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Fatalità
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Fatalità
AUTORE: Negri, Ada
TRADUTTORE:
CURATORE: Il testo è tratto da una copia in formato
immagine presente sul sito Internet Archive
(http://www.archive.org/).
Realizzato in collaborazione con il Project
Gutenberg (http://www.gutenberg.net/) tramite
(Distributed proofreaders (http://www.pgdp.net/).
DIRITTI D'AUTORE: no
INDICE DI AFFIDABILITA': 1
0: affidabilità bassa
1: affidabilità media
2: affidabilità buona
3: affidabilità ottima
DIGITALIZZAZIONE:
Distributed proofreaders, http://www.pgdp.net/
REVISIONE:
Maria Grazia Gentili
IMPAGINAZIONE:
Claudio Paganelli, paganelli@mclink.it
PUBBLICAZIONE:
Claudio Paganelli, paganelli@mclink.it
FATALITÀ
MILANO
FRATELLI TREVES, EDITORI
1911
PROPRIETÀ LETTERARIA.
I diritti di riproduzione e di traduzione sono
riservati per tutti i paesi, compresi la Svezia, la
Norvegia e l'Olanda.
! PREFAZIONE
! FATALITÀ
! SENZA NOME
! NON MI TURBAR....
! VA L'ONDA....
! BIRICHINO DI STRADA
! SON GELOSA DI TE!...
! STORIA BREVE
! AUTOPSIA
! NEVICATA
! NEBBIE
! NOTTE
! FIN CH'IO VIVA E PIÙ IN LÀ
! SULLA BRECCIA
! BUON DÌ, MISERIA
! VEGLIARDO
! IL CANTO DELLA ZAPPA
! I VINTI
! MANO NELL'INGRANAGGIO
! LA MACCHINA ROMBA
! POPOLANA
! FIOR DI PLEBE
! BACIO PAGANO
! CAVALLO ARABO
! TE SOLO
! SINITE PARVULOS....
! NENIA MATERNA
! NELL'URAGANO
! LUCE
! PORTAMI VIA
! PUR VI RIVEDO ANCOR....
! STRANA
! PERCHÈ
! SFIDA
! SALVETE
! PIETÀ!...
! VA
! NO
! CANTO D'APRILE
! MADRE OPERAIA
! NON POSSO
! FANTASMI
! VIAGGIO NOTTURNO
! ANIMA
! AFA
! TU VUOI SAPER?...
! VIENI AI CAMPI...
! FRA I BOSCHI CEDUI
! CASCATA
! MISTICA
! HAI LAVORATO?
! A MARIE BASHKIRTSEFF
! IN ALTO
! SOLA
! SPES
! VEDOVA
! ROSA APPASSITA
! DEFORME
! VOCE DI TENEBRA
! MARCHIO IN FRONTE
! VATICINIO
! LARGO! 247
PREFAZIONE
ADA NEGRI1
Sta a Motta-Visconti. Questo lo si sa perchè tutte le sue poesie
portano ai piedi, a sinistra, questa indicazione. Ma chi è Ada
Negri? Perchè non scrive che sull'Illustrazione Popolare? Perchè
non esce fuori in piena luce e nessuno l'aiuta a uscir fuori?
Io mi dibatto, maledico e piango,
Ma passa il mondo e ride o non mi sente.
Perchè nessuno l'ascolta?
Questo si chiedevano, soltanto pochi mesi fa, gli abbonati del
Corriere della Sera, e dell'Illustrazione Popolare; anche quelli
che di versi non s'intendono, e non si curano, ma tutti, davanti
alla poesia di Ada Negri, s'erano sentiti presi e scossi.
Strano davvero che, così conosciuta e ammirata privatamente,
ella non trovasse modo di sbucar dalla siepe che fiancheggiava il
suo sentiero e non potesse uscir fuori liberamente sulla strada
maestra.
Ma forse è stato per il suo meglio: questa lotta contro ostacoli che
non sapeva che fossero, questa sete di gloria non mai appagata,
aiutarono certo ad accendere in lei quella fiamma che riscalda
ormai tutta la sua poesia, dandole un'impronta così sentita, così
nuova, così sua.
