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Pruensa

Pruensa23 era un omettino sparuto e fragile, gentile e timoroso


G·LQIDVWLGLUHDQFKHO·RPEUDGHOOHSLDQWH'RYHDELWDVVHQRQVLVDGL
preciso: lo si vedeva sovente sulla passeggiata a mare,
accompagnato dalla fedele chitarra ² ordinatamente riposta in una
custodia che Pruensa teneva per mano, delicatamente, come fosse
un bambino piccolo ² e da un cagnolino del tutto identico a lui:
come lui arruffato, minuto e timido, come lui disposto ad
appartarsi e svanire per non dar noia.
Entrambi color del gorgonzola, era un piacere vederli, Pruensa e il
cane: Pruensa si sedeva lievemente, dopo essersi voltato a
chiederle scusa, su una panchina in faccia al mare; il cagnino, che
si chiamava Perpignac, dopo aver chiesto permesso al travertino
della pavimentazione, si sistemava ai piedi del padrone e volgendo
il naso nero e le orecchie ammuffite verso la chitarra, che aveva
QRPH0RURVDJOLD VL GLVSRQHYD DOO·DVFROWRVSRVWDQGRVL RJQL WDnto
cautamente per non approfittare troppo della pazienza di quel
gentile pezzo di mondo che sopportava il fastidio del non
immacolato pelo.
Pruensa estraeva con immensa cura dalla raso rosso della custodia
la preziosa Morosaglia: che, a dar credito alle sospirose
assicurazioni di Pruensa, era appartenuta a un amico di Mazzini e
Mazzini stesso vi aveva suonato in Svizzera. Poteva essere una
favola, ma poteva anche essere vero: di Pruensa nessuno sapeva
niente; e nessuno se ne era mai interessato tanto da fare una
ricerca, sia pure soltanto per amore di pettegolezzo. Pruensa,
WUDVSDUHQWH FRP·HUD OD JHQWH VL GLPHQWLFDYD GL OXL DQFKH
TXDQG·HUD SUHVHQWH ILJXULDPRFL TXDQGR QRQ F·HUD ( OXL GL Vp
diceva poche cose, e quelle poche le ripeteremo qui, sicché quanto
qui si leggerà si può considerare, breve che sia, la biografia di

23 Pruensa è il nome che la lingua dei barbari assegna alla Provenza.


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Pruensa. Niente dunque si sapeva di lui, ma circolavano voci che
fosse di famiglia nobile: principe addirittura e una volta padrone,
OXLLQSHUVRQDRODVXDIDPLJOLDGLXQ·LVRODQHDQFKHWanto piccola e
vertiginosamente bella, accostata alla Sardegna, o forse alla
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poi lui in persona o un avo dissennato perdette al gioco. Ma
possono essere soltanto fantasie. 'LFHUWRF·qTXHVWRche Pruensa,
a differenza di Ciumma, sonava la chitarra meravigliosamente e
doveva averla studiata in gioventù con grandi maestri, dunque
poteva non essere del tutto strampalata la voce che lo voleva di
buona e forse ottima famiglia.
(VWUDWWDGXQTXHO·DPDta chitarra dalla custodia, sotto lo sguardo
adorante di Perpignac, Pruensa si dedicava alla musica. Non è del
tutto chiaro se sonasse per sé: per aprire un colloquio con la
propria grande anima afflitta o col gran mare pensieroso che lì
davanti a lui sospirava languido e batteva il tempo, lento, sulla
JKLDLDRSHUUDFFRJOLHUHO·HOHPRVLQDFKHWDOYROWDTXDOFXQRODVFLDYD
cadere nella custodia che Pruensa dimenticava sbadatamente
aperta accanto a sé. Di sicuro sonava da fare innamorare. Sonava
SLDQR V·LQWHQGe, da non far male alle corde della chitarra, o
DOO·DULD VWHVVD FKH QRQ HQWUDVVH WURSSR LQ YLEUD]LRQH PD VRQDYD
divinamente, assorto in sé da non sentire più, forse, nemmeno le
OLVXUHGHOO·DQLPDHLOPDOHGLYLYHUHFKHJO·LQWULVWLYDDQFKHOHRVVD
Quel giorno Pruensa aveva cominciato il proprio concerto con la
Grande Sonata in la maggiore di Paganini, e anche i gabbiani
zittirono.
Passò dietro di lui Ciumma, chitarra sulla spalla destra brandita
FRPHFODYDHFRQODYRFHWRQDQWHHSLHQDGLGLVSUH]]RO·DSostrofò:
«Ohi, Prua, suona più forte se vuoi che ti sentano.» e gli diede
anche una manata sul collo.
Pruensa, dal dispetto gli vennero le lacrime agli occhi, prese la sua
custodia e cominciò a riporvi, sconsolato, la chitarra. Prufessù, che
stava in piedi di fronte a lui, appoggiato spalle al mare alla
ringhiera, disse:

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«Signor Provenza, la prego, continui, non si faccia influenzare dal
CiummaORVDFRP·qLOCiumma.»
Ma Pruensa aveva ormai rinchiuso la custodia; almeno la chitarra
era collocata relativamente al sicuro dalla brutalità del Ciumma. E
disse a Prufessù:
«Prufesciù (Pruensa parlava in questo modo, strascinando un poco
le parole e come sciabordando, probabilmente aveva avuto
O·LPSULQWLQJGDOODULVDFFDGHOODVXDLVROD YHGHQRQFHORGLFRSHU
offenderla, che capisco che parla bene intesionato, ma Sciumma,
QRQ OR SXz VDSHUH QHVFLXQR FRP·q ce lo dico sensa offesa,
nemmeno voscià che ha studiato.»
Fece una pausa: Pruensa, uomo riflessivo, uomo raro, si concedeva
lunghe pause per pensare e immaginare. Poi, con qualche
esitazione, corresse e azzardò:
«3HUz VH F·q TXDOFXQR FKH SXz VDSHUOR FRP·q LO 6ciumma,
Prufesciù, son mi quello.»
Annuì gravemente. La conoscenza lo opprimeva.
«Scià vede, Prufesciù, non ce lo dico per vantarmi - sa, alla mia età
oramai, non ciò più non ci dico la voglia o la motivasione, non ciò
QHDQFKHSLO·HQHUJLDGLHVVHUHYDQLWRVR -«PDO·qXQIDWWRFRVFu
io, con la chitarra, ci capiamo come fratello e sorella, ci parliamo
come marito e moglie e ci vogliamo bene, anche.»
Pruensa si asciugò una furtiva lagrima e riprese:
«2UD FL GLFR 3UXIHVFL FRP·q OD JUDGXDWRULD GL TXHOOL FKH VDQQR
sonare la chitarra nel mondo: al primo posto, si capiVFLH F·q
Scegovia - OHL FKH q LVWUXLWR QRQ F·q ELVRJQR FKH FL VSLHJKL FKL q
Scegovia; poLVHFRQGRF·q9DOVFDULQLFKHqVWDWRLOPLRPDHVWURH
poi terso ci sono io. E voscià, che ha studiato, riesce a
immaginarsela una graduatoria tanto lunga da comprendere il
Sciùmma? Scià lo ha già accapito, Prufesciù: un numero così
grande da scriverci il Sciumma vicino lo devono ancora
inventare.»
Pruensa fa una lunga, dolente pausa. Rivede la sua vita, i concerti
che ha dato davanti a qualche grande? Vede Ciumma, ahinoi, e
ULSUHQGH H QHOOD YRFH KD OD SD]LHQ]D FKH YLHQH GDOO·DELWXGLQH DO

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dolore e anche una vibrazione di sdegno che viene dalla coscienza
GLVpFKHDQFRUDJOLVFDOGDXQSRFRO·DQLPDDPDUHJJLDWD
«Scià sa, Prufesciù, una volta - lei magara che è un uomo
VHQVFLELOHO·KDFDSLWRGDVRORFKHLRVRQRXQRFKHVLIDGHOOHLOOXVLRQL
- una volta, ce lo devo confessare, mi è venuto in mente di provare
a insegnare al Sciumma a sonare la chitarra.»
Pruensa sospira, contempla nel ricordo la visione del proprio
IDOOLPHQWRDJJUDYDWRQRQGLPLQXLWRGDOODJHQWLOH]]DGHOO·LQWHQWR
«Non è mica bello, scià sa, Prufesciù, farsi delle illusioni: perché
non vuole mica dire che si è generosi; vuol solo dire che si è sciemi.
9RVFLjQRQFLDYUHEEHQHPPHQRSURYDWR9RVFLjO·DYUHEEHFDSLWR
subito che tentare di insegnare la chitarra a SCiumma ² scià scuse,
Prufesciù la volgarità - O·q FRPH SURYDUH D SLWWurare una merda.
Voscià non ha mai provato a pitturare una merda?
Prufessù confessò di non aver mai tentato quella esperienza e
allora Pruensa didattico e paziente invitando alla sperimentazione
diretta anticipò tuttavia i risultati. Spiegò:
«Scià provi, Prufesciù: lei prende il so barattolo di vernice,
mettiamo bleu maren, ci intinge dentro con tutta diligensa il so
pennello, poi lo passa sulla merda: scià vedrà: scià sporca tutto il
SHQQHOORPDQRQJK·qYHUVRGLSLWWurare la merda. Ecco, Prufesciù,
FRP·qFRO6iumma, a tentare di insegnargli la chitarra. Riveriscio,
Prufesciù.»

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