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Verso e oltre il 27 ottobre

Laboratorio Politico Iskra www.laboratoriopoliticoiskra.org iskrassociazione@gmail.com Napoli, Ottobre 2012


________________________________________________________________________ Mentre ogni giorno le agenzie di statistica ufficiali e i centri studi padronali o governativi continuano a sciorinare cifre e percentuali che, per quanto edulcorate e ammorbidite, dipingono scenari agghiaccianti sulle proporzioni della crisi economica e finanziare e sulle sue ricadute sui portafogli e nelle vite di milioni di proletari, i riflettori della politica istituzionale sono tutti puntati sulla nuova Mani Pulite. Questa operazione di repulisti giudiziario serve da un lato a sferrare il colpo di grazia alle ultime roccaforti dell 'ancien rgime berlusconiano (su tutte Lazio e Lombardia), dall'altro prepara il terreno all'ennesima operazione gattopardesca da parte di una classe dominante sempre pronta a liberarsi degli impresentabili per far spazio a presunte facce nuove che siano capaci di donare una parvenza di pulizia e trasparenza ad una macchina amministrativa che per sua stessa natura, e con buona pace di moralisti vecchi e nuovi, non potr mai essere meno putrida e meno corrotta di quanto lo sia quel sistema del profitto e dell'accumulazione di capitale che della politica e dei partiti istituzionali allo stesso tempo il mandante e il principale azionista. Il ricambio generazionale, tanto caro a Renzi, alla Marcegaglia e invocato ad ogni istante dai grillini, altro non che una sapiente strategia di marketing studiata a tavolino in vista delle oramai prossime elezioni politiche, nel disperato tentativo di evitare lo spettro di un astensionismo di massa e di mitigare la rabbia sociale montante contro le politiche di austerity e di macelleria sociale portate avanti dal governo-Monti e imposte dalla Troika Ue-Fmi-Bce. Gli eventi delle ultime settimane offrono spunti interessanti sugli scenari prossimi futuri e sullo stesso dopo-Monti: in vista delle oramai prossime elezioni, la Cgil scende in campo per tirare la volata a Bersani (se poi sar Renzi, o Vendola, non fa differenza...) chiamando i propri iscritti al presidio-parata del 20 ottobre sulla base di una piattaforma che identica a quella di Confindustria: sin qui nulla di nuovo, dato che oramai da anni che la gran parte dei dirigenti della Cgil e una fetta consistente dei rappresentanti dei padroni sono uniti sotto le insegne del PD. La novit invece rappresentata dalla contro-svolta dei vertici della Fiom, i quali dopo aver recitato per quasi cinque anni il ruolo di ala dura e intransigente all'interno del sindacalismo confederale, ora si allineano in tutto e per tutto alla Camusso e iniziano una pulizia etnica interna nei confronti dei dissidenti. In realt il nuovo corso di Landini e soci pu sorprendere e deludere solo chi (ed erano in tanti anche all'interno della sinistra di classe) si era in questi ultimi mesi illuso che il dissidio tra Cgil e vertici Fiom fosse autentico e non, come abbiamo sempre ritenuto, studiato a tavolino al fine di governare il malcontento e la rabbia (questa s, autentica) della base metalmeccanica. Peraltro, in clima di primarie e di giuramenti solenni sull'unit di un possibile e imminente governo PD-SeL, non poteva non pesare l'ipoteca posta dal partito di Vendola su Landini e su buona parte del gruppo dirigente Fiom... A pagare queste manovre sono ancora una volta gli operai, come dimostrato da quanto sta avvenendo alla Fiat all'indomani dell'ennesimo voltafaccia di Marchionne: mentre

