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La lotta dei facchini Ikea la lotta di tutte e tutti!

Competitivit, produttivit, crescita. Queste le parole dordine del governo Renzi mentre
contratta a Bruxelles le ricette contro la crisi, annuncia roboanti riforme ed elargisce piccoli
contentini per far ripartire leconomia. La disoccupazione al 13%, quella giovanile oltre il 40%,
il crollo dei redditi medio-bassi, la perdita di potere dacquisto delle famiglie, obbligano a
risposte urgenti che fronteggino lemergenza. Unemergenza rilanciata dagli organi di stampa
che non mancano mai di raccontarci quanto siano preoccupati politici, industriali ed editorialisti
della situazione. Ogni giorno snocciolano dati e lanciano titoli allarmistici. Ministri piangenti,
pennivendoli indignati, tutti preoccupati, in particolare della sorte dei giovani e del loro futuro!

Il cosiddetto Jobs Act ha rappresentato una delle prime misure volte a far fronte a tale
emergenza e generare nuova occupazione, nelle dichiarazioni dello stesso Governo. Ha
facilitato la flessibilit in entrata, alzando da 12 a 36 mesi la possibilit di non dover esprimere la
casualit in entrata (ovvero lobbligo di spiegare il perch della temporalit del rapporto di
lavoro), e aumentando il numero possibile di proroghe, di fatto accorciando sempre di pi la
durata dei contratti; intervenuta sullapprendistato, il contratto pi diffuso fra i giovani,
limitando lobbligo di stabilizzazione degli apprendisti solo per le imprese sopra i 50 dipendenti e
per la risibile percentuale del 20% dei contrattualizzati. La seconda parte dello stesso Jobs Act,
espressa in una legge delega sulla base della quale il Governo sta preparando un testo di
legge, faciliter poi la flessibilit in uscita: la riforma degli ammortizzatori sociali, i licenziamenti
pi facili, i contratti a tutele crescenti sono tutte misure che faciliteranno ai padroni la
possibilit di sbarazzarsi dei propri dipendenti.
Ci dovremmo quindi adeguare e considerare normale essere a totale disponibilit di chi ci
garantisce un luogo in cui essere sfruttati, o ci consegna alla disoccupazione quando non gli
serviamo pi.

Per chi costretto a lavorare per vivere, la soluzione alla crisi non significa nientaltro che il
suo imporsi permanente. La ingiustificabile ricattabilit e miseria di chi pi ne sta pagando il
prezzo diventa paradossalmente la giustificazione per eliminare le piccole protezioni di chi
ancora (ben poco!) tutelato. Con la retorica dei garantiti privilegiati e dellequit, si equalizzano
al ribasso le condizioni di tutti i lavoratori e le lavoratrici.
Competitivit, cio una sempre pi spietata guerra tra poveri, costretti a scavalcarsi lun laltro
per garantirsi le briciole elargite dai padroni, che grazie a questa stessa parola avranno sempre
pi occasioni di investire e di sfruttare manodopera a basso costo. Produttivit, cio lavorare di
pi ed in meno, anzich redistribuirsi il carico di lavoro con tutti quello che non ne hanno
neanche uno. Crescita, quindi: del nostro sfruttamento e dei loro profitti.

Le classi dirigenti vorrebbero che assistessimo impotenti a questo spettacolo. Al massimo
possiamo dirottare il nostro dissenso e la nostra indignazione verso il teatrino di una politica a
sua volta impotente, costretta dai vincoli economici e dalle direttive provenienti da quegli
organi non eletti che li esprimono a farsi mera esecutrice degli interessi della classe
dominante. Lo vorrebbero e lo sperano, perch sanno che tutta la loro forza economica, politica
e repressiva, si regge sulle stesse mani che pretendono di sfruttare a proprio piacimento.
Il potere di queste mani, che hanno fatto tremare tanti padroni e padroncini di tutto il paese negli
ultimi anni, lo hanno dimostrato bene i e le dipendenti delle imprese della Logistica.


Il ciclo virtuoso della logistica

Da oltre 6 anni, a partire dalla Bennet di Origgio e dal Mercato ortofruttifero di Milano, si
vanno sviluppando le lotte nei magazzini della logistica, con una grande partecipazione dei
facchini e numeri pi ridotti di corrieri od altre figure professionali. Magazzini in cui vige un
incredibile sfruttamento retto da un sistema di 'subappalto' tramite cooperative, vero e proprio
'caporalato' che consente ai padroncini di organizzare il lavoro senza alcuna tutela normativa n
contrattuale, con la turnazione degli orari di lavoro e la ripartizione delle ore lavorate - e quindi
del salario - effettuata in maniera arbitraria e discriminatoria. Le cooperative, grazie alla
copertura delle multinazionali committenti, ricorrono spesso al lavoro a chiamata ed arrivano a
volte al vero e proprio furto di ore di lavoro.
D'altronde questo rappresenta un settore strategico per il capitale, a cui risulta fondamentale
spremere i lavoratori che ne fanno parte per risparmiare il pi possibile sui costi: negli ultimi
trent'anni, da quando le grandi aziende produttive hanno cominciato ad affidare a terzi la
gestione dei magazzini e delle scorte, il mondo della logistica letteralmente esploso,
coinvolgendo attualmente 450.000 lavoratori ufficialmente riconosciuti e fino a 700.000 reali.

