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IL DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA "Io credo che ognuno di noi dia una parte della propria vita quando

tenta di scrivere con la luce la storia di un film; proprio come fa l'autore musicale con le note, lo sceneggiatore con le parole, cos facciamo noi scrivendo con la luce" (Vittorio Storaro) Nel cinema d'autore, il cineasta unico responsabile del processo filmico non di rado firma, oltre alla regia, anche altri incarichi cardine del ciclo produttivo, importanti sia dal punto di vista tecnico che artistico: la produzione ma anche il soggetto, la sceneggiatura, il montaggio, in alcuni casi la musica (Charlie Chaplin e John Carpenter ad esempio) e addirittura l'interpretazione quale protagonista (ancora Charlie Chaplin e Orson Welles soltanto a citarne due!). Il regista autore unico non poi tanto una rarit, basta che possieda pregevoli capacit espressive e buon potere contrattuale presso i produttori ed ecco che potr seguire personalmente tutto il ciclo di lavorazione e nelle sue singole sfaccettature, fino al montaggio finale, il director's cut. Ma se c' un incarico che di solito non assume personalmente la fotografia; il responsabile di essa, il direttore della fotografia, spesso il suo collaboratore pi importante, il suo braccio destro. Sostiene Vittorio Storaro tra i pi importanti in questa professione e vincitore di tre premi Oscar: "L'autore della fotografia esprime una creativit del tutto personale, che certo si concilia a un'orchestrazione pi ampia diretta dal regista, ma che si specifica e connota proprio a partire dalla capacit di un autore d'imprimere nell'opera un tratto del tutto personale ed ideativo" e continua ancora,"Chi decide la composizione dell'immagine? Certo lo spazio deciso dal regista, certo lo spazio riempito da quel numero di coautori, come lo scenografo, il costumista, il montatore, l'attore, eccetera, ma chi d il modo di vedere, credo sia essenzialmente colui che in questo momento chiamiamo direttore della fotografia".Per Federico Fellini "Il film si scrive con la luce" e se lo stile di un autentico cineasta si esprime con la luce, la fotografia di un film allora la regia della luce! Il direttore della fotografia un tecnico altamente specializzato e dotato allo stesso tempo di capacit espressive e qualit artistiche; nel modo in cui realizza la fotografia che si caratterizza quale artista. Il regista pu seguire in prima persona la fotografia usufruendo del responsabile di quest'ultima come tecnico sul campo, oppure la delega completamente ad un direttore esperto e originale che ha una certa autonomia e che con il regista si confronta durante la preparazione del film per pianificare il taglio dell'immagine che si vuole ottenere. Quindi la luce di un film dipende genericamente dal regista ma in via specifica compito del direttore della fotografia, conosciuto anche come autore della fotografia o operatore capo. Per Abel Gance: "Il Cinema la musica della luce"; con la fotografia si d senso e rilievo agli spazi, in altezza, in larghezza, e nella profondit attraverso giochi di luci e ombre conferendo l'atmosfera a tutta l'opera; ma la fotografia anche tutto ci che concerne l'immagine e la composizione dell'inquadratura. Per Louis Delluc: "Il Cinema pittura in movimento". Il direttore della fotografia ricopre fondamentalmente tre incarichi: illuminare, inquadrare e impostare l'apertura dell'obiettivo ovvero il diaframma (definisce la quantit di luce che va ad impressionarsi sulla pellicola); responsabile dell'immagine e per essa dell'illuminazione della scena e non solo con gli impianti luce veri e propri, le lampade per intenderci, ma sceglie anche la pellicola e per essa l'obiettivo, la sua apertura e i filtri; inoltre dirige gli operatori, gli assistenti, i macchinisti e gli elettricisti, collabora strettamente con lo scenografo, l'arredatore e il costumista. Inquadrare una questione non solo tecnica ma anche artistica; inquadrare significa definire i limiti spaziali di ci che viene ripreso. Le inquadrature possono essere soggettive, quando cio la macchina da presa vede attraverso gli occhi di un personaggio della scena, e oggettive quando la macchina vede ci che accade da un punto esterno ad essa. Le inquadrature inoltre vengono classificate per convenzione in relazione ad una figura umana in piani, quando si filma un personaggio ben presente sulla scena, primissimo piano, primo piano, piano medio, piano americano e figura intera, e in campi, quando la figura umana nell'inquadratura un elemento secondario, campo totale, campo medio, campo lungo e campo lunghissimo; ricordiamo per ultimi il fuoricampo ed il dettaglio. Inquadrature straordinarie e toccanti, tramonti commoventi, albe suggestive e panoramiche pittoresche, sono frutto della collaborazione tecnico-artistica tra regista, direttore della fotografia e scenografo in percentuali diverse a seconda dei casi. L'uso della luce strumento espressivo cardine nella cinematografia. possibile illuminare un soggetto in cinque modi diversi: frontalmente, lateralmente, dall'alto, dal basso e da dietro (controluce) e in tutte le loro combinazioni, fino alla luce diffusa che illumina le zone oscure ammorbidendo le ombre. Frontalmente il soggetto viene schiacciato verso il fondo e in controluce ne risulta fortemente in rilievo. Con luce laterale invece si mettono in evidenza le superfici e la loro natura nello spazio. Naturalmente illuminando la scena in modo diverso avremo una grande variet di forme artistiche: si potr avere una fotografia impegnativa e quindi fortemente espressiva e personale oppure trasparente cio inespressiva e a totale servizio della narrazione, (cos come accade nel corrispettivo montaggio trasparente). La luce pu essere normale o filtrata, naturale o artificiale; quest'ultima permette maggiori possibilit espressive. La luce modella dando espressione ai volumi e per questo fondamentale nei suoi aspetti tecnico-artistici. Per Vsevolod I. Pudovkin, "Un attore non illuminato non esiste nella macchina da presa".

Michael Cimino (New York, 3 febbraio 1939) un regista, sceneggiatore e scrittore statunitense. Regista statunitense. Compie studi di architettura, segue corsi di regia e di arte drammatica e si accosta al cinema realizzando documentari. Incontra quasi subito C. Eastwood per il quale scrive e dirige Una calibro 20 per lo specialista (1974), ma si rivela clamorosamente come autore solo quattro anni dopo girando Il cacciatore (1978), che ottiene cinque Oscar: il film s'immerge dentro il cuore di un'America dilaniata nei suoi valori fondanti, incapace di elaborare la sindrome della sconfitta in Vietnam: con sguardo lucido e partecipe, C. dispiega sullo schermo la tragica epopea di quella parte subalterna del paese che ha conosciuto l'inferno della giungla (i protagonisti sono tre operai metallurgici), dando vita a grandi momenti d'emozione, speranza e malinconia. Il successo gli consente di girare due anni dopo, con un budget eccezionale per l'epoca (oltre quaranta milioni di dollari), I cancelli del cielo (1980), un western di quasi sei ore: un'opera oceanica, rapsodica, esteticamente vertiginosa, graffiante e struggente. Ma l'America non gli perdona di aver costruito un prototipo di kolossal moderno che smantella alla radice non solo la mitologia western, ma il mito americano tout court. Il film viene fatto circolare in una versione ridotta di circa due ore e mezza (ne viene realizzata poi una versione di quattro ore), ma senza riscontri al box-office. La produzione (la United Artists) fallisce e la carriera del regista ne viene distrutta. Devono passare cinque anni prima che C. riesca a realizzare L'anno del Dragone (1985), un poliziesco nient'affatto conciliante con l'immagine di un'America violenta e di un potere colluso con la delinquenza organizzata, che conferma la sua cifra estetica visionaria e smisurata. Gira successivamente Il siciliano (1987), accusato dalla critica di trasfigurazione eroica, quasi apologetica, di un assassino come il bandito Giuliano, e Ore disperate (1990), remake piuttosto anodino dell'omonimo film del 1955 di W. Wyler. Ritrova la sua densit di linguaggio con Verso il sole (1996) e Dreaming Place (1999), ma Hollywood continua a mostrare nei suoi confronti un atteggiamento di ostruzionistica emarginazione. Il debutto avvenne con il film Una calibro 20 per lo specialista, con Clint Eastwood, insieme al quale scrisse la sceneggiatura, ma il grande successo venne con la sua seconda pellicola, Il cacciatore, di cui era anche sceneggiatore, che riscosse un enorme successo di critica e pubblico, vincendo 5 Oscar (su 9 nomination ricevute), compreso quello per il miglior film e la miglior regia. Su queste basi, la United Artists gli diede carta bianca per il film successivo, I cancelli del cielo. Il risultato fu un disastro commerciale, che port lo studio cinematografico alla bancarotta. Nessuna delle sue opere seguenti raggiunse il successo di pubblico de Il cacciatore, il film che diede la gloria a Cimino. Nonostante Cimino, come film importante, ha realizzato solamente Il cacciatore, il suo stile ha lasciato il segno. Le sue inquadrature e i movimenti della cinepresa hanno dimostrato di creare un forte impatto visivo, specialmente nei momenti cruenti. Nella sceneggiatura il regista crea un forte legame tra la vita quotidiana, qualche volta il sacro e il mondo descritto in modo quasi apocalittico. Cimino dirige gli attori in modo molto simile a come fanno William Friedkin e altri registi: per rendere i loro movimenti, le loro espressioni pi credibili tende a stimolarli con metodi poco ortodossi ma efficaci (per esempio ne Il cacciatore, nella famosa scena della roulette russa, gli schiaffi del vietcong erano veri). Molte volte in contrasto con i produttori. Il regista stato criticato inoltre per le forti discriminazioni razziali nei confronti degli asiatici, sia ne Il cacciatore sia ne L'anno del dragone. Carriera - Nel 1971 Cimino si trasferisce a Hollywood entrando nel mondo del cinema prima come cosceneggiatore di film come 2002: la seconda odissea e Una 44 Magnum per l'ispettore Callaghan che vede Clint Eastwood ancora protagonista nei panni del duro e severo poliziotto di strada. Una calibro 20 per lo specialista - Nel 1974 debutta come regista grazie a Clint Eastwood con Una calibro 20 per lo specialista che ebbe un buon successo. Oltre Clint Eastwood, il film si segnala per la presenza del giovane Jeff Bridges che per questo ruolo ottenne la sua prima nomination all'Oscar. Il cacciatore - Nel 1978 con Il cacciatore, che Cimino entra prepotentemente nella storia del cinema. Il film vince 5 premi oscar, tra i quali miglior film e miglior regia, consacrando Cimino come uno dei registi pi importanti della sua generazione. Nel 1996 stato scelto per la preservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. considerato uno dei massimi capolavori del cinema mondiale. I cancelli del cielo - Nel 1979 il film I cancelli del cielo segna l'inizio di un apparente declino per la carriera di Cimino. I cancelli del cielo si rivela un flop di pubblico e riceve molte critiche negative, arrestando in parte la carriera del regista. Quello che doveva essere un potente affresco di un'epoca si rivel un fallimento. Un'opera incompiuta, imperfetta, che comunque mantiene, nonostante gli squilibri e gli eccessi, una carica emozionale altissima, e con il passare del tempo diventata un cult. Gli anni ottanta - Negli anni ottanta il regista riesce a realizzare tra molte difficolt solo tre film: L'anno del dragone, splendido affresco sulla mala cinese adattato dal regista con Oliver Stone. E proprio Stone dice di Cimino: "Lui non dorme mai. una personalit ossessiva. il pi faraonico dei registi con i quali ho mai lavorato. (...) Il suo sguardo fisso sul futuro, sulla storia. Non d importanza alle sottigliezze". Gli altri film diretti da Michael Cimino sono stati Il siciliano e Ore disperate. Verso il sole - Nel 1996, Cimino ritorna dietro la cinepresa e gira Verso il sole, film che ha come protagonista Woody Harrelson. Un lavoro strano che all'apparenza pu essere visto come un film di strada e di inseguimento, una sorta di road-movie, ma in realt un viaggio profondo, tragico verso quelle radici dell'America spesso dimenticate e tanto

