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Filosofia morale (15/04/14)

La presentazione si snoda attraverso i concetti di SOGGETTO, VOLONT, VITA.

La protorivoluzione copernicana di Descartes


La riflessione circa listanza soggettivistica quale metro di giudizio in ambito
gnoseologico-morale non pu che trovare origine nel pensiero metafisico di Ren
Descartes, il quale nellindividuazione dellego cogito come fondamento
epistemologico dellevidenza di qualsiasi conoscenza prepara inconsapevolmente il
terreno per quello che viene comunemente considerato latteggiamento filosofico di
carattere soggettivistico e trascendentale, anticipando la rivoluzione copernicana del
criticismo kantiano. In Descartes si assiste dunque ad una protorivoluzione
copernicana che porta la filosofia moderna, generalmente propensa ad
unimpostazione oggettivistica e razionalistica, a fare i conti con un trascendentalismo
ancora in nuce che fissa lattenzione sulle operazioni dellego sotto il profilo
primariamente, ma non esclusivamente, gnoseologico. A questo proposito, si intende
fare riferimento anche alla seconda parte della Crisi delle scienze europee e la
fenomenologia trascendentale di Edmund Husserl dove il filosofo tedesco espone
lorigine del contrasto moderno tra oggettivismo razionalistico e soggettivismo
trascendentale evidenziando il ruolo fondamentale di Descartes, definito loriginario
genio fondatore della filosofia moderna nel suo complesso.
Lo straordinario merito del filosofo del cogito
consiste nellaver compreso la necessit di indicare un punto di Archimede
(Meditazioni metafisiche, II, 1), cio un riferimento apodittico del razionalismo
matematizzante secondo lidea della mathesis universalis di tipo galileiano. In altri
termini loperazione di Descartes, muovendo dalla ricerca di un metodo unico e
semplice di orientamento che serva alluomo in campo teoretico e pratico, va alla
radice della giustificazione del metodo stesso e della sua effettiva possibilit di
applicazione universale. Affinch sia possibile esplicitare un criterio saldo e
incontrovertibile garante dellevidenza, intesa come certezza, della conoscibilit
scientifica e non, Descartes ritiene di dover sottoporre ad una critica radicale il sapere
gi dato, sospendendo lassenso a ogni conoscenza assodata e accettata e dubitando
di ogni dato epistemico ed empirico, esercitando cio un dubbio metodico cos da
rifiutare come assolutamente falsa qualsiasi opinione su cui potessi nutrire il pur
minimo dubbio al fine di stabilire se, fatto ci, nellambito delle mie conoscenze, ne
rimanesse qualcuna del tutto indubitabile, secondo quanto esprime in Discorso sul
metodo, II.
Nessun grado o forma di
conoscenza si sottrae al dubbio: se la conoscenza sensibile appare inevitabilmente
esposta allerrore e allincertezza per la natura talvolta fallace dei sensi, questo non
significa che il dubbio si debba limitare alla sola sensibilit, poich anche le
conoscenze matematiche, dal momento che non possibile essere sicuri della loro
origine per luomo, imputabile tanto ad un Dio onnipotente e buono quanto ad un
genio maligno e ingannatore, non sfuggono altres allerrore. Di conseguendo lattivit
dubitante deve estendersi ad ogni cosa e diventare universale, aprendosi ad un livello
iperbolico. Il carattere radicale del dubbio iperbolico offre ciononostante una prima
certezza: per ingannarmi o essere ingannato necessario che io esista, cio che sia
qualcosa e non nulla, ma non in forma corporale o sensibile, bens come una cosa che
dubita, cio che pensa. Dalla pratica dubitativa emerge cio levidenza di qualcosa che
dubita, di una res cogitans, che lunica verit che si sottrae al dubbio perch il
dubbio stesso la conferma. La certezza del mio esistere concerne soltanto tutte le

