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Metalogicon (2003) XVI, 2

Contraddizione e mondi possibili in Leibniz


Giuseppe Giannetto
1. Contraddizione "forte" e contraddizione "debole"

In base alla prospettiva leibniziana, i1 criterio del meglio, come ragione del mondo esistente, fonda una determinata serie di connessioni di predicati a diversi soggetti e consente l'ordine e la stabilit della serie scelta che, diversamente - supponendo l'esistenza di un Essere che pu agire in modo arbitrario cio, non seguendo alcun criterio immutabile che limiterebbe la sua onnipotenza - non avrebbe validit. L'ipotesi di un Essere assoluto che pu non seguire bont e giustizia, , per, lontana dalla concezione leibniziana1 che, da un lato, afferma la libert di Dio nel campo delle combinazioni infinite dei possibili, dall'altro, limita la sua azione, volta all'esistenza, nell'ambito del criterio del meglio.
Si consideri la concezione leibniziana di Dio del Discorso di metafisica : Cos pure dicendo che le cose non sono buone per una qualche regola di bont, ma solo per la volont di Dio, si distrugge, mi pare, senza pensarci, ogni amore di Dio e la sua gloria. Perch lodarlo di ci che ha fatto, se sarebbe stato altrettanto lodabile facendo tutto il contrario? Dove star dunque la sua giustizia e saggezza, se non rimane che un potere dispotico, e la volont sta in luogo della ragione, e, secondo la definizione dei tiranni, ci che piace al pi forte , per ci stesso, giusto ? Pare, inoltre, che ogni volont presupponga una qualche ragione per volere; e che tale ragione sia per natura anteriore alla volont. Per le stesse ragioni trovo stranissima anche la dottrina di certi altri filosofi, i quali affermano che le verit eterne della metafisica e della geometria e, conseguentemente, anche le regole della bont, della giustizia e della perfezione, non sono che effetti della volont di Dio : a me pare, invece, che siano conseguenze del suo intelletto che - cos come la sua essenza - non dipende punto dalla sua volont. G.W. LEIBNIZ, Saggi filosofici e lettere, a c. V. Mathieu, Bari, 1963, p. 105 (C. I. GERHARDT, Die philosophischen Schriften von G.W. Leibniz, 7 Voll., Berlin 1875, repr. Hildesheim, 1960-61, IV, 428.)
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Il criterio del meglio, a sua volta, fondando il mondo esistente, non in grado di far diventare comprensibile l'infinit dei mondi possibili che non sono ideati in funzione di quello esistente che dovrebbe - facendo pensare all'operare dell'uomo e alle sue scelte, connesse a una precedente valutazione di diverse possibilit, al fine di attuare quella ritenuta pi valida secondo lo scopo proposto - ridurre le serie infinite ad alternative ormai superate dall'attuazione di una decisione. La non validit del criterio del meglio in rapporto ai mondi possibili rende in qualche modo oscura la capacit, propria dell'Essere, di rappresentare immediatamente, con le loro differenti articolazioni, tutti i mondi composti, senza che ci porti alla negazione del principio di contraddizione e alla conseguente caduta nell'assurdo, legata alla negazione di questo principio: Dio vede immediatamente tutti i mondi possibili, anche quelli che, in una serie, hanno, ad esempio, un soggetto che compie un'azione e in un'altra un soggetto che ha le stesse note essenziali e non compie la stessa azione. Per interpretare questaspetto del pensiero di Leibniz, , a nostro avviso, opportuno individuare alcune note che, riguardando ogni serie di cose, come strutture costanti, non possono non essere considerate come proprie del significato del concetto di mondo. D'altra parte, se i mondi possibili non presentassero un nucleo immutabile, non vi sarebbe alcuna somiglianza fra le serie di cose che si basa anche sull'identit di certe nozioni che vi stanno a fondamento, insieme con taluni predicati e non con altri, come, ad esempio, la nota primo uomo riguarda il concetto completo di Adamo che pu mutare, secondo i mondi cui appartiene, solo in altri predicati, apparentemente non essenziali; ci comporta, da un lato, l'agire della teoria dell'inerenza dei predicati al soggetto che comprende implicitamente tutto ci che, da una prospettiva diversa, sembra accidentale, dall'altro, la presenza nei mondi possibili in cui opera, seguendo l'esempio ricordato, di un Adamo che ha la caratteristica di essere primo uomo. La contraddizione e il tema di Dio che vede in un mondo un soggetto che compie una certa azione e in un altro che non la compie non si riferiscono alla nota primo uomo che, quando il

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soggetto Adamo, immutabile, ma ad altre note mutabili in rapporto alle differenti serie di cose cui esse ineriscono. Da quanto detto, appare che la contraddizione riguarda note non essenziali, cio che da distinguere una contraddizione, per cos dire, forte tra le note essenziali di un soggetto e una contraddizione debole tra le note che, pur riferendosi ai mondi ideati, non concerne note essenziale. Le note essenziali, una volta negate, fanno perdere l'identit delle nozioni possibili, le note non essenziali, al contrario, sebbene ineriscano ai soggetti posti in vari mondi, possono variare nell'ambito delle differenze che intercorrono tra un mondo e gli altri. La distinzione tra note essenziali ed identiche di un soggetto in tutti i mondi e note non essenziali e variabili, secondo i mondi cui queste appartengono,2 nondimeno, se fa escludere dall'idea di Dio la contraddizione forte, lasciando posto alla contraddizione debole, che, come notato, rinvia a una struttura identica - note essenziali-, finisce col rendere problematica la teoria dell'inerenza dei predicati al soggetto che intende quanto si predicher di una nozione completa come incluso in essa, anche se legata a una determinata serie in cui rientra e allinsieme dei nessi cui collegata. Il nesso soggetto-mondo sposta il discorso dall'inerenza di ogni predicato a un soggetto alla strutturazione del soggetto in funzione del mondo in cui posto: nel soggetto, vale a dire, non solo implicito ogni predicato, ma anche implicito il
2 Sulla concezione dei soggetti possibili che fanno parte di mondi possibili differenti cf. la teoria dei controfattuali di Lewis: D. LEWIS. Counterfactuals, Oxford, 1973. Dello stesso si vedano gli articoli sull'argomento, ristampati in ID., Philosophical Papers, 2 voll., Oxford, 1983-86, e ID., On the plurality of Worlds, Oxford, l986. Per Mathes ogni mondo possibile in Leibniz si riferisce "to a set of individual concepts, and not to a set of individuals B. MATHES, The philosophy of Leibniz, New York-Oxford, l986, p.73; ID., Leibnizian possible worlds and related modern concepts, in Leibniz Renaissance, Firenze, 1986, pp.173-190. Mondadori, a questo proposito, usa il termine superessenzialismo per negare la presenza di predicati accidentali negli individui appartenenti a mondi diversi. F. MONDADORI, Reference, Essentialism and Modality in Leibnizs Metaphysics in Studia Leibnitiana, 5, 1973, pp. 73-101.

