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STORIE DI MIGRANTI MERCIFICATI

Sepolti nel deserto del Sinai


Molti sono eritrei, ma arrivano anche da altri paesi dellAfrica subsahariana. Cercano di raggiungere Israele, lasciandosi alle spalle oppressione e miseria. Spesso diventano prede di trafficanti di esseri umani e di organi. E la comunit internazionale?
di SILVIA BOARINI da Tel Aviv

ary stupita di sentire ancora il respiro del figlio tra le sue braccia. Era sicura fosse morto, ucciso da una delle pallottole sparate dalle forze egiziane contro i migranti che tentano di raggiungere Israele. Ricorda che gridava: Abbiamo bisogno di aiuto, e non credeva alle parole del soldato israeliano di fronte a lei che diceva: Ora sei al sicuro. Era davvero al di l del filo spinato. Lincubo del Sinai finalmente alle sue spalle. Nei 15 mesi che aveva trascorso nelle mani di Muhammad, uno dei contrabbandieri beduini che controllano il traf-

fico di migranti nel Sinai, aveva subito pestaggi, era stata stuprata e aveva visto suo figlio, di 2 anni, picchiato e tenuto semisepolto nella sabbia. dura nel Sinai, dice con lo sguardo nel vuoto. Cerca parole pi forti, ma non riesce. Ti legano braccia e gambe spiega incrociando mani e piedi e ti picchiano ogni giorno, perch vogliono soldi. Mary, 27 anni, nigeriana, in Israele da poco pi di un anno. Nella serata tiepida di Tel Aviv, siede su un muretto vicino al rifugio dellorganizzazione non governativa African Refugee Development Centre (Ardc), diventata la sua casa, dopo i cinque mesi trascorsi

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Un gruppo di fuggiaschi africani nel deserto del Sinai.

NENANEWS.GLOBALIST.IT

Tel Aviv. Un rifugiato scappato dallEritrea.

AFP / D. BUIMOVITCH

nel centro di detenzione israeliano di Saharonim. Il rifugio si trova nel quartiere di Shapira che, assieme al vicino Neve Shaanan, la casa di migliaia di africani. Mary saluta le donne che passano in strada. Dice: Ci conosciamo tutti qui. Abbiamo avuto esperienze simili. Ho anche ritrovato persone che erano passate per le mani di Muhammad. Erano sorpresi di vedere me e mio figlio vivi. Dice che suo figlio ancora pensa che Muhammad possa tornare a picchiarlo in qualsiasi momento: Non c stata notte in cui io e Valentine non abbiamo pianto, o giorno in cui non siamo

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stati picchiati per quei soldi. Appendevano mio figlio per il collo, perch mi decidessi a chiamare qualcuno, ma non avevo nessuno da poter chiamare. Quindici mesi di torture, di botte e stupri non bastarono a convincere Muhammad che Mary era sola al mondo. Fu il padre di lui a liberarmi. Pag il mio riscatto, dando un cammello al figlio. Continua: Ho visto gente venire uccisa perch non poteva pagare.

Spesso mi domando: ma davvero successo tutto questo e siamo ancora vivi? Non c che ringraziare Dio. Nella tragedia, Mary ha avuto fortuna. In un servizio mandato in onda in novembre, lamericana Cnn ha documentato il traffico illecito di organi collegato al Sinai. Migranti che non riescono a pagare vengono operati in cliniche mobili e poi abbandonati a morire nel deserto, mentre gli organi
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Tel Aviv. Eritrei reclamano la liberazione dei loro connazionali.

espiantati vanno a salvare qualche ricco paziente negli ospedali del Cairo. Nella clinica gestita da Physicians for Human Rights-Israel (Phr-I), a Jaffa, suor Aziza Kidan, missionaria comboniana, sente spesso storie di violenze simili a quelle subite da Mary. In un anno e mezzo, alla Phr-I sono state raccolte 819 testimonianze di clandestini entrati dal Sinai. Fame, sete, torture e morte caratterizzano la traversata. Tra gennaio e novembre 2011 le stime del ministero degli interni israeliano parlano di 13.683 infiltrati (co-

s sono definiti coloro che entrano illegalmente in Israele).