determinazioni del pensiero ed tale solo per la mia esistenza di uomo, per la quale
esistere equivale in ultima istanza a pensare: cogito ergo sum. Su questa certezza
originaria deve essere dunque fondata ogni conoscenza, in modo che lesistenza del
soggetto pensante sia il principio garante della stessa validit della conoscenza umana
e dellefficacia dellazione umana sul mondo.
Se in ambito gnoseologico la metafisica cartesiana passando per il criticismo kantiano,
di cui si parler in seguito, approda nellindagine fenomenologica novecentesca,
fornendo le basi per i concetti di epoch, intenzionalit e correlazione, in ambito
morale lo stesso Descartes sottolinea il ruolo dellego come elemento di riferimento
per lagire pratico nella terza parte del Discorso sul metodo, dove stabilisce alcune
regole per una morale provvisoria, e ne Le passioni dellanima, ultima opera del
filosofo francese, dove accanto alla riflessione sul rapporto tra anima e corpo vengono
espressi spunti di etica.
Il tratto
saliente della morale cartesiana si identifica nel progressivo dominio della ragione che
restituisce alluomo luso intero del libero arbitrio e lo rende padrone della sua volont.
Questo visibile nelle regole della morale provvisoria, in cui lobbedienza alle leggi e
ai costumi dei paesi (che tradisce il rispetto talvolta intimorito di Descartes nei
confronti della tradizione religiosa e politica), la fermezza e la risolutezza dellagire, il
cercare di vincere se stessi piuttosto che la fortuna confermano la concezione di un
uomo libero, sotto il profilo morale, di esercitare il pensiero come unica attivit
svincolata dalle imposizioni del mondo, e delineano lideale della morale cartesiana
nella saggezza, intesa come esigenza di condotta unicamente razionale. Ne Le
passioni dellanima Descartes sostiene nuovamente questa tesi: distinte le passioni
tra azioni, dipendenti dalla volont, e affezioni, involontarie e costituite da percezioni,
sentimenti o emozioni causate nellanima dal movimento degli spiriti vitali, viene
enunciato come la forza dellanima consista nel vincere le emozioni e arrestare i
movimenti del corpo che le accompagnano, mentre la sua debolezza consiste nel
lasciarsi dominare da esse. Per quanto le emozioni non siano necessariamente nocive,
poich hanno la funzione naturale di incitare lanima ad acconsentire e a contribuire
alle azioni che servono a conservare e perfezionare il corpo, il dominio delle emozioni
ottenuto con la saggezza permette di estendere il pensiero chiaro e distinto anche
allagire pratico, evitando gli eccessi e assegnando il giusto valore al bene e al male.
Il soggetto trascendentale etico della Critica alla ragion pratica
Un passo decisivo nella caratterizzazione del concetto storico-filosofico di soggetto si
ha nel pensiero del pi grande filosofo illuminista tedesco, Immanuel Kant. Il criticismo
kantiano infatti porta ad una pi precisa e connotata esplicitazione del
trascendentalismo come attributo essenziale del soggetto in ambito conoscitivo,
secondo la riflessione della Critica alla ragion pura, in ambito pratico, secondo la
riflessione della Critica alla ragion pratica, nella quale emerge prepotentemente la
facolt della volont, e in ambito estetico, secondo la riflessione della Critica del
giudizio.
Il filosofo
esistenzialista italiano Nicola Abbagnano ha affermato che il criticismo kantiano si
configura come una filosofia del limite e pu essere definito unermeneutica della
finitudine (Le origini storiche dellesistenzialismo, cap. VII): lindagine kantiana,
costituendosi nella sua peculiare forma critica, interroga programmaticamente il
fondamento di determinate esperienza umane e chiarisce le possibilit, ovvero le
condizioni che ne permettono lesistenza, la validit, ossia i titoli di legittimit o nonlegittimit che la caratterizzano, e i limiti, cio i confini della validit. In tal modo il
riconoscimento e laccettazione del limite diviene la norma che d legittimit e
fondamento alle varie facolt umane. Kant si propone dunque di valutare criticamente

