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La teoria dell'intersoggettivit in Fichte

Seguire l'itinerario della teoria dell'intersoggettivit fichtiana, significa attraversare tutta la


produzione del filosofo tedesco. Il percorso che ci prefiguriamo di compiere infatti prender le
mosse dalle opere pratiche, per attraversare il tragico periodo dell'Atheismusstreit e culminare in
una delle opere pi discusse e fraintese del filosofo della Dottrina della Scienza, ossia ''La
destinazione del'uomo''.
Il tema dell'intersoggettivit associato a Fichte sembra essere un paradosso: prima dell'interesse
maturato a partire dall'inizio del XX secolo e proseguito con nuove scoperte bibliografiche (una su
tutte quella della WL-NM), il filosofo tedesco era considerato come poco pi di un successore di
Kant (per altro da lui rinnegato) ed un filosofo dell'egoismo ontologico da Hegel. Causa di questa
lettura sar il giudizio che del nostro autore dar il filosofo della PhdG durante tutto il suo percorso
filosofico, ed in particolare nelle sue due opere Differenz e GuW.
L'etichetta di ''filosofo della soggettivit'' rimarr a Fichte proprio a causa di quella ''storiografia
hegeliana'' che non valorizzer gli punti che eppure appaiono evidenti ed in alcuni casi rivouzionari
nella sua opera.
Fichte stesso nella prima opera di cui parler afferma l'importanza dell'intersoggettivit per l'Io:
''l'uomo [] diventa uomo solo tra uomini''. Sebbene appaia come una nozione niente pi che
giusnaturalistica, questa frase diviene significativa l dove F. introduce un concetto che sar
fondamentale per tutto il suo Diritto Naturale: l'Aufforderung.
Per trovare se stesso come oggetto di riflessione e attivit causale, ci dice F., il soggetto non pu
determinare, ma anzi deve essere determinato da un ''urto'' (anstoss) con un esterno. Allo stesso
modo non pu trovarsi necessitato ad agire, altrimenti verrebbe meno la sua libert. L'Io dovr cos
per Fichte porre qualcosa fuori di s che lo limiti e allo stesso tempo, per usare l'espressione
fichtiana, lo esorti (auffordnen) all'attivit causale e all'autodeterminazione.
L'essere razionale quindi '' non pu attribuire a se stesso una libera attivit causale [] senza
attribuirla anche ad altri, e quindi, senza ammettere fuori di s altri esseri razionali finiti''. In poche
parole, l'Io per divenire tale deve riconoscere (anerkennen) l'altro Io fuori di s.
La teoria dell'intersoggettivit viene cos posta ontologicamente come necessaria alla
fenomenologia della soggettivit razionale finita e libera.
Una trattazione a livello, secondo F., pi alto di questo tema avverr nella SL del 1798, nel
paragrafo III del 18: ''Io non posso comprendere questo invito all'attivit spontanea, senza
attribuirlo ad un eseere reale di fuori di me, il quale voleva comunicarmi uesto concetto, il concetto
appunto dell'azione richiesta. []. ma un essere tale un essere razionale, un essere che pone se
stesso come Io, dunque un Io. [] si pu quindi dimostrare rigorosamente a priori che un essere
razionale non diviene razionale in uno stato isolato, ma che si deve ammettere almeno un individuo
fuori di lui che lo elevi alla libert''
Il sistema etico sottinteso e discusso poi da Fichte nel proseguio della sua opera, quello secondo
cui, a differenza di quanto scritto nel NR, il carattere limitato della libera attivit dell'Io
strettamente collegata alla libera attivit dell'altro.
Se il mio impulso un impulso all'autonomia, limitando la libert altrui non farei nient'altro se non
contraddire questo mio impulso originario: se infatti l'altro che mi ''eleva alla libert'', qualora io
lo limiti, limiterei me stesso.
Fichte crea cos una catena infinita di riconoscimento, che non si muove pi esclusivamente sul
piano giuridico-sociale, bens coinvolge la struttura ontologico-metafisica dell'essere razionale
finito.