care al regista. Per qualcuno un'opera minore nella sua filmografia; in realt Cimino, al suo settimo film, dimostra di saper ancora fare cinema di un certo livello. Vittorio Storaro (Roma, 24 giugno 1940) un direttore della fotografia italiano, vincitore di tre premi Oscar (per Apocalypse Now, Reds e L'ultimo imperatore). Vittorio Storaro, nato a Roma il 24 giugno 1940, un direttore della fotografia, anche se non ama definirsi tale. Come egli stesso ha dichiarato pi volte, esiste un solo "direttore", il regista, e preferisce quindi farsi chiamare "Cinefotografo", "Cinematographer" o "Autore della Fotografia Cinematografica". Vittorio Storaro, figlio di un proiezionista, inizi a studiare fotografia all'et di 11 anni, continuando successivamente all'et di 18 anni presso il Centro Sperimentale di Cinematografia. Per molti anni ha lavorato come operatore alla macchina, finch nel 1968 ha avuto il suo primo incarico come direttore della fotografia in Giovinezza, giovinezza. Ha lavorato molto con il regista Bernardo Bertolucci, curando la fotografia di quasi tutti i suoi film, e con altri influenti registi come Francis Ford Coppola e Warren Beatty. proprio lavorando con Coppola che nel 1979 vince il suo primo Oscar grazie al capolavoro Apocalypse Now; nel 1981 vince il secondo Oscar con Reds, mentre il terzo arriva nel 1987 per L'ultimo imperatore. Oltre ai premi Oscar, Storaro ha ricevuto innumerevoli riconoscimenti, come il Ciak di Corallo alla carriera dell'Ischia Film Festival (2005); dal 2005 inoltre presidente alla giuria del Festival Internazionale del film di Locarno. Tra le sue opere ricordiamo Il conformista, Ultimo tango a Parigi, Novecento, Un sogno lungo un giorno, Il t nel deserto e L'esorcista: la genesi. Dal 2002 diventato anche autore di una enciclopedia in tre volumi, Scrivere con la luce, frutto della sua esperienza e del suo lavoro; la sua filosofia si ispira largamente alla teoria dei colori di Goethe, il quale ritiene che i colori siano qualcosa di vivo e che non possano essere spiegati con una semplice legge meccanicistica, bens trovano piena realizzazione nella spiritualit dell'animo dell'osservatore. Biografia - Il padre un proiezionista della Lux Film. Gi all'et di 11 anni comincia a studiare fotografia nell'istituto Tecnico di Roma "Duca d'Aosta" e successivamente al Centro Sperimentale di Cinematografia. Ha curato la fotografia di quasi tutti i film di Bernardo Bertolucci dal 1970 (Il conformista) al 1993 (Piccolo Buddha). Nel 2005 presidente della giuria del Festival internazionale del film di Locarno dove riceve l'Exellence Awards. autore di Scrivere con la luce, enciclopedia di tre volumi frutto dell'esperienza del suo lavoro e di "Storaro/Covili - Il segno di un destino", viaggio tra cinema e pittura. Curiosit - Vittorio Storaro non ama definirsi Direttore della fotografia, ma piuttosto Cinefotografo o, "all'americana", Cinematographer. In pi di un'occasione ha sostenuto che sul set esiste un solo direttore (Director), che il regista. La definizione che ama di pi Cinematografo, traduzione dall'inglese del termine Cinematographer, ovvero colui che scrive con il cinema. Ha recitato la parte del cineoperatore nel film "Apocalipse Now". Oltre a ben tre premi Oscar ed innumerevoli prestigiosi riconoscimenti, nel 2005 ha ricevuto il Ciak di Corallo premio alla carriera dell'Ischia Film Festival FOTO E LINGUAGGIO Il linguaggio e la regola, la realt e la sua comprensione. Come si accennava nella prefazione gli approcci possibili al mondo della fotografia possono essere molteplici: per genere, per periodo storico, per autore, per tecniche o ancora per aspetti sociologici, linguistici o artistici, spesso queste chiavi di lettura si trovano come pi piani che si intersecano e che interagiscono fra loro. Occorre, per, iniziare il percorso nell'ambito della fotografia partendo da una riflessione sulle immagini come linguaggio e strumento di comunicazione. Anche in questo caso si potrebbero prendere pi direzioni: da un lato il risalire all'inizio delle prime forme della civilt umana contraddistinte dal comparire di un linguaggio fatto di segni tracciati sulle pareti delle 1 caverne, immagini che creano, per certi versi, l'inizio della storia e della scansione del tempo ; dall'altro lato ci si pu ricollegare a tutti quegli studi sulla percezione visiva che vanno dalle analisi di tipo neurologico a quelle che affrontano il problema pi da un punto di vista della psicologia della visione. Noi non ci addentreremo in questi percorsi ma, per rimanere nello specifico della fotografia, porremo una premessa di carattere linguistico e filosofico molto importante: la fotografia un linguaggio specifico, con caratteristiche semiologiche particolari che possono variare in funzione dell'uso che ne viene fatto; questa affermazione, che pu sembrare banale in realt non lo in quanto, ancora oggi, molte persone ritengono la fotografia un linguaggio senza codice , una sorta di scrittura che non richiede alfabetizzazione in quanto messaggio analogico. Al contrario non esiste, in assoluto, nessun linguaggio analogico, ma, anzi, dal momento in cui si pone, ciascun linguaggio porta con se, inseparabilmente, il concetto di distanza, ogni linguaggio si incarna attraverso dei segni che richiedono quindi una interpretazione; questo modo di porre il problema 7 fa risalire alla classificazione dei segni di Peirce che ricolloca il segno all'interno di una relazione segnica e non come unit a se stante, questa relazione si articola, poi, in una classificazione che potremmo ridurre pressapoco cos: I - Il segno si pone in relazione a se stesso (banalmente deve esistere e possedere determinate qualit), II - Il segno si deve porre in relazione a qualcosa d'altro,all'oggetto al quale si riferisce, III- Il segno si pone in relazione (per) ad un interpretante, occorre, in altre parole, qualcuno in grado di cogliere e

stabilire un nesso, un ponte. In questo modo si pongono le basi per capire correttamente che cosa significhi interpretare un qualsiasi linguaggio, quindi, anche quello delle immagini. l'idea della semiosi infinita perch, nella realt, per poter comprendere, porsi in relazione, conoscere qualsiasi cosa occorre rifarsi alle esperienze maturate precedentemente che forniscono una griglia interpretativa, ma che, a sua volta, si formata sulla scorta delle precedenti esperienze, e cos via di rimando in rimando, all'infinito. Lo spazio e il tempo in una scelta: la fotografia come interpretazione. Partendo dalle premesse fin qui poste si pu quindi iniziare un percorso all'interno della fotografia analizzando i diversi usi ai quali essa viene adibita oggi, una sorta di studio strutturale della "parole" come strumento di comprensione di questo linguaggio. Parlare dei generi fotografici equivale al tentativo di tracciare una mappa degli usi, una grande carta geografica le cui aree corrispondono a diverse modalit di scrittura e di interpretazione delle immagini. Comprendere una fotografia significa, innanzi tutto, coglierne la collocazione all'interno delle possibili strategie comunicative. Premettendo che le divisioni non sono mai cos rigide e schematiche nella realt, parlando dei diversi usi della fotografia i due ambiti prevalenti sono sicuramente quelli che prevedono da un lato un utilizzo privato delle immagini,e dall'altro un uso pubblico. Questa prima distinzione comporta inoltre uno sviluppo ed una concezione diversi per quanto riguarda la moltiplicazione,la riproduzione delle stesse fotografie. LA FOTOGRAFIA DIGITALE Per fotografia digitale si intende il procedimento che consente di ottenere immagini mediante tecnologie elettroniche direttamente in forma digitale e di memorizzarle su un supporto magnetico, ottico o elettronico. I metodi pi comuni per ottenere fotografie digitali consistono nell'effettuare la scansione di un'immagine (stampata oppure sotto forma di negativo o diapositiva) con uno scanner d'immagini oppure di effettuare uno scatto con una fotocamera digitale. Sensori Per ottenere un'immagine digitale, in ogni caso, occorrono dispositivi in grado di trasformare l'intensit di luce riflessa proveniente da diverse parti di una scena o di un'immagine cartacea. Dunque, sia in uno scanner, sia in una fotocamera, l'elemento in grado di svolgere questa funzione il sensore, il quale ha forma diversa a seconda si tratti di scanner o fotocamera digitale. La funzione che svolge il sensore all'interno di una fotocamera digitale analogo a quello che svolge la pellicola nella fotografia tradizionale. Da questo si comprende agevolmente come la parte ottica di focalizzazione dell'immagine sulla superficie del sensore mantenga, nella fotografia digitale, un ruolo assolutamente centrale nella qualit delle immagini che si ottengono. La tecnologia con la quale i sensori possono essere realizzati riconducibile, sia nelle fotocamere, sia negli scanner, a due tipologie diverse: CCD (Charge Coupled Device) CMOS (Complementary Metal Oxide Semiconductor). Va tuttavia notato che negli scanner largamente diffusa l'adozione della tecnologia CCD. Altro fattore di distinzione delle tecnologie la metodologia di lettura dei segnali elettrici in uscita dai sensori: Area array Linear array In estrema sintesi, un sensore area array legge l'intera immagine, mentre un sensore linear array lavora con modalit simile a quella di uno scanner. Funzionalit e connettivit - Fatta eccezione per alcuni modelli del tipo linear array (in fascia alta) e per le webcam (in fascia bassa), viene utilizzata una memoria digitale (di solito una memory card; i floppy disk e i CD-RW sono molto meno comuni) per memorizzare le immagini, che possono essere trasferite su PC in seguito. La maggior parte delle macchine fotografiche digitali permettono di realizzare filmati, talvolta con sonoro. Alcune possono essere utilizzate anche come webcam, altre supportano il sistema PictBridge per connettersi direttamente alle stampanti, altre ancora possono visualizzare le fotografie direttamente sul televisore. Quasi tutte includono una porta USB o FireWire port e uno slot per memory card. Praticamente tutte le macchine fotografiche digitali permettono di registrare video, ovviamente limitate alla memoria disponibile. Una memory card da 1 GB pu memorizzare approssimativamente un'ora di video in formato MPEG-4 in bassa risoluzione, a 640x480 pixel. I modelli pi recenti possono catturare fotogrammi ad una frequenza di 30 immagini/secondo con una risoluzione al Full HD, cio di 1920x1080 pixel. Alcune possono registrare l'audio, e solo una minima parte di modelli anche in stereo, ed essere comandate in remoto dal PC, e ovviamente, memorizzare i video sull'hard disk o su DVD tramite il masterizzatore. Nei paragrafi che seguono la discussione verter primariamente sulla fotografia digitale come prodotto di riprese con fotocamera digitale. Prestazioni - La qualit di una foto digitale prodotta da una fotocamera digitale la somma di svariati fattori, alcuni riconducibili alle macchine fotografiche reflex. Il numero di pixel (di solito indicato in megapixel, milioni di pixel) solo uno dei fattori da considerare, sebbene sia di solito quello pi marcato dalle case di produzione. Il fattore pi critico comunque il sistema che trasforma i dati grezzi (raw data) in un'immagine fotografica. Da considerare vi sono anche, ad esempio: la qualit delle ottiche: distorsione (aberrazione sferica), luminosit, aberrazione cromatica... (vedi Lente o Obiettivo fotografico)