i limiti stessi della ragione che opera rispettivamente nel sapere, nella morale e
nellesperienza estetica, facendo emergere quindi le sue strutture e possibilit
intrinseche.
Tralasciando in questa sede lanalisi della ragione
teoretica esposta nella Critica alla ragion pura, pur tenendo in considerazione le
operazioni fondamentali della rivoluzione copernicana, che comporta il ribaltamento
dei rapporti tra soggetto e oggetto, in modo che non sia la mente a modellarsi sulla
realt bens la realt che si modella sulle forme a priori attraverso cui la si percepisce,
e lidentificazione di una suprema unit fondatrice della conoscenza, nota come io
penso o appercezione trascendentale, che sussume le categorie delle schematismo
trascendentale applicate alle intuizioni sensibili, fissiamo lattenzione sulla Critica alla
ragion pratica.
Mentre la ragione teoretica necessita di essere criticata sotto il suo aspetto puro, in
quanto tende a comportarsi in modo illegittimo valicando i limiti dellesperienza e
rinunciando ai dati sensibili esperienziali, la ragione pratica non ha bisogno di una
critica nella sua parte pura, perch in questa si comporta in modo legittimo
obbedendo appunto a leggi universali, bens nella sua parte empirica, poich
dipendendo dallesperienza non pu darsi delle massime incondizionate e quindi
legittime sotto il profilo morale; per usare le parole di Kant: non dovremo condurre
una critica della ragion pura pratica, ma esclusivamente della ragion pratica in
generale. Infatti la ragion pura, quando se ne sia provata lesistenza, non richiede
alcuna critica. Essa contiene in se stessa la regola per la critica di tutto il suo uso. La
critica della ragion pratica in generale ha dunque lobbligo di contestare alla ragione
condizionata empiricamente la pretesa di costituire essa sola il motivo determinante
della volont (Critica della ragion pratica, A 30-31).
Kant parte dunque
dallassunto che esista qualcosa come una legge morale assoluta o incondizionata
poich o la morale una chimera e luomo agisce in virt delle sole inclinazioni
naturali oppure, se esiste, risulta necessariamente incondizionata, svincolata dalle
imposizioni sensibili e guida pura della condotta. Il filosofo tuttavia consapevole che
la morale si gioca allinterno di una tensione bipolare tra ragione e sensibilit, tanto
che la morale stessa scomparirebbe sia in una condizione di santit etica, cio di
perfetta adeguazione alla legge, sia in una condizione ferina e animalesca, cio di
semplice istinto. Lagire morale prende dunque la forma severa del dovere che
concretizza la lotta permanente tra ragione e impulso e la facolt che consente di
agire secondo la rappresentazione delle leggi, ossia secondo principi la volont. In
Fondazione della metafisica dei costumi, BA 36, Kant sottolinea che poich la
determinazione delle azioni in base a leggi richiede la ragione, la volont nullaltro
che la ragion pratica. Considerata la celebre distinzione kantiana dei principi pratici in
massime e imperativi, e del secondo gruppo in imperativi ipotetici specificati da regole
dabilit e consigli di prudenza e imperativi categorici, solo questi ultimi, indicando
azioni necessarie per se stesse senza relazione con nessun altro fine, ovvero secondo
il devi puro e semplice, presentano i connotati della legge pratica, che determina la
volont in quanto volont, cio in modo universale e necessario. Da qui le formule
usate da Kant nella Critica: agisci in modo che la massima della tua volont possa
sempre valere nello stesso tempo come principio di una legislazione universale (A
54) e nella Fondazione: agisci come se la massima della tua azione dovesse essere
elevata dalla tua volont a legge universale della natura. A tali considerazioni si
aggiungono una seconda e ed una terza formulazione dellimperativo categorico, volte
a riconoscere la seconda lumanit propria e altrui come valore assoluto e fine in s
(agisci in modo da trattare lumanit, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro,
sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo, BA 66-67), la terza
lautonomia della volont che fa del comando morale non un imperativo esterno e

schiavizzante, ma il frutto spontaneo della ragione volontaria o della volont razionale


(la volont, in base alla massima, possa considerare contemporaneamente se stessa
come universalmente legislatrice, BA 76).
Lesito conclusivo della
morale kantiana consiste quindi nellaver posto luomo al centro delluniverso morale,
tramite una vera e propria rivoluzione copernicana morale analoga a quella
compiuta in ambito gnoseologico: il fondamento delletica viene radicato da Kant nel
cuore stesso della soggettivit, ovvero la presenza di una legge pratica universale e
necessaria ricercata nelluomo e non al di fuori, facendo del soggetto etico la misura
dellautonomia e della libert che norma se stesso. A questo proposito sono
significative le parole di Karl Popper: la concezione fondamentale delletica kantiana
equivale ad unaltra rivoluzione copernicana [] Kant infatti fa delluomo il legislatore
della moralit, proprio come ne fa il legislatore della natura. E in tal modo gli
restituisce il suo posto centrale, tanto nella morale, quanto nelluniverso. Kant rese
alluomo la morale, come gli aveva reso la scienza.
La negazione pratica della Wille zum Leben schopenhaueriana
Alla volont propriamente razionale proposta da Kant si contrappone la volont di vita,
concetto cardine della riflessione filosofica di Arthur Schopenhauer, che ha come
punto di partenza la distinzione kantiana tra fenomeno e noumeno. Se per Kant il
primo appartiene alla realt ed lunico accessibile alla mente umana, mentre il
secondo fornisce lidea-limite per luomo in ambito conoscitivo, secondo Schopenhauer
il fenomeno una mera parvenza, illusoria e legata al sogno, che come un velo di
Maya nasconde e occulta la vera realt della cosa in s o noumeno, oggetto quindi di
disvelamento per lopera del filosofo.
Il fenomeno di cui parla Schopenhauer
una rappresentazione che esiste solamente nella coscienza, come viene esplicitato
nella sua opera principale, Il mondo come volont e rappresentazione.
Laspetto fenomenico del mondo viene dunque colto in una rappresentazione
coscienziale allinterno della quale si costituiscono i due poli del soggetto
rappresentante (e conoscente) e delloggetto rappresentato (e conosciuto), senza che
tra essi si possa stabilire una precedenza o una sussistenza indipendente dallaltro.
Questo significa che soltanto nel processo di rappresentazione possibile distinguere
una dimensione soggettiva ed una oggettiva, presenti sempre in modo simultaneo e
compenetrato, in modo che tutto ci che esiste per la conoscenza adunque questo
mondo intero solamente oggetto in rapporto al soggetto, intuizione di chi intuisce;
in una parola, rappresentazione (par.1).
Le
condizioni necessarie per la rappresentazione del mondo, o a priori della conoscenza,
sono ridotte dalle categorie kantiane di spazio, tempo e causa alla sola causalit,
mediante la quale il fenomeno rappresentato nelle diverse forme della quadruplice
radice del principio di ragione sufficiente. La rappresentazione fenomenica occlude
tuttavia la realt vera che, celata dietro un velo di Maya, rimane nascosta agli
strumenti conoscitivi tradizionali e di tipo speculativo di cui dotato luomo. Egli non
limitato per alla sola conoscenza e rappresentazione, non una testa dangelo alata
senza corpo, ma possiede una estensione corporale e desiderante che sfugge alla
rappresentazione puramente esteriore di noi e delle cose per aprire al vissuto
propriamente interiore, scoprendo la via daccesso alla cosa in s.
Lesperienza
corporea e pulsionale squarcia dunque il velo fenomenico e approda alla radice
noumenica. Ci che nelluomo esula dunque dalla rappresentazione e dalle categorie
della conoscenza, rivelandone lessenza profonda e noumenica, un impulso
irresistibile e prepotente che spinge ad essere ed agire, denominato da Schopenhauer
volont di vivere (Wille zum Leben). Pi che intelletto e speculazione, noi siamo
volont di conservare e affermare la vita, che anima dallinterno le operazione esteriori

