piccolo borghese che alla sostanza. E via cos tutta la filippica. Una frattura. Netta. Il Padre era ucciso. La storia poteva andare avant 79 .
77 Morucci 2004, p. 57. 78 Ivi, p. 48. 79 Ivi, p. 63. 194 Il padre viene rievocato da Morucci anche in un racconto, apparso per la prima volta nel 94, inserito nel testo del 2004: Mio padre per non mi indottrin mai, non mi prese da parte per dirmi chi, nel mondo, erano i buoni e i cattivi. I tedeschi, quelli s, erano bastardi. Ma era storia passata. La guerra in Grecia. La prigionia dopo l8 settembre. Le minacce, i compagni ammazzati per nulla. La fame: raschiare gli ultimi brandelli di carne dagli ossi di un cavallo morto. La fuga. La pattuglia che riesce a colpirlo con un proiettile che gli spappola un osso del braccio. Poi il rifugio presso i titoisti jugoslavi e il rocambolesco viaggio di ritorno fino a Roma. Racconti di guerra. Sulloggi poco o nulla. Preferiva, forse, che capissi da solo. Ogni tanto andavo con lui alla sezione di Macao del PCI, mi portava alle manifestazioni del Primo Maggio, ma non ricordo niente di pi 80 .
Affetti Anche gli affetti sono subordinati alle regole rigide della militanza, che impongono che questi siano vissuti esclusivamente allinterno dellorganizzazione. Per un regolare gli amici coincidono con i compagni, e anche le donne devono essere a loro volta delle regolari. Sei nellastrazione di una lotta nella quale il pi piccolo errore pu avere conseguenze, sei totalmente vincolato alle sue necessit, obbligato ad attraversare luniverso delle relazioni imponendoti di ignorarne la consistenza. Proprio come un fantasma passa attraverso i muri 81 . Prospero uno di quelli con cui mi intendevo, dacciaio, proprio dacciaio, fatto cos. un vecchio contadino del Pci. Prospero importantissimo. un vecchio amico. Siamo in due carceri diversi, sono anni che non ci vediamo 82 . Peci vive un rapporto di amore con Maria Rosaria Roppoli, che pure allinizio non una regolare. Sar lei che organizzer il rapimento di Roberto, il fratello di Peci per punire la sua decisione di pentirsi e collaborare con la giustizia:
80 Ivi, pp. 73-74. 81 Moretti 1998, p. 32. 82 Ivi, p. 243. 195 Finalmente si rassicurata e io ho capito che laspetto fisico non importante, che contano solo i valori umani. Ci siamo affezionati moltissimo, anzi diciamo proprio innamorati 83 . E stata lei che dal carcere ha lanciato lidea della vendetta tramite il rapimento, che poi lOrganizzazione ha cercato di sfruttare come strumento di pressione antipentiti. Lo scopo era evidente ma cos schifoso da dover essere mascherato, e allora ecco che inventano la storia del doppio arresto e del tradimento di Roberto, cos in un colpo coinvolgono direttamente lui e screditano la mia scelta. [] Roberto non poteva difendersi sparando ma non voleva neanche morire, visto che non aveva colpa. Fece tutto quello che gli dissero di fare. Si disse traditore, convalid la storia ridicola del doppio arresto, invit alla lotta armata, mi scrisse cose terribili 84 . Alasia, che poi morto in combattimento contro quelli della polizia ammazzandone due, era un duro dal punto di vista militare, e lo si visto appunto quando lo hanno preso. Ma dal punto di vista umano era un ragazzo sensibilissimo, dolce, gentile 85 . Peci deve fare i conti con i sensi di colpa nei confronti dei compagni con cui ha condiviso molto e che, decidendo di collaborare con la giustizia, si trova a tradire: Denunciare i tuoi compagni ti provoca anche pi problemi dei rimorsi per le vittime che hai fatto. Si tratta di mandare in galera forse per sempre, e ormai sai quant brutta la galera i compagni con i quali fino a ieri hai mangiato, scherzato, creduto, combattuto e giocato a biliardino. Li ricordi tutti, uno per uno: gli occhi, i modi di fare, le battute. Ricordi quella volta che parlasti di quando avremmo vinto e avuto il potere, di quellaltra che lui ti disse della sua fidanzata, di quando hai avuto paura e lui ti ha aiutato. Pensi alla sua faccia quando gli diranno: Ti ha denunciato il Patrizio Peci. E allora non ce la fai. Ma poi consideri che tanto, prima o dopo, in galera finiranno lo stesso, se saranno fortunati e non moriranno in uno scontro a fuoco. Ti sembra di fargli un favore. E sai che facendo arrestare loro salvi la vita di quelli che vogliono uccidere, ti
83 Peci 1983, p. 97. 84 Ivi, p. 207. 85 Ivi, p. 67. 196 sembra di riscattare cos quelli che hai ammazzato tu, di saldare parte del tuo conto con lumanit. Cos parlai 86 . Gallinari, molto schivo sulla sua vita sentimentale (allinizio della sua autobiografia parla dei complessi nel suo rapporto con le donne, provocati dal fatto che quando era ragazzo era da esse allontanato in quanto era solo un contadino), parla della sua storia con Anna Laura Braghetti, conosciuta durante il sequestro Moro. Si sposano in carcere il 24 agosto 1981: Con Camilla [] c qualcosa di pi. Una storia damore. Abbiamo vissuto insieme durante la maggior parte della mia latitanza. [] Nella condizione della vita clandestina, spesso i rapporti sono prodotti dal caso, dalle necessit del lavoro politico e organizzativo, dalle sezioni degli arresti. Ma con Camilla Laura [] ho provato affinit profonde che mi hanno portato a vivere con lei qualcosa di intenso. Il suo carattere, il valore che sa dare alle cose, la sua modestia, il suo altruismo e la sua dolcezza, tutto questo mi ha portato a volerle molto bene. Il mio arresto ha troncato il rapporto, ma non quello che provo per lei. Adesso siamo in carcere tutti e due. La prima cartolina che mi scrive appena uscita dallisolamento, la conferma che fra noi non cambiato nulla 87 . Non certo per il valore del matrimonio o menate simili, ma semplicemente perch sappiamo benissimo che quellatto burocratico il lasciapassare obbligato per poterci vedere e abbracciare. [] Matrimonio civile, il 24 agosto del 1981. Possono assistere solo i famigliari stretti, pi i testimoni, che sono Renato Curcio e una compagna detenuta al femminile di Palmi per Laura, Bruno e il Nero per me. [] Subito dopo due ore di colloquio straordinario concessi ai nuovi marito e moglie. Un infinito di cose, sensazioni, stimoli, ricordi, cose da dirci e da darci rapidamente in un tempo brevissimo. Siamo soli, con una guardia dietro il velo che controlla, ma non sembrano interessargli molto le nostre effusioni. Laura ha cambiato il vestito che portava alla cerimonia. Indossa un camicione larghissimo e sotto niente 88 . Laura al femminile con le altre compagne e riesco finalmente a rivederla dopo la partenza improvvisa del matrimonio di Palmi. Parecchi compagni, Mario,
86 Ivi, p. 195. 87 Gallinari 2006, p. 261. 88 Ivi, pp. 261-262. 197 Maurizio, Remo, Salvatore, Piero. [] la prima volta che riesco ad abbracciarli da quando, per cause di forza maggiore, non ci siamo pi visti. Ma non c solo la gioia degli incontri dopo tanti anni di separazione. Ci sono anche gli imbarazzi e le diffidenze provocati dalla situazione confusa e dalle lacerazioni politiche che ci attraversano da mesi 89 . Ma in realt il risultato era stato che la cura migliore al mio cuore laveva apportata lei. Qualcosa aveva fatto uscire i nostri incontri dal rituale dellavvocato e dellassistito. Un rapporto delicato, che non aveva bisogno di definizioni e che accettava di esistere in un contatto di mani e in uno scambio di sorrisi. [] Le cose tra me e Laura, nel frattempo, erano impercettibilmente mutate. Nella gabbia, nei colloqui, constatavano con imbarazzata serenit lintiepidimento dei nostri sentimenti. La lontananza, le difficolt di comunicazione, la mia stessa malattia avevano lavorato male tra noi. Il grande effetto e lenorme vissuto in comune restavano intatti, ma erano stati privati del non so che a cui si assegna la parola amore 90 . Gallinari parla del processo di Torino come di unoccasione per ritrovare quelli che sono i suoi compagni e amici: Il momento atteso sul piano umano, perch per la prima volta posso incontrare compagni ai quali sono molto legato anche sul piano affettivo, e con cui ho vissuto anni intensi in libert. [] Larrivo una festa, abbracci e baci, chiacchiere e cene gustose 91 . Franceschini parla in termini simili del suo trasferimento al carcere di Palmi: Mi piaceva quel carcere dai grandi camerini: mi dava unidea di tranquillit e vi ritrovavo gli amici di sempre: Renato, Maurizio, Arialdo, Tonino, Roberto, il Nero, Panizza, Prospero, il Biondo [] 92
Franceschini parla a lungo di Renato e, soprattutto, di Mara, che a Milano vivono insieme a lui. indicativo il fatto che inserisca nel titolo della sua autobiografia proprio i nomi di Mara e Renato, mostrando cos, oltre ad una differenziazione tra
89 Ivi, pp. 275-276. 90 Ivi, p. 321. 91 Ivi, p. 127. 92 Franceschini 1988, p. 194. 198 le loro Brigate Rosse e quelle successive, un legame affettivo forte con i due storici compagni: Renato spendeva gran parte delle sue giornate a leggere e a prendere appunti, illustrando poi a Mara la rivoluzione che stavamo andando a combattere. Ma quando prendemmo le armi fu Mara a spiegare a Renato le prime regole da clandestini, a inventare modi ingegnosi per risolvere i problemi che incontravamo. Renato cercava di dire la sua, ma Mara in questi casi non lo lasciava parlare e continuava a difendere fino in fondo le proprie idee. Anche io diventai come Mara. Lasciammo a Renato il compito di elaborare la teoria [] Io e lei pensavamo ai documenti falsi e alle armi, facevamo le inchieste, le azioni []. In fondo tenevamo Renato come in un bozzolo e con Mara, quando ci accorgemmo che ci comportavamo nello stesso modo, ne capimmo la ragione: lui era il nostro teorico, per questo cercavamo tutti e due, istintivamente, di proteggerlo, non facendogli pesare le tante, piccole beghe quotidiane. Ma, anche se non ce lo siamo mai detti, lo ritenevamo assai poco adatto a confrontarsi con a realt. Noi, Mara e io, eravamo diversi. Lei piena di voglia di vivere, di fare: se decideva di raggiungere un obiettivo, qualunque fosse stato, nessun ostacolo lavrebbe fermata 93 .. Lallontanamento dalle Brigate Rosse rappresenta, per Franceschini, un momento difficile anche sul piano affettivo. Curcio infatti decisamente contrario alla sua scelta: Mentre dalla mia cella leggevo il documento di Renato, che un compagno del piano di sotto mi aveva passato dalla finestra, pensai che quelle pagine erano il segno di una grande debolezza. Ma anche il segnale che avrei cominciato a percorrere da solo una nuova strada, lasciando tutto alle mie spalle, bruciando ancora una volta le mie navi, come quando approdai a Milano e divenni clandestino con il nome di Fiorini Giovanni. Non potevo che provare solitudine, stavo perdendo il compagno, Renato, al quale ero stato pi legato, con cui avevo condiviso le prime vittorie e le prime, dure, sconfitte. Forse me lo sarei trovato addirittura contro 94 .
93 Ivi, p. 19. 94 Ivi, p. 206. 199 Moretti al momento di entrare in clandestinit taglia i ponti con la moglie e con il figlio ancora piccolo: Il distacco stato brusco e definitivo. Questi sono i prezzi di una scelta, li devi pagare 95 . Per dieci anni non ho saputo come vivessero, mia madre e mia moglie. Mi ero imposto una censura rigida soprattutto per Marcello: riuscire a vederlo voleva dire torturarmi, avevo per lui troppa tenerezza per non stare male 96 . Il fatto che Moretti non parli della sua relazione con Barbara Balzerani indicativo del carattere prevalentemente politico della sua autobiografia. Curcio sposa, nellestate del 1969, Margherita Cagol che partecipa con lui alla fondazione delle Brigate Rosse. Mara, questo il suo nome di battaglia, viene uccisa il 5 giugno 1975, in un conflitto a fuoco con i carabinieri alla Cascina Spiotta, dove tenuto prigioniero dalle Brigate Rosse Vallarino Gancia. Le parole di Curcio mostrano un rapporto ed un affetto che oltrepassano la dimensione politica: Con Margherita ho vissuto un rapporto di amore profondo che precede e va oltre la nostra vicenda politica. Un amore che esiste ancora adesso 97 . Curcio parla anche della sua amicizia, nata a Trento, con Mauro Rostagno, ucciso in un agguato mafioso nel 1988: Rostagno rappresenta per me lesperienza pi che ventennale di unamicizia autentica e di un affetto potente, misti al fascino provocatorio della sua intelligenza polimorfa. Lui non ha mai discusso le mie scelte, come io non ho mai discusso le sue: ci siamo sempre accettati senza problemi. Perch lintensit delle nostre esperienze comuni vissute per cinque anni, prima del mio ingresso nella lotta armata, era tale da non consentire ai nostri diversi percorsi politici di dividerci sul piano del rapporto umano. [] Continuare a voler bene a Rostagno per me significa anche riflettere sulle responsabilit che la mia generazione ha contratto nei confronti della sua morte 98 .
95 Moretti 1998, p. 30. 96 Ivi, p. 31. 97 Curcio 1993, p. 124. 98 Ivi, p. 30. 200 interessante notare come Gallinari chiami i compagni per nome (peccando anche di anacronismo storico perch, durante la militanza, non sapeva i veri nomi di nessuno, neanche della sua compagna che infatti, a volte, chiama con il nome di battaglia di Camilla), e cos anche Franceschini. Peci cita sempre anche il cognome, mostrando cos una maggiore distanza. Curcio utilizza sempre il solo cognome, con leccezione della moglie, che chiama sempre Margherita (mentre, tutti gli altri, la chiamano Mara, cio con il nome di battaglia). Anche Moretti tende a chiamare i compagni per cognome, soprattutto per chiarezza, ma a volte, per quelli cui pi vicino, soprattutto nel caso delle donne, usa il nome di battesimo o quello di battaglia. Ad un certo punto viene ripreso dalle intervistatrici proprio perch ha usato i nomi: Raffaele, Rocco e Mariuccia? Non so perch mi siano venuti i nomi di battesimo, forse una crisi di sentimentalismo. Sono Raffaele Fiore, Rocco Micaletto, Carla Brioschi 99 . Morucci, molto significativamente, parla molto raramente di Adriana Faranda, sua compagna di vita per un lungo periodo e partecipe del suo percorso politico (entrano nelle Br e le abbandonano insieme, insieme vengono arrestati il 29 maggio del 1979). Le uniche tracce di affetto sono nelle parole su Adriana Faranda e su Germano Maccari, ma i sentimenti si mescolano con i sensi di colpa: La cecit del fare. Chi fa sbaglia. E io sbaglia. Per due. Perch Adriana Faranda mi segu riluttante. Non per la scelta, che condivideva, anche se forse allora con minore convinzione, ma per quello che comportava. Aveva gi una figlia. E la clandestinit tutto taglia. una via senza ritorno 100 . Germano era un mio compagno fin dallinizio, un fratello. Ed era entrato riluttante nelle BR solo per seguire me. E gi solo per lui, per non contare tutti gli altri da me convinti al grande salto, ho un altro conto non saldato con la mia coscienza 101 . Un certo risentimento in compenso riservato a Moretti (sempre chiamato per cognome), alla testa delle Br durante la militanza di Morucci nellorganizzazione. Anche se, dice, a Moretti deve la vita:
99 Moretti 1998, p. 212. 100 Morucci 2004, p. 106. 101 Ivi, p. 207 201 Devo a Moretti la mia vita. Perch, allora ancora a capo delle BR, rispose di no. Gliene debbo comunque essere grato. Ma non credo labbia fatto per sentimentalismo. Adriana e io piangemmo quando ci giunse in carcere la notizia che Prospero Gallinari era in fin di vita per la sparatoria preceduta al suo arresto. Ci avrebbe voluti morti anche lui ma era un vecchio compagno. E poi noi ci eravamo commossi anche per la sorte di Moro. Eravamo noi i sentimentalisti- piccolo borghesi. Loro, soldati della Rivoluzione. Non conveniva che mi facessero la pelle, questo il fatto 102 . invece livoroso il tono con cui lex brigatista parla di Franceschini, spesso chiamato Franceschiello.