quest'ultimo si rimangia persino il piano schiavistico Fabbrica Italia e torna a minacciare la chiusura degli stabilimenti con la sua solita arroganza, i vertici Fiom, invece di chiamare alla mobilitazione le migliaia di cassintegrati e di operai espulsi dalla fabbrica (molti dei quali suoi iscritti), preferisce limitarsi a qualche comunicato-stampa in cui dichiara di proseguire la lotta... a colpi di ricorsi e di carte bollate... Fortunatamente, non tutti gli iscritti Fiom si sono lasciati convincere che i loro diritti possano essere fatti valere solo in un'aula di tribunale, e negli scorsi giorni hanno ripreso insieme ad altri operai i presidi e picchetti ai cancelli, sia a Pomigliano che negli altri stabilimenti. Segnali analoghi di lotte portate avanti fuori e contro la cappa confederale ce ne sono svariati in tutta Italia (su tutti la lotta esemplare degli operai della logistica in diverse aziende della Lombardia e dell'Emilia). Si tratta tuttavia ancora di eccezioni. Il malcontento generale ma stenta a tradursi in forme di resistenza che superino la soglia considerata dai padroni come fisiologica date le dimensioni del dramma sociale cui assistiamo: migliaia di crisi aziendali; il record di ore di cassa integrazione che ogni anno supera quello precedente; centinaia di migliaia di licenziati e milioni di disoccupati vecchi e nuovi; un esercito di precari tenuto buono dalla Fornero con la promessa di qualche briciola per impedire che la rabbia di milioni di lavoratori scippati della propria pensione si saldasse con quella di chi una pensione non la vedr mai (per poi vedersi negato anche quelle stesse briciole); per non parlare della distruzione del sistema sanitario nazionale con ticket che aumentano e ospedali che cadono a pezzi a causa dei tagli, lo sfascio del trasporto pubblico nazionale e locale, la scuola pubblica che viene letteralmente dismessa e svenduta al miglior offerente privato, con insegnanti e lavoratori umiliati con un concorsone-truffa e milioni di studenti lobotomizzati attraverso il delirante sistema delle prove Invalsi, e in ultimo una questione abitativa (con un aumento degli sfratti, fitti alle stelle e mutui da rapina) che assume sempre pi i connotati di una vera e propria emergenza sociale. Gli ingredienti per un'esplosione sociale di dimensioni almeno pari a quelle viste in Grecia e Spagna ci sarebbero tutti, invece la risposta di classe continua ad essere del tutto inadeguata alle dimensioni dell'offensiva condotta dai padroni. Nelle fabbriche e negli stabilimenti in crisi permane un atteggiamento prevalente di difesa dell'esistente (il pi delle volte limitato alla mera difesa del posto di lavoro, finanche quando quest'ultimo sinonimo di livelli di sfruttamento inauditi e salari da fame): mobilitazioni a singhiozzo e nelle quali il pi delle volte alla lotta e al conflitto si sostituisce la disperazione e un ostentato senso d'impotenza (vedi la moda delle arrampicate sui tetti e sulle gru o addirittura gli atti autolesionistici degli operai dell'Alcoa). Questo persistente e prolungato torpore, lungi dall'essere ascrivibile a fattori di natura sociologica o a una presunta mutazione genetica del proletariato nostrano rispetto ai formidabili anni '60 e '70, a nostro avviso affonda le sue radici nel ventennale lavoro di pacificazione e di disarmo svolto dai vertici del sindacalismo confederale e dalle sinistre parlamentari e di governo: un lavoro assiduo e costante che, a colpi di concertazione, riforme anti-operaie, accordi-bidone, cedimenti di ogni tipo alla controparte padronale, manifestazioni-processione usate come foglia di fico per nascondere le peggiori nefandezze compiute sulla pelle degli operai e della classe lavoratrice e dare un parvenza conflittuale a condotte servili e subalterne ai padroni, riuscito nel suo intento di anestetizzare la classe lavoratrice e renderla incapace di opporsi ai disegni della controparte. Quella stessa classe che fino al 1980 aveva turbato i sogni della borghesia italiana, dopo la sconfitta si trovata ingabbiata per un quarto di secolo dall'egemonia culturale di un riformismo senza riforme, implementando un senso di sfiducia crescente nella lotta e nel conflitto: una vera e propria ideologia della passivit che stata diffusa e profusa a piene