il sensore utilizzato: CMOS, CCD, che fra l'altro gioca un ruolo centrale nella ampiezza della gamma dinamica delle immagini catturate, ... il formato di cattura: numero di pixel, formato di memorizzazione (Raw, TIFF, JPEG, ...) il sistema di elaborazione interno: memoria di buffer, algoritmi di elaborazione immagine, ...) Numero di pixel e qualit delle immagini - L'analisi del rapporto fra numero di pixel e qualit delle immagini uno dei temi centrali per capire quali sono gli elementi che danno valore ad una fotocamera digitale ed alle fotografie da essa prodotte. Si cercher dunque di dare quelle informazioni che permettono di condurre un'analisi dei fattori di qualit di un'immagine digitale. Il numero dei pixel un parametro che sta ad indicare la risoluzione (cio un indicatore del pi piccolo dettaglio della scena fotografata e registrato dalla fotocamera digitale). Questo uno dei fattori che determina la nitidezza dell'immagine. Per valutare la qualit complessiva dell'immagine, oltre alla dimensione del dettaglio fotografabile (tanto pi piccolo, quanto pi grande la risoluzione), occorre invocare numerosi altri fattori, come la fedelt cromatica di ogni pixel (infatti il pixel contiene il valore che esprime il preciso colore del particolare elementare dell'immagine che esso rappresenta vedi il paragrafo sulla "fedelt cromatica-profondit colore") e la qualit delle ottiche e dei sensori. In un'immagine digitale il numero di pixel viene calcolato semplicemente moltiplicando il numero di pixel della base dell'immagine per il numero di pixel dell'altezza. Ad esempio un'immagine di 1,92 Megapixel (equivalenti a 1.920.000 pixel) sono il risultato di un'immagine di 1600x1200 pixel. Il megapixel, letteralmente "milioni di pixel" un multiplo del pixel (mega=1 milione), unit di misura adeguata ed utile a comprendere la quantit totale di pixel presenti nel sensore. Il valore indicato comunque approssimativo in quanto una parte dei pixel (in genere quelli periferici del sensore) servono al processore d'immagine per avere informazioni sul tipo di esposizione (ad esempio sulla luminosit della scena) e ricoprono in pratica il ruolo di "pixel di servizio". Dunque un sensore pu essere dotato di 9,20 megapixel, ma registrare immagini di 9,10 megapixel (senza approssimazione i valori potrebbero essere 9.106.944 pixel, che corrispondono ad un'immagine di 3.488 x 2.616 pixel). La maggior parte delle macchine fotografiche digitali compatte in formato 4:3 (1600x1200, 800x600, ...). Mentre nelle reflex digitali (DSLR=Digital Single Lens Reflex) e in alcune fotocamere compatte (con obiettivo non intercambiabile) di fascia alta ("SLR-like" o anche chiamate "prosumer") si pu impostare sia il formato 4:3, sia il rapporto classico 3:2 delle fotocamere a pellicola. Alcuni modelli recenti, anche di fascia media, permettono di fografare in formato widescreen, cio in 16:9. Per quanto riguarda i sensori va detto che gli indici di qualit sono almeno i seguenti: capacit di produrre immagini di alta qualit velocit di cattura delle immagini. Un approfondimento delle caratteristiche che attribuiscono qualit ai sensori si trova nel paragrafo "Il sensore" della voce correlata fotocamera digitale. Sulla questione, inoltre, della velocit di cattura delle immagini, un ruolo strettamente collegato a questa prestazione lo svolge il processore d'immagine, un microcalcolatore dedicato alla elaborazione dei dati provenienti dal sensore che permette la formazione dell'immagine fruibile per la visione nei vari formati che la fotocamera pu realizzare. A questa funzione necessaria alla realizzazione dell'immagine, si affianca anche quella di governo degli automatismi di funzionamento della fotocamera. Quest'ultima funzione pu essere integrata nello stesso processore o, separatamente, in un altro processore. Photosite e pixel / Sensore e immagine - Come anticipato sopra, occorre fare delle distinzioni concettuali fra alcuni elementi che costituiscono il sensore per analizzare alcuni fattori di qualit della fotografia digitale ed anche per capire il sistema fotografico digitale. Pertanto le descrizioni che seguono relative a photosite, elemento unitario fotosensibile (o photodetector') e pixel si ritengono necessarie per chiarire, sia la modalit di funzionamento dei vari tipi di sensori usati in fotografia digitale, sia per evitare confusione e quindi fraintendimenti sulla reale risoluzione delle immagini prodotte con i vari sensori. La risoluzione infatti uno dei fattori pi evidenziati nelle caratteristiche delle fotocamere digitali, ma dalla analisi delle caratteristiche tecniche, sia di fotocamere, sia specificamente di sensori, questa distinzione non sempre chiaramente ed univocamente dichiarata. Nelle specifiche tecniche, probabilmente per ragioni di marketing, non distinguere pixel da photodetector consente di indicare valori numerici maggiori, fatto, questo, che forse si ritiene abbia pi efficacia in termini di comunicazione commerciale. Il photosite - Per comprendere i fattori che determinano la qualit delle immagini dal punto di vista del sensore occorre considerare specifici elementi tecnologici dei sensori che impongono la introduzione del concetto di "photosite" che pu essere definito come "luogo di cattura del pi piccolo dettaglio dell'immagine". Distinzione fra pixel e photosite - Il pixel un concetto informatico, che appartiene quindi alla categoria del software e il suo contenuto informativo un gruppo di dati che descrive le caratteristiche cromatiche del pi piccolo dettaglio dell'immagine. Il "photosite", invece, un luogo fisico, appartenente quindi alla categoria dell'hardware. Si tratta dunque di uno spazio con uno o pi elementi fotosensibili a semiconduttore che sono in grado di trasformare un flusso luminoso in una determinata quantit di cariche elettriche. Nel photosite inoltre presente generalmente un microscopico sistema ottico che sovrasta il photodetector formato da un piccolo cristallo con forma a calotta quasisferica avente la funzione di catturare la maggior parte di luce possibile di quella incidente sulla superficie del sensore. Talvolta questo cristallo (o resina trasparente) un elemento unitario colorato "R" o "G" o "B" del filtro Bayer, il

cosiddetto C.F.A. (Color Filter Array). Il photosite inoltre la parte unitaria di un luogo pi ampio che chiamato generalmente sensore. Le caratteristiche del photosite permettono di capire, sia dal punto di vista elettrico, sia da quello ottico, il modo con cui vengono catturati i singoli elementi che formano le immagini. L'elemento unitario fotosensibile (photodetector) - La funzione dell'elemento fotosensibile (chiamato anche photodetector) quella di trasformare un flusso luminoso in un segnale elettrico di intensit proporzionale alla intensit del flusso luminoso in quel punto. In entrambe le tecnologie (CCD e CMOS) l'elemento unitario fotosensibile riesce dunque a registrare solamente livelli di intensit di luce monocromatica. Poich ogni colore pu essere riprodotto dalla mescolanza di tre componenti primarie della luce (rosso, verde, blu RGB), dall'elemento unitario fotosensibile occorre ottenere un segnale elettrico relativo alla componente R o alla componente G o a quella B. Questo lo si ottiene filtrando la luce che investe l'elemento fotosensibile con filtri ottici in modo che su di esso giunga solamente la componente desiderata. Questo principio vale per tutte le tecnologie costruttive e per tutte le tipologie di sensori. Nelle fotocamere digitali possiamo trovare sensori aventi photosite che hanno un solo photodetector, due o tre photodetector. Poich ogni pixel, come si pu comprendere nel paragrafo successivo, deve contenere informazioni, dati, su ognuna delle tre componenti primarie della luce, evidente che se in un photosite si trova un solo photodetector, occorrer calcolare per interpolazione cromatica i dati relativi alle due componenti mancanti; se nel photosite vi sono tre photodetector ogni componente monocromatica primaria sar rilevata e nulla andr calcolato. Vi al momento un particolare tipo di sensore il Super CCD SR a marchio Fuji che ha due photodetector specializzati in ogni photosite. Questi per non catturano due componenti cromatiche diverse, ma due intensit diverse di flusso luminoso della stessa componente cromatica. In questi sensori dotati di Color Filter Array (C.F.A.) l'effetto che si ottiene con una tale struttura dei photosite quello di avere una gamma dinamica maggiore nelle immagini catturate. Il pixel - I dati dell'immagine finale sono composti dai dati elementari dei singoli pixel. Per comprendere come viene formata l'immagine finale, occorre innanzitutto spiegare per quale ragione, riconducibile a fenomeni fisici, i pixel possono descrivere le caratteristiche cromatiche (il colore) di quel dettaglio dell'immagine. Va premesso che un modo per riprodurre qualunque colore nello spettro della luce visibile (dal rosso cupo al violetto) quello di proiettare tre raggi di luce relativi alle tre componenti monocromatiche ROSSE (R), VERDI (G) E BLU (B) dosandoli adeguatamente in intensit per ottenere il colore voluto (una bassa intensit di ogni componente primaria tende al nero, un'alta intensit tende al rispettivo colore saturo R, G o B). Questo metodo di sintetizzare i colori (ogni colore) con la luce si chiama mescolanza o sintesi additiva e si attua con i tre colori primari della sintesi additiva (RGB: Rosso-R Verde-G BluB). Quando invece si ha a che fare con mescolanza di pigmenti (inchiostri, quindi, non luce) si parla di sintesi o mescolanza sottrattiva ed i tre colori base sono CMYK, ovvero Ciano (C), Magenta (M) e Giallo (Y), che sono i tre colori complementari del Rosso Verde e Blu. La sintesi sottrattiva quella usata in stampa (anche domestica) dove si aggiunge inoltre un inchiostro con un colore chiave (K=key), il nero, per compensare le inevitabili impurit di colore dei tre pigmenti CMY al fine di migliorare la fedelt cromatica delle tonalit scure delle immagini. Un file di immagini destinato alla fruizione su monitor (pubblicazione su internet) o su dispositivi di proiezione avr dunque uno spazio dei colori diverso da un file di immagini destinato ad una tipografia che stampa in quadricromia. Nel primo caso lo spazio colore sar RGB, nel secondo sar CMYK. Lo spazio colore un modello matematico che descrive le possibilit di riprodurre in modo percepibile dall'occhio umano tutte le tonalit della luce visibile, vi sono dunque spazi colore diversi per diversi dispositivi che possono riprodurre i colori. Per quanto riguarda l'RGB si ha la variante sRGB e la variante AdobeRGB che differisce dalla prima per la sua capacit di rappresentare una gamma cromatica pi ampia. Le fotocamere digitali producono normalmente immagini con una delle varianti RGB. I sistemi professionali di elaborazione delle immagini hanno tuttavia la possibilit di convertire fedelmente dei file di immagini digitali da uno spazio colore ad un altro. Per consentire la formazione di un'immagine fotografica digitale fedele, ogni pixel deve contenere quindi informazioni (dati) su ognuna delle tre componenti RGB. Quella che segue la rappresentazione della struttura dei dati binari all'interno di un pixel RGB per un'immagine avente profondit colore 24 bit:

Per valori numerici elevati di ogni canale cromatico, tendenti cio al valore decimale 255, si ha la massima intensit del rispettivo colore saturo, mentre valori decimali su ogni canale tendenti a zero corrispondono a colori di ogni canale tendenti al nero. Valori numerici del singolo pixel "0 R, 0 G, 0 B" corrispondono ad un pixel rappresentante il nero; valori "255 R, 255 G, 255 B" corrispondono ad un pixel rappresentante il bianco. I dati binari del pixel RGB nel caso sopra riportato sono composti da tre byte in totale (=24 bit, il dato della profondit colore ha qui la sua origine). Questo corrisponde ad un byte per ogni canale colore. Nel caso il pixel appartenga ad un file di tipo CMYK esso sar composto in totale da quattro byte (=32 bit, pari a un byte per ogni canale colore). Nel caso di immagini campionate a 16 bit, invece che a 8 bit, come nel caso esposto, la struttura dei dati binari del pixel preveder la presenza di due byte (=16 bit) per ogni canale colore, cos che il pixel di un file RGB sar composto da 48 bit in totale. In altri termini si pu parlare, in questo caso, di pixel per formare un'immagine con profondit colore di 48 bit. Il pixel nelle periferiche di input e di output - Le caratteristiche del pixel permettono quindi, acquisendo molti pixel, di comporre i dati necessari a formare l'intera immagine per mezzo di periferiche di output come monitor, stampanti, ecc. Come si visto nelle periferiche di input (come le fotocamere e gli scanner) l'elemento hardware elementare di acquisizione dei dati del pixel il photosite, mentre nelle periferiche grafiche di output, l'elemento hardware elementare, complementare al photosite, che riproduce i dati del pixel, chiamato dot ("punto" in inglese). I dots che vanno a formare l'immagine saranno costituiti fisicamente in modo diverso a seconda che si tratti di un monitor CRT o LCD, cos come sar ancora diverso se si tratta di una stampante laser o inkjet o di qualunque altra periferica, cos come diversi saranno i procedimenti di formazione del pixel e dell'immagine finale usati nei vari tipi di periferiche di output. Sistemi di acquisizione - Nelle fotocamere digitali sono sostanzialmente tre i metodi con cui si forma l'immagine: 1. quello dei sistemi basati sul color filter array CFA 2. quello dei sistemi basati sui sensori a marchio Foveon 3. quello dei sistemi basati sui sensori Fujifilm "Super CCD SR" con CFA Sistemi con CFA - Nei sistemi con Color filter array (con Filtro Bayer RGB o RGB-E) - che possono essere costruiti sia in tecnologia CCD o C-MOS ogni photosite ha un solo elemento fotosensibile e cattura una sola delle tre componenti (o R, o G, o B), in questo modo le altre componenti di ogni pixel devono essere calcolate dal processore d'immagine attraverso una procedura di interpolazione. Cos il prodotto finale di una fotocamera per es. da 3,4 Megapixel un file con 3,4 megapixel dove ogni pixel ha le tre componenti RGB, ma una realmente catturata dall'elemento fotosensibile e due calcolate. Un approfondimento sul funzionamento di questi sensori si trova alla voce correlata Raw. Per chiarire invece le diverse modalit di interpolazione adottate in fotografia digitale si rimanda al paragrafo interpolazione della voce correlata Fotocamera digitale. Sistemi basati su Foveon - I sistemi sono basati su un sensore a cattura d'immagine diretta. Questo costruito con tecnologia CMOS dalla FOVEON e denominato X3. Questo il suo funzionamento: ogni photosite, formato da tre fotorilevatori, fornir successivamente i tre dati cromatici che daranno origine al pixel. In questo modo il photosite fornisce le tre componenti del modello di colore RGB. Questo possibile, grazie alla costruzione dei fotorivelatori su tre layer (strati) per ogni photosite il quale fornir i dati per ogni pixel che comporr l'immagine finale. Quindi, si tratta di un sensore da 4,64 Mpixel, con una risoluzione d'immagine di 2640 x 1760 pixel), prodotta per da un sensore con 14,1 milioni di fotorivelatori collocati in 4,64 milioni di photosite (4,64 M X 3 = 14,1 milioni di fotorivelatori. Il sensore X3 non fornito di filtro infrarossi come invece succede negli altri sensori che ne implementano uno direttamente sulla superficie dello stesso sensore. La componente infrarossa della scena viene dunque filtrata collocando un filtro IR rimovibile dietro la lente. Questo quindi pu essere rimosso per fare fotografie ad infrarossi. Sistemi basati su sensori Fujifilm "Super CCD SR" con CFA - I sensori FUJI "Super CCD SR" sono dotati di color filter array, quindi ogni photosite cattura un'immagine monocromatica, ma all'interno vi sono ugualmente due elementi fotosensibili: uno di forma ottagonale, pi grande rispetto al secondo, per catturare tutta la luce possibile incidente sull'elemento fotosensibile. Per questi fattori costruttivi questo photodetector molto sensibile e quindi cattura con ridotto rumore di fondo le luci di bassa intensit. Questo significa poter distinguere gradazioni diverse di intensit luminosa anche per luci molto basse, distinguendole cos anche dai disturbi causati dal rumore elettronico del photodetector; ed un altro di dimensioni pi ridotte rispetto al primo per garantire una buona risposta anche in presenza di luci molto alte, il che significa poter distinguere gradazioni diverse di intensit anche per luci molto intense. Questo accorgimento stato studiato per consentire di ottenere immagini con una dinamica molto pi elevata rispetto ad altri sensori, il che significa avere immagini con sfumature distinguibili su una maggiore estensione di luminosit rispetto ad altri sensori. L'effetto finale che in una stessa scena si possono distinguere cos contemporaneamente, sia le sfumature delle zone scure della scena ripresa, sia quelle pi luminose. Con questi sensori le immagini catturate con 12 milioni di elementi fotosensibili producono immagini con una risoluzione di 6 megapixel. La Fujifilm nelle specifiche tecniche del sensore parla 12 milioni di pixel (per una risoluzione finale delle immagini di 6 megapixel), ma nelle descrizioni introduce il concetto di photosite.

Fedelt cromatica profondit colore - La percezione della qualit cromatica delle immagini dipende da pi elementi: La fedelt con la quale vengono catturati e registrati i dati di colore delle immagini. Questi sono compresi nel cosiddetto "spazio colore" adottato (sRGB o AdobeRGB) ed anche la diversa ampiezza dei due spazi colore pu condizionare la fedelt cromatica dell'immagine registrata. La fedelt dei colori dipende comunque in modo rilevante anche dalla profondit colore con cui registrato un file. Questo un parametro che indica il dettaglio cromatico cio l'intervallo minimo possibile fra due gradazioni di colore. Maggiore la profondit colore (che si indica in bit), minore l'intervallo fra due gradazioni di colore contigue. La trattazione pi dettagliata relativa alla profondit colore si trova nella voce correlata Raw. La fedelt dei colori registrati sempre percepita attraverso il lavoro di una periferica (monitor, stampanti, ecc). Finora infatti s' parlato solamente della fedelt con la quale le immagini vengono catturate, elaborate e registrate, ben sapendo tuttavia che la fedelt della visualizzazione e di conseguenza della percezione deriva anche da altri fattori che dipendono dalla fedelt con la quale le periferiche di output forniscono immagini visibili. Queste presentano problematiche diverse relativamente alla fedelt cromatica come il gamut di visualizzazione inteso come area dello spazio colore riproducibile da quella periferica, e come la profilazione della periferica stessa attraverso l'uso dei profili colore ICC e ICM che in ultima analisi sono file di dati che permettono la correzione nella periferica del colore visualizzato. Ad esempio, se con determinati dati di colore presenti in un'immagine, la periferica non riesce a riprodurli fedelmente secondo l'originale fotografato, o secondo tabelle di riferimento cromatico oggettivo, il profilo colore apporter le necessarie correzioni alla periferica perch con i dati cromatici di quel file si ottengano le giuste corrispondenze cromatiche nell'immagine da visualizzare. Italo Svevo Aron Hector Schmitz nacque a Trieste il 19 dicembre 1861, figlio di un commerciante in vetrami di origine ebraica. Quinto di otto figli, trascorre un'agiata infanzia a Trieste, che abbandona per andare in collegio in Germania, dove studia materie legate alle attivit commerciali. Poco incline ai suoi studi, si dedic ad appassionate letture di scrittori tedeschi dimostrando il suo forte interesse letterario. Nel 1878, terminati gli studi, ritorn a Trieste, dove si iscrisse all'Istituto superiore per il commercio Revoltella, che frequent per due anni. La sua reale aspirazione era divenire scrittore: nel 1880 diede inizio ad una collaborazione con il giornale irredentista triestino "L'Indipendente", con articoli letterari e teatrali, firmati con lo pseudonimo Ettore Samigli. Nello stesso anno il fallimento del padre lo costrinse a cercar lavoro e a impiegarsi presso la succursale triestina della banca Union di Vienna. La nuova insoddisfacente occupazione lo port a cercare un'evasione nella letteratura, frequentando la biblioteca civica e leggendo i classici italiani e i maggiori narratori francesi dell'Ottocento. In questo periodo scrive le prime novelle e il romanzo Una vita, lucido racconto del dramma dell'inurbamento di un giovane di campagna che si concluder con il suicidio, iniziato nell'88 e pubblicato a sue spese nel '92, anno in cui muore suo padre, con il nome di Italo Svevo. Nel dicembre 1895 si fidanza con la cugina Livia Veneziani, figlia di un industriale cattolico dirigente di una fabbrica di vernici sottomarine. Svevo entra cos a far parte di una solida e ricca borghesia, dalla quale avverte una distanza tale da redigere nel 1896 un Diario per la fidanzata, nel tentativo di colmare la distanza attraverso l'educazione della fidanzata all'inquietudine intellettuale. Nel luglio del 1896 avviene il matrimonio con rito civile, e solo nel '97, dopo l'abiura della religione ebraica, con rito cattolico; due anni dopo Svevo pubblica a puntate sull'Indipendente il suo secondo romanzo, Senilit, che poi stampa a proprie spese.: storia dell'amore di un non pi giovane letterato per la sfuggente Angiolina, dalla prorompente vitalit, da molti identificata con Giuseppina Zergol, una ragazza triestina con cui l'autore aveva avuto una relazione prima di conoscere la futura moglie. L'insuccesso del romanzo e il matrimonio lo allontanano dalla letteratura, e nel 1899 entra a far parte della ditta del suocero: nella nuova veste di uomo d'affari compie lunghi viaggi in Francia e in Inghilterra. Nel 1905, a Trieste, conosce Joyce, che insegna inglese alla Berlitz School e gli d lezioni d'inglese: l'amicizia con lo scrittore irlandese e la curiosit da questi manifestata per le sue opere mantengono viva la sua passione per la letteratura. Poco dopo Svevo comincia ad appassionarsi al pensiero di Freud, e dopo essere venuto a conoscenza delle sue teorie, induce il cognato Bruno Veneziani a sottoporsi a terapia e a rivolgersi direttamente al fondatore della psicoanalisi a Vienna. Durante la guerra rimane a Trieste a occuparsi della fabbrica. Nel 1919 si apre la fase di ritorno alla letteratura. Nel 1923 viene pubblicato La coscienza di Zeno: dopo il disinteresse iniziale manifestatosi in Italia per questo romanzo, Joyce, che al tempo viveva a Parigi, si adopera per farlo conoscere fra i critici francesi, mentre in Italia la sua grandezza viene riconosciuta dal giovane Eugenio Montale, con cui strinse una grande amicizia. Nel 1927 tiene una conferenza su Joyce a Milano e pubblica una nuova edizione di

Senilit. Ormai in condizione di salute malferma, a causa di un incidente d'auto al ritorno da Bormio: mor il 13 settembre 1928 in seguito a complicazioni cardio-respiratorie. Il riconoscimento della sua opera fu cos tardivo che, sebbene gi negli anni '30 i critici ne avessero riconosciuta l'importanza, solo dopo gli anni cinquanta fu conosciuto dal grande pubblico. Cultura e poetica - E' possibile ricostruire la cultura di Svevo attraverso l'epistolario, il Profilo autobiografico, scritto negli ultimi anni di vita, e articoli e saggi composti in tre periodi: il primo, fino al 1899, coincide con la collaborazione all' "Indipendente" e a altre riviste; il secondo il periodo del silenzio letterario, fra il 1899 e il 1918, nel quale Svevo di dedic alla stesura, incompleta, di alcuni saggi; e infine l'ultimo, fase della collaborazione con la Nazione, e dei saggi scritti negli ultimi dieci anni di vita. Attraverso le sue opere, e in particolare attraverso l'apologo politico La trib, o i saggi L'uomo e la teoria darwiniana e La corruzione dell'anima, la cultura di Svevo rivela un apparente aspetto contraddittorio: infatti egli da un lato fu studioso del positivismo, di Darwin e del marxismo; dall'altro di Schopenhauer e di Nietzsche. Sub inoltre, soprattutto negli ultimi anni, l'influenza di Freud, il quale era portatore sia di elementi positivisti, quale la necessit di ricondurre lo studio a chiarezza scientifica, che antipositivisti, nellevidenziare i limiti della ragione rispetto al potere dell'inconscio. In realt lo scrittore assunse gli elementi critici e gli strumenti di diversi pensatori, e non il loro pensiero complessivo. Infatti Svevo condivise con Darwin, con il positivismo in genere e con Freud, la propensione all'utilizzo di metodi scientifici di conoscenza e il rifiuto di una visione metafisica, spiritualistica, senza per accettare la fiducia darwiniana nel progresso e la presunzione del positivismo di fare della scienza una base oggettiva e indiscutibile del sapere. Nel racconto La trib, uscito nel 1897 sulla rivista teorica del socialismo italiano "Critica sociale", in cui viene rifiutato il percorso graduale attraverso cui l'umanit potr giungere al socialismo, e viene proposto di cominciare dalla fine, saltando le tappe intermedie, lo scrittore pales di non aver accettato il marxismo come soluzione sociale, ma solo come strumento e come prospettiva critica di giudizio sulla civilt europea e sui suoi meccanismi economici e sociali. Stessa selezione aveva compiuto anche nei confronti del pensiero di Schopenhauer, dal quale impar a osservare i caratteri della volont umana, a verificare come ideali e programmi siano determinati non da motivazioni razionali, ma da diversi orientamenti della volont, i quali spingono poi gli uomini fino a ingannare se stessi e a rimanere prigionieri delle proprie illusioni. Se nei suoi romanzi Svevo mir sempre a smascherare gli autoinganni dei suoi personaggi e a smontare gli alibi psicologici che essi si costruiscono, dipese certo dalla forte influenza del filosofo. Problematico fu il rapporto con la psicoanalisi, che pure ebbe un ruolo cos importante nella sua riflessione e nella sua scrittura letteraria:. Verso Freud lo spingeva l'interesse per le tortuosit e le ambivalenze della psiche profonda, che gi aveva esplorato prima della nascita delle teorie psicoanalitiche in Una vita e in Senilit Ma Svevo non apprezz la psicoanalisi come terapia, che pretendeva di portare alla salute il malato di nevrosi, bens come puro strumento conoscitivo, capace di indagare pi a fondo la realt psichica, e, di conseguenza come strumento narrativo. L'autore riconosce infatti nell'ammalato pulsioni vitali che verrebbero spente dalla terapia. Nella lettera a Valerio Jahvier, letterato italiano che risiedeva a Parigi, con il quale aveva intrapreso una corrispondenza epistolare, Svevo discusse di psicoanalisi e espresse i suo pareri: Egregio Signore, Non vorrei poi averle dato un consiglio che potrebbe attenuare la speranza ch'Ella ripone nella cura che vuole imprendere. Dio me ne guardi. Certo ch'io non posso mentire e debbo confermarle che in un caso trattato dal Freud in persona non si ebbe alcun risultato. Per esattezza debbo aggiungere che il Freud stesso, dopo anni di cure implicanti gravi spese, conged il paziente dichiarandolo inguaribile. (...)Perch non prova la cura dell'autosuggestione con qualche dottore della scuola di Nancy? Ella probabilmente l'avr conosciuta per ridere. Io non ne rido. E provarla non costerebbe che la perdita di pochi giorni. Letterariamente Freud certo pi interessante. Magari avessi fatto io una cura con lui. Il mio romanzo sarebbe risultato pi intero. E perch voler curare la nostra malattia? Davvero dobbiamo togliere all'umanit quello che essa ha di meglio? Io credo sicuramente che il vero successo che mi ha dato la pace consistito in questa convinzione. Noi siamo una vivente protesta contro la ridicola concezione del superuomo come ci stata gabellata (soprattutto a noi italiani). (...)Ma intanto - con qualche dolore - spesso ci viene di ridere dei sani. Il primo che seppe di noi anteriore al Nietzsche: Schopenhauer, e consider il contemplatore come un prodotto della natura, finito quanto il lottatore. Non c' cura che valga. Se c' differenza allora la cosa differente: Ma se questa pu scomparire per un successo (p. e. la scoperta d'esser l'uomo pi umano che sia stato creato) allora si tratta proprio di quel cigno della novella di Andersen che si credeva un'anitra male riuscita perch era stato covato da un'anitra. Che guarigione quando arriv fra i cigni! Mi perdoni questa sfuriata in atteggiamento da superuomo. Ho paura di essere veramente guastato (guarito?) dal successo. Ma provi l'autosuggestione. Non bisogna riderne perch tanto semplice. Semplice anche la guarigione cui ella ha da arrivare. Non Le cambieranno l'intimo Suo io. E non disperi perci. Io dispererei se vi riuscissero. Anche sul piano del gusto letterario e delle scelte di poetica Svevo muove da maestri diversi: da un lato i realisti e i naturalisti ( Balzac, Flaubert e Zola); dall'altro invece Bourget, creatore del romanzo psicologico e Dostoevskij, che aveva scandagliato le piaghe pi riposte della psiche umana. Nell'ambito della letteratura italiana l'opera di Svevo segna proprio il trapasso dal verismo a una nuova visione e descrizione del reale, pi analitica e introversa, svincolata da certe cristallizzazioni tradizionalmente presenti nella narrativa, quali il personaggio, le ordinate categorie temporali, l'univocit degli eventi: si tratta naturalmente di un'acquisizione progressiva, poco visibile nel suo primo libro,

