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Tecnosfinge

di BaK

Capitolo 1 - “Domanda: Qual è l'animale che al mattino camminava su quattro zampe…“

Il primo giorno che venni a lavorare qui conobbi subito il Signor Walgreen.
Attraversai la porta d'ingresso, fatta di spesso metallo cigolante, e lui era proprio lì dietro, in una
stanza abbastanza piccola e malamente illuminata.
Era un uomo piuttosto anziano, con una manciata di denti ancora nel sorriso, che faceva ammirare
raramente. I suoi capelli erano neri, ricci e gonfi, colorati di grigio e bianco solo ai lati e sulla nuca.
La sua tuta da lavoro (originariamente azzurra come la mia) era diventata una salopette quasi
completamente nera, abbottonata solo sul lato destro, che lasciava intravedere da sotto una
maglietta imbrattata da ogni gradazione di colore...
Io ero solo un ragazzino che quasi faticava a tenere su la sua tuta azzurra: una salopette grande,
fermata sulle spalle da due grossi bottoni di metallo.
La stanza in cui avrei lavorato non era troppo grande, la luce proveniva principalmente da fuori: Una
finestra alta che non faceva ammirare che il cielo. La luce incerta la rendeva a tratti luminosa ed a
tratti quasi buia, a seconda dei momenti della giornata. Una grande macchina metallica si stagliava di
fronte a noi ricoprendo tutta una parete con la sua serie di valvole, pistoni, tubi, leve... Il mio
sguardo si perdeva in quel groviglio di metallo che, a prima vista, mi sembrò indistinto e infinito..

Walgreen il primo giorno mi diede poche ma utili direttive: "Giovanotto! Io sono Peter Walgreen, ma
per te sarò semplicemente il Signor Walgreen! Vieni avanti! Ti presento il "Macchinario"! Tu stai
fermo qui e segui i miei movimenti. Non toccare, non muoverti e non fiatare, se non sono io a
chiederti di farlo!".
Timido, emozionato e intimorito dal Signor Walgreen, risposi sempre "sì" alle sue affermazioni, con
veloci cenni del capo... Fino a quando non si presentò la necessità di parlare, Walgreen infatti mi
chiese: "Non che mi interessi veramente, ma qual è il tuo nome ragazzo?", a quel punto la mia voce
uscì, con un iniziale balbettio, "G-G-Gabriel, Signor Walgreen... Il mio nome è Gabriel..." E Walgreen
mi rispose mostrandomi per la prima volta il suo bonario e sdentato sorriso che sotto la barba incolta
e le sopraciglia folte lasciava chiaramente intravedere il viso di un ex bambino pacioccone.

Il mio nuovo posto di lavoro era una seduta scomoda, ricavata tra alcune tubature che uscivano da
un muro laterale. Seduto lì guardavo Walgreen rispecchiarsi sul metallo: I suoi riccioli neri, la barba
incolta, il fisico grassottello e gli occhi castani... Poi guardavo il mio riflesso, sul metallo: Occhi
castani, fisico asciutto, capelli castani, lisci, corti e agghindati su una riga laterale, nessun pelo in
viso.

Walgreen passava tutto il giorno davanti al "Macchinario": Controllava le leve, gli indicatori e ogni
tanto saliva delle scalette di metallo, poste vicino l’angolo destro della stanza, per affacciarsi da una
grande botola, fatta di metallo dipinto di beige, che stava sul soffitto.
Passavo così le mie prime giornate: Tra la mia tuta pulita e profumata di nuovo ed i movimenti goffi
ma efficaci di Walgreen.
Parlava di rado, ma ogni volta mi insegnava qualcosa di nuovo.

Il lavoro al "Macchinario", dopo alcuni giorni a guardare Walgreen all'opera, mi sembrava chiaro: Si
doveva guardare l'indicatore a destra... Se questo saliva fino alla zona rossa (producendo un allarme
sonoro fastidioso e intenso) sì muoveva la leva di fianco all'indicatore... Se dopo qualche secondo
l'indicatore non tornava alla normalità si controllavano le leve di sinistra, si facevano scattare una per
volta di una o due posizioni... Questo riportava il Macchinario alla stabilità...
Ci sono state anche volte in cui Walgreen stava semplicemente lì, di fronte all'indicatore di destra che
segnalava l'allarme, senza intervenire aspettando che il tempo stesso si prendesse cura del
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Macchinario... Non capivo come facesse ad intuire quando bastava non intervenire... Quando (molto
tempo dopo) gli chiesi come riconoscere gli allarmi "effimeri" neanche lui me lo seppe spiegare...
Proposi a Walgreen di dare un nome scientifico a questi fenomeni: "Li potremmo battezzare "allarmi
effimeri", visto che sono talmente effimeri da non richiedere un intervento alle leve?" e lui rispose
esattamente con la grassa risata che mi aspettavo: "Ahahah! Chiamali come vuoi ragazzo! Non
saranno i tuoi paroloni a far funzionare bene il Macchinario!"