Conflittualit Peci, in pi parti della sua autobiografia, identifica il nemico nel fascismo e questo un passaggio fondamentale nella sua scelta della lotta armata: Dibattemmo, ma cera poco da dire. Eravamo daccordo che la lotta armata clandestina era lo strumento migliore per una vittoria politica. Solo che noi la mettevamo in termini di antifascismo, loro facevano un discorso pi ampio, come a dire che i fascisti erano un nemico trascurabile, che bisognava colpire i centri del potere economico, dellinformazione, della politica. Il fascismo, dissero, era solo il paravento di queste cose qua. Piano ci si apr la testa, di fronte a quelle problematiche, e loro furono molto abili. Quando ci salutammo cominciarono a mandarci dei documenti, delle indicazioni politiche. Dopo un po ci avevano convinti che i nemico principale era lo stato. Bisognava abbattere lo stato per instaurare il comunismo 103 . Il punto di riferimento per me era sempre il fascismo, in quanto contrario del comunismo. Il fascismo la prepotenza di voler impresso le proprie idee con la forza e con la violenza. Si potrebbe dire, e qualcuno lha detto, che questo lo facevano anche le brigate rosse; si vogliono identificare brigate rosse e fascismo per il fatto che entrambi adoperano la violenza e vogliono imporre, come gruppo elitario, le loro idee alla maggioranza. Mi sembra eccessivo. Il fascismo lesaltazione dellindividualismo, il comunismo lesaltazione del collettivismo.
102 Ivi, p. 214 103 Peci 1983, p. 40. 202 Ma, soprattutto, il comunismo fa gli interessi della classe maggioritaria, del proletariato, della classe che lavora, non di un gruppo ristretto. La br volevano essere nientaltro che un gruppo di avanguardia del proletariato, un gruppo che voleva sensibilizzare, coinvolgere le masse e portarle a prendere il problema con la violenza, visto che in altri modi non viene concesso. Il fatto che poche decine di persone, noi brigatisti, volessimo decidere per tutti e guidare le masse non mi sembrava affatto un controsenso, perch la storia insegna che tutte le rivoluzioni sono iniziate da un manipolo di uomini 104 . La conflittualit sociale vissuta da Gallinari, invece, soprattutto allinsegna della Resistenza tradita: La Reggio comunista si riduce progressivamente a una zona nella quale il malessere politico viene assunto singolarmente da tantissimi vecchi compagni che si sentono traditi. Traditi gli ideali, tradite le speranze Il punto di riferimento per me era sempre il fascismo, in quanto contrario del comunismo, traditi gli sforzi che, durante la Resistenza e negli anni immediatamente successivi, tanto erano costati e dei quali resta in mano ai militanti di base o agli epurati solo un pugno di mosche. [] Sentire questi uomini parlare della Resistenza e dei suoi valori, apprendere dellespulsione che i partigiani avevano subito dai posti di spicco nella aziende e negli uffici dello stato, capire che quei posti erano stati riconsegnati agli individui che li avevano amministrati durante il fascismo e la Repubblica di Sal era impressionante 105 . Anche Franceschini cresciuto a Reggio Emilia: il tema della resistenza tradita e del filo rosso con la lotta partigiana sono centrali nei primi capitoli della sua autobiografia. Particolare la posizione di Franceschini, che indica Andreotti come simbolo del nemico: Era lui, per me, il perno del progetto neo-gollista. [] Andreotti me lo sognavo fotografato con un rospo di cartapesta in bocca, uno di quei rospi che a Reggio Emilia avevano preparato per le elezioni del 1948, per farli ingoiare ai democristiani. Sarebbe venuto finalmente il momento, e lo pregustavo con Mara e il Nero, in cui avrei finalmente infilato un rospo nella bocca di Andreotti 106 .
104 Ivi, p. 45. 105 Gallinari 2006, p. 36. 106 Franceschini, 1988, pp. 103-104. 203 Morucci si avvicina alla politica durante la contestazione studentesca nel 68. Del movimento universitario ricorda soprattutto laspetto gioioso e poco conflittuale che si esaurisce con la battaglia di Valle Giulia: Guardavamo la gente alle finestre e ci pareva che tutti ci sorridessero, che tutti fossero con noi. Era lampante, evidente. Aperta la galera tutti potevano partecipare alla festa. Il solo fatto che dal nulla, da quel poco che ci era sino a poco prima, fosse uscita in tutto il mondo quella forza, voleva dire che i muri erano crollati. Le trombe di Gerico avevano squillato. Non cera ostilit tra noi, allora, le citt ci erano amiche, il mondo ci era diventato amico. E non capivamo un cazzo di politica. Non dur molto. Perdemmo quellinnocenza a Valle Giulia, nel marzo del 68 107 . A rendere conflittuale quel movimento, a fargli conoscere la violenza, sono quelli pi grandi, quelli che si erano visti esplodere il movimento dopo anni di incubazione politica nel PCI 108 : Loro sapevano, o credevano di sapere, che la lotta cresce sullo scontro. Quello fisico, diretto, non solo quello a parole. Ragion per cui nei loro conciliaboli, e senza dirne nulla alle migliaia di giovani che si erano portati appresso, avevano deciso di lanciare uova marce sui poliziotti, di provocarli 109 . Morucci lunico tra i brigatisti considerati (se si esclude Peci) ad aver preso parte al movimento negli anni 70. La sua vicinanza alle istanze del movimento del 77 pi volte rimarcata, anche nel tentativo di prendere le distanze dalla mentalit e dallanalisi delle Br, a suo dire incapaci di comprendere i mutamenti del capitalismo e la le potenzialit rivoluzionarie dei nuovi soggetti sociali. Le peculiarit del movimento degli anni 70 sembrano influenzare le forme di espressione della conflittualit in Morucci. Raccontando della rottura di alcune elementari norme di sicurezza durante il pedinamento di Andreotti lex-brigatista scrive:
107 Morucci 2004, pp. 64-65. 108 Ivi, p. 65. 109 Ivi, p. 66. 204 In parte noi due (Morucci e Faranda, n.d.R.) giocavamo. Ancora forte limpulso a toccargli il naso, metterli alla berlina, piuttosto che ammazzarli. Anche quellultimo gioco fin presto 110 . Una spinta fondamentale viene per tutti dal cambiamento del contesto internazionale e nazionale alla fine degli anni 60. Il clima di conflittualit politico-sociale, che va addensandosi in Italia, viene percepito in maniera molto forte, in particolare dopo la strage di Piazza Fontana: Con la lotta in azienda, lo scontro tradizionale ci troviamo fuori gioco. Decideremo la lotta armata per conservare una effettiva capacit di scontro. [] Tutto il movimento ha sentito la bomba alla banca dellagricoltura come un attacco, una percezione quasi fisica: qualcosa, lo stato, qualcuno che non soltanto la controparte in azienda ti mette nellangolo. [] il nostro passaggio 111 . Il nostro discorso sulla lotta armata e i primi interventi di propaganda armata nacquero dallimpossibilit di proseguire con i vecchi metodi collettivi e assembleari, e dallesigenza di dotarci di nuovi strumenti per far sentire la nostra presenza in una situazione di scontro sociale esasperato come quello di allora 112 . In quel primo sequestro stata molto importante limmagine della pistola puntata addosso al prigioniero. Noi avevamo riflettuto sul fatto che mostrare quellarma nella foto polaroid significava, per la prima volta, far vedere unimpresa di lotta armata nellItalia degli anni 70. In realt, si trattava di un vecchio arnese rugginoso che, forse, non poteva neanche sparare. Ma la pistola in s non era rilevante. Quello che contava era la sua immagine-messaggio diffusa da tutti i media: la lotta armata 113 . Morucci, al contrario di molti dei suoi compagni, non ritiene che la Strategia della tensione, inaugurata con la strage di Piazza fontana, sia stata determinante nello sviluppo della lotta armata: Ora non voglio dire che lo Stato, in tutti i suoi svariati pezzi, non abbia giocato un ruolo determinante nellesacerbarsi dello scontro, per i prodromi dello
110 Ivi, p. 122. 111 Moretti 1998, p. 20. 112 Curcio 1993, p. 53. 113 Ivi, p. 70 205 sviluppo che avrebbe avuto luso della violenza da parte rivoluzionaria si erano gi manifestati appieno nel corso di quel 1969. Lanno del caldissimo autunno operaio 114 .
Percorsi della militanza Ciascuno prima di entrare nelle Brigate Rosse, attraversa forme diverse di militanza. Peci entra in Lotta Continua e poi fa parte un gruppo, i Proletari Armati in Lotta (PAIL), che bruciano le macchine dei fascisti: Cos ho cominciato a frequentare la Rotonda e mi sono inserito un minimo in Lotta Continua: per sentire, per curiosit, per capire meglio, perch mi sembravano le persone che in quel momento rappresentavano meglio i miei interessi. [] Anche se non avevo le idee chiarissime, ho capito subito che cera carenza di dibattito e che soprattutto non si sapeva bene quel che si voleva. Loro si giustificavano dicendo che i compagni pi bravi erano tutti dentro, ed era vero: la repressione era fortissima, e per un motivo o per laltro i dirigenti erano stati ingabbiati tutti. Ma allora che si fa, si aspetta che lo stato ci restituisca i dirigenti? No. (Questo anche il ragionamento che fanno oggi quei quattro brigatisti rimasti in libert). Fra mancanza di capi e dibattito interno, cosa si poteva fare? Abbiamo cominciato, noi giovani della nuova generazione di Lotta Continua, a seguire e a discutere affascinati le indicazioni che ci venivano da fuori, cio dalle brigate rosse [attraverso i giornali, n.d.R] 115 . Gallinari milita fin da ragazzo nel Pci: Il dolore profondo che tutti i militanti comunisti vivono e trasmettono per la morte del loro segretario, attraversa anche me, ed solo un po attutito dalloccasione che mi si presenta di divenire leva Togliatti. Infatti, la Federazione Giovanile del Partito lancia immediatamente un tesseramento straordinario. Aderendo a partecipando a questa iniziativa eccezionale, entro di fatto nellattivit politica ufficiale 116 .
114 Morucci 2004, p. 252. 115 Peci 1983, p. 35-36. 116 Gallinari 2006, p. 35. 206 Nel 1968, Gallinari si impone politicamente come contadino comunista, senza pi complessi di inferiorit (fino ad allora, infatti, nascondeva le sue mani per non far vedere a nessuno i segni del suo lavoro nei campi). la sua militanza nel Pci che gli da questa forza: Loccasione si offrir in una specie di ritorno a scuola []. Prendo la parola dal palco per portare i saluti e la partecipazione alla lotta in corso dei giovani dellAlleanza Nazionale Contadini (organizzazione sindacale di categoria di sinistra). Si infrange cos un vero blocco. Sono un contadino comunista. Sento che la mia lotta, il mio lavoro e la mia circoscritta ma reale esperienza politica rappresentano un contributo cercato e rispettato anche da quegli studenti. Da quel momento, anche il significato delle mie mani sporche e callose, destinato a mutare. Non le infiler in tasca, non le terr pi chiuse, se non a volte per salutare [] a pugno chiuso 117 . Presto, per, Gallinari giunge alla rottura con il partito: Ancora una volta per dallestero (in questa occasione dal Sudamerica) che provengono le ragioni dei miei scazzi pi seri nel Partito. [] la mattina del 15 ottobre, mentre sto facendo colazione, il giornale-radio informa della conferma ufficiale di Fidel Castro: il Che morto. Lo scoramento, il dolore, la rabbia, poi la decisione. [] Decido di esporre a lutto, sul balcone della sezione, tutte le bandiere disponibili, sia quella del Partito sia quella della FGCI. [] San Prospero in lutto, o almeno lo il Partito e si sente. Mentre io torno nei campi a lavorare. La sera tardi arrivo in sezione. [] Un attimo, e il vecchio trombone mi arriva addosso come un treno in corsa, urlando che non stava a me decidere quando e per chi il Partito poteva entrare in lutto, n tantomeno esporne la bandiera a mezzasta. [] Ma questa volta, tra noi, si rotto qualcosa, qualcosa di importante e profondo 118 . Con la guerra del Vietnam il distacco di Gallinari ed alcuni compagni (tra cui Franceschini e altri futuri fondatori delle Brigate Rosse) dal Pci si fa sentire sempre di pi, mentre iniziano i loro rapporti con alcuni studenti di Trento, tra cui Renato Curcio e Mara Cagol:
117 Ivi, p. 43. 118 Ivi, pp. 45-46 207 Cos, nei primi mesi del 69, decidiamo di affittare una vasta soffitta in via Emilia San Pietro, a duecento metri dalla sede centrale del Partito, allora nella mitica via Toschi. Un appartamento libero, nella quale possa incontrarsi chiunque intenda discutere, porsi domande e cercare risposte alleruzione degli eventi. In quelle stanze, innanzitutto, studiamo: gli scritti di Mao, le opere del Che, il terzomondismo di Fanon e cos via. [] Andare a scuola dalle lotte diventa il nostro obiettivo: siano lotte sociali e operaie, come quelle in corso nellOccidente capitalistico, o lotte di popolo, come il caso della maggioranza delle guerriglie terzomondiste attive in quegli anni. Nellappartamento finiscono per confluire buona parte dei militanti attivi nella FGCI, qualche psiuppino, alcuni anarchici, alcuni cattolici di One Way; compagni singoli che cercano un primo luogo in cui discutere e avvicinarsi alla politica. [] E cos arriva puntuale laut aut, la comunicazione senza possibilit di replica: chi persiste a frequentare lappartamento verr espulso. [] Per molti altri, invece, la semplice presa datto di qualcosa che, nella teste e nel cuore, si gi consumato da tempo: la rottura. Nasce cos il Collettivo Politico Operai-Studenti 119 . Anche Franceschini, da ragazzo, milita nella FGCI ma, con la manifestazione di Miramare, rompe con essa. Sono con lui Fabrizio Pelli, Tonino Paroli e Prospero Gallinari. A proposito di quellavvenimento scrive: La via pacifica al socialismo esisteva veramente, dicevano, bisognava solo accettare le regole del gioco e un giorno avremmo vinto perch eravamo i pi forti e determinati. Ma se avessi accettato questa logica avrei tradito mio nonno e i suoi ideali insieme alla mia voglia di vivere in un mondo diverso, di cambiare. [] Bisognava, dicevano, prima indebolire la borghesia con la lotta parlamentare e poi armarci per conquistare la vittoria. Noi li consideravamo discorsi da opportunisti ben camuffati o da ingenui sognatori che nulla avevano capito della strada che il partito stava imboccando. Andammo a Miramare anche per far svanire questi loro sogni e far diventare quei loro silenzi azioni, per vedere la disperazione sulla faccia dei burocrati quando si sarebbero accorti che le cose non andavano come avevano programmato 120 .
