Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Fase della storia d'Italia successiva al declino dei Comuni e compresa tra la metà del XIII
e la fine del XV secolo. Tale periodo fu caratterizzato dalla diffusione, nell’Italia centrosettentrionale, di una
forma di governo dove tutti i poteri erano concentrati nelle mani di una sola persona, che li trasmetteva al suo
successore per via ereditaria.
Le Signorie si formarono alla fine della lotta per le investiture, quando i maggiorenti delle corporazioni
comunali, per porre fine ai conflitti tra le singole famiglie aristocratiche, affidarono a un “signore” – che talvolta
era di provenienza esterna e feudale, talvolta era il capo della famiglia più ricca e potente – l’incarico di
capitano del popolo. Tale carica, in principio elettiva e temporanea, divenne in seguito permanente; le
magistrature comunali furono trasformate in organi consultivi al servizio del signore e le milizie cittadine
vennero sostituite con compagnie di ventura mercenarie. In tal modo si affermò un'autorità al di sopra delle
parti e delle fazioni, collegata a un'unica figura sociale di riferimento, il cui potere divenne ben presto ereditario
e in seguito sanzionato da titoli di investitura concessi dal papa o dall’imperatore.
Visconti Famiglia lombarda che governò Milano e il territorio circostante dal 1277 al 1447. Di origini oscure, i
Visconti assunsero importanza nella città quando papa Urbano IV nominò il visconte Ottone, discendente di
un ramo della famiglia, arcivescovo di Milano (1262). Nel 1277, dopo aver sconfitto nella battaglia di Desio la
famiglia allora dominante, i Torriani, Ottone conquistò la signoria della città. Il pronipote di Ottone, Matteo I,
divenne signore della Lombardia, nonché vicario imperiale, carica conferitagli dall'imperatore Adolfo di
Nassau; entrambi i titoli vennero successivamente trasmessi ai membri della famiglia, che continuarono ad
accrescere i possedimenti della casata: tra essi si distinse Galeazzo II (1320-1378), patrono delle arti e delle
lettere, amico di Francesco Petrarca e fondatore dell' Università di Pavia, che condivise il potere con il
fratello Bernabò.
Cosimo de’ Medici il Vecchio (Firenze 1389 - Careggi, Firenze 1464), banchiere e uomo politico fiorentino;
le sue attività e i successi raggiunti furono all’origine del potere politico della famiglia Medici.
Succedette al padre Giovanni nella conduzione degli affari economici e bancari della famiglia; in politica si
mise in luce tra le fila dell’opposizione alla famiglia Albizzi, che apparteneva alla nobiltà dominante. Nel 1433
Cosimo venne esiliato; fu però richiamato in patria l’anno seguente e assunse l’effettivo controllo del governo:
consolidò la sua posizione mettendo al bando gli avversari più temibili e mandandone in rovina altri,
imponendo loro altissime imposte. Acuto uomo politico, evitò di ricoprire personalmente cariche pubbliche,
preferendo collocare nelle posizioni-chiave alcuni suoi sostenitori fidati.
Salvo la costituzione del Consiglio dei Cento (1458), non intervenne sullo statuto cittadino con sostanziali
modifiche, ma sotto il suo governo sia Firenze sia la sua famiglia si arricchirono notevolmente. Cosimo
migliorò l’agricoltura, sviluppò i commerci, incrementò l’industria serica e promosse un progetto per rendere
navigabile l’Arno; secondo molti contemporanei, fu l’uomo più ricco d’Italia.
3.I DOMINI DELLA TERRA, 1. L’espansione in terraferma: Il Quattrocento rappresentò il secolo della
massima potenza della Repubblica. Con la conquista di Cefalonia (1413) e di Cipro (1490) fu rilanciato il
commercio veneziano nell’Adriatico e nel Levante. Nella prima metà del secolo, anche per effetto della
minaccia portata dagli ottomani sul mare, Venezia avviò l’espansione nella terraferma, con l’acquisizione
definitiva della Dalmazia, del Friuli, del Veneto e nel 1433 della Lombardia orientale (Bergamo e Brescia).
Nella seconda metà del secolo si impossessò del Polesine e di alcuni porti delle Puglie. Nel 1498 la
Repubblica di San Marco strinse un accordo con il re di Francia Carlo VIII che le assicurava Cremona e la
regione della Ghiara d’Adda in cambio dell’appoggio alla spedizione francese per la conquista del Regno di
Napoli.
Con Gian Galeazzo Visconti (1351-1402), figlio di Galeazzo II, che ottenne il titolo di principe e duca di
Milano dall'imperatore Venceslao nel 1395, la famiglia raggiunse l'apogeo. Egli depose e fece imprigionare lo
zio Bernabò, impossessandosi delle sue terre, e unificò tutti i territori in un solo stato; a questi aggiunse in
seguito altri possedimenti fino a regnare sulla maggior parte dell'Italia settentrionale e centrale. Gian Galeazzo
iniziò la costruzione del Duomo di Milano e della Certosa di Pavia, dove in seguito fu sepolto. Diede in
sposa la figlia a Luigi I, duca d'Orléans, concedendogli così il diritto di rivendicare il Ducato di Milano. Alla
sua morte parte dei domini acquisiti vennero ceduti, e i successori continuarono a governare sul Ducato di
Milano. Alla morte senza eredi diretti del figlio Filippo Maria (1447), il ducato, dopo l'effimera parentesi della
Repubblica Ambrosiana, passò a Francesco Sforza.
Le strutture portanti dell’edificio statale veneziano rimasero pressoché intatte dal XIII secolo al 1797, anno in
cui la Repubblica cessò di esistere. Tra gli organi di governo e la società si cementò nei secoli una forte
omogeneità di valori, che si tradusse in un rapporto di lealtà tra i ceti e la direzione politica della città. Sin dal
XII secolo ai vertici cittadini si era insediata un’aristocrazia di origine mercantile, aperta a continui ricambi di
uomini. L’amministrazione era divisa in molteplici commissioni e consigli, tra cui spiccavano il Maggior
Consiglio, il Senato, la Quarantia, il Consiglio ducale.
Su questo scenario di repubblica aristocratica aperta, gli impegni militari assunti per la difesa dell’impero
marittimo imposero una svolta istituzionale. Tale mutamento iniziò con la serrata del 1297, l’atto con cui
l’aristocrazia veneziana impedì l’accesso nei propri ranghi a uomini nuovi e definì la composizione del Maggior
Consiglio, cui spettava l’elezione del doge, accanto a importanti funzioni legislative. Il doge non operò mai
come capo supremo e assoluto, neppure nei momenti di maggiore esposizione della Repubblica alle minacce
esterne: la carica rimase elettiva e fu sempre affiancata da altre magistrature di governo.
Al Senato, uno degli organismi di maggior prestigio, responsabile della politica estera, toccava il compito di
tutelare e favorire i profitti dei mercanti veneziani. Lo componevano sessanta membri, incaricati di preparare i
decreti relativi al commercio, all’invio di ambasciatori e ai movimenti delle flotte militare e mercantile. Nel corso
dell’età moderna il Senato divenne l’istituzione centrale della Repubblica, accanto ai tre consigli (Savi grandi,
Savi di terraferma, Savi degli ordini) che affiancavano il doge.