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• Negli ultimi decenni del Duecento, tra 1280 e 1310, a Firenze si forma il
nucleo più importante del cosiddetto «Dolce stil novo», una nuova tendenza
poetica con cui la lirica amorosa raggiunge il suo culmine in Italia.
52 E io a lui: “I’ mi son un che, quando Gli risposi: “Io sono uno che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo Amore mi ispira, scrivo, e cerco di
esprimermi in quel modo in cui lui detta
ch’e’ ditta dentro vo’ significando”. dentro di me”.
55 “O frate, issa vegg’io”, diss’elli, “il nodo Egli disse: “Fratello, adesso comprendo
che ’l Notaro e Guittone e me ritenne l’impedimento che trattenne il Notaio,
Guittone e me al di qua dal dolce e nuovo
di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo!” stile che ascolto! ”
Distacco nei confronti della tradizione poetica precedente; Donne ch’avete
intelletto d’amore è la canzone con cui Dante, all’interno della Vita nova, dà
inizio alla poetica della lode.
Sono citati i rappresentanti della scuola poetica siciliana (il Notaro Giacomo
da Lentini) e della poesia siculo-toscana (Guittone e lo stesso Bonagiunta).
• Gli stilnovisti approdano così a una nuova concezione di nobiltà, che non è più
quella di nascita, ma quella d’animo, e vanno a sostituire la corte reale (sfondo
della precedente lirica cortese) con una corte ideale, composta dalla cerchia
ristretta di tutti coloro in cui risiede la virtù. Questa nuova concezione di
nobiltà è espressione delle trasformazioni sociali dell’età comunale e
all’ascesa della borghesia, dove ci si distingueva non per nascita, ma per le
proprie doti individuali.
LA NOVITÀ STILISTICA
1 Io voglio del ver la mia donna laudare Passa per via adorna, e sì gentile
ed asembrarli la rosa e lo giglio: 10 ch’abassa orgoglio a cui dona salute,
più che stella dïana splende e pare, e fa ’l de nostra fé se non la crede;
e ciò ch’è lassù bello a lei somiglio.
e no·lle pò apressare om che sia vile;
5 Verde river’ a lei rasembro e l’âre, ancor ve dirò c’ha maggior vertute:
tutti color di fior’, giano e vermiglio, null’ om pò mal pensar fin che la
oro ed azzurro e ricche gioi per dare: vede.
medesmo Amor per lei rafina meglio.
Guido Cavalcanti, «Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira»
1 Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira, Non si poria contar la sua piagenza,
che fa tremar di chiaritate l’âre 10 ch’a le’ s’inchin’ ogni gentil vertute,
e mena seco Amor, sì che parlare e la beltate per sua dea la mostra.
null’omo pote, ma ciascun sospira?
Non fu sì alta già la mente nostra
5 O Deo, che sembra quando li occhi gira, e non si pose ’n noi tanta salute,
dical’ Amor, ch’i’ nol savria contare: che propiamente n’aviàn canoscenza.
cotanto d’umiltà donna mi pare,
ch’ogn’altra ver’ di lei i’ la chiam’ ira.
• Tema centrale è l’ineffabilità della donna reso in
tutto il sonetto attraverso la negazione «non», lode
della donna «in negativo».