Venduti e rivenduti Suor Aziza spiega che, fino a un anno e mezzo fa, non si sapeva niente del Sinai. In clinica arrivavano feriti, depressi, donne che chiedevano di abortire, ma non si sapeva cosa avessero passato e, soprattutto, non si capiva la sistematicit delle violenze subite. Sono state le interviste ai nuovi arrivati nella clinica di Phr-I a portare alla luce lincubo che diventato il deserto egiziano.

Abbiamo scoperto il traffico di esseri umani, le torture e la grande sofferenza. stato un forte shock per tutti. Siamo stati noi i primi a lanciare lallarme. Poi, anche il Papa ne ha parlato. In una stanzetta anonima, suor Aziza e una volontaria accolgono una ventenne eritrea che arriva con il fidanzato. Lui le aveva mandato i 3mila dollari necessari per la traversata, nella speranza di potersi riunire in Israele. Il viaggio cominci con una guida, che la fece uscire illegalmente dallEritrea; poi, una volta in Sudan, la violent. La ragazza finalmente arrivata in Israele, ma si ritrova in una clinica per immigrati e chiede di abortire. Suor Aziza, con una punta di speranza: Il fidanzato ha accettato la situazione e le rimane accanto. Mentre il traffico di esseri umani rimane impunito e produce guadagni da capogiro, la violenza cresce. Ancora suor Aziza: Chi arriva in clinica a pezzi psicologicamente e fisicamente. Arrivano tutti con un sogno. Israele il paese di Ges e della Bibbia. Una volta qui, per, si ritrovano a dormire nel Levinsky Park. l, nel degradato quartiere di Neve Shaanan, che gli immigrati gravitano. Il parco vicino alla stazione degli autobus di Tel Aviv, dove

Una citt in Sud Sudan per gli africani dIsraele


arted 20 dicembre il presidente sud-sudanese Salva Kiir si recato in visita dal presidente israeliano Shimon Peres, incontrando anche il primo ministro Benjamin Netanyahu. Un incontro che conferma gli ottimi rapporti che intercorrono tra il nuovo stato africano e Israele, tra i primi paesi a riconoscere lindipendenza delle regioni meridionali del Sudan da Khartoum, in seguito al referendum del gennaio 2011, che ha dato il via libera alla secessione. forse proprio in segno di riconoscenza per il tempestivo riconoscimento, che il presidente Kiir ha dedicato a Israele la prima visita ufficiale da quando in carica. Del resto, lAfrica Orientale, a causa della sua continua conflittualit, considerata da Gerusalemme una regione di estrema importanza per il commercio delle proprie armi. Anche se la visione di Israele va ben al di l dei soli aspetti economicocommerciali. Netanyahu, infatti, ha identificato in alcuni paesi della regione possibili alleati per contenere lespansionismo arabo-islamico in Africa. In particolare Juba, Nairobi e Kampala sono riconosciute come le capitali strategiche con cui avere rapporti privilegiati. Non a caso, la visita di Kiir stata preceduta di alcune settimane da quella del primo ministro kenyano Raila Odinga, al quale Netanyahu avrebbe promesso un impegno militare maggiore nella lotta contro i ribelli islamisti somali. Gli incontri dei vertici istituzionali israeliani con Kiir includevano