119 Ivi, pp. 55-57 120 Franceschini 1988, pp. 27-28 208 Il percorso che conduce Curcio a fondare le Brigate Rosse fatto di esperienze eterogenee: Quello che so che non si trattato di un itinerario lineare, ma di un susseguirsi di esperienze anche discontinue: a volte dovute semplicemente al caso o alla pressione di circostanze esterne. Prima di diventare brigatista a trenta anni avevo vissuto degli spezzoni di esistenza completamente diversi tra loro 121 . A Trento Curcio milita nel movimento studentesco. LUniversit di Trento in stretto contatto con il campus statunitense di Berkeley e nel 67 precorre i tempi della contestazione che lanno seguente sarebbe esplosa in tutta Italia. Nellautunno di quellanno, gli studenti decidono loccupazione delluniversit, la prima in Italia: Io ero ministro della cultura del parlamentino universitario e, durante unaccesa riunione del nostro organismo di rappresentanza, Rostagno propose loccupazione. Non tutti erano daccordo. Alla fine dellassemblea ci contammo: a voler usare questa forma di lotta, che allora appariva azzardatissima eravamo in sette. Dopo poco fummo in undici 122 . Una tappa fondamentale indicata da Curcio nellincontro con De Mori, capo di una delegazione del Cub Pirelli: Col senno di poi posso dire che lincontro con questo personaggio grintoso e trasognato segn per me una nuova discontinuit radicale. Voglio dire che il suo discorso mi spinse sul sentiero che, nel giro di due anni, mi port alle Brigate Rosse 123 . Curcio entra in contatto col gruppo che poi fonder le Brigate Rosse con cui, prima di scegliere la strada della lotta armata, d vita al Collettivo politico metropolitano (Cpm): Nel collettivo si cantava, si faceva teatro, si tenevano mostre di grafica era una continua esplosione di giocosit e invenzione 124 . Moretti, come impiegato come tecnico alla Sit-Siemens, entra in contatto con la lotta di fabbrica:
121 Curcio 1993, p. 12. 122 Ivi, p. 34. 123 Ivi, p. 38. 124 Ivi, p. 49. 209 l che un giorno nel reparto dove lavoravo un reparto di collaudo, eravamo tutti tecnici vedo irrompere un gruppo di scalmanati: gridano contro i padroni, non hanno laria di avercela con noi, io poi sono sicuro di non essere un padrone. Alla fine usciamo insieme e ci mettiamo a discutere nel cortile. Io non ci sto a farmi determinare dalla vita, voglio capire il perch delle cose, perch quegli operai protestano, domandano, esigono 125 . Moretti inizia a partecipare agli scioperi degli operai, ma rendendosi conto che non si tratta della strada giusta, insieme ad un rappresentante della commissione interna, prende liniziativa di convocare unassemblea di tecnici che d vita ad un gruppo di studi: Fu un po il prototipo di un metodo di aggregazione vincente tra figure produttive fino ad allora inaccessibili al sindacato. Nella discussione mettevamo a punto le piattaforme rivendicative, decidevamo le forme e i tempi di lotta. La partecipazione era straordinaria 126 . Un punto di svolta importante il convegno di Pecorile nellagosto 1970, durante il quale Curcio legge un documento nel quale sostiene che nelle fabbriche esiste un bisogno politico di potere ed indispensabile formare unavanguardia interna a questo movimento; occorre preparare la guerra civile di lunga durata, in cui il politico , da subito, strettamente unito al militare: La questione della lotta armata posta: c un fosso da saltare e la discussione delle pi accese. Sono le nostre tesi a vincere e una parte dei compagni, quelli che sostenevano la centralit della violenza di massa, vanno per conto loro, confluendo in Lotta Continua 127 . Prima di entrare nelle Br, Morucci partecipa al movimento del 68. Quando questa esperienza si esaurisce, si avvicina agli operaisti ed entra in Potere Operaio Andai con loro. Da qualche parte dovevi andare se non volevi tornare a casa e aspettare che succedesse qualche cosa. Non ero tipo, lho detto. Il fare, il coinvolgimento, il sentirsi parte della storia. Ma gi quello era un obbligo. Come doversi intruppare per forza in un partito, come arrivare in Parlamento. Qualcosa,
125 Moretti 1998, p. 5. 126 Ivi, p. 7. 127 Franceschini 1988, p. 25. 210 volente o nolente, perdi sempre nel passaggio. Comunque gli operaisti erano i pi validi 128 . Allinterno di Potere Operaio si occupa prima del settore scuola, poi della direzione del settore Lavoro Illegale, organismo che avrebbe dovuto preparare larmamento tecnico e organizzativo da mettere in campo al momento dellInsurrezione.
Militanza Gallinari tra i fondatori delle Br. Dopo aver inizialmente aderito al gruppo detto dei superclan, si riavvicina alle Br in seguito al sequestro di Amerio e, dopo larresto di Curcio e Franceschini (1974), viene destinato al rafforzamento della colonna di Torino, diretta da Mara, con la quale va a vivere. Viene arrestato insieme a Bonavita il 30 ottobre del 74. Dopo levasione, nel 77, Gallinari ritorna nella Colonna di Torino, diretta da Cristoforo Piancone e da Raffaele Fiore: come prima cosa deve lavare i soldi del sequestro Costa. In seguito viene destinato al Fronte della Lotta alla Controrivoluzione di Firenze, una struttura diretta da Carla Brioschi e Franco Bonisoli. Dopo lestate del 1977, il brigatista reggiano si trasferisce a Roma dove viene incaricato di gestire una base in vista di un sequestro politico di grande importanza. Viene accolto dalla Braghetti e dal suo compagno, Bruno Seghetti. Si occupa di insonorizzare la casa in vista del sequestro Moro. Fa parte della Direzione della Colonna romana insieme a Moretti, Balzerani, Morucci e Faranda. In seguito ad unondata di arresti, entra a far parte dellEsecutivo. Dopo un periodo in Sardegna in cui tenta di organizzare levasione di alcuni detenuti allAsinara, viene scelto per riorganizzare con Barbara Balzerani la colonna di Milano. Ma prima della sua partenza per Milano, il 24 settembre 1979 viene fermato, arrestato e ferito alla testa insieme a Mara Nanni. Dopo larresto non rinnega la sua militanza: aderisce alle Br-Pcc. Patrizio Peci entra nelle Brigate Rosse nel 1977 e in due anni e mezzo riesce a diventare capocolonna a Torino. La prima azione armata di cui si rende protagonista il ferimento del capo officina Fiat Antonio Munari (22 aprile 1977); segue, a una settimana di distanza, la partecipazione attiva al commando brigatista
128 Morucci 2004, p. 80. 211 che uccide lavvocato Fulvio Croce, il 29 aprile 1977. Viene arrestato nel febbraio del 1980 a Torino. Renato Curcio fondatore ed ideologo delle Brigate Rosse. Fino al 1974, anno del suo arresto, fa parte del Direttorio, anche se la sua partecipazione alle azioni inizialmente limitata. Nellestate 1972, dopo unondata di arresti, si trasferisce con Mara a Torino, dove fondano una nuova colonna. Organizza il rapimento di Ettore Amerio. Viene arrestato l8 settembre 1974 in compagnia di Alberto Franceschini. Evaso nel febbraio 1975, ritorna a far parte delle Brigate Rosse, anche se ormai le sue posizioni sono marginali rispetto la linea generale che la nuova dirigenza delle Brigate Rosse ha deciso di seguire. Arrestato nuovamente nel gennaio 1976, non rinnega le sue posizioni. Durante le scissioni delle Brigate Rosse a cavallo degli anni 80, appoggia il Partito Guerriglia. Alberto Franceschini tra i fondatori delle Brigate Rosse. Dopo gli arresti del 1972, resta a Milano con Mario Moretti per riorganizzare la Colonna. Gestisce azioni molto importanti, come il sequestro di Mario Sossi. L8 settembre 1974 viene arrestato insieme e Renato Curcio. Aderisce al Partito Guerriglia, ma si sente sempre pi lontano dalle Brigate Rosse. Si dissocia ufficialmente nel 1987. Mario Moretti tra i fondatori delle Brigate Rosse. Nel 1972, dopo larresto di molti militanti dellorganizzazione, rimane a Milano per riorganizzare la colonna. Dopo larresto di Curcio e Franceschini e la morte di Mara il massimo dirigente dellorganizzazione. Nel 1975 si trasferisce a Roma. Nel 1978 organizza e gestisce il sequestro di Aldo Moro. Favorevole alluccisione del prigioniero, lui a sparargli. Viene arrestato nel 1981. Valerio Morucci entra nelle Brigate Rosse nel 1977. Dirigente della Colonna Romana, partecipa al rapimento di Moro a Via Fani. Durante il sequestro, agisce come postino delle Brigate Rosse. Contrario alluccisione del Presidente della Dc, esce dalle Brigate Rosse nel 79 insieme ad Adriana Faranda. Con lei fonda una nuova organizzazione, che tuttavia vive solo per pochi mesi: vengono arrestati nel maggio 1979. Si dissocia nel 1985. La militanza nelle Brigate Rosse di tipo assolutamente esclusivo e comporta una rinuncia totale alla propria vita, ed una totale dedizione alla causa. Ormai il mio destino era segnato, anche se non ero obbligato a entrare nellOrganizzazione. Fu una libera scelta: volevo dare tutto allOrganizzazione e 212 alla Causa. La mia aspirazione massima a quel tempo era diventare regolare e lavorare a tempo pieno perch ci credevo, perch mi piaceva quel tipo di vita, pensavo di essere portato alla lotta armata ed ero disponibile a tutti i livelli 129 . Avrei continuato cos chi sa quanto, se la sfortuna e la mia stupidaggine non mi avessero costretto ad entrare in clandestinit. Ripeto che volevo diventare un regolare, ma non in un modo cos ridicolo. [] La mia scelta era stata fatta, e piuttosto di qualche anno di galera, meglio qualsiasi rischio, qualsiasi scelta, qualsiasi rinuncia 130 . Stai nellastrazione di una lotta nella quale il pi piccolo errore pu avere conseguenze, sei totalmente vincolato alle sue necessit, obbligato ad attraversare luniverso delle relazioni imponendoti di ignorarne la consistenza. Proprio come un fantasma passa attraverso i muri 131 . La militanza comporta una rinuncia alle proprie abitudini e lisolamento dal resto del mondo. Scrive Peci: Quando vivi in clandestinit per anni e io ci sono stato pi di tre anni anche le cose che agli altri sembrano le pi strane, per te sono normali, perch finisci per incontrare solo altri clandestini, dunque hai rapporto solo con gente come te, sei fuori dal mondo. poi un giorno ti capita che ti devi confrontare con esperienze diverse e allora dici ma cosa faccio io,chi sono, perch?. cos anche quando ti arrestano e conosci,parli con i carabinieri e i magistrati che volevi ammazzare e scopri che sono bravissime persone 132 . Nella prima parte della propria autobiografia Franceschini descrive laspetto liberatorio della perdita didentit motivata dallentrata in clandestinit: Ogni nuovo compagno, per diventare un regolare, doveva bruciare i propri documenti davanti agli altri, pubblicamente. Era diventata consuetudine, una sorta di dichiarazione ufficiale: in quel momento si bruciavano le navi alle proprie spalle, si chiudeva la via alla ritirata. Anche noi sbarcavamo in una novo continente e allangoscia che il distacco comportava si accompagnava la sensazione di essere liberati di un peso, dei vecchi vincoli.