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riferimento a un determinato insieme - mondo - e non ad un altro pure possibi1e. Mediante questa concezione, dalla teoria dell'inerenza dei predicati al soggetto si passa alla teoria che accentua 1'inerenza di un insieme di predicati a uno stesso mondo, cio dal singolo soggetto, seppure internamente complesso per la molteplicit dei rapporti che gli possono essere attribuiti, si arriva al mondo che, come visto, il vero soggetto cui tutto inerisce. Con il mutamento del soggetto dalle sostanze individuali al mondo che le contiene, si perde la differenza tra note essenziali e note non essenziali, visto che ogni nota, anche quella apparentemente meno essenziale, appartiene a un mondo, sicch se anche una di esse cambia, lo stesso mondo muta; con ci, per, non intendiamo sostenere che ogni mondo sia privo di una struttura comune, ma solo che, volendo porre in rilievo questa struttura comune, senza considerare le verit eterne, vengono messi in primo piano aspetti universali, propri di ogni mondo, in grado di andare al di l delle note accidentali, divenute essenziali nei mondi combinati da Dio. In questo ambito, elementi essenziali a tutti i mondi sono : la presenza di pi soggetti, posto che un soggetto non costituisce un mondo che richiede un riferimento ad un insieme, quale che possa essere, e la connessione fra i soggetti che sono collegati da differenti rapporti, colti senza mediazione dalla visione intuitiva dellEssere supremo. Questi elementi dei mondi possibili - soggetti e nessi fra i soggetti - sono comuni a tutti i mondi, mentre le note non essenziali dei possibili non sono, ovviamente, valide in tutti i mondi che, del resto, possono essere individuati non solo da talune note non essenziali, proprie dei soggetti di un mondo e non di un altro, ma anche da certi possibili non necessari - un determinato Adamo e un determinato Cesare - rispetto ad altri, posto che solo le verit eterne sono immutabili in tutti i mondi. Non si pu, in questo senso, pensare che Adamo necessariamente presente, anche se concepito come primo uomo, in tutti i mondi, laddove opportuno ribadire che ogni insieme costituito da diversi soggetti e da molteplici relazioni che consentono l'articolazione di ciascuna serie.

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La possibilit della contraddizione, gi denominata debole, e lesclusione della contraddizione indicata come forte, in realt, rivelano che lEssere supremo, secondo Leibniz, libero di scegliere i predicati non essenziali e di porre, ad esempio, un Pompeo che vince Cesare a Farsalo in un mondo e un Pompeo che non vince Cesare a Farsalo in un altro, mentre non libero di scegliere i predicati essenziali, continuando l'esempio, di Pompeo che va1gono nei mondi in cui presente questo soggetto: Leibniz, da un lato, afferma la libert divina che, con l'estensione dei possibili sull'esistente, in grado di evitare posizioni filosofiche che sostengono la necessit di ci che esiste, dall'altro, per non riaffermare concezioni che danno risalto alla trascendenza assoluta della scelta divina, che rischia di apparire arbitraria e non intelligibile per l'essere finito, pone dei limiti a quanto decretato da Dio. Tali limiti sono rappresentati dalle note essenziali dei possibili contingenti che valgono nei mondi in cui questi sono posti, dato che, insieme con le verit eterne, i possibili non necessari hanno una dimensione immutabile - si pensi, ricordando lesempio portato, ad Adamo primo uomo che nel Paradiso terrestre - anche per lo stesso Essere. Questi, infatti, pu attribuire predicati non essenziali, senza modificare quelli essenziali, che, per, - e in tal modo Leibniz cerca di superare l'ostacolo connesso al limite attribuito a Dio, cio limmutabile natura dei possibili, che pu portare alla perdita dell'assolutezza e della libert senza condizione dellEssere - fanno parte dell'intelletto divino che, concepito come regione delle verit eterne e delle essenze, increato. La libert di Dio non pu manifestarsi nel cambiare le verit eterne che sono valide in tutti i mondi possibili, n, da quando visto, nel mutare le propriet essenziali dei possibili contingenti, si manifesta, al contrario, nel combinare i possibili3 che, messi fra loro in serie diverse, consentono infinite combinazioni - che hanno predicati diversi secondo il mondo cui ineriscono - e nello scegliere leggi che sono necessarie e immutabili solo per gli esseri
3 G.W. LEIBNIZ, Dialogus, (GERHARDT, Phil. Schr., VII, 191).

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finiti dei vari mondi e non per Dio che le decreta, come massime subalterne, in funzione del suo piano. Lesclusione della contraddizione forte e la possibilit della contraddizione debole si spiegano con la capacit, propria di Dio, di vedere un soggetto che compie una certa azione in un mondo e un soggetto che, una volta posto in altri mondi, essendo i predicati essenziali immutabili, sembra lo stesso soggetto che, nondimeno, fa azioni diverse in un altro mondo : la contraddizione debole, vale a dire, appare quando si mette in primo piano lidea di un Essere in grado di intuire immediatamente tutte le serie di possibili da Lui stesso combinate che sono simili, nel caso in cui presentano soggetti con le stesse note essenziali e con diverse note non essenziali negli altri mondi. Se, invece, si facesse lipotesi che a fondamento dei mondi possibili vi fosse un campo di possibilit che rappresenterebbe un ambito che allorigine di ogni altro mondo - nel senso che Dio, ad esempio, vedrebbe in questo ipotetico campo sia un soggetto, come Adamo, che consta di predicati essenziali, sia tutti i possibili predicati non essenziali attribuibili allo stesso Adamo che diventano essenziali distribuiti nei diversi mondi ideati, posti dalla sua azione combinatrice -, allora la contraddizione debole assumerebbe un altro significato. Supponendo, infatti, l'esistenza di tale campo di possibilit, Dio si rappresenterebbe le note essenziali di un soggetto che consentono molteplici predicati non essenziali, al di l del riferimento agli infiniti mondi; con ci intendiamo affermare che, se fosse valida lidea di una dimensione che va oltre i diversi mondi, Dio non vedrebbe uno stesso soggetto che agisce in modo diverso in rapporto ai mondi dove situato, facendo in qualche modo pensare a una sorta di visione - azione contraddittoria, ma un soggetto rappresentato tanto con le note essenziali, quanto con quelle non essenziali che, per la natura divina, non diventerebbero, diversamente da quanto avviene, nel caso si facesse riferimento ad un essere finito, rappresentazioni evanescenti e contraddittorie. Lidea di Dio che intuisce immediatamente tutti i differenti soggetti, dotati di note comuni e non comuni, non mette in luce lazione combinatrice svolta dallEssere che non secondaria

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rispetto alla rappresentazione delle varie serie: la presenza di un campo infinito di possibilit, costituito da soggetti considerati senza rapporto con gli altri, come visione dellEssere di ci che nel suo intelletto, non pone in ri1ievo la complessit dellazione visione divina che, per un verso, intuisce eternamente il contenuto del suo intelletto, per un altro, vede quanto non solo rappresentato e comporta la sua azione - rappresentazione, cio i possibili non necessari fra loro combinati. In tale ambito, sostenere che Dio coglie un soggetto che opera in un modo e un soggetto, che apparentemente sembra lo stesso, che opera in modo differente in un altro mondo, a partire da un supposto campo di possibilit, vuol dire mettere sullo sfondo lazione - visione di Dio che non si limita, come gi notato, solo a rappresentare perch anche in grado di combinare in infiniti modi i possibili a Lui presenti.

2. Contraddizione ed Essere supremo.


Tenendo presente questa duplice visione divina, senza affermare un prima e un dopo, cio una sorta di successione temporale, propria solo delluomo, il caso di riprendere il tema della contraddizione debole in riferimento allEssere supremo. In tal modo, da notare che Leibniz esclude la contraddizione debole dall'esistenza, con la teoria che un solo mondo, i1 migliore, viene attuato e la esclude, inoltre, anche dalle singole serie possibili, sia con lidea che i mondi possibili sono fra loro incomunicabili, sia con la distinzione fra possibili necessari, che non consentono lopposto contraddittorio, e possibili contingenti4, che, essendo legati a una trascendente attivit combinatoria divina, lasciano posto - anche se ci non avviene per la perfezione divina allopposto contraddittorio che, per, come visto, riguarda predicati contingenti e non essenziali alla struttura degli enti che, non entrando mai in relazione con enti simili di altri mondi, non cadono in contraddizione. La prospettiva leibniziana, nondimeno, nonostante le distinzioni considerate, non elimina il problema di
4 G.W. LEIBNIZ, Causa Dei (GERHARDT, Phil. Schr., VI, 440).