mani dalle direzioni maggioritarie sia politiche che sindacali, e che queste ultime tentano di trasmettere ancora oggi ogni qual volta sui luoghi di lavoro e del conflitto si tenta di rialzare la testa in maniera autonoma dai loro apparati di controllo burocratico. Eppure, indubbio che nell'ultimo decennio la morsa del riformismo e del sindacalismo collaborazionista sul tessuto di classe si sia notevolmente allentata: l'evoluzione definitiva del PdS-DS-PD verso un soggetto politico apertamente liberal-padronale; la crisi politica ed elettorale di una sinistra radicale da sempre avvezza a stare con un piede in due scarpe pur di mantenere le poltrone parlamentari; l'evidente perdita di peso delle stesse Cgil-Cisl-Uil (le quali pur di dare il beneplacito a ogni disegno padronale hanno contribuito a delineare un mercato del lavoro in cui il 60% dei lavoratori pressoch impossibilitato a iscriversi a un qualsiasi sindacato) e in ultimo il contesto di crisi internazionale che obbliga la borghesia a gettare la maschera e ad imporre il proprio dominio nelle forme pi sfacciate e brutali senza pi alcuna parvenza di compromessi n fronzoli democratici, sono tutti elementi utili, almeno potenzialmente, a liberare forze per troppo tempo imprigionate nello schema riformista-concertativo e restituire alla classe una capacit di iniziativa autonoma. Quest'apparente contraddizione tra la maturit oggettiva della trasformazione rivoluzionaria (da un lato la crisi economica generale, dall'altro, almeno in Italia, la crisi del riformismo in tutte le sue varianti) e l'inadeguatezza soggettiva della classe sfruttata, costituisce in realt la prova pi evidente di come le scienze sociali non ammettano facili equazioni aritmetiche e siano avulse da ogni determinismo e schematismo. Per quanto qualcuno all'interno dell'area comunista tenti di trasformare il marxismo (e il leninismo) in un facile formulario capace di garantire l'edificazione di un socialismo sempre visto dietro l'angolo, la realt materiale sempre pi complessa di ogni dogma e di ogni fascinazione emozionale. Detto in parole povere: 1) all'aumento della crisi e dello sfruttamento non corrisponde automaticamente una radicalizzazione dei comportamenti di classe, almeno fin quando quest'ultima continua ad essere influenzata da lunghi cicli di riflusso e di sconfitte patite in precedenza; 2) alla crisi del riformismo non corrisponde automaticamente il rilancio delle soggettivit anticapitaliste e comuniste, soprattutto qualora (come accade oggi) queste ultime si presentino frammentate, litigiose, dominate da personalismi, leaderismi e sterili logiche da orticello, e soprattutto incerte sul da farsi e incapaci di rompere una volta e per tutte con le logiche di realpolitik sedimentate in decenni di eclettismo, di opportunismo e di elettoralismo senza principi. Se non si tiene conto di questi due semplici dati oggettivi si finisce inevitabilmente per scambiare lucciole per lanterne, ingannando se stessi e soprattutto la classe che ogni comunista dice di voler rappresentare. Queste considerazioni, che per alcuni compagni potranno apparire pedanti, per altri disfattiste, per altri ancora forse finanche scontate, sono a nostro avviso essenziali per chiarire lo spirito e le modalit con cui prenderemo parte ai futuri appuntamenti di piazza, ivi compreso il No Monti Day del prossimo 27 ottobre. Tale appuntamento ha senz'altro il merito riempire il totale vuoto di opposizione al governo tecnico nazionale, proponendosi nelle intenzioni degli organizzatori come principale momento di coagulo e di raccordo per quella miriade di vertenze spalmate sul territorio e finora incapaci, per le ragioni sopra esposte, di dotarsi di strumenti efficaci e coordinati di lotta.