anche il rafforzamento della collaborazione nei campi dello sviluppo tecnologico, dellindustria, dello sviluppo idrico e delle nuove rotte del petrolio sudanese. Il Kenya ha in cantiere la costruzione di uno scalo petrolifero a Lamu, che dovrebbe essere utilizzato anche da Juba. Nei colloqui si parlato anche degli 8.000 immigrati che, negli ultimi anni, dal Sud Sudan sono entrati illegalmente in Israele. E che fanno parte di quella massa di immigrati africani si parla di 40mila persone negli ultimi 6 anni di cui Gerusalemme vorrebbe disfarsi. Per questo, come ha raccontato il quotidiano economico israeliano Calcalist, uno dei progetti discussi tra la delegazione israeliana e quella sud-sudanese stata la costruzione in Sud Sudan di una nuova citt dove facilitare il reinserimento sociale per decine di migliaia di migranti africani che vivono attualmente in terra israeliana. Secondo il giornale, Gerusalemme pronta a partecipare alla costruzione di un campo di accoglienza immenso, grande quasi come una citt, dove raccogliere una parte dei 50mila migranti entrati illegalmente nello stato ebraico: 30mila di questi sono eritrei e 15 mila sudanesi. I dirigenti israeliani sarebbero anche disposti a pagare le loro spese di trasporto e una quota per ogni migrante, al quale verrebbero offerti corsi di specializzazione in vari settori (Giba).

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gli immigrati vengono spediti dai centri di detenzione con un biglietto di sola andata. Se non portano le ferite di un viaggio andato male, al mattino si radunano sul ciglio della strada, sperando di essere scelti per una giornata di lavoro mal pagato. Aggiunge la comboniana: Alcuni sono stati venduti e rivenduti per 3540mila dollari. Ora si trovano sulle spalle il peso di dover ripagare il debito alle loro famiglie. Ma non c lavoro e non c integrazione. Perci soffrono molto. Si trovano sperduti. Shahar Shoham, portavoce di Phr-I, convinta che si possa fare di pi a livello internazionale. Assieme ad altre ong, tra le quali le italiane Agenzia Habeisha, di padre Mussie Zerai, ed EveryOne Group, Phr-I ha denunciato la situazione nel Sinai, ha fatto i nomi dei criminali coinvolti e specificato i luoghi in cui i clandestini sono tenuti in ostaggio, torturati o usati come schiavi dai trafficanti. Dice Shoham: Sappiamo dove sono i campi di tortura e abbiamo passato le informazioni alle autorit competenti. Ci vuole unazione della comunit internazionale per fermare questo traffico di esseri umani. Bisogna arrestare i colpevoli, smantellare i campi e curare le vittime. E si pu fare ora. Al consolato egiziano di Tel Aviv, un ufficiale la pensa diversamente e punta il dito contro gli stessi irregolari, i quali, pur sapendo di rischiare la vita, dice, continuano a fidarsi di noti criminali e a pagare loro alte cifre per intraprendere un viaggio illegale. Che il Sinai sia fuori controllo, afferma lufficiale, unaccusa insensata. Gli accordi di pace del 1979 con Israele prevedono che rimanga demilitarizzato. Ma dopo i recenti attacchi al gasdotto di Al-Arish che raggiunge anche lo stato ebraico e a Eilat, lo scorso agosto, Israele ha dato il nulla osta a un aumento delle truppe egiziane. I trafficanti beduini, per, sono armati e non si sottomettono al controllo di uno stato che a malapena li considera. Nel dicembre 2010, lAlto commissariato dellOnu per i rifugiati (Acnur) fece pressione sul governo egiziano perch liberasse circa 250 migranti e pro-

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fughi detenuti nel Sinai. LEgitto assicur che si stava muovendo per localizzare e liberare gli ostaggi. A oggi, per, nulla cambiato. Le ong parlano di altre centinaia di africani detenuti in container sepolti nel deserto del Sinai. La situazione, secondo Nic Shlagman, portavoce dellArdc, peggiorata: Si innescato un tale giro di affari che si arrivati al punto in cui persone che non vogliono nemmeno emigrare vengono rapite dai campi profughi, portate nel Sinai e mandate in Israele dietro pagamento del riscatto. Nemmeno da Israele arrivano proposte per sconfiggere una rete criminaS. BOARINI

le con tentacoli che giungono fino a Tel Aviv. Lufficio stampa del ministero degli interni fa sapere che le informazioni ricevute dalle ong sono state passate alla polizia. Ma niente si mosso. C solo da augurarsi che Egitto, Israele e la comunit internazionale non vogliano ignorare questa situazione.