nettissima nella Coscienza di Zeno. I dati realistici - la raffigurazione dei vari ceti (borghesi o popolari che siano), la rappresentazione dell'ambiente, le descrizioni degli accadimenti - vanno incontro, nelle pagine di Svevo, a una crescente interiorizzazione, vengono cio usati sempre pi come specchi per chiarire i complessi e contraddittori moti della coscienza. Al centro delle storie l'autore pone sempre un solo personaggio, al quale gli altri fan da coro, per lo pi antagonista: un individuo abulico e infelice, incapace di affrontare la realt e che a essa costantemente soccombe, ma che nello stesso tempo tenta di nascondere a se stesso la propria inettitudine, sognando evasioni, cercando diversivi, giustificazioni e compromessi. Nell'analizzare questi processi, l'inconscio, le sue canalizzazioni e le sue mascherature, Svevo smonta l'io del protagonista, rivelando ironicamente, e talora comicamente, le non semplici stratificazioni della psiche, tutta la sua instabilit, in cui passato e presente, ricordi e desideri si intrecciano reciprocamente. Ma questa indagine anche carica di un affetto dolente, quasi che l'autore volesse salvare dall'estrema umiliazione della condanna il suo eroe negativo, che in fondo il risvolto irredimibile di noi stessi, e la cui malattia da assimilare alla crisi di un'intera societ. Portatore di innovazioni straordinarie, Svevo non ottenne grande successo, se non alla fine degli anni Sessanta, quando entr a far parte dei classici della letteratura italiana: causa di questo tardivo successo fu certamente la cultura mitteleuropea, pi viennese che italiana, che fece s che egli non avesse mai alcun rapporto con la cultura letteraria fiorentina, allora egemone a livello nazionale. Inoltre in Italia la psicoanalisi penetr solo negli anni Sessanta; e la mancata conoscenza del pensiero di Freud era certamente un ostacolo alla comprensione della grandiosit della Coscienza di Zeno. In secondo luogo, Svevo totalmente estraneo all'idea di arte propria dei letterati e critici italiani: la sua visione di scrittura come igiene appariva incomprensibile ai suoi contemporanei. Inoltre, anche la sintassi semplice e talora vicino al parlato, non coincideva con i canoni armoniosi e lirici del tempo. Riportiamo un passo da un articolo del 1926, scritto da Eugenio Montale, grande sostenitore del poeta: Presentazione di Italo Svevo Nasce cos il romanzo moderno secondo la via additata a noi dai grandi modelli stranieri: il romanzo da accettarsi non per questo o per quel frammento, ma da accogliersi come organismo, in funzione di vita e di umanit; il libro fatto di parole dette da uomo a uomo e nelle quali la nostra vita di tutti i giorni possa riconoscersi con immediata rispondenza (...). La coscienza di Zeno l'apporto della nostra letteratura a quel gruppo di libri ostentatamente internazionali che cantano l'ateismo sorridente e disperato del novissimo Ulisse: l'uomo europeo. Non , si noti, che sian qui visioni cosmopolitiche, anime d'eccezioni od altrettali risorse; ma queste borghesi figure di Svevo sono ben cariche di storia inconfessata, eredi di mali e di grandezze millenarie, scarti ed outcasts di una civilt che si esaurisce in se stessa e s'ignora. Pi che l'eterna miseria inerente all'universalit degli uomini, l'"imbecillit" dei personaggi di Svevo dunque un carattere proprio dei protagonisti di cotesta nostra epoca turbinosa (...). A confutare frattanto, ogni critica eccessiva, potremmo chiedere a questi scontenti in quale altro libro nostro sia contenuta una rappresentazione altrettanto profonda della media borghesia italiana di questi ultimi anni. L'osservazione ci sembra decisiva. Una vita - La sua esperienza di impiegato gli ispir la prima opera pubblicata in volume, Una vita (1892). Il romanzo, che portava in origine il titolo "Un inetto", incentrato sul personaggio di Alfonso Nitti, incapace di adattarsi alle leggi e all'ambiente dell'ufficio e infine sconfitto dalla sproporzione tra le alte aspirazioni (la pubblicazione di una grande opera, il successo in societ) e la sua inettitudine che gli impedisce di tradurre l'ideale in azione. Selinit - Il romanzo successivo porta il titolo Senilit (1898), dove il riferimento non al dato anagrafico bens alla patologica vecchiaia psicologico-morale di Emilio Brentani. Questa seconda figura sveviana dell'"inetto" circondata da altri personaggi che acquistano nuovo spessore rispetto al romanzo precedente: la sorella Amalia, malinconica e "incolore"; Stefano Balli, scultore di poca fama ma uomo energico nella vita e fortunato con le donne; e la procace, sensuale ed esuberante Angiolina. Emilio, letterato di scarso successo, prende a modello l'amico Balli e, nel tentativo di riscattare la mediocrit e il grigiore della propria vita, intreccia con Angiolina una relazione che si riveler fallimentare per l'incapacit di Emilio di tradurre in pratica la lezione dell'amico e per la tenacia con cui proietter nella donna i propri sogni idealizzanti. I Racconti - L'insuccesso dei primi due romanzi indusse Svevo a circa vent'anni di silenzio letterario, ma, nonostante le responsabilit imposte dalla sua nuova posizione di dirigente nella ditta di vernici del suocero, Svevo non cess del tutto di coltivare la letteratura, come testimoniano alcuni suoi racconti: l'inizio della stesura della Madre, ad esempio, risale al 1910, sebbene il racconto sia stato pubblicato postumo, nel 1929, nella raccolta La novella del buon vecchio e della bella fanciulla; e prima del 1912 si colloca anche la scrittura di alcune delle prose brevi raccolte nel volume Corto viaggio sentimentale, pubblicato nel 1949. Nel 1905 Svevo cominci a prendere lezioni di inglese da James Joyce, con il quale intrecci un'amicizia che si sarebbe rivelata feconda per il suo futuro percorso letterario. Joyce, che soggiorn a Trieste fino al 1915, lesse con entusiasmo le opere di Svevo (soprattutto Senilit) e lo incoraggi a scrivere un nuovo romanzo. Svevo, da parte sua, pot leggere non soltanto le opere joyciane gi pubblicate ma anche i manoscritti di