con cui essa stessa si rende manifesta nella rappresentazione spazio-temporale


fenomenica. Inoltre, la volont di vivere non soltanto la radice noumenica delluomo,
ma anche lessenza segreta di tutte le cose, ossia la cosa in s delluniverso: Non
soltanto in quei fenomeni che sono affatto simili al suo proprio negli uomini e negli
animali- egli dovr riconoscere, come pi intima essenza, quella medesima volont;
mala riflessione prolungata lo condurr a conoscere anche la forza che ferve e vegeta
nella pianta, e quella per cui si forma il cristallo, e quella che volge la bussola al polo,
e quella che scocca nel contatto di due metalli eterogenei, e quella che si rivela nelle
affinit elettive della materia, come repulsione e attrazione, separazione e
combinazione (par.21).
La volont unica, aspaziale, atemporale, incausata e senza fine si
caratterizza per un irrefrenabile impulso desiderativo che, condizionando la vita, la
pone in un perenne stato di tensione tra il desiderio da appagare e il dolore per la
mancanza di qualcosa. La vita secondo Schopenhauer quindi costitutivamente
dolore, che il momentaneo e negativo piacere non pu quietare, perch la fugace
saziet dellappagamento porta con s noia e nuova bramosia. In altri termini La vita
umana un pendolo che oscilla incessantemente tra la noia e dolore, con intervalli
fugaci, e per di pi illusori, di piacere e di gioia.
Il
dolore cosmico dovuto al desiderio inappagato (Sensucht) provocato dalla volont di
vivere pu trovare espiazione soltanto nella negazione stessa della voluntas, cio in un
progressivo estraniamento dalla volont vitale in nome di una noluntas, che esprime il
non-volere-pi-volere. Tale percorso di liberazione si attua secondo il filosofo tedesco
in tre tappe: larte, che eleva alla contemplazione delle idee, quali oggettivazioni
ultime della volont di vivere, letica della piet, che originata da un sentimento
empatico di condivisione del dolore tra gli uomini annulla i desideri egoistici e
abbraccia il bene del prossimo, e lascesi, che conduce alla soppressione della volont
estirpando il desiderio di esistere, di godere e di volere.
In particolare la morale
schopenhaueriana si allontana dagli imperativi categorici razionali di Kant per dare
valore al sentimento di piet e compassione nei confronti del prossimo, alla luce del
carattere estremamente negativo della volont di vivere che costituisce
essenzialmente il mondo. Laspetto pratico della filosofia di Schopenhauer valorizza
fortemente la negazione di s in modo da escludere lelemento coessenziale della
volont.
La Wille zur Macht di Nietzsche come volont di accrescimento e posizione
valoriale nella trasvalutazione dei valori
La riflessione pi approfondita e dettagliata del concetto di volont, estesa ad ogni
ambito filosofico e non, si ha con la filosofia del meriggio e la filosofia del tramonto
di Friedrich Nietzsche, designazioni con le quali si intende la fase conclusiva del
pensiero nietzscheano contraddistinta dalle opere fondamentali di Cos parl
Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, Al di l del bene e del male. Preludio
per una filosofia dellavvenire e Genealogia della morale. Uno scritto polemico.
Nel rivoluzionario e antimetafisico pensiero di Nietzsche la volont assurge al ruolo
preponderante di intima essenza dellessere (Frammenti postumi) andando a
identificarsi con la vita stessa, intesa come forza espansiva e autosuperantesi: essa si
distingue radicalmente dalla volont di vivere schopenhaueriana, poich mossa non
dagli impulsi autoconservativi e dalla ricerca del piacere, bens dalla spinta di
autoaffermazione e autosuperamento: si costituisce cio come volont di potenza
(Wille zur Macht). In Cos parl Zarathustra, Dalla vittoria su se stessi Nietzsche
afferma: Ogni volta che ho trovato un essere vivente, ho anche trovato la volont di
potenza [] E la vita stessa mi ha confidato questo segreto: Vedi, disse, io sono il

