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RIFLESSIONI TRA LE RIGHE (DI UNA BRUTTA POESIA IN ATTO DI COMPOSIZIONE)

“Un angelo in pigiama?” pensò, guardando stranito quello che aveva appena scritto. “E’ davvero
melliflua questa immagine. Mi pare di scrivere come un ragazzino pieno di sdilinquimento!”.
Provava quasi imbarazzo di fronte a quelle parole così insipide e scialbe e si vergognava
doppiamente proprio perché era stato lui stesso a partorirle. Ma se ne fece subito una ragione:
“Vabbè, anche i versi precedenti non si distinguono certo per chissà quale levatura e comunque per
una poesiucola buttata lì in cinque minuti ci può anche stare di non scrivere un capolavoro della
letteratura mondiale e poi, diciamoci la verità, non è che sia mai stato un grande scrittore in ogni
caso, quindi…chi se ne frega!”.
Era a Firenze. Casa di studenti. La sera prima avevano fatto baldoria. Erano svegli ancora a metà in
quel mattino invernale dal sole pallido. I suoi degni compagni di sbronze avevano deciso, per fare
qualche risata, che doveva scrivere una poesiola da dedicare a una delle due ragazze che li avevano
ospitati a dormire, alla quale lui la notte passata, mentre erano in giro per la città, aveva
scherzosamente fatto un po’ di corte. O almeno questo era ciò che si ricordava della sera prima (il
fatto di aver fatto un po’ di corte, mezzo fatto, a quella ragazza; ma forse, di fatto, non l’aveva fatto
affatto e invece i suoi ricordi si erano fusi con qualche sogno, grazie ai fumi che l’alcol aveva fatto
nel suo cervello. In abbondanza. E quest’ultimo è senza dubbio un fatto).
Si era messo da solo in una stanza da letto per cercare di concentrarsi un minimo, mentre gli altri lo
aspettavano al di là della porta, in sala da pranzo. Lo avevano munito di un pennarello nero e due
scottex.
Pensava: “Certo, ieri facevo il buffone… ma devo dire che questa ragazza in qualche modo mi
intriga sul serio...”. Scrisse un’altra rima, senza rifletterci molto. “Comunque riuscire a scrivere con
un pennarello su uno scottex è una cosa odiosamente irritante, che cazzo!” Guardò il foglio. “Come
potrei continuare qui?”. Aveva già buttato su carta cinque o sei rime sciatte e non sapeva
minimamente come andare avanti.
«DAI, QUANTO CI METTI!! VIENI A DECLAMARE! FORZA, SU!!» lo apostrofarono dall’altra
stanza i suoi due degni compagni di sbronze, con i quali stava gozzovigliando impunemente da
ormai tre giorni di fila.
“Fanculo” pensò, “già ragionare col doposbronza è difficile, poi pretendono anche che mi metta a
scrivere stupide filastrocche e che continui a fare il giullare a oltranza e credono anche che sia
facile... ce li vorrei vedere loro a mettere due parole in croce in cinque minuti e sotto pressione,
dopo tre giorni non stop di bagordi, mancanza di sonno e fatica accumulata a scorrazzare per musei
e mete d’arte, senza sembrare dei perfetti idioti... o sembrando dei perfetti idioti volutamente... che
in realtà non è poi così semplice come sembra...”.
I pensieri continuavano ad accavallarsi e affastellarsi stanchi, come in una rissa a rallentatore, senza
una precisa logica. Un colpo da destra, un altro da sinistra, poi un gancio, un diretto, un colpo alle
spalle, senza che ci fossero né vinti né vincitori. Dietro la porta della camera sentiva parlare i degni
compagni di sbronze con le ragazze. Guardò il foglio, o meglio, lo scottex.
“Come diavolo proseguo qui?... vediamo… -bella come il sole-… naaaaah…”, rimase un attimo in
sospensione e subito dopo si ritrovò a pensare a tutt’altro. “…l'altra sera a Venezia parlavamo de
"La pioggia nel pineto" di D’Annunzio... -Ascolta. Piove-… …già, mentre eravamo in albergo,
ubriachi, provavo a spiegare la grandezza di questo verso, ma non so quanto fossi in grado di
articolare un discorso compiuto e loro di recepirne uno... -Ascolta. Piove-… che poi secondo me la
poesia potrebbe benissimo ridursi a quel solo verso e avrebbe già detto tutto… …è solo ieri che
eravamo a Venezia?!? sembrano millenni fa...”
Guardò il foglio.

-bella come la pioggia-


La frase -bella come il sole- si era modificata nella mente con una sorta di riflesso automatico, come
se non fosse riuscita a parare il colpo sferrato poco prima dal pensiero sul verso di D’annunzio. La
mano aveva scritto -bella come la pioggia- in modo del tutto meccanico, senza che lui se ne
rendesse quasi conto. Fissava il foglio.
“Ora mi metto anche a riciclare D’Annunzio così, a caso, seguendo vaghe e flebili analogie?
...bah… …però in effetti… è un'immagine che mi pare abbastanza calzante...”