quelle ancora in fase di stesura (certamente lesse Dedalus). Intanto, nel 1908, si era accostato all'opera di Freud, che gli avrebbe fornito altri fondamentali strumenti per scandagliare la "coscienza" del terzo inetto, Zeno Cosini. "Il successo: La coscienza di Zeno - Il romanzo in sostanza senza trama. E' suddiviso in vari capitoli, corrispondenti al resoconto di diversi episodi e situazioni della vita del protagonista: Zeno Cosini. Anziano ed agiato borghese, che vive coi proventi di un'azienda commerciale, avuta in eredit dal padre, ma vincolata da questi, per la scarsa stima che aveva del figlio, alla tutela dellamministratore Olivi. I resoconti riguardano il vizio del fumo, la morte del padre, la storia del suo matrimonio, la moglie e lamante e la storia di unassociazione commerciale. Vi poi un capitolo finale intitolato Psico-analisi, che si ricollega strutturalmente alla Prefazione ed al Preambolo. Dal che si deduce che il romanzo non altro che una serie di sondaggi fatti da Zeno sul proprio passato e scritti per il suo psicanalista, vagamente indicato con la sigla Dottor S. e pubblicati da costui per dispetto, allorch Zeno decide di liberarsi di lui, interrompendo la cura, con in pi una specie di ricatto sui diritti dautore. La natura della malattia di cui soffre Zeno non chiara; pi una convinzione, del resto nata con lui, comegli stesso afferma, che un dato oggettivo e reale e se i sintomi sono prevalentemente di ordine psichico e denunciano un vago disagio sociale, anche il fisico tuttavia non ne resta immune, poich a quei turbamenti risponde sempre con intoppi e faticose articolazioni. Zeno ovviamente ci narra il tutto in prima persona e questa la seconda novit, dopo quella della frantumazione della trama, di questo terzo romanzo rispetto ai due che l'hanno preceduto. Il senso finale del libro sembra niente affatto essere l'elogio della cura e della salute, quanto proprio quello di un'apologia convinta della malattia come un contenuto capace di illuminarci sulla pi vera e profonda nostra realt di uomini ormai irrimediabilmente vecchi, il cui unico riscatto sembra essere affidato appunto alla consapevolezza ironica di tale condizione, alla coscienza, insomma, che funziona cos da mastice fra i vari capitoli, all'interno dei quali poi, presi singolarmente, possibile individuare, per quanto ancora scheletriche, delle specie di trame. Il fumo: Zeno pensa che la causa della sua malattia sia il vizio del fumo. Decide di liberarsene, prima con propositi precisi fatti a se stesso e vincolati a date scritte un po' ovunque, sottolineate da un solenne U. S. (ultima sigaretta) e poi facendosi ricoverare in una casa di cura, dove per non passa nemmeno una notte, perch, preso dalla sua solita irragionevole gelosia per la moglie, corrompe l'infermiera e se ne torna bellamente a casa, dove la moglie, fedelissima, lo accoglie con un benevolo sorriso. La morte del padre: si narra delle civili incomprensioni che dividono padre e figlio. Il padre ha difficolt a convincersi che il figlio, sempre pronto a ridere a sproposito, sia effettivamente pazzo. Il figlio da parte sua piuttosto ribelle, ma solo in teoria, dentro di s insomma, perch oggettivamente si pu dire che sia un ragazzo abbastanza tranquillo ed ubbidiente. Ma ecco che il padre si ammala di edema cerebrale. Si mette a letto. Il figlio lo vuole curare, lo costringe, anche perch il medico cos gli ha consigliato di fare, a stare a letto, e quando il padre vuole a tutti i costi alzarsi egli usa la forza. Il padre con un ultimo sforzo alza il braccio e muore. La mano ricadendo colpisce il volto del figlio. Uno schiaffo. Volontario? Questo dubbio Zeno se lo porter dentro per tutta la vita. La storia del matrimonio: Zeno incontra in Borsa Giovanni Malfenti, furbo commerciante, che gli diviene maestro in affari, amico e suocero, nonch suo secondo padre. Giovanni ha una moglie e quattro figlie: Ada, la bella e la seria, Alberta, la pi giovane fra le tre da marito e la pi vicina allo spirito di Zeno, Augusta, la strabica, ed Anna la pi piccola, una bimba. Zeno diventa abituale frequentatore del loro salotto e le intrattiene con storielle amene, di cui l'unica a non compiacersene proprio quella per cui Zeno le diceva, e cio Ada. La sua corte ad Ada si complica poi per l'entrata in scena di un rivale, Guido Speier, giovane bello ed elegante e come Zeno suonatore di violino, ma di lui molto pi abile. Ada ne veramente incantata e Zeno decisamente destinato alla sconfitta, tanto che, attraverso una serie di vicende altamente comiche, che vanno da una seduta spiritica imbastita da Guido e mandata a monte da Zeno per dispetto, alla proposta di matrimonio fatta in successione e per sbaglio a ciascuna delle tre sorelle maggiori, arriver a fidanzarsi con Augusta, delle tre proprio l'unica che Zeno non avrebbe mai pensato di sposare. Il matrimonio invece si mostrer azzeccatissimo: Augusta sar veramente la moglie ideale. La moglie e l'amante: l'amante si chiama Carla, una giovane del popolo, che, per continuare i suoi studi musicali, s'affida prima alla beneficenza d'Enrico Copler, amico di Zeno e poi a quella di Zeno stesso. La relazione non turba i rapporti con Augusta, anche perch ovviamente non ne a conoscenza. Crea solo spazi e contraddizioni dentro la coscienza di Zeno, ma il modo in cui Zeno li supera ci d ancora un esempio della sua natura, vale a dire della sua malattia. Carla poi vuole vedere Augusta. Mossa controproducente. Carla ne resta affascinata. Sente un vago rimorso a tradirla. Lascia Zeno e decide di sposare il maestro di musica, che Zeno stesso le aveva procurato. Forse era ci che Zeno, cui nel frattempo era nata una figlia, voleva e non voleva. Storia di un'associazione commerciale: racconta della fondazione di una casa commerciale da parte di Guido Speier, e di come viene condotta in malissimo modo. Zeno, messi da parte i vecchi complessi, si offre di aiutarlo nell'amministrazione. Ma Guido veramente un incapace e l'azienda ha i giorni contati. Un affare sbagliato rende la situazione davvero insostenibile. Guido simula un primo tentativo di suicidio ed ottiene dalla moglie un prestito per risollevare le sorti della ditta. Ma gli errori da parte sua continuano, aggravati anche dalle perdite in Borsa, e cos non gli resta che inscenare un secondo suicidio, ma questa volta per una serie di circostanze imprevedibili, gli va male e muore. Zeno si rivela a questo punto abilissimo: giocando in Borsa riesce a dimezzare il debito del cognato e si

conquista in parte la stima di Ada, che le sofferenze psichiche hanno precocemente invecchiato. Ada inoltre anche molto rammaricata perch Zeno non andato al funerale di Guido. Zeno, infatti, non giunto in tempo, perch, a causa degli impegni in Borsa, arrivato all'ultimo momento e, inconsapevolmente, ha anche sbagliato funerale. Ada lascia cos Trieste e con i figli si reca in Argentina dove i due suoceri la stanno aspettando. Nel capitolo conclusivo de La coscienza di Zeno, Psico-analisi, ci sono due passi illuminanti su ci che fu per Svevo la questione della lingua, e pi precisamente su varie ambiguit che lo scrittore ci presenta: il rapporto terapia analiticainvenzione, memoria-emozione e creazione-menzogna. Una problematica molto moderna, ma vediamo in dettaglio: "Il dottore presta fede troppo grande a quelle mie benedette confessioni che non vuole restituirmi perch le riveda. Dio mio! Egli non studi che la medicina e perci ignora che cosa significhi scrivere in italiano per noi che parliamo e non sappiamo scrivere il dialetto. Una confessione in iscritto sempre menzognera. Con ogni nostra parola toscana noi mentiamo! Se egli sapesse come raccontiamo con predilezione tutte le cose per le quali abbiamo pronta la frase e come evitiamo quelle che ci obbligherebbero di ricorrere al vocabolario! E' proprio cos che scegliamo dalla nostra vita gli episodi da notarsi. Si capisce come la nostra vita avrebbe tutt'altro aspetto se fosse detta nel nostro dialetto". Ed ancora: "E' cos che a forza di correre dietro a quelle immagini, io le raggiunsi. Ora so di averle inventate. Ma inventare una creazione, non gi una menzogna. Le mie erano delle invenzioni come quelle della febbre, che camminano per la stanza perch le vediate da tutti i lati e che poi anche vi toccano. Avevano la solidit, il colore, la petulanza delle cose vive. A forza di desiderio, io proiettai le immagini, che non c'erano che nel mio cervello, nello spazio in cui guardavo, uno spazio di cui sentivo l'aria, la luce ed anche gli angoli contundenti che non mancarono in alcuno spazio per cui io sia passato". L'atteggiamento sveviano nei confronti della psicanalisi qui ed altrove molto ironico. Egli sa che la ricchezza di una psiche fatta anche dai materiali rischiosi che chiamiamo nevrosi, sa che la distinzione drastica fra malattia e salute schematica ed improduttiva, sa infine che proprio nella gestione attiva delle proprie nevrosi risiede il rapporto pi sano possibile con la vita. "Com'era stata pi bella la mia vita che non quella dei cos detti sani", si sorprende a pensare il vecchio Zeno Cosini. Ed proprio l'aggettivo "cos detti" che sbalordisce il lettore di oggi, un'anticipazione convinta di certe tematiche antipsichiatriche e liberatorie che si sarebbero affermate, tra successi e contraddizioni, solo trent'anni dopo. La coscienza di Zeno anche la coscienza della precariet della lingua in cui lo scrittore si esprime, la consapevolezza di trovarsi fuori dai canoni della letteratura posteriore. La diversit di Svevo non solo linguistica ma anche culturale: la sua posizione quella dell'intellettuale di frontiera. Ci pu apparire un handicap ma al contrario agisce come fatto positivo che gli permette, ad esempio, di aggredire la problematica psicanalitica senza nessun complesso d'inferiorit, ed anzi da un'angolazione ironica tagliente, assolutamente estranea all'ottica che nei confronti della psicanalisi adottano gli scrittori contemporanei. Il silenzio di Svevo dal 1898 al 1923 non un vuoto nel quale improvvisamente fiorisce La coscienza di Zeno, ma in realt un periodo d'ininterrotta riflessione, di scavo profondo e di tensione verso la maturit umana, culturale ed espressiva, al termine del quale si situa l'esperienza della fase pi alta della sua trilogia romanzesca. La coscienza di Zeno una conferma ed una smentita dei due romanzi precedenti. Conferma l'ossessione tematica dell'autore incentrata sul fallimento e la sconfitta, e ne smentisce sul piano del linguaggio il determinismo, proprio in quanto capace di sviluppare il suo gioco su due tavoli cambiando continuamente le carte: il tavolo della meccanica sociale mercantile-borghese ed il tavolo dell'ambiguit della psiche. Ci che unifica il tutto l'ironia, la disincantata "scienza della vita", la coscienza. La coscienza di Zeno Cosini , appunto, la sola scienza che egli possieda, ed il solo suo disperato ed inalienabile bene. Il capolavoro, quindi, si pone come il momento decisivo e conclusivo di un processo tutt'altro che casuale e caratterizzato da sporadici sprazzi di felicit creativa, vissuto piuttosto dallo scrittore attraverso una ricerca condotta per venticinque anni in coerenza col principio che: "Scrivere a questo mondo bisogna, ma pubblicare non occorre". Al di l della "leggenda" del trentennale silenzio, quindi, ormai chiaro che Svevo, malgrado il peso delle delusioni e l'incomprensione che circondava la sua opera, abbia continuato a lavorare non per vizio, ma nella convinzione che la lenta elaborazione della sua arte esigeva un impegno tutt'altro che sporadico, proteso alla ricerca dei significati pi interni e segreti, in un certo senso da sempre gi oltre la preoccupazione dei riconoscimenti ufficiali. Ne fanno fede diversi passi tratti dalla sua autobiografia: "I suoi amici possono testificare ch'egli mai ammise che i suoi romanzi valessero poco. Sapeva chiaramente dei loro difetti ma non si decideva d'attribuire a questi il suo insuccesso. Era perci vano un altro sforzo ulteriore. Credette sempre che anche a chi ha il talento di fare dei romanzi spetti una vita degna di essere vissuta. E se per ottenerla bisognava rinunziare all'attivit per cui si era nati, bisognava rassegnarsi". Ed ancora: "Egli s'era messo a scrivere La coscienza di Zeno. Fu un attimo di forte travolgente ispirazione. Non c'era possibilit di salvarsi. Bisognava fare quel romanzo. Certo si poteva fare a meno di pubblicarlo, diceva". Nel romanzo la divisione tra autobiografia e racconto risolta proprio distruggendo la concezione strutturale del romanzo classico, e mettendo in atto una soluzione in parte gi sfruttata per i due romanzi precedenti, ma che qui si evolve e si completa facendo di questo libro l'anti-romanzo per eccellenza. Svevo si trova tra le mani un semilavoro che non pu diventare un "prodotto finito" se non restando un'opera aperta, involontaria, un testo insofferente verso qualsiasi ideologia, in modo tale che le stesse teorie freudiane, sebbene molto importanti per la genesi del romanzo, vengono utilizzate solo a livello