continuo, necessario superamento di me stessa. Nel suo iconoclastico filosofare col


martello Nietzsche riconduce lintera tradizione metafisica occidentale
allaccrescimento ossessivo di una volont di potenza che pone valori nellatto stesso
di accrescersi e autoaffermarsi. Per questo motivo necessario indagare con un
metodo storico-critico-genealogico lo sviluppo occidentale della filosofia intesa come
metafisica, cos da mettere in luce lirriducibile quanto essenziale fondamento della
volont di potenza. La denuncia nietzscheana trova il suo massimo compimento nella
critica genealogica della morale, dove il concetto di valore ha rivestito il termine ad
quem di ogni riflessione etico-pratica. In Nietzsche contra Wagner (II, 15) egli
commenta: I valori e la loro trasformazione stanno in rapporto con la crescita di
potenza di chi pone i valori, il che fa dire ad Heidegger in Il nichilismo europeo: I
valori sono essenzialmente condizioni condizionate. evidente il passo nuovo e
inarrestabile compiuto da Nietzsche: non esistono kantianamente parlando imperativi
categorici quali leggi universali e necessarie in ambito pratico, nemmeno in una forma
unica e umanitaria di piet etica come voleva Schopenhauer, ma qualsiasi criterio di
valore nel quale si determina il valore stesso da ricondurre in ultima istanza alla
volont di potenza delluomo e non dellumanit, volont che per sua natura
autosuperantesi e autoaffermantesi pone tanto le verit metafisiche sovrasensibili
quanto i principi morali da osservare. Per utilizzare le parole di Nietzsche del
Frammento postumo n.713: Valore il massimo quantum di potenza che luomo
riesce a incorporare luomo, non lumanit! Lumanit molto pi un mezzo che non
un fine. Si tratta del tipo: lumanit solo il materiale sperimentale, lenorme
eccedenza di tutto quanto fallito: un campo di macerie.
Pertanto anche la morale va
sottoposta ad unanalisi genealogica, che ne mostri la genesi psicologica effettiva, il
lato umano, troppo umano. Lopera che si concentra su questo aspetto
emblematicamente la Genealogia della morale dove lo moralit viene dipinta come
listinto del gregge nel singolo, cio come lassoggettamento dellindividuo a
determinate direttive sociali, frutto di uno sviluppo storico e divenuto dei valori etici e
delle motivazioni umane che ne stanno alla base: detto diversamente, della volont di
potenza. La morale secondo Nietzsche trae origine dunque da un atto volontario e in
particolar modo da un atto di risentimento, con il quale si cerca di sottomettere gli
odiati valori vitali impersonati dai forti ad una tavola di valori antivitali in grado di
rovesciare limpotenza dei deboli per condurli alla sopraffazione. Quanto emerge dal
risentimento una morale che si gioca nella lotta per laffermazione della propria
potenza, che mostra i suoi risultati pi eclatanti nei fenomeni storici dellebraismo e
del cristianesimo, condannate come religioni prodotte dal risentimento delluomo
debole verso la vita. Si tratta quindi di riconoscere il carattere supremo della volont di
potenza nella posizione valoriale e di operare come necessaria conseguenza una
trasvalutazione dei valori, che non significa una semplice sostituzione dei valori
antivitali a favore dei valori vitali, rimanendo nel vortice della contesa per
laffermazione della volont, ma significa assumere un nuovo modo di rapportarsi ai
valori, da non intendere alla stregua di entit metafisiche autosussistenti, ma come
libere proiezioni delluomo e della sua antiascetica volont di potenza, al di l del
bene e del male.
Il crollo della metafisica della volont e della volont della metafisica
La volont di potenza di Nietzsche sancisce inequivocabilmente un punto di nonritorno nella storia della filosofia occidentale, tanto che possibile sostenere che,
citando nuovamente Heidegger ne Il nichilismo europeo, tutta la metafisica finora
avutasi, che precede storicamente la metafisica della volont di potenza, sia, bench