129 Peci 1983, p. 71. 130 Ivi, pp. 73-74. 131 Moretti 1998, p. 32. 132 Peci 1983, p. 30. 213 Quando bruciai la mia carta di identit mi sentii un uomo libero. Potevo essere e diventare quello che volevo: ingegnere, avvocato operaio. Un senso di libert concreto, la perdita di ogni legame con il passato, lassenza di una condizione socialmente predeterminata, lillusione di essere veramente padrone del proprio destino, un prendere in mano le proprie radici, a cominciare da ci che ci stato imposto per primo, il nome e il cognome. Capii che la scelta della lotta armata non era per me soltanto politica, ideologica. In quel momento, almeno, non mi apparve tale 133 . La militanza assume dei caratteri rigidi, soprattutto dopo i primi arresti, nel 72. Lorganizzazione, colpita, costretta a ristrutturarsi. Si opta per la rigida compartimentazione (la divisione in colonne autonome) e le regole della clandestinit si fanno ferree: allora che decidiamo due cose che determineranno quel che siamo poi stati, nel bene e nel male. La prima di attrezzarci alla guerriglia sul serio: non bastano quattro regole di prudenza, ci vuole altro per sopravvivere in offensiva, in condizioni di agire anche se sei ricercato. Impareremo a vivere in mezzo alla gente senza farci individuare. La clandestinit diventa la chiave del nostro modo di essere, dalla struttura di direzione alla pi piccola brigata di quartiere. La seconda decisione di impiantarci nei maggiori poli industriali, organizzandoci per colonne, autonome politicamente, compartimentate, in grado di agire senza dipendere dalle altre 134 . Cos le Brigate Rosse continuarono a vivere, anzi, in quella cascina, nacquero le vere Brigate Rosse che si lasciavano alle spalle quello che noi stessi avevamo definito laspetto ludico della rivoluzione, il sentirsi liberi e potenti, la sensazione di poter fare, con dei baffi finti e un nome falso in tasca, ci che pi piaceva. Esorcizzando la parola mollare avevamo bruciato altre navi alle nostre spalle, con maggior violenza e determinazione 135 . Morucci si sofferma con sarcasmo sugli aspetti pi bigotti della concezione della militanza propria della mentalit brigatista. Letica del sacrificio,
133 Franceschini 1988, p. 14. 134 Moretti 1998, p. 52. 135 Franceschini 1988, p. 68. 214 una morale comunista rifiutata dal movimento che ha avuto il suo culmine nel 77, fa parte di un patrimonio che accomuna Pci e Br: In vacanza ci andavano i borghesi. La Rivoluzione non dormiva mai. Quindi ci si va ma si torna tre giorni prima. Tanto per marcare una risibile differenza. Certo a rivederle dopo, tutte le cose si mettono in fila. Non era proprio la giusta compagnia. Ma ormai era fatta. Unaltra sorpresa fu quando, appena entrati, ci dissero che ogni regolare aveva uno stipendio di centoventimila lire. Equiparato a quello degli operai. Perch quelli erano i soldi del proletariato in loro momentanea gestione a fini rivoluzionari. La cosa si fece pi grottesca quando uno di loro disse che ne riportava indietro almeno un quarto. Non riusciva a spenderli tutti 136 . Appartenenza La militanza nelle Brigate Rosse totalizzante ed basata su un senso di appartenenza fortissimo. La dissociazione e il pentimento sono concepibili solo in unottica di attenuazione di questo senso di appartenenza. Di fatto, molto spesso, difficile distinguere il piano della militanza da quello dellappartenenza, perch la militanza nelle Brigate Rosse non compatibile con nessunaltra appartenenza. Una rottura tragica con la militanza, sia attraverso il pentimento (Peci) che attraverso la dissociazione (Franceschini e Morucci), pu avvenire solo nel momento in cui viene meno il senso di appartenenza. In molti casi, infatti, nonostante i dubbi, molti brigatisti scrivono di non riuscire a chiudere la loro esperienza nelle Br per i legami affettivi che ancora li uniscono allOrganizzazione. Peci decide di pentirsi e fa la sua confessione completa al magistrato Castelli, che per lui un uomo eccezionale. Fa arrestare 70 persone e scoprire molti covi, ma soprattutto d lesempio e dopo di lui seicento brigatisti si pentono. Le parole di Peci mostrano come il suo pentimento sia stato reso possibile da un sentimento di odio verso lOrganizzazione: Io non ho mai avuto di questi dubbi: ho odiato lOrganizzazione quasi subito, e a mano a mano che passava il tempo mi rendevo sempre pi conto della giustezza della mia scelta. cos che nasce la dissociazione, cio la decisione di uscire, di
136 Morucci 2004, pp. 113-114. 215 fatto, dallOrganizzazione. Il pentimento, come viene chiamato, cio la decisione di collaborare per fare arrestare i tuoi compagni, un passaggio successivo e richiede altri tormenti 137 . Peci, pentito e colpito negli affetti dallomicidio del fratello, si sente, in un certo senso, solo: ha perso, infatti, la sua appartenenza alle Brigate Rosse, ma non pu inserirsi in una societ che comunque non lo vede di buon occhio: Io stesso, certo, mostro, rimbalzato da una parte allaltra della barricata. Io, accusato dalla giustizia di responsabilit, diretta o indiretta, in 7 omicidi, 17 ferimenti, decine di reati. Accusato dalle br della morte dei quattro compagni uccisi dai carabinieri in via Fracchia. Io con lincubo della morte di mio fratello Roberto, massacrato da quelle belve al posto mio. Io, che sconto con la scelta di non appartenere pi a quel mondo, n a quello dei compagni di ieri, che mi vogliono morto, n alla societ che volevo distruggere e che ora mi perdona, ufficialmente, legalmente, per i servigi resi nella lotta la terrorismo ma che in parte mi considerer sempre un sanguinario, un pazzo, un alieno se non peggio un opportunista 138 . Gallinari mette in luce come il senso di appartenenza allOrganizzazione non venga meno nemmeno quando essa priva di senso, cio nei primi anni 80. Tutti, nelle loro diverse posizioni, provano infatti a salvare lOrganizzazione, anche se ormai si palesemente fuori tempo: Ma a tutti chiaro il senso della situazione. Sono cinque anni che, dopo lorribile 82, si prova e riprova a rappezzare le Brigate Rosse. In questo tentativo sono morti compagni e compagne. Sono stati arrestati centinaia di militanti. Si dimostrata disciplina, spirito di sacrificio, amore vero e proprio per una cosa, lorganizzazione, che persino nel panorama sociale e ideologico degli anni Ottanta ha raccolto intorno a s dedizione ed entusiasmo, rappresentando in qualche modo unestrema forma di opposizione allItalia della ristrutturazione industriale, del rampantismo e del pentapartito. Ma corriamo contro il tempo. Giriamo in tondo su noi stessi, come nelle corse fatte ogni giorno nei cortili dellaria, su un cemento che fa male alle ginocchia e non vuole e non pu darsi pena di noi 139 .
137 Peci 1983, p. 195. 138 Ivi, p. 12. 139 Gallinari 2006, p. 329. 216 Tuttavia anche Gallinari e alcuni suoi compagni trovano la forza di mettere definitivamente la parola fine alla loro esperienza, pur senza rinnegarla e senza dissociarsi: Di fronte a questa situazione ci assumiamo, seppur in un numero limitato di compagni, la responsabilit di una affermazione senza ritorno: Partiamo una volta tanto da un dato che ci riguarda. Oggi, ottobre 1988, le Brigate Rosse coincidono di fatto con i prigionieri politici delle Brigate Rosse 140 . Un fortissimo senso di appartenenza si rintraccia in quasi tutte le parole di Franceschini che, non a caso, usa spesso la parola amore per descrivere i sentimenti che prova verso i compagni, anche quelli che non conosce: si tratta, quindi, pi di un amore verso lorganizzazione che di un amore per i singoli compagni. In questo senso, lamore provato da Franceschini esattamente speculare allodio che Peci scrive di provare verso lOrganizzazione. Il senso di appartenenza di Franceschini gi vivo nel 73, quando il Pci chiede ufficiosamente ai suoi ex-membri di finirla con la lotta armata e di costituirsi. In questa vicenda entra in gioco anche il senso di appartenenza che, fino a qualche anno prima, Franceschini provava nei confronti del Partito: Poi cera anche il richiamo del grande padre, della mia prima famiglia, il Partito che a tutto provvede, disposto ancora una volta a perdonare e accoglierti nelle sue grandi braccia. Ma accettare sarebbe stato ammettere di aver sbagliato, di essere stati sconfitti dalla realt, dare atto al Partito di aver visto giusto sin da quando cercava di calmare i pi estremisti di noi. N potevo abbandonare Mara, Renato, i compagni: mi sarei sentito un traditore. Dovevo, al contrario, dimostrare che avevamo ragione noi 141 . Con il sequestro Moro, secondo Franceschini, diventa pi forte il sentimento di appartenenza, che si era affievolito perch sembrava che i compagni in libert si fossero dimenticati dei detenuti: Temiamo per loro, sentiamo di amarli questi compagni che, dallisolamento dellAsinara, abbiamo duramente criticato, e nei nostri discorsi continuamente sfottuto e ingiuriato. Li amiamo perch hanno avuto il coraggio di osare, di lanciare la sfida sempre pi in alto, come allinizio, quando bruciavamo le
140 Ivi, p. 339 141 Franceschini 1988, p. 84. 217 macchine e pensavamo gi al passo successivo, al primo sequestro. Il gusto della sfida, il vero legame che ci unisce. Non possiamo chiamarci fuori, fare i semplici spettatori. Dobbiamo partecipare a questo viaggio, comunque si concluda. Ma in che modo dare il nostro contributo? 142 . Dopo la tragica conclusione del sequestro Moro, per, ricominciano i dissidi: Curcio e Franceschini dal carcere elaborano il Documentone, in cui criticano la linea portata avanti dai compagni fuori: Passai giorni a pensare cosa fosse meglio fare. Avrei voluto rispondere no, le vostre tesi sono sbagliate, mi separo da voi. Ma non ce la facevo a lasciare le Br: erano il mio mondo, tutto ci che avevo. Mi sarei sentito solo senza lorganizzazione e forse fu per questo, solo per questo, che alla fine accettai di sottomettermi alla maggioranza. Ma ormai le Br non erano pi la mia grande famiglia, qualcosa stava cambiando, i rapporti tra noi erano tutti politici, freddi come la lama di un coltello 143 . Il sentimento di appartenenza torna a rafforzarsi in Franceschini dopo il sequestro DUrso (magistrato della Direzione degli istituti di prevenzione e pena) e lomicidio di Enrico Galvaligi (responsabile della sorveglianza delle carceri speciali), alla fine del 1980: lOrganizzazione sembra aver cominciato ad ascoltare le indicazioni dei militanti detenuti. La rivolta nel carcere di Nuoro e i vari sequestri di guardie alla fine dell80 costituiscono la risposta attiva dei brigatisti detenuti alle azioni dei compagni allesterno: Fu con queste azioni che ci sembr di essere riusciti a ricostruire, tra noi e i compagni, o almeno una parte di essi, un rapporto di amore, di complicit strettissimo. Ce ne accorgevamo dai segnali che ai nostri occhi acquistavano significati importanti: la costituzione del fronte carceri, cio la decisione di assegnare alcuni compagni al lavoro a tempo pieno sulle carceri; la risposta puntuale, contrariamente a quanto avveniva prima, ai documenti di analisi e proposta che gli facevamo pervenire. Era per una complicit diversa da quella dei primi anni, quando progettavamo levasione mia e di Renato appena arrestati e ci conoscevamo tutti. Adesso si era creato un rapporto tra uomini che non avevano
142 Ivi, p. 151. 143 Ivi, p. 174 218 avuto un rapporto personale e quindi astratto, idealizzato. Lo sentivo perci debole, come viziato da una patologia alla quale nessuno poteva sfuggire 144 . Quando comincia il percorso di allontanamento dalle Br per Franceschini inizia anche la presa di distanza emotiva dallorganizzazione: Il mio equilibrio psicologico, di cui ero andato sempre fiero e che mi aveva fatto superare gli anni del carcere duro, se ne stava andando. Vivevo momenti in cui immaginavo, perch la nostra lotta si potesse continuare, stragi di poliziotti, giudici, guardie carcerarie. Ero spinto, in realt, da un profondo desiderio di vendetta. La dimensione politica in cui ero vissuto per anni si andava disgregando per lasciar posto ad una contorta rabbia. Chiedevo a me stesso che senso avesse lavorare ancora per la violenza visto che non cera pi nessuna ragione politica a motivarla. Dubbi, riflessioni e desideri che si alternavano senza che io potessi controllare i miei pensieri. Ore di profondo sconforto, in cui rivedevo la mia vita individuando errori e dogmatismi, che si chiudevano con una sensazione amara, quella di aver seguito per pi di dieci anni una rotta sbagliata che mi aveva portato in mezzo agli iceberg, nel mare gelato. Parlai a Renato dei miei dubbi. Era il compagni di cui pi mi fidavo e con lui potevo cominciare ad aprirmi. [] Cos con Renato, partivo dai presupposti teorici dei nostri discorsi di sempre per portarli alle estreme conseguenze, per demolirli. Lui rispondeva usando il brigatese, quel linguaggio criptico che eravamo andati coniando anno dopo anno, unaltra prigione in cui avevamo rinserrato i nostri cervelli. Vidi in Renato un velo di tristezza negli occhi 145 . Il distacco di Franceschini diviene definitivo dopo un episodio che avr grande importanza anche nel distacco di molti suoi compagni: luccisione di due guardie giurate da parte del Partito Guerriglia per denunciare Natalia Ligas. Si dissocia ufficialmente nel 1987. [] che la nostra esperienza era esaurita perch la societ italiana stava cambiando in un modo che non avevamo previsto. [] Io, da quel momento, considerai sciolto ogni mio vincolo con qualunque organizzazione di lotta armata: non ci sarebbero stati pi partiti nella mia vita e mi sentii libero, soprattutto perch avevo trovato la forza e il coraggio di esserlo. In fondo al mio
144 Ivi, pp. 182-183. 145 Ivi, p. 202 219 documento, quelle poche paginette, scrissi in stampatello, come facevamo normalmente nei comunicati, VIA, VIA DA QUESTE SPONDEEE. Non era presa dai nostri testi sacri, ma da una canzone di Battiato 146 . Moretti dice che al momento del suo arresto non ha tirato nessun sospiro di sollievo: Quella era la mia vita. Per quanto dura non era da disperati. Era stata anche ricca 147 . Moretti molto critico rispetto alla scelta della dissociazione (soprattutto verso la scelta di Franceschini), che considera una negazione della propria identit. Anche al momento delle divisioni delle Brigate Rosse, Moretti non si schiera. Lidentit e il senso di appartenenza a quellesperienza di Moretti, quindi, non sono venuti meno: Sono molto pi severo con la dissociazione perch rinnega una storia, distrugge unidentit collettiva, fugge dalle responsabilit politiche per racimolare benefici giudiziari individuali. [] I dissociati scelgono di collocare la nostra storia fuori dalla storia. Impediscono che venga superata davvero 148 . Anche nelle parole di Curcio visibile la difficolt a staccarsi da unesperienza che aveva contribuito in modo determinante a creare. Ad esempio, dopo il sequestro Moro, si trova daccordo con alcune tesi di Morucci e Faranda, ma decide di non esporsi per non arrivare alla rottura. In questo caso il senso di appartenenza alle Br prevale anche sulle proprie convinzioni personali: In quel periodo di scontro duro con le Br esternaci trovavamo in una situazione di preoccupante isolamento e non volevamo aggravare le cose prestando il fianco allaccusa di tramare con dei dissidenti per rimescolare le carte. [] Ci consultammo e un po di malavoglia, almeno da parte mia, decidemmo di scrivere un documento, intitolato Lestate tempo di zanzare, in cui denunciavamo Faranda e Morucci come sgretolatori della nostra organizzazione 149 .
146 Ivi, p. 205 147 Moretti 1998, p. 226. 148 Ivi, p. 250. 149 Curcio 1993, p. 168-169. 220 Anche per Curcio il momento della rottura, che per non mai dissociazione n presa di distanze dalla storia delle Brigate Rosse, avviene dopo luccisione delle due guardie giurate per denunciare Natalia Ligas: Dissi a tutti che per me quello era un prezzo inaccettabile e non ero pi disposto ad avallare azioni del genere. [] Non mi considero fuori dalla storia delle Brigate Rosse. Mi considero uscito da quei raggruppamenti in cui lorganizzazione si era frantumata. [] Il mio convincimento maturato in quei giorni era questo: ho una responsabilit diretta nellaver promosso e messo in piedi lorganizzazione delle Brigate Rosse; non me ne posso allontanare senza aver prima ben chiarito il mio punto di vista e senza aver fatto tutto il possibile perch questa organizzazione, che non ha pi nessuna ragione valida per continuare ad esistere, si chiuda ordinatamente. [] Io a quel punto ero solo un prigioniero, militante delle ex Brigate Rosse, che non apparteneva pi a nessun raggruppamento esistente. Avevo chiuso con ogni militanza organizzata e mi trovavo del tutto isolato. Era la fine del 1982 150 . Allora decisi di ascoltare esclusivamente la mia voce interiore. Perch mai avrei dovuto dissociarmi da quelli che erano stati giorni certamente tragici e spietati, ma anche autentici in ogni loro respiro? Perch avrei dovuto abiurare un passato che avevo vissuto con tutto me stesso? 151 . Vorrei per che sia ben chiara una cosa. Io avevo avuto grandi responsabilit nella creazione del fenomeno armato e facevo parte di unorganizzazione che non era una squadra di bocce, dalla quale tirarsi fuori come se niente fosse. [] Non solo non ho voluto rinnegare il passato, ma neanche evadere dalle mie responsabilit sgusciando fuori da una vicenda che non pu essere minimizzata. [] Non si poteva non si possono mollare le persone che in questa storia sono state implicate e che sono andate a finire in galera. Io considerer chiuso il mio conto con le Brigate rosse nel momento in cui avr la gioia di vedere fuori dal carcere e rientrati dallesilio tutti i compagni coinvolti nellavventura degli anni 70. 152
150 Ivi, pp. 195-196. 151 Ivi, p. 206. 152 Ivi, pp. 210-211. 221 Morucci marca in modo molto netto e per tutto il corso del libro le distanze tra s e le Br. Stalinisti (mentre Morucci si definisce leninista), bacchettoni, boriosi, di strette vedute anche se puri, rappresentanti di un antistato uguale e contrario a quello che combattono, i brigatisti sono per Morucci altri da s, lontani psicologicamente e politicamente. Alle Brigate Rosse questi si riferisce sempre con un loro che necessita, ad un certo punto, di una precisazione Dico loro ma in questo conto ci sono anchio. Anche se, leninista come mi ritenevo, credevo che non tutto fosse rigido e lineare 153 . Ti pare che ogni tanto ci sia un po di confusione? A volte dico noi e a volte le BR. probabilmente cos. Non facile districarsi nei fatti e nelle emozioni. Perch nelle BR ci sono stato ma me ne sono andato. E perch, anche standoci, da un certo punto sono stato contro. Forse, a volte, sto eccedendo nel non voler usare il noi. Forse, a volte, pu prevalere limpulso a volermi allontanare dalla complicit 154 . Anche Morucci, per, percepisce la difficolt a scindere le ragioni della militanza dallappartenenza allorganizzazione. Forse non potevo ancora lasciare le Br senza lasciare con esse anche la mia fede rivoluzionaria. Perch la separazione tra le due non era ancora del tutto maturata. E questo per un comunista non un passaggio facile. Proprio perch travalicando lideologia stata una fede 155 .
