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i discorsi dei media siano a tal punto incisivi da produrre un cortocircuito tra
divulgazione e ricerca.
[2 Baudrillard (1991) in un saggio divenuto celebre riflette sul significato del rapporto tra la Guerra del
Golfo e la sua copertura mediatica, giungendo alla conclusione che quella guerra non è mai stata
combattuta. Baudrillard gioca sul paradosso. Non intende dire che la Guerra del Golfo a non essere
mai stata combattuta è quella reale, ma quella che il telespettatore e il lettore della carta stampata
hanno potuto ricostruire. Quella guerra esiste solo nella rappresentazione discorsiva che i media ne
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M,TOLOGIE
DELlARETE 33
che con tutte le loro implicazioni anche, in largo senso, repressive (nella misura
in cui restavano necessariamente trascendenti}' (Vattimo, 1987, p. 33).
Il problema è che la «costruzione del mondo» in cui le scienze umane e sociali
sono impegnate (insieme ai media, i cui discorsi, come abbiamo visto, cortocircui-
tano con esse) invece di favorire I'autotrasparenza predispone la sua negazione.
13Nietzsche intitola così uno dei caDitoli del CreDuscoJo deali idnli
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contrappone (ed è quindi irrazionale) si può riconoscere nella vicenda di Ulisse. «II
lungo errare da Troia ad Itaca -si legge ancora nella Dialettica dell'illuminismo
-è l'itinerario del soggetto, infinitamente debole, dal punto di vista fisico,
rispetto alle forze della natura, e che è solo in atto di formarsi come autocoscienza
-l'itinerario del se attraverso i miti. Il mondo mitico è secolarizzato nello spazio
che egli percorre, i vecchi demoni popolano i margini estremi e le isole del
Mediterraneo civilizzato, ricacciati nelle rocce e nelle caverne da cui uscirono un
giorno nel brivido dei primordi. Ma le awenture danno a ciascun luogo il suo
nome; e il loro risultato è il controllo razionale dello spazio» (Horkheimer e
Adorno, 1947, p. 54) .Gli strumenti attraverso i quali I' eroe afferma questo
controllo sono l'astuzia e la parola. L'astuzia- che consente a Ulisse di passare
indenne davanti alle Sirene e di partire da Circe -costituisce la sfida e I'aggira-
mento nei confronti del mondo mitologico: Ulisse si prende gioco degli dei, cioè
afferma l'ordine razionale su quello simbolico. Un'operazione che appare chiaris-
sima nell'episodio di Polifemo, quando l'astuzia si serve del nome per andare a
segno: la rivelazione del nome, Odisseo, mentre rivela inganna, perche udeis, in
greco, significa Nessuno. Ulisse, mentre usa la parola per designare la cosa
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spiegazione ingenua e fantastica del mondo tipica della religione e della metafisica
da quella rigorosa e matura della scienza. La logica del «disincantamento del
mondo» grazie alla quale Max Weber ricostruisce lo sviluppo razionalizzante
dell'Occidente è ben leggibile, qui, nell'idea positivista del progresso inteso come
la graduale espulsione del religioso e dell'irrazionale in favore di tutto ciò che è
positivo, cioè riscontrabile e misurabile. Una prospettiva analoga viene assunta
come criterio di interpretazione storica dalla storiografia filosofica che proprio
nell'Ottocento muove i suoi primi passi con La filosofia dei greci nel suo
sviluppo storico di Zeller. Il presupposto hegeliano ritorna nell'opera di Zeller e
si applica al rapporto tra filosofia presocratica e sistemazione platonico-aristote-
lica che viene letto nei termini di un progressivo abbandono del mito {che si
manifesta nelle immagini naturalistiche dei filosofi ionici come nella visione
parmenidea di una dea che rivela al filosofo la «via della verità») verso le forme
tipiche del ragionamento filosofico e cioè il concetto e l'argomentazione. Un
pregiudizio che viene fatto proprio su larga scala dalla cultura occidentale e
diviene criterio di discriminazione tra culture evolute e non evolute, capaci di
pensiero razionale le prime, «ferme» al pensiero mitico le seconde.