culturale, come puri strumenti tecnici. Lo stesso Dottor S., che nel libro funge da portavoce di esse, un personaggio pi ridicolo che rispettabile. Svevo mediante la scrittura rifiuta la gabbia della scienza assunta come dogma e depositaria della verit vista in modo assoluto. La sua prassi terapeutica qualcosa che egli non riesce ancora a definire in modo chiaro. Incerto tra scienza e filosofia si rivolge addirittura allo psicanalista triestino dottor Weiss, per chiarire, prima di tutto a se stesso, se il suo ultimo romanzo pu essere considerato o meno un'opera psicanalitica, ricevendone una secca smentita. La coscienza di Zeno fonda un modello di letteratura diverso, ma l'autore non ne consapevole fino in fondo. Nel romanzo dominano l'imprevedibilit, l'ambiguit e perfino la falsit, dal momento che la memoria stesa da Zeno sicuramente parziale e sviluppa solo i fatti utili alla sua causa essendo egli un nevrotico in cura analitica. Cos' attendibile di questo romanzo? Il lettore non pu fidarsi del protagonista e tantomeno del suo psicanalista, dal momento che il Dottor S. agisce in modo scorretto e puerile, decidendo di pubblicare la memoria del paziente per vendicarsi dell'interruzione della terapia. quindi chiaro che l'attendibilit della sua prefazione al racconto di Zeno assai scarsa. Ci accorgiamo cos che il romanzo costruito su una rimozione: quella della verit. La verit , per Svevo, l'equivalente della salute: due valori assolutamente privi di valore assoluto che sono sottoposti all'inevitabile svolgersi della vita. Alla verit lo scrittore contrappone la parodia, cio il suo contrario. La verit implica l'immobilit, la parodia il movimento. L'unico senso de La coscienza di Zeno quello del movimento, del rovesciamento costante, dell'instabilit costitutiva del mondo e della scrittura, ed un senso alla cui costruzione chiamato interrogativamente il lettore. La dimensione tragica della vita, cos palesemente attiva ed evidenziata nei due primi romanzi, mutata in questo, fin dall'inizio, verso la dimensione umoristica, uscendone sicuramente arricchita quanto a forza di convinzione drammatica. Svevo sa perfettamente che l'epoca della riproducibilit tecnica dei sentimenti permette di toccare il tragico solo attraverso il comico e si comporta di conseguenza. Il preambolo pone il lettore all'interno del meccanismo. Non siamo pi di fronte all'espediente del romanzo-pretesto, la finzione romanzesca dissipata. Il tentativo che Zeno fa di raccontare la propria vita, ora che giunto ad un'et avanzata, dato appunto come tentativo di riacquistare la salute, l'equilibrio e nulla pi. Il "Proust italien", come Svevo stato definito, persegue una strategia assolutamente originale: Proust si dissipa e si realizza in un inseguimento di nomi di paesi e di persone, di amori e di amicizie irrimediabilmente consumati, in cui celebra il suo rito idolatrico, il suo culto dell'effimero e non dell'eterno. Se idolatria il Tempo perduto, la verit il Tempo ritrovato, mediante un recupero in cui la memoria involontaria gioca un ruolo centrale. Svevo si serve di altri mezzi: la sua non si pone come una memoria mitica, come passaporto per sfuggire al silenzio ed alla morte. Egli realizza un'operazione in cui la volontariet della memoria ancora molto forte, e vale come strumento per chiarire il senso della propria e dell'altrui esistenza, in sostanza senza sperarne privilegi o risarcimenti. Il buonsenso laico e borghese di Svevo, come la sua matrice culturale, non possono essere confusi col decadentismo analitico che circola nelle pagine di Proust. Piuttosto, comune ad entrambi gli scrittori l'esigenza di apprestarsi nuovi moduli di lavoro fondati sull'autobiografia come momento di sintesi rispetto alla frantumazione dell'esperienza; per cui tutt'e due i grandi romanzieri della crisi della coscienza borghese corrodono qualcosa di pi che una tecnica letteraria, agiscono in un certo senso al di l della letteratura. Assai pi letterato di loro risulta invece Joyce. Certo che la particolare forma a episodi "autonomi", ognuno dei quali costituisce una sorta di stazione a ritroso che dal passato si dirige verso il presente di volta in volta incamerando gli elementi di quella che precede, non era pensabile senza il "rifiuto" della letteratura esplicitamente dichiarato dal triestino. La vitalit del romanzo ha origine da questa spallata che lo scrittore d alle proprie abitudini di impianto e di racconto, per entrare nella propria materia non pi come descrittore e commentatore, ma come interprete ed infine elemento attivo. L'autobiografia diventa a questo punto una via obbligata, e Svevo se ne serve con una libert pari alla distanza ironica che intromette fra s e questa materia. Il terzo capitolo Il fumo, cala il lettore in una delle situazioni chiave del romanzo. Ancora una volta, ci troviamo in presenza di uno dei perenni miti negativi di Svevo: il proposito di riscatto dei protagonisti e la sua mancata realizzazione, che inevitabilmente li frustra. Ma ora l'oggetto del proposito e la causa della frustrazione sono assolutamente irrisori e banalizzati: la battaglia si svolge fra Zeno e la propria volont ed il motivo l'ultima sigaretta. Zeno si abbarbica a continui proponimenti di non fumare pi, che d'altronde eluder sistematicamente rimuovendo poi sempre il rimorso ed il senso di colpa che gliene derivano. Il dramma propende al comico, all'umoristico. La materia degradata rispetto ai romanzi precedenti, ma subito pi decisamente interna, dotata ormai di quell'ambiguit e contraddittoriet che Svevo attribuisce all'esistenza, e con la quale intende concorrere e misurarsi, operando su un sistema organico di decentramento e di dislocazione ininterrotta: "Adesso che son qui, ad analizzarmi, sono colto da un dubbio: che io forse abbia amato tanto la sigaretta per poter riversare su di essa la colpa della mia incapacit? Chiss se cessando di fumare io sarei divenuto l'uomo ideale e forte che m'aspettavo? Forse fu tale dubbio che mi leg al mio vizio perch un modo comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezza latente. Io avanzo tale ipotesi per spiegare la mia debolezza giovanile, ma senza una decisa convinzione. Adesso che sono vecchio e che nessuno esige qualche cosa da me, passo tuttavia da sigaretta a proposito, e da proposito a sigaretta. Che cosa significano oggi quei propositi? Come quell'igienista vecchio, descritto dal Goldoni, vorrei morire sano dopo di esser vissuto malato tutta la vita?" La dialettica tra malattia e salute un altro dei motivi centrali del romanzo, anch'esso ambivalente ed in continuazione slittante dal piano fisiologico a quello psicologico. In realt, salute, giovinezza e naturale equilibrio psichico sono i doni di un'et fortunata a cui si

contrappongono i tristi portati della senilit: la cagionevolezza, la sensazione di esser fuori dal gioco, la finta rivalsa dell'esercizio della coscienza, che in fondo il vizio pi malinconicamente vero della parabola esistenziale. La ricchezza del romanzo si apre fin dalle prime pagine senza segreti: Svevo lavora ormai non pi secondo la scala di una progressione logico-narrativa, ma secondo modi che, come abbiamo gi evidenziato, obbediscono all'analogia ed all'aggregazione, all'associazione di idee ed al libero fluire della memoria. Lo schema non preesiste, ma sembra crearsi spontaneamente di volta in volta, nel tortuoso ed ineguale percorso dell'analisi. Il lettore introdotto nell'universo di Zeno, nel flusso tra reale e fittizio del suo tempo e ci avviene senza schermi protettivi, dal momento che il personaggio assicura di esporsi intero fin dai momenti iniziali. L'episodio della tentata disintossicazione in casa di cura tipico dell'atmosfera autodenigratoria e dell'andamento da commedia degli equivoci che occupano buona parte del libro: questo "punitore di se stesso" che Zeno non regger neanche una notte nella clinica, ma intanto, prima di ubriacare la vecchia infermiera e di tornarsene a casa, fa in tempo a farsi beffe anche del medico che lo visita. Nell'episodio successivo, cio quello che racconta la morte del padre, Svevo sposta la tonalit sul tragico. Il padre di Zeno ha fama di essere un abile commerciante anche se in realt i suoi affari sono diretti dall'attivo signor Olivi. Zeno nota che: "Nell'incapacit al commercio v'era la somiglianza fra di noi, ma non ve ne erano altre; posso dire che, fra noi due, io rappresentavo la forza e lui la debolezza ". Dov' in fondo la vera forza di un uomo pigro e distratto come risulta essere Zeno Cosini? Probabilmente nella caparbiet con cui insiste a difendere dall'altrui intrusione le riserve dei suoi privati egoismi, nell'ostinazione con cui rifiuta di rinunciare ai piaceri minuti della vita, della sensualit e dell'orgoglio, ma pi ancora, secondo il rimprovero paterno, nella sua tendenza a ridere delle cose pi serie. Ma, si chiede Zeno (e con lui Svevo), cos' serio a questo mondo? La seriet dietro le apparenze, e riguarda un sempre pi ristretto numero di eventi e di fenomeni. La malattia e la morte del padre si muovono su un piano che amplifica in chiave tragica la situazione drammatico-umoristica che il narratore-paziente Zeno ha definito come: "Una analisi storica della mia propensione al fumo", vizioso eccesso al quale egli attribuisce anche l'origine della straripante carica sessuale da cui quasi si sente perseguitato. La sensualit diventa malattia, irrefrenabile erotismo, dissipazione energetica e quindi colpa da espiare. Comanda l'imperativa etica borghese-mercantile, per la quale il momento ludico ed il gioco erotico rappresentano pulsioni e fenomeni pericolosi, alla lunga eversivi di un ordine e comunque poco seri ed indegni di essere esibiti. Il sognatore Zeno, guarendo dall'intossicazione da fumo, guarir anche, secondo lui, dal suo furioso appetito sessuale. L'evento che segna profondamente il futuro di Zeno il famoso schiaffo che il padre moribondo lascia cadere sul volto del figlio, come una punizione, al momento del trapasso. Gesto automatico o estremo sforzo per rimanere aggrappato alla vita? Esecuzione di una volont o atto casuale? Lo schiaffo subisce nella memoria di Zeno la metamorfosi cui vanno soggetti tutti i fenomeni sgradevoli della sua esistenza, in genere con segno positivo. Gi durante il funerale, non diventa pi l'ultima prova d'incomprensione e d'ostilit di un uomo il cui corpo giaceva ancora "superbo e minaccioso", ma quasi il saluto composto di qualcuno che non si decide a lasciarci. Quella del padre una forza che non pu pi offendere, ma Zeno non lo fa notare. La sua abilit nell'evasione, la capacit impeccabilmente tempestiva di servirsi di uno strumento come la sublimazione, la facolt di rimuovere sistematicamente gli ostacoli che intralciano la sua libert sentimentale e psicologica, costituiscono in realt il potenziale pi consistente della sua debolezza. Il fatto che entro i confini del suo territorio egli risulta il pi forte e finisce per essere il vincitore. Nessuno potr violare la sua coscienza: Zeno ha tra l'altro il merito di non elevarsi un piedistallo, di non assumere posizioni eroiche. Se gli consentita questa libert, che pur sempre un privilegio, lascia intuire che si tratta di un patto sociale stretto ben prima di lui, di cui egli fruisce e che gli permette addirittura di presentarsi come "antieroe". Paradossalmente Zeno trasforma i suoi scacchi in affermazioni vantaggiose. Cos negli affari, in cui sovente la sua inettitudine si rivela provvidenziale; cos nell'amore e nel matrimonio. Innamorato della bellissima Ada Malfenti, che lo respinge per sposare l'amabile e mondano Guido Speier, egli sposer la brutta ma dolcissima sorella di lei, Augusta, quasi per forza d'inerzia e per necessario autoconvincimento che sia la donna giusta. Nella stessa serata Zeno si dichiara ad una dopo l'altra delle tre sorelle Malfenti, quasi in preda ad una smania di autoflagellazione. Due risposte negative: Ada e Alberta. Una risposta affermativa: Augusta. L'ostilit di Ada e della madre, una volta che le cose si sono messe per il verso da loro desiderato, si trasforma in affettuosa considerazione per Zeno. Con un senso della durata temporale di straordinaria suggestione fluidificante, Svevo gioca questa parte del romanzo su molti piani, mediante rimandi continui e continue rispondenze. Il presente, cio il tempo dell'intelligenza che assiste e registra, s'insinua nel passato vissuto e sollecita i fermenti del passato ipotetico. Zeno agisce da regista e le fanciulle da attrici, nel momento esatto in cui il giovane parla di cose che gli sono avvenute in un passato imprecisato per interessarle e guadagnarne la simpatia. Ma di ci il lettore ne informato da un vecchio che racconta di se stesso giovane, rivedendosi nell'atteggiamento di narratore per un pubblico che vuole coinvolgere nel suo piccolo mito, nella costruzione di s come individuo di eccezione. Marito involontario, Zeno si lasciato scegliere. Del resto la sua intera esistenza brilla per l'assenza di scelte precise, eppure egli riesce sempre, stranamente, ad imboccare la strada giusta. La sua vera vocazione quella di un uomo che evita il rischio sotto ogni forma, e si crea un involucro d'ipocondria, di malattia immaginaria, di neutralit di fronte ai conflitti esistenziali, dal quale assistere senza bruciarsi al rovente spettacolo della realt. Questa la vera coscienza del personaggio Zeno Cosini: ricerca apparentemente svagata e casuale della consapevolezza del vivere, e al contempo difesa della propria mancanza di