Lesplosione del settore della logistica uno dei pilastri su cui si fondata la capacit del
capitale di delocalizzare, di trasferire le attivit produttive in ogni angolo del pianeta che
consentisse le migliori condizioni di profittabilit che per lo pi significa manodopera a basso
costo, assenza di sindacati, regimi fiscali favorevoli. Paradossalmente quindi, la mobilit del
capitale si sostiene a sua volta su una forte rigidit. Nel settore della logistica, in cui il
'posizionamento' centrale, la geografia non scompare.
Cos il sogno del capitale, sfruttarci dove vuole o ricattarci con la minaccia di lasciarci
disoccupati, si trasformato in un incubo: le lotte dei facchini abbracciano ormai quasi tutto il
territorio nazionale (specialmente nel centro-nord), anche grazie al lavoro di organizzazione del
Si.Cobas e dellADL Cobas, e dal supporto delle assemblee e reti di sostegno militante dai
diversi ruoli e forme di varie citt. Lo sviluppo del lavoro di massa sindacale e delle assemblee
di sostegno, ma soprattutto lo straordinario protagonismo dei lavoratori, ha permesso cos di
conseguire importanti risultati concreti: aumento delle buste paga, diminuzione dei carichi di
lavoro, la fine delle discriminazioni sul posto di lavoro.

Per il fatto di avere innescato un ciclo virtuoso e in espansione, in grado tra le altre cose di
rompere il ricatto del permesso di soggiorno vincolato al contratto di lavoro che grava sulla
maggior parte di questa manodopera per lo pi straniera, queste lotte sono state bersaglio di
una repressione scientifica e feroce da parte di tutti gli strumenti di cui il padronato dispone. Un
caso paradigmatico quello dellIkea di Piacenza: stampa locale, sindacati confederali,
padroncini delle cooperative, grandi multinazionali e forze dellordine hanno fatto fronte
comune contro i facchini pi attivi con contro-presidi di crumiri, allontanamenti e ritorsioni di
ogni tipo contro i lavoratori pi sindacalizzati e attivi nella vertenza.
Ma se loro fanno fronte comune, noi non stiamo di certo a guardare.

Il facchino paura non ne ha!

Gi a met Ottobre 2012 i facchini delle cooperative del consorzio CGS che lavorano per lo
stabilimento Ikea di Piacenza entrarono in sciopero contro buste-paghe misere e per una pi
equa distribuzione dei carichi di lavoro (cerano operai pagati 400 al mese perch tenuti
appositamente a riposo, come misura discriminatoria ed altri che arrivano ai 1200
paradossalmente gli straordinari diventano un premio che permette di raggiungere uno
stipendio meno misero). Una lotta per il semplice rispetto del CCNL e dei pi elementari diritti
che vide sin da subito la ferrea opposizione di CGS ed IKEA, che decisero che nulla si potesse
accordare ai lavoratori. E per piegarne la resistenza intrapresero azioni punitive contro alcuni di
loro, tra sospensioni, minacce di trasferimenti e licenziamenti.
Seguirono mesi di lotta da parte dei lavoratori, che non si lasciarono intimidire, ma anzi
riuscirono a coinvolgere e trovarono il sostegno di una rete di solidariet che vide la
partecipazione diretta di molti lavoratori del comparto logistico organizzati dal Si cobas (Ikea,
Tnt, Gls, Ortofin, Dhl) a stretto contatto con militanti venuti da Milano, Torino, Genova, Bologna,
Piacenza.