Il tempo lì dentro era scandito dagli allarmi e dalle "visite" che Walgreen faceva alla botola: Saliva la
scaletta in ferro cromato per tutta la sua lunghezza e si affacciava (restando nella stanza del
Macchinario fino alla cintola) oltre quella botola misteriosa...
Quando tornava giù il suo viso non tradiva neanche un sentimento, la sua voce non lasciava
scappare confidenze e il suo comportamento era naturale... Non capivo...
Perchè non mi parlava mai della botola? Perchè non potevo sapere cosa ci fosse oltre? Cosa faceva
Walgreen affacciato così a lungo in quel posto? Perchè non ci entrava, invece di costringersi in quella
scomoda posizione a metà?
Un giorno, mentre Walgreen era distratto, provai a salire la piccola scaletta, verso la botola... Ero
curioso di vedere cosa c'era oltre quel passaggio misterioso...
Cosa poteva mai nascondere un tipo come Walgreen? Perchè non potevo essere io ad affacciarmi alla
botola, per una volta? Forse la sua riservatezza era proprio un modo per incuriosirmi e spingermi a
cercare di oltrepassarla? Forse al di là della botola c'era un macchinario dove avrei potuto lavorare io,
per risparmiare a Walgreen le faticose salite sù e giù per la scaletta? Forse c'erano altri operai...
Infondo Walgreen non poteva aver costruito né gestire il macchinario tutto da solo...
Dopo tutte queste domande ero ancora al terzo scalino... Ero curioso, molto curioso, curioso ancora e
ancora... Ma fu un grave errore...
Dopo neanche una decina di scalini, fatti in relativa fretta e cercando di trattenere il fiato per far
meno rumore, sentì la vigorosa e grassa mano di Walgreen afferrarsi alla caviglia destra e tirarmi
verso il basso...
Walgreen era tornato prima che potessi risolvere il mio grande mistero... Mi mise a sedere
nuovamente al mio posto, aspettavo un sonoro rimprovero per quel tentativo di "trasgressione" di cui
Walgreen era visibilmente contrariato, dietro il viso bloccato in una espressione di disprezzo...
Invece tornò davanti al macchinario, a lavorare come prima... Si prese il suo silenzio e non mi lasciò
altro che silenzio...
In quel silenzio, nel modo in cui mi ignorò totalmente per il resto della giornata, c'era una solitudine
che non avevo mai provato prima... Un abbandono totale... Sarei voluto uscire dal mio corpo solo per
star vicino a me stesso e avere qualcuno con cui parlare... Walgreen lo sapeva: il silenzio sarebbe
stato la mia punizione...
Quello è stato il giorno più lungo che ho passato qui...

Capitolo 2 – “…A mezzogiorno cammina su due zampe…”

Erano mesi che lavoravo con lui e nei momenti di calma, quando il Macchinario era "stabile", con i
suoi indicatori nella norma e nessun intervento da eseguire, Walgreen scambiava un pò di
chiacchiere con me, mentre cercava di sistemare al meglio la sua tuta che restava comunque
imbrattata, logora e sbottonata da un lato a causa di un bottone mancante...
"Vedi qui? Questo bottone che non c'è più? L'ho regalato... Molto tempo fà ero un ragazzo come te,
arrivato qui senza sapere che fare... Trovai un signore che mi ha insegnato tutto quello che so sul
Macchinario... Un giorno mi disse che stava per andare altrove a lavorare...", Walgreen smise per
qualche secondo di parlare, fissando intensamente la botola, quasi a volerle dare parola, poi però
continuò "...Così strappai il bottone dalla mia tuta e lo regalai a lui.".
Era la prima volta che parlavamo di qualcosa che non fosse il Macchinario, la profondità del suo
gesto mi stupì, quel piccolo e prezioso dono di riconoscenza... Ma durò poco, solo finchè non indossò
il suo sorriso sgangherato e aggiunse ridendo:

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"...Ma non c'è inverno che non me ne penta! Sento il freddo che mi entra nelle braghe e non è bello
ragazzo! Non è per niente bello, credimi!", Walgreen non sarebbe mai cambiato... Mai...

