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Ayres Marques

Il Volto e la Voce del Tempo


Un Ponte tra Generazioni

La Fotografia Terapeutica in Animazione


Il Volto e la Voce del Tempo - Un Ponte tra Generazioni
La Fotografia Terapeutica in Animazione

Autore: Ayres Marques

Foto dell’autore quando non altrimenti creditate.

Editing: Gigliola Capodaglio

Consulenza: Gianluca Natali, Daniela Marsigliani,


Lorenzo Paci e Marisa Pizzichini

Tutti i diritti riservati.

© 2005 Ayres Marques Pinto


Telefax: +39 071 976057
E-mail: brasilemarche@libero.it

Stampato dalla Coopergraf - Ancona - 2005


Ogni vecchio è profeta. A Parigi e Taperoá,
Roma e Cabrobó, Lisbona e Parelhas (…)
Luís da Câmara Cascudo
(scrittore brasiliano)
INDICE

Prefazione
di Angelo Comastri

Ringraziamenti

Introduzione

1– Invito
I vecchietti della mia infanzia: Il vecchio signor Mirando –
Ayres Marques

2– Vecchietti d’Italia - Che cosa dicono gli esperti?


A colloquio con il più anziano d’Italia (1990) di V. Nicita-Mauro

3– L’anziano e la memoria
Athos: storie intrecciate – Marisa Pizzichini e Daniela Marsigliani

4– L’anziano e la mente
Lo specchio dell'anima??? – Lorenz8

5– L’anziano in famiglia
Racconti di famiglia:
Mamme in guerra – Gigliola Capodaglio
Prima Comunione e rubinetti dell’acqua – Rosanna Lucioli

6– L’anziano in casa di riposo


Riflessione di una studentessa:
La mia nuova amica si chiama Fedora – Serena Lucidi

7– L’anima in azione
La formazione dell’animatore
Poesie:
Mia giovinezza – Ada Negri
Essere Giovane – Samuel Ullman
Il Tramaglio – Deífilo Gurgel

8– La fotografia
Questa non è una sposa –
Conversazione di Ayres Marques con Idilia Rastelletti
Dialogo sulla luce - Sankara
9– Fototerapia e Fotografia Terapeutica
La Fotografia Terapeutica con gli anziani

10 – La terapia della reminiscenza


L’album dei ricordi di Assunta – Assunta Perola

11 – La Fotografia Terapeutica applicata ai giovani


Le immagini mentali – Sabrina Monachesi
La fotografia come metafora – Daniela Colasuonno
Giuseppe, il pompiere. Una biografia immaginaria – Sofia Guelfi
Nonno e Padre Pio – Elena Capodaglio

12 – Il Volto e la Voce del Tempo


L’importanza dell’altro – Enrica Barbadoro
Schede biografiche, biografie immaginarie e riflessioni:
1. Romeo e Filippo
2. Leda e Maria Giulia
3. Giorgio e Lorenzo
4. Veronica e Giulia
5. Tina e Andrea

Istruzioni per l’uso

Note sull’autore

Bibliografia
Prefazione

GLI ANZIANI NON SONO UN PESO, MA UN DONO!

Quando all’età di undici anni lasciai il mio piccolo paese per andare a
proseguire gli studi in città, ricordo che l’anziano nonno materno volle
portarmi in campagna… per salutarmi. Il fatto per un certo verso mi
stupì; però avevo una fiducia illimitata nei confronti del nonno e
pertanto lo seguii docilmente.
Giunti in campagna, il nonno si fece un po’ serio e poi estrasse dal
terreno una piccola pianta con tutte le sue radici: me la fece vedere e
mi invitò ad osservarla attentamente.
Io inizialmente non capivo dove volesse arrivare il nonno e, allora, gli
dissi: “Nonno, che significa tutto questo?”. Il nonno sorrise – lo vedo
ancora! – e poi mi consegnò un messaggio, che non scorderò mai.
Ecco le sue parole: “Guarda, Angelino! Ogni volta che tiri fuori una
pianticella dal terreno, essa porta sempre con sé un po’ di terra e la
tiene stretta nelle sue radici. Tu potrai girare il mondo intero, ma
porterai sempre con te quello che hai imparato nella tua famiglia:
ricordatelo e ringrazia chi ti ha insegnato i primi passi della vita”.
Questa raccomandazione del nonno mi ha fato capire qual è la
missione degli anziani: essi sono i custodi della sapienza accumulata
da tante generazioni; sono i seminatori buoni dei primi insegnamenti;
sono i maestri delle prime sillabe del lungo discorso della vita: se ci
scordiamo di loro e se tagliamo i ponti con loro, perderemo qualcosa
di fondamentale della nostra identità umana.
Gli anziani, infatti, non sono un peso, ma un dono, non sono una
fatalità che dobbiamo sopportare, ma sono una opportunità che ci
viene offerta per crescere in umanità.
Sentite che cosa ha raccontato Elisabeth Kübler Ross, la psicologa di
origine svizzero-tedesca trasferitasi a Chicago da tanti anni. Essa
coraggiosamente ha riferito: “Venne un momento della mia vita in cui
mi accorsi che avevo messo al mondo due figli, che avevo dato loro il
benessere, un’educazione, un’istruzione; e che però erano vuoti, vuoti
come una lattina di birra già bevuta. Mi sono allora detta che dovevo
fare per loro qualcosa che non fosse soltanto materiale. Così,
d’accordo con mio marito, prendemmo in casa un ospite: un vecchio
di settantaquattro anni, al quale i medici avevano diagnosticato non
più di due mesi di vita. Volevo che i miei figli gli fossero vicini nel suo
cammino verso la morte, volevo che vedessero, che toccassero con
mano l’esperienza più importante nella vita di un uomo. L’ospite restò
con noi non due mesi, ma due anni e mezzo, accolto in ogni cosa
come un membro della famiglia. Ebbene: quell’esperienza ha portato
ai miei figli un’incredibile ricchezza spirituale, quei trenta mesi li
hanno straordinariamente maturati. In quello sconosciuto fratello
venuto a morire tra loro, giovani e sani, i miei figli hanno scoperto un
significato nuovo per la loro vita; sono diventati davvero adulti. È lui,
quel povero vecchio, che ha fatto un dono inestimabile a noi; non noi
a lui, che pure l’abbiamo curato e assistito con tutto l’amore di cui
eravamo capaci”. Sono parole che fanno pensare. Come questo
coraggioso libro che è un atto di simpatia verso gli anziani: è una
sfida, è una presa di posizione che va controcorrente per restituire a
tutti la possibilità di ritrovare la via della civiltà, che non può non
passare attraverso il recupero della stima e dell’affetto e del rispetto
verso gli anziani; con tutte le conseguenze!
Grazie per aver avuto tale coraggio!

Angelo Comastri
Vicario Generale di Sua Santità
per la Città del Vaticano
Ringraziamenti
Quando ho iniziato ad elencare mentalmente i nomi delle persone che hanno
contribuito negli ultimi due anni alla realizzazione del progetto Il Volto e la Voce
del Tempo, mi sono subito fermato, sorpreso dall’enorme quantità di teste, cuori e
mani che hanno costruito questo “ponte tra generazioni”.
A tutte queste persone, in particolare a chi ha ceduto testi e fotografie per
arricchire questo libro, rivolgo la mia profonda gratitudine.
Un ringraziamento speciale alla Fondazione Cassa di Risparmio di Loreto che
ne ha reso possibile la pubblicazione.
Devo inoltre ringraziare alcune istituzioni che hanno sostenuto, in diversi modi,
l’iniziativa:

- Comune di Loreto
- Opere Laiche Lauretane
- Delegazione Pontificia per la Santa Casa di Loreto
- Biblioteca Comunale “A. Brugiamolini” - Loreto
- Comune di Senigallia
- Provincia di Ancona
- Cooperativa Sociale ASSCOOP (Ancona)
- Ambito Territoriale Sociale n. 13
- Associazione BrasiLeMarche – BLM
- Gruppo Animatori di Comunità – GRACO
- Gruppo di Ricerca in Fototerapia – GRIFO
- Associazione Sportiva Splendorvitt (Loreto)
- Circolo Fotografico Senza Testa (Osimo)
- PhotoTherapy Centre (Vancouver, Canada)
- RAI – Radio 3
- Residenza per Anziani Pia Casa Hermes (Loreto)
- Casa di Riposo Oasi Ave Maria (Loreto)
- Residenza per Anziani Villa Serena (Senigallia)
- Istituto Comprensivo Marchetti (Senigallia)
- Scuola Media Giulio Cesare – Giacomo Leopardi (Osimo)
- Istituto Immacolata Concezione (Loreto)
- Parrocchia Sacro Cuore (Loreto)
- Parrocchia della Cesanella (Senigallia)
- Parrocchia Santa Maria delle Grazie (Senigallia)

Tra le persone più care, devo chiedere scusa a mia figlia Marina, per aver
dirottato le mie attenzioni su questo progetto e per aver coinvolto anche sua
madre Gigliola: ciò è stato possibile grazie alla presenza costante e affettuosa dei
nonni Romolo e Luisa.
Un ringraziamento speciale ai miei fratelli Rosa Maria, Adolpho, Guto e Antonio
“Baixinho” che, da lontano, mi sono sempre vicini. Dedico infine il lavoro svolto in
questi ultimi anni alla memoria dei miei genitori Augusto e Marilva, e dei miei
nonni Augusto e Rosa, Adolfo e Maria Luisa.
Introduzione

Questo libro è stato elaborato originariamente come una raccolta di


appunti e osservazioni per un seminario-laboratorio di fotografia
terapeutica rivolto agli animatori del tempo libero per anziani, agli
insegnanti della scuola primaria e secondaria e agli educatori delle
parrocchie.
A questi appunti ho aggiunto i materiali prodotti dai diversi soggetti
che hanno preso parte attivamente al progetto Il Volto e la Voce del
Tempo – Un Ponte tra Generazioni dal 2003 al 2005.
Sono storie raccontate dagli anziani stessi, riflessioni scritte dai
ragazzi, dai familiari dei “vecchietti” che vivono in famiglia o nelle case
di riposo, dagli amici volontari, dagli animatori.
Mi è sembrato opportuno completare il libro con le poesie, le citazioni,
gli aforismi di letterati, filosofi e studiosi di tutti i tempi che possono
ancora oggi illuminare con il loro pensiero il tema della vecchiaia e del
tempo che passa.
Tra loro ho privilegiato le riflessioni di un grande testimone del nostro
tempo: Giovanni Paolo II.
Ho quindi deciso di intraprendere questo breve itinerario di riflessione
sulla “Grande Età” entrando dalla via del cuore per raggiungere la
strada della ragione, dato che prima o poi queste due vie devono
comunque intrecciarsi.
Nonostante il lungo lavoro di elaborazione e selezione di testi e
immagini presentati, avrei voluto esprimere molto di più di quello che
effettivamente sono riuscito a comunicare. Per questo motivo,
troverete in ogni capitolo delle attività che potranno arricchire e
completare i materiali che ho proposto sui diversi aspetti
dell’invecchiamento e della vecchiaia, affinché anche i più giovani
possano affrontare e approfondire questi temi in modo positivo e
consapevole.
Spero infine che questo “minestrone”, o come si dice in Brasile,
questa “feijoada” di testi e immagini sia di vostro gradimento e sia di
qualche utilità per le vostre attività didattiche o animative con giovani
e anziani.

L’autore
Mentre parlo degli anziani, non posso non rivolgermi anche ai giovani
per invitarli a stare loro accanto.
Vi esorto, cari giovani, a farlo con amore e generosità.
Gli anziani possono darvi molto di più di quanto possiate
immaginare.
(Giovanni Paolo II)
1

Invito

Non so esattamente spiegare il perché del piacere che provavo da


piccolo quando ero in compagnia di persone anziane. Sicuramente
avvertivo la soddisfazione, da parte dei vecchietti, per aver vicino a
loro un bambino curioso, forse sentivano che “il peso dell’età è più
lieve per chi si sente rispettato e amato dai giovani” (come già diceva
Cicerone). Mi divertiva ascoltare le loro storie, sentire le loro battute o
semplicemente condividere con loro il silenzio. Quei visi scolpiti dagli
anni, quelle voci che sembravano venire da lontano, costituivano di
per sé un messaggio che doveva essere decifrato come una lezione
autentica di vita che valeva la pena imparare.
La predisposizione a cercare il volto del tempo e ad ascoltare la sua
voce mi ha indotto più tardi ad interessarmi di storia, filosofia,
letteratura e fotografia. Il ricordo dell’allegria infantile sperimentata
nel convivio con gli anziani è alla base della mia decisione di
dedicarmi all’animazione del tempo libero della Grande Età.

Questo libro è il risultato delle esperienze realizzate in Italia insieme a


tanti “vecchietti” e ragazzi agli inizi di questo millennio.
Nella sua semplicità, vuole essere un invito a tuffarvi nella
dimensione temporale dell’esistenza, a viaggiare verso il passato,
immaginare il futuro e a rendervi più consapevoli della vostra
potenzialità di interagire col momento presente.
Foto Chico Canhão

La vita è vissuta in avanti ma capita all’indietro.


(Confucio)
I vecchietti della mia infanzia: Il vecchio signor Miranda

Mia nonna Rosa abitava vicino a Piazza della Libertà, nel quartiere
giapponese di San Paolo del Brasile, più esattamente nel Vicolo degli
Afflitti, in un palazzo che faceva angolo con la Chiesa degli Impiccati.
Ogni volta che salivamo su un taxi, mi ricordo l’effetto che faceva
quando nonna Rosa annunciava la nostra destinazione: “Beco dos
Aflitos”. Se l’autista non dava segno immediatamente di sapere dove
si trovava, nonna aggiungeva un po’ scocciata “Igreja dos Inforcados”.
Allora la macchina partiva, senza che l’autista facesse ulteriori
domande. Tutti sapevano dov’era la Chiesa degli Impiccati.
Una volta arrivati all’inizio del vicolo c’era sempre da discutere con il
tassista per farlo andare fino in fondo, davanti alla chiesa, nel punto
più vicino al palazzo dove abitava nonna, dato che nonna zoppicava
un po’. Quando il tassista si mostrava inflessibile, perché non c’era
abbastanza spazio per fare manovra e doveva per forza tornare in
retromarcia, allora, sotto le imprecazioni di nonna Rosa, scendevamo
all’angolo con la “salita degli studenti”.
Percorrevamo quel tratto di strada con un passo un po’ zoppo, ma
spedito, passando accanto a qualche uomo che stava sul marciapiede,
in piedi con la bottiglia piena in mano, o seduto con una mezza
bottiglia o sdraiato per terra con la bottiglia vuota. Uno di questi
signori salutava sempre mia nonna in modo molto cortese,
chiamandola per nome: “Buongiorno, Signora Rosa”. Era il vecchio
signor Miranda.
Mi riesce difficile chiamarlo “barbone”, perché nonostante i vestiti
vecchi che indossava, a volte un po’ acciaccati, conservava
un’eleganza nei gesti, nel modo di parlare e di sorridere, come se
conoscesse bene le persone e la vita. Era un clochard gentiluomo.
Quando dormivo da nonna, la mattina dopo colazione lei mi diceva di
portare al vecchio signor Miranda un bicchiere di caffè caldo, con
poco zucchero e un pezzo di pane fresco con molto burro.
“Tua nonna è una signora in gamba, sensibile. Vedi, io non prendo il
caffè da nessuno, è sempre così pieno di zucchero, e il pane poi,
sempre vecchio, duro, con quel tantino di burro, è difficile da
masticare e si fa fatica ad inghiottire. La signora Rosa no, mi manda il
caffè caldo, con poco zucchero e il pane fresco, morbido, pieno di
burro di eccellente qualità.”
Mentre aspettavo che il vecchio signor Miranda mangiasse il pane
fresco, morbido, con tanto burro e bevesse il caffè caldo, con poco
zucchero, per poi portare indietro il bicchiere, il bicchiere del vecchio
signor Miranda, lui mi parlava del tempo, mi faceva osservare il cielo,
le nuvole, e faceva delle previsioni. “Pioverà… sarà una giornata
afosa… ci sarà il sole tutto il giorno… una giornata ideale per andare
al parco…”
Conosceva tutte le persone del vicolo per nome. Sapeva le loro
professioni, le loro abitudini, il loro carattere. Era in grado di
raccontare qualche piccolo avvenimento apparentemente senza
importanza, da cui coglieva sempre qualche insegnamento edificante.
Una mattina, mentre facevamo prima colazione, è suonato il
campanello. Sono andato ad aprire la porta. Era il vecchio signor
Miranda che mi chiedeva timidamente di chiamare nonna Rosa. Mia
nonna mi mandò a dire che il caffè sarebbe arrivato dopo un po’. Il
vecchio signor Miranda rispose che non c’era da preoccuparsi per il
caffè quella mattina, ma se possibile avrebbe gradito un pezzettino di
torta. Mia nonna non credeva a quello che sentiva e andò
personalmente a parlare con lui.
“Che cosa vuole Lei?!”
“Buongiorno, Signora Rosa! Perdoni il disturbo. Il fatto è che oggi è il
mio compleanno e mi piacerebbe festeggiarlo con le persone a me più
care.”
“Non ho nessuna torta a casa” rispose nonna Rosa tra sorpresa e
offesa, ma in fondo anche intenerita. Dopo aver chiuso la porta, disse
tra sé e sé:
“È la fine del mondo! Quando mai si è visto un barbone rifiutare il
pane e chiedere la torta perché è il suo compleanno?”
“Nonna, non potresti preparare una torta per il vecchio signor
Miranda? È il suo compleanno.”
“Pure tu sei dalla sua parte.”
“Il vecchio signor Miranda dice sempre che Lei è una signora in
gamba, la più sensibile del Vicolo degli Afflitti. Lei è diversa dalle altre
persone, non mette troppo zucchero nel caffè, solo quel che basta. Il
vecchio signor Miranda Le vuole tanto bene…”
“Oltre che sfacciato è pure ruffiano quel vecchio” borbottava mia
nonna, mentre preparava la torta di compleanno del vecchio signor
Miranda.
Ayres Marques

Attività

1. Prova ad interpretare questo aforisma di Confucio: La vita è vissuta


in avanti ma capita all’indietro.

2. Ti ricordi il nome delle persone anziane che hanno popolato la tua


infanzia? Chi erano? Come erano? Cosa facevano? Racconta le loro
storie.
I giovani cercano l’impossibile e,
generazione dopo generazione, lo conseguono.
(Anonimo)
2

Vecchietti d’Italia
Che cosa dicono gli esperti?