Messa alle strette, lazienda minacci addirittura di riposizionare i volumi e trasferire alcune
commesse con conseguente licenziamento di pi di cento lavoratori, proprio per colpa delle
proteste. Questa si rivel ben presto pi un tentativo di utilizzare l'arma del ricatto che
un'opzione realmente praticabile nel breve termine. Il nodo piacentino risulta infatti centrale per
la logistica essendo crocevia di traffici commerciali internazionali, snodo di importanti
infrastrutture per il trasporto delle merci, al centro del traffico autostradale e ferroviario,
collegato direttamente con il porto di Genova e con sei aeroporti nel raggio di poche centinaia di
chilometri.
Ikea fu costretta alla fine a reintegrare i facchini, che dopo estenuanti trattative che coinvolsero
anche i vertici delle istituzioni locali, tornarono a lavoro nel Gennaio 2013.
A questa vittoria contribu innanzitutto la forza della solidariet sul campo, che faceva leva su di
una precisa conoscenza del ciclo produttivo e di ogni singolo passaggio di questo,
indispensabile nell'ottica della riduzione del danno (per s) e della massimizzazione delle
perdite (per la controparte). La capacit inoltre di indicare chiaramente la controparte, cio Ikea
stessa e non le cooperative del sistema bizantino di subappalti con cui lazienda svedese
occultava le sue responsabilit, ha permesso anche che la costruzione di reti di solidariet
avesse un obiettivo tangibile sul quale misurarsi.
Aver individuato l'IKEA come principale controparte ha permesso l'attivizzazione anche di
quanti non potevano essere presenti fisicamente a Piacenza. La capillarit della diffusione degli
store IKEA sul territorio nazionale italiano, simbolo della forza dell'azienda, si prestata
all'organizzazione di volantinaggi, presidi e, in alcuni casi, di veri e propri picchetti, capaci di
interferire con le vendite in un periodo, quello pre-natalizio, in cui gli introiti per gli esercizi
commerciali sono massimi. Si inoltre potuto, grazie a vari siti internet ed ai social network,
incidere sull'immagine che l'IKEA cerca di dare di s di portatrici de diritti e democrazia.
Tutto questo contribu ad unimportante vittoria.

Adesso lazienda svedese ha intenzione di vendicarsi: ad inizio di Maggio di questanno la
cooperativa San Martino, operante nel magazzino IKEA di Piacenza, apre la controffensiva
padronale sospendendo 33 facchini fra i pi attivi e sindacalizzati. La motivazione addotta
lingiustificato blocco del lavoro che avrebbero messo in pratica circa due settimane prima. Nella
realt, i facchini sostengono che si tratta di reprimenda sindacale bella e buona verso il
sindacato SiCobas, considerato scomodo, e che il blocco incriminato fu determinato dalla
negazione di unassemblea sindacale unitaria degli impiegati nel magazzino. Subito viene
quindi indetto lo stato dagitazione, con ladesione della gran parte dei lavoratori. Viene quindi
strappato un accordo in Prefettura che prevedeva la reintegrazione di questi lavoratori, che
viene per totalmente ignorato dalla cooperativa, che addirittura annuncia il licenziamento di pi
di 10 di loro.
Interviene quindi immediatamente la solidariet di lavoratori di altri stabilimenti e di numerosi
attivisti di Piacenza e del centro nord, per dare forza allarma principale di questa battaglia: il
blocco della circolazione delle merci. Altrettanto velocemente si costruisce una rete di
solidariet in grado di coinvolgere pi citt attraverso volantinaggi e presidi.
A fronte di una tale capacit di mobilitazione, i padroni sono stati costretti ad organizzarsi in un
vero e proprio partito IKEA, come lo definisce il SiCobas: un blocco sociale monolitico di
istituzioni, forze politiche di governo ed opposizione e sindacati confederali che puntualmente
si esprimono e muovono iniziative tese a criminalizzare la lotta e la resistenza dei lavoratori.

Nelle loro dichiarazioni, gli esponenti di questo partito che vanta un consenso bipartisan (dalla
Lega al Pd), vorrebbero difendere il diritto al lavoro di chi, per colpa dei violenti, impedito a
recarvisi, e proteggere le attivit produttive del territorio ed i suoi poli di eccellenza. Che in
effetti eccellono nello sfruttamento, di cui tutti dovremmo essere grati, perch in un cos
delicata fase economica si DEVE accettare anche il pi misero dei lavori ed accogliere tutti i
soprusi e le violenze che questo comporta. Per questi personaggi ad avere un comportamento
violento e mafioso sarebbe allora chi mette in discussione come pu, ed a volte come DEVE, gli
interessi di chi su questo infame ricatto edifica i suoi profitti: cio il sistema veramente mafioso e
truffaldino delle cooperative e del loro committente internazionale. Secondo un consigliere
provinciale del PD, addirittura l impotenza inaccettabile sarebbe quella della legge e
dellordine, che non riescono a tutelare la libert ed il diritto di lavorare a chi ne avrebbe la
volont: non riescono cio a tutelare il bisogno disperato di chi, oppresso dallimpotenza della
disoccupazione, vorrebbe anche il peggiore sfruttamento pur di guadagnarsi qualcosa per
vivere. Per tutelare chi di questa disperazione approfitta per i propri lauti guadagni.

Attaccando in questo modo la lotta dei facchini Ikea, i padroni cercano di attaccare tutti quelli
che provano ad alzare la testa e smettere di pagare il prezzo di una crisi di cui non sono artefici
e che li vede in guerra gli uni contro gli altri, per la gioia dei profitti dei primi. Non un caso che
lamministratore delegato della sezione italiana dellazienda svedese abbia avuto lonore di
essere ricevuto direttamente dal Governo centrale per discutere a Roma della situazione dello
stabilimento piacentino.
La lotta contro un futuro lavorativo sempre pi precario, misero e faticoso per tutt* passa quindi
per Piacenza.

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