Questa dialettica si comprende se si riflette brevemente sul dispositivo del
pensiero mitico. Esso affida all'immaginazione il compito che la razionalità
scientifica affida alla comprensione:
Il razionalismoche propone un messaggiova dritto allo scopo, seguequella
via recta la cui efficacia ci è ben nota. Del tutto diverso è l'agire incerto
dell'immaginario. Essoci guida ad un sapere raro. Un sapere che, allo stesso
tempo, mostra e nascondeciò che comunque descrive.Un sapereche, dietro
agli arabeschidelle metafore, custodisce,agli occhi delle menti raffinate, verità
multiple. Un sapere che lascia ad ognuno il compito di svelare, cioè di
comprendere da e per se stessiciò che è opportuno scoprire. In un certo senso
si tratta di un sapere iniziatico. (Maffesoli, 1996, pp. 30-31)
La logica del mito è quella della traccia e dell'indizio, dell'immagine che cela
mentre svela: ne sono emblema l'immagine di Eraclito che parla da dietro una
tenda o il dire oscuro e densamente simbolico dello Zarathushtra di Nietzsche. Se
i confini dell'anima non potranno mai essere trovati perche il suo logos è troppo
profondo, come suggerisce Eraclito, forse la modalità più adatta per dirne qual-
cosa non è quella definitoria del concetto ma quella allusiva della parola poetica,
del mito. Mentre la razionalità scientifica persegue l'evidenza, il mito gioca sul
chiaroscuro, dove è più ciò che rimane nascosto di quanto non si possa vedere.
A partire dal secolo XIX il mito e la cultura che da esso promana vengono
sottoposti a svariate interpretazioni, tra cui almeno tre si segnalano per la loro
capacità di imporsi nel circuito culturale.
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racconti giornalistici delle sue imprese, I' investitura che le proviene dai discorsi dei
tifosi, I'aura che attorno ad essa viene allestita da questi e da quelli. La pura
materia -I' auto rossa, meccanicamente perfetta, esteticamente apprezzabile -
non sarebbe sufficiente a costituire il mito se non a partire da un uso sociale che
di essa viene fatto e che passa attraverso la produzione discorsiva che la riguarda.
Se si pensa a questo rapporto che lega la materia del mito e i suoi usi
(linguistici) si comprende anche perche, secondo Barthes, il mito si iscrive nello
spazio della storia e non in quello della natura. Nella misura in cui l'oggetto
mitico è reso tale dalla parola, risulta abbastanza facile comprendere come
qualcosa che è mito per un' epoca possa non esserlo per un' altra, che potrà invece
sostituirgliene altri:
Si possono concepire miti molto antichi, non ne esistonodi eterni; perche
è la storia umana che fa passareil reale allo stato di parola, ed essasola regola
la vita e la morte del linguaggio mitico. Lontana o no, la mitologia può avere
'solo un fondamento storico, perche il mito è una parola sceltadalla storia: il
mito non può sorgere dalla «natura»delle cose. (Barthes, 1957, p. 192)
(significato), diviene segno di amore e passione; l'altro esempio è quello del sasso
nero (significante), di per se privo di senso fino a quando gli viene attribuito un
significato (la condanna a morte in una votazione anonima) che 10rende segno di
quella condanna. La stessa struttura triadica può essere verificata in fenomeni
linguistici molto diversi fra loro, dal linguaggio ordinario, alla letteratura, al
linguaggio dei sogni e della psicologia clinica.
14 Dato che, in virtù del raddoppiamento della catena semiologica, ci si trova ad aver a che fare con
due significanti, due significati e due segni, Barthes suggerisce di differenziare la terminologia con
cui indicare gli stessi termini nel caso del mito. Così, il significante (che corrisponde al segno sul
piano della lingua e definisce il senso della significazione su quel piano) viene definito forma del
mito; il significato prende il nome di concetto; il terzo termine viene designato come significazione.