240 km di muro Grazie al dubbio titolo di unica democrazia del Medio Oriente, Israele rimane, comunque, lunico paese della regione in grado di garantire protezione a chi, purch non arabo, cerchi un futuro sicuro. Come ogni paese di frontiera

Un africano preso in cura da unassistente israeliana.

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Qui e sotto: proteste contro le torture degli eritrei nel Sinai.

nelle rotte globali della migrazione, fatica a far fronte alla situazione. Allinizio del 2012, Israele ha approvato una legge che inasprisce le misure contro i migranti irregolari. Per evitare infiltrazioni come si legge nel testo la nuova normativa consente la detenzione fino a tre anni, senza processo, di chi attraversa il confine privo permesso, senza distinzione neanche per i minori. Non solo: chiunque aiuti i migranti, anche se operatore umanitario, pu essere condannato fino a 15 anni di carcere. Lo scopo della legge impedire che i migranti, rifugiati compresi, entrino in Israele, ignorando la Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato, ratificata anche da Tel Aviv nel 1952, ha dichiarato lAssociazione per i diritti civili (Acri). Il governo, in dicembre, ha varato un piano da 167 milioni di dollari per arginare il flusso dei migranti, che prevede, oltre allestensione della durata della detenzione, anche la realizzazione di un muro lungo i 240 km che dividono lEgitto da Israele, multe per i datori di lavoro che assumono in nero gli irregolari e lelaborazione di una strategia per il rimpatrio dei migranti. Erano stati proprio gli accordi LibiaItalia del 2009, rinnovati di recente dal governo Monti, a innalzare, a suo tempo, un invisibile muro sulle coste della Libia e a contribuire allimpennata migratoria verso Israele. Tra il 2010 e il 2011, infatti, dal Sinai sono entrati circa 28mila illegali, pi del doppio di quanti

ne erano entrati tra il 2005 e il 2009. Si parla di cristiani e musulmani, che qui minacciano non solo leconomia, ma anche il carattere ebraico dello stato. Seduto in un bar eritreo vicino al Levinsky Park, Hail Mengisteab, trentaquattrenne presidente del Comitato della comunit eritrea in Israele, convinto che non ci sia muro che possa bloccare la determinazione di chi vuole una vita migliore. Lui stesso, dopo vari tentativi di raggiungere lItalia dalla Libia, non ha rinunciato, ma ha solo cambiato destinazione. Mentre il nord del mondo sillude che, chiudendosi a riccio, possa risolvere un problema globale e mentre Netanyahu si prepara a visitare lAfrica per discutere il rimpatrio di sudanesi ed eritrei
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(vedi box), gli unici a non perdere di vista il contesto e lorigine della loro situazione sono gli immigrati stessi. Gli eritrei in Israele sono il 61% dei profughi. Raggruppati in varie organizzazioni, si adoperano sia a sensibilizzare la societ israeliana alle difficolt degli immigrati, sia a ottenere sostegno dalla comunit internazionale per far cadere la dittatura di Isaias Afwerki, che da 18 anni tiene le loro vite sotto completo controllo. Coscrizione obbligatoria che vede giovani trascorrere decenni nellesercito, mancanza di libert di stampa, incarcerazioni arbitrarie e persecuzione religiosa sono alcuni dei problemi a cui i profughi eritrei cercano di sfuggire. Afferma Mengisteab: La classe politica che ci governa ci definisce traditori. I traditori sono loro: hanno perso qualsiasi legittimit. Assieme ad altre organizzazioni della diaspora eritrea nel mondo, il comitato lavora sodo per coronare le ambizioni democratiche degli eritrei. Il legame con la propria terra rimane forte. Mengisteab sa di dar voce anche alle speranze dei suoi connazionali, quando dice di voler tornare al pi presto in unEritrea libera: Mi mancano la mia lingua, le mie montagne e le mie tradizioni. Sono ricordi e unidentit che non si possono ritrovare nella musica di sottofondo e nelle decorazioni colorate di un bar eritreo a Tel Aviv.

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