in modo inesplicito, una metafisica della volont di potenza. Nietzsche concepisce


lintera filosofia occidentale come un pensare valori, come ponente-valori. Questo
significa che tutta la storia della filosofia non consiste che in un eterno ritorno della
volont di potenza che autosuperandosi stabilisce sempre nuove verit ontologicometafisiche. Nietzsche segna dunque la fine della metafisica, nella misura in cui il suo
stesso pensiero lultimo atto della metafisica occidentale: osservare la storia della
filosofia, a partire dal sapere socratico-platonico, passando per la filosofia cristiana, il
criticismo, lidealismo fino ai maestri del sospetto, attraverso la lente della volont di
potenza rivela come l, Dio, gli a priori, lo Spirito (tra i tanti) non sono altro che
tappe storico-filosofiche di una pi generale e omnicomprensiva metafisica della
volont di potenza. Lindividuazione di una serie di verit spacciate per metafisiche
dipende dallesclusivo porre-in-atto della volont che vuole, perch in questo modo
pu affermarsi in maniera assoluta. Questo tuttavia significa che la volont umana ha
bisogno di una meta e che preferisce volere il nulla piuttosto che non volere
(Nietzsche, Cos parl Zarathustra, II, 299). Proseguendo col testo heideggeriano si
legge: Infatti la volont, in quanto volont di potenza, : potenza di potenza, o, come
possiamo dire ugualmente bene, volont di volont [] Non il nulla ci di fronte a
cui la volont indietreggia spaventata, ma il non volere, lannientamento della sua
possibilit esistenziale. Lorrore del vuoto del non volere questo horror vacui il
fatto fondamentale della volont umana. Il carattere costitutivo ed essenziale della
volont in quanto volont di potenza lessere volont di volont, cio avere la
necessit di porre valori sempre e incondizionatamente. La volont di potenza si perde
dunque nel crogiolo di non-poter-essere volont di potenza, cio nel non dare un senso
o uno scopo metafisico come posizione del valore. Ci equivale a sostenere che la
metafisica stessa connaturata alla volont di potenza nel senso specifico di una
naturale conseguenza del suo porre valori. Non si pu pensare antimetafisicamente se
si continua a preservare la volont di potenza quale punto di Archimede essenziale e
fondante, il che vale a dire che la volont di potenza propriamente metafisica perch
irrigidisce la realt in quel principio che se stessa come ponente-valori, come volont
di volont.
giunto dunque il momento di
rimuovere definitivamente linvolucro metafisico che riveste il vissuto umano e di
prepararsi per una nuova alba dopo la filosofia della sera nietzscheana. Non si tratta
a mio parere di ripensare lEssere (Heidegger), la domanda intorno al quale (die
Seinsfrage) caduta nelloblio, e di farlo con le categorie e gli strumenti propri
dellontologia per poi derivarne una morale consona, ma di ripensare specificatamente
la vita stessa delluomo o, come vedremo in seguito, di lasciare che la vita viva e
pensi se stessa, in modo che non si debbano dedurre ontologie, gnoseologie o morali a
partire da, bens che si possa vivere ontologicamente, gnoseologicamente e
moralmente. Lo scopo non proporre una filosofia della vita nuova e alternativa alle
molteplici versioni date, quanto aprirsi tout court ad una vita di filosofia.
Dalla volont di potenza alla potenza della volont
Al fine di delineare chiaramente cosa si intenda con vita di filosofia pu essere
significativo ripartire nondimeno dallintuizione nietzscheana di fare filosofia col
martello in modo da sgomberare il terreno della vita dagli idoli che lhanno reificata
o nascosta. Pertanto affacciamoci alla prospettiva di un nuovo risveglio cercando di
riportare in atto il genio creativo di Nietzsche ma evitando di cadere nel fatale errore
di una metafisica della volont di potenza. A questo proposito percorriamo lopera che
si rivel Musa ispiratrice per il filosofo tedesco: la Condotta di vita del filosofo
americano Ralph Waldo Emerson (1803-1882). Pubblicata nel 1860 in una fase di
maturit dellelaborazione filosofica emersoniana, la Condotta raccoglie nove saggi

