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Le immagini allucinate del resoconto di Atanasio sembrano aver ispirato direttamente la tavola di

Grunewald, densa di caotico movimento e ricca di intense variazioni cromatiche, che vanno dai limpidi
cieli e monti lontani, ai bagliori di un incendio nascosto dai ruderi di un rifugio ormai distrutto (richiamo
iconograficamente obbligato, in tutta l'arte nordica, alla malattia del "fuoco di SantAntonio"), sino alle
latebre dalle quali escono forme mostruose e demoniache. Ma a differenza del racconto di Anastasioesse non si "muovono in accordo alla loro natura", perch nel quadro nessuna bestia riconoscibile:
esse sono il prodotto di una immaginazione teratologica che negazione dellordine naturale e diventa
prova della presenza demoniaca nell'uomo. Nel sabba aggrovigliato di demoni che va all'assalto del
povero eremita, non si riesce neppure a distinguere a quale ripugnante essere dalla testa mostruosa
appartengano le braccia deformi, le zampe e gli artigli che si protendono verso il santo.
Vengono alla mente le immagini allucinate di Hieronymus Bosch; ma se queste pi ingegnosamente
variegate - ci parlano di una lucida follia che ci invita a scoprire enigmi nascosti, quelle di Grunewald
sono mera potenza diabolica, sonno della ragione. Tuttavia limpressione provocata dal quadro rimane
sospesa tra tragedia e commedia. In accordo con la popolare interprertazione della bonaria figura di
Sant'Antonio, il dramma della tentazione si stempera vistosamente nella scena comica del povero
eremita, dalla ingombrante tunica azzurra, trascinato per i capelli (quasi una citazione di unopera
grafica di Martin Schongauer), e dello strano pennuto che si scaglia su di lui brandendo un bastone, o
in quella sorta di gallinaccio corazzato che morde la mano del santuomo.
A ben vedere il dramma sta tutto nella figura oscena e compassionevole del povero malato,
incappucciato di rosso, che sta in primo piano sul lato sinistro della tavola. Il ventre gonfio, il corpo
piagato dalla putredine di pustole e di bubboni, si torce in un dolore senza speranza, se non, forse, in
quella che gli angeli - che intravediamo lontani in cielo, in un alone di luce, mentre stanno calando sulla
scena - vengano a sollevarlo dalle sue sofferenze. Non importa disputare come si fatto - se il male
che lo divora sia quello, dagli effetti terribili, del "fuoco di Sant'Antonio" (che i buoni monaci di Isenehim
tentavano di curare) o sia quello, altrettanto immondo della sifilide. La figura dolente diventa la metafora
della condizione di disperazione in cui luomo pu precipitare. Chi altri, se non lui, pu pronunciare le
parole scritte sul cartiglio che si trova in basso sulla destra del quadro: Bone Jhesu, ubi eras, quare
non affuisti ut sanares vulnera mea?.

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