Il Professor Antonio Golini, docente di Demografia alla Sapienza di


Roma, durante un’intervista al programma Radio 3 Scienza, ha
presentato alcuni dati che ci possono aiutare a riflettere sulla
questione dell’invecchiamento della popolazione italiana.
“L’Italia è stato il primo paese nella storia dell’umanità (questo è
successo nel 1987 circa) in cui il numero degli ultra sessantenni
sorpassa il numero dei giovani con meno di vent’anni.”
“L’Italia oggi è il paese più vecchio al mondo, secondo le statistiche
dell’ONU. Un quarto della popolazione ha più di sessant’anni, mentre
solo il quindici per cento ha meno di quindici anni.”
“L’Italia ha raggiunto un’età media tra le più alte al mondo.
L’aspettativa di vita è di settantasette anni per gli uomini e di
ottantadue per le donne.”
“Questo è il risultato di alcune vittorie importanti della civiltà. La più
importante è quella contro la morte precoce – la mortalità infantile,
per esempio, è passata dal cinquanta per mille al quattro per mille nel
giro di pochi decenni; e anche la mortalità adulta per causa naturale
si è drasticamente ridotta.”
“Il successo straordinario rappresentato da queste conquiste diventa
però un problema, data la rapidità con cui questa trasformazione
demografica è avvenuta. La società odierna non ha avuto il tempo di
metabolizzare questa trasformazione, di adeguare se stessa e la sua
economia a questa nuova realtà.”
Gli studiosi dell’invecchiamento sono concordi nel sottolineare
l’importanza dell’aspetto culturale per la trasformazione in positivo
del ruolo dell’anziano nella società.
Con altre parole, la Professoressa Elisabetta Cioni nel suo libro
“Solidarietà tra Generazioni” ribadisce lo stesso concetto, affermando
che “uno dei problemi principali del profondo e rapido mutamento che
ha investito nel nostro tempo la struttura per età delle popolazioni dei
paesi sviluppati è proprio il ritardo culturale con cui affrontiamo i fatti
dell’invecchiamento: ci manca la conoscenza necessaria per
comprendere quello che stiamo vivendo.”
Giovanni Nervo in “Anziani: problema o risorsa?” ci invita a vedere la
questione della Grande Età non solo dal punto di vista problematico
ma anche come una possibile fonte di risorse che spesso viene
tralasciata. “L’invecchiamento della popolazione, la crisi economica, il
giovanilismo della cultura occidentale stanno progressivamente
creando una sacca di emarginazione che significa sofferenza,
abbandono, ma anche spreco di risorse. Se la soluzione del problema
richiederà investimenti in campo sociale e sanitario, non vi si potrà
tuttavia arrivare senza un diverso approccio culturale alla terza età.”
Il cambiamento di significato della parola “vecchi” rispecchia molto
bene il tipo di trasformazione che si è operato all’interno della società.
Il Professor Fabrizio Rossi Prodi in “Nuove residenze per gli anziani”
osserva che “la civiltà contemporanea ha prodotto un cambiamento di
significato di questo termine (vecchio), operando una trasformazione
in modo strisciante, così che un termine sinonimo di una realtà
complessa, ma assai dignitosa è stato sospinto ai margini del
linguaggio comune, ed identificato con una condizione decisamente
negativa. Questa operazione trova corrispondenza ed analogie anche
nelle lingue straniere, in cui il termine ‘vecchio’ viene sempre più
spesso sostituito dal termine più tecnico e asettico di ‘anziano’.”
Giocando con questi due termini, Marcello Mastroianni una volta ha
affermato: “Non mi sento vecchio, al massimo leggermente anziano”.
La Professoressa Aurelia Florea in “Anziani e Tempo Libero” ci avverte
che “il cambiamento strutturale che viviamo oggi e che comporta un
diverso equilibrio tra i gruppi di età, non può avvenire in modo
indolore, senza ripercussioni sull’intera organizzazione sociale, senza
trasformazioni profonde anche di carattere culturale che porta lo
svilupparsi di nuovi ruoli, di un diverso atteggiamento verso il
problema dell’età in genere e dell’età avanzata in particolare, di
strutturazione di nuove identità, di nuovi stili di vita in funzione di
capacità ed esigenze dei vari gruppi di età, di nuovi rapporti
interpersonali e sociali, di diverse alleanze e tensioni
intergenerazionali.”
E conclude l’autrice: “… perché il tempo libero diventi, anche per
anziani e vecchi, un tempo di vita partecipativa per una realizzazione
integrata del personale e del sociale, deve essere inserito in una
politica globale di servizi e si deve sviluppare con programmi e
strutture flessibili, con circolarità di interventi, con continue verifiche
attraverso costanti rapporti con il territorio e confronti con i bisogni
emergenti individuali e sociali, utilizzando e stimolando tutte le
risorse individuali e sociali disponibili.”
La civiltà occidentale moderna, che è essenzialmente materialista, è
riuscita ad aggiungere anni alla vita delle persone; adesso spetta alla
società post-moderna, post-industriale, post-materialista la sfida di
aggiungere vita agli anni degli esseri umani.
In questo contesto, seguendo il consiglio di Lao Tzu che ci invita ad
accendere una candela invece di maledire il buio, il progetto Il Volto e
la Voce del Tempo intende stimolare le persone di diverse generazioni
a riflettere sul tempo, che “fugge irrimediabilmente”, sulla vecchiaia o
Grande Età, sui rapporti tra generazioni, ponendosi delle domande,
cercando delle risposte e creando delle iniziative che possono
contribuire a far sì che la società sia all’altezza delle sfide che il
progresso materiale stesso le ha lanciato.
Se vuoi vivere sano e lesto fatti vecchio un po’ più presto.
(Anonimo)
A colloquio con il più anziano d’Italia (1990)
di V. Nicita-Mauro*

Poter parlare con un ultracentenario, osservarlo, studiarlo, costituisce


un’occasione che raramente si presenta ad un medico interessato ai
complessi problemi dell’invecchiamento. Ed è per questo che, in
qualità di gerontologo, ho voluto intervistare personalmente Domenico
Minervino, la persona più vecchia d’Italia (tab.) che oggi 10 maggio
raggiunge la favolosa età di 110 anni, avvicinandosi al primato
italiano di longevità detenuto da Damiana Sette, deceduta nel 1985
all’età di 110 anni e 178 giorni. Il primato mondiale appartiene invece
al giapponese Izumi deceduto nel 1986 all’età di 120 anni. La
possibilità di incontrare il “nonno” d’Italia mi è stata offerta grazie
all’interessamento del dott. Mortorelli, medico che opera a San Sosti e
del dott. Mazzei, giovane geriatra di Cosenza ed anche per la
gentilezza e disponibilità della famiglia Minervino che ringrazio
cordialmente.

CENTENARI IN ITALIA
ANNO 1921 1931 1951 1961 1971 1981 1990

Totale
Centenari 49 69 165 301 406 1304 1660

I tre più anziani viventi (1990):


1. Domenico Minervino nato 10.5.1880
2. Luisa Eleonora Pruneti nata 7.10.1880
3. Lucia Ceratola nata 17.10.1880

Domenico Minervino vive a San Sosti, paesino agricolo di 2500


abitanti in provincia di Cosenza, nella sua casa insieme al figlio unico
Francesco di 80 anni, alla nuora, al nipote Domenico di 53 anni che
ha avuto cinque figli ed un nipotino di due mesi: nel complesso una
bella famiglia di tipo patriarcale, in cui sono rappresentate ben cinque
generazioni.
“Zù Micuzzo”, come viene affettuosamente chiamato in paese, ha
sempre lavorato nella proprietà agricola acquistata con i risparmi di
molti anni di duro lavoro negli Stati Uniti; ha dovuto interrompere
l’attività lavorativa, per una giustificabile “stanchezza”, verso i 95 anni
ed attualmente la campagna è seguita dal figlio ottantenne Francesco,
che però ogni sera, al ritorno dal lavoro, deve aggiornare il padre
sull’andamento della proprietà. Domenico Minervino non sa precisare
sino a che età siano vissuti i genitori, ma riferisce che il fratello
Salvatore, che vive a New York, è anche lui longevo avendo raggiunto
l’età di 107 anni.
La vita di nonno Domenico, che è rimasto vedovo circa trent’anni fa, è
stata sempre caratterizzata da un grande amore per la famiglia in cui
crede fermamente e per il lavoro, “in proprio” ha tenuto a specificare.
Ogni giorno, di buon mattino, si recava in campagna, ritornando a
casa a sera inoltrata per poter garantire il mantenimento della
famiglia perché, ha dichiarato testualmente nonno Domenico, “non
avevo un posto governativo”. Alla domanda di volerci rivelare il segreto
della sua eccezionale longevità, l’ultracentenario ha risposto di aver
sempre mangiato cibi genuini ed in particolare legumi, cereali, latte,
carne e molta frutta e verdura. Inoltre ha fatto sempre uso di olio di
oliva e, ad ogni pasto, ha bevuto un bicchiere di vino prodotto con
l’uva della sua campagna; inoltre non ha mai fumato ed è stato
sempre un camminatore instancabile.
Fisicamente Domenico Minervino non dimostra più di 90 anni, ha
una corporatura snella che è stata una sua costante caratteristica sin
da giovane, da qualche anno il peso e la statura si sono sensibilmente
ridotti, lamenta la diminuzione della vista e dell’udito ed ha perduto i
denti ad eccezione di uno; inoltre a causa di una marcata debolezza
alle gambe, può spostarsi soltanto appoggiandosi al figlio e al nipote. I
principali organi ed apparati funzionano abbastanza bene, la
pressione arteriosa risulta nei limiti della norma ed in particolare il
cervello è molto lucido. Domenico Minervino ha tenuto a sottolineare
che non ha mai sofferto di malattie degne di nota e che non ha mai
usato farmaci. Delle cinque caratteristiche comuni a più di mille
centenari di recente evidenziate da uno studio americano e cioè non
eccedere in nessun campo, andare presto a letto la sera ed alzarsi
presto al mattino, svolgere un lavoro autonomo con molta libertà
personale, appartenere ad una famiglia di longevi, Domenico
Minervino ha dimostrato di possederle tutte ed in particolare ha
dichiarato di aver sempre avuto una buona capacità di adattamento
alle molteplice difficoltà della vita, che ha sempre affrontato con molta
calma e serenità; ha anche affermato di non avere particolari
rimpianti, di essere stato sempre ottimista e di ritenere la vita degna
di essere vissuta in ogni suo attimo. Domenico Minervino, con
l’autorità che gli deriva dalla sua eccezionale età, ha anche
riconosciuto la validità dei consigli che sotto forma di decalogo
antisenile, noi geriatri ci sforziamo di diffondere e di far seguire allo
scopo di favorire una vita lunga ed in particolare di buona qualità.
Alla domanda finale tendente a conoscere quanti anni spera ancora di
poter vivere, nonno Domenico ha risposto con molta saggezza ed
umiltà che “soltanto Dio lo sa”, riconoscendo così che anche la
longevità è un dono divino al cui completo godimento possono però
collaborare l’eredità trasmessa tramite il patrimonio genetico, l’amore,
uno stile di vita equilibrato privo di eccessi e, quando necessario,
l’opera del medico.

* Articolo comparso il 10 maggio 1990 sul quotidiano “Gazzetta del Sud”


Attività 1
Completa il “Decalogo antisenile” con le parole del cruciverba della
pagina accanto.

Decalogo antisenile
Obiettivo: invecchiare in bellezza

1. Cerca di scegliere dei ……………………… longevi.


2. Adotta sin dall’infanzia, un’…………………………. equilibrata e
varia mantenendo il peso ideale.
3. Svolgi costantemente attività intellettiva e possibilmente creativa:
l’apprendimento costante è “farmaco di ……………………………..”.
4. Considera l’amore, in tutte le sue espressioni, importante ad ogni
..................................... .
5. Pratica sempre, proporzionalmente all’età, attività ……………….. .
6. Evita il ……………………, limita il consumo di alcolici.
7. Sottoponiti a periodiche …………………….. mediche: la diagnosi
precoce è importante.
8. Usa i farmaci, in specie gli psicofarmaci, solo quando realmente
necessari e sotto controllo ……………………….. .
9. Dedicati ad un …………………….. , non ha importanza quale, che
ti soddisfi pienamente; in caso contrario creati un’attività
alternativa.
10. Cerca di avere sempre più ……………………… e meno rimpianti.
CRUCIVERBA

S O G N I

L A V O R O

G E N I T O R I

A M O R E

M E D I C O

A L I M E N T A Z I O N E

G I O V I N E Z Z A

F I S I C A

V I S I T E

F U M O

Attività 2

Scopri chi è attualmente la persona più anziana: della tua città,


d’Italia e del mondo.
Aggiorna la tabella “Centenari in Italia”.
Noi siamo la nostra memoria,
siamo questo museo chimerico di forme incostanti,
questo mucchio di specchi rotti.
(Jorge Luis Borges)
3

L’anziano e la memoria

L’invecchiamento non è necessariamente una malattia, una perdita


globale e irreversibile di tutte le funzioni, affermano Flora Dal Sasso e
Alessandro Pigatto nel libro “L’anziano e la sua memoria”.
Gli autori sostengono che le condizioni di vita incidono sulla
frequenza e la gravità delle patologie degli anziani. Ecco perché,
concludono, accanto a un’età biologica e a un’età psicologica, va
sempre considerata un’età sociale. Dal Sasso e Pigatto dimostrano
che la funzione della memoria ha un’importanza essenziale, in quanto
non è solo un elemento dell’intelligenza ma una componente
fondamentale delle relazioni affettive e del senso della propria
identità.
La capacità di ricordare rende viva la storia della famiglia, per
l’anziano stesso e per la sua famiglia, e anche per la comunità sociale
in cui vive. In questo senso, si può dire che una società è definita dal
suo atteggiamento verso gli anziani.
Se provassimo a definire la società occidentale contemporanea
unicamente in base al suo atteggiamento verso gli anziani e non in
base allo sviluppo tecnologico, all’aspettativa di vita, alla
scolarizzazione, o al reddito pro-capite, forse vedremmo rovesciata la
posizione del mondo occidentale rispetto, ad esempio, a quella del
continente africano. A questo proposito è istigante la storia riportata
da Serge La Touche sul successo ottenuto da Koffi Yamgnane, il solo
sindaco nero-bretone, nell’introdurre nel suo comune di adozione,
Saint-Coulitz, nel Finisterrae, in Francia, un consiglio degli anziani
sul modello dei gruppi dei saggi del suo Tongo natale. “Questa
trasposizione limitata (il consiglio ha solo una esistenza informale e il
suo voto è consultivo, non deliberativo) in Francia, di un elemento
dell’ingegneria sociale africana, ha avuto sin d’ora effetti molto positivi
e unanimemente riconosciuti tanto nel funzionamento comunale
quanto sulla condizione morale dei vecchi e pensionati interessati.”
Per concludere l’autore afferma che “il modo in cui noi ci sbarazziamo
dei nostri vecchi, svalutati anche se sono ben nutriti e alloggiati negli
asili della terza età, colpisce profondamente la mentalità africana
(dove ogni anziano che muore è considerato come una biblioteca
bruciata).”
Come corpo ognuno è singolo, come anima mai.
(Hermann Hesse)
Athos: storie intrecciate
Marisa Pizzichini e Daniela Marsigliani sono due amiche che hanno avuto la fortuna
di condividere una straordinaria esperienza. Eccola narrata nei loro rispettivi
racconti.

ATHOS e NENELLA
1917 1923

Insieme, sposi da quasi sessant’anni.


Due figli, tre nipoti e l’ultimo arrivato: il pronipote.
Athos rappresenta, per me, oltre che un grande amico, un pezzo di
storia.
Athos che ha visto e partecipato alla seconda guerra mondiale.
Athos e i suoi racconti: Athos il narratore.
Athos il sopravvissuto.
Athos non passivo, consapevole e cosciente del triste e doloroso
periodo storico che aveva dovuto attraversare.
Italia, Grecia, Russia. Campagna di Russia: neve, gelo, 40° sotto zero,
sparatorie, fucilazioni.
Gli incontri con altri come lui, che non dimenticherà mai.
Non dimenticare mai quello che è stato, non riuscire a dimenticare
mai, soprattutto non voler dimenticare.
Portare con sé i ricordi e trasmetterli, raccontando a chi è ben
disposto all’ascolto.
Athos che si rattrista, ma anche Athos che si accalora e sorride.
E la sua città di nascita, che lo ha visto crescere.
Anche per essa scorrono le immagini, i ricordi, i vissuti: i brutti e bei
momenti.
Lui che la compenetra, lui che la vive da vero cittadino con dentro di
sé il vissuto del padre e a sua volta del nonno. Storia, la sua, simile a
molte altre della stessa città, che ho già ascoltato.
Marisa Pizzichini

Ho perduto mio padre all’età di 10 anni.


Di lui ho un ricordo vivo e distinto, ma limitato a quei 10 anni di vita.
Dopo la sua prematura morte, mia madre è diventata il fulcro della
famiglia, grazie a lei e ai suoi racconti ho potuto conoscere mio padre
ragazzo, uomo e marito.
Ora anche mia madre non c’è più.
Tutte le domande che avrei voluto farle su lei, su mio padre e la
nostra famiglia ora non potrò più rivolgerle a nessuno, perché la
memoria della mia famiglia se n’è andata con lei. Mi restano i preziosi
racconti che i miei genitori mi hanno donato finché erano in vita e i
meravigliosi anni vissuti assieme, troppo pochi in verità.
Crescendo è maturato in me il desiderio di conoscere più a fondo, non
solo la storia personale dei miei genitori e della mia famiglia, ma
anche la realtà di un periodo della loro vita, anteriore alla mia
nascita, così storicamente importante e denso di avvenimenti: gli anni
della guerra, la repubblica, la rinascita economica.
Purtroppo quello che ho sono episodi frammentari, aneddoti, una
sorta di storia interrotta, come un vecchio film dalla pellicola molto
danneggiata.
Penso spesso, con rimpianto, alle occasioni mancate, alle domande
mai poste, alle risposte mai avute.
Poi, un giorno, la mia migliore amica mi racconta di due suoi amici:
una coppia di anziani signori con i quali, di tanto in tanto, ama
conversare e condividere una tazzina di buon caffè.
Mi descrive Athos, un anconetano “verace”, casualmente mi accenna
che è nato nei quartieri storici di Ancona nel 1917, come mio padre.
Mi viene spontaneo farle notare la coincidenza, penso anche che
Athos potrebbe avere conosciuto mio padre, la prego di
domandarglielo quando lo rivedrà.
Alcuni giorni dopo la mia amica mi comunica, con entusiasmo, che
sia Athos che Nenella, sua moglie, non solo conoscevano mio padre,
ma anche mia madre.
L’emozione è di quelle che scaldano il cuore, subito decidiamo di
stabilire un incontro per conoscerci. Così Athos e Nenella, questa
volta, offrono una tazza di caffè anche a me e, mentre lo sorseggiamo,
mi raccontano dei miei genitori, dei miei fratelli quando erano piccoli,
della casa dove abitavano prima che io nascessi.
Conoscono tanti piccoli particolari quotidiani, tante sfaccettature,
perché Nenella lavorava da loro, aiutava mia madre nelle faccende
domestiche in un periodo in cui i panni si lavavano a mano e gli
elettrodomestici, anche i più semplici, o non erano stati inventati o
erano ancora un lusso per pochi. L’emozione è tale che non riesco
neppure a fare domande, ascolto e basta, la mia amica comprende e
si preoccupa lei di chiedere, di incoraggiare il racconto e la storia
cresce, si arricchisce di particolari e poi, pian piano, si allontana da
quella della mia famiglia per diventare quella personale di Athos e
Nenella, la loro infanzia, la gioventù, la guerra e così via.
Ecco che la memoria rivive nelle parole di Athos e Nenella, vedo i miei
genitori come fossero di nuovo con me e il passato diventa presente.
Daniela Marsigliani
Attività
Scrivi anche tu una storia che un anziano ti ha raccontato.
Ci si mette molto tempo per diventare giovani.
(Picasso)
4
L’anziano e la mente

Che cosa succede alla nostra testa quando invecchiamo?

A questa domanda di Giovanni Spataro di Radio 3 Scienza risponde il


Professor Marcello Cesa Bianchi, psicologo, fondatore degli Studi di
Psicologia dell’Università di Milano, esperto di problemi dell’età
avanzata, in un’interessantissima intervista che vi ripropongo.

“Fino a qualche anno fa si pensava che la nostra testa, in particolare


il nostro cervello, andasse incontro a un decadimento progressivo e
irreversibile. Oggi invece, sulla base delle ricerche di questi ultimi
anni, si sa che il nostro cervello può continuare a crescere in una
certa misura. Perde determinate caratteristiche ma ne acquisisce altre
e può approfondire soprattutto delle altre. Si parla di una certa
ottimizzazione selettiva, cioè su una concentrazione del nostro
cervello su temi, su argomenti, su attività che sono congeniali a
ciascuno di noi. E, all’interno di queste aree, il nostro cervello ha la
possibilità di approfondire quello che aveva già realizzato in anni
precedenti e soprattutto di esprimere una sua creatività, una sua
potenzialità innovativa. E questo accade non soltanto nei cervelli dei
grandi artisti che ad età molto avanzata hanno prodotto delle opere
molto innovative, ma accade in ciascuno di noi. Oggi si dimostra che
la persona che invecchia può riassumere quella creatività che aveva
perso dall’infanzia in poi, e realizzarla in quelle manifestazioni che
rendono sempre più utile a se stesso e anche agli altri.

Professore, tutto questo come si traduce nella vita reale?

Nella vita reale si traduce nella possibilità per l’anziano che si trova in
buone condizioni… una piccola parentesi: esiste una sorta di
dicotomia, da un lato esistono persone che possono invecchiare bene
fino a oltre cento anni, gli ultra-centenari sono sempre più numerosi e
molti di loro sono molto efficienti, anche dal punto di vista psichico,
ma dall’altra parte esiste un certo numero di non autosufficienti per i
quali il problema si pone in termini molto diversi. Ma quando non
compaiono quelle gravi condizioni patologiche che cerchiamo per
quanto possibile di prevenire e di limitare, esiste la possibilità che
una persona ritrovi certi elementi caratteristici della sua personalità,
si realizzi compiutamente attraverso la possibilità di esprimere
qualcosa che in passato non era riuscito ancora a realizzare e riesca a
conoscersi sempre di più.
Questo, se mantiene attivo il suo cervello e se mantiene una relazione
interpersonale che abbia un certo significato, e può allora veramente
realizzare qualcosa che forse era nei suoi sogni o forse non sapeva
neanche di potere realizzare, e scoprire la persona anziana in quello
che qualcuno ha indicato come “la grande età” la possibilità di
ottenere dei risultati che in passato non aveva conseguito.

Quindi, tutto quello che ci ha detto si traduce, senza timore credo,


nella possibilità di far degli anziani dei cittadini attivi comunque a
qualsiasi età.

Direi proprio di sì. Quelle indicazioni che emergono dalle nostre


ricerche, da molte osservazioni fatte su migliaia e migliaia di casi,
indicano questa possibilità, che naturalmente la società deve mettere
nella condizione che si realizzi, cioè, l’anziano che viene abbandonato,
che vive in una situazione di solitudine, che non continua ad attivare
il proprio cervello, che non può mantenere delle relazioni sociali
rischia veramente di decadere, ma l’anziano che invece viene
mantenuto nella condizione di poter continuare a realizzare se stesso,
costituisce veramente un elemento che può continuare a crescere. E
crescere a vantaggio di se stesso e degli altri. Oggi ci sono una serie di
dimostrazioni per cui il nonno di fronte al nipote, il vecchio di fronte
al bambino, può costituire un elemento di riferimento più utile in certi
aspetti e a certe condizioni, di quanto possano essere i propri genitori.
Quindi non si parla più della vecchiaia come un peso da sostenere da
parte delle classi più giovani, ma come una risorsa possibile per la
società, anche perché nella vecchiaia si conservano e si traducono
quelli che sono i valori essenziali della nostra cultura e della nostra
civiltà. Si lascia da parte l’effimero e si coglie veramente ciò che è
stabilmente inserito nella nostra attuale concezione storica della vita.
Foto Lorenz8

L’età non ci rende di nuovo bambini, come si dice.