che segnano il definitivo passaggio di Emerson da una concezione sostanzialmente


trascendentalista e fatalistico-finalistica della realt, secondo il modello neoplatonico e
plotiniano, ad una concezione autonoma, a mio parere lontana e bene distinta da
forme di protopragmatismo o pragmatismo alle quali stato avvicinato Emerson.
Lopera infatti non contiene idee di ordine pedagogico-morale per ben condurre la vita,
ma pi plausibilmente una serie di considerazioni di ampio respiro sviluppate in modo
anticonformista e talvolta aforistico e profetico. Per quanto allinterno dei diversi saggi
si trattino argomenti svariati, con approfondimenti legati allepoca e allambiente in
cui Emerson scrisse, il filo conduttore rappresentato dal rapporto tra Fato, Uomo e
Potenza.
Con il termine Fato il filosofo americano designa in
generale tutto ci che riguarda la Natura, la Circostanza, il modo e il mondo della Vita,
il Grund che accoglie lUomo. LUomo legato inevitabilmente alla Natura e al Fato,
ma non sta inerte davanti ad essi o dentro essi: egli vi oppone come naturale
antagonista la Potenza, che si esplica sotto varie forme, descritte analiticamente in
ciascun saggio.
Consideriamo con maggiore attenzione i saggi dai titoli
emblematici Fato e Potenza. Qui Emerson esplicita chiaramente: La Circostanza
Natura. La Natura ci che potreste fare. C molto che invece non potreste. Abbiamo
due cose: la circostanza e vita. Una volta pensammo che la potenza positiva fosse
tutto. Ora apprendiamo che la potenza negativa, o circostanza, met. La natura la
tirannica circostanza, lo spesso cranio, il serpente nella sua pelle, la massiccia,
granitica mascella; attivit necessaria; direzione violenta; le condizioni di un attrezzo,
come la locomotiva, forte abbastanza se sta sui suoi binari, ma che altrove pu fare
solo danni; o i pattini, che sono ali sul ghiaccio, ma ceppi sul terreno. Il libro della
Natura il libro del Fato. E ancora: La potenza di un uomo accerchiata da una
necessit che questi, attraverso molti esperimenti, tocca a ogni lato, fino a impararne
larco. Lelemento che percorre tutta la natura, che chiamiamo volgarmente Fato, ci
noto come limitazione. Qualunque cosa ci limiti, noi la chiamiamo Fato [] perfino il
pensiero stesso non si erge sopra il Fato: anchesso deve agire in accordo con leggi
eterne, e tutto quanto in esso fantasmatico e velleitario si contrappone alla sua
essenza fondamentale. E ultimo di tutti, alto sul pensiero, il Fato appare, nel mondo
della morale, come il vendicatore, livella lalto, eleva il basso, richiede giustizia
nelluomo e colpisce sempre, presto o tardi, quando non fatta giustizia [] nessuna
intuizione umana pu oltrepassare la limitazione. Nelle sue ultime e pi elevate
ascensioni, lintuizione stessa e la libert del volere sono fra i suoi obbedienti
membri. Seguiamo Emerson: il Fato racchiude ogni caratteristica o facolt umana,
cio esprime il funzionamento biologico, la forza fisica, lesperienza, il pensiero, la
cultura, la morale, le circostanze esterne, in generale lintera identificazione naturale
se con questo si contraddistingue linterezza umana. Proprio per il fatto di
racchiuderla, ne sancisce inequivocabilmente i limiti, nel senso che ci che
contraddistingue luomo ne anche la limitazione. Le limitazioni si raffinano a mano
a mano che lanima si purifica, ma lanello della necessit sta sempre lass, alla
sommit. Si potrebbe pensare che lautore coniughi elementi di kantismo, propri di
una filosofia del limite per come stata descritta, ma anche della concezione
schopenhaueriana, nel senso di un mondo che ostacola nella sua volont di vivere la
volont di vivere del singolo, producendo un inevitabile fallimento esistenziale umano,
accettato fatalisticamente. Anzi, Emerson aggrava il quadro perch include tutte le
facolt umane nel comune destino fallimentare, tra cui il pensiero, la razionalit
(intuizione stessa) ma soprattutto la volont sotto tutti i profili (libert del volere).
Lautore di Condotta di vita va per oltre: Cos noi rintracciamo il Fato, nella
materia, nella mente, nella morale, nella razza, nei ritardi degli strati, cos come nel
pensiero e nel carattere. Dovunque vi siano confini o limitazioni. Ma il Fato ha il suo

signore; la limitazione i suoi limiti; diverso visto da sopra e da sotto, da dentro e da


