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Cineforum di Basalghelle, 17 Febbraio 2012

LAUDATE HOMINEM
La spiritualit di Fabrizio De Andr 1. Introduzione Questa sera cercher, per quanto possibile, nei limiti di tempo, ma soprattutto, nei limiti miei, di compiere con voi un percorso all'interno di quella che abbiamo voluto chiamare la spiritualit di De Andr, un termine che non so quanto dica di ci che affronteremo ma che ci sembrato il meno inadeguato per parlare del rapporto di De Andr con la figura di Ges e pi in generale con Dio. Se dovessi usare un'immagine per rappresentarvi il percorso che ho pensato, userei certo l'immagine di un trittico. Il trittico una particolare composizione pittorica che consta di tre elementi, come dice lo stesso nome del resto. Ebbene, il percorso che ho pensato si articola in tre parti a ciascuna di esse, corrisponde una canzone, e queste parti sono tali per cui la prima e la terza, le due ali del trittico per capirci, trovano come termine medio e comune denominatore, la seconda, l'elemento centrale del trittico per rimanere nell'immagine, che in effetti ne custodisce il significato pi profondo. Prima di volgere lo sguardo, o forse sarebbe pi corretto dire l'orecchio, al nostro trittico, permettetemi per di leggervi, un po' come avviene per i farmaci, una piccola precauzione per l'uso. Si tratta dell'estratto di un intervista rilasciata dallo stesso De Andr. Io non so cosa ci sia dietro a certe manifestazioni d'affetto, probabilmente c' il tentativo di immedesimazione e forse addirittura il desiderio di trovare dei punti fermi; da un punto di vista strettamente comportamentale, non lo so [] non sono n un filosofo n un politico. Di solito le certezze si chiedono ai filosofi e ai politici, forse pi ai filosofi, per non le si chiede sicuramente a un artista. Invece mi pare che i raggazzi cerchino in noi delle certezze e questo pericoloso, perch noi siamo pieni di dubbi. Questi ragazzi invece vogliono delle certezze, ti invitano a tenere mezze conferenze nelle universit, sinceramente mi domando: ma che gli vado a dire? Vado a dire che sono insicuro quanto loro, forse pi di loro, che ho anch'io bisogno di certezze? 2. Preghiera in gennaio a) Introduzione Era il 27 gennaio del 1967 quando Luigi Tenco si tolse la vita. Venuto a sapere della sua morte, Fabrizio, grande amico, nelle due notti successive, lavora senza sosta ad una nuova canzone: Preghiera in gennaio, traendo ispirazione da Prire pour aller au paradis avec les nes di Francis Jammes. b) Ascolto di Preghiera in gennaio (3:30) c) Commento Un suo amico si suicidato e Fabrizio rivolge a Dio una preghiera. Fabrizio canta a Dio perch prenda con s Luigi, il suo caro amico Luigi, perch lo prenda tra le sue braccia e vi sia, in mezzo ai santi, un posto anche per lui. Non la prima volta che Fabrizio prende a soggetto un suicida, penso a La ballata del Mich del 1963. Non solo, ad uno sguardo un po' pi ampio il suicida si rivela solo il caso particolare di una categoria ben pi ampia che porta Fabrizio a cantare la storia non solo di Tenco e di Mich, ma anche di Marinella piuttosto che di Piero, di Giovanna d'Arco piuttosto che di Tito. E questa categoria, chiamiamola cos, in fondo, quella dell'umanit, o meglio quella dell'umanit maledetta, quella che, come scrive in Smisurata preghiera, l'umanit dei respinti, di quelli che viaggiano in direzione ostinata e contraria,