Scopre soltanto che siamo ancora veri bambini.
(Goethe)
Lo specchio dell'anima???

Rimaneva ore lì davanti alla finestra, “Ma questo terreno è tuo?” mi


chiese
“Mio???” Risposi io, l’infermiera intervenne scuotendo la testa “Si è
messa in testa che la sua casa è questa e vorrebbe comperare i terreni
qui intorno”
“No no… io abito da un’altra parte e non ho terreni da vendere”
Mi guardò dalla testa ai piedi, ma non ne sembrava convinta.
Disse qualcosa in un dialetto stretto, con una voce troppo bassa che
le inciampava tra i denti, non capii nulla, ma annuii facendo finta
invece di aver decriptato anche quel segnale.
Intanto pensai “ha 86 anni e qualche uscita dalle righe forse è anche
normale”
Ma lei incalzò e quasi indispettita dal mio annuire al quale non fece
seguito alcuna azione, ribatté “Allora??? Lo togli o no???”
“… Lo tolgo???” “Sì sì… il telo quello lì sopra il comò”
Mi avvicinai con cautela ad uno specchio coperto da un lenzuolo
bianco posto alla testa di un vecchio comò, credevo fosse rotto e che
per evitare che ci si tagliasse lo avessero coperto, ma con mia
sorpresa non fu quello che trovai.
Lo specchio era lì, appoggiato al muro in perfette condizioni, un taglio
così lineare e così perfettamente pulito che poteva quasi sembrare
una finestra.
Non avevo ancora richiuso i miei pensieri su queste immagini quando
un sospiro mi catturò.
“Vedi… vediiii… sta lì da giorni… e non mangiaa!!!”
“Lì da giorni?? Non mangia??? Chi???”
“Ma come non vedi??? Guarda bene dentro la finestra, c’è mia sorella,
sta lì già da qualche tempo, ho anche tentato di andare in camera sua
a trovarla, ma non capisco dove nasconda la sua stanza…”
Ops... Lorenzo fermati, la cosa ti sta sfuggendo di mano, ricopri quello
specchio e fuggi da quella stanza con una scusa.
Una vocina dentro mi diceva di seguire questo consiglio, la sentii
chiara rimbombarmi in testa, ma come spesso mi accade, feci finta di
nulla e tornai a parlare con la vecchina.
“Tua sorella hai detto???”
“Sì sìììì e non mangia, non la vedo mai in giro, sta sempre sola in
camera… la notte quando ci penso mi viene da piangere, e quando mi
avvicino alla finestra per guardare se almeno lei dorme, la trovo in
lacrime che mi guarda nel profondo degli occhi… ti prego aiutami!!”
Mmhhh… e adesso che gli racconto??… Son mica un mago in camice
bianco io.
Se lo fossi invece sarei libero di bloccarle i pensieri, renderla così
apatica da non aver voglia di invecchiare, fermandola in camera tutto
il giorno come sua sorella, incastrando anche lei dentro uno specchio.
“Beh ad essere sincero credo di avere già visto sua sorella da qualche
altra parte…”
“Già vista?? E dove???”
“Si affacci alla finestra della camera di sua sorella, se osserva bene,
potrà notare come sia bello e curato il terreno che si vede di fronte,
almeno bello e curato come quello che si vede dalla sua finestra”
“Sì… è vero, ma che c’entra mia sorella???”
“La camera di sua sorella confina con la sua, solo attraverso la
finestra qui sopra il comò, ma ha a sua volta un’altra finestra che dà
sul di dietro, su un terreno stupendo dal quale tutti i giorni amici e
parenti le portano prelibatezze di ogni genere, e non è triste, piange
solo quando, dalla sua finestra sopra il comò, sente lei piangere.
Spera sempre di trovarla sorridente ed ogni volta scoppia in lacrime
vedendola alzarsi di notte con gli occhi gonfi…”
“Quindi non sta male???”
“No… tutt’altro vede che anche adesso c’è qualcuno in camera con lei”
“… Sì è vero… ti somiglia… è tuo fratello???”
“Si… è mio fratello, abita nel terreno qui di fronte e si prende cura di
sua sorella da tanto tanto tempo”
Un sorriso riempì il volto dell’anziana signora, che specchiandosi,
incontrò lo sguardo sereno e brillante della sorella…
“… Lo hai visto anche te??? Sorride”
Da quel momento non smisero più di ridere assieme scambiandosi
improbabili sguardi.
La vita è data in prestito e non in proprietà, tanto vale riderci sopra.
Ed anche ora che le sto guardando entrambe negli occhi dentro una
foto sembrano dirmi:
“Bravo… l’hai capito che siamo tutti vecchi.
Goditi il tuo corpo, gli amori, le cose che racconti, i tuoi istinti, prendi
tutto quello che c’è da prendere che tanto poi nessuno te lo richiederà
mai indietro”

Lorenz8

Attività

Conosci qualche anziano attivo e lucido?


Conosci qualche anziano che “sta diventando bambino”?
Racconta.
i

In quante famiglie i nipotini ricevono dai nonni i primi rudimenti della


fede!… Proprio mentre vengono meno le energie e si riducono le
capacità operative, questi nostri fratelli e sorelle diventano più
preziosi nel disegno misterioso della Provvidenza. Anche sotto questo
profilo, dunque, oltre che per un’evidente esigenza psicologica
dell’anziano stesso, il luogo più naturale per vivere la condizione di
anzianità resta quello dell’ambiente in cui egli è “di casa”, tra parenti,
conoscenti e amici, e dove può rendere ancora qualche servizio.
(Giovanni Paolo II)
5

L’anziano in famiglia

Il nonno e la nonna, soprattutto quando sani e attivi, rappresentano


oggi un importante cuscinetto sociale, svolgendo un ruolo
fondamentale nella cura dei nipotini e rappresentano un sostegno
materiale, economico e psicologico per i figli (che sempre più tardi
“mettono su” casa e famiglia).
Le generazioni più giovani probabilmente non potranno contare su
questo cuscinetto, in virtù della scelta sempre più frequente di
rimandare la formazione di una nuova famiglia con figli.
Una realtà molto diversa si presenta alle famiglie che hanno tra i
propri componenti un anziano malato non autosufficiente da
accudire, e rappresentano il 13% le famiglie italiane che si trovano in
questa condizione.
Dati forniti negli anni ’90 dal Ministero della Sanità – Consiglio
Sanitario Nazionale, rivelavano che l’88% delle famiglie se ne
prendeva cura direttamente, mentre il 9,8% di esse si avvaleva del
supporto di operatori e soltanto il 2,4% affidava l’anziano alle
istituzioni.
Il Professor Massimo Mengani osserva ancora che, se nel 1999 la
percentuale di anziani con più di 65 anni era del 17,71%, nel 2024
passerà al 25,75% e che la percentuale di ultrasettantacinquenni
(fascia di età in cui l’incidenza della disabilità senile aumenta) sarà
del 13,28%, quando nel 1999 era di appena il 7,51%.
Il Professor Mengani sostiene che la famiglia sopporta oggi un carico
assistenziale improprio e che poco probabilmente potrà continuare in
futuro a garantire all’anziano un supporto assistenziale consistente e
continuo. Questa previsione si rafforza se consideriamo, accanto alla
riduzione della natalità e della composizione media dei nuclei familiari
e all’allungamento dell’aspettativa di vita, la maggior presenza della
donna nel mercato del lavoro, fattori che riducono la disponibilità di
figure femminili per mansioni di cura dell’anziano informali
all’interno della famiglia.
A questo proposito viene ricordato che l’assistenza famigliare
all’anziano è un’attività di competenza quasi esclusivamente
femminile. Sono le mogli, le figlie, le nuore i primi soggetti che
vengono chiamati ad occuparsi dell’anziano disabile.
Le ricerche di Facchini (1994) evidenziano che è in particolare la
donna tra i 45 e i 65 anni ad assumersi il maggior carico nei riguardi
del genitore o del marito non più autosufficiente.
Sono proprio loro i soggetti più a rischio di depressione e stress, in
misura maggiore degli uomini.
Nel caso in cui l’anziano assistito sia affetto da demenza, l’impatto
sullo stile di vita della famiglia e specialmente su quello dell’assistente
(caregiver) è notoriamente maggiore (Dogliotti et al., 1994).
Queste considerazioni spiegano perché il soggetto attivo di tutela
(caregiver) si trasforma col tempo in soggetto di domanda di tutela
(Scortegagna, 1996) affetto da “patologia da assistenza”: stress,
depressione, ansia (Pernigotti, 1994).
Lo stato italiano, per sostenere l’anziano non autosufficiente, ha
privilegiato i provvedimenti di carattere economico, come assegni,
pensione di invalidità e indennità di accompagnamento piuttosto che
forme di sostegno basate su beni e servizi.
Lo stato riconosce la necessità di aumentare e diversificare l’offerta di
sostegno all’anziano e alla famiglia dell’anziano non autosufficiente. In
questo senso, sono state avviate delle forme innovative: il programma
di Assistenza Domiciliare Integrata (A.D.I.) che offre supporti sociali,
psicologici, infermieristici e riabilitativi a domicilio e
l’Ospedalizzazione Domiciliare (O.D.) che prevede l’assistenza
infermieristica, visite mediche e consulenze specialistiche a domicilio.
Nonostante questi sforzi, viene sottolineato dal Professor Mengani che
sono sempre maggiori le difficoltà causate dall’attività di assistenza ad
un famigliare anziano quando ad occuparsene è prevalentemente o
solamente la famiglia, e conclude affermando che la società italiana è
chiamata a rispondere con urgenza a questa sfida, se vorrà assicurare
livelli dignitosi di assistenza alla crescente popolazione anziana, nel
rispetto della qualità di vita dell’intera comunità.
Il tempo e la pazienza possono più della forza e della rabbia.
(Jean de La Fontaine)
Racconti di famiglia

Mamme in guerra

I miei genitori sono nati entrambi negli anni ’30 ed è naturale per
loro, quando sorge l’occasione, raccontare gli anni della II Guerra
Mondiale, quando erano ancora ragazzini ma vivevano sulla loro pelle
le conseguenze di quella terribile fase storica.
Nel mio caso, i racconti di famiglia più frequenti fanno riferimento agli
ultimi anni della guerra, all’8 settembre, alla ritirata dei tedeschi e
all’avanzata degli alleati.
Per mia fortuna, nessuno della mia famiglia è scomparso durante la
guerra, e questo relativizza un po’ il peso dei loro ricordi. Anche chi è
stato deportato o è sopravvissuto ai bombardamenti, poi è riuscito a
vivere dignitosamente dopo la guerra. Inoltre, sia mio padre che mia
madre hanno un grande umorismo nel raccontare, per cui alcuni
episodi drammatici diventano tragicomici e suscitano addirittura
qualche risata.
Quello che in particolare mi ha sempre colpito è lo spirito con cui le
mie nonne, le mie zie e mia madre, hanno affrontato la vita in quegli
anni: niente odio, niente panico, ma un grande senso di protezione
verso i figli, i nipoti, i fratelli più piccoli.
Mia madre ama raccontare che nonna Maria, all’epoca madre di 4
figli, abitava vicino ad una zona militare e nonostante la paura degli
aerei che decollavano e atterravano di giorno e di notte sul campo di
aviazione lì vicino, non smise mai di portare da mangiare al marito e
ai parenti che lavoravano per i campi. Tra il 1944 e il 1945,
trovandosi tra le azioni partigiane, le rappresaglie dei militari tedeschi
e la presenza dei soldati polacchi, nonna non si perdeva d’animo e
quando necessario offriva cibo a tutti i soldati che passavano
(occupanti e liberatori), sperando così di salvare la tranquillità della
sua famiglia.
Un certo giorno, dopo aver nascosto il marito nell’armadio per paura
della deportazione, affrontò da sola le richieste insistenti di due
ufficiali tedeschi che volevano bestiame per il trasporto e cibo per i
soldati (erano ormai alla fame). Preparò una bella tavolata di affettati
e vino, si lamentò di vivere con i figli piccoli senza il marito prigioniero
(bugia a fin di bene!) e dirottò gli ufficiali verso contadini più “ricchi”
di lei che avrebbero potuto sopportare la perdita di un bue o una
mucca.
Anche la mia nonna paterna, che si chiamava naturalmente Maria,
aiutava qualsiasi persona si presentasse a chiedere qualcosa da
mangiare (partigiani, soldati tedeschi, a lei non importava), forse nella
segreta speranza che suo figlio prigioniero in Germania potesse
ricevere lo stesso trattamento da qualche donna generosa come lei...
chissà?
Ma i racconti di zio Luigi, cugino di nonno, tornato a casa in maniera
avventurosa dopo la tragica “campagna di Russia”, mi hanno
confermato che questo spirito non è appartenuto solo alle “nostre”
nonne, zie e mamme, ma anche alle donne che – dall’altra parte della
barricata – stavano affrontando con coraggio e determinazione una
guerra che sarebbe finita in modo disastroso per tutti.
Zio scappò durante la ritirata con un amico, e i due riuscirono a
sopravvivere i primi giorni dopo la fuga solo grazie all’ospitalità di una
donna russa che diede loro un posto per dormire e una zuppa di
verdure per rifocillarsi. Arrivarono a casa sani e salvi, dopo un lungo
viaggio fatto su vagoni merce, carretti, biciclette e infine a piedi,
ringraziando Dio ma anche l’umanità di quella donna per averla
scampata.
Non vorrei cadere nello stereotipo della donna = madre = bontà
infinita, ma a volte penso che noi donne possiamo offrire qualcosa di
speciale all’umanità, soprattutto nei momenti di crisi, di non
comunicazione e quindi di conflitto. Cosa ne dite?

Gigliola Capodaglio
Foto ceduta

La vita è una processione.


Chi è lento la trova troppo veloce e si fa da parte;
chi è veloce la trova lenta e si fa da parte.
(Gibran Kahlil)
Prima Comunione e rubinetti dell’acqua

Nonostante la guerra fosse finita nel 1945, la ricostruzione nei


quartieri periferici di Ancona andava a rilento. E, come succede
spesso, prima si fanno i coperchi e poi le pentole.
Le strade erano state asfaltate, la corrente elettrica ripristinata e
quindi c’era il filobus che funzionava. Mancava però l’acqua corrente
nelle case. Non c’erano proprio i rubinetti da nessuna parte, tranne
che nel lavatoio, un vasto locale in pietra, aperto a tutte le massaie
del quartiere che ci andavano a lavare i panni e dove, anche i
bambini, andavano, con le brocche di alluminio, a prendere l’acqua
per i comuni bisogni casalinghi. Era una faticaccia ed un disagio,
anche se faceva bene al cuore sentire le donne che tra una risata ed
una chiacchiera, spesso si mettevano a cantare in coro, mentre
facevano il bucato.
In quel giorno di settembre del 1956 noi, figlie di Emilia, dovevamo
fare la Prima Comunione. La data era stata stabilita con notevole
anticipo dal parroco e nessuno prevedeva che, proprio quell’estate
sarebbero iniziati i lavori per portare le tubature dell’acqua nelle case.
Strade rivoltate da profonde scanalature, accesso ai portoni
consentito solo da passerelle di legno, polvere dappertutto e fango
quando pioveva.
Emilia, come tutte le altre mamme, ci aveva fatto confezionare dei
bellissimi abiti bianchi. Il pranzo per parenti ed amici, si sarebbe
svolto nel cortile di casa nostra, dal quale si entrava e usciva soltanto
attraverso la casa stessa. Figuriamoci che problema sia stato portare
tavoli, sedie, piatti (quella volta c’era molta solidarietà, erano i vicini
che mettevano insieme le cose che occorrevano). Le lasagne, i polli e
conigli arrosto, i dolci erano stati preparati in precedenza e portati al
forno rionale per la cottura.
Quella mattina, molto emozionate ed orgogliose del nostro aspetto,
siamo uscite io e mia sorella, facendo molta attenzione a non
sporcarci. Dopo la bella cerimonia siamo andati in un parco vicino
casa a fare le fotografie e poi tutti a casa a mangiare! Per
pavoneggiarci un po’ con i nostri cuginetti, abbiamo fatto vedere loro i
rubinetti nuovi nuovi, li abbiamo aperti convinte che non ci fosse
niente (era così fino al giorno prima) ed è uscito invece un getto
d’acqua di un brutto color marrone che ci ha schizzate e sporcate da
capo a piedi.
A quel rumore mia madre si è alzata al grido di “Acqua, finalmente
acqua!!!”. Gli invitati sono venuti tutti a constatare il miracolo del
progresso ed è finita a spruzzi e lazzi. Solo qualche uomo è rimasto
seduto ed imperturbabile ha borbottato: “È sempre meglio il vino!”.
Alla fine, la vera festa è stata solo per quei rubinetti gocciolanti. La
nostra Prima Comunione è diventata Seconda, per importanza. Per
fortuna, perché quando mamma Emilia ha dovuto lavare i vestiti,
anziché lamentarsi, ha apprezzato molto di poterlo fare in casa.

Rosanna Lucioli

Attività

Chiedi ai tuoi genitori e/o ai tuoi nonni di raccontarti le storie di


famiglia.
L’ideale resta la permanenza dell’anziano in famiglia, con la garanzia
di efficaci aiuti sociali rispetto ai bisogni crescenti che l’età o la
malattia comportano. Ci sono tuttavia situazioni, in cui le circostanze
stesse consigliano o impongono l’ingresso in “case per anziani”,
perché l’anziano possa godere della compagnia di altre persone e
usufruire di un’assistenza specializzata. Tali istituzioni sono pertanto
lodevoli, e l’esperienza dice che possono rendere un servizio prezioso,
nella misura in cui si ispirano a criteri non soltanto di efficienza
organizzativa, ma anche di affettuosa premura. Tutto è in questo
senso più facile, se il rapporto stabilito con i singoli ospiti anziani da
parte di familiari, amici, comunità parrocchiali, è tale da aiutarli a
sentirsi persone amate e ancora utili per la società.
(Giovanni Paolo II)
6

L’anziano in casa di riposo

“Immaginate per un momento, voi adulti sani e robusti, nel pieno


delle vostre facoltà che cosa significa stare dentro un corpo indebolito,
dentro una mente gonfia di ricordi, dentro una solitudine che va
diventando più vasta?” (Sandra Petrignani)
Immaginate se, per scelta propria o per contingenze dettate dalle
difficoltà della vostra famiglia di custodirvi a casa, vi capitasse un
giorno di dover andare a vivere in una casa di riposo.
Che cosa significherebbe per voi lasciare la vostra abitazione, perdere
il convivio familiare, dover rinunciare alle vostre abitudini, non avere
più un ruolo definito nella società, vivere isolato in una struttura
popolata solo da anziani a voi sconosciuti?
Forse avete già provato il disagio, la sofferenza, il sentimento di colpa,
di dover portare il proprio genitore ad abitare in un ricovero per
anziani. Non è per niente facile, né per l’anziano, né per i suoi
familiari prendere la decisione di andare a vivere in una residenza per
anziani, malgrado, come abbiamo visto, l’impossibilità in tanti casi di
prendersi cura di un anziano a casa.
In Italia ci sono oggi circa 200.000 anziani che risiedono in circa
5.000 case di riposo. Non si può dire che al cambiamento strutturale
della società corrisponda un adeguamento delle strutture residenziali
per anziani che tenga in considerazione l’aumento e la diversificazione
dell’utenza.
Per far fronte ai bisogni di un’utenza composta sempre più di anziani
non autosufficienti, la legge finanziaria del 1988 prevedeva la
creazione di 140.000 nuovi posti letto in strutture alternative alle
tradizionali case di riposo, ossia le nuove R.S.A. (Residenze Sanitarie
Assistenziali).
Fino al 2000, meno del 25% dei posti letto previsti in queste strutture
a contenuto misto, sanitario e socio-assistenziale, erano stati creati.
La soluzione istituzionale per l’anziano rimane perciò la tradizionale
casa di riposo. Clemente Lanzetti e Antonella Marchetti in
“L’animazione nelle case di riposo” ci fanno presente che per molti
degli ospiti il tratto saliente è quello tipico dei “rassegnati”, cioè di
coloro che hanno perso ogni capacità progettuale e ogni speranza di
cambiamento. L’anziano istituzionalizzato tende al ripiegamento su se
stesso, all’introversione e all’autosvalutazione. Questo clima conduce
inevitabilmente ad un ulteriore deterioramento dell’identità personale.
Si può essere vecchi e conservare giovane il cuore;
si può essere poveri e mantenere un animo nobile.
(Proverbio cinese)
Riflessione di una studentessa

La mia nuova amica si chiama Fedora

La mia nuova amica si chiama Fedora. Fedora è una persona, non


giovanissima, ma molto lucida e intelligente.
È ospite di “Villa Serena” solo per convalescenza. Lei è nata a
novembre. Quando era più giovane, viveva a Taranto con la figlia,
Cinzia, morta purtroppo quando aveva 38 anni. Alla morte di Cinzia,
Fedora si trasferì a Napoli, dalla sorella, dove visse per sei o sette
anni. Poi si ammalò, ebbe un problema al midollo spinale, che le
bloccava la circolazione del sangue. Piano piano stava morendo.
Fedora non sentiva dolore, però era sempre stanca, e aveva sempre
bisogno di sedersi. Il figlio, poi, per averla più vicina, la portò a
Gradara; durante il tragitto, però, si fermarono a Cattolica. Fedora si
ricordava che lì vi era un personale molto bravo. Una dottoressa
dell’ospedale, fortunatamente, trovò subito il suo problema e, grazie a
delle trasfusioni, la salvò. Poi, dovette venire a Senigallia per
convalescenza.
Lei è una persona molto colta; legge, scrive, ecc. In particolare è una
“poeta” nata, scrive poesie bellissime, me ne ha fatta leggere una sulla
festa della mamma… mi ha quasi fatto piangere dalla commozione!
Legge la Bibbia, Ariosto, la Divina Commedia di Dante e tante altre
cose.
È una persona molto sensibile, molto timida; ma simpatica e gentile.
Penso che quest’esperienza non la scorderò mai.
Mi sono sentita come se tutti i dolori e le sofferenze che ha vissuto lei,
li abbia passati io, in prima persona.
All’inizio avevo un po’ paura: non sapevo cosa dire, non sapevo se
fosse una persona socievole; mentre, dopo, mi sono trovata molto
molto bene.
Poi mi ha accompagnata in camera sua, ha preso una foto di quando
era giovane, mi ha riportato di sotto e me l’ha mostrata: era
bellissima, capelli chiari, magra, raffinata, elegante, sembrava
un’attrice.
Poi mi ha mostrato anche una foto di suo marito, e di sua figlia
Cinzia.
Più tardi, le ho chiesto perché dopo la convalescenza era ancora lì, e
lei mi ha spiegato che era rimasta perché poi si era rotta un femore, e
fatta dei lividi sulle gambe. Però mi ha anche detto, che spera di
andare via il più presto possibile.
Fedora preferisce le giornate invernali, perché, nelle pioggerelle
invernali vede… è un segreto, mi dispiace, non vuole che io lo dica.
Alla fine dell’incontro mi ha chiesto se la riandrò a trovare, e io le ho
detto: - È poco, ma sicuro. - E come ricordino, mi ha regalato un
piccolo pupazzo arancione con la testa di zucca che, appena viene
toccato, ride.
Se dovessi tornare indietro, rifarei senz’altro questa visita.

