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COMMENTI

LO STUPORE PER LA TECNOLOGIA CATTIVA


di Giovanni Nacci

“La tecnologia diventa buona o cattiva a seconda dell'uso che se né fa”: i


buoni luoghi comuni non si smentiscono mai. Ne è un chiaro esempio la
recente fase di sperimentazione avanzata del modello di polizia di
prossimità. Ebbene, tra le novità che a suo tempo più suscitarono
l'attenzione dei media c'era proprio l'inserimento nella dotazione standard
di ogni Poliziotto o Carabiniere di quartiere di un computer palmare (in tutto
e per tutto simile a quello dalla Lioce) connesso ad un network tramite un
GSM (o GPRS, o come più ci piace) per la condivisione di dati e
informazioni. Stessi apparati, stesso hardware, stesse tecnologie, stesse
funzionalità ma finalità diverse. Come spesso accade però, è la tecnologia
cattiva che affascina ed intriga di più . Quella “buona” - nel migliore dei casi
- è considerata come una voce di costo in un bilancio. Sembra che per
quanto si voglia disquisire ed argomentare, si debba tornare
inevitabilmente su un'unica precisa domanda: “a cosa siamo disposti a
rinunciare per la nostra (e in fin dei conti l'altrui) sicurezza ?” Occorre
riflettere su questa domanda, solo apparentemente banale. Occorre non
cedere a delirio di onnipotenza tecnologica, all'illusione di una tecnologia di
per se “risolutiva”. D'altra parte se si è avuta l'opportunità di segnare un
passo in avanti nella lotta al terrorismo (questa volta interno) lo dobbiamo
eminentemente al sacrificio di un uomo, di un'Agente di Polizia morto
nell'esercizio delle sue funzioni e non solo alle indagini informatiche.
Soluzioni facili ed indolore non ce ne sono né ce ne saranno mai. Il PGP e
tutte le tecniche crittografiche in generale, sono state sviluppate apposta
per essere realmente difficili da “sfondare”. E' notorio che in mancanza di
“trucchi” (backdoor) e di “soffiate” (chiavi, password o passphrase) la
qualità e la quantità degli strumenti tecnologici necessari per decifrare un
sistema crittografico sono di un ordine (in termini di complessità, costo e
tempo) immensamente più grandi di quelli necessari invece per la semplice
cifratura. E nella lotta al terrorismo (di qualsiasi stampo) la tempestività è
un fattore irrinunciabile. Ma questo non è una colpa della crittografia,
perché in tal caso sarebbe anche colpa dell'analisi matematica,
dell'algebra, della geometria e di chissà cos'altro.
E' indispensabile invece rendersi conto che la necessità di investire - anche
solo in termini di attenzione - sul tema del valore della sicurezza,
rappresenta un’esigenza comune. Questo non è un affare per soli “addetti
ai lavori”, investigatori, ingegneri o politici che siano. La capacità e la
maturità che dimostreremo nel saperci confrontare (anche - perché no -
partendo da posizioni opposte) in maniera seria e costruttiva sul valore
comune della sicurezza (quella stessa sicurezza che ci permette di essere
abbastanza liberi da poter utilizzare la tecnologia come più ci piace), sarà la
cartina al tornasole del grado di civiltà che la nostra società, le nostre
istituzioni, la nostra cultura avranno raggiunto o che potranno in futuro
sperare di raggiungere.

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