l'umanit dei servi disobbedienti insomma. In effetti, gli eroi di Fabrizio, se di eroi si pu parlare (forse sarebbe meglio parlare di fratelli), non sono mai i santi paladini dei benpensanti, quanto piuttosto sempre e semplicemente gli uomini. E di questi suoi fratelli, Fabrizio non tesse mai nessuna esaltazione, nessuna lode, ma neppure... alcun Giudizio. Omero moderno, con delicatezza e profondo rispetto, Fabrizio accoglie i suoi fratelli e raccontandoci le loro storie le dipinge con i colori della piet e della compassione, per consegnare alla loro morte una goccia di splendore, di umanit, di verit. d) Transizione Dunque, non santi ma... Uomini, e per questi n lode n condanna, semplicemente... Piet e compassione, dignit e splendore. questo in effetti il primo guadagno della nostra ricerca: non santi ma uomini. Ma perch? Perch uomini e non invece santi, o meglio, dei? Perch? Penso che una bozza di risposta a questa domanda si possa ricavare da Laudate hominem. 3. Laudate hominem a) Introduzione il 1970 quando esce La buona novella, album dedicato interamente alla vicenda di Ges. Il primo brano conta appena 21 secondi, il titolo Laudate Dominum. L'ultimo pezzo invece, attraverso una composizione ad anello, un altro brano il cui titolo riprende e insieme per rivede, qualcuno ha detto corregge, quello iniziale, come se attraverso gli otto brani che li separano si fosse compiuto un percorso: si tratta naturalmente di Laudate hominem. b) Ascolto di Laudate hominem (3:25) c) Commento Se notate, a parlare come ci informa il corsivo nel testo della canzone sono gli umili e gli straccioni. Ancora una volta, quando pu decidere chi far parlare, Fabrizio non sceglie i dottori della legge, i capi del sinedrio, o che ne so io. No, a parlare sono gli umili e gli straccioni sono loro a prendere la parola e, un po' come accadr due brani dopo, ne Il testamento di Tito, ne esce un punto di vista nuovo, insolito, originale. Per il semplice fatto che il punto di vista dei vinti, di coloro che normalmente la storia, la legge le subiscono, piuttosto che guidarle e amministrarle. in effetti... il punto di vista degli umili e degli straccioni. E il risultato una sorta di straniamento per cui forse per la prima volta dal coro proprio il caso di dirlo si leva una voce contraria. Una voce che dice: Il potere che cercava il nostro umore mentre uccideva nel nome d'un dio, nel nome d'un dio uccideva un uomo: nel nome di quel dio si assolse. E ancora, descrivendo un processo di metamorfosi allo stesso tempo curioso e terrificante:

Poi, poi chiam dio poi chiam dio poi chiam dio quell'uomo e nel suo nome nuovo nome altri uomini, altri, altri uomini uccise. E infine... Ancora una volta abbracciamo la fede che insegna ad avere ad avere il diritto al perdono, perdono sul male commesso nel nome d'un dio che il male non volle, il male non volle, finch rest uomo uomo. La metamorfosi compiuta! Quell'uomo, fatto dio, diventa l'insegna sotto la quale avere il diritto al perdono sul male commesso, sul male commesso nel nome d'un dio che per il male non volle finch rest uomo. Ecco allora la risposta alla domanda con cui ci siamo accostati a questo testo: Perch uomini e non dei? Perch sembra qui suggerire Fabrizio dio ha significato violenza, divisione, dolore, prevaricazione; perch sembra dirci ancora Fabrizio chi storicamente ha ritenuto di avere dio dalla sua parte, si permesso i pi grandi delitti. Dopo tutto: Se dio con me, io sono nel vero e se io sono nel vero, tu sei nel falso e Se tu sei nel falso, e noi vuoi dare ragione a me che sono nel vero, allora sei mio nemico ma Se sei mio nemico e io sono nel vero, sei nemico della verit e Se sei nemico della verit, sei nemico di Dio e se sei nemico di Dio, chi mi vieta di ucciderti?. per questo che in un climax ascendente il coro dice Non voglio Non posso e infine No, non devo pensarti figlio di dio, ma figlio dell'uomo, fratello anche mio. d) Transizione Cos, avviandomi alla conclusione di questo secondo momento, mi permetto di rilevare ancora una volta quel figlio dell'uomo e non figlio di dio, espressioni evidentemente riferite a Ges. In effetti, proprio con una canzone a lui dedicata che vorrei concludere questa breve chiacchierata. L'ultimo brano che vi propongo infatti Si chiamava Ges. 4. Si chiamava Ges a) Introduzione Nello stesso album di Preghiera in gennaio, Volume I (1967), troviamo anche Si chiamava Ges. Qui, il titolo parla chiaro, il soggetto Ges. Come nel caso di Preghiera in gennaio, ci