fuori. Infatti, bench sia immenso, anche la potenza, che laltro fatto del mondo
duale, immensa. Se il Fato segue e limita la potenza, la potenza attende al varco il
Fato e ne diventa lantagonista [] Luomo non ordine della natura, il contenuto di
questo o questaltro sacco, pancia e membra, anella in una catena, n alcun
ignominioso bagaglio, ma uno stupendo e immenso antagonismo, un trascinare
insieme i poli dellUniverso. In virt della sua potenza lUomo si erge a naturale
ostacolo e impedimento del suo stesso limite e diventa (o meglio, ) libero di
esprimere la sua volont, con la quale indichiamo univocamente ogni sua possibilit
dagire teoretico e pratico. Non si tratta pi di una volont di potenza, ma di una
potenza della volont, grazie alla quale lindividuo, il soggetto, pu mettere a
confronto fato con fato. La potenza non teme il suo non-essere-potenza al pari della
volont, perch in essa rientra sia il poter-essere-in-potenza, cio il potenziale
substrato di qualsiasi atto che ancora non , ma che pu liberamente diventare tale,
sia la possibilit, intesa nellaccezione del fenomenologo francese Jean-Luc Marion,
secondo il quale per essere quello che sono mi occorre aprire una possibilit di
diventare altro da quello che sono, di proiettarmi nellavvenire, di non perseverare nel
mio essere, ma in unaltra condizione dellessere; in breve, per essere quello che sono
(e non un oggetto o un ente del mondo), io devo essere in quanto possibilit, in
quanto possibilit, dunque, di essere altrimenti (La questione dellamore e la
riduzione fenomenologica). Resta da comprendere come la potenza della volont non
si debba banalmente andare ad aggiungere alla costellazione di costruzioni o principi
metafisici sostituendo o rielaborando la volont di potenza nietzscheana: limitandoci a
considerare la potenza alla stregua di una produzione umana, cio di un farsi-esterno
di cio che interno, essa si inserirebbe tra i prodotti storici dellumanit, cio si
costituirebbe come un semplice Erlebnis (Dilthey), un vissuto storicizzabile e quindi
interpretabile e criticabile. Non resta che riprendere Emerson: Dove la potenza si
mostra nella volont, questa deve riposare nella forza universale. Luomo s
naturale antagonista che attende al varco il Fato, ma pur sempre naturale, pu
mettere a confronto fato con fato per la semplice ragione che parte di esso e
partecipa del Fato (cio della Circostanza, della Natura, della Libert) vivendo della
compresente potenza. In altri termini, la natura a limitazione dellumano tradita dalla
potenza che gli si oppone, ma questultima ha vigore in forza di essere-dalla-natura,
cio di originarsi dalla natura nel momento in cui gli si d vita. La potenza si fa tale in
quanto c una vita irriducibile e non categorizzabile, poich omnicomprensiva. La
potenza di volont dunque intimamente e essenzialmente vita di potenza e di
volont. In Fato Emerson ribadisce: Il giusto uso del Fato di educare la nostra
condotta allelevatezza della natura. Gli elementi sono rudi e invincibili, ma possono
vincere se stessi. Lasciate dunque che luomo sia. Che svuoti il suo cuore delle sue
verbose presunzioni e mostri la sua signoria con maniere e azioni su scala della
natura. Allesortazione che Nietzsche annuncia nella Gaia scienza, Che cosa dice
la tua coscienza? Devi diventare ci che sei (aforisma 270), opportuno sostituire il
Lasciate che luomo sia emersoniano, al posto del santo dir-di-s alla vita del
fanciullo oltreomistico nietzscheano (Cos parl Zarathustra, Delle tre
metamorfosi) leggiamo un lasciar che la vita dica di s a se stessa. In questo modo
non sar necessario elaborare, dedurre o anche improvvisare ontologie o morali,
perch appunto nel vivere si vivr in modo ontologico e morale: il gran giorno della
festa della vita, quello in cui locchio interiore si apre allUnit delle cose,
allonnipresenza della legge; vede che ci che deve essere, o ha il dovere di essere,
o il meglio (Fato).

Bibliografia di riferimento
-

N. ABBAGNANO, Le origini storiche dellesistenzialismo, Viretto, 1944;


N. ABBAGNANO, G.FORNERO, Itinerari di filosofia, Vol. 2A, 2B, 3A, Paravia, 2003;
P. BUCCI, La Crisi delle scienze europee di Husserl, Carocci, 2013;
R. CARTESIO, Discorso sul metodo, Mondadori, 2000; Le passioni dellanima,
Bompiani, 2003; Meditazioni metafisiche, Laterza, 2010;
R. W. EMERSON, Condotta di vita, Rubbettino, 2008;
M. HEIDEGGER, Il nichilismo europeo, Adelphi, 2003;
E. HUSSERL, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il
Saggiatore, 2008;
I. KANT, Fondazione della metafisica dei costumi, Laterza, 2005; Critica della
ragion pratica, Laterza, 2006;
J. MARION, La questione dellamore e la riduzione fenomenologica, conferenza
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F. NIETZSCHE, Frammenti postumi(1888-1889), Adelphi, 1974; Cos parl
Zarathustra, Adelphi, 1976; La Gaia Scienza e Idilli di Messina, Adelphi, 1977;
Nietzsche contra Wagner, Adelphi, 1979; Genealogia della morale, Adelphi,
1984;
A. SCHOPENHAUER, Il mondo come volont e rappresentazione, Bompiani,
2006.

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