Aspettative In generale, le aspettative rispetto ad uneventuale vittoria della strategia della lotta armata sono sempre vaghe, non c niente di definito. Non si pensa a cosa fare dopo, ci si muove nel qui ed ora. Ma esiste la certezza che, in un futuro e in termini indefiniti, una vittoria sia possibile: Ovvio che uno non fa una scelta simile se non crede fino in fondo nel comunismo, se non crede che la lotta armata sia lunico sistema per instaurarlo e se non ha speranza di vittoria 156 .
153 Morucci 2004, p. 151. 154 Ivi, p. 301. 155 Ivi, p. 193. 156 Peci 1983, p. 41. 222 Ci sarebbe stata una rivoluzione, lavremmo vinta e dopo tanti rischi e tanta fatica ci saremmo appartati, tranquilli. Io non ho mai sperato molto di pi della vittoria, e devo dire che non ho mai sentito dire da nessuno dei compagni: Io far il ministro dellInterno, Io far il governatore della banca dItalia. [] Vedevamo tutto in termini di tranquillit, quello era il nostro obiettivo, e anche il discorso della casa in campagna rivelava questo desiderio 157 . Ci muovevamo in uno scenario parziale, radicale e parziale. Non ci interessava fare grandi previsioni, ma esserci, dare una risposta allimmediatezza delle domande. Ci fu sempre un senso di urgenza in quello che facevamo. E questo, paradossalmente, nella convinzione che la partita si sarebbe giocata nel lungo periodo, che non stavamo facendo altro che mettere qualche seme, gettare qualche base per la nostra rivoluzione 158 . Voglio essere molto franco: non ho mai pensato che lo sbocco vittorioso della lotta armata dovesse significare la conquista materiale del potere. Questa prospettiva non apparteneva al mio scenario mentale e alle mie convinzioni. Daltro canto non ci si batte, come noi abbiamo fatto, pensando di essere per forza sconfitti. Oggi direi che esisteva per me una via di mezzo. Sintetizzando le cose in una formula elementare, posso dire che quella societ in cui vivevamo non mi andava assolutamente bene, non volevo a nessun costo accettarla, lottavo per cambiarla. E la parola vittoria significava la speranza di riuscire a modificare, almeno in parte, lo stato delle cose. [] Ritenevo che il nostro paese non godesse di una piena democrazia e che far saltare le alleanze di potere che lo tenevano bloccato, in qualsiasi modo ci avvenisse, sarebbe stato un buon risultato 159 . Le tensioni sociali vissute e la forza espressa dai movimenti, il quadro internazionale dello scontro in atto, la crisi globale che il capitalismo sta vivendo, ci dicono a chiare lettere che le condizioni di una prospettiva rivoluzionaria e comunista sono possibili. Si tratta di dotarci della forma organizzativa adatta a percorrerla. In questo contesto, [], lassunzione e la gestione della violenza rivoluzionaria risultano essere passaggi ineludibili e cruciali a cui, in fondo, ci
157 Ivi, p. 102. 158 Moretti 1998, p. 257. 159 Curcio 1993, pp. 125-126. 223 stiamo preparando dagli anni della nostra Reggio dei ricordi e delle speranze deluse 160 . Franceschini non parla esplicitamente del momento della vittoria, o del mondo che uscir dalla Rivoluzione. Neppure Morucci affronta esplicitamente il tema delle proprie aspettative. Nel capitolo Vita da Brigatista, per, racconta un episodio che, sottolineando la differenza tra le se aspettative sul futuro rivoluzionario e quelle di Moretti, traccia ancora una volta una distanza antropologica e politica tra s e le Br. Moretti ritiene che il comunismo era anche togliere le barche ai borghesi. Toglierle nel senso di dargli fuoco 161 , Morucci invece scrive: Per me il comunismo era anche che gli operai potessero avere la loro barchetta s cui portare al mare moglie e marmocchi. Se no che cavolo stavamo l a faticare a rischiare la pelle? Oltre che toglierla a qualcun altro. Per lasciare gli operai a marcire nelle fabbriche in cui gi stavano? Una balera il sabato, un cinemino e un gelatino la domenica e poi di nuovo in fabbrica a produrre per il socialismo? Senza buttare via i soldi come i borghesi perch cera anche da rinnovare la tessera del Partito? Non ridere. Non c molto da ridere. un dramma storico. Non a caso DAlema, che la barca ce lha, e molto pi grande di quelle di ci parlavamo noi, ha dovuto smettere di essere comunista. E, ancora una volta, non avendo ben capito da che parte tirava quel vento non feci fagotto. Pensando Poi si vedr. Intanto arriviamoci alla rivoluzione. Vuol dire che dopo faremo la guerra delle barche 162 .
Sacrificio della vita La scelta della lotta armata implica mettere in conto la possibilit di morti nel campo avverso e nel proprio, mettere a rischio la propria stessa vita, o la propria libert. Ciascun brigatista costretto a fare i conti con tale eventualit, in modo anche drammatico, ed accettarla come necessit politica. Ciascuno di loro parla di ci nella sua autobiografia, mettendo in luce come la dimensione della
160 Gallinari 2006, p. 71. 161 Morucci 2004, p. 115. 162 Ibidem. 224 morte tocchi molto da vicino la vita di un brigatista e come il pensiero di essa non abbandoni mai la sua militanza. stata una guerra. Se fosse stato possibile, se ci fosse stato aperto uno spiraglio, avremmo risparmiato Moro. Io sono in pace con quelluomo. [] Non ho ripianti, non dimentico. Non dimentico che sono morti anche tanti compagni. Che io ne sia uscito vivo un caso, avevo messo la mia morte nel conto come quella che noi davamo agli altri. Non ho mai lasciato su nessuno nessuna responsabilit che non avessi preso per me. Potr sembrare poco, ma aiuta in una storia in cui i conti sono in rosso per tutti 163 . A quellepoca non cerano ancora stati dei morti: erano stati ammazzati due missini, a Padova, pi per sbaglio che altro, ma per il resto le br avevano fatto solo ferimenti e rapimenti, come quello di Sossi; fu enorme lemozione che mi dette quellimpresa: lo stato in scacco per 35 giorni. Non immaginavo che lOrganizzazione avrebbe preso la piega assassina, ma io ero pronto anche a quello: Qualsiasi cosa facciano, mi sono detto qualsiasi cosa mi propongano, io ci riuscir. Spirito di avventura o no, per capire bene il processo per cui uno o almeno io entrava nelle brigate rosse bisogna anche dire che non era una via senza ritorno o un rischio enorme, come oggi. [] Non era un cos gran salto nel vuoto: rischi di vita non ce ne erano, perch ancora non era morto nessuno. Quanto alla possibilit di finire in galera, anche quella era molto vaga e non preoccupante: a quel tempo non cerano ancora le leggi speciali, le leggi sulle armi, le aggravanti per banda armata e per terrorismo; lo stato non si era ancora organizzato 164 . Cerano anche i momenti cupi, sempre pi frequenti negli ultimi tempi. Pensieri di morte. Lidea che dovesse andare male era sempre collegata a quella della morte. Ma la si scacciava come una zanzara 165 . Un commando dellorganizzazione colp lui e la sua scorta tre giorni dopo: era il primo omicidio programmato delle Brigate Rosse, ma non mi sentii assassino. Non perch non avessi sparato, ma perch ormai, come dicevamo, si era alzato il
163 Moretti 1998, p. 168. 164 Peci 1983, p. 43. 165 Ivi, p. 102. 225 livello dello scontro e i morti erano prevedibili, da tutte e due le parti 166 , sullomicidio di Coco Tutti si interrogano sul valore della decisione di uccidere un uomo, per quanto sia considerato un nemico di classe, e sulla colpa, morale e politica, che deriva da questa decisione: Quando si parla della morte entrano in discussione valori e principi che ci investono, non ammettono diminuzioni, ogni riduzione un insulto a qualcosa di noi che inviolabile. E credo che una politica che se lo scordi sia poca cosa. Ma non possiamo assumere questi valori come criterio di valutazione storica. Quando scegliemmo la lotta armata era perch ogni altra strada ci era preclusa, ce ne sentimmo costretti. Costretti a cose tremende. Sapevamo cosa voleva dire uccidere, e anche restare uccisi, il primo colpo lavevano sparato addosso a noi. Impattiamo sulla morte e la lacerazione fortissima. Chi ci passato stato obbligato a guardare dritto nei significati ultimi da dare allesistenza sua propria e altrui. E ne doveva aver fatto i conti in partenza. Come in una guerra, dove si fanno cose terribili perch si ritengono terribili e necessarie 167 . Ho avuto la grandissima fortuna di non ammazzare mai nessuno personalmente. Ma quando partecipi ad un omicidio ti senti come se lavessi fatto tu. Dopo un omicidio ero teso per parecchi giorni, come per una scontentezza interna, una tristezza di fondo che era difficile vincere. Non me ne rendevo neanche ben conto, lo attribuivo allo stress, ma era dolore per quella vita finita, per quello che avevi fatto a famiglie innocenti. Lho capito solo dopo 168 . E la prima volta che mi trovo davanti alla decisione di dare la morte, la morte a priori, a un uomo che considero un nemico della classe a cui appartengo. Sul piano etico e politico il nodo lho sciolto nel momento stesso che ho scelto di lottare anche con le armi per la causa in cui credo. Sul piano storico, il problema lho collocato ben presto nel percorso secolare dellumanit e delle feroci e ineludibili contraddizioni che ne hanno scandito lo sviluppo. Ma tutto questo non rende meno pesante il fatto umano, il fatto individuale, di decretare in modo irreversibile il destino di un proprio simile. Un macigno che solo la convinzione
166 Franceschini 1988, p. 138. 167 Moretti 1998, p. 47. 168 Peci 1983, p. 135. 226 politica dei propri atti pu sorreggere. [] Anche questa volta non la professionalit, ma la concentrazione sociale in cui sono immerso a darmi la freddezza e la determinazione di reagire allimprevisto. La paura, i conti con se stessi di fronte a certe scelte e decisioni, sono tutte cose che, in questi momenti, schiacci nel profondo dello stomaco per andare oltre 169 . Si tratta di uccidere una persona che abbiamo, inerme, nelle nostre mani. Se possibile, questo rende il tutto ancora pi drammatico. Ma il compito che ci siamo assunti e dobbiamo portarlo a termine 170 sulluccisione di Moro Devo per ammettere in tutta sincerit che nellottica dello sviluppo della lotta armata il fatto che vi potessero essere dei morti, sia fatti da noi che fatti a noi, era uneventualit che avevo senzaltro accettata. In piena coerenza con il pensiero e lesperienza del marxismo rivoluzionario, anche io ero convinto che il prezzo della morte, per quanto tragico fosse una necessit nel passaggio ad una societ senza oppressione. [] Sarebbe disonesto da parte mia dire: io non volevo fare morti. La morte non rientrava negli obiettivi politici di allora, ma non escludevo che le nostre azioni o eventuali conflitti a fuoco avrebbero potuto farcela incontrare 171 . Con Sossi entr nelle Brigate Rosse la pianificazione della morte: il sequestro del magistrato genovese fu la prima azione in cui avevamo previsto la possibilit di uccidere un ostaggio. E avevo deciso, come responsabile militare di quel rapimento, che se fosse stato necessario sarei stato io sparargli. [] Avevamo parlato tra noi della sua eventuale morte, ma senza mai fare un piano preciso, decidere chi e come doveva farlo. La decisione che sarei stato io a sparargli addosso era stata soltanto mia e quando lavevo comunicato al prigioniero forse lavevo fatto pi per darmi forza che altro. Anche se portavamo sempre la pistola in tasca e avevamo gi fatto molte azioni armate non avevamo mai discusso di unuccisione a freddo, dellassassinio di un ostaggio. [] Leventualit era tutta politica e la si analizzava solo sotto questo profilo, come se poi non sarebbe arrivato il momento in cui qualcuno di noi avrebbe dovuto
169 Gallinari 2006, pp. 176-177. 170 Ivi, p. 192. 171 Curcio 1993, p. 96. 227 premere il grilletto. Non so quindi se lo liberammo solo per motivi politici [] o perch, senza confessarcelo, nessuno se la sentiva realmente di dargli la morte 172 . Morucci, allinizio della propria autobiografia, si definisce assassino e reprobo, termine che nessuno degli altri brigatisti riferisce a se stesso. Lex- brigatista, che si opposto alluccisione di Moro, traccia una distinzione tra un passato nel quale accettava la liceit dellomicidio politico, distinguendo le ragioni della politica da quelle della morale, ed il presente: Posso dirti che, pur non giustificando quello di un prigioniero politico, giustificavo ancora lomicidio politico. Era una lampante contraddizione non ancora giunta al punto di collasso. Forse perch, anche senza le BR, non che il nostro fosse un Paese che aveva vissuto in pace e concordia. La violenza e la morte erano state a lungo allordine del giorno. O forse perch il discrimine non era ancora politico ma solo morale. E quella politica considerava morale lomicidio politico. Un passaggio necessario. Una politica votata al sacrificio. Il nostro nel poter morire, e anche nel morire, e quindi quello di chiunque altro. Quello era il punto da superare. Pi elaborato, pi razionale che non lo sconcerto di fronte allomicidio di un prigioniero. Questo poteva superare la politica senza ancora necessariamente metterla in discussione. Arrivava dritto a un tab. Un argine morale precedente alla sovrapposizione della politica. La politica, tutta la politica della superiorit dei fini rispetto ai mezzi, sempre giustifica lomicidio. Quella che privilegia non la vita dei singoli ma modelli di quella coercitivi per il raggiungimento di uno scopo. Che pu anche essere salvare la Vita, il suo concetto astratto, uccidendo i singoli. Noi uccidevamo per imporre un modello futuro di rispetto della vita, lo Stato per salvaguardare il suo modello presente. Uno scontro tra modelli entrambi superati che aveva di mezzo la vita della gente. Le BR, non rinunciando al proprio modello, continuarono a uccidere dopo Moro. Lo Stato, giocando di anticipo sugli eventi, aveva gi varato nel 1975 una legge antiterrorismo, la legge Reale, che prevedeva la pena di morte senza processo. La legittimit delluso della armi da parte delle forze dellordine in strada. Contro qualsiasi sospetto che sfuggisse allarresto o non si fermasse a un posto di blocco. [] La politica sempre giustifica lomicidio. Con una scusa o con laltra.