-bella come la pioggia-

“...sì, ieri lo notavo… ha un ché di malinconico nello sguardo… è uno sguardo dolce, ma di quella
dolcezza che sembra presupporre come elemento sine qua non una lontana e indefinita tristezza, una
malinconia antica raggomitolata nel profondo degli occhi... un sentimento di pioggia in effetti...
…mi sono perso, di cosa stavo ragionando?… ah, sì! Quello sguardo dolce che esprime un
sentimento di pioggia… ma che cos’è esattamente un sentimento di pioggia? Mmm… in realtà
credo di non saperlo bene nemmeno io…”

Si strofinò il mento con una mano mentre con le dita dell’altra picchierellava nervosamente sul
pennarello. Cercò di concentrarsi sulla rima che gli mancava per continuare la poesiola, ma i suoi
pensieri scivolarono di nuovo, involontariamente, alle confuse riflessioni appena interrotte.

“… in realtà la pioggia è solo pioggia, precipitazione meterelogica, manifestazione di una natura


sempre e comunque indifferente. E forse,come diceva Montale, è proprio la divina indifferenza
l’unico bene possibile, un bene che consiste in un puro esistere senza tempo e senza memoria;
dunque “la statua nella sonnolenza del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato” del buon
Montale, nella loro indifferenza, equivalgono esattamente alla pioggia. Ma a noi miseri esseri umani
purtroppo non è data la possibilità (neanche a chi ci prova con tutte le forze) di slegarci
completamente dalle nostre personalissime percezioni, sollevandoci a uno stato divino di
indifferenza totale. Riversiamo noi stessi nel mondo che ci circonda in continuazione, senza posa, e
ogni cosa vive inevitabilmente del nostro mondo interiore. Forse solo i bambini riescono a non
proiettare loro stessi nella realtà che li circonda. Per i bambini la pioggia è solo una cosa fastidiosa,
semplicemente una noia, una mera contingenza che impedisce loro di giocare. L’infanzia candida
non può concepire un sentimento di pioggia perché l’essere in quell’età è tutto proteso nel
momento, avido di scoperte, ingordo di presente, e il “sentimento di pioggia” è all’opposto
sentimento della memoria e dell’angoscia del futuro.”

Guardò il foglio. Era ancora mezzo sbronzo. Lui, non il foglio. (…è molto facile scrivere male…
e su questo non ci piove!). Riprese a pensare.

“…piogge di parole sono state scritte sulla pioggia, probabilmente proprio perché per analogia il
cadere continuo delle gocce stimola a far cadere le parole sul foglio… o forse perché la pioggia è
nell'anima tristezza di ciò che non sappiamo e ciò che sentiamo ma non sappiamo, ciò che è vago e
indefinito pare essere poetico per definizione e quindi giustifica la convinizione che basta essere
vaghi e indefiniti per essere poeti. Peccato che non tutte le piogge di parole siano piogge propizie,
anzi, per la maggior parte o sono delle pioggiarelle sciatte e insulse o sono piogge di caramelle e
zuccheri filati, di una stucchevolezza che ricopre il mondo di melassa, piogge che mi fanno venire
la nausea. Ma, al di là della repulsione da dolciumi che mi danno alcune manifestazioni poetiche di
bassa lega, è innegabile che la pioggia possa nascondere un lontano e segreto bisogno di tenerezza.
Quando piove, e intendo quando piove davvero, non lievi piogge primaverili o acquazzoni fugaci
(che possono ispirare, perché no, anche sentimenti briosi), quando piove davvero, diciamo durante
l’arco di un’intera giornata, la pioggia diventa un sentimento di condivisione mancata. Credo che
ognuno abbia avuto, almeno in un singolo momento della vita, una persona nel cuore con cui
avrebbe voluto guardare fuori, mentre fuori pioveva. E’ la nostalgia terribile di un’amicizia perduta,
di un amore perduto, di una vita perduta. E’ il fatale sentire che la mancanza è universale ed è anche
l’illusione inquieta di un domani impossibile.”

Alzò gli occhi dal foglio, che stava fissando immobile, e si guardò un attimo intorno, come se si
fosse appena ripreso da uno stato onirico, quasi stupito che ci fosse ancora un mondo intorno a lui.

-bella come la pioggia-

“…con che faccio la rima adesso?”

«DAI!! CI SIAMO ROTTI DI ASPETTARE!!! VIENI FUORI DA LI’!»

-sei bella come la pioggia/una malinconia dolce in una giornata a Foggia-

“eheheh… veramente una rima pessima ma mi fa sorridere dai... la tengo.”

«HAI FINITO O NO!?»

«HO QUASI FATTO! UN SECONDO!!!», rispose con il loro stesso volume e tono di voce
buffonesco, ma essendo in realtà con la testa da tutt’altra parte.
Continuava a pensare: “Chissà da cosa deriva quello sguardo di pioggia... cosa celano quegli occhi?
Qual è la storia che raccontano e al contempo nascondono? La storia che nella scintilla di un attimo
sembra affiorare dal loro fondo e che l’attimo dopo nel loro fondo si è già inabissata?”