I suoi lettori sono andati man mano comprendendo che il dolore
dei suoi versi è dolore vero, che questa creatura giovane deve
aver sofferto come se avesse già vissuto una lunga vita, e finirono
1
È ormai costume generale presentare conferenzieri e poeti, la prima volta che
compariscono dinanzi al pubblico. A presentare Ada Negri, ricorriamo ad un
mezzo semplicissimo e che ci pare il migliore: riprodurre l'articolo che già nel
dicembre scorso un'altra gentile e valente scrittrice le dedicò nel Corriere della
Sera.
(Nota degli Editori)
col tenersi sicuri che, conscia del suo ingegno com'essa è, forte
della sua triste esperienza, sarebbe balzata fuori da un momento
all'altro al sole di quella gloria che sogna con tanto ardore.
La «bieca figura» che le appare una notte al capezzale e si chiama
sventura, dopo averla atterrita col profetarle tutto quello che è
destinata a soffrire, le dice:
.... A chi soffre e sanguinando crea
Sola splende la gloria.
Vol sublime il dolor scioglie all'idea.
Ed ella, che l'aveva respinta, le risponde: Resta.
La sventura! come si sente ch'essa fu la compagna della
giovinezza di Ada Negri! forse fin da bambina seppe
.... le notti insonni e l'inquïeto
Pensier della dimane.
fors'anche conobbe «i giorni senza pane»...
Crebbi col buio intorno e qui nel core
Una feroce nostalgia di sole.
A diciott'anni saluta sua madre e parte da Lodi per il suo posto di
maestra a Motta-Visconti: una grossa e grassa borgata della bassa
dove però non arrivano ancora neppure le rotaie di un tram; è là
come dimenticata sul ciglione del Ticino dove si stendono
boscaglie conosciute dai cacciatori milanesi, e dove Ada Negri va
ad ascoltare le voci del vento che sale,
Punge, penètra, sibila, travolge,
Fiero scotendo l'ale.
Ada Negri, quando i tuoi versi usciranno raccolti in volume,
molte cose si vorranno dire e si inventeranno intorno alla tua
persona e alla tua vita. Lascia ch'io dica prima almeno un poco
della melanconica verità; essa è un onore per te, e alla tua povertà
un giorno tu ripenserai con dolcezza e con gratitudine, poichè ad
essa devi in gran parte quello che sei.
Lasciaci dunque attraversare il vasto cortile fangoso, su cui
s'aprono le stalle e dove guazzano le oche, per venir a bussare al
tuo uscio screpolato, salendo i due alti scalini di mattoni rotti. Noi
veniamo a salutarti nella tua stanza dove la luce è fioca perchè
alla finestra non vi sono vetri ma impannate di carta, dove il
mobile più elegante è la cassa de' tuoi libri che ti serve da
divano.... Il nostro cuore si stringe al primo momento, ma poi
s'allarga, gonfio di commozione e d'ammirazione.
*
È in un giornale letterario, se non sbaglio, che uscì Madre
operaia, la descrizione di quel lanificio dove lavora senza posa
una povera donna stanca e affievolita, la cui fronte patita è come
illuminata da una nobile fierezza perchè essa lavora per suo figlio
che deve studiare:
.... Suo figlio, il solo,
L'immenso orgoglio della sua miseria,
Cui ne la vasta e seria
Fronte del Genio essa divina il volo.
Chi, leggendo, non ha pensato che forse si doveva dire una figlia?
La povera donna stanca e malata che ha lavorato tutta la vita, ora
è là rifugiata presso la figliuola e attende, trepida e pensosa,
l'avvenire luminoso in cui la bruna testa sarà cinta «di oro e di
lauro».
Sta forse per arrivare il gran giorno? Ecco che da ogni parte
d'Italia giungono lettere, giornali e libri, e il nome della sua
figliola è dappertutto, e il pavimento n'è ingombro ed ella vi
cammina sopra con venerazione.
Sì, il nome della tua figliola è conosciuto, ma nessuno sa chi ella
sia ed ella non conosce nessuno, e dovrà ancora per qualche
tempo andarsene in zoccoli alla sua scola, dove un'ottantina di
ragazzi le strillano il buongiorno e mettono a prova la sua
pazienza coi nasi che colano e l'ostinazione di voler gridare tutti
insieme le lettere dell'alfabeto.
Sua madre la vede tornare col viso pallido, colle mani che
bruciano, gli occhi che balenano, e trema per paura che sia
malata. È l'intenso sforzo di vivere due vite, di ascoltare due voci:
mentre ode quelle del di fuori, e parla e risponde e compie rigida
e ferma il suo dovere, dentro ha mille altre voci che le parlano,
una musica strana che le sale dall'anima e vorrebbe prorompere,
ma non lo può che nella notte alta, quando tutto tace intorno a lei
e il dovere della sua giornata è compiuto.