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un Essere che, pur vedendo una stessa nozione in pi mondi, fra loro dotati di diverse caratteristiche, non si trova nella contraddizione, da noi indicata come debole. In questo senso, sempre opportuno porre in luce che la concezione visivo-riproduttiva dellEssere accentua la comprensione intuitiva che coglie linfinit dei mondi possibili nei loro diversi nessi, mentre quella visivo-attiva, oltre lintuizione, pone in risalto lazione divina che combina in modi infiniti i possibili, presenti da sempre nellintelletto divino. La prima visione dei mondi possibili li considera indipendenti gli uni dagli altri, come se ciascuno di essi fosse posto accanto agli altri in una dimensione che fa pensare alla coesistenza spaziale, quasi oggetti della scelta divina che libera, nellambito dei possibili dati al suo intelletto, di decretare allesistenza il mondo pi perfetto ; la seconda, al contrario, intende gli infiniti mondi in modo genetico, come se fossero produzioni infinite a partire da un campo essenzialmente strutturato da verit eterne e da enti, ontologicamente reali e adeguatamente concepiti. La coesistenza delle serie, che mette in luce la dimensione spaziale, esemplificata da un mondo che accanto agli infiniti altri, anche se con questi non comunicante, diventa nella teoria visivo-attiva il risultato di unazione e rappresentazione dellEssere che determina alcuni possibili non necessari, insieme con altri, in relazione ad un ambito che, secondo tale prospettiva, fa pensare a una regione costituita da elementi disposti in serie dalloperare divino che non vede solo quanto contenuto nel suo intelletto - i possibili fra loro distinti, gli uni indipendenti dagli altri -, ma anche quanto posto immediatamente dalla sua attivit combinatrice. La dimensione spaziale, da noi indicata con l'uso del termine accanto che intende i mondi con le tre caratteristiche, individuate dalla coesistenza, dalla distinzione e dalla incomunicabilit, in realt, fa apparire, facendo agire 1'interpretazione dinamica dei mondi ideati, molteplici serie che, presentando note essenziali e, ad un tempo, generali, richiedono lazione determinatrice dellEssere in grado, ad esempio, di

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porre, a partire da Adamo, essenzialmente caratterizzato come primo uomo, appartenente al Paradiso terrestre, 1'Adamo esistente in un definito mondo che risulta pi perfetto nei confronti degli a1tri. Si potrebbe a quanto detto rilevare che lazione determinatrice, compiuta da Dio, rende intelligibile lAdamo reale del mondo scelto in relazione alle note essenziali di Adamo che fanno pensare, a ben intendere, pi alladamit5 che allAdamo
5 Nel Frammento sulla Scienza media, Leibniz, portando gli esempi di Pietro e Paolo, intende la loro natura in stretto rapporto con il decreto divino: Immaginiamo che venga posto Paolo, insieme con le stesse circostanze ed aiuti in cui gi stato posto Pietro, e che Dio mi dica che Pietro rifiuter la grazia mentre Paolo laccetter. E necessario senz'altro che si dia una ragione di tale differenza; e questa ragione non pu darsi se non a partire dalla Pietrinit e dalla Paolinit, vale a dire dalla natura della volont di Paolo e dalla natura della volont di Pietro; ed la differenza tra queste due libert a far s che luno scelga una cosa e l'altro unaltra. E' necessario che la differenza tra le due, anche in ordine a questa singola scelta, sia conosciuta da Dio ed necessario che, qualora egli si degni di spiegarmela, io possa capirla. Ne potrebbe cos nascere una piena conoscenza scientifica a priori di un evento futuro condizionato. Secondo gli autori della scienza media, Dio non potrebbe rendere ragione della sua sentenza, n spiegarmela. Se qualcuno gli chiedesse perch afferma che avverr questo, potrebbe soltanto dire che egli vede quest'atto rappresentarsi in tal forma in quel grande specchio che ha dentro di s e nel quale si mostrano tutti gli eventi presenti e futuri, assoluti o condizionati che siano. La qual cosa una conoscenza puramente empirica e che non potrebbe soddisfare Dio, giacch egli non avrebbe intelligenza del perch nel suo specchio si rappresenta quell'evento e non quellaltro. Al modo in cui chi ottiene i numeri di un dato calcolo, facendo ricorso ad una tabella, non sa affatto calcolarli egli stesso. Invece Dio conosce i futuri assoluti, perch sa ci che ha decretato; e i futuri condizionali, perch sa ci che decreter, perch sa che cosa costituir l'ottimo in quel dato caso futuro e perch sa che decreter l'ottimo. G.W. LEIBNIZ, Confessio Philosophi e altri scritti cit., p.92 (Opuscules et fragments indits de Leibniz, par L. COUTURAT, Paris 1903, p.26). Sui futuri contingenti in rapporto alla prescienza divina cf. W.L. CRAIG, The problem of divine foreknowledge and future contingents from Aristotle to Suarez, Leiden, 1988 ; ID., Divine foreknowledge and human freedom, Leiden, 1991. Sul concetto di contingente e sul tempo nella filosofia scolastica si veda anche S. KNUTTILA, Time and modality in scholasticism, in ID. a c., Leibniz, 1981, pp. 163-257; ID., Modalities in medieval philosophy, London, 1993. Su tempo, eternit e libert in Dio e in rapporto all'uomo cf. R. TAYLOR, Deliberation and Foreknowledge in American Philosophycal Quarterly, 1,

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esistente, mentre non rende comprensibile gli Adami possibili che, pur potendo essere situati in altri mondi rappresentati, tuttavia non passano allesistenza. Le determinazioni che ciascuno Adamo, collocato in un mondo e non in un altro, presenta, rispetto alle altre determinazioni, legate ai diversi Adami dei mondi possibili, sembrano, in tal modo, proiettare, il procedere divino in un ambito quasi finito che, riducendo gli Adami ideali a possibili individuazioni di un Adamo generale, assume laspetto di unidea, solo in parte definita, cui determinati soggetti di taluni mondi si riferiscono; tale idea, inoltre, viene posta in esecuzione e delimitata, dopo molteplici rappresentazioni che portano allattuazione finale. Affermare, poi, molteplici determinazioni di un campo immutabile, posto nellintelletto divino, che rimane costante al variare dei diversi mondi possibili, comporta anche la domanda volta a comprendere perch Dio passa da quanto contenuto nel suo intelletto ai mondi possibili e non direttamente al mondo esistente, perch, cio, Dio fa leva sulla mediazione dei mondi possibili, invece di attuare il mondo decretato. Le risposte che si possono dare a questa domanda, ribadendo ci che stato detto, sono, a nostro avviso, cos essenzialmente sintetizzabili: Leibniz ha una visione antropomorfa di Dio che agisce in modo analogo all'uomo - si pensi, fra gli altri, all'esempio del costruttore della seconda lettera di Leibniz a Clarke6-; il filosofo tedesco, volendo contrapporsi a chi ritiene che
1964, pp.73-80; E. J. KHAMARA, Eternity and Omniscience, in Philosophycal Quarterly, 24, 1974, pp. 204-219; P. HELM, Timelessnes and Forekno-wledge, in Mind, 84, 1975, pp.516-527; J. HOFFMAN - G. ROSENKRANTZ, On divine Foreknowledge and human Freedom, in Philosophical Studies, 37, 1980, pp. 289-296. 6 La vera ragione che fa apprezzare principalmente una macchina presa piuttosto dalleffetto della macchina che dalla sua causa. Non prendiamo tanto notizia della potenza del costruttore, quanto del suo artificio. Cos la ragione che s'allega per lodare la macchina di Dio, che cio egli lha fatta interamente, senza prenderne la materia al di fuori, non sufficiente. E un piccolo sotterfugio a cui si stati costretti a ricorrere. E la ragione che rende Dio preferibi1e a un altro costruttore di macchine, non soltanto che egli produce il tutto, mentre lartefice ha bisogno d'andare in cerca della sua materia: questo