172 Franceschini 1988, pp. 85, 101. 228 Ma quale politica? La mia non doveva farlo. Ci misi un po ma poi arriv il disgusto. Con colpevole ritardo la fede si separ dallorganizzazione che cos male la rappresentava 173 . Alla morte dei compagni Morucci dedica le sezioni narrative della sua autobiografia. In particolare il racconto intitolato Marco e quello intitolato Cenere . A Osvaldo , nome di battaglia di Giangiacomo Feltrinelli, fondatore dei Gap morto su un traliccio dellalta tensione mentre cercava di istallarvi dellesplosivo, dedicato il racconto Esqimosa. Tutti quelli che lhanno conosciuta (Curcio, Franceschini, Moretti e Gallinari) parlano della morte di Margherita Cagol, Mara, uccisa durante un conflitto a fuoco, come di un evento che li tocca molto profondamente: La morte di Margherita, mia moglie, una nostra compagna, un capo colonna, e anche la morte di un carabiniere padre di famiglia: questo lepilogo drammatico di unoperazione che avevamo studiato in modo da evitare lo scontro a fuoco. Il grave fallimento ci port ad una durissima autocritica, ma anche alla presa di coscienza che continuare per la nostra strada significava accettare in concreto e non solo come ipotesi astratta il peso della morte, sia nel nostro campo che in quello avversario 174 . Quelle parole mi tornarono addosso come un colpo di fucile. Avrei preferito essere io al suo posto, cadere per lasciarle la vita, cancellare su me stesso quella inutile profezia. Mi addormentai dopo ore, creandomi a poco a poco unimmagine: morta col sole, sorridendo, senza soffrire, nel campo vicino al suo boschetto di nocciole 175 , sulla morte di Mara Margherita diventata un simbolo. C per uno spazio, intimo ed inviolabile, in cui si va a collocare la morte di una persona che hai conosciuto, dove essa solamente la persona che hai conosciuto. Niente pu far crescere o sminuire il suo ricordo, il dolore per la sua scomparsa non si sana, le parole sono intrusioni, solo il silenzio allaltezza della perdita subita. E questo vale, credo,
173 Morucci 2004, pp. 196-198. 174 Curcio 1993, p. 123. 175 Franceschini 1988, p. 137. 229 per tutti, da qualunque parte abbiano combattuto o da qualunque argine osservino la scena 176 . Piango in silenzio mordendomi le labbra, vorrei spaccare la cella, distruggere ogni cosa, ma ci significherebbe mostrare alle guardie che si accusato il colpo, che il potere ha colto nel segno, e questo non vai mai fatto 177 , sulla morte di Mara.
Il carcere Leventualit di essere arrestati una costante della vita dei brigatisti, tanto quanto la possibilit di essere uccisi. Scrive Franceschini, arrestato a Pinerolo l8 settembre del 74 (nellautobiografia adombra il sospetto che Moretti non sia esente da responsabilit per il suo arresto): La galera avevo cercato di immaginarmela tante volte perch era lentamente diventata un mio futuro possibile, uneventualit che, soprattutto durante il sequestro Sossi, non consideravo tanto remota. [] Pensavo di essere pronto, di aver appreso tutti i trucchi necessari per sopravvivere in una cella e anche fuggirne. Quando mi fecero passare per il piccolo portone del carcere di Verbania pensai subito che non sarebbe stato difficile uscire da l 178 . La determinazione ad evadere per altrettanto costante (Morucci, non avendo pi alle spalle lorganizzazione, dalla quale uscito, non vi fa per cenno, mentre Peci si pente dopo due settimane). Curcio, che viene arrestato insieme a Franceschini a Pinerolo, tenta la fuga ancora prima di essere tradotto in carcere. Fin da subito il pensiero fisso quello della fuga: Ma subito mi entr in testa un chiodo fisso: tentare in qualsiasi modo di tagliare la corda 179 . Curcio viene infatti liberato da un commando di brigatisti capeggiati da Mara che irrompono nel carcere di Casal Monferrato allinizio del 75. La sua latitanza dura
176 Moretti 1998, p. 94. 177 Gallinari, 2006, p. 125. 178 Franceschini 1988, p. 122. 179 Curcio 1993, p. 102. 230 solamente fino al 76. Il progetto di evadere rimane per una costante anche dopo il secondo arresto: i ripeteva (Cardullo,direttore del carcere dellAsinara, n.d.r.) sempre un discorso che suonava pi o meno cos: Va bene, io so di essere ormai impotente a controllare quello che fate allinterno dei muri di Fornelli; probabilmente l avete anche dellesplosivo e delle armi; cucinatevi quello che volete; discutete; tramate pure; so che il vostro obiettivo non quello di conquistarvi unora daria in pi o litigare con le guardie; il vostro obiettivo di evadere; ma io vi aspetter fuori dal muro e vi giuro che al di l di quel muro non riuscirete a mettere il naso; voi da questisola non evaderete mai 180 . Gallinari viene arrestato per la prima volta il 5 novembre 1974. Evade nel 77, ma viene nuovamente arrestato (dopo essere stato gravemente ferito alla testa) nel 79. Anche per lui i tentativi di evasione sono una costante: In quelle condizioni la galera diventa un luogo frenetico nel quale il tempo vola via come un tapis roulant. Passano i mesi, gli anni e tu sei sempre di corsa per scappare ovviamente e poi ti trovi sempre l. In un altro carcere, situato in unaltra citt, ma questo, alla fine, non fa molta differenza 181 . Franceschini progetta fughe di massa: Tutto sembrava pronto per il grande sogno, la fuga di massa. Un sogno che facevo da tempo. I miei progetti di evasione, ne studiavo uno a settimana, in continuazione, forse con la stessa pignoleria con cui un impiegato milanese programma le proprie ferie per sfruttare al massimo il calendario, non avevo mai previsto, se non allinizio, la fuga solitaria. Forse perch mi sentivo insicuro e cercavo nella complicit la forza necessaria per tentare di superare le mura del carcere 182 . Lidentit di prigioniero politico molto importante per i brigatisti catturati. Scrive Gallinari: Non sono un disperso. E non sono un disperso perch la nostra storia fuori dal carcere, ma ancor pi il comportamento dei compagni che mi hanno preceduto in galera, assegnano nei fatti unidentit forte ad ogni prigionieri delle Brigate
180 Ivi, p. 176 181 Gallinari 2006, p. 126. 182 Franceschini 1988, p. 184. 231 Rosse. Una identit che non necessariamente da condividere, ma sicuramente da rispettare 183 . Gli anni 70 sono daltra parte un periodo nel quale le lotte allinterno delle carceri e contro il carcere assumono una grandissima rilevanza (basti pensare alla vicenda dei Nap). Soprattutto per i brigatisti che passano in prigione buona parte del periodo che nel quale si esplica la vicenda delle Brigate Rosse (soprattutto Curcio e Franceschini), queste lotte, intese come prosecuzione della propria militanza allesterno, sono molto importanti. Il carcere listituzione che rappresenta lo Stato. Questa lotta tanto pi importante dal momento che i brigatisti vengono sottoposti allart. 90 e trasferiti nelle neonate carceri speciali. Scrive Franceschini: [] ho sempre concepito la lotta contro il carcere come una sfida allo Stato, la continuazione di quello che avevo fatto fuori, quando bruciavo le auto o facevo recapitare il volantino che imponeva le condizioni per la liberazione di Sossi. Anche in carcere volevo ripetere le esperienze di allora. Ero tra i nemici dichiarati dello Stato e dovevo riuscire, costasse quel che costasse, a metterlo in ginocchio: levasione di massa rispondeva perfettamente allo scopo 184 . In questottica si collocano le rivolte carcerarie guidate dai brigatisti e detenuti politici (o politicizzati in carcere), come quella dell80 nel carcere dellAsinara, capeggiata da Franceschini e Morucci. In questo contesto il rapporto con listituzione carceraria, necessario per ottenere miglioramenti della vita dei detenuti, sono difficili e conflittuali. Trattare con un potere che non si riconosce considerato un problema. Scrive Franceschini, parlando del suo rapporto con i detenuti appartenenti alla malavita organizzata: Un equilibrio lo avevamo gi trovato: noi organizzavamo e guidavamo le lotte e loro svolgevano la funzione di sindacalisti, di mediatori; [] una situazione che andava bene a tutti. A noi che preferivamo non presentarci come controparte che mediava (eravamo per la distruzione dello Stato e quindi non potevamo scendere a patti); e a loro che riacquistavano un ruolo di gestione e pacificazione 185 .
183 Gallinari 2006, p. 122. 184 Franceschini 1988, p. 184. 185 Ivi, p. 188. 232 Da qui nascono i problemi ed i dubbi che Franceschini incontra nel suo percorso di costruzione di un dialogo con le autorit carcerarie (che solo nell87 lo porter alla dissociazione). Riferendosi al cappellano ed il direttore del carcere di Palmi. Stavamo diventando quasi amici, lentamente imparavo a vedere direttore e cappellano non pi come parte delle istituzioni ma come persone, persone come tante, non simboli 186 . Ma il carcere, soprattutto il carcere speciale, una realt dura e spesso alienante: la galera che insegna a scindersi in due per sopravvivere. Lo avevo imparato alle docce, dopo tre o quattro anni, quando sei nudo di fronte agli agenti 187 . Anche Moretti, arrestato nell81 descrive la condizione di isolamento del carcere: [rispondendo alla domanda In carcere sei un po solo?] Pi che solo in isolamento: tra la caserma della polizia a Milano e le celle di isolamento a Cuneo mi sono fatto tre mesi senza vedere nessuno che non fossero le guardie. Ma era linizio e dopo dieci anni di clandestinit potevo persino prenderlo come una tregua; mi sono letto due volte di fila Guerra e Pace. Mille e settecento pagine di Tolstoj riempiono di gente una cella di isolamento per ben pi di tre mesi 188 . Il carcere il carcere. Sei tagliato fuori. Per il mondo continua a girare anche senza di te. Se hai la modestia di accettare questo pensiero atroce per lamor proprio, impari a difendertene con efficacia. Devi solo tenere botta e cercare di ragionare 189 . Anche Curcio scrive: [] In quel momento cercavo di sopravvivere nellisolamento totale e feroce in cui mi trovavo. La mia realt apparteneva a un altro pianeta, il pianeta carcere 190 . Dallautobiografia di Gallinari emerge la constatazione della difficolt, per chi si trova in prigione, di comprendere quello che succede allesterno. Lui stesso rimane vittima di questa difficolt:
186 Ivi, p. 207. 187 Ivi, p. 197 188 Moretti 1998, p. 229. 189 Ivi, p. 232. 190 Curcio 1993, p. 97. 233 Ma mi rendo conto velocemente che non facile spiegarsi, e non solo per la mia testa squassata, ma per un equivoco di fondo. Negli ultimi tre anni i compagni hanno assistito, dal chiuso delle carceri speciali, alla crescita esponenziale della lotta armata nel paese. Ci li ha in qualche modo tratti in inganno, spingendoli [] a partorire una teoria difficile da mediare con la pi concreta e complessa dimensione del lavoro quotidiano che lorganizzazione svolge allesterno 191 . Io per esempio e non sono il solo mi trovo a proporre la rappresaglia come risposta immediata a questo stato drammatico di cose. un atteggiamento chiaramente dettato dalla collera e privo di lucidit. Per fortuna, i compagni fuori hanno la lucidit di non seguire quella strada 192 .
Peci viene arrestato il 19 febbraio 1980. In carcere si rende conto che la sua vita sarebbe finita: sarebbe uscito a 57 anni. Dopo due settimane decide di rendersi disponibile a parlare con Dalla Chiesa: Ecco, finalmente mi sono detto: Siamo solo dei rompicoglioni. E non neanche sicuro che a certi partiti li rompiamo tanto, anzi: i partiti che ogni tanto subiscono un buon numero di attentati da parte delle Br non fanno altro che rafforzarsi, grazie a noi. [] Non ci sarebbe stato alcun coinvolgimento di masse, noi saremmo rimasti per sempre gli stessi e quindi, inevitabilmente, saremmo finiti in galera dal primo allultimo aspettando che le masse venissero a liberarci fra le vacanze a Riccione e la settimana bianca, fra la tredicesima e la quattordicesima. Insomma, eravamo sconfitti, militarmente e politicamente 193 . Nellautobiografia di Morucci lesperienza del carcere meno centrale rispetto a quelle degli altri brigatisti. Morucci viene arrestato nel 79 insieme ad Adriana Faranda. Nel 79 conduce insieme a Franceschini la rivolta dellAsinara, in qualche modo cancellando il sospetto di essere un potenziale infame a causa della sua rottura con le Br.