La pubblicazione della SL avver in concomitanza con i primi fuochi di quello che per Fichte sar il
suo periodo filosoficamente e umanamente forse pi difficile: l'Atheismusstreit.
Rispondendo sul ''philosophisches journal'' ad un articolo di Forberg che era stato tacciato di
ateismo, con un articolo intitolato ''sul fondamento della nostra fede in un governo divino del
mondo'' F. presenter la sua teoria di Dio come ordine morale del mondo.
Se ci si limitasse a cercare nel sensibile un fondamento della moralit, non lo si troverebbe. L'ordine
morale del mondo come ralt sovrasensibile, ci che secondo il filosofo della WL dovrebbe
giutificare la nostra fede in Dio, che sarebbe il garante di questo ordine.
Soprattutto su frasi come:'' l'ordine vivente ed operante esso stesso Dio'' si baser l'accusa di
ateismo che causer il licenziamento di Fichte dall'universit di Jena ed il suo isolamento filosofico.
L'ultima opera che prender in esame la ''Destinazione dell'uomo'' del 1800. opera particolare sia
per la sua struttura (c' chi vi ha visto una somiglianza con la divina commedia e chi con la PhdG)
sia per il suo carattere ''popolare''.
Nonostante F. dichiari nella prefazione che non dir niente di nuovo che gi non si trovi nelle sue
opere, in particolare il terzo libro, chiamato Fede, pieno di novit e riformulazioni. Il tema della
fede era stato trattato da Fichte brevemente in altre opere: le gi citate SL e soprattutto il saggio.
In quest'ultimo in particolare era stato affrontato il tema della fede come ''destinazione morale'', che
ritorna gi nel titolo nell'opera del 1800.Questa urgenza di chiarire il suo pensiero a riguardo gli
venne probabilmente dall polemica epistolare con Jacobi, che tacci la filosofia fichtiana di
nichilismo e per vie traverse di ateismo.
Dopo un itinerario filosofico che attraversa il Dubbio (1o capitolo) e il Sapere(2o capitolo), Fichte
arriva a parlare espressamente del suo concetto di Fede: essa viene definita ''l'organo col quale
affero [] ogni [] realt''. una decisione volontaria di dare validit alla mia voce interiore (la
voce della coscienza di cui Fichte parla e che lo porta alla moralit) e di riconoscere la mia
destinazione in questa obbedienza morale.
Il tema dell'intersoggettivit entra in campo una volta che le rappresentazioni vengono rese reali
dalla scoperto dell'organo della fede: ''Mi compaiono innanzi fenomeni nello spazio, ai quali io
trasferisco il concetto che ho di me stesso; io li penso come esseri simili a me. [] ma questa voce
della mia coscienza mi avverte: qualunque cosa in s e per s questi esseri siano, tu devi trattarli
come esseri che sussistono per s, liberi, autonomi, completamente indipendenti da te''.
Quindi ''Ci che fonda ogni coscienza di una realt esistente fuori di noi, non l'influenza delle cose
fuori di noi, [], ma la fede necessaria nella nostra libert e forza, nel nostro reale agire e in
determinate leggi del nostro agire.
Il ruolo della fede ovviamente diviene il cardine sul quale far ruotare tutto il discorso della moralit,
e come vedremo anche dell'intersoggettivit; Fichte infatti pone obiettivo della razza umana il
continuo miglioramento della propria condizione attraverso la collaborazione reciproca. Ma se la
destinazione dell'uomo si limitasse alla sfera sensibile, la nostra libert sarebbe addirittura nociva
dice il nostro autore.
Fichte allora parler di due mondi, uno dell'azione (ossia il mondo sensibile e finito) e uno delle
volont (ossia sovrasensibile ed infinito). Non siamo difronte ad una successione temporale; F. ci
dice che quando noi ci saremo accorti della nostra destinazione morale, entreremo a far parte
immediatamente del mondo sovrasensibile ''afferrando l'eternit''.
La volont quindi, ancora pi dell'azione diviene il centro della speculazione fichtiana, facendo essa
parte ontologicamente del mondo sovrasensibile ed essendo equiparata alla ragione.
Ma il mondo sovrasensibile deve avere una legge, che unifichi tutte le volont e le renda possibili:
una legge siffatta deve essere essa stessa una volont viva ed agente:
''questa volont mi collega con se stessa; essa stessa mi collega con tutti gli esseri finiti simili a
me,ed la matrice generale tra tutti noi. [..]. io rimango qui sempre soltanto in me stesso []. ma in
questo mondo io ammetto nello stesso tempo l'operare di altri esseri, che devono essere autonomi
ed indipendenti da me, proprio come lo sono io stesso''
Siamo quindi difronte alla descrizione di Dio come Volont: ''questa volont eterna quindi

certamente Creatore del mondo []''.


Dio quindi non solo creatore, ma anche colui che rende possibile la nostra intersoggettivit,
ontologica prima ancora che sociale.
Il mondo descritto da Fichte un mondo in cui le volont dei singoli si incontrano e si riconoscono
su di un piano del dovere morale e della comune destinazione prima ancora che sul piano politico.
In questo breve saggio ho cercato di dimostrare come in tutta la parabola fichtiana fino al 1800 sia
presente un interesse alla teoria dell'altro e dell'intersoggettivit; reputo interessante notare come
questo interesse pure rimanendo costante stato trattato da Fichte sul piano giuridico, morale e
religioso (in un ordine che lui approverebbe) in maniera sempre diversa, ma con un'idea costante
che accompagner il filosofo tedesco per tutto il suo percorso filosofico:
''il concetto di individualit, come si dimostrato, un concetto di relazione''.

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