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l'Essere procede in modo necessario, pone in risalto un Dio che libero, in quanto sceglie nellambito di una pi vasta estensione dei possibili rispetto all'esistente che non necessario, ma contingente - ferma restante la validit in tutti i mondi ideati delle verit eterne -, alla luce della distinzione tra necessit assoluta e necessit ipotetica, tra necessit e certezza7. D'altra parte, se fosse possibile una sola determinazione dei possibili necessari, ci significherebbe che i relativi predicati non essenziali sarebbero in essi inclusi, sicch Dio, lungi dal produrre originalmente, non farebbe altro che esplicitare quanto implicitamente in essi contenuto; i mondi possibili, invece, secondo la prospettiva dinamica emersa, valgono a far apparire la produttivit dellEssere supremo, che, diversamente da ci che avviene per le verit eterne che sono immodificabili, in grado di combinare in infiniti modi i possibili, staticamente presenti nel suo stesso intelletto increato. Le risposte alla domanda posta che mettono in risalto, oltre a una visione che riduce l'Essere all'ente finito razionale, sia la
vantaggio verrebbe solo dalla potenza. Ma v ancora unaltra ragione delleccellenza di Dio, che proviene dalla saggezza: ed che la sua macchina dura anche pi a lungo, e funziona con pi esattezza di quella di qualsiasi altro costruttore G.W. LEIBNIZ, Saggi filosofici e lettere cit., p. 393 (GERHARDT, Phil. Schr., VI, 393). 7 Nella Conversazione con il vescovo Stenone sulla libert (24 novembre,1677) Leibniz afferma: "Si d necessit assoluta quando la cosa sarebbe altrimenti intelligibile ed implicherebbe una contraddizione forma1e, ad esempio: che tre per tre faccia dieci. Si d necessit ipotetica quando intelligibile che una certa cosa, presa di per se stessa, sia fatta altrimenti, ma invece necessariamente tale per accidente, a causa di altre cose esterne gi presupposte, ad esempio era necessario che Giuda peccasse, una volta supposto che Dio lavesse previsto. O che egli avesse gi stabilito che cosa Giuda avrebbe ritenuto essere la cosa migliore per lui. La serie delle cose non era necessaria di necessit assoluta. Vi sono, infatti, molte altre serie possibili, ovvero intelligibili, anche se non ne consegue in atto lesecuzione. Una serie di cose che possibile di necessit ipotetica resta intelligibile, per esempio una serie di cose siffatta che tutti i pii vengano dannati e tutti gli empi vengano salvati". G.W. LEIBNIZ, Confessio philosophi e altri scritti cit., p. 81 (Textes indits daprs les manuscrits de la Bibliothque provinciale de Hanovre, par G.GRUA, Paris, 1948, 2. Voll., p.269).

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libert di Dio che sceglie entro una pi vasta estensione dei possibili rispetto al reale, sia un'attivit inventiva, se non assolutamente creativa, tenendo conto del contenuto proprio dellintelletto divino, dellEssere - che non si limita a contemplare ci che entro il suo intelletto o ad esplicitare quanto inerisce ai possibili non necessari - non chiariscono, tuttavia, in che modo le combinazioni poste da Dio diano origine ai mondi possibili, cio, esemplificando, non chiariscono in che modo un Cesare vincitore ad Alesia dei Galli e un Cesare, poniamo, non vincitore dei Galli possano fare parte di due mondi diversi e non di possibilit, solo illusoriamente concepite in stretta connessione fra loro, che non dovrebbero entrare in serie distinte, seppure ideali. La visione di Leibniz, invece, sarebbe pi facile da intendere se lEssere, tenendo presente i possibili non necessari posti nel suo intelletto, vedesse la molteplicit delle note non essenziali ad essi attribuibile, senza porre i mondi possibili, dove, tornando allesempio ricordato, Cesare stranamente in un mondo conquista la Gallia, contrapponendosi a Pompeo, e in un altro non la conquista e non si contrappone a Pompeo. Affermare, del resto, che Dio vede tutte le possibili note non essenziali di un soggetto immediatamente, non sorprende allorch si condivide una concezione che si fonda sullesistenza di un Essere perfetto, sorprende, al contrario, quando si sostiene che le infinite note non essenziali - tenendo in vista i possibili non necessari dellintelletto divino - fanno rispettivamente parte di molteplici mondi possibili, tanto che un soggetto pu compiere, come visto, unazione in un mondo e unazione opposta in un altro: la comprensione, per Dio infinita, delle note non essenziali dei possibili contingenti non porta alla teoria dei mondi possibili, ma, se mai, a quella del mondo reale che, una volta scelto, relega le diverse note non essenziali, non decretate allesistenza, di un ente possibile nellambito dellonniscienza, propria dellintelletto divino, che intuisce i possibili non necessari con tutte le diverse note loro attribuibili, ferme restando quelle essenziali che non possono mancare. Si potrebbe pensare, secondo la prospettiva considerata, che linfinit dei mondi possibili in rapporto allidea di un Dio non

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realmente creatore che, non manifestando una volont assoluta e inintelligibile, segue il suo intelletto che contiene le verit eterne e i possibili non mutabili: i mondi possibili, in tal modo, paleserebbero lazione di un Essere, non incondizionatamente libero, che, non potendo mutare le verit eterne, pu cambiare i possibili non necessari in modi infiniti, cos da porre, anche se idealmente, infinite serie di cose. Seguendo questa interpretazione, allimpossibilit, propria dellEssere supremo, di mutare il contenuto del suo intelletto corrisponde la capacit di porre serie infinite di possibili contingenti; se, al contrario, lEssere non avesse tale capacit, verrebbe affermata una concezione contemplativa di Dio che sarebbe solo in grado di rappresentare il contenuto del suo intelletto, senza aggiungere niente di diverso. Dio nondimeno, secondo Leibniz, non solo vede i possibili, ma anche agisce ed opera in modo assolutamente inventivo, combinandoli in serie differenti, che per - e questo un aspetto da rilevare - possono risultare fra loro opposti, quando un soggetto opera in un certo modo in un mondo e in modo opposto in un altro : lattribuzione allEssere di una visione intuitiva immediata e della libert di comporre i possibili in maniere differenti finisce col portare alla problematica posizione di un soggetto originario che, sebbene intuisca tutti i mondi possibili, anche quelli che sono opposti in taluni predicati, non per questo cade in contraddizione. Ad ogni modo, la visione contraddittoria di un Dio che rappresenta serie, fra loro anche opposte in alcuni predicati, segue uninterpretazione che viene superata, allorch si fa risaltare lattivit contemplativa dellEssere che intuisce ci che entro il suo intelletto in modo eterno, senza aggiungere niente di nuovo, come se assistesse ad uno spettacolo8 da Lui non scelto: i mondi
8 In margine alla traduzione olandese del Pensieri metafisici di Spinoza, a proposito dellonnipresenza di Dio, scritto : Si deve qui osservare che quando il volgo dice che Dio ovunque, lo introduce come uno spettatore al teatro; da ci risulta chiaramente quel che diciamo alla fine di questa parte, e cio che gli uomini comunemente confondono la natura divina con l'umana. B. SPINOZA, Principi della filosofia di Cartesio. Pensieri metafisici, a c. E. Scribano, Bari , 1990, p. 144.