Un altro giorno al Macchinario, con Walgreen che picchiettava le leve a ritmo di una qualche ballata
tradizionale del sud... Sembrava felice e (ovviamente) non mi avrebbe neanche accennato il motivo
di questo suo umore insolitamente frivolo... Però mi rendeva felice vederlo così, sembrava un pò un
ragazzino che torna a casa dopo aver preso dei buoni voti a scuola...
D'improvviso mi accorsi che il livello dell'indicatore di destra si stava alzando, ad una velocità
superiore al normale, cercai di avvisare Walgreen:
"Ehm... Signor Walgreen? Mi scusi signore, non crede che quell'indicatore si stia alzando un pò
troppo velocemente? Non sarebbe meglio iniziare a muovere la leva di destra..?".
Lui, per tutta risposta, oltre a picchiettare le leve iniziò anche a canticchiare e mugolare quello che
sembrava una specie di flamenco distorto e sogghignava:
"Ragazzo! Che diavolo dici! Sarà una di quelle volte in cui non bisogna muovere un dito e l'allarme
passerà da solo! Sapessi quante volte l'ho visto fare così! Non preoccuparti! E' tutto sotto cont..."
Walgreen non finì di pronunciare i suoi incoraggiamenti che il rumore dell'allarme di destra iniziò a
farsi sentire... Forte... E aumentava ancora di tono! A quel punto lui era meno sicuro del discorso
fatto poco prima: "Ma che diav...?!?", Anche questa sua frase fu interrotta dal suono dell'allarme che
era diventato insopportabile... Misi le mani sulle orecchie e il suono, seppur ovattato, arrivava forte e
stridulo. Vedevo Walgreen muoversi il più velocemente possibile tra il suo fare goffo e l'evidente
fastidio provocato da quel suono...
Si dimenava, cercava di muovere la leva di destra velocemente... Poi le leve di sinistra... Ma niente,
l'allarme continuava a suonare... L'indicatore aveva toccato quasi l'apice... E l'allarme strillava...
Strillava... Strillava...
Walgreen senza voltarsi urlò:
"Ragazzo! Che diavolo fai lì impalato! Vieni qui e muovi quelle leve!", mi alzai di scatto e afferrai le
leve di sinistra, mentre Walgreen continuava a muovere la leva a destra... Entrambi avevamo gli
occhi socchiusi dal fastidio dato da quel suono assurdo che ci investiva per poi fare eco sulle pareti e
tornare ancora ad assordare.
Venti secondi circa passati a muovere le leve... L'indicatore era sceso di poco ma continuava a tenere
un livello elevato, nel mezzo della sua zona rossa...
Allora Walgreen fece un gesto estremo e coraggioso: Infilò la sua mano destra all'interno del
Macchinario, tra tutti quei componenti aggrovigliati, afferrò un tubo del Macchinario e iniziò a
smuoverlo...
Si ferì sul dorso della mano, mentre la inseriva tra tubi e pistoni, urlando dal dolore riuscì a muovere
quel tubo dal quale, a tratti, uscì un fumo che sembrava vapore giallo e che andando a contatto con
la ferita fece urlare ancora più forte Walgreen...
"Continua ragazzo! Continua a muovere le leve!", non smetteva di incitarmi, facevo tutto il possibile,
avrei voluto avere sei braccia in quel momento, ma ne avevo due che, pur muovendosi veloce, non
bastavano mai...
Mi sentivo molto piccolo di fronte al Macchinario e alla sofferenza di Walgreen, i suoi muscoli
contratti, il suo viso tirato, arrossato e lucido di sudore...
Dopo neanche un minuto Walgreen mollò la presa, sopraffatto dal dolore, e si fece rotolare alle mie
spalle mentre continuavo ad operare al Macchinario... Il suo intervento aveva fatto scendere il livello
di allarme notevolmente e la mia insistenza stava riportando la situazione alla normalità...
Ci volle ancora mezzora, ma alla fine il Macchinario (così come me, suppongo) era salvo...
Una volta fermatomi sentì i muscoli delle braccia stringersi in un unico crampo, leggero ma
insistente... Le lacrime che avevo versato nella fatica erano sulle mie guance, impastate a sudore,
polvere e chi sa quale altra sostanza proveniente dal Macchinario, che quei getti di vapore avevano
sollevato...
"Signore! Signore! L'allarme è passato! Siamo salvi!", esclamai a Walgreen, cercandolo con lo
sguardo...