qualit. La pratica della memoria non come rimpianto ma come ricostruzione attiva, a questo punto, data addirittura come polemica nei confronti dei valori borghesi correnti: intraprendenza, spregiudicatezza, senso pragmatico e attivismo pratico; valori tutti volti in primo luogo all'affermazione economica, allo scopo del lucro e del profitto. La moglie Augusta la difesa dal rischio, l'amante Carla l'avventura senza rischio. I sentimenti di Zeno scivolano continuamente dal drammatico al comico, ed i poli umani di quest'oscillazione sono rappresentati appunto dalla moglie e dall'amante, come gi in Senilit Angiolina ed Amalia erano state le personificazioni del piacere colpevole e della purezza sacrificata. Zeno ha lasciato da parte il "mondo sano e regolato" organizzatogli attorno da Augusta per avventurarsi nell'incognita del proibito: ha lasciato la "salute" per entrare nella "malattia". Quando avr superato suo malgrado l'infatuazione per Carla non sar per questo guarito dalle sue inquietudini e dalle sue nevrosi. I motivi profondi che hanno spinto lo scrittore a realizzare il suo romanzo-pretesto sono ormai chiari. Nell'ultimo capitolo del libro Zeno-Svevo chiarisce come non gli possibile rinunciare alla sua identit pi autentica, e si libera mediante l'ironia dagli impacci che gli hanno cucito addosso le strutture terapeutiche: "Da un anno non avevo scritto una parola, in questo come in tutto il resto obbediente alle prescrizioni del dottore il quale asseriva che durante la cura dovevo raccogliermi solo accanto a lui, perch un raccoglimento da lui non sorvegliato avrebbe rafforzato i freni che impedivano la mia sincerit, il mio abbandono. Ma ora mi ritrovo squilibrato e malato pi che mai e, scrivendo, credo che mi netter pi facilmente del male che la cura m'ha fatto. Almeno sono sicuro che questo il vero sistema per ridare importanza ad un passato che pi non duole e far andare via pi rapido il presente uggioso". La rottura col trattamento psicanalitico determina anche una frattura nel flusso cronologico degli avvenimenti narrati. Di colpo ci troviamo a tu per tu col presente. Ed il presente , ancora una volta, una combinazione di tragedia e grottesco, di tristezza e di riso. L'uomo diventa sempre pi furbo e debole perch si affida agli "ordigni" che inventa secondo tecniche pi raffinate per "la grande guerra", al punto che l'ordigno non ha pi alcuna relazione con l'arto, la legge del pi forte non ha pi valore, alla natura si sostituito l'artificio ed cos andata persa la selezione naturale. Ecco perch tutte le terapie (e la psicanalisi per prima) non sono radicali ma semplicemente restauratorie. La liberazione non potr realizzarsi, probabilmente, che attraverso l'utopia, raffigurata nelle battute finali del romanzo con l'immagine apocalittica della distruzione del mondo, di questo mondo, in cui si perduta la misura dell'uomo e l'unica liberazione, per Svevo, non pu che chiamarsi "salute": "Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno pi, un uomo come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventer un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po' pi ammalato, ruber tale esplosivo e s'arrampicher al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potr essere il massimo. Ci sar un'esplosione enorme che nessuno udr e la terra ritornata alla forma di nebulosa errer nei cieli priva di parassiti e di malattie". IL SURREALISMO Movimento artistico nato in Francia negli anni 20 e precisato ufficialmente nelle linee programmatiche del Primo manifesto surrealista del 192 ad opera di Andr Breton. Caratteristica del movimento lattenzione alla dimensione delluomo che oltrepassa la sua realt ordinaria e percepibile con gli strumenti della logica. Grazie anche alla diffusione delle ricerche psicoanalitiche di Freud il sogno e lonirico entrano delluniverso costitutivo dellarte non come fantasie allegoriche o stravaganti come nel passato, ma come diretta espressione dellinconscio portato cos alla luce dalla profondit dellio. La poetica surrealista si rivolge allinconscio, ma ha come obiettivo ultimo un cambiamento della coscienza e della societ. MANIFESTO DEL SURREALISMO Il Manifesto del surrealismo segna, nel 1924, la nascita storica del movimento. Breton inizia cos: "Molto opportunamente Freud ha concentrato la propria critica sul sogno. E inammissibile, infatti, che su questa parte importante dellattivit psichica (poich, almeno dalla nascita delluomo fino alla sua morte, il pensiero non presenta alcuna soluzione di continuit, la somma dei momenti di sogno, dal punto di vista del tempo e considerando solo il sogno puro, quello del sonno, non inferiore alla somma dei momenti di realt- limitiamoci a dire: dei momenti di veglia) ci si sia soffermati ancora cos poco. Mi ha sempre stupito lestrema differenza di importanza, di gravit, che presentano per losservatore comune gli avvenimenti della veglia e quelli del sonno. Ci avviene perch luomo, quando cessa di dormire, prima di tutto lo zimbello della propria memoria, e in condizioni normali questa si compiace di riproporgli in modo impreciso le circostanze del sogno, di privare questultimo di qualsiasi consequenzialit attuale, e di far partire la sola determinante dal punto in cui crede di averla lasciata qualche ora prima: quella ferma speranza, quella preoccupazione. Egli ha lillusione di continuare qualcosa che ne valga la pena. Il sogno si trova cos ridotto ad una parentesi, come la notte. E come questa, in generale, non porta consiglio". Queste parole esplodevano in un mondo che la guerra aveva minato moralmente e intellettualmente.

Dopo il Romanticismo, e alla fine del secolo scorso, dopo i brevi sprazzi del Simbolismo, non si era pi sentito un appello allirrazionale cos incalzante e formulato in maniera cos perentoria e prestigiosa. Breton dava al Surrealismo la seguente definizione: "Automatismo psichico puro con il quale ci si propone di esprimere sia per iscritto o in qualunque altra maniera, il funzionamento reale del pensiero. Dettato del pensiero, in assenza di ogni controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale". Seguiva un commento filosofico: "Il Surrealismo si basa sulla fede nella realt superiore di certe forme di associazione fino a lui trascurate, nellonnipotenza del sogno, nel gioco disinteressato del pensiero. Tende a distruggere definitivamente tutti i meccanismi psichici e a sostituirsi ad essi nella soluzione dei principali problemi di vita". SURRALISME. n. m. Automatisme psychique pur par lequel on se propose d'exprimer [...] le fonctionnement rel de la pense. Dicte de la pense, en l'absence de tout contrle exerc par la raison, en dehors de toute proccupation esthtique ou morale. ENCYCL. Philos. Le surralisme repose sur la croyance la ralit suprieure de certaines formes d'associations ngliges jusqu' lui, la toutepuissance du rve, au jeu dsintress de la pense. Andr Breton CARATTERI DEL SURREALISMO - La nascente filosofia surrealista coglie un punto di mistificazione particolarmente significativo. "La ragione, lonnipotente ragione, sul banco degli accusatiIl reale qualcosa di diverso da ci che vediamo, sentiamo, tocchiamo, percepiamo, apprezziamo". E la ragione che ha prodotto gli sviluppi scientifici e tecnici del secolo precedente, quella che ha dominato le filosofie della fine del secolo (nel loro senso pi superficiale). La prima lotta surrealista contro questa ragione, contro la logica di un potere che continua a reggersi anche su questo valore culturale mistificato. Larte cerca una serie di alternative che possano costituire punti di lotta contro questo blocco, non pu che aprire una strada rivoluzionaria, perci diversa. Quel che romantici avevano provato individualmente- "Il mondo diventa sogno, il sogno diventa mondo" (Novalis); "Il sogno una seconda vita" (Nerval) ora autentica rivelazione collettiva e punto di partenza di una ricerca che tende a una trasformazione radicale dei modi di sentire, di apprendere e di concepire il mondo. Alla soglia del sonno si trova la chiave dellispirazione e nel subconscio, nellal di l, nelle zone remote della vita inconscia, si percepisce leco della bocca dombra. I surrealisti tentano la rielaborazione in chiave creativa del pensiero psicoanalitico, determinante per gli sviluppi delle loro opere e della teoria del movimento. La psicoanalisi, nel suo compito di liberazione e svelamento delle forze occulte dell'inconscio, dei tab e delle costrizioni che la coscienza troppo rigida impone alla personalit soprattutto nella sfera sessuale, d l'impulso principale al progetto surrealista di rifondazione dei veri aspetti dell'esistenza umana, proprio a partire da un atto di liberazione da qualunque consapevolezza razionale e culturale che non permetta il libero accesso e l'immediata trasposizione della fantasia sulla mano che guida il realizzarsi dell'opera d'arte. I surrealisti infatti inizialmente tentano di assumere a metodo il concetto di automatismo psichico; ci avviene soprattutto attraverso prove di "scrittura automatica" con la quale si intende l'operare dell'artista che procede secondo un'immediata corrispondenza tra inconscio ed azione pittorica. I dipinti surrealisti sono quindi enigmi, cio immagini dal significato oscuro, che sono perci da interpretare quando il titolo non aiuta a capire il senso che ha voluto dare loro lartista. C sempre un largo margine di ambiguit, e ogni osservatore pu proiettare nelle scene dipinte i suoi fantasmi interiori e dare al rapporto tra le figure il significato che crede. La pittura surrealista risolta attraverso la rappresentazione di immagini tratte dai sogni o anche di associazioni figurative che, seppure talvolta sorprendenti, si concretizzano con una tecnica ed un impianto fortemente tradizionali, ai limiti del virtuosismo, con il conseguente recupero di valori pittorici ormai avulsi dall'incalzante procedere delle vicende artistiche. SURREALISMO E DADA - Funzioni di vera e propria rottura con la logica, le convenzioni, l'arte, la morale, la societ ebbe il movimento Dada, sviluppatosi a Berne (Svizzera) tra il 1916 ed il 1920 sotto la guida del poeta ungherese Tristan Tzara: sono i dadaisti che operano quella tabula rasa sulla quale il surrealismo costruisce il suo mondo di immagini in nuovi rapporti. Nonostante il fatto che la nascita del surrealismo aveva avuto una componente di reazione contro il nichilismo di Dada, i surrealisti beneficiarono delle conquiste liberatorie dei dadaisti. I surrealisti adottarono molte tecniche di Dada, come per esempio l'assemblage, una forma di scultura consistente nella combinazione di oggetti e materiali scollegati, o il collage, utilizzato soprattutto da Max Ernst.Diversamente dallanarchico impulso di distruzione predominante nei dadaisti, il surrealismo vuole definire una prassi artistica alternativa a quella tradizionale.

IL SURREALISMO E FREUD - Fin dal suo inizio i surrealisti hanno usato la psicoanalisi come una delle coordinate su cui articolare la propria ricerca ed a cui ancorare la propria espressivit. Lamore per la psicoanalisi- un amore infelice, in un certo senso, visto che gli psicoanalisti non si sono occupati di arte surrealista che in modo molto marginale- stata una dichiarazione di principio. Nonostante i pressanti inviti di Breton, Freud rifiut sempre di considerare la poetica surrealista una filiazione legittima della psicoanalisi: "Non sono in grado di rendermi conto di ci che e di ci che vuole il Surrealismo", afferma , "forse non sono indicato a comprenderlo, io che sono tanto lontano dallarte". In effetti Freud, nonostante ammettesse che il processo primario (inconscio) sia per natura preverbale (nel sogno si pensa per immagini), possedeva una cultura molto pi letteraria che pittorica e non arriv mai a capire la natura concettuale dellarte non figurativa contemporanea. SALVADOR DAL - Dal aderisce al surrealismo nel 1929, ma gi nel 1922 aveva letto Linterpretazione dei sogni di Freud. Lartista catalano colpisce i surrealisti francesi per i limiti insolitamente profondi cui vuole spingere le ricerche del gruppo: al di l della scrittura automatica, in cui il soggetto non altro che il tramite per entrare in contatto col mondo dei sogni, Dal propone di ricreare il delirio onirico in modo oggettivo e sistematico, dando sostanza anche in stato di veglia a tutta latmosfera del sogno. Il pittore chiama questa sua concezione metodo paranoico-critico, cio un percorso attraverso il quale il pittore si impossessa delle proprie ossessioni e desideri rendendoli sistematici, per trasformare poi tali impulsi in materiali artistici. Tale sintesi si traduce nellortodossia della tecnica pittorica (precisione del disegno, ortogonalit dello spazio) combinata con il delirio degli oggetti. Lautomatismo surrealista svela una realt diversa, mentre il metodo paranoico-critico esplora e organizza tale realt. I suoi dipinti agiscono sullosservatore attraverso il paradosso, mettendo in evidenza gli aspetti inquietanti delle cose mediante la contraddizione. Da ci la sua predilezione per le immagini doppie o invisibili. Lo straordinario egocentrismo di Dal non solo una maschera stravagante, ma la condizione necessaria al suo delirio paranoico, la conseguenza di un continuo ritorno alle sorgenti della memoria e il desiderio di conferire sostanza critica alle proprie opere. Dato che il mondo dei sogni e delle ossessioni personale, il metodo paranoico-critico e il linguaggio della tradizione pittorica sono strumenti di cui lartista si avvale per attribuire a quel mondo un valore universale e decodificarlo. Tali chiavi sono i temi della sua opera: il disfacimento delle cose nel sogno, il cibo come metafora della mortalit e della conoscenza, le ruote della memoria, le immagini ambigue, la morte e il desiderio come le due facce della stessa medaglia.

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