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possibili, secondo tale prospettiva, sono dati allintelletto divino insieme con le verit eterne e le essenze, tanto che Dio li intuisce immediatamente in modo adeguato. La contraddizione, parimenti, non sorge se si suppone l'esistenza di un essere che produce in modo inconsapevole e che non incorre in contraddizione perch non ha piena coscienza di ci che ha posto - i mondi possibili - : Dio vedrebbe il suo fare, solo che il fare, in questa ipotesi, assumerebbe il significato di un fatto esterno allo stesso Essere che lo avrebbe prodotto in modo inconsapevole. L'idea di un Dio non consapevole, per, oltre a non lasciare posto a un Essere perfetto e assoluto che decreta il mondo migliore, non rende intelligibile la pi ampia estensione dei mondi possibili rispetto a quello reale che un loro attuazione e lagire del criterio del meglio che, lungi dal richiedere un soggetto originario, in parte inconsapevole, che assiste al suo fare, come se fosse un fatto esterno, da sempre dato, rinvia a un principio intelligibile che, pienamente consapevole, coglie i mondi nelle loro pi interne caratteristiche, al fine di scegliere la serie migliore da far passare allesistenza. La contraddizione, inoltre, non appare se si intendono i mondi possibili, come visto, in funzione di quello reale che ridurrebbe questi a rappresentazioni superate dal decreto finale che stabilisce l'esistenza di una determinata serie di cose in confronto alle altre: la contraddizione si presenterebbe se esistessero contemporaneamente pi mondi, mentre i mondi possibili non si contraddicono fra loro se sono concepiti in funzione di quelle reale che, in qualche modo, li situa nel passato, almeno per luomo, come ideali soluzioni rappresentate e scartate dal soggetto, nellintento di attuare la serie pi perfetta. Dio, in questultima concezione, sembra pi uno scrittore di romanzi, dotato di una forte immaginazione9, che un Essere
L'ubiquit di Dio, per Spinoza, legata alla sua volont, dove, per, da ricordare che per il filosofo olandese la potenza di Dio non si distingue dalla sua essenza e che l'intelletto divino non va confuso con quello umano. 9 Il riferimento all'immaginazione anche presente nel Discorso di metafisica, dove Leibniz, considerando la semplicit delle vie e la ricchezza degli effetti del mondo scelto, paragona, pur nella diversit, Dio a un filosofo che produce un

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incondizionato, libero dall'ideare e operare, prospettandosi pi soluzioni, per poi scegliere quella pi idonea alla posizione del mondo migliore: i mondi possibili, concepiti in relazione a quello reale, finiscono, in tal modo, col vanificare, portando a uninterpretazione quasi finita, lestensione dei possibili che, perdendo lo spessore ontologico legato allintelletto e al suo agire, sembrano esser annullati dalla scelta divina volta a dare esistenza a una serie rispetto alle altre. Il mondo reale, poi, non fa posto alla contraddizione in quanto, esemplificando, a un Alessandro che prima vince Dario e poi, continuando la sua espansione, vince e fa prigioniero Poro sulle rive dellIdaspe, non fa contrasto un Alessandro che perde con Dario e anche con Poro; con termini diversi, il prima e il poi, propri del tempo come successione, rivelano una serie successiva i cui elementi sono collegati e fra loro irreversibili, sicch, se Alessandro prima vince Dario e poi Poro10, ci esclude un altro
mondo immaginario: Per quello che riguarda la semplicit delle vie di Dio, essa concerne propriamente i mezzi; mentre la variet, ricchezza e abbondanza concernono i fini o gli effetti. Luna cosa deve bilanciare l'altra, come le spese destinate a un edificio devono essere proporzionate alla grandezza e bellezza che si richiedono. E verissimo che loperare non costa nulla a Dio, ancor meno che a un filosofo che formuli ipotesi per fabbricare un suo mondo immaginario: perch Dio non ha che da formulare decreti per far nascere un mondo reale; ma, in fatto di saggezza, i decreti o le ipotesi fanno le veci di spese, tanto pi forti, quanto pi sono indipendenti gli uni dagli altri. La ragione, infatti, vuole che si eviti la molteplicit delle ipotesi e dei principi, press'a poco come nella regola per cui il sistema pi semplice sempre preferito in astronomia .G.W. LEIBNIZ, Saggi filosofici e lettere cit., p.108, (GERHARDT, Phil. Schr., VI, 430-31). 10 Nel Discorso di metafisica, il filosofo tedesco porta lesempio di Alessandro magno: Ad esempio, la qualit di re che appartiene ad Alessandro magno, facendo astrazione dal soggetto, non abbastanza determinata per un individuo, e non racchiude le altre qualit dello stesso soggetto, n tutto ci compreso nella nozione di quel principe; per contro Dio, vedendo la nozione individuale o ecceit di Alessandro, vi vede al tempo stesso il fondamento e la ragione di tutti i predicati che gli si possono attribuire con verit, (ad esempio, che vincer Dario e Poro): al punto di conoscervi a priori (e non per esperienza) se morto di morte naturale o di veleno, cosa che noi possiamo sapere solo dalla storia. Inoltre, quando si consideri bene la connessione delle cose, si pu dire che in ogni tempo si trovano nellanima d Alessandro i resti di tutto ci che gli

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Alessandro, dotato degli stessi predicati essenziali, che, facendo violenza al tempo, come ordine successivo, prima ha la meglio con Dario e poi non vince Poro: la serie scelta connessa sia in senso spaziale - coesistenza di determinati soggetti -, sia in senso temporale, come successione non reversibile, sia in senso causale, dove ogni azione produce certi effetti, tanto che mutarli significherebbe cambiare lordine causale, in base al quale la causa spiega leffetto e non, inversamente, leffetto la causa. La contraddizione si riproporrebbe se fossero contemporaneamente esistenti serie fra loro diverse e anche opposte, ma ci richiederebbe, al di la delle diverse caratteristiche proprie delle serie, la reversibilit temporale e quella causale che, invece, nella loro struttura immutabile, valgono a dare stabilit al mondo esistente e a porre sullo sfondo linquietante esistenza, anche se ideale, dei mondi possibili che, stando gli uni insieme con gli altri, sebbene siano fra loro incomunicabili e non trasportabili in insieme pi vasti - in modo da non rendere un mondo parte meno estesa di un altro che lo comprenderebbe come un organismo rispetto agli organi componenti -, possono esser rappresentati solo da Dio in modo non contraddittorio. Le serie fra loro opposte in taluni predicati, infatti, coesistono in un Dio come sfere, da un lato, fra loro chiuse e senza rapporto, dallaltro, egualmente presenti in modo immediato allintuizione divina che le vede contemporaneamente in tutti i loro diversi rinvii. 3. La contraddizione in una serie. Per trattare in modo pi esteso il tema della contraddizione in Leibniz, il caso di esaminare - distinguendola dalla contraddizione tra le infinite serie che luomo, diversamente da Dio, non pu superare - la contraddizione in una serie di cose, legata ai contrastanti rapporti che si vengono a porre fra gli enti di un mondo rappresentato da Dio. Da questo aspetto, da ribadire che la contraddizione, nellambito di una serie, appare anche in riferimento dellEssere supremo, quando questi, vedendo la serie e
accaduto, e i segni di tutto ci che gli accadr, e perfino tracce di tutto ci che avviene nell'universo: sebbene Dio solo sia in grado di riconoscerle tutte. Ibid., p. 111, (GERHARDT, Phil. Schr., VI, 433).