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Ma Walgreen sedeva a terra, di fronte al Macchinario in completo silenzio... Con la sua ferita
dolorante, che brillava di sangue e carne viva...
Stava pensando a molte cose, sicuramente, glielo si leggeva dallo sguardo col quale percorreva tutte
le tubature, le leve, le sporgenze e gli incavi del Macchinario...
Non volevo turbarlo oltre, rimasi in silenzio fino a sera, quando l'indicatore di destra iniziò a
segnalare una disfunzione e lui (con voce sommessa) mi chiese di intervenire...
Era la prima volta che mi permetteva di mettere mano al Macchinario al suo posto, la cosa mi
avrebbe sorpreso in altre occasioni, ma era tutto ammortizzato dalla situazione: La scena di
Walgreen, fermo lì, nel suo stesso silenzio...
Mentre muovevo le leve (più leggere di quanto mi aspettassi) mi chiedevo, tra me e me, se Walgreen
sarebbe mai tornato a lavorare al Macchinario... Se quella ferita non fosse troppo profonda, anche
per uno come lui...
Il mattino ero ancora carico di domande (vecchie e nuove)... Ma Walgreen era nuovamente a lavoro
e mi accolse con la sua indomabile verve: "Non stare lì impalato, ragazzo! Vieni qui e siediti! Sono già
due volte che questo dannato arnese và sul rosso e non è che mattina ancora! Ci aspetta una
giornata dura ragazzo mio!"...
Quel "ragazzo mio" pronunciato da Walgreen tradiva la sua emozione... Comunque era lì che
lavorava ancora e questa immagine mi aveva colmato di sicurezza, pur non capendone il motivo...
La sua ferita era ancora lì, dolorante, rossa... Gli rallentava i movimenti e ogni tanto lo costringeva ad
una breve smorfia di dolore... Non capivo se era più la serenità nel vederlo di nuovo al suo posto o la
preoccupazione per la sua ferita e la sua evidente ostinazione nel tornare a lavorare...
Alcuni giorni dopo Walgreen approfittò di un momento di stabilità del Macchinario per voltarsi verso
di me e spiegarmi alcune cose:
"Vedi? La mia ferita si è chiusa, adesso..."
"Mi scusi Signor Walgreen ma non crede che sarebbe stato più salutare per lei prendere un paio di
giorni di vacanza? Per lasciare che la ferita tornasse al proprio posto e anche per rilassarsi e vedere
qualcosa di diverso oltre il Macchinario... E poi si possono fare tante cose! Ad esempio ci sono dei
bellissimi animali migratori nella baia, in questi giorni... Il circo del sud è in città... Cinema, teatro..."
Interruppe le mie proposte che si erano fatte sempre più incalzanti...
"No... Non hai capito niente, vero? Il corpo ripara il corpo, il coraggio ripara il coraggio... Se mi fossi
tirato indietro per la ferita non avrei mai riparato il mio coraggio e non mi sarei più avvicinato al
Macchinario!"
Sentivo un tono quasi confidenziale che spinse fuori domande che trattenevo sotto la lingua da
troppo tempo...
"Cos'è il Macchinario, signor Walgreen? Cosa provoca le sue instabilità? Dove vanno a finire quei
bocchettoni, l'energia e quel vapore giallo che produce?"
Era una strana compassione, quella con cui mi guardava in quel momento e non ne capivo il
motivo...
"Quando arriverai a lavorarci, capirai molte cose e avrai le risposte a queste domande..."
"E la botola, Signor Walgreen? Cosa c'è oltre la botola? Perchè non posso vedere?"
"Ci sono cose che non potresti capire, anche se te le spiegassi! Stai lontano da quella botola e basta
con queste domande da ragazzino!"
"...Io SONO un ragazzino, signor Walgreen..."
"...E lo resterai, ragazzino!"
Tornò al Macchinario, forse era arrabbiato con me e forse aveva anche ragione...
Per un attimo pensai di avere esagerato con la mia insistenza... Ma già l'attimo dopo quelle domande
tornavano... Insistenti... Insistenti... E insistenti... Suggerendomi di essere meno intransigente con
me stesso ed il modo in cui mi ero comportato...
Qualche giorno dopo, senza accorgermene, feci come Walgreen e la sua ferita: Ricucì nel mio
coraggio le mie domande e anche il dialogo tra me e lui tornò come prima: Poco ma incisivo.

