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CAPITOLO 9

Il puzzle si sta ricomponendo …

Commissari disse alla signora di tenersi a disposizione e nel frattempo con il Colombo e
Poirot cercò di indagare. Nella mente di Commissari balenavano tutti gli indizi rimasti
irrisolti: “Leonardo e Michele come e perché erano coinvolti nei rapimenti? Lo specchietto
come era finito nella borsetta? A chi apparteneva il DNA trovato nel rossetto e
sull'unghia?" e proprio quando rifletteva si accorse che una delle vie che erano state
controllate dalle telecamere era vicina all’hotel dove alloggiava il milanese.

I tre andarono subito a controllare quella zona. Tutto sembrava tranquillo. Colombo pensò
di approfittare dell’occasione per andare dalla moglie in hotel e aggiornarla sul caso. La
decisione fu tuttavia infelice per lui. La Carla, dopo che il Giulio bussò alla porta della
camera, lo accolse in malo modo, sbottando: «La sparizione di questo cane è diventata
un’ossessione, sei sempre impegnato nella sua ricerca e non stai mai con la tua famiglia!»

Colombo annuì mestamente senza dare una risposta.

Nel frattempo Poirot disse: «Avez-vous trouvé des indices?»

Carla rispose stizzita: «E ora chi è questo!?»

Colombo continuò: «È un nostro amico che collabora con le indagini».

La donna replicò ironicamente: «Ci manca solo il Poirot, qui!», facendo allusioni sul suo
aspetto e Commissari tra sé e sé disse: “Non manca mai l’articolo prima del nome, eh!”.

Appena usciti dall’hotel il brigadiere iniziò a pensare che i dettagli raccolti non potevano
ricondurre alla Carla: sarebbe stato troppo facile, troppo ovvio.

All’indomani in ufficio incontrò Colombo. La sua insistenza stava diventando insopportabile


e precisò, una volta per tutte: «Mi deve dare il tempo e il modo di analizzare i fatti. Si
ricordi che già le ho permesso tanto, come assistere a un interrogatorio, per cui lasci a noi
Carabinieri il compito di risolvere il caso».

Colombo, ammutolito per la risolutezza di Commissari, si acquietò e decise di andare via.

Pensò di ritornare all’albergo, accompagnato da Guardalavecchia e da Poirot, spinto


dall’intuito.
Lungo la strada, in auto, il giovane appuntato osservò: «Sa, brigadiere, in questa storia
tutti sembrano avere un movente ma nessuno, poi, ha realmente commesso il reato.
Sento che siamo vicini, ma è come se ci allontanassimo ogniqualvolta pensiamo di essere
vicini. Ci vorrebbe un guizzo…»

Fu allora che a Commissari venne in mente una massima che per un buon investigatore
rappresenta una verità incontrovertibile: “Quando hai escluso l’impossibile ciò che resta,
per quanto improbabile, è la verità”.

Non amava le citazioni, ma in questo caso Arthur Conan Doyle, il creatore di Sherlock
Holmes, aveva ragione. Bisognava seguire questa traccia. Ciò che poteva essere
improbabile, poteva essere vero.

Dalle ricerche chi aveva escluso e chi no? Iniziò a rimuginare, ma intanto arrivarono
all’hotel e salirono al piano del Piccion …, pardon, Colombo.

Poirot si accorse che c’erano delle impronte per terra che conducevano verso la porta
della scala antincendio dell’albergo e decise di seguirle. Improvvisamente esse
terminarono davanti a un mobiletto di colore marrone con delle maniglie in ottone. Serviva
la chiave, ma Guardalavecchia decise di fare l' “Arsenio Lupin” della situazione e di
forzarlo.

«Ci penso io, brigadiere. Il tempo di cercare gli attrezzi giusti e provvedo!»

«E bravo Guardalavecchia» disse Commissari sorridendo, e continuò: «Sai anche


scassinare serrature, oltre che a essere “scassaombrelli”».

L’appuntato rispose strizzando l’occhio e andò a recuperare il necessario.

Intanto il Bell’Antonio, incuriosito, spostò il mobiletto. Rimase sorpreso nel vedere un


vecchio foglio rovinato dal tempo: sembrava essere una mappa. Quella poteva essere la
pista giusta.

Su di essa era raffigurato un percorso non molto lontano dal Pincio. In un punto in
particolare c’era una croce rossa. Purtroppo, però, risultava strappata.

«Riconosco quel posto», disse Poirot. E aggiunse: «Se non ricordo male, in quella zona si
trova una vecchia casa abbandonata».
Guardalavecchia tornò ben presto e finalmente aprì il mobiletto. Dentro, con grande
sorpresa, ce n’era un’altra. Questa volta non era rovinata e ingiallita come la prima, ma
sembrava messa lì da poco tempo. Era più completa della precedente, e recava anche
degli appunti a margine.

Sembravano scritti da ragazzi e…

In quel momento si aprì la porta dell’ascensore e videro uscire il dottor Colombo, che non
appena li vide disse: «Se non è Maometto che va alla montagna, è la montagna che va da
Maometto».

La battuta interruppe il flusso dei pensieri di Commissari che, quasi indispettito dall’essere
stato interrotto in un momento in cui stava cercando di riflettere, contrabbatté,
ironicamente: «E già, adesso disturbiamo pure Maometto».

Il milanese un po’ arrossì, un po’ rimase interdetto dalla risposta brusca.

Guardalavecchia intervenne: «Il brigadiere è in fase creativa, e quando sta così, guai a
fare gli spiritosi!»

Colombo annuì. Poirot lo chiamò in disparte e gli ragguagliò gli ultimi sviluppi.

«Sa» - disse lo “scassaobrelli” per eccellenza - «da qualche giorno il Leo sale e scende
più frequentemente dalla camera. Spesso torna dopo un bel po’ e quando gli chiedo dove
sia stato o cos’abbia fatto, mi risponde evasivamente. Tuttavia, mi sono accorto che parla
con un certo Michele di cose strane, come un codice segreto tra ragazzi…»

Poirot ascoltava attentamente, e Commissari, passata la momentanea arrabbiatura, prestò


orecchio alla conversazione e si avvicinò.

Gli chiese allora: «Linguaggio in codice? E sarebbe?»

«Positivi e negativi … Poi pix… non so cosa»

«Pixel, forse?» - disse Guardalavecchia - «Sì, proprio quelli… ».

«Comunque, girava sempre con lo smartphone, e ultimamente mi ha chiesto se sapessi


usare le macchine fotografiche. Mah… Chi ci capisce, è bravo!»

Commissari s’illuminò. Forse, senza volerlo, il dottor Colombo gli aveva suggerito una
pista da seguire.
L’azione più immediata da compiere era, per ora, quella di individuare quel luogo
misterioso e cercare gli animali scomparsi.

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