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linsieme dei soggetti con i loro diversi predicati, intuisce, ad esempio, fuori dalla mediazione temporale, un Cesare vivente e operante in certi modi in un determinato periodo della storia di Roma e un Cesare non vivente e non pi direttamente operante nella storia della Roma repubblicana. Cesare, seguendo lesempio, insieme vivente e non vivente nellintelletto divino che pare, in tal modo, cadere in contraddizione: la contraddizione dipende, in questo caso, da una caratteristica, propria di Dio, che, essendo eterno e fuori del tempo, vede ogni soggetto, con tutti i suoi predicati, che, non concepiti nella successione temporale, sembrano opporsi. I predicati, invece, non si oppongono se sono intesi nella successione temporale che non consente, a partire da un rapporto prima-dopo, la presenza simultanea, ad esempio, di uno stesso soggetto vivente e non vivente : la superiorit qualitativa di Dio nei confronti delluomo finisce, ciononostante, col far emergere una dimensione singolare e quasi inintelligibile nellEssere che, diversamente dalluomo, non intuisce un soggetto, poniamo Cesare, prima vivente e poi non vivente, ma un Cesare vivente e non vivente che egualmente presente nel suo intelletto. Il riconoscimento della indipendenza dal tempo, tipica di Dio, si riferisce alla concezione che, escludendo la successione temporale, intende lintelletto divino come un luogo privilegiato in cui esistono insieme tutti i soggetti di una serie - senza dimenticare che Dio vede tutte le infinite serie - con i rispettivi predicati, cio in funzione della teoria che interpreta lintelletto divino come ambito della coesistenza dei soggetti con tutti i loro predicati, come se fossero gli uni accanto agli altri, posti tutti su uno stesso piano, tale da far pensare pi a una dimensione orizzontale che verticale. Tale dimensione, poi, colta immediatamente da Dio che, negando il tempo come ordine successivo, intuisce insieme un soggetto determinato con certi predicati e la negazione dello stesso soggetto con gli stessi predicati, come se tutti i soggetti con i loro predicati fossero immutabilmente dati nel suo intelletto in eterna presenza, contrariamente al mutamento, proprio del tempo come successione, rappresentato dallessere finito, che, per quanto

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condizionato dalliniziare e dal finire inevitabile di ogni fenomeno, non cade in contraddizione : il tempo come successione, che un segno della collocazione finita e determinata delluomo e che lo limita ad apparire e sparire nel mondo, lo libera dalla contraddizione che pare ripresentarsi nella visione onnisciente con cui Dio vede contemporaneamente tutti i soggetti con i lori predicati e con ci che li nega. La contraddizione tra visione divina immediata ed eterna di tutti i soggetti con i loro predicati e natura umana finita e condizionata dal flusso temporale, volendo accentuare leternit sul tempo, l'immutabilit sul mutamento, linfinito sul finito, finisce col fare attribuire allessere finito, pur nei suoi inevitabili limiti, una caratteristica che, sebbene lo proietti verso la fine di ogni cosa, non viene riconosciuta allEssere perfetto che, al contrario, per la negazione della successione temporale, pare stare in una situazione statica in cui ogni soggetto, essendo presente, senza alcuna esclusione di predicati, anche opposti, fuori da ogni considerazione temporale, nel suo intelletto, manifesta una sorta di singolare coesistenza. All'agire aperto al non essere, come esito prevedibile di ogni iniziativa dell'essere finito che, non potendo uscire fuori dal tempo, in funzione del suo ritmo di prima e dopo, dove il dopo sempre, anche se collegato, diverso dal prima, si oppone l'immutabilit dellintelletto divino che, essendo eterno, ha tutto in s, come sempre eguale e continua presenza di quanto in esso contenuto. Tale interpretazione della visione divina, tuttavia, sebbene includa linsieme totale di una serie con i suoi molteplici predicati, intende, andando oltre la successione, propria di ogni essere finito, in un modo che sembra escludere ogni vitale mutamento, lintuizione con cui Dio coglie linsieme completo di una serie, come se tutti i soggetti fossero contemporaneamente allineati, gli uni insieme con gli altri, nel suo intelletto che darebbe pi rilievo alloggetto intuito che al modo di intuire che, nel caso dellEssere, come visto, non discorsivo e mediato dalla successione temporale. Affermare, ad ogni modo, che in Dio, in virt dal suo

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rappresentare in modo immediato e completo una serie, coesiste, tornando allesempio gi fatto, un Cesare vivente che opera in determinate maniere e compie alcune precise azioni nella Roma repubblicana e un Cesare non vivente che non agisce pi direttamente, ma indirettamente nella storia di Roma antica, significa intendere per semplice contrapposizione eternit divina e temporalit umana, immutabilit delle essenze rispetto a mutamento dellessere finito, laddove opportuno rilevare che una tale rappresentazione delleternit divina, con cui lEssere supremo coglie linsieme di una serie con tutti i soggetti e i relativi predicati, lascia necessariamente fuori aspetti che, pur essendo propri della coscienza temporale, tipica delluomo, mostrano una complessa vitalit. Sennonch, fra coesistenza nellintelletto divino di tutti soggetti con i loro predicati, anche opposti, - la presenza ed assenza, ad esempio, del predicato vivente attribuito e negato a un determinato soggetto - e successione dellintelletto finito che apprende nel tempo il mutamento dei predicati di uno stesso ente, forse opportuno indagare se pensabile una via diversa che eviti tanto leternit statica, quanto la temporalit nullificante, legata al trascorrere delle rappresentazioni che portano in modo progressivo al non essere, come cessazione inevitabile di ci che ha inizio nel tempo. Per andare oltre lopposizione tra visione eterna e immutabili di Dio e visione dinamica, ma finita, strettamente collegata al cessare di ogni evento, da porre in rilievo che la contraddizione attribuita a Dio e non alluomo in rapporto al modo con cui si intende leternit, nellintelletto divino, dei soggetti e dei predicati di un mondo ; infatti, se leternit in Dio concepita come coesistenza di un soggetto con i predicati e insieme con ci che li nega - Cesare vivente, come indicato, e Cesare non vivente -, allora si ha una rappresentazione quasi spaziale dellintuizione eterna divina, dove un soggetto con i predicati sta insieme con la sua negazione, assumendo l'aspetto di un oggetto posto accanto ad un altro, senza che fra questi vi sia una visione comprensiva in grado di superare lestraneit e la mera coesistenza che fanno pensare, in realt, a una somma di elementi

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distinti, situati gli uni accanto agli alti. All'uno dopo un altro, tipica della conoscenza umana che temporalmente strutturata, sembra opporsi l'uno accanto ad un altro della onniabbracciante intuizione divina che, essendo eterna e fuori del tempo, pare in rapporto a una non dinamica e immutabile presenza di tutta una serie nel suo insieme, posta entro lo stesso intelletto divino. Questa concezione della intuizione divina, che radicalizza eccessivamente lopposizione tra Essere ed ente, finisce col dare un'interpretazione adialettica della conoscenza immediata divina che, lungi dal rappresentare linsieme di tutta una serie, quasi fosse solo una somma di oggetti situati insieme in modo distinto, ha la capacit di cogliere tutti gli enti, con ci che loro inerisce, dove questi non vanno considerati come oggetti immutabili, collocati accanto in un ambito eterno, ma come enti che hanno entro la loro essenza quanto poi apparir nella successione temporale allessere finito : Dio non vede i soggetti situati gli uni accanto agli altri, ma i soggetti con tutte le diverse manifestazioni implicite nella loro natura, sicch i predicati, non essendo allineati fra di loro, sono entro i soggetti che li contengono implicitamente. Con termini diversi, esemplificando questo discorso, Cesare vivente e Cesare non vivente non si oppongono perch il soggetto Cesare inc1ude il predicato vivente e il predicato non vivente, essendo un essere finito secondo la sua essenza di uomo. L'idea di un Dio che intuisce tutti i soggetti di una serie, come se fossero oggetti allineati, collocati in uno stesso piano, d anche risalto, oltre a una concezione spaziale che fa leva sulla coesistenza, colta immediatamente dallEssere supremo, ad un aspetto che fa pensare alla rappresentazione compiuta non tanto da un essere infinito, quanto da un essere finito, di un oggetto esterno che viene considerato non nella sua interna struttura e nei rapporti che lo collegano ad altri oggetti, ma secondo ci che appare con pi evidenza ad una intuizione non profonda. Mettendo in rapporto il discorso fatto allidea di un intelletto divino, non condizionato dal mutamento dellente finito, ci comporta, ritornando all'esempio sopra fatto, che Cesare vivente e Cesare non vivente vengono concepiti come presenti,