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Col passare del tempo la figura di Walgreen divenne comunque importante per me... Era rozzo,
odioso e poco amichevole... Ma qualcosa mi spingeva a credere in lui e nei suoi insegnamenti... Forse
perchè conosceva così bene il Macchinario? Forse era solo voglia di imparare da lui?
Ogni tanto provavo ad imitare un pò il suo stile, le sue movenze... Provai anche a far crescere i miei
capelli come i suoi... Quei ricci neri e ispidi... Però i miei capelli, lisci, diventavano solo un caschetto
buffo, da baronetto inglese e somigliante in qualche modo ad un funghetto...
Non mi disse mai nulla riguardo questa voglia di somigliare a lui e credo non se ne sia mai accorto
altrimenti mi avrebbe rivolto qualche battutaccia delle sue, unita ad una grassa risata, stretta tra i
dentoni che gli erano rimasti.

Capitolo 3 – “…E la sera cammina su tre zampe?”

Altri mesi, altri allarmi del Macchinario... Walgreen era triste, già da qualche giorno... Gli chiesi
diverse volte (quando mi permetteva di parlare) il perchè di questa sua tristezza ma lui non mi
rispose mai... Ogni tanto mi faceva gestire il Macchinario al suo posto, mentre lui preferiva riposarsi lì
dove ero solito sedere io o andare ad affacciarsi alla botola... Passava sempre più tempo alla botola e
il mistero riguardo cosa si celasse dietro continuava a farsi sentire prepotentemente in me...
Domande... Domande... Mentre era alla botola cercavo di sbirciare oltre il corpo robusto di Walgreen,
ma era inutile... Domande... E domande... E poi il suono dei passi di Walgreen che scendeva la
scaletta e tornava da me:
"Gabriel..." Fu l'unica volta in cui Walgreen pronunciò il mio nome "...Domani vado a lavorare da
un'altra parte, per un pò...", stava mentendo: Sentivo il forte presentimento che non avrei mai più
rivisto il Signor Peter Walgreen. "...Ti lascio questo strumento, è tutto quello che può esserti utile per
lavorare qui al Macchinario! Adesso tocca a te ragazzo, non mi deludere!".
Accennava un sorriso falsissimo... Avevo voglia di piangere, abbracciare il Signor Walgreen e
piangere con lui, piangere sulla sua tuta vecchia e lurida... Ma non lo feci...
Dalla sua tasca tirò fuori questo "strumento" che altro non era che una minuscola chiave inglese,
grande poco più del mio dito indice... "Signor Walgreen, mi scusi, ma a cosa può servire questa
chiave inglese? E' minuscola... Per il Macchinario servirebbe una chiave più grande e robusta..."
Si aspettava la mia perplessità (forse ci sperava) e continuando a sorridere mi disse: "Ragazzo, Non
capisci? Sei tu... Sei tu l'unica cosa di cui il Macchinario ha bisogno adesso... Sei tu l'unica cosa che
lascio al Macchinario, malgrado anni e anni che ho passato a lavorare su di lui, non ci sei altro che tu
e non ci sarai che tu...".
Quel discorso mi fece sentire importante... Nelle ore successive chiesi a Walgreen se avesse
accettato un bottone della mia tuta, come segno di ringraziamento nei suoi confronti... Lui negò
categoricamente... Ma verso sera, approfittando della sua distrazione, strappai il bottone sinistro
dalla mia tuta e lo infilai nella tasca della sua... Pensando che il giorno in cui avrebbe trovato il
bottone sarei riuscito a farlo sorridere (ovunque si trovasse) e magari avrebbe potuto utilizzare il mio
bottone per riparare la sua tuta vecchia e quindi non soffrire più del freddo invernale...
Ma perchè avevo tanta premura per quell'uomo? Non me lo seppi spiegare...
Il giorno dopo Walgreen non c'era... Aspettai un paio d'ore il suo arrivo, seduto al mio solito posto,
poi mi sentii stupido a star lì solo in una stanza vuota e mi avvicinai al Macchinario, iniziando a
lavorarci...
Continuò così per un giorno, poi un altro... E un altro... Facevo sempre fatica a prendere la
postazione di fronte al Macchinario che riconoscevo ancora come il posto di lavoro di Walgreen... Era
una fatica fingere normalità... Ma era la cosa più intelligente che potessi fare, per il momento...