È allora che un immenso radiante orizzonte le si apre dinanzi. Chi
legge i suoi versi può pensare ch'ella ha tutto visto e conosciuto:
ma non conosce che la solitudine e la sventura: un mondo buio e
freddo dal quale la luce del di fuori appare abbagliante, e più
dolce e tepido che non sia, il mondo dei fortunati.
Ada Negri ha letto pochissimi libri moderni ma li conosce tutti
dalle varie opposte critiche dei giornali letterari, ed è curioso
come del male e del bene che se ne dice ella afferra il vero! Non
ha mai visto un teatro, ma è entusiasta della Duse ed è presa in
questi giorni da una smania di sentirla e vederla che non lascia
pensare ad altro: sono sempre i suoi giornali che la informano; un
fascio; quasi tutti quelli d'Italia che riceve da due anni ogni
settimana col bollo postale di Milano, da un ammiratore che non
le si è mai fatto conoscere.
Ada Negri non ha mai visto il mare, non conosce le montagne,
neppure le colline o un lago: pochi mesi fa poteva dire neppure
una grande città, poichè non faceva che attraversar Milano da
Porta Ticinese a Porta Romana per andar a Lodi a passar le
vacanze con sua madre.
Quest'estate alcuni amici la vollero trattenere per due giorni e fu
tutta una nuova vita spalancatasi ai suoi occhi nella gran città
popolosa, nella stagione in cui le corse e le esposizioni la
rendevano così brillante. I gaudenti le sfilarono davanti col
barbaglio del lusso, della bellezza, dell'eleganza. L'arte ch'ella
intravvide a Brera la sbalordì, la commosse, la trasportò; il
magico incanto di terre lontane e genti nuove la sedusse là fra
quegli egiziani e quei cavalli, davanti a quelle brune almée dagli
occhi dipinti.
Due giorni di sogno: tutta la sua personcina esile vibrava e i suoi
grandi occhi neri fiammeggiavano come per febbre, tanto che gli
amici si chiesero se non avevano commesso una cattiva azione
mostrandole ciò di cui non avrebbe potuto godere a lungo.
Ella tornò laggiù a riprendere i suoi zoccoli; tornò a insegnar a
compitare ai suoi ottanta bambini rumorosi e cocciuti, ma pur
troppo non seppe più essere tranquilla e rassegnata al suo oscuro
destino.
Vi sarà chi, leggendo il suo libro, dirà che c'è una nota insistente,
troppe volte ripetuta: è vero, ella stessa lo sente e lo dice: ma è
così, è lei, ora; è la campana lugubre, incessante che invoca al
soccorso, è la sua giovinezza che si ribella al dolore che l'ha
sempre accompagnata, è il grido dell'ingegno che lotta per non
essere seppellito vivo.
Son poeta, poeta, e non m'arride
Luce di gloria.
Pure come triste e dolce si fa il suo canto qualche volta: come la
sua giovinezza, stanca di anelare all'avvenire, torna al passato, e
si riposa ridiventando bambina alle ginocchia di sua madre.
Madre, qui—nel silenzio—a te vicina!
E chiede:
Dimmi, perchè si soffre e si perdona.
Perchè nel cor, con luminoso incanto,
L'amore come alato inno risuona,
Poi tutto crolla come sogno infranto?
Dimmi, perchè si soffre e si perdona?
La nota dolce della lirica di Ada Negri sgorga sempre e sola dal
ricordo della fanciullezza cullata dall'amore di sua madre, o
dall'amor materno che le appare come un lontano miraggio di
pace. La desolazione non accascia però mai a lungo Ada Negri;
ella scatta come una molla d'acciaio; l'amarezza dello sconforto si
muta sempre in un lampo di sfida, in un impeto di audace
speranza. Par che la sua personcina diventi più alta, quando
sfidando la miseria, «spettro sdentato dalle scarne braccia»,
esclama:
È mia la giovinezza, è mia la vita!
Nella pugna fatale
Non mi vedrai, non mi vedrai sfinita.
Su le sparse rovine e su gli affanni
Brillano i miei vent'anni!
E che profonda commozione proviamo quando, povera creatura,
dice:
Vedi laggiù nel mondo
Quanta luce di sole e quante rose,
Senti pel ciel giocondo
I trilli de le allodole festose,
Che sfolgorìo di fedi e d'ideali,
Quanto fremito d'ali!