Serena Lucidi
(Seconda Media – Istituto Comprensivo Marchetti, Senigallia)

Attività

Secondo te, quale sarebbe la casa di riposo ideale? Come dovrebbe


essere una casa di riposo affinché anche tu da anziano abbia voglia di
viverci?
Se gli anni tracciano i loro solchi sul corpo,
la rinuncia all’entusiasmo li traccia sull’anima.
(S. Ullman)
7

L’anima in azione

Per contrastare il clima di rassegnazione generalizzato, si è avvertito il


bisogno di interventi di una nuova figura professionale: questa figura,
in mancanza di un termine specifico che definisca la sua attività,
viene chiamata animatore.
Da un lato, il termine animatore è molto pertinente, perché contiene
la parola anima che è l’oggetto centrale dell’intervento dell’animatore.
Fare animazione potrebbe significare rimettere “l’anima in azione”.
Dall’altro lato, quando si parla di animazione o di animatori, si pensa
a spettacolo, divertimento, festa, comicità, qualcosa che faccia
passare il tempo, che non faccia pensare ai problemi della vita.
Questa concezione diffusa sull’animazione crea delle aspettative che
vanno a limitare e a confondere quello che sarebbe il potenziale ruolo
dell’animatore professionale di comunità in case di riposo.
Ritengo che il principale compito dell’animatore sia generare quello
che Guido Contessa chiama un campo animativo. In questo senso il
ruolo dell’animatore non è tanto quello di divertire, di fare, di
esprimere, di essere attivo, protagonista, anzi il suo ruolo deve essere
quello di “far divertire, far fare, far esprimere, di rendere l’utente
attivo ed espressivo, renderlo il vero protagonista, responsabile della
costruzione di relazioni e comunicazione”.
Per raggiungere questo obiettivo è necessario trasformare la casa di
riposo in una comunità, costituita da ospiti, operatori, famigliari,
direzione, e volontari. Occorre costruire dei ponti che colleghino la
casa di riposo al territorio (comune, scuola, parrocchia, associazioni
di volontariato, circoli ricreativi).
La sfida, come osserva Contessa, è da una parte avvicinare in senso
fisico e psicologico la comunità agli anziani ma anche gli anziani alla
comunità, dato che gran parte dei problemi degli anziani risiede nel
modo con cui questo è percepito ed emarginato dal territorio in cui
vive e dalla società in generale.
L’animatore deve essere in grado di utilizzare metodi e tecniche di
animazione che Maria Vittoria Sardella e Aldo Terracino hanno diviso
in:
- ricreativi (gioco, divertimento, simulazione, fantasia, esplorazione,
espressività)
- culturali (letture, ricerche, mass-media, arte, teatro, ambiente)
- aggregativi (socialità, relazioni, comunità, associazionismo,
cooperazione)
L’animazione professionale costituisce uno strumento di stimolo per:
- la socializzazione, l’integrazione delle relazioni interpersonali,
- la valorizzazione concreta delle competenze e delle capacità,
- l’autonomia fisica e psicologica,
- la valorizzazione del passato e delle esperienze,
- l’espressività.
L’intervento di animazione presuppone - come viene illustrato nel sito
di Silvia Vizio animanziani.it - delle fasi di analisi, osservazione,
valutazione, progettazione, sperimentazione, verifica e correzione ed
esige da parte dell’animatore disponibilità a mettersi costantemente in
gioco ed intraprendere un itinerario di formazione permanente.
Solamente in questo modo, citando ancora Contessa, l’animazione
può costituire per gli anziani una risorsa di prevenzione e
riabilitazione, e per la comunità intera una risorsa di sensibilizzazione
e integrazione.
Foto Lorenz8

Gli uomini comuni guardano le cose nuove con occhio vecchio.


L’uomo creativo osserva le cose vecchie con occhio nuovo.
(Gian Piero Bona)
La formazione dell’animatore

Il corso di formazione di base dell’animatore polivalente della Scuola


Nazionale Animatori (SNA) ha una durata biennale e un monte-ore di
1000 ore, di cui 600 di didattica in classe (prevalentemente attiva) e
400 di tirocinio sul campo.
I contenuti e le relative quantità di ore sono:

Contenuti I anno/ore II anno/ore


a. teorie e professione dell’animatore 8 18
b. ricerca-intervento e valutativa 40 8
c. dinamiche di gruppo e di comunità 64 40
d. teorie di gruppo e di comunità - 24
e. testimonianze di settore 24 24
f. progetti operativi e tecniche di intervento 74 80
g. metodologie e tecniche di intervento 17 40
h. supervisione di gruppo 54 20
i. addestramento lavoro professionale - 30
l. contenuti specialistici variabili
per sede e per anno
(contesti speciali, prevenzioni, ecc.) 19 16

Si può osservare dai contenuti del corso della SNA che nella
formazione dell’animatore polivalente viene data enfasi alla
conoscenza e alla pratica delle dinamiche di gruppo e di comunità, e
alla capacità di progettare le competenze e attuare interventi nei
diversi settori dell’animazione: dal soggiorno-vacanza alla casa di
riposo, dal centro sociale alla biblioteca, dal museo al parco, dalla
ludoteca al centro per anziani.
La formazione dell’animatore di settore, come pure dell’animatore per
il tempo libero in case di riposo, dovrebbe essere considerata una
specializzazione successiva alla formazione di base. La Regione
Marche, che non ha una scuola di animazione ma che ha avvertito il
bisogno di formare animatori qualificati per lavorare con gli anziani,
ha promosso un corso di formazione professionale per animatori in
case di riposo, attraverso l’Assessorato alla Pubblica Istruzione e alla
Formazione Professionale della Provincia di Ancona.
La cooperativa L.A.B. di Ancona, che ha organizzato e gestito il corso
finanziato dal Fondo Sociale Europeo, ha riunito da una parte i
professionisti che operano nel settore dell’anzianità – psichiatri,
psicologi, medici geriatri, fisioterapisti, animatori – tra i più rinomati
della regione, per formare il corpo docente. Dall’altra parte ha
selezionato un gruppo di 12 persone, in maggioranza con esperienza
previa di animazione, laureati o laureandi dell’area umanistica.
La durata del corso è stata di 5 mesi e con un monte-ore di 400 ore,
di cui 220 di didattica in classe e 180 di tirocinio pratico.
I contenuti del corso e le relative quantità di ore sono stati:
Contenuti/ore
Orientamento 5
Psicologia (la formazione della mente) 34
Sociologia (tradizioni del territorio) 20
Geriatria (patologia del corpo e della mente
dell’anziano e possibilità di recupero funzionale) 20
Psicogeriatria 21
Recupero funzionale 20
Animazione (progettazione delle attività) 25
Orientamento uscita 5
Laboratorio di animazione 60
Rappresentazione teatrale 3
Attività di valutazione orale e scritta 9
Tirocinio guidato INRCA +
Tirocinio in case di riposo 178

La metodologia didattica ha utilizzato non soltanto lezioni espositive


ma soprattutto tecniche di simulazione, lavoro in gruppo, lavoro
attivo e laboratorio di creatività.
Il corso ci ha fornito nozioni basiche teoriche sulla geragogia, cioè
l’educazione all’invecchiamento, sulla psicogerontologia,
sull’assistenza all’anziano, introducendo i concetti di accreditamento,
analisi costo-benefici, costi-efficacia, costi-utilità, bisogno espresso e
bisogno percepito, bisogno formativo, competenza e compito
professionale, efficacia sperimentale, esito finale, revisione tra colleghi
e soluzione di problemi, e mostrando la necessità di coinvolgere tutti i
soggetti nell’intervento e di lavorare in gruppo. Ci ha inoltre permesso
di approfondire la questione del ruolo dell’animatore, la pratica
dell’animazione e le tecniche di progettazione delle attività, dei giochi
e delle attività espressive, le tecniche di terapia occupazionale,
musicoterapia, le dinamiche di gruppo psico-motorie, la terapia
artistica e del colore, l’orientamento alla realtà, la logoterapia, l’analisi
transazionale e il metodo della validation.
Altrettanto importanti sono stati gli insegnamenti risultanti
dall’osservazione del modo di attuare dei colleghi di corso durante il
tirocinio presso le case di riposo (futuro luogo di lavoro). Nel corso
della documentazione fotografica del tirocinio dei futuri animatori, ho
rilevato che i miei colleghi riuscivano a basare i loro interessi sulle
attività che li avevano maggiormente coinvolti, sulle competenze che
avevano previamente sviluppato e che costituivano il loro bagaglio
culturale, i loro interessi, le loro passioni. E ho considerato che era
proprio la passione, il coinvolgimento emotivo, il loro piacere
insomma, che contagiava gli anziani, che veniva percepito e
apprezzato da loro e che diventava così l’elemento catalizzatore di
tutto l’intervento. Il clima coinvolgente, caldo e allegro, creato da tutti
i colleghi compensava abbondantemente la scarsa esperienza di molti
di loro nel fare animazione in case di riposo.
Questa constatazione mi ha spinto ad approfondire la mia ricerca
sulla fototerapia e sulla fotografia terapeutica rispetto all’anzianità, e
mi ha incoraggiato a progettare il mio intervento di animazione, in
modo che potessi avvalermi della mia esperienza professionale
nell’impiego della fotografia come strumento riabilitativo e
terapeutico, per poi applicarla anche all’animazione per anziani.
Così nascono le prime idee che una volta sviluppate e approfondite
prenderanno forma nel progetto Il Volto e la Voce del Tempo – Un
Ponte tra Generazioni.

Attività 1

Quali sono le attività del tempo libero che ti piacciono di più?


Come potresti proporle in modo da condividerle con gli anziani?
Poesie

Mia giovinezza

Non t'ho perduta. Sei rimasta, in fondo


all'essere. Sei tu, ma un'altra sei:
senza fronda né fior, senza il lucente
riso che avevi al tempo che non torna,
senza quel canto. Un'altra sei, più bella.
Ami, e non pensi essere amata: ad ogni
fiore che sboccia o frutto che rosseggia
o pargolo che nasce, al Dio dei campi
e delle stirpi rendi grazie in cuore.
Anno per anno, entro di te, mutasti
volto e sostanza. Ogni dolor più salda
ti rese: ad ogni traccia del passaggio
dei giorni, una tua linfa occulta e verde
opponesti a riparo. Or guardi al Lume
che non inganna: nel suo specchio miri
la durabile vita. E sei rimasta
come un'età che non ha nome: umana
fra le umane miserie, e pur vivente
di Dio soltanto e solo in Lui felice.

O giovinezza senza tempo, o sempre


rinnovata speranza, io ti commetto
a color che verranno: - infin che in terra
torni a fiorir la primavera, e in cielo
nascan le stelle quand'è spento il sole.

Ada Negri
Essere Giovane

La giovinezza non è un periodo della vita,


è uno stato d’animo
che consiste in una certa forma della volontà,
in una disposizione dell’immaginazione,
in una forza emotiva;
nel prevalere dell’audacia sulla timidezza
e della sete dell’avventura sull’amore per le comodità.
Non si invecchia
Per il semplice fatto di aver vissuto un certo numero di anni,
ma solo quando si abbandona il proprio ideale.
Se gli anni tracciano i loro solchi sul corpo,
la rinuncia all’entusiasmo li traccia sull’anima.
La noia, il dubbio, la mancanza di sicurezza,
il timore e la sfiducia
sono lunghi lunghi anni che fanno chinare il capo
e conducono lo spirito alla morte.
Essere giovane significa conservare a sessanta o settant’anni
L’amore del meraviglioso,
lo stupore per le cose sfavillanti e per i pensieri luminosi;
la sfida intrepida lanciata agli avvenimenti,
il desiderio insaziabile del fanciullo per tutto ciò che è nuovo,
il senso del lato piacevole e lieto dell’esistenza.
Resterete giovani finché il vostro cuore saprà
ricevere i messaggi di bellezza, di audacia, di coraggio,
di grandezza e di forza che vi giungono dalla terra,
da un uomo o dall’infinito.
Quando tutte le fibre del vostro cuore saranno spezzate
E su di esso si saranno accumulati
Le nevi del pessimismo ed il ghiaccio del cinismo,
è solo allora che diverrete vecchi
e possa Iddio aver pietà della vostra anima.

Samuel Ullman
A Tarrafa

À sombra dos cajueiros


que florescem junto ao mar,
paciente, o pescador
tece a rede de pescar

Enquanto a mão se entretece


nesse mister singular,
outra mão, por trás do tempo,
vai tecendo, sem cessar,

a tarrafa que algum dia


vai pescar o pescador,
juntamente com seu tédio,
seu sorriso e sua dor.

E tece com tal mestria


essa tarrafa de vento,
que o pescador nunca pensa,
quando pesca seu sustento,

que a Morte o está pescando,


lentamente, dia a dia,
nessa, embora inevitável,
invisível pescaria.

Deífilo Gurgel
(poeta e ricercatore brasiliano)
Il Tramaglio

All’ombra degli anacardi


che fioriscono lungo il mare,
paziente, il pescatore
tesse il tramaglio per pescare.

Mentre s’intrattiene la mano


in questa arte singolare,
un’altra mano, dietro il tempo,
tesse sempre, senza sosta,

il tramaglio che un bel giorno


pescherà il pescatore,
insieme al suo tedio
suo sorriso e suo dolore.

E tesse con tale maestria


questo tramaglio di vento,
che il pescatore non ci pensa,
quando pesca il suo alimento,

che la Morte lo sta pescando,


ogni giorno, pian piano,
in questa inevitabile
e invisibile pesca della vita.

Attività 2

Raccogli delle poesie che parlano del tempo che passa


e della vecchiaia.
Quale ti piace di più? Perché?
La fotografia ha qualcosa a che vedere con la resurrezione.
(Roland Barthes)
8

La Fotografia

Per una ragione o per un’altra, tutti abbiamo instaurato un rapporto,


più o meno profondo, con la fotografia. La fotografia “è di casa” per
tutti quanti. Chi di noi non ha una storia da raccontare su una foto
che ci hanno scattato da piccoli, o sulle foto che abbiamo fatto in
viaggio o sulle foto che abbiamo visto da qualche parte? È proprio
questa familiarità, questo rapporto affettivo (non necessariamente
d’amore) instaurato con la fotografia, che può rivelarsi un grande
alleato di chi vuole utilizzare la fotografia come strumento di
animazione, di riabilitazione o terapeutico.
La familiarità diffusa è sorprendente quando si considera che la
fotografia è un’invenzione relativamente recente se la paragoniamo
alla musica, alla letteratura, alla pittura, al teatro, che sono
espressioni artistiche ancestrali. È stato proprio l’altro ieri, il 19
agosto 1839, all’Accademia delle Arti e Scienze di Parigi, che viene
presentata ufficialmente l’invenzione, attribuita a Daguerre, chiamata
Fotografia.
Da quell’immagine fissata su una lastra d’argento (il daguerreotipe
appunto) del diciannovesimo secolo alla fotografia digitale di oggi c’è
una lunga e avventurosa strada di sviluppo tecnologico, della chimica
in particolare, che ha avuto tanti protagonisti tra cui George
Eastman, fondatore della Kodak alla fine dell’ottocento, che ha
contribuito enormemente alla popolarizzazione della fotografia.
Questa strada la si può percorrere anche all’indietro, dal 1839 verso il
passato. Facendo un passo indietro incontreremo Nièpce, un incisore
francese che ha creato un metodo di incisione con la luce del sole, da
lui chiamato “heliographie”, ancora molto più indietro incontreremo
Leonardo da Vinci che ha aggiunto gli obiettivi (le lenti) alla già
conosciuta macchina da disegnare, contribuendo in modo decisivo
allo studio della prospettiva. Possiamo risalire fino ad Aristotele, che è
stato il primo a descrivere il fenomeno fisico (ottico) della camera
oscura, attraverso l’osservazione di fenomeni naturali: trovandosi in
una grotta, ha osservato che l’immagine proveniente dall’esterno
passando da un piccolo foro veniva proiettata sulla parete opposta in
maniera invertita, proprio come accade all’interno della tradizionale
macchina fotografica.
La parola stessa FOTOGRAFIA deriva dal greco: ƒòs,luce, e gràfo,
scrivo. Fotografare perciò significa, etimologicamente, scrivere con la
luce.
La verità profonda di questa definizione si rivela soprattutto se
ricordiamo che la luce in sé è invisibile, ma che rende visibili gli
oggetti che la riflettono, i cui significati a loro volta aspettano di
essere illuminati dalla “luce della mente”.
Rimane sempre vero però che il momento cruciale dello sviluppo del
processo fotografico non è tanto quello di catturare un’immagine, ma
di riuscire a fissarla in modo permanente su una superficie. Fa parte
dei desideri archetipici dell’essere umano quello di fermare o di
viaggiare avanti e indietro nella dimensione che è sinonimo
dell’esistenza stessa: IL TEMPO.
La fotografia ci offre l’illusione di sottrarci alla contingenza di esistere
nel flusso inarrestabile del tempo, che va dalla sorgente della vita
all’oceano infinito della morte. È come se gli uomini giocassero una
partita di calcio contro gli dei e nonostante il risultato finale sia
conosciuto fin dall’inizio, ciò non impedisce che si realizzi una bella
partita, piena di sorprese e azioni fantasiose. La fotografia sarebbe
come un dribbling, non una rete, ma comunque un dribbling sul dio
tempo.
In questa partita, tutti possiamo per un momento avere il pallone al
piede, quando scattiamo una foto o quando qualcuno ci fotografa, o
far parte del pubblico quando guardiamo un’immagine fotografica, o
ancora fare l’allenatore quando decidiamo quale foto includere nel
nostro album fotografico e quale scartare. Tutti questi ruoli sono
impregnati di una carica psicologica, di una forza emotiva che ci può
far sentire particolarmente vivi, presenti, partecipi.
Foto ceduta

La felicità suprema della vita è la convinzione che siamo amati.


(Victor Hugo)
Questa non è una sposa

Che simpatica questa Sua foto da sposa, signora Idilia!