troviamo di fronte ad un uomo morto che, dice Fabrizio, sulla croce sbianc come un giglio. Prima di ascoltare la canzone per, consentitemi di farvi accorti di un tranello che, a mio avviso, ha tratto molti in inganno: quello di pensare che in questa canzone Fabrizio abbia voluto dire a se stesso e ai suoi ascoltatori, la sua idea di Ges. Se pensassimo questo, saremmo portati, come molti hanno fatto, a cercare di ricostruire, perdonatemi il parolone, la cristologia di De Andr. Per quello che ho potuto conoscere di Fabrizio, questa l'ultima delle sue preoccupazioni. Di qui si impongono due domande: perch allora Fabrizio ha scritto una canzone su Ges? E in che senso intendere alcune espressioni forti e chiare presenti nella canzone, per esempio quando canta: non intendo cantare la gloria / n invocare la grazia e il perdono / di chi penso non fu altri che un uomo / come dio passato alla storia? Domande giuste che esigono una risposta, alla seconda voglio rispondere subito, alla prima invece proveremo a rispondere terminato l'ascolto. Dunque, come giustificare certe espressioni, relativizzarle a tal punto daritenerle insignificanti, come del resto stato fatto. Ebbene, per quanto ho potuto conoscere il timido e un po' scontroso Fabrizio, sempre indolente e restio a mostrarsi in pubblico, queste espressioni, cos forti e perentorie, sono non tanto finalizzate a dichiarare la propria cristologia, quanto piuttosto, a mantenere le distanze, le giuste distanze da chi, per le sue parole avrebbe potuto affibiargli l'etichetta di cattolico. L'impressione che ho, ascoltanto questa canzone che Fabrizio senta un fascino, un grande fascino per la figura di Ges, per la sua vita, per la sua stessa morte, e in questo fascino porta anche tutto il suo tormento esistenziale, tutta la sua difficolt se meglio tutto il suo rifiuto a crederlo Dio. Rimane per il fatto che all'origine vi sia proprio questo fascino, un'attrazione che in questa canzone e in altre Fabrizio esprime. Si pu discutere finch si vuole su quale Ges Fabrizio abbia incontrato e ritratto, si pu discutere, e magari dopo lo faremo, ma rimane un fatto che Fabrizio ha scritto una canzone su Ges ed evidentemente non primariamente con l'intento di dire Ges fu nient'altro che un uomo, io ho ragione, la Chiesa ha torto bens di raccontarsi e raccontarci il suo incontro con Ges, con tutta la problematicit che si accompagnata a tale incontro b) Ascolto di Si chiamava Ges (3:10) c) Commento S, pi l'ascolto, pi mi convinco che questa canzone soprattutto il modo in cui De Andr ha detto a se stesso e a noi, il fascino, l'attrazione che Ges ha esercitato su di lui. Il pi grande rivoluzionaro della storia come in pi occasioni ebbe modo di chiamarlo, ha avuto su Fabrizio un'attrazione incredibile, attestata dalla notevole produzione ad esso, pi o meno direttamente riferita. Il Ges secondo De Andr poi quell'uomo che rantola senza rancore / perdonando con l'ultima voce / chi lo uccide fra le braccia di una croce, quell'uomo che nel Getzemani pianse l'addio [...] per chi gli port in dono alla fine / una lacrima o una treccia di spine, accettando ad estremo saluto / la preghiera l'insulto e lo sputo. Ed sempre Ges che fa dire a Tito io, nel vedere quest'uomo che muore, / madre, io provo dolore. / Nella piet che non cede al rancore, / madre, ho imparato l'amore. 5. Conclusione A conclusione di questo mio modesto intervento, cercando di tirare le fila del nostro discorso, anzitutto mi pare si possa dire che Ges, rispetto ai soggetti abituali delle canzoni di Fabrizio, rispetto a quelli che in altri momenti ho definito gli eroi di Fabrizio, sebbene egli intenzionalmente non gli abbia mai tratteggiati come eroi, suggerendoci dunque di preferire alla parola eroi, quella di fratelli o compagni di

viaggio, ebbene, anzitutto mi sembra di dire che Ges, rispetto a questi uomini, non un'anomalia, anzi appare assolutamente coerente nel paesaggio dei personaggi di De Andr. Ges infatti cos come ce lo descrive Fabrizio va annoverato tra coloro che normalmente la storia chiama sconfitti, non certo tra i vincitori. Ges poi il vinto della storia ma anche colui che andato contro la legge e per questo, da questa legge stato punito. Ges tuttavia non entra nel paesaggio dei personaggi di Fabrizio solo per questo motivo, a mio avviso, bens anche perch lui, a differenza di tutti gli altri, ha insegnato l'amore, infatti, come dice in Si chiamava Ges inumano pur sempre l'amore di chi rantola senza rancore / perdonando con l'ultima voce / chi lo uccide fra le braccia di una croce. D'altronde, quando ancora era vivo, nulla per lui fu mai cos sporco, brutto, cattivo, da non poter essere amato; potentissima poi se ci pensate l'immagine che De Andr costruisce, immedesimandosi nel Ges crocifisso, nominando come doni di un estremo saluto tanto la lacrima e la preghiera, quanto la treccia di spine, l'insulto e lo sputo. Guai per a dire di quell'uomo che fu Dio, perch un Dio non si pu imitare, si pu solo temere e lodare; guai per a dire di quell'uomo che fu Dio, perch altrimenti nel suo nome arriveremmo a compiere quello che egli mai volle fare.

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