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uno insieme con laltro, nellintelletto divino che fa pensare pi a un campo immutabile dato, che ha tutto entro di s, che a un modo di rappresentare un certo contenuto in una maniera non statica ; la descrizione di un oggetto, tuttavia, a parte il fatto che non aggiunge alcuna caratteristica che non sia gi entro lintelletto divino, oggettivamente concepito come luogo della coesistenza di tutti i soggetti di una serie, coglierebbe i soggetti della serie, gli uni con gli altri, senza porre in luce i nessi che li legano e il modo con cui questi sono in grado di renderli intelligibili insieme con tutti i predicati, anche quelli opposti. La rappresentazione divina, da tale aspetto, metterebbe in risalto un vedere esteso, anche se slegato, rivolto ai soggetti che sarebbero allineati e solo apparentemente compresi : la visione eterna di Dio, se fosse cos interpretata, presenterebbe una compiutezza che farebbe pensare pi a una e1encazione di oggetti, rispettivamente esterni, che a una reale comprensione in grado non solo di intuire una serie nel suo insieme, senza nulla escludere, ma anche di individuare i rapporti interni e quelli apparentemente esterni che la rendono una totalit quasi vivente e non astratta e priva di mobilit. La presenza non dinamica dei soggetti di una serie con tutti i loro predicati non pone in luce ci che li fonda e li muta da somma esterna, quasi giustapposta di elementi esteriori, che sembrano tutti, a1lo stesso modo, messi accanto - in insieme internamente articolato, non pi costituto da enti che coesistono in una non comprensiva intuizione divina. Per interpretare la visione intuitiva dellEssere, invece, i soggetti, a nostro avviso, non vanno considerati come se fossero dati esternamente e in un modo immutabi1e all'intelletto divino che tutti li contiene, ma come se fossero risultati che rinviano a un'attivit in condizione di renderli comprensibi1i, al di l dei limiti propri della teoria dell'inerenza dei predicati ai soggetti, che, accentuando il concetto di implicazione, pu ricadere in considerazioni statiche, gi indicate, a proposito dellintelletto divino, concepito come ambito della coesistenza di tutti gli elementi di una serie. In tal modo, affermare che i predicati di essere vivente e di essere non vivente, propri di una nozione, non sono fra loro in

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contraddizione perch nella stessa nozione che caratterizza un ente finito della serie decretata da Dio rispetto alle infinite ideate, predicabile la vita e la cessazione della vita, vuol dire superare la contraddizione con il rilievo dato alla natura di un soggetto e alle diverse manifestazioni in essa contenute che appariranno allente finito nel divenire temporale ; vuol dire, per, allo stesso modo, negare che nella conoscenza immediata di Dio vi sia, non essendovi intervalli temporali, un Cesare vivente e un Cesare non vivente : la teoria del soggetto concepito come fondamento dei suoi predicati si oppone alla contemporanea presenza, nellintelletto divino, della rappresentazione di un Cesare vivente e di un Cesare non vivente che, stranamente, sembrerebbero stare insieme, senza produrre effetti contrastanti nellEssere supremo. La comprensione divina, invece, seguendo 1'ipotesi interpretativa indicata, coglie insieme il processo e i risultati, dove i, risultati rinviano al processo che vi sta a fondamento : Dio non intuisce, come se fosse un osservatore esterno, una serie, da sempre data nel suo intelletto - concepito, come gi notato, anche come ambito della coesistenza di infinite serie fra loro diverse quasi avesse innanzi una somma di enti indipendenti gli uni dagli altri, legati, al massimo, da rapporti esterni, ma i soggetti entro la serie, dove i rapporti non sono esterni e soggettivi, ma strutturali e ontologici. Questi, infatti, rendono la serie pi vicina a processi organici, ordinati da un nesso parte-tutto, che a procedimenti aritmetici dipendenti dalla somma e dalla differenza degli elementi fra loro che, inevitabilmente, richiederebbero, pur nellambito della distinzione di un elemento dagli altri, una dimensione omogenea a fondamento dello stesso sommare e sottrarre e che espressa dalla capacit di quantificare, propria del soggetto. Dio vede la parte entro il tutto di una serie perch quella ha entro di s il tutto che, in tal modo, non tanto costituito da una somma di oggetti addizionabili o sottraibili, come termini di un'operazione aritmetica, quanto da un insieme complesso, dove la parte rinvia al tutto e, a sua volta, il tutto non astratto e indeterminato, individuato come dalle articolazioni delle parti che hanno un significato non tanto logico-formale, secondo la teoria dell'inerenza dei predicati ai diversi soggetti, quanto

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organico. La considerazione fatta muta il modo di intendere lintuizione che Dio ha di una serie, posta nel suo intelletto: al descrivere del soggetto finito che rimane fuori dell'oggetto rappresentato e che, se mai, gli gira intorno dall'esterno per individuare alcune note che appaiono con pi evidenza, fa contrasto il vedere entro dellEssere in grado di cogliere le note che viste da fuori, possono sembrare le une poste insieme con le altre - in modo articolato, tale da mutare le relazioni esterne in relazioni interne e la serie, come complesso di elementi addizionabili e sottraibili che rimangono fra loro diversi, in insieme strutturato secondo il nesso parte-tutto, dove il tutto non privo di relazioni o costituito da elementi slegati che possono, tutt'al pi, entrare in rapporti esteriori che non modificano la loro natura, caratterizzato com' da molteplici legami universalmente validi. Dio, secondo la prospettiva indicata, intuisce la parte nel tutto e il tutto fatto di parti essenziali, dove un mutamento, apparentemente secondario, finirebbe col cambiare lordine complessivo che, in tal modo, escluderebbe una distinzione tra aspetti essenziali e aspetti inessenziali, tra relazioni significative e fondanti e relazioni non significative e non fondanti che rimarrebbero sul piano di un rappresentare soggettivo e, come tale, non ontologicamente strutturato, al di l della diversit degli esseri finiti. In base alla prospettiva emersa, la visione con cui Dio intuisce una serie nel suo complesso viene interpretata in modo improprio, se gli elementi dell'insieme coesistono gli uni accanto agli altri nellintelletto divino, quasi fossero risultati concepiti fuori del processo che li fonda, in modo pi appropriato, se gli elementi della serie appaiono come se fossero tappe di un processo che li rende intelligibili, quando per tappe di un processo non si intendono risultati giustapposti, conosciuti in modo non dinamico e fra loro indipendenti, tutt'al pi collegabili con nessi esterni che non mutano la loro irrelata presenza, ma i termini di un'attivit ad essi sottesa. Ci significa che l'Essere supremo coglie una serie come se

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fosse un processo unitario - cercando di rappresentare, da una prospettiva finita, la contemporanea validit nellEssere, che per l'uomo rimane solo parzialmente intel1igibile, di unit e molteplicit, identit e distinzione, permanenza e mutamento, coesistenza e durata - che produce molteplici e complesse manifestazioni che non stanno in modo non connesso nel suo intelletto, quasi fossero oggetti collocati insieme in un campo ideale che li conterrebbe tutti, senza, per, realmente unificarli. Si potrebbe, nondimeno, a quanto detto obiettare che la serie verrebbe intesa, una volta concepita in funzione di unattivit che porta a determinati risultati, come un processo nel tempo : la serie immutabile in Dio diventerebbe serie temporale, connessa pi a un essere finito che a un Essere assoluto, fuori dai condizionamenti di prima e dopo, propri di ogni successione. Ci nonostante, pur riconoscendo la complessit della considerazione, non si pu negare che nellEssere la coesistenza di quanto contenuto nel suo intelletto, per essere in qualche modo intelligibile all'essere finito, richiede anche la durata, con il vantaggio che la sola coesistenza di elementi entro l'intelletto divino pu portare alla contraddizione e a una posizione statica, mentre la coesistenza, insieme con la durata, supera la contraddizione indicata alla luce di una rappresentazione dinamica che, pur riconoscendo leternit del1'Essere, in qualche modo, seppure in una maniera per l'uomo oscura, gli attribuisce uninterna complessit. La coesistenza immediata, del resto, intesa a scapito della durata eterna o la durata eterna a scapito della coesistenza immediata rivelano, a nostro parere, rappresentazioni astratte dellEssere che non colgono i rapporti che collegano lunit alla molteplicit, lidentit alla diversit, leternit alla vitalit, caratteri questi che, pensati in relazione, diventano cifre, quandanche approssimative, dellEssere e che, invece, pensati fuori dal loro nesso, cadono in interpretazioni indeterminate. Tornando a Leibniz, se vero che, mettendo in luce lesempio fatto dal filosofo ad Arnauld, Adamo il primo uomo