Giudizi storici
191 Gallinari 2006, pp. 227-8. 192 Ivi, p. 236. 193 Peci 1983, p. 194. 234 Lo spazio dedicato ai giudizi storici variabile tra le sei autobiografie, dipende dalla loro natura, dai tempi differenti della stesura e dalle differenti motivazioni che hanno spinto gli autori a dedicarvisi. In molti casi si cerca pi che altro di dare uninterpretazione alla situazione di conflittualit che si era generata nella societ e, in questo modo, di trovare anche una giustificazione per le proprie azioni. Sono sicuro che in parte il problema delle brigate rosse e del terrorismo in generale nasce dalla disoccupazione giovanile. La disoccupazione porta allo scontento, alla protesta, e per tanti che vanno a protestare nel Pci o nel Msi, ce ne qualcuno che fa il rapinatore, il barbone o il terrorista, inevitabile. chiaro che se fossi nato, per esempio, in Australia invece che nelle Marche, non avrei finito per fare il brigatista. Per assurdo si potrebbe dire che se fossi nato el 1903, invece che nel 1953, forse avrei fatto insieme a tantissimi miei compagni il fascista, lo squadrista e poi il partigiano. Ognuno figlio del suo tempo. Secondo me, per quanto possa sembrare assurdo, anche un problema di altruismo e generosit: si tratta di rischiare tutto per una causa che si crede giusta, dimenticando la convenienza personale. Con questo non voglio difendere la scelta della lotta armata, che comunque un errore, adesso lo so. Voglio dire che anche sbagliato andare a cercare per forza problemi psicologici o familiari alla base della scelta brigatista: siccome un brigatista, se aveva un problema giovanile, anche minimo, anche normale, lo si amplifica a dismisura si va a vedere cosa faceva alle elementari. Io so che, a parte casi particolarissimi, tutti i brigatisti avevano una vita normale, erano persone normale sotto tutti i punti di vista: non falliti, non stupidi. Gente con unintelligenza media 194 . Ma il problema riguarda anche tutto il movimento e le varie anime della sinistra antagonista e rivoluzionaria italiana. Le Brigate Rosse, con la scelta messa a fuoco gi prima di Piazza Fontana, hanno affrontato di petto la questione, prendendo atto che lavvicinarsi della classe operaia al potere non pu non provocare una reazione feroce da parte della borghesia, una contraddizione antagonista e senza mediazioni possibili. Ma, per molti dei gruppi politici e delle aree di movimento attive in quegli anni, il problema esplode solo ora. dunque in
194 Ivi, p. 42. 235 questa fine del 73 che iniziano a prodursi ampi processi di rideterminazione di linea e di collocazione politica in tutta la sinistra italiana, vecchia e nuova. Sono aggiustamenti o svolte che caratterizzeranno tutte le scelte poi effettuate negli anni successivi 195 . Nellautobiografia di Moretti, la pi politica delle sei, la pi densa quindi di riflessioni e analisi storico-politiche, tendono ad intrecciarsi dialetticamente le valutazioni di allora e quelle svolte col senno di poi. Franceschini non d, nella propria autobiografia, giudizi storici complessivi sulla propria epoca, n parla esplicitamente della situazione di conflittualit che ha portato alla nascita delle Brigate Rosse. Ad essere raccontata soprattutto la storia dellorganizzazione, che viene collegata, in particolare nei primi capitoli del libro, alla ripresa della lotta rivoluzionaria che i partigiani comunisti erano stati costretti ad abbandonare dal tradimento del Pci. Nel capitolo in cui si parla del convegno di Pecorile (agosto 70), durante il quale si scioglie Sinistra Proletaria e si comincia a parlare esplicitamente di lotta armata, Franceschini sceglie significativamente di affidare alle parole della relazione di Curcio lanalisi della situazione potenzialmente rivoluzionaria nella quale si doveva collocare la nascita delle Br. Parlando del sequestro Amerio, per, lex brigatista delinea una riflessione sul compromesso storico come momento favorevole alle Brigate Rosse nellottica della ricerca dellegemonia allinterno del movimento operaio: Rinascita in quei mesi, pubblicava gli articoli di Enrico Berlinguer e secondo noi laccordo tra comunisti e democristiani che andava delineandosi non avrebbe potuto che provocare una spaccatura nella classe operaia. Era il momento che aspettavamo e di cui dovevamo approfittare per diventare solido punto di riferimento per chi vedeva nel compromesso la definitiva rinuncia alla rivoluzione, alla lotta per la presa del potere 196 . Anche lautobiografia di Morucci ha uno spiccato carattere politico. La ragione che ha dichiaratamente spinto lex-brigatista a scrivere , daltra parte, la volont di ripercorrere gli errori ma anche le aspirazioni di unintera generazione. Lintera
195 Gallinari 2006, p. 89. 196 Franceschini 1988, p. 79. 236 autobiografia quindi, in un certo senso, una riflessione storico-politica sulla propria epoca, una stagione unica, come Morucci stesso la definisce: E stata una stagione unica. E se stiamo qui a scavare e dire le cose come stavano, nessuno di chi lha vissuta, tranne un ipocrita, pu negare di avervi partecipato orgogliosamente. Certo ci sono stati degli errori. E gravi. Ma quand, che di mezzo a uno stravolgimento sociale, non ce ne sono? E tale fu. Basta guardare le decine di milioni, milioni di ore di sciopero, le fabbriche occupate, i blocchi stradali e ferroviari, le gogne ai capetti, i sindacati regolarmente messi in mora dalle assemblee operaie sulle piattaforme di lotta,e tutto il resto che sarebbe troppo lungo elencare. Ci sono stati degli errori. E ne abbiamo assunto le pene, e la pena. Perch comunque non ci si pu individualmente fare scudo di un sommovimento di massa. E perch nelle scelte individuali quello che in gioco, quello che alla fine pesa, il rapporto non con la morale della storia, che ne ha scarsa, ma con la propria. Oggi per, a trentanni da allora, si pu guardare a quella stagione per quello che ha significato, oltre che per quello che stata a causa delle distorsioni dellideologia. Lantagonismo e la rivolta allordine del giorno. La consumazione fino al suo fondo del mito rivoluzionario. La ricerca, entusiasta, disperata e violenta di unalternativa. Di un altro mondo possibile 197 . Tentando di estrapolate alcuni giudizi storici che hanno un ruolo chiave nel ragionamento sotteso al testo, si pu cominciare con la riflessione sul movimento nato nel 68 ed evolutosi negli anni 70. Come si gi detto Morucci ritiene che il movimento del 68 sia nato come un fermento culturale fondamentalmente gioioso e poco conflittuale. A politicizzarlo, inquadrandolo nelle vecchie griglie della lotta di classe e dellideologia la vecchia guardia, composta dai militanti che gi facevano politica allinterno del Pci o da questo erano stati espulsi: Sospinto dalla grande molla dellideologia, quel movimento di studenti, di non produttori, si era riversato davanti alle fabbriche per sollevare alla rivolta gli operai, i produttori. Dando cos una coriacea concretezza a quella vaga astrattezza di intenti su una diversa dimensione di vita che era forse la sua unica peculiarit. Aveva perso questa e perso la sua battaglia 198 .
197 Morucci 2004, p. 287. 198 Ivi, p. 84 237 Daltronde il comunismo di derivazione stalinista-leninista gi negli anni 70 unideologia che va contro il senso delle cose: Gi la potenza produttiva capitalistica aveva liberato le masse dal bisogno, e gi avrebbe potuto consentire un pieno dispiegamento delle potenzialit individuali. [] La tensione al futuro, lincapacit di leggere loggi quello che ha fregato gran parte di noi. Il nuovo sarebbe venuto dopo il mondo giusto, la fine della sopraffazione, il sacrosanto rispetto della vita, ecc. ecc. -, nel prima era lecito usare qualsiasi mezzo 199 . E infatti il movimento del 77 innovativo e spiazzante rispetto al vecchio schema della societ dei produttori, condiviso tanto dal Pci quanto dalle Br: [] quei giovani proletari urbani la parte teppista e parassitaria della societ, come era stata prontamente definita dagli ideologi del PCI per giustificare una dura repressione erano s creativi ma anche incazzati neri. Tanto incazzati, bastonati, sparati, e svincolati da ogni possibile controllo anche da parte delle organizzazioni di Autonomia, che ripresero pari pari il Vogliamo tutto e subito delle lotte operaie del 69. oltanto che non volevano riprendersi solo le parole, ma le piazze, le citt, e labbondanza della ricchezza e delle merci che era l ma gli era negata. Con le pistole. Un moto insurrezionale durato mesi. Con assalti e sparatorie. E morti. Quindi non condividevo la pratica politica di quel movimento ma pensavo comunque che ci andassero fatti i conti. Che non si poteva appiccicargli sopra uniniziativa che, anzich andargli incontro, se ne separava drasticamente assolutizzando il confronto tra lapparato delle Br e quello dello Stato 200 . Le Br, esattamente come il Pci, non hanno gli strumenti per comprendere questo movimento: Ma loro no. Troppo complicato. Troppe cose da rimettere in discussione. Soprattutto la loro artefatta rappresentanza di una classe operaia che gi non cera pi. Le BR tal quali al PCI. I brigatisti sono stati PCIisti col mitra in mano. Sono stati esattamente come i vecchi quadri del PCI. E tanti ce nerano ancora in quel
199 Ivi, p. 50 200 Ivi, pp. 133-134. 238 partito. Quelli col mito della fabbrica, fucina della rivoluzione, e che il mitra lavevano lasciato sepolto. Non sono stati rivoluzionari. Non pi, dopo 201 . Ma questa incomprensione, come si gi visto, non lunico errore delle Br. Lorganizzazione manca anche di capacit danalisi nei confronti della propria controparte, lo Stato. Di eccessiva semplificazione nei confronti dei meccanismi del potere pecca daltra parte tutto il movimento: []per le BR e per la maggior parte del movimento rivoluzionario,[le cose] non erano affatto contraddittorie. Il potere era unico. Unica la sua testa e unici i suoi arti. Tutto ci che avveniva era conseguenza di decisioni prese e azioni compiute in un unico grande disegno. Quello controrivoluzionario 202 . Questa tendenza alla semplificazione quella che, come si vedr pi avanti, porta, secondo Morucci, al dramma del sequestro Moro
I giudizi sulla questione del sequestro Moro Il rapimento del presidente della democrazia cristiana, Aldo Moro, messo a segno dalle Brigate rosse il 16 marzo 1978 e conclusosi con luccisione del sequestrato, levento chiave della storia dellorganizzazione. Esso dimostra la geometrica potenza (come la definisce Franco Piperno) delle Br ma costituisce anche uno spartiacque nella storia del paese e della formazione. Le riflessioni sulla gestione del rapimento da parte dellorganizzazione e sul suo esito rivestono un ruolo comprensibilmente importante nelle autobiografie analizzate. Patrizio Peci lunico dei 6 brigatisti a non soffermarsi sul caso Moro. Questi non partecipa direttamente al sequestro, anche se ai componenti della Colonna di Torino vengono dati da conservare alcuni documenti del presidente della Dc. Della gestione del sequestro scrive solo: Di questo invece sono certissimo: se, come avevamo chiesto, un altro esponente della Dc fosse intervenuto per trattare, riconoscendoci esplicitamente, Moro sarebbe ancora vivo. Un giorno lesecutivo chiese a tutte le colonne di pronunciarsi sullaffare Moro, perch cerano contrasti tra falchi (ivi compresa la
201 Ivi, p. 291. 202 Ivi, p. 165. 239 colonna di Torino) e colombe, fra il partito della morte e quello della liberazione. And come and 203 . Curcio e Franceschini si trovano in carcere al momento del sequestro. Il timore per la propria vita nel caso Moro non venga liberato (nel 77 , nel carcere di Stemmhein sono morti in circostanze che lasciano pensare ad un omicidio - Baader, Ensslin e Raspe, dirigenti della Raf), nonostante un meravigliato compiacimento per la potenza dellorganizzazione, caratterizzi i cinquantacinque giorni nei ricordi dei due fondatori delle Br. Curcio teme che lorganizzazione abbia compito unazione cui non politicamente preparata: Io debbo dire che percepii subito il dislivello molto forte tra le capacit politiche delle Brigate rosse che agivano allesterno e i problemi politici che unazione cos rilevante avrebbe posto. Ebbi la netta sensazione che lazione compiuta rappresentasse un passo pi lungo della gamba 204 . Questi sostiene con fermezza il rifiuto di ogni mediazione con lorganizzazione esterna da parte del gruppo dei brigatisti detenuti. Appare significativo il fatto che, al contrario di Franceschini, Curcio neghi che siano state formulate esplicite richieste da parte dellavvocato Guiso e che questi li abbia contattati su mandato di Craxi. Curcio sembra accettare fondamentalmente la versione offerta anni dopo in carcere da Moretti, secondo la quale i margini di trattativa per la liberazione di Moro sarebbero stati nulli. Tuttavia egli afferma lopportunit di questa liberazione e denuncia lincapacit politica delle Br allesterno: [hai mai pensato che il sequestro si potesse risolvere con la liberazione di Moro, come era successo per il giudice Sossi?] Me lo sono augurato. Pensavo fosse la soluzione pi intelligente, ma non avevo elementi per sapere quanto potesse risultare probabile. Nel caso del giudice Sossi il nostro scopo non era stato quello di uccidere un uomo, ma di realizzare unazione di propaganda dimostrando la nostra capacit di tenere un prigioniero per quindici giorni e guadagnare una grande popolarit. E scegliemmo di restituire il giudice vivo anche se lo Stato con i suoi inganni fece di tutto per favorire un epilogo tragico. In quelloccasione sapemmo reagire senza intransigenza e stupidit, facendo prevalere la ragione
203 Peci 1983, p. 161. 204 Curcio 1993, p. 150. 240 politica. con Moro la decisione non dipendeva pi da me. La logica delle Br si era irrigidita, la loro ottica era cambiata. Non avevo nessuna certezza 205 . [quella di uccidere Moro] stata una scelta tragicamente distruttiva per lorganizzazione che in quel momento non aveva la forza politica di gestire un fatto di quella portata. Certamente il non aver valutato sin dallinizio leventualit di potersi trovare di fronte a un atteggiamento di chiusura totale, che avrebbe comportato la scelta semi-obbligata di uccidere il prigioniero, stato sinonimo di scarsissima lungimiranza strategica da parte dei compagni che hanno programmato il sequestro 206 . Neppure Franceschini condivide la linea portata avanti dallorganizzazione allesterno (richiesta di un riconoscimento politico), e la imputa allo snaturamento che le Br hanno subito dopo larresto suo e di Curcio: Che ce ne saremmo fatti poi di questo riconoscimento? Non abbiamo posti da occupare in qualche parlamento e una forza rivoluzionaria deve farsi riconoscere soprattutto dagli strati sociali a cui fa riferimento, i cui interessi vuol difendere; non dalle istituzioni nemiche. Avere come obiettivo il riconoscimento politico ci sembr quindi la conferma pi chiara di quella mentalit burocratica e formalista che dopo gli arresti mio e di Renato e la morte di Mara aveva lentamente preso il sopravvento nellorganizzazione. Anche il voler dare allazione il senso di un processo alla Dc e alle sue strutture di potere riduttivo. Noi vi vediamo una continuit con quel che avevamo cominciato a dire e fare quando il termine compromesso storico era entrato nella vita politica italiana: il sequestro Moro si presentava, oggettivamente come un attacco a questo progetto, al progetto di unit nazionale, che le Brigate rosse lo vogliano o meno. C solo una cosa da fare quindi, trattare a qualunque costo per rompere quel fronte della fermezza che, compatto, si formato subito dopo lazione di via Fani 207 . Le Br, per, appaiono immobili sulle loro posizioni:
205 Ivi, p. 152. 206 Ivi, p. 160. 207 Franceschini 1988, p. 156. 241 [...]ci sembra di dover lottare su due fronti: lo Stato e le Brigate rosse. Tutti e due fermi sulle loro posizioni, incapaci di seguire una mediazione, di raggiungere un compromesso con se stessi e con il potere 208 . Moretti il protagonista del sequestro Moro. Al momento del rapimento dirigente della colonna romana, fa parte dellesecutivo ed uno dei brigatisti di pi vecchia data. lui a svolgere, durante i cinquantacinque giorni, gli interrogatori al presidente della Dc. Moretti sostiene che la morte di Moro non sia stata programmata precedentemente. Non ci sono pi margini. Ci stringono ad una decisione che non quella che volevamo, ma a quel punto lunica per noi possibile 209 . La posta in gioco per la liberazione di Moro un riconoscimento della questione dei prigionieri politici: Per chiudere ci basta che venga ammesso che esiste una questione riguardante i prigionieri politici. Non questione di quanti o quali e se verranno liberti immediatamente [] Quel che indispensabile, che una questione politica e di principio, che si riconosca dallaltra parte che in Italia ci sono dei prigionieri politici. Se qualcuno avesse detto: Fermi, discutiamone, ci saremmo fermati, avremmo discusso 210 . La fermezza delle forze di governo imprevista per lorganizzazione: Non era plausibile che, nel momento in cui prendiamo Moro, si aprissero nel PCI delle contraddizioni? Che andasse in crisi il compromesso storico? Molti settori del partito non ne erano affatto convinti. Il PCI conservava larghe fasce di militanti, che potevano o almeno cos pensavamo premere per rompere una linea che stava salvando la DC dalla crisi; quei militanti ci avrebbero attaccato, era ovvio, non potevano essere dalla parte della lotta armata, ma non si sarebbero messi dalla parte della Democrazia Cristiana. [] C stata uningenuit nelle nostre supposizioni, ci siamo ingannati al limite dellautolesionismo 211 . Anche Gallinari ha un ruolo importante nel sequestro Moro. Prende parte alloperazione in via Fani, uno degli inquilini dellappartamento insieme ad
208 Ivi, p. 160. 209 Moretti 1998, p. 154. 210 Ivi, p. 155. 211 Ivi, p. 145. 242 Anna Laura Braghetti e Germano Maccari e fa parte della direzione di Colonna che gestisce il sequestro. Per anni indicato come lesecutore della condanna a Morte di Moro, anche se Moretti smentisce questa circostanza nel suo libro. La valutazione sulla conclusione della vicenda molto asciutta e impersonale: Ma una vicenda di questo tipo non pu che concludersi in modo politico. Abbiamo sempre sostenuto che la metropoli una giungla: la nostra conoscenza del territorio romano, il nostro radicamento nella citt della politica far in modo che al palazzo il corpo del presidente della DC venga restituito 212 . Gallinari prende atto delle critiche che vengono mosse alla decisione di uccidere il presidente della Dc, tuttavia sembra sostenere che queste siano in qualche modo inficiate dalla massiccia affluenza di nuovi militanti nellorganizzazione avvenuta sullonda del sequestro. Il sequestro Moro volta una pagina della nostra storia. Lo sapevamo prima di andare a Via Fani, e lo capiamo ancor di pi adesso, davanti allo scontro chiuso senza mediazioni. [] C stata, innanzitutto, una reazione dura delle forze istituzionali e dei sindacati, che hanno cercato di mobilitare le masse contro di noi attraverso lo sciopero generale proclamato allindomani del sequestro, e soprattutto mediante la successiva politica della fermezza. [] Il PCI non ha nemmeno provato a ridiscutere il suo appoggio al monocolore democristiano. Si fatto anzi alfiere della difesa delle istituzioni, sostenendo la pi completa identificazione degli interessi popolari con la dimensione borghese della legalit. In questo senso, e la cosa non ci sfugge, si persino accentuata la divaricazione tra il palazzo e unampia fascia sociale e politica la quale, pur essendo minoritaria nel paese, tuttora disposta a opporsi alluniverso bloccato della solidariet nazionale. [] Un quadro altrettanto contraddittorio e sfaccettato ci presenta il versante dei movimenti. Allinizio, insieme allo stupore, il sentimento prevalente stato quasi di acclamazione. [] Tuttavia, anche nelle fasce pi radicali dellautonomia operaia, lo sviluppo delloperazione ha fatto emergere sempre pi chiaramente perplessit e posizioni critiche. Salvare o non salvare Moro ha costituito il discrimine del dibattito. E in questo tema si riflessa non soltanto una diversa
212 Gallinari 2006, p. 193. 243 sensibilit etica, ma anche e soprattutto una differente percezione della congiuntura politica e dei suoi possibili sviluppi. [] La contraddizione dunque reale, come reali sono i segnali contraddittori che ci arrivano. [] Ma altrettanto vero che gran parte di quel movimento sta ora bussando alla nostra porta, chiedendo di essere inquadrato e diretto sotto la linea politica delle Brigate Rosse che, il 9 maggio 1978, hanno concluso la Campagna di primavera eseguendo la condanna a morte pronunciata nei confronti di Aldo Moro. questo lelemento che ci convince di pi della correttezza delle decisioni prese. [] Il problema che abbiamo perci quello di assumere la direzione complessiva di questa tendenza. Un ruolo da partito, ecco il punto, che non siamo ancora in grado di esercitare. Nella strategia della guerra di lunga durata, infatti, questo problema di gestione del consenso assume per forza di cose il nome di transizione dalla fase della propaganda armata alla fase dellorganizzazione delle masse sul terreno della lotta armata. [] Sappiamo che dovremo affrontare e risolvere problemi colossali. Sappiamo che un lavoro difficile e nuovo ci attende. [] Ora si tratta di lavorare per far crescere le relazioni con le organizzazioni comuniste combattenti europee, con i movimenti autonomisti baschi e irlandesi, con le forze guerriglieri palestinesi pi sensibili alla prospettiva comunista e internazionalista. [] Ed proprio nel confronto diretto e costante che inizio a intrattenere con i dirigenti delle altre colonne, che mi rendo conto di un fatto politico importante. La realt, sia politica che organizzativa, venutasi a creare a Roma, abbastanza diversa dal resto dei nostri insediamenti. Nelle fabbriche del Nord, lorganizzazione ancora forte e radicata, ma la sua attivit si confronta con una situazione relativamente stagnante. Allintensit della pratica combattente, che anche a Torino, Milano e Genova continuamente cresciuta durante il sequestro Moro e oltre, non corrisponde una parallela incidenza della lotta di massa nello scontro con il capitale. I rapporti di forza stanno lentamente ma inesorabilmente cambiando. Ciononostante, cogliamo solo in parte la contraddizione insita in questi segnali, e pensiamo di sopperirvi attraverso una migliore ripartizione delle nostre forze, inserendo nelle istanze settentrionali alcuni militanti in grado di rafforzare politicamente il lavoro delle colonne 213 .