Le giornate, il Macchinario, la mia tuta senza bottone... Walgreen era andato via da mesi, ormai... Un
giorno qualunque rigiravo la sua piccola chiave inglese nella tasca della tuta e d'improvviso compresi
che il mio presentimento si era realizzato: Walgreen non sarebbe più tornato...
Lo rividi ancora un'ultima volta: Sarà stata mattina... Verso le 9... Quando la botola misteriosa si
spalancò da sola, riempiendo la stanza di una luce innaturale e creando un cilindro di luce che dalla
botola finiva sul pavimento, talmente forte che la luce sembrava essere compatta... E dalla luce,
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dopo qualche istante, si materializzò il signor Walgreen, nella sua solita tuta trasandata... Faceva
passi lenti e silenziosi, si mise di fronte a me e mi sorrise mentre la luce materializzava altre bizzarre
figure: Un pagliaccio su un monociclo, un uomo finemente vestito in smoking dai capelli impomatati e
una danzatrice del ventre che lanciava petali di rosa in aria. Le bizzarre figure giravano intorno a
Walgreen che, impassibile, continuava a guardarmi e per l'ultima volta mi dedicò il suo sorriso
sdentato.
Avrei voluto parlargli... Dirgli qualcosa... Anche qualcosa di stupido...
Avrei voluto chiedergli perchè andava in giro ancora con quella tuta malconcia... Perchè non aveva
utilizzato il mio bottone per ripararla... Perchè non mi parlava?
Mi sarebbe bastata una parola, un gesto o anche un rimprovero, sì anche un silenzio che fosse stato
suo...
Ma Walgreen era lì, con quelle persone che gli giravano intorno e quella sua compostezza che mi
faceva quasi rabbia...
E così, con tutta la preoccupazione accumulata nella sua mancanza, urlai:
“Stupido! Stupido vecchio! Perché non hai riparato la tua tuta, adesso che hai un bottone nuovo? Ti
ammalerai se continuerai ad andare in giro così! Ti ammalerai!”, ma la mia voce non aveva suono né
parole, era solo una forte onda di preoccupato e delirante affetto… Che diventava rabbia, fuori...
Con la stessa rabbia mi svegliai, scoprendo che era stato tutto un sogno... Ero seduto a quello che da
qualche giorno avevo etichettato come il mio "vecchio posto di lavoro", con la testa china e sorretta
dalle mie mani... La botola era chiusa... Nessun pagliaccio, neanche un petalo di rosa...
Mi avvicinai alla botola, la toccai... Appoggiai completamente il palmo della mia mano destra sul ferro
beige della misteriosa botola...
Era calda...
Forse era solo lo stesso calore dal mio corpo, trattenuto e restituito dal metallo, ma da quel giorno
(senza pensarci mai a mente lucida) iniziai a credere che Walgreen fosse lì: Stava lavorando nella
stanza oltre quella botola e tutte le volte che lo vedevo affacciarsi oltre quella soglia era per
ammirare quello che sapeva essere il suo posto di lavoro successivo e per prendere accordi con i suoi
nuovi compagni di lavoro, di sicuro più efficienti e preparati di me...
Era una favola che mi ero scritto da solo... Non ho mai pensato di crederci veramente, Eppure ci
credevo senza pensarci... Ad ogni modo non avevo mai aperto quella botola e non la aprii mai più
per due motivi: Il primo (razionale) era che il Signor Walgreen mi aveva detto di non farlo... Il
secondo (irrazionale e vero) era perchè avevo paura di non trovarci il Signor Walgreen oltre, né quel
suo manipolo di aiutanti infaticabili e preparatissimi...
Giù dalla scala... Due passi indietro... Misi la mano destra, con tutto il suo calore, in tasca e tornai al
Macchinario, con il timore di poter disturbare il lavoro del Signor Walgreen, di sopra, facendo rumore
contro la botola o sulle scale metalliche...

Capitolo 4 – “Risposta: L'uomo.”

Passarono altri mesi, pensavo a molte cose durante il giorno e tra queste talvolta c'era anche il
Signor Walgreen, ma quando il suo pensiero diventava pesante mi bastava toccare la botola, fino a
sentirne il calore, e tutto svaniva mentre tornavo a lavorare sorridendo della mia stessa ingenuità...
Un giorno si aprì la porta della stanza e ne entrò una ragazzina, che annaspava dentro la sua perfetta
tuta azzurra... Il suo corpo era acerbo e magro, avrà avuto sedici anni, il suo viso aveva lineamenti
vagamente orientali, la pelle molto chiara e gli occhi castani come i miei e quelli del Signor
Walgreen... Mentre involontariamente squadravo la ragazzina con lo sguardo, Walgreen mi mancò
ancora una volta... Ma perchè?
"Buongiorno ragazzina, come ti chiami?" le dissi con un tono amichevole e calmo...
"Na-Na-Narita, signore!"
"Sei venuta qui per lavorare, Narita?"
"S-Sì signore!"
...Quella scena mi tornava incredibilmente familiare...