Ma l'ammirazione ci riempie, quando questa fanciulla coraggiosa,
altera della sua virtù e del suo ingegno, soggiunge:
Voglio il lavor che indìa,
E con nobile imper tutto governa,
e salutando fieramente la «maga nera» dice:
.... dai lacci tuoi balzando ardita,
Canto l'inno alla vita!
Se c'è poesia sentita da tutti è questa di Ada Negri,
essenzialmente moderna e democratica. Qui dentro è il
«turbinoso presente» invocato da Arturo Graf, qui rigurgita
davvero «l'onda immensa di voci che ci ingombrano di stupore, ci
empiono di pietà, ci infiammano d'entusiasmo, ci rattristano a
morte».
dicembre 1901
Ma ne la calma immensa
Torna ai ricordi il core,
E ad un sopito amore
Pensa.
NEBBIE
Soffro—Lontan lontano
Le nebbie sonnolente
Salgono dal tacente
Piano.
E mi ripete: Vieni,
È buia la vallata.
O triste, o disamata,
Vieni!...
NOTTE
La luttuosa tenebra
Una storia di morte
Racconta a le cardenie
Smorte?
Su le fugaci gioie
Che il disinganno infrange,
La notte le sue lagrime
Piange.
FIN CH'IO VIVA E PIÙ IN LÀ
Tu non mi toglierai
Questa che m'arde in cor forza divina,
Tu non m'arresterai
Ne l'irruente vol che mi trascina.
Impotente è il tuo rostro.—O tetra Iddia,
Io seguo la mia via.
.... in chiesa.—
Prega—sei solo.—Il tardo
Passo qual triste idea qui t'ha guidato,
O pallido vegliardo?
Forse ti parla ne la chiesa oscura
Quel Dio che ti fe' grande e sventurato,
Quel tremendo Signor che t'impaura?...
Ho bisogno di pianto.
Ho bisogno di pace.
Ho bisogno d'amore.
SINITE PARVULOS....
A fasci s'effonde
Per l'aria tranquilla.
Colora, sfavilla,
La mite frescura
Del verde ravviva,
S'ingemma giuliva
Per terra e per ciel,
Mi sento nell'anima
La speme fluire,
L'immenso gioire
Di vivere sento.
Qual schiera di rondini
I sogni ridenti
Fra i raggi lucenti
Si librano a vol....
I.
L'uno ha vent'anni—è bello, innamorato,
Dolce signor d'armonïosi canti,
E sul suo labbro acceso ed inspirato
Fioriscono per me gl'inni vibranti.
Io t'invoco, o Signore,
Che nel buio mi guardi.
Batte da lungi l'ore
La bronzea squilla. È tardi.
Spiega la notte l'ale....
Io prego, inginocchiata,
Convulsa, al capezzale
Di mia madre malata.
Pietà!...
Pietà!
Pietà!...
VA
De le prime vïole!
A Nice Turri.
Era grande ed oscuro. Un divo soffio
Di genio la sua fronte irrequïeta
Baciava. Ai sogni, ai palpiti
Cresciuto de l'idea,
Bello, gentile, libero, poeta,
Incompreso dal volgo, egli vivea.
Tutta ravvivasi
La selva ed ansima,
Tutta contorcesi:
Riscote ed anima
L'immensità
Un urlo magico:
«Fatalità.»
Tutta contorcesi
La selva ed ansima.
Narra la ràffica
Bizzarre istorie
D'amor, di lagrime,
D'ebbrezze adultere
Che Dio punì;
Colpe e misterii
D'antichi dì.
Narra la ràffica
Storie di lagrime.
Prendimi, portami,
Spirto malefico:
Su l'audacissime
Ali indomabili,
Tra nubi e fulmini,
Pel cieco orror,
Portami, involami,
Come la gracile
Foglia d'un fior....
Ed un desìo mi nasce:
Essere morsa al cuore,
Esser baciata in bocca,
Provar gioie ed ambasce,
La follìa del trionfo,
La follìa del dolore.
A Raffaello Barbiera.
Solitudin di gelo.—La tenèbra
Qui nel bosco m'ha côlta.
Infoscansi le nubi, ed io com'ebra
Sto, ma non temo.—O fredda aura sconvolta,
Aura fredda del vespro in agonia,
Parla all'anima mia!