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posto nel Paradiso terrestre11 che , come tale, immutabile anche per Dio - primo uomo una nota che Adamo non potr non avere, se rappresentato in un mondo - anche vero che lAdamo degli infiniti mondi e lAdamo scelto da Dio nel mondo esistente, sebbene siano eterni, non sono eterni allo stesso modo dellAdamo concepito come primo uomo. Ne1 primo caso, Adamo, come primo uomo, entro l'intelletto divino, nel secondo, i diversi Adami, anche se sono eterni, richiedono l'agire di Dio che rappresenta i differenti Adami e ne decreta uno all'esistenza. Sia l'Adamo come primo uomo - predicato essenziale - che gli Adami dei mondi possibili - che hanno altri predicati, oltre quelli essenziali - sono immutabi1i, solo che l'immutabilit dei predicati essenziali di una nozione diversa dallimmutabilit dei predicati accidentali e necessari soltanto nei mondi rappresentati e in quello scelto. Fra l'Adamo inteso come primo uomo e gli altri Adami dei mondi possibili non c implicazione, ma rinvio a un'azione dell'Essere rappresentativa, combinatrice ed esistenzializzante che porta all'attuazione del mondo decretato. Leternit e la compiutezza della visione dell'Essere non tolgono, come visto, la possibilit di sostenere una qualche attivit dinamica che, se non porta a diversit e novit non immediatamente viste dallEssere, non porta, parimenti, a concezioni statiche e adialettiche: gli Adamo possibili e quello esistente non sono inclusi nellAdamo inteso sub ratione generalitatis. La teoria dellinerenza, alla luce di quanto detto, andrebbe considerata anche distinguendo un'inerenza assoluta, pure se non conosciuta interamente dall'uomo, da un'inerenza relativa allEssere - le nozioni con i predicati non essenziali - che pone in risalto un operare combinatorio che rimane sempre trascendente per lessere finito. L'interpretazione dinamica dell'intuizione con cui Dio ha presente linsieme di una serie nel suo intelletto, che ha il vantaggio di superare la contraddizione che sorgerebbe dal considerare taluni risultati, indipendentemente dal processo che sta
11 GERHARDT, Phil. Schr., II, 42.

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a loro fondamento, finisce, tuttavia, con l'incontrare un ostacolo non facilmente aggirabile e che legato alla negazione del tempo, come successione di prima e dopo dallintuizione divina : la serie come processo unitario, in grado di escludere una comprensione spaziale, che d rilievo alla eguale compresenza di tutti gli elementi dellinsieme, che pare assumere un significato dinamico pi vicino, come indicato, ai processi viventi che ai campi astratti e formalizzati in cui vale unomogeneit essenziale, tale da far perdere, insieme con l'articolazione dell'insieme, la distinzione degli elementi rispetto a una loro possibile, astratta combinazione - non conserva la dinamicit che pure sembrava individuarla in rapporto all'intelletto divino. Se, infatti, lintuizione divina non rende possibile il tempo come successione, dove il dopo dipendente dal prima e il prima essenziale per capire il dopo, allora gli elementi di una serie, intesi come risultati di un agire eterno, ricadono in una prospettiva statica che pure pareva essere stata superata col concepire i componenti della serie come termini di unattivit dinamica: i risultati rinviano a un processo, ma il processo, essendo eterno, immutabile insieme con i risultati cui pone capo, che, pertanto, non sono aperti al nuovo e al non ancora, propri, invece, dellessere finito che, vivendo nel tempo, come mutamento continuo, si proietta verso un futuro che da venire, seppure incerto e non garantito. Tenendo ci presente, ad ogni modo, dalle considerazioni fatte - si pensi, in questo ambito, all'operazione del distribuire, compiuta dalla saggezza divina nella Teodicea, che pone i possibili, insieme con i loro predicati, in sistemi universali internamente ordinati e coerenti 12 - appare chiaramente che Dio supera la contraddizione in una serie quando l'affermazione e la negazione di uno stesso predicato riguardante un soggetto vengono concepiti non come termini fuori e indipendenti da un processo, in condizione di renderli intelligibili, ma come sviluppi di uno stesso processo che, fondandoli, non cade in contraddizione. In tal modo, tornando all'esempio gi portato, i predicati di
12 Ibid., VI, 252.

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essere vivente e non vivente, propri di Cesare, si oppongono solo se non si tien conto della natura di questo soggetto che ha in s predicati opposti, che, per, appartengono alla sua natura finita che appare e poi apparentemente scompare nella storia di Roma repubblicana - visto che una serie, una volta posta, immodificabile in tutti i suoi singoli elementi - in una determinata connessione di cose, scelta da Dio, che intuisce quanto in essa contenuto secondo i suoi decreti. Dalla coesistenza estrinseca dei risultati, che fa pensare ad un allineamento quasi orizzontale di elementi in cui l'accentuazione di uno fa diventare problematica la presenza degli altri, e da una descrizione che, rivolgendosi ai risultati, li intende dall'esterno, come dati e privi di nessi fra di loro che, invece, collegandoli, li individuano, si ha, con l'interpretazione della visione divina, considerata come attivit volta a cogliere i risultati entro il processo che li fonda, un modo di intuire diverso e immediato in condizione, evitando ogni possibile giustapposizione di elementi appartenenti a una serie e non ad altre, di rendere impensabile la contraddizione in una serie. La contraddizione in una serie indica la coesistenza di soggetti e predicati considerati in modo slegato, il superamento della contraddizione, al contrario, manifesta la comprensione dei risultati colti in modo connesso, come tappe parziali, almeno per l'uomo, di un movimento che d vita a determinate manifestazioni, non in contraddizione con ci che sta alla loro origine. Quanto, poi, alla considerazione sopra fatta che il processo, insieme con i risultati, eterno e immutabile perch il divenire gi un divenuto e il movimento, come mutamento di un elemento da una situazione, prima logicamente individuata con taluni predicati, ad un'altra, successivamente apparsa e conosciuta, almeno per il soggetto finito, mediante altri predicati, talvolta opposti, solo apparente, da aggiungere che sia lo spazio che, soprattutto il tempo, pur riconoscendo leternit della visione divina, vanno interpretati in rapporto alla rappresentazione dei mondi, propria dellEssere supremo, che coglie in modo intuitivo le diverse serie di cose che si diversificano fra loro non solo per le differenti essenze, presenti nelle serie, ma anche per l'ordine fra le essenze che caratterizza

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ciascun mondo rispetto agli altri. Da tale aspetto, anche se lintuizione divina eterna ed immutabile, ci non toglie che lEssere, intuendo ogni mondo nel suo particolare ordine, fa riemergere la funzione del tempo che, non costituendo, in questo caso, una condizione del soggetto finito, rivela al contrario, una struttura ontologica che, stando a fondamento di ogni serie, in grado di individuare un insieme dagli altri e di riaffermare il rapporto mondi-Essere supremo nel pensiero di Leibniz. Resta, ad ogni modo, da rilevare - tenendo presente che il fondamento appare, nell'ambito del principio di ragion sufficiente, sia come ragione del diverso, sia come articolazione dellidentico, quando il diverso entro e non fuori dellEssere - il nesso che lega il fondamento assoluto al tempo che, ontologicamente concepito, appare in Leibniz come struttura essenziale dei mondi possibili.

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