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"Bene Narita, ti presento il Macchinario! Siediti qui e inizia ad osservare quello che faccio io... Un
giorno forse saprai governare il Macchinario meglio di me!"
Narita iniziò ad osservarmi attentamente.. Studiava tutti i miei movimenti, capii subito che era una
ragazza in gamba e avrebbe imparato in fretta...
Io mi imposi una sola regola: Essere più rispettoso con lei di quanto Walgreen lo fosse stato con me.
Niente limitazioni o costrizioni, volevo lasciarle vivere tutta la sua voglia di imparare e rispondere con
sincerità ed esaustività a tutte le sue domande...

Per renderle più facile l'apprendimento del Macchinario decisi con lei dei nomi simpatici da dare
all'indicatore e tutte le leve...
Lei propose più o meno così: Amaterasu era il nome dell'indicatore di destra, Susanoo il nome scelto
per la leva vicina ed a sinistra c'erano le leve O-Wata-Tsu-Mi, Izanagi, Izanami e Kotoamatsukami.
Concordammo per dei nomi più accessibili e che non avrebbero richiesto a me un corso di
giapponese: John era l'indicatore principale, Paul la leva vicina ed a sinistra c'erano le leve George,
Ringo, Stuart e Pete... E il Macchinario, per noi due, prese il nome di “Sommergibile giallo”…
Cercavo anche di non farla sentire solo una spettatrice: Le raccontavo delle piccole favole
ispirandomi a quello che mi era capitato lì al Macchinario con il Signor Walgreen, come ad esempio il
"Grande Allarme" che Teodor (era questo il nome del personaggio che avevo associato a Walgreen) e
Simon (il mio personaggio) riuscirono a superare malgrado la "bua" alla grande mano di Teodor... O
di come Teodor aveva un armadio con dentro una giraffa a scacchi neri e gialli e faceva di tutto per
giocarci da solo, senza presentarla a Simon...
Lei si divertiva, spesso correggeva alcune imprecisioni delle mie storie e delle volte inventava da sola
nuove avventure per Teodor e Simon che mi raccontava mettendosi in piedi sul posto dove sedeva di
solito, per darsi maggiore importanza e reclamare la mia attenzione...
Alla fine di ogni storia Narita sorrideva... Narita sorrideva... E il suo sorriso era la mia gioia...

Durante una pausa, il giorno dopo, si avvicinò trascinando la sua tuta, che ancora teneva sù con le
gracili braccia...
"Signore, posso farle una domanda?"
"Certo Narita, fai pure tutte le domande che vuoi..."
"Ho capito che questo è il Macchinario “Sommergibile giallo”! L'allarme John è sulla destra e ogni
volta che emette quel suono forte devo tirare la leva Paul e se il suono non smette devo spostarmi a
sinistra dove ci sono le leve Ringo, Stuart, Pete e George che devo muovere fino a che l’allarme non
smette."
"Brava Narita, impari in fretta! Sì, è proprio così."
"Ma signore, a cosa serve il Macchinario?"
...Quella domanda sbloccò qualcosa dentro di me, forse una paura mai sopita, che non volevo
trasmettere alla ragazza...
"Narita, facciamo un gioco: Io non ti dico a cosa serve il Macchinario, lo dovrai scoprire tu da sola!
Vedrai che col tempo e un pò di pazienza sarà facile e quando avrai indovinato ti regalerò questa
piccola chiave inglese che tengo nella mia tasca, che ne dici?"
...Ero sempre stato un pessimo attore, anche Narita adesso se ne era accorta ma dalla sua
espressione sembrò quasi volersi imporre di credere alle mie parole...
"Va bene! Accetto di giocare!" disse sorridendo... Pensai a Walgreen ancora una volta, senza sapere
perchè, forse perchè quel sorriso piccino e dolce assomigliava al sorriso del vecchio Walgreen... Ma
come è possibile che i due si assomigliassero veramente?
La bambina, ancora sorridente, mi chiese: "Signore, se tutto quello che serve per comandare il
Macchinario è qui, a cosa serve quella botola? Cosa c'è dietro?"
...Pensai a quella volta che avevo provato ad oltrepassare la botola, di nascosto a Walgreen, mi
chiesi se un giorno sarebbe toccato a me fermare la giovane Narita... Non mi chiesi il "perchè" avrei
dovuto fermare una ragazzina che ha solo voglia di scoprire quello che la circonda, e questo mi fece
molta paura...

