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La pittura metafisica

Inquadramento storico-culturale
• Il termine, coniato dal greco Andronico di Rodi per distinguere gli scritti di
Aristotele, indica quella dottrina filosofica che cerca di dare una
spiegazione delle cause prime della realtà a prescindere dall’esperienza.
Nell’uso di De Chirico e dei metafisici, il termine ha, come unico punto di
contatto con quello filosofico, l’allusione a una realtà diversa.
• La nascita ufficiale della pittura metafisica coincide con l’incontro nel
marzo del 1917, in pieno conflitto mondiale, tra Giorgio de Chirico, il
fratello Andrea (noto con lo pseudonimo di Alberto Savinio) e Carlo
Carrà.
• Tuttavia questo genere di pittura era stata un’autonoma invenzione del solo
De Chirico che la praticava sin dal 1909.
Caratteristiche stilistiche
• La pittura metafisica propone uno spazio rigidamente geometrico, una
prospettiva schematica e ordinatrice, un colore terso e omogeneo, una
solida volumetria degli oggetti, infine un segno netto, deciso e sicuro.
• Questo stile rappresenta un forte richiamo all’ordine, alla certezza
della tradizione formalistica della pittura italiana, che ben rispondeva
alla condizione di smarrimento dovuta alla guerra e alla crisi di valori
che ne seguì.
Giorgio de Chirico (1888-1978)
• Nasce in Tessaglia (Grecia) il 10 luglio del 1888.
• Nel 1906, dopo la morte del padre, si trasferisce a Milano e
poi a Firenze. Al 1909 risalgono le prime opere
metefisiche.
• A Monaco frequenta l’Accademia ed ha modo di
approfondire la filosofia di Nietzsche e Schopenauer, alla
base delle sue concezioni artistiche.
• Dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale si arruola
con il fratello e viene mandato a Ferrara dove avviene il
famoso incontro con Carlo Carrà.
• Si trasferisce a Parigi e inizia a frequentare il gruppo dei
Surrealisti. Vi rimarrà fino al 1930.
• Nel 1944 si trasferisce a Roma dove vive fino alla morte
avvenuta nel 1978.
I capisaldi dell’arte di De Chirico
1. L’ENIGMA: il mistero, il dubbio, il segreto da svelare,
l’inspiegabile.
2. La METAFISICA: le opere mostrano una realtà che solo
apparentemente si avvicina a quella che conosciamo. Infatti il più
delle volte la luce è irreale e colora gli oggetti di tinte innaturali.
Anche la prospettiva è molto spesso volutamente deformata.
3. La CLASSICITÀ: «Pictor classicus sum» .Valori Plastici (sono un
pittore classico). De Chirico ritiene che l’artista debba essere fedele
alla tradizione pittorica italiana basata sul disegno, sulla forma e sul
volume. Egli auspica a ciò che definisce un «ritorno al mestiere».
L’enigma dell’ora (1911)
• L’opera appartiene alla serie «Piazze d’Italia».
• Il titolo: De Chirico voleva rappresentare un
orologio fermo. Appare tuttavia logico che, su
un quadro, un orologio non potrà mai
camminare. E così, guardando l’opera non
sapremo mai se funziona o non funziona.
• L’architettura è ridotta all’essenziale, a forma
geometrica pura senza alcuna decorazione
superflua che ne renda identificabile
l’appartenenza stilistica. Queste architetture
dipinte di De Chirico sembrano cogliere uno
spirito di classicità senza tempo. Sono delle
forme pure che però conservano tutto ciò che il
classico deve avere: armonia, ritmo,
proporzione, equilibrio.
Le muse inquietanti (1917)
• Gli spazi urbani vuoti con prospettive deformate e i
manichini al posto di persone hanno la funzione di
devitalizzare la realtà.
• Sullo sfondo appare a destra il castello estense di Ferrara,
sulla sinistra vi è invece una fabbrica con delle alte ciminiere.
Esse rappresentano la polarità antico-moderno, ma entrambi
gli edifici appaiono vuoti ed inutilizzati.
• Il manichino si presume essere la raffigurazione di
Ippodamia, personaggio mitologico che, durante la battaglia
dei Centauri e dei Lapiti, attese l'esito dello scontro con
inquietudine, un sentimento che ispirò il titolo all'opera.
• L’altro manichino seduto ha la testa smontata ed appoggiata
ai suoi piedi. Questa testa ricorda quelle maschere africane
che fornirono grandi spunti artistici a Pablo Picasso, segno di
quella modernità stilistica che De Chirico ha sempre rifiutato.
• De Chirico non è assolutamente un pittore neoclassico. Vuole
polemizzare con chi ha fatto del tempo o della velocità la
nuova ispirazione dell’arte moderna, indicando come in realtà
queste sono variabili effimere: il vero senso delle cose sta
Il grande metafisico (1917-1918)
• Nel centro di una piazza vuota, tra due quinte formate da
palazzi e ombre, si erge una “scultura totem”. Un senso di vago
disorientamento avvolge lo spettatore che fatica a trovare il
perché della collocazione degli oggetti. In questo “enigma”,
come lo stesso autore definiva i temi delle sue opere, risiede il
fine della pittura metafisica: oggetti a noi familiari fanno la loro
comparsa inspiegabile in luoghi inconsueti.
• In questo caso Il grande metafisico è il simbolo stesso
dell’uomo, ingabbiato nella rigidità della struttura che la vita
contemporanea gli impone; minacciato da ombre misteriose,
illuminato da una luce accecante.
• De Chirico non voleva che i suoi “enigmi” fossero decifrati e
ricondotti a una realtà, neanche a quella inconscia. Dietro le
inquietudini dipinte dall’artista, De Chirico non fa altro che
affermare il principio di supremazia dell’arte che può creare
mondi nuovi, anche metafisici, ai quali per esistere non serve
necessariamente una spiegazione

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