213 Ivi, pp. 195-200. 244 Morucci prende parte allazione in via Fani ed nella colonna che gestisce loperazione. Insieme ad Adriana Faranda, consegna i volantini dellorganizzazione e le lettere di Moro durante il sequestro. Come la sua compagna, contrario alluccisione del presidente della Dc. Dopo la morte di Moro rimane nellorganizzazione fino al 79. Le riflessioni sul caso Moro ricoprono, com comprensibile, un ruolo importante nella biografia di Morucci: con questo rapimento, ancora una volta, le Br dimostrano la loro rigidit mentale, una totale incomprensione verso la complessit del reale, unottusa purezza ed il sentimento di superiorit che caratterizza i loro rapporti con il movimento: Fu una tragedia degli equivoci e le BR non si accorsero che le carte si erano sparigliate. Moro non era lamerikano che noi credevamo. Era per il cuore dello Stato. Non dellastratto Stato del SIM, ma di quello Stato reale. E, non essendo quello il ferreo SIM ma uno Stato che si reggeva su precari equilibri, il suo sequestro, il suo solo sequestro aveva gi inferto un colpo mortale. Mentre pretendere dopo questo un riconoscimento fu come se una banda di rapinatori avesse svuotato Fort Knox, il tesoro degli Stati Uniti, e poi chiesto al loro presidente il riconoscimento di essere la pi grande banda del secolo. E, peraltro e per paradosso una volta fuori da ogni logica politica e la richiesta dei tredici era risibili di fronte alla vita di Moro, del cuore dello Stato. A quel punto, come equiparato contrappeso, poteva chiedersi qualsiasi cosa. [] Ma le BR, non accorgendosi di aver ottenuto il massimo che potevano ottenere, lo persero, e non ne ebbero nulla pi se non la propria sconfitta. E cos, per quello che erano, doveva essere. Anche loro hanno recitato fino in fondo la propria parte. Il dramma era compiuto. [] Il sequestro Moro non stato solo ci che stato. stato uno di quei fatti storici andati al di l delle intenzioni di tutti i suoi protagonisti. Non stato solo un evento tragico, ma epocale. E, come tale, il suo copione and oltre 214 .
214 Morucci 2004, pp. 177-178. 245 Ripensamento del passato Il ripensamento del passato e della propria esperienza fortemente condizionato, e non potrebbe non esserlo, da tre fattori: la necessit di fare i conti con l innegabile sconfitta della strategia della lotta armata per il comunismo, la generalizzata condanna morale e, soprattutto, la condanna giudiziaria. Il nostro errore in sostanza qual era? Credere che lItalia fosse un paese adatto a una rivoluzione comunista. Non abbiamo considerato per niente che lItalia una societ a capitalismo avanzato, cio una societ completamente diversa da tutti i paesi dove la rivoluzioni comuniste hanno avuto successo. In Italia mancava lelemento fondamentale: mancava la fame. Senza la fame, senza una forte maggioranza della popolazione che sta veramente male non si fanno rivoluzioni 215 . Questa stata la scommessa che abbiamo perso. L abbiamo fallito, in fabbrica. Ha vinto la Fiat. N noi n gli operai: la Fiat. Il fatto che gli operai non erano abbastanza motivati alla ribellione. Noi puntavamo alla libert di tutti, loperaio invece tende a portarsi lo stipendio a casa. Il problema delloperaio quello di star bene, il che a dire la verit non significa portarsi lo stipendio a casa ma essere sfruttato meno, lavorare in condizioni ottimali; loperaio vuole avere una casa, vuole gli svaghi, e ha anche ragione. [] Cos, in pratica, abbiamo distrutto anche quel poco di movimento rivoluzionario che cera. Labbiamo distrutto con le nostre mani: avevamo la forza per creare una spaccatura una sola e abbiamo finito per spaccare proprio il movimento. Anche perch abbiamo assorbito noi i quadri migliori, i pi attivi, del movimento rivoluzionario. Adesso sono o morti o in galera o criminalizzati, del tutto impotenti. Oggi sono in galera 5000 persone per reati legati al terrorismo. Legati, dico, perch ben pochi sono i terroristi. Gli altri sono tutti attivisti che il movimento sindacale rivoluzionario ha in qualche modo perso. Cos le brigate rosse hanno finito per favorire laccordo tra sindacati confederali e padroni. Bel risultato davvero. Non avrei mai immaginato che andasse a finire cos quando, quellautunno del 74, arrivai a Milano 216 .
215 Peci 1983, p. 47. 216 Ivi, pp. 49-50. 246 Le posizioni possibili riguardo al proprio passato sono state, in qualche modo, definite giuridicamente, con le leggi sul pentimento e la dissociazione. Peci nel 1980, subito dopo larresto inizia a collaborare con Dalla Chiesa: il primo pentito delle Brigate Rosse. Morucci e Franceschini arrivano, tramite percorsi personali diversi, alla dissociazione. Del periodo del ripensamento, Franceschini scrive: Ore di profondo sconforto, in cui rivedevo la mia vita individuando errori e dogmatismi, che si chiudevano con una sensazione amara, quella di aver seguito per pi di dieci anni una rotta sbagliata che mi aveva portato in mezzo agli iceberg, nel mare gelato 217 . Tutta lautobiografia di Morucci gira intorno al ripensamento dellesperienza delle Brigate Rosse e della sua generazione politica in generale. Si gi accennato al fatto che lorganizzazione presentata come molto distante dalle reali posizioni politiche di Morucci. Quindi molta parte delloperazione di rielaborazione del proprio rapporto con le Br consiste per Morucci nellesame delle ragioni che lo hanno portato ad entrare nellorganizzazione nonostante la distanza che lo divide da questa. Queste ragioni sono prima di tutto la sua voglia di fare: Credi che avessi abbastanza elementi per capire? Certo che li avevo. Ma non avevo nientaltro. Le cose per noi andavano sempre peggio. Te lho detto. Spaccature su spaccature. Cos alla fine diedi loro ragione. Forse era meglio tagliare il nodo. Annullare dubbi e incertezze. Cos anzich seguire gli allarmi del cervello, seguii obtorto collo la spinta al fare. La cecit del fare 218 . Il giudizio complessivo sullesperienza delle Brigate Rosse tutto politico e non lascia spazio a dubbi: Maoisti-stalinisti. Gli ultimi che dovevano organizzare la lotta armata in Italia erano quelli delle BR. Lavevano ripresa pari pari da dove era stata interrotta quella dei loro padri disillusi del PCI. Come se in mezzo non fosse nulla. E, peggio che peggio, loro erano puri. Ci potevamo sporcare le mani di sangue ma mai del mefitico fluido del compromesso. Quella era roba da partiti borghesi.
217 Franceschini 1988, p. 202. 218 Morucci 2004, p. 106. 247 Loro erano pi oltre. I primi rivoluzionari della storia puri. Fare politica restando puri. Unaltra contraddizione in termini. Se nella societ non ci fossero interessi diversificati non ci sarebbe bisogno di mediazione, compromesso, di politica. Ma loro, appunto, erano pi oltre. La politica da cui traevano la linea di condotta era quella rivoluzionaria, e la rivoluzione avrebbe portato a una societ senza conflitti. Quindi a una societ senza necessit di mediazione, di compromesso e della sporca politica borghese. Una politica pura.[] Comunque, a essere onesti, anch io ero abbastanza sognatore, o sprovveduto, da crederci. A una possibile societ senza conflitti. Ma il punto era un altro. Ed era che portavano la linea retta della politica di un sognato futuro in quella tortuosa del concreto presente. Come usare un raggio laser per togliere una vite. [] B, come chiosava Togliatti, ogni paese ha i rivoluzionari che si merita. Se era vero quello che diceva, lItalia dei politici culi di pietra, pronti a rischiare col codice penale ma recalcitranti allazzardo politico, si era meritata quei brigatisti. Volevano essere puri ed erano stati dei puri mentecatti. E io pi di loro ad essermici messo assieme 219 . Chi, come Curcio, Moretti e Gallinari, non ha usufruito delle possibilit offerte dalla legge sulla dissociazione, critica una presa di distanza che pi che altro una rimozione, unabiura, in nome della necessit di una riflessione pi approfondita su un fenomeno che andrebbe compreso nella sua specificit e collocato nel suo contesto politico, piuttosto che rinnegato e isolato come malattia morale. La critica si rivolge anche al mondo politico, che, per comodit, a questa esigenza di riflessione ha fatto mancare una sponda: A quel punto scrissi un documento intitolato Non che linizio: annunciavo la chiusura di unesperienza, rilanciavo la richiesta di una discussione globale per decidere quali profondi mutamenti compiere, capire se era ancora possibile farlo. Il mio convincimento maturato in quei giorni era questo: ho una responsabilit diretta nellaver promosso e messo in piedi lorganizzazione delle Brigate rosse; non me ne posso allontanare senza avere prima ben chiarito il mio punto di vista e senza aver fatto tutto il possibile perch questa organizzazione, che non ha pi nessuna ragione valida per continuare ad esistere, si chiuda ordinatamente 220 .
219 Ivi, p. 141. 220 Curcio 1993, p. 196. 248 Non esisteva unarea del silenzio, come da alcune parti era stato scritto, ma esisteva e esiste ancora il tentativo di seppellire nel silenzio tutto ci che non dissociazione o pentimento. Se fino ad allora non avevo parlato era perch lo spazio di parola concesso a chi non faceva parte delle due categorie canoniche, quella dei pentiti e quella dei dissociati, era uno spazio solo apparente: prendere la parola sul nostro passato comportava lautomatico inserimento in una catalogazione in cu io non mi volevo riconoscere 221 . Perch mai avrei dovuto dissociarmi da quelli che erano stati giorni certamente tragici e spietati, ma anche autentici in ogni loro respiro? Perch avrei dovuto abiurare un passato che avevo vissuto con tutto me stesso? Il carcere era forse il luogo ideale per tentare anche un primo, provvisorio, bilancio? 222
Quel che avvenuto negli anni Settanta roba nostra, non puoi glissare. I dissociati glissano. Mentre sarebbe stato possibile difficile ma possibile fare tutti assieme una riflessione vera, senza rimozioni, dichiarano che era finita. Perch il progetto era realmente fallito, questo era chiaro, anche a quelli che continuarono non potendo far altro 223
E la chiusura di una storia, e come tutte le chiusure che si producono nella sconfitta, si accompagna ad un liquefarsi dei comportamenti e dei percorsi dei compagni detenuti. Percorsi che diventano sempre pi frastagliati, se non addirittura individuali. [] La realt che siamo isolati. Un sacco di gente vuole la nostra pelle e nientaltro. C in giro (davvero da tutte le parti) unirrefrenabile desiderio di esclamare: lavevamo sempre detto, noi, che finiva cos! 224 . Gallinari conclude lautobiografia dicendo: Fine di una storia. La storia continua 225 .
221 Ivi, p. 205. 222 Ivi, p. 206. 223 Moretti 1998, p. 252. 224 Gallinari 2006, p. 337. 225 Ivi, p. 340.