E proprio nel tempo di un attimo una nuova prospettiva attraversò la sua mente come una fucilata;
un’esplosione di luce dietro agli occhi e poi un sordo ronzio nelle orecchie di qualcosa che andava
in frantumi, che si sgretolava in lontananza. Rimase attonito per qualche attimo poi sopraggiunse un
brivido di sconforto che gli attraversò tutto il corpo.

“Forse mi sbaglio, forse mi sbaglio in pieno! Forse sono solo io, proprio come si fa con la pioggia,
che sto proiettando le mie personali sensazioni in occhi altrui, avendo il bisogno di vedere in essi
una qualche forma di empatia, una anche flebile conferma di affinità, che acquieti la mia sete di
tenerezza, il mio fatale sentire che la mancanza è universale e la mia illusione inquieta di un domani
impossibile. Quegli occhi, probabilmente, non vogliono comunicarmi niente se non il loro completo
disinteresse nei miei confronti e riguardo ai miei patemi...
…la solitudine è orribile… o meglio, la solitudine è una medaglia a due facce, è Giano Bifronte, è
una strada piena di bivi in cui è tanto facile imboccare il sentiero di una stupenda grazia quanto
quello di una tremenda condanna. Spesso ho conosciuto la faccia radiosa della solitudine, spesso
quella di tenebra; e proprio in questo periodo so di essere ancora una volta (errore che non avrei
voluto compiere di nuovo) su un sentiero foriero d’ombra e di cupe meditazioni ... "Nel mezzo del
cammin di nostra vita/mi ritrovai per una selva oscura […]" …eh già…eppure basterebbe una sola
persona con cui avere un vero colloquio interiore, per fare in modo che tutto il resto sembri più
facile... l’incontro di due solitudini che riconoscendosi si sorreggono vicendevolmente… esiste
forse un altro tipo di salvezza? …come la concludo questa boiata che sto scrivendo?”

Si arrotolò le maniche del golf sopra ai gomiti, come a prendere lo spirito giusto per mettersi a
lavorare sodo, e vide sul braccio sinistro la scritta a pennarello nero HO PROBLEMI! che i degni
compagni di sbronze gli avevano fatto la notte prima, quando si era addormentato.
“Che teste di cazzo!”, pensò sorridendo e scuotendo leggermente la testa. “…in fondo gli voglio
bene, sono due simpatici cazzari, ma sinceramente non ho mai capito gli scherzi di questo tipo;
cioè, non me ne frega nulla se mi capita di esserne vittima, non me la prendo di certo, ma non
capisco come ci si possa divertire a farli. Uno scherzo di questo genere non implica nessuna
brillantezza mentale. Nessuna abilità di escogitazione. Si approfitta solo dell’impossibilità di reagire
da parte di chi lo subisce... e comunque sì, HO PROBLEMI, ho problemi a capire il funzionamento
della mia mente, figuriamoci quella degli altri! Quasi mi spaventa e mi lascia senza fiato
immaginare che tutti coloro che mi circondano siano dei crogioli di pensieri in cui parole e figure si
amalgamano come metalli allo stato di fusione, in modo incessante... se i pensieri facessero rumore
il mondo sarebbe assordante! Quanti stridori, rumori, boati! Quanta spazzatura si accumulerebbe!
Quanta spazzatura sto producendo io stesso in questo momento!”

Aveva quasi finito lo spazio concessogli dai due scottex che stava usando per scrivere e doveva
quindi trovare una conclusione secca alla poesia.
‘Dovrei metterci un fulmen in clausola con effetto comico... mi piace riuscire a far ridere le
persone... è una delle poche cose buone che ogni tanto riesco a fare... amo quella sensazione quando
tutto sembra venir cancellato via da una risata… vai, ora concludo la poesia con un bel “si tromba?”
che dovrebbe, pur nella sua pesantezza da spirito toscano popolaresco, riuscire a strappare una
risata... spero.’

«OOOH ALLORA?!! CI SEI??!»

«SI’ SI’ HO FINITO!»

Rilesse velocemente quello che aveva scritto, tappò il pennarello, fece un sospiro. Si alzò e andò
nell'altra stanza a declamare la poesiola:

«Ospiti in una casa a Firenze


Come sempre sbeffeggiando le umane scienze
Con quell’inquietudine interiore
Che strepita con gran clangore
Ma ovattata un po’ così a modo nostro
Con l’alcol che fa sembrare il mondo meno storto
Ebbi di colpo un’epifania
Così come mi aveva predetto una zia
Quando ero ancora piccolo e innocentemente ignaro
Ma ora, eccolo! Il momento è giunto
La mirabile visione di un angelo in pigiama
Mi è apparsa e ora posso dire: “sì, anche il mio cuore ama!”
Paola, sei bella come la pioggia
Una malinconia dolce in una giornata a Foggia
Ma ora è finito lo scottex, purtroppo
E anche se la voce trema e in cuore ho un groppo
Lo dico…: Si tromba?»

Risate e applausi. La vita è bella. A volte.

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