No, signor Ayres, questa che Lei vede non è una sposa. Io non mi
sono sposata col vestito bianco. Non c’erano né soldi né tempo
per questo. Il mio matrimonio è stato deciso e celebrato un po’
così, in fretta e fuga.
Io facevo la commessa in una farmacia a Pesaro quando ero
fidanzata. Mario, il mio futuro marito, doveva trasferirsi ad
Urbino dove lavorava come incisore alla Scuola del Libro.
Io sapevo che se lui andasse a vivere da solo ad Urbino, un bel
pezzo d’uomo com’era lui, giovane e focoso in mezzo a tutte
quelle ragazze, porterebbe alla rovina il nostro rapporto.
Così non ho avuto dubbi, ho lasciato il mio lavoro, per il grande
dispiacere dei padroni della farmacia, che mi volevano tanto
bene e che si fidavano tanto di me. Ci siamo sposati con una
cerimonia molto semplice, con vestiti normali. Io indossavo un
cappotto elegante che mi aveva prestato la mia ex-padrona e lui
il suo completo da festa. Ecco la foto del nostro matrimonio.
Ci siamo sposati e siamo andati a vivere insieme ad Urbino.
Siamo stati felici io e Mario, nonostante le difficoltà della vita. Sì,
perché lavorava soltanto lui. Io facevo la casalinga. Abbiamo
sempre vissuto in affitto e gli affitti ad Urbino sono sempre stati
cari. Ma io amministravo bene la casa. Risparmiavo in tutto, e
così riuscivamo a mettere da parte un pochettino di soldi che ci
ha permesso, piano piano, di comprare tutti i mobili della casa.
Prima che Mario andasse in pensione avevamo comprato pure
una macchina! Nei fine settimana andavamo in gita con gli amici
nei paesi vicini.
Ah, quando penso che proprio nel periodo che Mario è andato in
pensione e che potevamo veramente goderci la vita fino in fondo,
spensieratamente, lui si è ammalato. Povero Mario, come mi
manchi!
Era un fumatore accanito. Ma quando il medico gli ha detto che
se continuasse a fumare moriva, lui ha smesso il giorno stesso.
Penso che lo abbia fatto non per lui, ma per me. Sul comò, c’era
ancora un pacchetto con delle sigarette e l’accendino vicino. Ho
preso tutto quanto per buttarli via, ma lui me lo ha impedito. Mi
ha chiesto di lasciarli lì, che aveva bisogno di vederli. Il
pacchetto e l’accendino sono rimasti parecchio tempo lì sul
comò. Ogni tanto ci riprovavo a buttarli via, ma lui me lo
impediva sempre.
Un giorno, un paio di anni più tardi, lui mi ha detto: “Se vuoi,
puoi buttare via quel pacchetto”. Ah, le sigarette, se non fosse
per loro, Mario sarebbe forse ancora qui, vicino a me.
(pausa, pianto)
Ma signora Idilia, e quel vestito da sposa?
Sì, è vero, il vestito. Ecco, alcuni anni dopo il mio matrimonio, si
è sposata mia sorella più piccola, Anna. I tempi erano un po’
migliorati. Tutta la famiglia si è mobilizzata per fare una grande
cerimonia. Era una soddisfazione per tutti noi. Almeno Anna, il
nostro gioiello, doveva sposarsi alla grande. E così è stato. Dopo
la cerimonia, prima di partire per la luna di miele, mentre
l’aiutavo con i preparativi per il viaggio, Anna, un po’ così per
scherzo, ha detto: “Ma perché non ti metti il mio vestito da sposa
che ti facciamo una foto?”
Mi sono vestita subito con l’aiuto di Anna. Era come un gioco da
bambine, come facevamo da piccole. L’allegria allora era
completa. Mi ero tolta la voglia nascosta di indossare per una
volta il vestito da sposa, anche se solo per puro gioco e Anna era
ancora più felice di me. Ah, in questa vita, signor Ayres, non si
può essere felici da soli. La felicità si moltiplica quando viene
condivisa con chi si ama.
foto ceduta
Dialogo sulla luce

Dialogo sulla luce, del monaco indiano SANKARA, uno dei massimi
filosofi e mistici dell’India, vissuto a cavallo del secolo VII e VIII.

Che è la luce per te?


Di giorno il sole, di notte le fiaccole, e così via.
Sia pure. Ma quale luce illumina come il vederla? La luce del sole?
Dimmi.
L’occhio.
E quando esso è chiuso?
La mente.
E la mente da chi è veduta?
Da me.
Tu sei dunque la luce suprema.
Quella io sono signore.

Attività

Raccogli le vecchie foto della tua famiglia e scopri le storie che queste
foto “raccontano”.
La macchina fotografica è uno strumento che ci insegna
a vedere meglio senza la macchina fotografica.
(Dorothea Lange)
9

Fototerapia e Fotografia Terapeutica

La dimensione psicologica della fotografia è stata osservata, in un


contesto casuale, pochi anni dopo l’ufficializzazione della sua
invenzione, (19 agosto 1839). È accaduto nel 1856, quando uno
“psichiatra fotografo”, anzi, un “fotografo psichiatra”, Hugh Welsh
Diamond, presenta alla Royal Society of Medicine di Londra, i risultati
delle sue ricerche sull’utilizzo della fotografia nello studio del
rapporto tra tratti fisionomici e malattie mentali. Diamond ha
fotografato le donne ricoverate nel manicomio pubblico di Surrey e ha
potuto testimoniare il piacere e l’interesse con cui le sue pazienti
osservavano le immagini fotografiche e ha rilevato un cambiamento
in positivo nell’autostima di alcune pazienti fotografate.
Agli inizi del 1880, Sir William Charles Wood riflette sull’effetto delle
fotografie sui pazienti del manicomio di Bethlem: “Un effetto
imprevisto di questi divertimenti artistici (la fotografia) è quello di
attirare l’attenzione dei pazienti sulla loro apparenza, loro vestiti, loro
viso e loro corpo; e questo cambiamento di direzione porta in alcuni casi
a risultati salutari.”
Senza rendersene conto, questi medici scoprivano ciò che più tardi si
sarebbe chiamata Fototerapia, cioè l’utilizzo della fotografia come
strumento terapeutico, per migliorare il benessere psicologico
dell’individuo, per favorire la crescita e la conoscenza di se stesso.
Da queste prime esperienze documentate di fototerapia ante litteram
fino ad oggi, sono stati in molti ad utilizzare la fotografia come
strumento terapeutico e differenti livelli di consapevolezza e con
differenti riferimenti teorici. Finalmente nel 1978 diversi professionisti
che avevano utilizzato la fotografia nelle loro attività terapeutiche
nell’ambito della salute mentale si sono incontrati per scambiare
informazioni ed esperienze nel I Congresso di Fototerapia nel Nord
America.
Si è formato in quel periodo un gruppo di esperti che per dieci anni
hanno pubblicato i loro studi sulla rivista PhotoTherapy. Gli
esemplari di questa rivista possono essere consultati ancora oggi
presso il Centro di Fototerapia della psicologa e terapeuta Judy
Weiser a Vancouver – Canada (i testi e le ricerche di questo centro
possono essere consultati sul sito: www.phototherapy-centre.com).
Parallelamente a questo movimento nordamericano, dall’altra parte
dell’oceano, in Inghilterra, Jo Spence e Rosy Martin utilizzavano la
fotografia non nell’ambito circoscritto della salute mentale, cioè la
fotografia in terapia (definita da Judy Weiser Fototerapia), ma in modo
più ampio e informale, facevano uso della fotografia come strumento
di crescita personale, di conoscenza di se stessi, ossia la fotografia
come terapia (definita da Judy Weiser Fotografia Terapeutica).
Nella fototerapia la fotografia viene utilizzata come uno strumento per
agevolare l’indagine sui sentimenti, sulle emozioni, sul mondo
interiore del paziente da parte dello psicologo, del terapeuta.
Robert Ostiguy, psicologo nord americano, collaboratore di Judy
Weiser, durante un delizioso pranzo a Roma nell’estate del 2004, si è
servito di una metafora geometrica per illustrare un aspetto
fondamentale della fototerapia. “Nel rapporto classico tra paziente e
terapeuta possiamo tracciare una linea ascendente (fatta di parole)
che va dal primo, il quale ha dei problemi e cerca aiuto, verso il
secondo, che sarebbe in grado di aiutarlo a risolverli.

L’inclusione della fotografia trasforma questo rapporto lineare


ascendente in una relazione triangolare in cui paziente e terapeuta,
alla pari, guardano uno stesso punto: la fotografia.
Lo spostamento del fuoco dell’attenzione dai problemi del paziente
alla fotografia permette a quest’ultimo di esprimere delle sensazioni,
di rievocare dei ricordi che forse non verrebbero a galla altrimenti.”
Nella fotografia terapeutica, invece, i ruoli di terapeuta e di paziente
scompaiono. La fotografia non viene utilizzata come strumento di
investigazione ma come strumento ludico, espressivo, relazionale, per
fare gruppo, per divertimento, per intraprendere un percorso di
crescita personale alla ricerca di un benessere psicologico e sociale.
La fotografia terapeutica favorisce il collegamento tra mondo interiore
e realtà, tra il sé e l’altro, e permette inoltre di affiancare la fotografia
ad altre forme di espressione, come la pittura, il collage, il video, il
teatro, la musica, la narrazione e la poesia.
Fototerapia e fotografia terapeutica si differenziano ma non si
contrappongono e possono essere utilizzate in maniera
complementare in un lavoro di equipe tra psichiatra, psicologo,
animatore, educatore, assistente sociale, fotografo e altre figure
professionali.
La felicità è uno strano personaggio:
la si riconosce soltanto dalla sua fotografia al negativo.
(Gilbert Chesterton)
La Fotografia Terapeutica con gli anziani

È naturale per chi arriva all’autunno della vita pensare spesso alle
stagioni passate. Questo atteggiamento viene rafforzato dal fatto che
nella mente dell’anziano la memoria a lungo termine diventa sempre
più forte a discapito della memoria immediata. Il passato assume per
l’anziano in questo contesto un importante fattore di identità
personale. Mostrare una vecchia foto può agevolare quindi la
comunicazione persino con il “vecchietto” più diffidente e scontroso,
che non ama parlare con “sconosciuti”.
Guardare in compagnia l’album di famiglia o raccogliere le foto sparse
in un album di ricordi sono attività che contribuiscono a creare
familiarità e avvicinamento, stimolano l’interazione di gruppo, la
memoria e il dialogo e in questo modo aiutano a limitare il
deterioramento delle abilità intellettive e sociali degli anziani.
Il risultato positivo più evidente e immediato dell’utilizzo della
fotografia nelle attività con gli anziani è, a mio avviso, il
miglioramento dell’immagine di se stessi. Questa affermazione può
sembrare paradossale, ma è proprio la questione dell’immagine di sé
che si è presentata fin dall’inizio come un primo ostacolo e che
diventa poi una “porta di accesso” all’altro.
Vorrei esemplificare quanto detto con un episodio che mi è accaduto
alcuni anni fa, prima che iniziassi la mia attività nelle case di riposo.
Mi è stata chiesta una foto di “vecchietti” per illustrare gli stampati di
un convegno realizzato nella città di Ancona sul ruolo dell’animatore
nelle residenze per anziani. Avevo alcune fotografie su questa
tematica, che mi ha sempre attratto, ma si trattava di foto di
“vecchietti” brasiliani e non mi sembravano adatte agli obiettivi del
convegno. Ho deciso di trascorrere qualche giorno cercando e
fotografando i “vecchietti” anconetani. Un bel giorno mi si è
presentata la scena ideale, la foto che stavo cercando. Su una
panchina del Viale della Vittoria una bellissima signora di circa
settant’anni, immobile, sotto una luce meravigliosa, fissava
intensamente l’infinito. Intorno a lei si era formato un campo
magnetico, che non si vede ma si sente e a volte viene colto nella
fotografia, e che fa sì che la foto sia percepita in una maniera
inspiegabilmente speciale. Ho rallentato il passo, ho preparato la
macchina fotografica, mi sono inginocchiato e con l’emozione che si
sente quando si sta per scattare una foto unica, irripetibile, mi sono
preparato a “premere il grilletto”. Proprio in quell’istante la signora si
è accorta della mia presenza e con un gesto energico ha detto di no:
“No, non fotografarmi. Assolutamente, non fotografarmi!”
Ho cercato di giustificarmi, dicendo che quella era una scena troppo
bella, che la signora era troppo bella per non essere immortalata.
Allora la bella signora, con la stessa grinta con cui mi aveva impedito
di fotografarla, con un’energia ancora più esasperata ha detto una
frase che mi ha colpito ancor più della propria scena: “Questa
immagine che Lei vede non è che lo spettro di me stessa.”
Poi ha aperto la borsa e ha preso una vecchia foto e, mostrandomela
con un misto di orgoglio e rabbia, ha aggiunto: “Eccomi. Questa sono
io.” Era una donna bellissima, sorprendentemente solare, frizzante.
“Adesso mi sono ridotta così. Ma il responsabile non è stato il tempo
che passa. È stata la vita. Lei sa cosa significa perdere il figlio all’età
di 18 anni? Aveva solo 18 anni! Lei sa cosa significa? No, Lei non lo
può sapere.” Mi ha raccontato tutta la sua vita. Ciclicamente tornava
a parlare dell’incidente che aveva portato via il suo unico figlio.
In questo caso, la Fotografia che ha creato un ostacolo per la
comunicazione a causa della macchina fotografica, grazie alla vecchia
foto che la signora aveva in borsa si è trasformata in un ponte che mi
ha portato a conoscere tutta la vita della bella e anziana signora.
Storie diverse e analoghe a questa si sono moltiplicate da quando ho
iniziato ad attuare nelle case di riposo. Storie di donne anziane che
non si riconoscono nelle foto. O che si riconoscono nella foto della
figlia che sta affianco e domanda: “E quella lì, chi è?” O uomini
anziani che criticano: “Qui mi hai preso male, sembro un vecchio”,
ma che nell’incontro seguente sono molto più eleganti e curati, pronti
per essere fotografati in una luce più favorevole.

Attività

Scatta delle foto che potrebbero raccontare la nostra vita nella società
odierna, anche se osservate tra cent’anni.
La vita non è quella che si è vissuta,
ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel García Marquez)
10

La terapia della reminiscenza


La psichiatra inglese Linda Berman dedica il settimo capitolo del suo
libro Beyond the smile, tradotto in italiano con il titolo Fototerapia in
Psicologia Clinica, ai settori di applicazione della fototerapia, tra cui
quello del lavoro con gli anziani. In questa sezione del libro l’autrice
riporta un intervento di fototerapia presso un ospedale inglese per
anziani. Nel Sutton Hospital, regione del Survey, in Inghilterra, le
immagini colorate dello staff sono appese al muro della hall per
facilitare il riconoscimento da parte dei pazienti e visitatori, accanto al
letto di ogni paziente c’è una bacheca con le foto proprie e della
famiglia per rafforzare il senso dell’identità, le pareti sono piene di foto
Polaroid che documentano le feste di compleanno, Natale e le altre
festività, e ogni paziente ha il suo album della vita, elaborato con
l’aiuto dei familiari.
La Berman constata che il rafforzamento della memoria a lungo
termine migliora l’autostima e la sicurezza dei pazienti: “Il fatto di
raccontare storie sul passato non richiede l’uso della memoria a breve
termine e quindi non evidenzia il deficit di questa funzione cognitiva”;
in questo modo la comunicazione viene rafforzata, perché lo staff può
conoscere di più sul paziente e creare altri segni di interazione,
favorendo così la fiducia e la comprensione reciproca. Inoltre, si
riducono anche i comportamenti distruttivi ed eccentrici, perché il
paziente è assorbito e occupato nella narrazione e si sente ascoltato e
accettato.
Per dimostrare l’importanza dell’uso della fotografia con persone
anziane, la Berman racconta il caso di Rita, un’anziana signora che
non è in grado di parlare e sembra inaccessibile dal punto di vista
emozionale e che, all’improvviso, si trasforma quando vede l’album di
famiglia. Un sorriso di riconoscimento illumina il suo viso e la signora
comincia a produrre dei suoni che poi sono riconosciuti come nomi e
parole che dimostrano il suo senso di umorismo.
Nel lavoro con gli anziani, la terapia della reminiscenza mira a
limitare il deterioramento delle abilità intellettive e sociali. Libri, abiti,
vecchie monete e altri oggetti, come pure la musica, i sapori, gli odori
possono essere usati per facilitare la rievocazione e la discussione in
gruppo. Tuttavia, grazie alla loro capacità di stimolare i ricordi, le
fotografie sono di enorme utilità nella terapia con persone che hanno
problemi di memoria, come quelle che soffrono del morbo di
Alzheimer, di demenza senile e di altre forme di amnesia.
Linda Berman conclude affermando che la terapia della reminiscenza
può essere un modo piacevole di stabilire un contatto con gli altri;
può aiutare inoltre a confermare l’identità e la certezza che il passato
è esistito in un momento in cui il presente può sembrare vago e
confuso.
Le esperienze e gli studi ispirati alla “terapia della reminiscenza”,
sommati alle mie esperienze personali nell’utilizzo della fotografia con
ragazzi e con pazienti psichiatrici in Italia (Ancona e provincia),
costituiscono la base sulla quale si è fondato il progetto Il Volto e la
Voce del Tempo.
Tutte le cose che ora si credono antichissime furono nuove un tempo.
(Cornelio Tacito)
L’album dei ricordi di Assunta

1935

con mamma
e sorella

1943

a passeggio
con un’amica

1945

foto tessera
1948

con mamma,
papà e
sorella

Anni ‘50

nel giardino

1961

con sorella,
mamma e
fratello
1968

a casa

1968

in gita

anni ‘70

foto tessera
1980

foto tessera

anni ‘90

foto tessera

2001

a Loreto
con
un’amica
2003
in casa di riposo

2004
il rosario

2004

primavera

Attività
Raccogli le foto della tua famiglia in un album. Poi, con l’aiuto dei tuoi
genitori, prova a raccontare la storia dei tuoi familiari.
La giovinezza è felice perché è capace di vedere la bellezza.
Chiunque sia in grado di mantenere la capacità di vedere la bellezza
non diventerà mai vecchio.
(Franz Kafka)
11

La Fotografia Terapeutica applicata ai giovani


Alcuni anni prima di iniziare l’attuale progetto, ho avuto l’occasione di
osservare l’eccitazione dei ragazzi nello sviluppare e stampare delle
foto che loro stessi avevano scattato. Partecipare al processo magico
della fotografia è un vero e proprio divertimento creativo di grande
valore terapeutico in cui il ragazzo rafforza la fiducia in se stesso, la
responsabilità e il senso di importanza come individuo e di
conseguenza l’autostima.
Il lavoro in camera oscura si svolgeva all’interno di un progetto
intitolato Fotoscuola, realizzato con studenti della Scuola Secondaria
di I Grado, che consisteva nello stimolare i ragazzi a fotografare,
esercitando al massimo il loro spirito di libertà, di espressione di sé e
degli altri; allo stesso tempo i ragazzi acquisivano nuove abilità,
partecipando consapevolmente al processo di creazione della
fotografia dall’inizio alla sua conclusione. Il fatto di scattare
liberamente e sviluppare la propria foto, dava loro un senso di
potenziamento, risultato della sensazione di poter simbolicamente
manipolare, controllare, governare la realtà.
In seguito, è stato chiesto ai ragazzi di scrivere un testo ispirato alle
loro foto. Le discussioni suscitate dalle foto in chiave ludica, hanno
permesso ad alcuni ragazzi di far emergere degli argomenti che
normalmente sarebbero rimasti occulti.
Alla fine è stata allestita una mostra divisa in due sezioni: in una
sezione si presentava la documentazione del progetto che mostrava i
ragazzi nello svolgimento delle diverse fasi dell’iniziativa, nell’altra
sezione si presentavano le foto e i testi creati dagli studenti. Ho
osservato che nel farsi fotografare i ragazzi si sentivano al centro
dell’attenzione e coglievano l’occasione per mettersi accanto agli
amici, rafforzando così il sentimento di appartenenza ad un gruppo.
Il risultato è stato sorprendente, perché i ragazzi hanno veramente
esercitato la loro libertà espressiva e hanno elaborato delle immagini
non convenzionali. Non si sono limitati a fare delle belle foto, non si
sono preoccupati unicamente di soddisfare le aspettative degli adulti,
producendo delle foto “carine e piacevoli”, ma hanno sperimentato,
hanno abbordato delle tematiche variate, scene del quotidiano
domestico, la strada, gli oggetti, gli animali, i compagni di scuola, i
corridoi della scuola, il momento dell’intervallo, la macchina di
famiglia, i familiari, la casa, i paesaggi naturali del paese e della
campagna circostante, le statue e i monumenti del centro storico, o
addirittura le nuvole nel cielo, tutto ciò che aveva importanza per loro.
Diversamente dal progetto Fotoscuola, nel progetto Il Volto e la Voce
del Tempo la fotografia viene utilizzata non come strumento di
espressione creativa ma come strumento per creare un legame
affettivo tra le persone.
Ragazzi tra i 10 e i 15 anni scelgono delle foto di anziani che risiedono
in case di riposo e, osservando queste foto, immaginano le loro
biografie. Questo esercizio di empatia, di mettersi nei panni di
un’altra persona, di domandarsi che cosa succede all’essere umano
quando è messo di fronte a se stesso, contribuisce alla creazione di
un legame affettivo che trasforma una semplice visita ad un ospizio in
un incontro tra due anime.
Per verificare un eventuale cambiamento dell’immagine mentale che il
ragazzo ha dell’anziano, la psicologa Sabrina Monachesi ha elaborato
un questionario e lo ha applicato sia a ragazzi che hanno preso parte
al progetto sia a ragazzi che non hanno fatto tale esperienza.
I risultati hanno dimostrato che i ragazzi che hanno partecipato
all’iniziativa hanno una visione molto meno stereotipata dell’anzianità
rispetto a coloro che non hanno fatto lo stesso percorso.
Oltre a questo, la psicologa Daniela Colasuonno, laureatasi con una
tesi sulla fototerapia, ha studiato due casi di ragazzi che avevano
scritto le biografie immaginarie dei rispettivi “vecchietti”, per verificare
come e se il meccanismo proiettivo si realizza in questa pratica.
La Colasuonno ha confermato che raccontare una storia a partire da
una fotografia permette al ragazzo di rivelare i propri significati
personali rispecchiati nell’immagine. Insomma, usando la loro
immaginazione i ragazzi rivelano gli aspetti più profondi di se stessi.
Bisognerebbe tentare di essere felici,
non fosse altro per dare l’esempio.
(Jacques Prévert)
Le immagini mentali