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"Narita, lì non devi mai andare! In quella stanza ci lavora un uomo grande, grosso e cattivo! E se ti
vede ti prenderà con se e chiuderà per sempre la botola, tenendoti prigioniera!"
Mi accorsi solo alla fine di quella frase di aver utilizzato un tono un po' troppo forte, quel tono che di
solito usano i ragazzi intorno al fuoco, mentre si raccontano racconti dell'orrore, per farsi paura...
Sì, forse avevo esagerato, la ragazzina era visibilmente spaventata, fissava la botola beige come il
peggiore dei demoni, fece due passi indietro, poi si accostò a me... Aveva voglia di abbracciarsi alla
mia gamba sinistra, ma non lo faceva, trattenuta dall'orgoglio... Io avevo infranto l'unica regola che
mi ero imposto riguardo Narita: Mi ero dimostrato duro e limitante con lei, un pò come il Signor
Walgreen era stato con me in precedenza... Questo mi rese triste e mi fece riflettere molto: Forse
non c'erano altre strade per imparare l'uso del Macchinario, forse non c'erano altre maniere, per
muoversi in quella stanza...
Passai la mano tra i capelli setosi di Narita, accarezzandola... questo gesto la calmò, si sentì protetta
e fece sentire me un pò meno colpevole nei suoi confronti...
Dopo la pausa Narita tornò a sedersi mentre io tornavo a lavorare al Macchinario... L'allarme non
stava suonando, ma i valori erano comunque un pò alti e muovevo le leve di destra cercando di
evitare al Macchinario l'instabilità... Era questo il metodo che utilizzato per controllare gli "allarmi
effimeri" che avevo scoperto insieme a Walgreen. Il macchinario era sotto controllo, la giornata
sembrava tranquilla.

Ma neanche il tempo di rilassarmi e dalle mie spalle arrivò, quasi a tradimento, l'ultima domanda
della giovane Narita:
"Signore, qual è il suo nome?"
Lasciai perdere l'allarme, le leve e tutto quello a cui stavo prestando un minimo di attenzione...
Mi voltai, guardai la ragazzina, avvolta nella tuta azzurra, e poi di riflesso osservai la mia tuta che era
diventata sporca, logora del tempo e mancava del bottone che avevo donato a Walgreen...
Un flash...
..E capii improvvisamente tutto... Tutto! Capii il Macchinario, la botola, Walgreen, io, Narita... Tutto
era nella mia mente! Le risposte che avevo aspettato così tanto erano tutte lì, per me, finalmente!
Un altro flash...
Per un misterioso motivo, prima che potessi focalizzarle, tutte le risposte sparirono... Le disimparai
nello stesso istante in cui le avevo fatte mie... Le risposte erano andate perse e la cosa ancor più
strana era che questo mi dava serenità... La mia ignoranza... La mia serenità...
"Signore, si sente bene?" chiedeva Narita, intimorita dal suo posticino...
"Sì, Narita... Vuoi sapere il mio nome?"
"Sì, signore..."
Presi qualche istante ancora per pensare a tutto il tempo passato al Macchinario e al momento in cui
Walgreen mi disse che io ero l'unica cosa che avrebbe lasciato, dopo essere andato via...
"Mi chiamo Gabriel... Gabriel Walgreen..."
Narita mi sorrise nuovamente ed esclamò scherzando: "Buonasera Signor Walgreen!"
Quella frase sincera e l'innocenza di Narita mi regalarono un sorriso...
Mi resi conto in quel momento che le sue braccia sarebbero diventate forti, avrebbe imparato da me
a lavorare al Macchinario e ristabilire gli equilibri anche dopo gli allarmi più acuti. Sarebbe stata lei e
solo lei l'unica cosa che avrei lasciato nella stanza del Macchinario, dopo il mio passaggio... Ma
sarebbe successo un altro giorno... Un altro giorno, nessuno sa quando... Un altro giorno, non oggi...
Così, dopo quel momento di gioia e le mie riflessioni sul futuro, tornai silenziosamente a lavorare a
quello sconosciuto, complesso e affascinante Macchinario...

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