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Commissari disse alla signora di tenersi a disposizione e nel frattempo con il Colombo e
Poirot cercò di indagare. Nella mente di Commissari balenavano tutti gli indizi rimasti
irrisolti: “Leonardo e Michele come e perché erano coinvolti nei rapimenti? Lo specchietto
come era finito nella borsetta? A chi apparteneva il DNA trovato nel rossetto e
sull'unghia?" e proprio quando rifletteva si accorse che una delle vie che erano state
controllate dalle telecamere era vicina all’hotel dove alloggiava il milanese.
I tre andarono subito a controllare quella zona. Tutto sembrava tranquillo. Colombo pensò
di approfittare dell’occasione per andare dalla moglie in hotel e aggiornarla sul caso. La
decisione fu tuttavia infelice per lui. La Carla, dopo che il Giulio bussò alla porta della
camera, lo accolse in malo modo, sbottando: «La sparizione di questo cane è diventata
un’ossessione, sei sempre impegnato nella sua ricerca e non stai mai con la tua famiglia!»
La donna replicò ironicamente: «Ci manca solo il Poirot, qui!», facendo allusioni sul suo
aspetto e Commissari tra sé e sé disse: “Non manca mai l’articolo prima del nome, eh!”.
Appena usciti dall’hotel il brigadiere iniziò a pensare che i dettagli raccolti non potevano
ricondurre alla Carla: sarebbe stato troppo facile, troppo ovvio.
Fu allora che a Commissari venne in mente una massima che per un buon investigatore
rappresenta una verità incontrovertibile: “Quando hai escluso l’impossibile ciò che resta,
per quanto improbabile, è la verità”.
Non amava le citazioni, ma in questo caso Arthur Conan Doyle, il creatore di Sherlock
Holmes, aveva ragione. Bisognava seguire questa traccia. Ciò che poteva essere
improbabile, poteva essere vero.
Dalle ricerche chi aveva escluso e chi no? Iniziò a rimuginare, ma intanto arrivarono
all’hotel e salirono al piano del Piccion …, pardon, Colombo.
Poirot si accorse che c’erano delle impronte per terra che conducevano verso la porta
della scala antincendio dell’albergo e decise di seguirle. Improvvisamente esse
terminarono davanti a un mobiletto di colore marrone con delle maniglie in ottone. Serviva
la chiave, ma Guardalavecchia decise di fare l' “Arsenio Lupin” della situazione e di
forzarlo.
«Ci penso io, brigadiere. Il tempo di cercare gli attrezzi giusti e provvedo!»
Su di essa era raffigurato un percorso non molto lontano dal Pincio. In un punto in
particolare c’era una croce rossa. Purtroppo, però, risultava strappata.
«Riconosco quel posto», disse Poirot. E aggiunse: «Se non ricordo male, in quella zona si
trova una vecchia casa abbandonata».
Guardalavecchia tornò ben presto e finalmente aprì il mobiletto. Dentro, con grande
sorpresa, ce n’era un’altra. Questa volta non era rovinata e ingiallita come la prima, ma
sembrava messa lì da poco tempo. Era più completa della precedente, e recava anche
degli appunti a margine.
In quel momento si aprì la porta dell’ascensore e videro uscire il dottor Colombo, che non
appena li vide disse: «Se non è Maometto che va alla montagna, è la montagna che va da
Maometto».
La battuta interruppe il flusso dei pensieri di Commissari che, quasi indispettito dall’essere
stato interrotto in un momento in cui stava cercando di riflettere, contrabbatté,
ironicamente: «E già, adesso disturbiamo pure Maometto».
Guardalavecchia intervenne: «Il brigadiere è in fase creativa, e quando sta così, guai a
fare gli spiritosi!»
Colombo annuì. Poirot lo chiamò in disparte e gli ragguagliò gli ultimi sviluppi.
«Sa» - disse lo “scassaobrelli” per eccellenza - «da qualche giorno il Leo sale e scende
più frequentemente dalla camera. Spesso torna dopo un bel po’ e quando gli chiedo dove
sia stato o cos’abbia fatto, mi risponde evasivamente. Tuttavia, mi sono accorto che parla
con un certo Michele di cose strane, come un codice segreto tra ragazzi…»
Commissari s’illuminò. Forse, senza volerlo, il dottor Colombo gli aveva suggerito una
pista da seguire.
L’azione più immediata da compiere era, per ora, quella di individuare quel luogo
misterioso e cercare gli animali scomparsi.