Quando Ayres ha proposto alla mia Parrocchia il suo progetto ho


avvertito con ancor più forza il tesoro che ci veniva offerto perché,
come psicologa, intuivo le importanti conseguenze cognitive e affettive
che tale iniziativa comportava.
Durante il mio corso di studi, interessandomi a tutto il ciclo di vita
dell’uomo, ho potuto studiare anche l’affascinante fase della
cosiddetta terza età, scoprendo molte cose che ignoravo, modificando
la mia concezione della vecchiaia e sciogliendo gli stereotipi e i
pregiudizi che popolavano la mia mente.
L’esistenza nel mio mondo concettuale, quindi nel mondo concettuale
di un giovane adulto, di false credenze o di immagini dell’anziano
rigide e non sempre aderenti alla realtà non è un fatto insolito o
singolare.
Le immagini mentali sono degli schemi, delle concezioni con valenza
emozionale che fin da piccoli ci formiamo circa gli elementi della
realtà. Queste immagini mentali ci permettono di affrontare il mondo
e le diverse situazioni formulando delle ipotesi, facendo nascere delle
aspettative. Alla loro determinazione concorre la propria disposizione
personale, l’ambiente circostante e le esperienze fatte.
È evidente, quindi, quanto la figura dell’anziano sia mediata anche
dall’ambiente familiare, soprattutto nei primi anni dello sviluppo. Se
la coabitazione con i nonni favorisce un’immagine tridimensionale del
vecchio, plastica, aderente, i nuovi nuclei familiari, non permettendo
sempre una significativa vicinanza dei nonni, favoriscono la
formazione di un concetto di vecchiaia basato su una visione poco
profonda, centrata su tratti preminenti. L’immagine si trasforma così
in caricatura e si legano strettamente dei binomi riduttivi (vecchio-
malato, anziano-noia, vecchio-morte), nella realtà non così
necessariamente connessi.
Se queste immagini mentali vengono formate fin dai primi contatti
con il mondo esterno, ciò non significa che non si modifichino: il
pensiero e le opinioni cambiano a contatto con la realtà; così come un
oggetto da lontano può apparire sfuocato e impreciso ma messo a
fuoco rivela una quantità sorprendente di particolari insospettati, così
l’immagine mentale, nel continuo confronto con la realtà può
arricchirsi e modificarsi, approfondendosi e diventando vero specchio
della realtà.
Per ottenere questi cambiamenti è necessario l’incontro.
Un vero incontro è scambio e non credo sia stato facile costruire il
setting ideale in cui questo è potuto avvenire: per Ayres diventava di
vitale importanza trovare la ricchezza propria dei ragazzi da
condividere con quella degli anziani. Così si è cercato di stimolare
negli uni la fantasia e la curiosità e negli altri la reminiscenza, i
ricordi.
Un tale lavoro ha toccato diverse corde e ha prodotto frutti in diverse
prospettive.
Gli studiosi di psicogerontologia sostengono che l’invecchiamento non
comporti necessariamente disadattamento o declino psichico, ma che
gli anziani possano mantenere funzionalità e adattamento qualora si
sentano protagonisti della propria vita, in un clima culturale non
emarginante. Il progetto Il Volto e la Voce del Tempo ha aperto le porte
delle case di riposo mostrando delle persone che hanno ancora molto
da dire e da dare.
Per i ragazzi approfondire la propria immagine di vecchiaia è stato
importante sia in una prospettiva immediata, poiché ha prodotto
nuova conoscenza, sia in una prospettiva più lungimirante, in quanto
lo stile di invecchiamento che adotteranno sarà funzione
dell’immagine mentale che di tale fase della vita hanno costruito.

Dott.ssa Sabrina Monachesi


(Psicologa)
In ogni età il Signore chiede a ciascuno l’apporto dei propri talenti.
(Giovanni Paolo II)
La Fotografia come Metafora

L’atto di guardare qualsiasi immagine fotografica produce delle


percezioni e reazioni che vengono proiettate dal mondo interiore della
persona sulla realtà e che determina così il senso che viene dato a ciò
che si vede. Perciò questa tecnica non si basa su un tipo specifico di
foto ma piuttosto sull’interfaccia meno tangibile tra una foto e il suo
osservatore o creatore, lo “spazio” in cui ogni persona forma le proprie
originali risposte a ciò che vede.
La tecnica proiettiva è, in definitiva, un processo metaforico basato
sulle libere associazioni evocate da una fotografia, la quale rileva
l’esistenza di legami che vengono percepiti, non necessariamente, a
livello conscio: nel momento in cui interagiamo con una foto, sia
osservandola da soli che parlandone con altri, scopriamo dei
significati che possono prescindere da ciò che essa riproduce.
Il test di appercezione tematica ( T.A.T.) ha, come ho già avuto modo
di accennare, molto in comune con la fotografia. Bellak ha
riconosciuto l’esistenza di quattro livelli, caratteristici del T.A.T., ai
quali è possibile ricondurre geneticamente i fantasmi elaborati
nell’applicazione di questo test.
Vi è un primo livello superficiale, al quale il soggetto riconosce ed
esplicita la significazione soggettiva della storia che ha elaborato, sa
cioè che con la stessa ha esteriorizzato un evento della sua vita
personale.
Sottostante a questo vi è un secondo livello che Bellak chiama di
sensibilizzazione, dovuto a stati di tensione emotiva; per tale tensione
il soggetto è portato a compiere delle discriminazioni percettive più
fini in determinati campi sensoriali che rispondono ai suoi bisogni ed
alle emozioni suscitate dalla tensione: quindi le storie colgono
selettivamente degli stimoli che oggettivamente non hanno particolare
salienza, o addirittura il soggetto inventa stimoli che non esistono, ne
scotomizza altri che sono invece molto importanti.
Ad un livello ancora più profondo si ha il caso della proiezione
semplice ( quella che Ombredane e Cattell chiamano “complementare”
), dove si nota una certa distorsione della realtà obiettiva, in quanto si
tende ad identificare i protagonisti delle storie con figure che hanno
avuto importanza nella propria vita passata, trasferendo verso di essi
sentimenti ed atteggiamenti pragmatici senza essere consapevoli di
tale processo.
Ad un ultimo livello si ha infine la c. d. proiezione invertita che
coincide sostanzialmente col meccanismo di difesa descritto da S.
Freud nella paranoia, ovvero attribuisco a qualcuno dell’odio nei miei
riguardi perché lo odio per il fatto di sentire che lo amo.
È facile rilevare che il primo di questi livelli è cosciente, al massimo
preconscio; gli altri invece sono più o meno inconsci, secondo una
gradazione di profondità determinata dal progressivo affermarsi dei
processi psicologici primari su quelli secondari.
A partire da questi livelli elaborati da Bellak (e tipici del T.A.T.) ho
voluto affiancare, nella mia tesi, altri quattro livelli, caratteristici della
fotografia, complementari ai primi, ma in alcuni aspetti addirittura
più semplici e pratici per la somministrazione.
Al primo livello il paziente descrive semplicemente una sua fotografia,
sapendo che sta parlando di sé e di un frammento del suo passato.
Egli deve solo riportare nel presente i significati delle immagini del
passato, insiti in ogni fotografia.
Il secondo livello, simile a quello che Bellak ha definito “di
sensibilizzazione”, è caratterizzato da alta tensione emotiva, quindi il
paziente potrà tralasciare i dettagli o, viceversa, descrivere la
fotografia minuziosamente.
Nel terzo livello il paziente di fronte alle fotografie dei propri genitori (o
figure di accudimento) ha delle reazioni (anche non verbali), che
possono essere significative per stabilire le modalità di attaccamento e
le ripercussioni nella vita attuale del paziente. Inoltre, dall’immagine
stessa, possiamo notare le dinamiche familiari.
Nell’ultimo livello si trovano tutti i meccanismi di difesa utilizzati
inconsciamente dal paziente nel descrivere (o non descrivere) la
situazione fotografica.
Tale ricerca è ancora agli inizi e la strada da percorrere è
estremamente lunga, ma l’esperienza offertami dal progetto “Il volto e
la voce del tempo” mi ha fornito considerazioni confortanti e posto
ulteriori interrogativi interessanti.
Ho lavorato con i ragazzi della scuola media coinvolti nel progetto,
analizzando le loro storie immaginarie e ponendo, sulla base di
queste, alcune ulteriori domande per meglio conoscerli.
In generale possiamo dire che i ragazzi se devono scrivere una storia
immaginaria diventano prolissi mentre se, al contrario, devono
raccontare una storia reale o parlare di sé, diventano sintetici. Il
racconto immaginario è, perciò, una opportunità inconscia, per
parlare di sé, senza che la persona che scrive se ne renda conto. Il
meccanismo, ancora una volta, possiamo paragonarlo a ciò che
avviene nel Test di Appercezione Tematica (T.A.T.); in questo caso
però c’è l’associazione dell’immagine visiva (la fotografia dell’anziano)
e il racconto (scritto) di una storia immaginaria. Infatti se chiedessimo
ai ragazzi di parlare direttamente della propria famiglia, o solo del
padre o della madre, non verrebbero fuori tanti particolari che, invece,
scopriamo nei loro racconti fantasiosi.
Questo progetto si è rivelato molto utile per comprendere i conflitti e i
dinamiche inconsce dei ragazzi, infatti ho deciso di focalizzarmi su
due di loro che rispecchiano, in linea generale, ciò che succede a
qualsiasi persona a contatto con una fotografia, in più però questi
esempi specifici ci permettono di capire cosa succede nel periodo pre-
adolescenziale e, in particolar modo, le differenze di genere nel modo
di porsi di fronte a domande specifiche su di sé.
La prima di cui parlerò è G.R. una ragazzina di 13 anni, a cui è stata
data la fotografia di V.G., una signora di 82 anni, molto malata.

G. R. è una ragazzina di 13 anni, secondogenita (ha un fratello di 15


anni) di una famiglia benestante (madre insegnante e padre dirigente
di un’attività sportiva). Nel suo racconto lei inserisce l’anziana donna
come proveniente da una buona famiglia; la chiama Giuseppina, ma
tutti la chiamano Pina, usa molto i diminutivi, anche per una delle
sorelle (Raffaellina), inoltre la definisce brutta. G.R. non ha una
buona immagine di sé e sembra avere un senso di inferiorità nei
confronti dei suoi compagni. Pina si sposa e ha una figlia, Giulia: ecco
la sua identificazione nella situazione di figlia. Il padre va in guerra e
non torna più, qui assistiamo ad un sentimento di abbandono;
mentre la madre è vista come severa, poco affettuosa “non avrebbe
mai sentito sua madre raccontare una fiaba” alla figlia, dice. Nella
parte finale del racconto sentiamo un desiderio di amore, serenità,
felicità e speranza nel lieto fine.
Ho incontrato G.R. durante le ore scolastiche e le ho somministrato
un test appositamente preparato per lei, sulla base di ciò che aveva
scritto nel suo racconto immaginario e sull’analisi che avevo fatto sul
testo. Il test è così organizzato (non vengono riportati i dati anagrafici
per questione di privacy):

Nata il……………………. a…………………… Classe………………………


Nome madre………………………… nata il………………
Professione…………………………
Nome padre…………………………. nato il………………
Professione…………………………

Hai fratelli/sorelle? SÌ NO
- Se la risposta è sì, quanti?............................
Sei la primogenita? SÌ NO
- Se la risposta è no, specifica…………………...

I tuoi fratelli/sorelle come si chiamano, quanti anni hanno e che


lavoro svolgono?........................................................

Cosa vorresti fare da grande?....la psicologa dell’età evolutiva


Perché?....Voglio mi sembra una professione utile
Cosa hai pensato quando ti hanno proposto il progetto “IL VOLTO E
LA VOCE DEL TEMPO”?
ho pensato subito che fosse una cosa molto utile, sia per noi che per gli
anziani

Definisci la parola “VECCHIO” (cosa vuol dire per te essere vecchio)?


Vuol dire aver vissuto la vita in modo spontaneo e piacevole penso e
spero!

Dopo aver visitato una casa di cura e aver collaborato con gli anziani
la tua opinione su di loro è cambiata?
Se è sì come e perché?.....un po’ è cambiata ma di poco li consideravo
sempre delle persone meritevoli di rispetto

Se avessi ricevuto la foto di questo anziano (ho scambiato le foto dei


due ragazzi), cosa avresti pensato di lui (chi è, cosa fa, cosa pensa,
ecc.)?.......avrei pensato, forse, una diversa storia dietro alla sua vita.
forse era una persona ricca di qualità o invece no, nn lo so
precisamente

Come immagini la tua vecchiaia?...........vorrei vedere la mia vecchiaia


ma purtroppo nn ce la faccio, ancora, comunque penso e spero di non
essere mandata in una casa di riposo. Nelle persone di villa serena ho
visto molta sofferenza

Come immagini il tuo futuro?


ma, nn so, spero bene.

Qual è la fiaba che preferisci? Raccontala brevemente e spiega perché


ti piace.
la fiaba che mi piace è cenerentola perché parla 1 po’ d’amore, ma
anche di sofferenza perché la ragazza è stata abbandonata dalla
madre quando era piccola e poi dal padre verso gli 8anni. Però alla fine
finisce bene

Se potessi cambiare il tuo nome, quale sceglieresti? Perché?


nn lo cambierei x niente

C’è qualcosa che vorresti dirle e che non hai avuto la possibilità o il
coraggio di esprimerle?
no, le ho detto tutto
Se dovessi esprimere un desiderio per te e uno per lei cosa
chiederesti?
per me vorrei non avere più problemi fisici perché ho visto che mi
ostacolano molto e per lei di avere una famiglia che la cura

Cosa pensi dell’amore?


penso che è una cosa fantastica ma che purtroppo non capita a tutti o
se capita dopo ci si lascia. Quando succede questo è molto doloroso.
Parlo con l’esperienza.

Innanzitutto possiamo notare sia dal test che dal racconto il desiderio
della ragazza di sentirsi utile, importante, di essere considerata e
riconosciuta come buona, brava, generosa, l’aggressività è repressa,
esprime solo sentimenti positivi privi di rabbia e risentimento che
comunque ci sono. Anche per quanto riguarda il suo futuro sembra
decisa, vuole fare la psicologa dell’età evolutiva, perché la ritiene una
professione utile. La fiaba che preferisce è Cenerentola, perché parla
un po’ d’amore e un po’ di sofferenza, la ragazza è stata abbandonata
dalla madre quando era piccola e poi dal padre verso gli 8 anni; anche
lei ha vissuto questo abbandono, però come nella fiaba spera nel lieto
fine. Inoltre Cenerentola ha due sorellastre che la maltrattano e
questo lo ritroviamo nella storia immaginaria dove Pina ha due sorelle
con cui non ha un bel rapporto.
Quando le chiedo un desiderio per sé e uno per l’anziana donna che
ha incontrato assistiamo a un capovolgimento, ad uno scambio di
ruoli in un certo senso: per sé non vorrebbe avere più problemi fisici,
che sicuramente ci sono e non sono vissuti in maniera serena, ma
non dimentichiamo che la signora incontrata da G.R. è gravemente
malata, non può muoversi e non è assolutamente autosufficiente;
mentre per la signora vuole una famiglia che la curi, ovvero ciò che
vuole per sé: essere amata. Ho aggiunto per questo motivo un ultima
domanda in extremis chiedendole cosa sia l’amore, che definisce come
un qualcosa di fantastico, che non capita a tutti, e che quando c’è
non dura mai per sempre, ma si conclude con un abbandono e una
sofferenza; qui aggiunge che parla “con esperienza”. Nelle sue parole e
nella sua storia fantastica sentiamo la sofferenza vissuta da questa
ragazzina in maniera rassegnata a livello conscio, ma dentro di sé vive
sentimenti un po’ contrastanti che convergono nella speranza di un
miglioramento della sua situazione. Non ho dati specifici sulla
situazione familiare di G.R. e, oltre a quel breve incontro, non ho più
parlato con lei, ma sarebbe interessantissimo scoprire qualcosa
naturalmente con il suo aiuto. Ed è proprio questo il concetto centrale
della mia ricerca, ovvero la fotografia e il racconto che qualcuno
costruisce su di essa, ci forniscono dati significativi per capire ciò che
è avvenuto e sta avvenendo nella vita di ognuno, le modalità di
risposta a determinate situazioni stressanti e i sentimenti e le
emozioni sottostanti a questi comportamenti. Inoltre possiamo notare
una differenza di genere nel modo di esprimersi, e per questo motivo
riporto il caso di un ragazzo della stessa età e che come G.R. ha
partecipato al progetto.
Lui è D.D.R., che ha ricevuto la fotografia di R. A., un anziano signore
con evidenti disturbi ossessivo-compulsivi.

R. A. è un anziano signore di 77 anni, vedovo con un figlio. Ha


lavorato come macchinista sulle navi e di sé dice: “ho viaggiato molto,
ma non ho visto niente.” Nella casa di riposo è ritenuto un ospite
ordinato e preciso e vi alloggia dal 2002.

D. D. R. è un ragazzo di 13 anni ed è il primogenito di due figli, il


padre è un cuoco e la madre casalinga. Il suo racconto è molto breve,
forse anche per le difficoltà che uno straniero incontra con una lingua
nuova e sconosciuta. Non sappiamo da quanto tempo D.D.R. è in
Italia, ma sappiamo per certo che non è nato qui. Nel suo racconto
specifica la provincia e la regione in cui il suo ipotetico personaggio
vive, questo quasi a cercare un senso di appartenenza. Dice che la
moglie è morta quando aveva 28 anni, durante la II Guerra Mondiale
per due spari al petto, lo lascia solo con due figli. anche lui come la
ragazza sopra citata, vive un sentimento di abbandono da parte della
madre, questa figura femminile che muore e che li abbandona, ma la
colpa non è sua (perché muore), il sentimento di rabbia viene
riversato sul padre, artefice secondo i figli, della scomparsa della
consorte. Notiamo anche che l’iniziale dei nomi dei due figli,
Domenico e Rino, corrispondono alle iniziali del suo nome e cognome.
Il ragazzo quindi si identifica nei due figli, vive la madre come assente
fisicamente, lontana da sé e riversa la colpa di questo sul padre,
punendolo con la perdita del lavoro che “era l’unico che poteva dargli
da mangiare”; quindi senza lavoro non mangi, senza mangiare non
vivi e muori. Qui però assistiamo, attraverso un meccanismo difensivo
attraverso il quale la rabbia e il desiderio di morte verso il padre si
trasforma in un qualcosa di più accettabile: vede l’uomo non come
morto ma come un barbone, che si ritrova solo in una casa di cura
con un unico desiderio: rivedere i suoi figli, ma la punizione per
questo padre è aspettare il ritorno e il perdono dei figli che sembra
non debba mai arrivare.
Durante la somministrazione del test appare disinteressato e anche
molto frettoloso nelle risposte che risultano molto brevi ed essenziali.
Nato il……………………. a…………………… Classe…………………………

Nome madre………………………… nata il………………


Professione…………………………
Nome padre…………………………. nato il……………….
Professione…………………………

Hai fratelli/sorelle? SÌ NO
- Se la risposta è sì, quanti?...........................
Sei la primogenita? SÌ NO
- Se la risposta è no, specifica…………………..

I tuoi fratelli/sorelle come si chiamano, quanti anni hanno e che


lavoro svolgono?.........................................................

Cosa vorresti fare da grande?


non lo so ma può darsi il (pompiere)
Perché?....mi piace da piccolo e mi piace salvare le vite

Cosa hai pensato quando ti hanno proposto il progetto “IL VOLTO E


LA VOCE DEL TEMPO”?
ho detto va bene.

Definisci la parola “VECCHIO” (cosa vuol dire per te essere vecchio)?


una persona della 3 età

Dopo aver visitato una casa di cura e aver collaborato con gli anziani
la tua opinione su di loro è cambiata? Se è sì come e perché?
no non è cambiata

Se avessi ricevuto la foto di questa anziana (ho scambiato le foto dei


due ragazzi), cosa avresti pensato di lei (chi è, cosa fa, cosa pensa,
ecc.)?
penserei che una persona della 3 età che non sta tanto bene

Come immagini la tua vecchiaia?


non lo so

Come immagini il tuo futuro?


non lo so (non ci penso)
Qual è la fiaba che preferisci? Raccontala brevemente e spiega perché
ti piace
mi piacciono un po’ tutte

Se potessi cambiare il tuo nome, quale sceglieresti? Perché?


no perché mi piace il mio nome

Hai rivisto R. A. dopo quella esperienza?


NO

Cosa pensi di lui ora che conosci la sua vera storia?


che è una persona particolare

C’è qualcosa che vorresti dirgli e che non hai avuto la possibilità o il
coraggio di esprimergli?
sì quanti anni ha

Se dovessi esprimere un desiderio per te e uno per lui cosa


chiederesti?
che potesse andare nella sua nave

Cosa pensi della guerra?