Un atto senz'altro dovuto, se si pensa che, con la sola lodevole eccezione degli studenti medi scesi in piazza due settimane fa in maniera conflittuale in tutte le principali citt, quest'autunno, preannunciato ancora una volta come rovente, ad oggi sembra pi tiepido che mai. Ci sembra per che anche questa volta, come gi accade da anni, sia alto il rischio che anche questa giornata, invece che contribuire a sedimentare quei collegamenti dal basso quanto mai necessari per una reale ripresa del conflitto, finisca per risolversi in un evento fine a se stesso ad uso e consumo degli organizzatori, e al termine del quale, come si usa dire a Napoli passata la festa, passato il Santo.... Senza tornare troppo indietro nel tempo, tutti abbiamo ancora impresso il ricordo della giornata del 15 ottobre 2011: una manifestazione che doveva servire a lanciare l'autunno caldo e che si risolse in un'indegna caccia all'uomo nei confronti di chi, seppur in maniera spontanea e con modalit a tratti discutibili, aveva osato disturbare il manovratore (leggi finta opposizione parlamentare) e provato a fare come in Grecia e in Spagna. Il deserto sociale e l'ulteriore frammentazione che sono scaturite da quel disastro lo osserviamo ancora oggi... Se fino allo scorso anno assistevamo a un moltiplicarsi di manifestazioni e di scioperi nazionali (per quanto il pi delle volte autoreferenziali e di bandiera) ora il 27 Ottobre viene percepita come l'ultima spiaggia per risollevare il movimento nostrano dalle secche della passivit e dell'isolamento localista. Sia chiaro: non si tratta di fare il tifo per una forma di lotta rispetto ad un altra, n tanto meno di dividere il movimento in buoni e cattivi usando come metro il tasso di radicalit espresso in piazza, poich in questo caso finiremmo per subire, seppur in maniera speculare, gli stessi parametri di valutazione fatti propri dal riformismo e dal pacifismo piccolo-borghese. Il punto (e il dilemma) tutto politico: il 27 ottobre vuole essere un'occasione per lanciare una piattaforma di lotta ad ampio raggio che miri a rispondere ai piani del governo e del padronato, o vuole essere semplicemente un ennesimo evento-vetrina funzionale a possibili scorciatoie elettoraliste? A partire dal 28 ottobre, i sindacati e le sigle promotrici intendono tornare sui propri territori dando vita a forme di coordinamento e collegamento stabili ed autoconvocate (dunque senza alcuno sponsor sindacale n padrino politico) tra le lotte e le vertenze dei lavoratori, dei precari e dei disoccupati al fine di un mutuo rafforzamento, o ognuno torner nei limiti angusti delle proprie quattro mura, fiero delle rispettive parrocchie e/o della propria giusta linea? E soprattutto: il 27 ottobre vuole essere l'occasione per porre, con realismo ma anche con determinazione, la necessit ineludibile di un vero sciopero generale che sia davvero capace di bloccare segmenti consistenti di produzione contro le politiche di austerity e contro le manovre lacrime e sangue in vigore in tutta Europa, oppure il tutto si ridurr alla riproposizione di qualche campagna di opinione che (come dimostra la vittoria di Pirro dei referendum sull'acqua il cui esito stato puntualmente calpestato nelle aule parlamentari) finiscono per non sortire alcun risultato finanche su un mero terreno vertenziale? Nei nostri quesiti non vi alcuna retorica, bens la convinzione che non sar certo con un singolo evento, pi o meno riuscito, che riusciremo a tirarci fuori dal guado. In questi anni vi sono state miriadi di appuntamenti che si proponevano di essere il punto di svolta, salvo scoprire che gi a distanza di qualche giorno esse non avevano lasciato la bench minima traccia nell'agenda delle lotte sociali. La stessa Rete No debito, cui aderiscono gran parte dei promotori del corteo del 27 ottobre, si fin da subito configurata come l'ennesimo intergruppo circoscritto alla mera sommatoria dei rispettivi orticelli, privo di una comune piattaforma rivendicativa e la cui

stessa richiesta del non pagamento del debito appare spesso astratta e confusa ( completamente assente qualsiasi riferimento alla natura di classe dell'attuale debito pubblico e delle modalit con cui il governo si serve della leva di ricatto del debito per condurre una vera e propria guerra antiproletaria; non si capisce se si chiede il rifiuto del debito o la moratoria; non chiaro se si tratta di una richiesta da fare a questo o al prossimo governo o di una parola d'ordine attorno alla quale costruire percorsi di lotta reali): in sintesi, l'involucro del No debito, al di l di qualche evento del tutto simbolico (come la giornata contro Equitalia), si dimostrato incapace di rappresentare un vero punto di riferimento per le lotte e per le vertenze. Noi pensiamo che lo stato dell'arte con cui dobbiamo fare i conti quotidianamente ci impone di voltare pagina rispetto all'andazzo attuale. Per questo negli ultimi mesi abbiamo scelto, nel quasi totale isolamento, di investire il nostro tempo e la nostra militanza nella costruzione di forme embrionali di collegamento delle lotte reali, indipendentemente dalle appartenenze sindacali o politiche, fuori e contro ogni logica di orticello o di parrocchia, poich a nostro avviso il compito primario dei comunisti oggi quello di ricomporre il puzzle disarticolato delle molteplici soggettivit di classe, e restituire protagonismo a coloro che pagano il prezzo della crisi e lottano (purtroppo finora ognuno a modo suo e per conto suo) per la difesa del posto di lavoro, per la garanzia del salario, per il diritto alla casa, ai servizi sociali e contro precariet e disoccupazione. Un lavoro ostico e insidioso, destinato a dare i suoi frutti pi in prospettiva che nel breve periodo, per i cui obiettivi non servono n esitazioni, n scorciatoie. Ottobre 2012 Laboratorio Politico Iskra

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