è una cosa molto brutta

Innanzitutto ho notato che il ragazzo nei suoi dati anagrafici non


inserisce la data di nascita ma solo la sua provenienza. Alla domanda
su che cosa vorrebbe fare da grande lui risponde il pompiere, perché
gli piace salvare le vite, però “il pompiere” lo mette tra parentesi, così
come alla domanda su come immagina il suo futuro risponde in
primis “non lo so” e tra parentesi aggiunge “non ci penso”. È un
ragazzo che vive nel suo presente (come forse è giusto che sia a
questa età, dove prevale per lo più la parte ludica della vita) senza
pensare a sé in una prospettiva futura. In tutte le altre domande
appare frettoloso e superficiale nelle risposte, ma una risulta
significativa, quella che riguarda un desiderio per sé e uno per
l’anziano. Per sé omette la risposta, per R.A. spera che possa tornare
sulla sua nave. Sembra in tutto il suo racconto e nelle risposte che ha
dato a questo test che il ragazzo abbia una voglia di evadere, di non
fermarsi a pensare associato a un senso di nostalgia unito a un
desiderio e una speranza per un qualcosa che conserva dentro di sé.
Entrambi i ragazzi però hanno risposto in maniera uguale a una
domanda che riguarda la loro identità, infatti quando ho chiesto loro
se potendo cambiare il loro nome quale avrebbero scelto, entrambi
rispondono che non lo cambierebbero assolutamente. Ciò rispecchia
comunque la consapevolezza che hanno di sé, quindi questi ragazzi
pur avendo dovuto affrontare determinati problemi (che forse sono
semplici tappe stressanti ed obbligate dell’età e della vita)
mantengono una buona consapevolezza e identità di sé.
Queste sono solo due delle tante storie che possono nascondersi
dietro ad un racconto costruito intorno ad una fotografia, la quale
può aiutarci a comprendere molto della persona che abbiamo di
fronte, dei perché dei suoi comportamenti e soprattutto quali
emozioni e sentimenti, a volte, sono tenuti ben nascosti agli occhi del
mondo.

Dott.ssa Daniela Colasuonno


(Psicologa)

Attività

E tu, cosa pensi della vecchiaia? Riesci ad immaginarti “vecchio/a”?


Giuseppe, il pompiere
Una biografia immaginaria

Giuseppe era un pompiere di Ancona,


lui era talmente bravo che in tutti gli
incendi che c’erano veniva sempre
chiamato. Pensate un po’: una volta
in un incendio molto pericoloso lui e i
suoi compagni riuscirono per
miracolo a salvare una bambina
piccola e i suoi genitori.
Giuseppe in quell’incendio conobbe
sua moglie, che era un’amica della
famiglia scampata all’incendio, ed è
come se fosse stato amore a prima
vista. Dopo un anno di amore
nascosto decisero di fidanzarsi e dopo
alcuni anni sposarsi. Ebbero 2
bellissimi bambini che si chiamano
Giulia e Marco, due fratelli molto
uniti.
Giuseppe era un ragazzo molto
allegro, simpatico e gentile, e così è
rimasto anche da adulto, ma quando
i suoi figli gli disubbidivano lui li
sgridava.

Sofia Guelfi
(Parrocchia Sacro Cuore – Loreto)
Foto Elena Capodaglio (Progetto Fotoscuola)

Quando siamo giovani crediamo che nella nostra esistenza,


i fatti e le persone importanti, quelli destinati a influire su essa,
si faranno annunciare da trombe e tamburi, ma nella vecchiaia,
riflettendoci retrospettivamente, constatiamo che gli uni e le altre
si sono insinuati nella nostra vita in silenzio,
passando per la porta di servizio e quasi inosservati.
(Schopenhauer)
Nonno e Padre Pio

Ho scattato questa foto a Porta Marina, a Loreto, dov’è stata collocata


la statua di Padre Pio, in una giornata un po’ nebbiosa.
In verità non avevo intenzione di fotografare anche la signora, ma la
foto mi è sembrata interessante e così ho colto quest’attimo bello ed
unico di tenera devozione.
Quando ho fatto vedere la foto a mio nonno, lui, con gli occhi
illuminati e un po’ bagnati per la commozione, mi ha chiesto subito se
volevo sentire la sua storia. Così, mi sono seduta ed ho iniziato ad
ascoltare quello che (non lo sapevo ancora) sarebbe stato un racconto
incredibile ed appassionante.
Subito dopo la guerra, nonno faceva il cameriere qui a Loreto. In
seguito, nel 1948 andò a San Giovanni Rotondo dove c’era un frate
(Padre Pio) che richiamava moltissimi pellegrini predicando e
confessando. Questa cittadina, oggi divenuta famosissima e meta di
numerosi turisti, allora non era altro che un insieme di casupole dove
gli abitanti vivevano in condizioni di vita precarie e aveva solo un
piccolo albergo, dove mio nonno trovò lavoro.
Fin qui, il racconto mi sembrava normalissimo, una di quelle storie
che i nonni raccontano ai nipoti in memoria degli anni della
giovinezza ormai passati, finché non ho scoperto che mio nonno aveva
conosciuto Padre Pio, un frate destinato a diventare un santo e uno
dei simboli più forti della fede popolare. Parlando del loro incontro,
nonno mi ha confermato che, come tutti sanno, Padre Pio era un
uomo severo e determinato.
In particolare, mio nonno ricorda ancora vivamente due episodi molto
speciali.
Un amico di nonno decise di andare a trovarlo a San Giovanni
Rotondo, era un uomo che amava bestemmiare e non andava mai a
Messa, ma dopo essersi confessato con Padre Pio, cambiò totalmente
atteggiamento: prese l’abitudine di andare a Messa tutte le mattine e
continuò così per tutta la vita.
Un pullman di pellegrini doveva ritornare a Ferrara, ma alcune
persone non avevano potuto confessarsi. Padre Pio parlò con il
capogruppo chiedendo il motivo della partenza e la risposta fu che
molti dovevano tornare al lavoro, ma Padre Pio affermò: “Tanto non ci
arrivate a Ferrara…”.
Il pullman cominciò a dare problemi sulla strada del ritorno e
all’altezza di Pescara si ruppe definitivamente. Il gruppo fu costretto a
tornare indietro, e nel percorso verso San Giovanni Rotondo il
pullman andava benissimo. Una volta confessati tutti i pellegrini, il
viaggio di ritorno verso Ferrara non ebbe più alcun problema.
Dopo aver ascoltato questi ricordi straordinari sono rimasta molto
impressionata ed ho capito perché ancora oggi tante persone cercano
conforto nelle preghiere a Padre Pio.
Elena Capodaglio
Le fotografie forniscono storia immediata, sociologia immediata,
partecipazione immediata.
(Susan Sontag)
12

Il Volto e la Voce del Tempo

Il Volto e la Voce del Tempo – Un Ponte tra Generazioni è un progetto di


educazione alla Grande Età che intende creare, attraverso la
fotografia, un ponte generazionale per promuovere l’avvicinamento, il
dialogo e la comprensione tra giovani e anziani, e rappresenta il
tentativo di sintetizzare in un solo progetto due tipi diversi di
intervento: da una parte la fotografia terapeutica e dall’altra
l’animazione di comunità.
La decisione di utilizzare la fotografia con gli anziani è maturata
durante il corso di formazione per animatori in case di riposo,
realizzato nella città di Ancona nei primi mesi del 2003. L’idea,
all’inizio molto vaga, ha preso forma mano a mano che sono venuto a
conoscenza di altre esperienze analoghe, realizzate in altri paesi,
soprattutto in Inghilterra e in Francia.
Per l’elaborazione del progetto è stato fondamentale il confronto e lo
scambio di opinioni con altri fotografi e animatori, con psicologi,
psichiatri, assistenti sociali ed educatori che si sono interessati alla
fotografia come strumento terapeutico e di crescita personale.
Dal 2003 al 2005 ho potuto mettere in pratica e sperimentare,
valutare, correggere e perfezionare il progetto iniziale attraverso il mio
lavoro di animatore in diverse case di riposo della provincia di
Ancona.

Come introdurre il progetto

Ogni casa di riposo ha delle sue peculiarità che vengono osservate e


rispettate e che ci indicano la strada migliore per introdurre il
progetto all’interno di un intervento più ampio di animazione.
In alcuni casi è stata la musica ad offrire il pretesto per iniziare
l’attività di fotografia terapeutica. Dall’ascolto delle “canzoni di una
volta” si è passati ai ricordi che quelle canzoni suscitavano. Dai
ricordi si è risaliti alle foto dei cantanti di quel periodo. Dalle foto dei
cantanti si è poi giunti alle vecchie foto degli ospiti e, infine, alle foto
del presente.
In altri casi sono state le foto scattate durante la festa dei compleanni
ad offrire il pretesto per chiedere agli ospiti di mostrare le loro vecchie
foto e poi di raccontare le loro storie.
Svolgimento del progetto

Qualunque sia la modalità seguita per introdurre il progetto, si


possono individuare quattro fasi per il suo svolgimento.

1ª Fase
Gli ospiti della casa di riposo vengono fotografati in diversi momenti
del quotidiano. Queste foto vengono mostrate agli anziani e servono
come pretesto per far raccontare la loro storia e per stimolarli, con
l’aiuto dei familiari, a cercare le vecchie foto e costruire così il loro
“album dei ricordi”. Questa attività stimola l’approfondimento dei
rapporti tra gli anziani e i loro familiari, tra gli ospiti e gli operatori
professionali e i volontari).
Inoltre, l’organizzazione dell’album è un valido strumento di sostegno
alle terapie di orientamento alla realtà, contribuisce a rafforzare il
senso di identità personale e di conseguenza aumenta l’autostima
dell’ospite che vede valorizzata la sua memoria.
Alla fine tutti gli anziani vengono coinvolti, secondo i diversi gradi di
partecipazione che le loro condizioni fisiche e mentali permettono.
Le foto selezionate dagli stessi anziani, sono poi presentate ai ragazzi
delle scuole o delle parrocchie del territorio circostante.
Ad ogni ragazzo viene chiesto di scegliere la foto di un anziano e di
osservarla attentamente. Poi, usando l’immaginazione deve creare la
biografia della persona ritrattata nella foto scelta. In seguito si chiede
al ragazzo di affiancare la sua foto a quella dell’anziano.
Simbolicamente, ragazzo e anziano si avvicinano generando una
sintonia affettiva che permetterà un incontro a livello più profondo tra
le due persone.

2ª Fase
Le biografie immaginarie sono discusse con i ragazzi e con gli anziani
e servono come preparazione all’incontro tra loro. In questo momento
l’ospite ha un’ultima occasione per raccontarsi, rispondendo agli
stimoli forniti dalla storia inventata dal ragazzo e fornendo
all’animatore, con l’ausilio di familiari e operatori, gli elementi per
scrivere la propria scheda biografica.
In seguito i ragazzi sono invitati a visitare la casa di riposo per
conoscere finalmente di persona i soggetti delle biografie immaginarie,
in modo da poterli confrontare con le loro storie reali.
In questo incontro si pongono le basi per ulteriori visite e futuri
scambi epistolari. Questi scambi intergenerazionali contribuiscono a
creare una sinergia di conoscenze e a prevenire l’isolamento
dell’anziano istituzionalizzato.
3ª Fase
Si organizzano delle mostre presso i Comuni interessati al progetto, in
cui vengono esposte le foto dei ragazzi e degli anziani, le biografie
immaginarie, le riflessioni dei ragazzi sull’incontro e le schede
biografiche degli anziani.
L’allestimento della mostra diventa essa stessa un’attività di
animazione che stimola la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti
nell’intervento.
Ogni mostra, che può affiancarsi a un seminario sulla Grande Età,
offre l’opportunità di presentare il progetto ad una parte più ampia
della comunità, ma soprattutto crea un’ulteriore occasione di incontro
tra i ragazzi, i loro familiari e amici con gli anziani e i loro parenti, con
gli operatori delle case di riposo, gli insegnanti, gli educatori delle
parrocchie e i rappresentanti di istituzioni pubbliche e private.

4ª Fase
In questa ultima fase del progetto è prevista l’elaborazione di un sito
interattivo, contenente testi e foto degli anziani e dei ragazzi, per
agevolare la comunicazione tra loro e rendere maggiormente visibile
l’esperienza realizzata.
A questo scopo, viene editato e pubblicato anche un volumetto che
raccoglie foto e biografie, testi di analisi sulle implicazioni
terapeutiche, sociologiche e psicopedagogiche del materiale prodotto
durante lo svolgimento del progetto.
Il volumetto può presentarsi come quaderno operativo per essere
utilizzato da altri ragazzi e allo stesso tempo come guida per
animatori e insegnanti che vogliano inserire questo percorso di
educazione alla Grande Età nei loro interventi animativi e pedagogici.
Chi invita il giovane a vivere bene e il vecchio a morire bene è stolto
non soltanto per ciò che di piacevole vi è nella vita, ma anche perché
l’esercizio di vivere bene e del morire bene è il medesimo.
(Epicuro)
L’importanza dell’altro

Questo lavoro ha preso avvio dal progetto “Il Volto e la Voce del
Tempo” proposto dal fotografo animatore Ayres Marques Pinto.
La proposta didattica si è rivelata di grande valenza formativa ed ha
trovato facile collocazione nell’ambito della programmazione del
Consiglio di Classe della 3ªC che prevedeva lo sviluppo del tema
“Gli anziani oggi”.
Gli anziani rappresentano una grande ricchezza umana e culturale
che, nella società attuale, si va perdendo perché crescono le situazioni
di solitudine, di sofferenza e di emarginazione, in cui è divenuto più
difficile creare un legame tra generazioni. Tende a prevalere
un’immagine “stereotipata” della loro condizione, percepita come
inutile e monotona, necessariamente infelice (come mostrano i
risultati del questionario applicato dalla Dott.ssa Sabrina Monachesi).
L’obiettivo principale è stato indirizzato verso il recupero del dialogo
tra “vecchi” e giovani coinvolgendo non solo la sfera cognitiva, ma
anche quella emozionale.
I momenti d’incontro tra generazioni sono stati stimolati dall’uso della
fotografia con conseguente sviluppo di riflessioni, di sensibilizzazione,
di creatività.
Ne è scaturita la consapevolezza che il presente si muove nel passato,
che la memoria di vissuti preziosi si può dilatare e distendere fino a
toccare in modo significativo le esperienze dell’oggi.
L’importanza dell’altro, dell’ “anziano”, ha valorizzato il senso di
attenzione e solidarietà nei confronti di tutti i deprivati e sofferenti.
Questo lavoro si è incentrato soprattutto sulla condizione dell’anziano
nella casa di riposo, che, comunque, rappresenta una percentuale
bassissima della popolazione. È stato allargato e continuato fino a
permettere una visione più ampia di questo status.
È straordinaria la capacità di risposta dei ragazzi quando si attiva il
contatto diretto; mi sono resa conto, come insegnante, che la sfera
culturale si deve sintonizzare su quella affettiva, altrimenti la
conoscenza rischia di rimanere sterile e senza ricadute sulla modifica
del comportamento.

Prof.ssa Enrica Barbadoro


(Istituto Comprensivo Marchetti, Senigallia)
Schede biografiche, biografie immaginarie
e riflessioni sull’incontro

In questa sezione del libro potete trovare alcuni esempi dei materiali
elaborati tra il 2003 e il 2005 nel corso del progetto Il Volto e la Voce
del Tempo – Un Ponte tra Generazioni, realizzato presso alcuni comuni
della provincia di Ancona.
Si tratta di schede biografiche basate sui dati forniti dagli anziani in
casa di riposo, biografie immaginarie scritte dagli studenti che si
sono ispirati alle fotografie degli anziani senza conoscerli
personalmente, riflessioni degli studenti dopo l’incontro con gli
anziani protagonisti delle biografie immaginarie.
1.Romeo
Scheda biografica
Foto ceduta

Luogo e data di nascita – Ancona


29 Aprile 1916

Stato civile – Vedovo con un figlio

Composizione familiare – Erano 5 fratelli


e 4 sorelle

Scolarità – Quinta elementare

Professione – Commesso in negozi di


abbigliamento (vendevano tessuti di ogni
tipo), poi venditore ambulante.

Interessi – Esegue dei magnifici quadri:


ama molto disegnare e dipingere.

Ricordo più bello – Quando


ad Osimo ha conosciuto
sua moglie e se ne è
innamorato.

Messaggio per i giovani –


Siate bravi, siate buoni…
non solo a Natale!!

Altre informazioni – Non gli


piaceva star solo in casa.

È ospite della casa di


riposo dal 1994.
Biografia Immaginaria

Il signor Mario

Mario è nato ad Ancona


nel 1930 e ora ha la
bellezza di 75 anni.
Da piccolo ha avuto una
vita felice e spensierata;
gli piaceva andare a
scuola. Era molto
intelligente e altruista,
gli piaceva giocare
all’aperto e il suo gioco
preferito era la palla.
A scuola la materia che
studiava volentieri era la
storia in cui prendeva
bei voti.
Da grande gestì un
negozio di antiquariato
dove vendeva oggetti
antichi e di valore.
Quando tornava a casa
si dedicava alla pittura,
anche se il lavoro non glielo consentiva molto.
Poi arrivò il momento di sposarsi con Maria: aveva 43 anni.
Ma sua moglie morì di grave malattia.
Arrivò il momento in cui Mario non poteva più stare da solo e andò
presso la “Casa Hermes” dove trovò tanti amici.

Filippo Berrettoni

(Quinta elementare Istituto Immacolata Concezione – Loreto)


Romeo, Lucia e Filippo
Riflessione sull’incontro

Il mio amico Romeo

Io e tutta la mia classe siamo andati alla Pia Casa Hermes.


Io ero molto emozionato, un po’ come tutti.
Dopo aver fatto le prove di canto in classe siamo saliti sul pulmino
che doveva portarci a destinazione: il pulmino aveva i sedili rovinati e
scricchiolavano tutti.
Appena arrivati io mi sono guardato attorno: c’era un giardino molto
grande e davanti a me una villa grandissima. Io stentavo a credere
che quella fosse una casa di riposo.
Appena entrati ci siamo preparati ad animare la santa messa; quella
cappella era colma di persone anziane e noi abbiamo riempito lo
spazio rimanente.
Alla fine della messa il religioso ci ha fatto vedere dei giochi di
prestigio. Poi io e Lucia, una mia amica, siamo andati alla camera di
Romeo, la persona che dovevamo conoscere.
Appena arrivati nella stanza di Romeo lo abbiamo salutato e io non
riuscivo a crederci.
Finalmente l’avevo conosciuto! Poi è arrivata la signora Luciana, la
persona che aveva scelto Matteo, un altro mio amico.
Abbiamo cominciato a parlare. Ho raccontato che mia madre era la
dottoressa che lui conosceva e che frequento la quinta.
Romeo si dedica alla pittura.
Poi è arrivato il momento di andar via e io ero molto dispiaciuto.
Spero di rincontrare il mio amico Romeo.

Filippo Berrettoni
2. LEDA
Scheda biografica
Senigallia – 21.12.1921

Vedova

Ha una figlia.

Ha studiato finché un
terremoto ha buttato giù la
scuola.

Da ragazza lavorava come


modista in un negozio a
Senigallia. Dopo sposata, ha
fatto sempre la casalinga.

Le piace leggere romanzi, fare


parole crociate seguire gli
sceneggiati alla TV.

Persona riservata e affabile.

Risiede nella Residenza per Anziani dal 2003.


Biografia Immaginaria

Oggi guardando una foto, che mi ha


consegnato la professoressa, di una
persona anziana che vive a “Villa
Serena” mi è venuta in mente la sua
storia.
Questa storia è ambientata durante
la seconda Guerra Mondiale e parla
di Maria Baronio, un’infermiera che
lavorava nella Marina Militare di
Senigallia.
Lei era una delle più giovani insieme
a Federica, una sua amica.
Lei e Federica andavano ancora a
scuola, erano le più brave della
classe.
La madre e il padre di Maria erano
proprietari di due fabbriche che
producevano vestiti, infatti erano
molto ricchi.
Maria desiderosa di sentirsi utile, dopo la scuola andava sempre
all’ospedale per vedere se serviva aiuto, ma non c’era molto da fare,
infatti ci andava sempre invano.
Un giorno, mentre andava al lavoro all’ospedale incontrò un ragazzo
di nome Riccardo Baldoni e se ne innamorò. I due ragazzi
cominciarono a uscire insieme molto spesso per conoscersi.
Maria tuttavia aveva già un ragazzo che era stato chiamato alle armi,
pertanto lo riferì a Riccardo.
Scoprì che i due ragazzi erano amici.
Il primo ragazzo di Maria venne chiamato per andare a combattere a
Roma, ma non ci arrivò perché venne ucciso.
La ragazza ne soffrì molto e ci vollero mesi per riprendersi.
Passarono mesi e finì la seconda Guerra Mondiale, fu una grande
vittoria per Senigallia.
Senigallia fu messa alla prova, e da quella prova uscì vittoriosa.
Maria e Federica durante la guerra lavorarono come due matte per
salvare i soldati, riuscirono a salvarne molti, ma più di 20 soldati non
ce la fecero.
Maria si sposò con Riccardo e concepì due bambini bellissimi che
erano i suoi veri amori.
Maria visse molte situazioni terrificanti, ma ne uscì vittoriosa e pregò
Dio che i figli non vedessero mai quello che lei aveva visto.
Lei ora è dentro una casa di riposo qui a Senigallia con suo marito.
È felice perché sa che molti parenti li vogliono bene.
Federica invece morì a 80 anni con molti figli che li vogliono bene.

Maria Giulia Baldoni

(Seconda Media – Istituto Comprensivo Marchetti, Senigallia)


Maria Giulia e Leda

Riflessione sull’incontro

La 2ª C, lunedì 17 maggio è andata a Villa Serena per fare una visita.


Appena siamo arrivati, eravamo tutti emozionati. L’animatore, che
aveva le foto ed i nostri nomi ci ha abbinato alle persone su cui
avevamo scritto.
Io avevo una signora che stava in camera perché era sorda e le
facevano male le gambe.
La signora, appena mi ha visto, è stata molto contenta e mi ha voluto
subito conoscere.
Io mi sono presentata e anche lei, solo che ora non mi viene in mente
il nome, la chiamerò Maria come nel mio testo su di lei.
Maria ha cominciato a leggere il tema e mi ha detto subito che la sua
vita non era stata così.
Lei aveva visto la prima Guerra Mondiale quando era piccola, invece
nella seconda già aveva una figlia.
Mi ha raccontato che il marito non era una persona molto rispettosa e
brava, infatti quando è morto non ha pianto insieme a tutte le altre
donne che piangevano i loro mariti caduti in guerra.
Lei lavorava girono e notte per far felice la figlia. Quando è diventata
grande, la figlia - mi ha raccontato – è andata a Torino ed ha sposato
un direttore della RAI, ma ora è a Senigallia per la mamma, che va a
trovare quanto può.
Io l’ho conosciuta ed è molto simpatica. In conclusione mi sono
divertita solo quando sono entrata, mi sono sentita un po’ male solo
perché lì è stata ospite anche mia nonna, che ora non c’è più

Maria Giulia
3. GIORGIO
Ancona – 18.01.1931

Celibe

È il più grande di tre figli,


due maschi ed una
femmina.
“Siamo nati in intervalli
regolari di quattro anni”.

Ha frequentato la Scuola
Media.

Nel 1953 è stato ricoverato


per la prima volta in
manicomio. Ci è ritornato
altre dieci volte.

Ha lavorato come tipografo


e come fattorino in una
cooperativa alimentare.
Avrebbe voluto lavorare
come magazziniere “per
mettere a posto le scatole”.

Ha imparato a giocare a
scacchi in manicomio. “È
stata la cosa più bella della
mia vita. Ho partecipato a
cinque tornei”.

Gli piace scrivere le sue


riflessioni in bigliettini
volanti.

“Non si deve aver paura dell’eternità della morte, perché il tempo


trascorso nella vita è divisibile all’infinito”.

Risiede nella Residenza per Anziani dal 2000.


Biografia Immaginaria

Salve, mi chiamo Paolo e in questo breve testo


racconterò la storia della mia lunga vita.
Sono nato nel 1922 a Senigallia.
I miei genitori capirono subito che ero un
bambino di attive capacità.
Già da piccolo io ero in grado di leggere e
siccome avevo dimostrato di essere precoce
nell’apprendimento, i miei genitori mi hanno
fatto fare la primina e in seconda elementare ho
incontrato un grande amico di nome Franco e
da quel giorno diventammo amici per sempre.
Fin da allora ci frequentavamo molto spesso.
A 18 anni, quando iniziò la II Guerra Mondiale e i nostri padri
andarono in guerra, io e Franco siamo stati nascosti dentro una
baracca. Finita la II Guerra Mondiale mio padre tornò ferito, ma il
padre di Franco morì.
Da quel giorno Franco venne ad abitare con me.
Franco decise in onore del padre di aprire un bar.
Non avevamo la minima idea di dove costruirlo, ma mi venne in
mente la vecchia baracca dove ci siamo rifugiati durante la II Guerra
Mondiale.
Lo chiamammo: “il centrale”.
Per 4 anni i clienti furono abbondanti e all’età di 24 anni avevamo già
guadagnato un bel gruzzoletto.
A 26 anni mi sono sposato con una ragazza di nome Maria che avevo
conosciuto un bel giorno nel mio bar.
Franco invece si sposò a 28 anni ed ebbe 2 bambine.
Io ebbi un bambino e lo chiamammo Lorenzo.
Era un ragazzo buono e intelligente con un grande spirito di sacrificio
e già all’età di 18 anni si prese il controllo del bar insieme alla figlia
maggiore di Franco.
Un brutto giorno (pensavo), avevo 68 anni, mia figlia mi portò in una
casa di riposo.
Lì incontrai dopo molti anni il mio vecchio amico Franco, allora ne fui
felice e non desiderai più tornare nella mia vecchia casa.

Lorenzo Principi

(Seconda Media – Istituto Comprensivo Marchetti, Senigallia)


Riflessione sull’incontro

Noi alunni della classe II C della scuola media G. Marchetti, alle 9.00,
del giorno 17 maggio 2004 ci siamo recati in visita alla residenza per
anziani “Villa Serena” di Senigallia.
Ognuno di noi doveva fare conoscenza con un anziano, riferire una
biografia immaginaria, che era stata inventata sulla base di una
fotografia consegnataci in precedenza e confrontarla con la vera ed
autentica storia di vita dell’anziano stesso.
Ero molto preoccupato perché non ero mai stato in una casa di
riposo e per me era una nuova esperienza.
Io ho conosciuto un anziano filosofo e tutta la mattinata siamo
rimasti a parlare della sua vita; era una persona molto interessante,
intelligente, simpatica e divertente, ma anche molto strana. Dopo io
con altri miei compagni abbiamo fatto conoscenza con altri anziani
tutti molto simpatici. Ci siamo soffermati anche a parlare con un
ragazzo di nome Ayres che ha dato vita al progetto “Il Volto e la Voce
del Tempo” assieme alla nostra professoressa d’italiano.
Dopo aver fatto merenda, insieme a loro abbiamo definito la
preparazione di un nuovo incontro, dove faremo divertire e
commuovere gli anziani con la nostra rappresentazione teatrale
“Pescatori di storie nei mari d’Europa”.
Questa esperienza è stata divertente e utile per tutti noi, ma
soprattutto per gli anziani che la hanno apprezzata forse più di noi
ragazzi.
Lorenzo

Giorgio e Lorenzo
4. VERONICA

Castelleone di
Suasa (AN)
7 Gennaio 1922

Vedova

Casalinga.

Ha una figlia.

Ha studiato fino alla


terza elementare.

Ha fatto l’ortolana e la commerciante.

Risiede nella Residenza per Anziani dal 2002.


Biografia Immaginaria
Foto ceduta
Nasce nel luglio del
1928, a Senigallia, da
una buona famiglia.
La battezzarono
Giuseppina che tutti
chiamavano Pina.
Ebbe due sorelle più
piccole: Raffelina e
Arnolda, due ragazze
belle, allegre, a cui
tutti i gentiluomini di
buona famiglia
facevano la corte. Si
sposarono presto. Mentre Pina, man mano che cresceva, diventava
sempre più brutta.
I suoi genitori la mandarono in un collegio, in seguito a una grave
crisi finanziaria che dopo finì. Restò nel collegio fino a 14 anni.
Quando uscì aveva una buona istruzione, ma continuò gli studi.
Nel 1940, proprio all’inizio della seconda Guerra Mondiale, conobbe
un bel ragazzo di nome Goffredo Montellini, che diventò il suo vero
amore per tutta la vita.
Restarono insieme per un anno trascorso tra passeggiate al lago e
lunghe camminate romantiche, allietate anche dalla nascita di una
bambina di nome Giulia. Dopo questo bellissimo anno, Goffredo
dovette andare in guerra, da dove non tornò più.
Riguardo alla sua vita familiare, i genitori l’allontanarono per essersi
innamorata di un comune cittadino, e proprio di un panettiere.
Giuseppina, rimasta sola con la bambina e con scarse risorse
economiche, si mise a lavorare, prendendo il posto del marito
scomparso. Ma non bastava, anche perché Giulia doveva studiare e
farsi un’istruzione vera. Non era buona come madre, perché il collegio
non le aveva imparato a dare affetto e ad amare.
Giulia non avrebbe mai sentito sua madre raccontare una fiaba, per
cercare di far addormentare sua figlia.
Così dopo lunghi anni di distacco e di lotte, Pina andò a chiedere il
perdono ai suoi genitori, che accettarono le scuse e la fecero sposare
con un altro uomo che, però, lei non amava.
Da questa unione nacque una bambina di nome Emma.
Le due sorellastre, più o meno, crebbero insieme tra litigi e punizioni,
purtroppo imposte sempre e solo a Giulia.
Pina allora capì gli enormi e innumerevoli errori che aveva fatto con
Giulia, così cambiò. Diventò buona, gentile. Passò così la sua vita
sempre in ombra. Quando aveva 70 anni si ammalò di un tumore;
suo marito e Emma decisero di metterla in questo ricovero, dopo la
decisione di non volersi occupare di lei. L’unica che ancora oggi va a
trovare Pina è Giulia. Ogni due giorni porta un po’ di gioia e felicità a
sua madre.
Giulia Ricordi

(Seconda Media – Istituto Marchetti, Senigallia)


Riflessione sull’incontro

Il giorno, 17 maggio
2004, la mia classe,
nonché la 2ª C, si è
recata alla casa di
riposo “Villa Serena”
per concludere il
progetto “Il Volto e la
Voce del Tempo”.
Arrivati a Villa Serena,
ci ha accolto il
coordinatore del
progetto, che ha
assegnato ad ognuno
di noi il suo “vecchietto”.
Ma parliamo, adesso, di Veronica Gambaccini, non la mia compagna
di classe, ma la mia partner.
Entriamo nel vivo della conversazione: ho letto il tema sulla sua vita
inventata, abbiamo parlato della sua vita vera, le ho regalato una
spilla balia rossa, e ha conversato con “Vero” (la mia amica).
Sia io, che lei siamo state contente di quella mattinata!
La signora Veronica è molto simpatica e mi ha chiesto di riandarla a
trovare; io le ho risposto di sì, subito!
Abbiamo parlato della fine della scuola e della mia felicità in
proposito, ma lei mi ha risposto che sono fortunata ad andare a
scuola, perché lei non ci è potuta andare, per andare a lavorare, e
portare qualche soldo a casa per sfamare i suoi 8 fratelli e i suoi
genitori: le sarebbe piaciuto andare a scuola! Veronica aveva delle
caramelle nel cassetto. E me ne ha offerta una, o due, e va bene tre!
Dopo Anna, Vany, Mattia sono venuti a conoscere Veronica e questa
ha offerto a tutti una caramella, e loro non hanno rifiutato: golosoni!
In questa mattinata, mentre Vero… raccontava, ho visto nei suoi
occhi la nostalgia della sua giovinezza, l’amore per le persone che ora
non le sono vicine, tanto affetto per gli amici.
Voglio ritornare a trovare Vero… anche all’infuori della scuola. Invece
di andare a fare un giro per il corso, andrò da lei, per farle passare un
pomeriggio in compagnia. Mi sono divertita tantissimo quella mattina,
spero tanto di andare a trovare Veronica il più presto possibile.

Baci, baci
Giulia
5. Tina

Luogo e data di nascita – Loreto


05 Settembre 1913

Stato civile – Vedova con due figlie

Composizione famigliare – Erano


tre sorelle

Scolarità – Quinta elementare

Professione – Casalinga

Interessi – Ascoltare canzoni


napoletane

Ricordo più bello – La vita felice da


sposata col marito a Napoli

Messaggio per i giovani – L’amore è


la cosa più bella

Si trova in casa di riposo dal 2000


Biografia immaginaria
Foto ceduta

Salve a tutti, mi chiamo Rosa e sono


nata nel 1930.
Ho un ricordo molto nitido della mia
infanzia. Sono nata a Pisa, in una
famiglia ricca. Mio padre lavorava come
commerciante, mentre mia madre si
prendeva cura di me e dei miei fratellini.
Fino a 13 anni fu per me un periodo
d’oro: essendo la prediletta fra la loro
prole, i miei genitori mi avevano
oltremodo viziata.
A carezze e balocchi si alternavano
meringhe e succhi di frutta.
A differenza dei miei fratellini, non ero
mai sgridata e spesso citata come
esempio di comportamento ed
educazione.
A proposito di educazione, vi devo
informare che io non sono stata mandata in una scuola pubblica (ce
ne erano anche poche per l’epoca), ma la mia educazione era affidata
ad un maestro privato, il professor Soretti.
Mi ricordo ancora i suoi metodi rigidi ma il suo avere, in fondo, un
cuore d’oro.
Purtroppo il non essere andata a scuola contribuì a rendermi
piuttosto disattenta agli altri sentimenti, facendo di me una persona
molto egoista.
Che ne potevo sapere io che fuori c’erano bambini che alla mia età
ricevevano la zappa in mano e venivano mandati ad aiutare i loro
genitori nei campi? Ero cresciuta in una campana di vetro, cosa di cui
mi resi completamente conto solo anni avanti.
Quando avevo 13 anni scoppiò la Seconda guerra mondiale: l’Italia di
Mussolini si alleò con Hitler in una guerra che, a detta di mio padre
(acceso sostenitore del Duce) sarebbe servita ad ampliare il nostro
Stato ed a far trionfare la razza ariana ed italica.
Purtroppo, nel primo anno di guerra, non si videro grosse annessioni
territoriali, ma copiosi aumenti di prezzo su vari prodotti (inclusi i
generi alimentari).
L’anno successivo fu però molto peggiore, sotto tutti i punti di vista.
La mia casa fu bombardata, ma per fortuna ero fuori, con tutta la mia
famiglia. Fummo comunque sfollati e portati ad Ancona.
Da qui al 1945 (dove finì la guerra) furono tempi durissimi.
Durante il periodo della Ricostruzione tutti si diedero un gran daffare;
io trovai il mio primo lavoretto come commessa a 17 anni, aiutando
così la mia famiglia.
Dopo un trasloco trovammo una casa confortevole a Loreto.
Lì conobbi molti coetanei ed iniziai ad intrecciare le prime relazioni
con gli amici.
Al contrario delle mie amiche, però, non trovai nessun fidanzato; forse
a causa del mio carattere o del mio voler essere libera a tutti i costi.
Quando ebbi accumulato abbastanza denaro, verso i 35 anni, iniziai a
fare bellissimi viaggi.
Fra i 38 ed i 45 anni ci fu uno dei periodi più “noiosi” della mia vita, le
giornate si seguivano una uguale all’altra.
A 60 anni ebbi la pensione, e quando non fui più autosufficiente,
impiegai i miei risparmi per mantenermi all’ospizio di Loreto.

Andrea Trucchia
Riflessione sull’incontro

Tina e gli studenti

In questo periodo la mia classe ha fatto una gita di tre ore circa alla
casa di riposo “Oasi Ave Maria” di Loreto: un utile completamento
della sezione antologica sulla vecchiaia.
Secondo accordi prestabiliti, ognuno di noi aveva fatto una biografia
sulla vita di un anziano residente al centro in base alla rispettiva
fotografia.
Arrivati al centro, siamo stati accolti dall’animatore dell’istituto, che
dopo una breve presentazione ed un piccolo discorso ci ha condotti ad
un’ampia sala con molti anziani, moltissime sedie e poltrone ed un
grammofono con una radio.
Ora il compito che ci spettava era rintracciare l’anziano della foto, e
confrontare la nostra biografia immaginaria con quella vera.
Dapprima solo pochi si sono mobilitati, per timidezza o perché non
avevano rintracciato la persona della foto. Poi tutti sono passati ad
un’altra strategia: unirsi in gruppetti di tre o quattro studenti, e
passare da anziano in anziano, rivolgendo loro domande generiche
sulla loro vita.
Io sono stato uno dei primi a rintracciare l’anziano della foto: si
chiamava Annunziata e, come si evince anche dal nome, proveniva da
Napoli, prima di trasferirsi con il marito e la prole due-tre decenni fa a
Loreto.
Dopo aver parlato un po’ con lei (e scoperto che ha due figli che la
vengono a trovare ogni tanto) mi sono aggregato a Nicolò e Giuseppe e
così ci siamo avvicinati ad un’altra signora, dall’aspetto più triste e
sconfortato.
Ci ha raccontato che la sua vita è stata una costante delusione e che
suo figlio non la viene quasi mai a trovare.
Non abbiamo fatto in tempo ad alzarci che una vecchietta arzilla e dal
viso sorridente ci ha fermato e ci ha raccontato della sua vita.
Con una parlantina degna della
migliore sessantenne, Assunta (così si
chiamava) ha iniziato a narrarci brani
fondamentali della sua esistenza,
sorretta da una grande religiosità: ci ha
informato della sua provenienza
lombarda e di alcuni suoi lavori, ad
esempio quello di magazziniere, dove
aveva fatto strada con la sua testa e
con la dote di una precisione
impeccabile.Insomma, parlava, parlava,
e non la finiva più di parlare: ma la sua
storia era talmente coinvolgente che
saltammo a cuor leggero anche il
rinfresco, pur di ascoltarla.
L’animatore infine ci ha rivelato che a
noi Assunta ha detto cose che lui non
era mai riuscito a cavarle di bocca.
L’incontro con Assunta
Dopo circa dieci minuti rientrammo nel pullman per il ritorno, ma alla
vista di un’ambulanza il riso si gelò nelle nostre bocche: un anziano
signore era coperto da una coperta e caricato nel veicolo.
Credo che questa esperienza sia stata utilissima per farmi capire che
cosa significa la vecchiaia, come molti non riuscissero più a parlare o
a camminare bene o fossero privati della lucidità.
Andrea

Attività

Prendi la foto di un anziano che non conosci e prova a immaginare la


sua biografia.
Istruzioni per l’uso

Questo non vuole essere solamente un libro da leggere o consultare,


vuole diventare piuttosto uno strumento per animatori, educatori e
insegnanti che desiderano riscoprire e valorizzare le proprie
esperienze personali con gli anziani e comunicare anche ai ragazzi un
atteggiamento positivo sulla condizione dell’anzianità, come fase
essenziale dell’esistenza umana.
La passione per la fotografia mi ha fornito uno strumento privilegiato
per approfondire questo aspetto della vita. Raccogliendo foto vecchie e
recenti, osservando le reazioni delle persone alle immagini e
ascoltando i racconti che esse nascondevano, mi sono lasciato
coinvolgere anch’io dalle emozioni suscitate, senza timore di perdere il
giusto approccio professionale.
Vi invito a fare altrettanto, poiché l’empatia e la condivisione dei
sentimenti che la fotografia può creare con i ragazzi e gli anziani –
persone apparentemente inadeguate al “mondo razionale e
produttivo” degli adulti – ci permette di crescere dal punto di vista
affettivo e in fondo ci fa diventare più “umani”.
Note sull’autore

Foto Tobias
Ayres Marques Pinto è nato a San Paolo del Brasile nel 1958.
Ha avuto un’infanzia particolare: è stato attore di “telenovelas”
dai quattro ai quattordici anni. Si è diplomato al tradizionale
Colégio de São Bento nella città natale. Nel 1978 abbandona il
corso di Storia all’Università di San Paolo per trasferirsi in
Inghilterra, a Cambridge. Nel 1981 inizia il corso di Filosofia
all’Università di Pavia, che abbandonerà due anni più tardi per
andare a vivere nell’effervescente Berlino del muro, dove
conosce Gigliola, sua moglie. Nel 1984, i due giovani decidono di
tornare in Brasile per compiere un lungo viaggio e stabilirsi a
Natal, una bella località di mare del nord-est brasiliano.
Dopo aver ottenuto la laurea in Lettere all’Università Federale del Rio Grande del
Nord (UFRN), nel 1990 Ayres crea con la moglie il centro di interscambio
culturale Babilônia, che resterà in attività fino al 1999. Per il lavoro svolto riceve
la Cittadinanza Onoraria Natalense. Nel 1998 nasce sua figlia Marina.
Nel 2000 si trasferisce con la famiglia in Italia, a Loreto, dove risiede attualmente.
Arrivato in Italia Ayres lavora, per due anni, come operaio in un’industria grafica:
“Nei primi giorni, pensavo che stessi pagando tutti i miei peccati, ma alla fine, mi
sono reso conto che stavo facendo una delle più ricche esperienze della mia vita”.
Nel 2002 presenta un progetto di Fotografia Terapeutica alla comunità
psichiatrica Il Filo di Arianna di Ancona, che sarà realizzato, in diverse fasi,
fino al 2005.
La fotografia, una passione nata nell’infanzia, rimane
un’attività costante in mezzo a tanti cambiamenti di
rotta e di luogo che Ayres ha voluto e dovuto fare. Nel
2003 ottiene la qualifica di Animatore Professionale per
Anziani e da allora si dedica prevalentemente alla
realizzazione di progetti di Animazione e Fotografia
Terapeutica, rivolti a giovani e anziani.

Foto Daniela Marsigliani


Bibliografia

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Edições 70.

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Milano, CittàStudi.

Università della Terza Età di Cesena (a cura di) (1998), L’anziano


creativo. Cesena, Ponte Vecchio Editrice.
Il Volto e la Voce del Tempo non
vuole essere solamente un libro da
leggere o consultare, vuole diventare
piuttosto uno strumento per
animatori, educatori e insegnanti
che desiderano riscoprire e
valorizzare le proprie esperienze
personali con gli anziani e
comunicare anche ai ragazzi un
atteggiamento positivo sulla
condizione dell’anzianità, come fase
essenziale dell’esistenza umana.
Raccogliendo foto vecchie e recenti,
osservando le reazioni delle persone
alle immagini e ascoltando i racconti
che esse nascondono, si percepisce
quanto la fotografia possa aiutare ad
approfondire questo aspetto della
vita.
L’empatia e la condivisione dei
sentimenti che la fotografia può
creare con i ragazzi e gli anziani –
persone apparentemente inadeguate
al “mondo razionale e produttivo”
degli adulti – ci permette di crescere
dal punto di vista affettivo e in fondo
ci fa diventare più “umani”.

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